Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 2 III COMMISSIONE La seduta comincia alle 14.50. Sulla pubblicità dei lavori. PRESIDENTE. Propongo che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. Se non vi sono obiezioni, rimane cosı̀ stabilito. (Cosı̀ rimane stabilito). Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Rino Serri, sui conflitti africani, con particolare riferimento a Congo, Corno d’Africa, Sierra Leone ed ex Zaire. PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Rino Serri, sui conflitti africani, con particolare riferimento a Congo, Corno d’Africa, Sierra Leone ed ex Zaire. Ringrazio il sottosegretario per aver accolto il nostro invito e gli cedo subito la parola. RINO SERRI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Vi ringrazio per l’attenzione e per la sensibilità politica che avete manifestato convocandomi per questa audizione. Sapete meglio di me che l’Africa è abbastanza emarginata nell’attenzione dell’opinione pubblica e soprattutto della comunità internazionale; forse una certa marginalizzazione potrebbe spiegarsi in questo momento in cui è in atto una crisi acutissima vicino alle nostre Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 frontiere, ma si riferisce ad un processo più ampio in corso da un certo periodo di tempo, che manifesta segni di ritorno ad una visione marginale dell’Africa nella comunità internazionale e persino segni evidenti di ritorno di quanto è stato definito da qualche studioso come « afropessimismo ». Se ciò avvenisse sarebbe un grave errore soprattutto per un paese come l’Italia: se continuasse ad esistere un elemento di marginalità economica del continente nel suo complesso (come dirò, ci sono delle eccezioni) e se si consolidasse una tendenza che purtroppo si è manifestata nell’ultimo periodo ad una ripresa e ad un’estensione dei conflitti, anche di carattere interstatale e non più solo delle guerre civili di assestamento all’interno di singoli paesi; se, come dicevo, questa duplice tendenza – marginalità economica ed estensione dei conflitti – si confermasse e si ampliasse credo che per il mondo non potrebbero non discenderne gravi conseguenze, in parte già visibili. Purtroppo non ci sono ancora segni tangibili di un’inversione di questa tendenza. Le conseguenze sarebbero gravi in primo luogo per i pericoli derivanti dal terrorismo, dalle attività criminali o illegali e dal commercio delle armi, che trova in Africa un punto particolarmente trainante, anche se poi la produzione avviene altrove. Si verificherebbe una pressione costante di profughi, che a volte sono non centinaia di migliaia, ma milioni e si accentuerebbero i problemi delle migrazioni. In sostanza si creerebbe un clima di insicurezza concernente non soltanto i rapporti tra gli Stati ma anche la conduzione della vita sociale e civile a livello mondiale. Oltre ai problemi della sicu- Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 3 III COMMISSIONE rezza, anche le prospettive di sviluppo economico per l’Europa e soprattutto per un paese come l’Italia non potranno essere stabili e forti a lunga scadenza se non guardando allo sviluppo possibile e auspicabile del continente africano, altrimenti anche per noi lo sviluppo economico ed il mercato avrebbero un limite pesantissimo nell’arretratezza del continente africano. Oggi quindi, sulla base degli ultimi eventi, si impongono ulteriori, nuove riflessioni sull’Africa. Non molto tempo fa si parlava di ripresa (si è accennato anche al « rinascimento africano ») e c’erano speranze, fatti ed elementi che sembravano disegnare questa prospettiva, a cui credo nessuno di noi voglia rinunciare, anche se oggi dobbiamo valutarne tutte le difficoltà. Abbiamo avuto un periodo, che potremmo definire una terza fase, dopo la battaglia anticoloniale e la conquista dell’indipendenza, dopo un lungo periodo di tempo in cui – seconda fase – l’Africa è rimasta dentro una logica dei blocchi militari contrapposti; abbiamo avuto una terza fase in cui sembrava aprirsi un periodo caratterizzato da un maggiore pragmatismo, da un certo sviluppo economico in alcune aree, da regimi più democratici, a cominciare dalla grande esperienza che il Sudafrica aveva rappresentato per tutti, da processi di integrazione regionale che sembravano assorbire le tensioni che si sviluppavano tra Stati o tra etnie; si cominciava a ragionare seriamente non solo sull’organizzazione dell’unità africana, già esistente, ma anche sull’organizzazione di forze di pace, di prevenzione dei conflitti, di interventi di peace keeping e di peace enforcing compiuti direttamente da forze africane. Si è trattato di una fase – ripeto – durata un certo tempo, che ora è rimessa in discussione (non voglio dire che sia finita); dobbiamo fare molto rapidamente una riflessione per riprendere quel cammino, cercando di evitare che fatti negativi lo interrompano definitivamente. Occorre capire quali siano le ragioni che hanno provocato questo processo; ne indico alcune sulle quali riflettere. Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 Talune ragioni sono di carattere macroeconomico: il complesso del continente si trova di nuovo in una certa difficoltà economica e fatica ad entrare nei processi di globalizzazione dell’economia. È abbastanza visibile il fatto che il mercato interno è debolissimo, senza una crescita consistente; a volte ci sono paesi che riescono a mettersi in ordine con i criteri macroeconomici indicati dal Fondo monetario internazionale, ma ciò avviene a volte a spese di una riduzione degli stanziamenti per la scuola, la sanità e gli altri momenti sociali. In certe aree si verificano dei processi di arretramento, e la questione è talmente visibile che la stessa Banca mondiale (qualche settimana fa ho avuto occasione di recarmi a Berlino e di incontrarmi con il presidente della Banca mondiale, Wolfensohn) sta rivedendo le politiche che aveva attuato in Africa, riproponendo in primo piano l’esigenza di progetti di sviluppo che contengano la componente sociale, perché in sua mancanza solo apparentemente si crea un meccanismo economico più sano. Ripeto, la Banca mondiale sta cercando di correggere tali politiche. È tornata in primo piano la questione del peso del debito: se il debito di questi paesi « mangia » una parte o a volte la totalità delle esportazioni, il rischio è che lo sviluppo non possa innescarsi; secondo le organizzazioni finanziarie, la situazione potrebbe aver raggiunto un livello di non sostenibilità, e quindi bisogna affrontare il problema sul piano di una valutazione internazionale non lasciata al singolo Stato o al rapporto tra lo Stato e il Fondo monetario internazionale. Non c’è dubbio – terzo elemento – che dopo la fine dei blocchi (qualche esperienza l’abbiamo anche noi in Europa) si sono liberate tensioni etniche e statuali che prima erano frenate da altri fattori e che innescano anche elementi di conflitto, aggiungendosi alle altre ragioni di cui ho parlato. Emerge forse – è questo un elemento su cui riflettere – una tendenza a generare conflitti che hanno come posta in gioco l’egemonia in certe aree, anche tra Stati africani. Uso il termine « forse », utiliz- Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 4 III COMMISSIONE zando una formula dubitativa, anche se la storia europea di altre epoche dimostra che spesso si attraversano fasi in cui uno Stato od un altro in una certa area ritengono di avere un ruolo egemonico e quindi si servono della pressione delle armi. C’è una spinta che proviene da interessi che mal si conciliano con una legalità nazionale, statuale ed internazionale. Pensate che alcuni conflitti – Angola o Sierra Leone – sono, ma soltanto in parte, collegati anche al commercio dei diamanti, al fatto cioè che in quei paesi esiste una risorsa importante; oppure interessi di varia natura tendono a volte a creare condizioni per cui in taluni paesi africani si verifica una situazione – definiamola cosı̀ – di non Stato, di mancanza della legalità, di poteri legati solo ad alcuni interessi di etnie, di clan e di gruppi economici; questa tendenza presenta qualche sintomo di emersione, e bisogna combatterla in tempo. La Somalia già da sette anni non è più Stato, non ha più leggi, non ha più niente, ma una tendenza analoga è presente nel CongoKinshasa, un enorme paese, quasi un continente; se in quell’area arrivassimo al non Stato sarebbe una catastrofe per l’intera Africa... PRESIDENTE. Come dissoluzione delle istituzioni. RINO SERRI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Sı̀, come dissoluzione delle istituzioni, come frammentazione in tanti poteri. MICHELE RALLO. Ci sono tribù. RINO SERRI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Sono tribù, sono gruppi, sono etnie, ma sono anche poteri economici. Il commercio clandestino delle armi, in queste condizioni, è praticamente libero, diventa un fatto quasi organico. È questo il motivo per cui occorre valutare bene i pericoli, senza essere presi dall’« afropessimismo », da questa sorta di rinuncia e di distacco, cercando il modo di reagire. Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 Occorre pertanto una riflessione sulle politiche economiche, che già è stata avviata (ho citato prima la Banca mondiale); occorre inoltre una riflessione sulla ripresa della cooperazione allo sviluppo, anche su basi nuove, calcolando che il puro meccanismo commerciale, anche se integrato a livello mondiale, per un continente che conosce le arretratezze dell’Africa, senza un sostegno per lo sviluppo, non basta ad integrarlo, anzi a volte rischia di emarginarlo ancora di più. Bisogna rivedere attentamente le politiche del debito: ci avviciniamo al vertice dei G8 di Colonia, che ha il tema all’ordine del giorno; anche l’Italia sta discutendo su cosa fare, con iniziative che si aggiungano a quelle delle organizzazioni internazionali: sulle politiche del debito, questa è certamente una necessità. Stiamo discutendo nell’Unione europea la nuova convenzione di Lomè, che dovrà essere firmata entro la fine di quest’anno e che riguarda soprattutto l’Africa. È previsto un vertice Europa-Africa per la prima metà del 2000, che rappresenterebbe il primo vertice dell’Europa con quel continente; sapete meglio di me che il rapporto dei paesi europei con l’Africa è stato prevalentemente a livello di singole potenze (compresa quella italiana), che derivava più dalla storia coloniale che dalla fase attuale. Il vertice euroafricano potrebbe rappresentare un passaggio di qualità, ma richiede un’adeguata preparazione. L’Italia ha sviluppato un nuovo impegno politico, in questo periodo. Ci sono elementi di ripresa della nostra attenzione per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo con l’Africa; occorrono sforzi finanziari se vogliamo intervenire efficacemente in alcuni conflitti, per tentare di risolverli. Credo che la riforma del regolamento del ministero, cui voi avete contribuito, con la formazione delle direzioni geografiche possa consentire un’attenzione più costante e meditata all’Africa. Passo ora ai singoli punti, sulla base del quadro che vi ho illustrato. Per quanto riguarda il Corno d’Africa, non voglio ripercorrere tutta la storia, Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 5 III COMMISSIONE perché sarebbe molto lunga. Ho già accennato alla Somalia, ad una crisi che dura ormai da tempo; dopo la caduta del regime di Siad Barre non è intervenuta una ripresa e l’intervento dell’ONU, per le ragioni note, ha avuto un esito negativo. Da allora non si riesce a determinare una ripresa della situazione, nonostante un impegno serio dell’Italia; credo di essere l’unico uomo di governo dei paesi europei e statunitensi ad essersi recato a Mogadiscio, anche se non c’è più uno Stato, un governo, la legge. Attualmente tentiamo di seguire una strada di questo genere: è in atto un processo di pacificazione che ha investito alcune aree sulle quali si sta lavorando (Somalia del nord, Migiurtinia ed altre piccole aree) e si è tentato faticosamente un accordo a Mogadiscio. Occorre lavorare su questa base non più fondandosi solo sull’incontro tra i vari leader somali, andando ad un incrocio tra il ruolo che hanno alcuni leader ed i processi che emergono dalla società, tentando di pacificare la società e di sostenere tale pacificazione anche con aiuti concreti, arrivando ad una conferenza nazionale che possa ridare vita ad uno Stato somalo su base federalista con forti autonomie, perché il tipo di Stato prima esistente non sembra essere oggi minimamente praticabile. PRESIDENTE. Scusi, sottosegretario Serri, ci vuole spiegare, nel corso della sua esposizione, quale sia il livello di istituzionalizzazione di questi colloqui al punto da avere gli stessi forza operativa o comunque di impegno ? RINO SERRI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor presidente, lei pone una domanda molto giusta. C’è stata una fase in cui di questi colloqui se ne svolgevano a decine in tutte le capitali del mondo, meno che a Roma, perché fino adesso l’Italia ha evitato questa sorta di turismo diplomatico un po’ eccessivo di alcuni gruppi somali. Noi abbiamo chiesto con forza di agire in Somalia: c’è per esempio un’assemblea rappresentativa nell’ex Somaliland che comincia ad avere Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 una sua struttura; c’è un primo tentativo, un po’ più arretrato, in Migiurtinia e nel cosiddetto Puntland. Nel Benadir si era arrivati vicino ad un accordo; ci sono altre aree pacificate che hanno delle espressioni anche istituzionali. Il problema è riuscire a consolidare questi processi e, su questa base, anche incontrandosi con i leader che mantengono un certo peso, dare vita ad un processo di carattere nazionale. Qual è un piccolo elemento di ottimismo ? Noi – l’Italia ha lavorato per questo, in modo particolare – abbiamo tentato di congiungere tutti gli sforzi internazionali sulla Somalia, perché – diciamolo francamente – si parlavano lingue molto diverse tra Etiopia, Egitto, Italia, mondo arabo. Attraverso il meccanismo del forum dei partner dell’IGAD e il gruppo Somalia, abbiamo creato una convergenza tra tutti questi 19 paesi, l’abbiamo allargato all’Egitto, oltre ai paesi IGAD, Etiopia, Eritrea e cosı̀ via. Ora esiste una certa convergenza internazionale: questo può essere un elemento di stimolo per impedire che le differenze dei singoli paesi, grandi o piccoli, siano un alibi per certi gruppi somali, e per spingere tutti insieme per andare alla ricostituzione – ripeto – su base federale di uno Stato somalo. Nel Corno d’Africa c’è la questione Sudan: il 20 aprile prossimo dovrebbero riprendere a Nairobi le trattative per la soluzione del gravissimo conflitto sudanese che dura da oltre trent’anni. Purtroppo proprio questa mattina ho ricevuto notizie che mettono in forse la ripresa di tali trattative, cui abbiamo lavorato per mesi; è infatti avvenuto un episodio veramente grave: di sei esponenti della Croce rossa presenti nel sud Sudan, due (europei) sono stati liberati, mentre quattro (sudanesi) sono stati uccisi. Ciò ha creato una condizione per cui, alla vigilia delle trattative, sembra difficile portare le due parti alle trattative di pace sotto mediazione keniota. MICHELE RALLO. Uccisi da chi ? RINO SERRI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Le accuse sono rivolte Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 6 III COMMISSIONE ai guerriglieri del sud Sudan, ma si tratta di accuse che non sono in grado di verificare e che sono state smentite dai guerriglieri. Alcuni hanno parlato di spie. Sapete come sia difficile in questi casi sapere la verità. Tuttavia, anche con questa preoccupazione che vi sto esprimendo, nell’ultima riunione tenutasi ad Oslo, Italia e Norvegia, che sono copresidenti di un gruppo Sudan per tentare di riprendere le trattative per arrivare alla pace, hanno avanzato delle proposte, anche con aiuti economici e con strutture che agevolino la mediazione, con il sostegno di tutti paesi, compresi gli Stati Uniti d’America (fatto in parte nuovo sulla questione sudanese). Ciò consente di ritenere che anche se non dovessero cominciare il 20 aprile, le trattative potrebbero riprendere più avanti ma non interrompersi del tutto. Quanto al conflitto Etiopia-Eritrea, sempre nel Corno d’Africa, sapete che il conflitto si è manifestato su una disputa territoriale su un’area che era amministrata dagli etiopici – mi riferisco a Badme – ma rivendicata dagli eritrei, anche sulla base di vecchie carte coloniali cui del resto fa riferimento l’Organizzazione dell’unità africana. Forse è questo uno dei conflitti in cui agiscono anche elementi di ruolo e di egemonia nell’area complessivamente interessata, perché è difficile identificare specifiche ragioni, oltre quelle territoriali, che sono visibili. Il problema dello sbocco al mare dell’Etiopia è stato additato da alcuni osservatori come una delle cause, ma gli etiopi negano nel modo più assoluto questo presunto obiettivo del conflitto. Quando c’è un conflitto di questa portata tra due paesi che fino al 1993 erano un solo paese, con due gruppi dirigenti che hanno condotto insieme la battaglia contro il regime di Menghistu, la situazione è difficile. Il fronte di liberazione eritreo e quello del Tigrai erano come fratelli, e, come potete immaginare, uno scontro tra fratelli è molto difficile da gestire. Il ministro Dini, il Presidente Scalfaro ed io stesso, a più riprese, abbiamo fatto moltissimo, ma la questione è faticosa. Adesso il conflitto è in una fase di stallo, non si Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 spara. Ieri ho ricevuto un ministro dell’Eritrea, cui ho chiesto notizie più aggiornate, il quale mi ha confermato la situazione. Ambedue i paesi si accusano di continuare ad armarsi e di prepararsi a nuovi scontri; ambedue i paesi hanno dichiarato di accettare il piano OUA: prima l’Etiopia e, dopo l’ultimo scontro a Badme, che avrebbe visto una prevalenza etiope, anche l’Eritrea ha dichiarato di accettare il piano. Nonostante ciò, le trattative non si sono avviate. Stiamo operando per tentare di sostenere l’OUA e spingerla a cominciare immediatamente la dislocazione degli osservatori internazionali prevista dal piano, anche prima che la trattativa tra i due paesi possa dispiegarsi su tutti gli argomenti. Sembra infatti che una delle questioni non facili sia proprio l’avvio della trattativa tra i due gruppi dirigenti. Sul piano internazionale sembra esservi uno sforzo congiunto. Devo naturalmente essere cauto, ma non pare che si sia di fronte ad un’utilizzazione strumentale del conflitto da parte di qualcuno. Certamente l’Italia non intende utilizzare questo conflitto ed opera per risolverlo; tende a mantenere – ripeto, con fatica – un rapporto di fiducia con entrambi i paesi. Lo sforzo di aiuto è lo stesso e prestiamo attenzione, nell’emergenza, anche ai profughi e agli espulsi (più in Eritrea da parte dell’Etiopia che viceversa). Contiamo di continuare in questa direzione anche in sede ONU e Unione europea. Questione dei Grandi laghi. Conoscete tutti la crisi del Congo. Attualmente Angola, Zimbabwe, Namibia e Ciad sostengono il governo di Kinshasa; sembra che truppe ugandesi siano presenti nella zona est per garantire una sicurezza che non ritengono più assicurata – questa è la loro valutazione – da parte del governo di Kinshasa. Tutto questo non è nato casualmente; la storia dice che in quell’area si sono prodotte effettive ragioni di insicurezza sia per il Ruanda (non possiamo dimenticare il drammatico genocidio che ha comportato l’uccisione in pochi mesi di 700-800 mila persone) sia per la stessa Uganda. Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 7 III COMMISSIONE Dietro pressione di molti (dell’Unione europea e dell’Italia in particolare: come sapete, il presidente Kabila è stato a Roma oltre che a Parigi e Bruxelles), il presidente Kabila ha dichiarato la disponibilità ad aprire un dialogo nazionale che coinvolga tutti, sia gli ex mobutisti, sia gli attuali ribelli. Si tratta di un passo che abbiamo sollecitato perché la soluzione della crisi del Congo-Kinshasa può avvenire solo garantendo la sicurezza di tutti i paesi confinanti, ad est (Ruanda e Uganda) e ad ovest (Angola ed altri). Da un lato si pone quindi il problema della sicurezza di tutti gli Stati, dall’altro quello dell’integrità territoriale del Congo e di un governo che in questa fase non può che essere rappresentativo, se non di tutti, quanto meno di una larga parte. Sembra che questa indicazione del dialogo inizialmente sia stata accolta da molte forze dell’opposizione; un’ipotesi circolata è che il dialogo nazionale avvenga a Kinshasa oppure a Roma. Alcuni amici – la comunità di Sant’Egidio in particolare – stanno lavorando a questo progetto con il pieno sostegno del governo. Abbiamo fatto alcuni passi nei confronti di diversi paesi vicini per sentire quale fosse il loro atteggiamento di fronte ad una eventuale scelta di un « facilitatore » che operasse a Roma. Abbiamo avuto finora risposte positive; vedremo se la situazione, irta di difficoltà, potrà ora procedere. Avviare a soluzione, anche solo lentamente, la crisi della Repubblica democratica del Congo significherebbe imprimere una spinta decisiva alla pacificazione in tutta l’Africa. Vengo ora alla questione dell’Angola. Vi è uno stretto collegamento tra la crisi che preesisteva in Angola e quella attuale del Congo. Purtroppo l’accordo di Lusaka non è stato realizzato. Le Nazioni Unite, attraverso molte risoluzioni, hanno giudicato che la responsabilità fondamentale della non attuazione di quell’accordo sia stata dell’UNITA e del suo capo Savimbi in modo particolare. Attualmente è purtroppo ripresa la guerra, anche da parte dell’UNITA, dotata di una rinnovata e forte dotazione di armi. La guerra si è rapidamente allargata in tutta un’area del Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 paese e tende a non essere di breve durata. La comunità internazionale (le Nazioni Unite, l’Unione europea e l’Italia) mantiene una ferma posizione riguardo alla realizzazione degli accordi di Lusaka, accordi che però – devo dirlo onestamente – sembrano oggi più lontani nella loro attuazione rispetto a qualche mese fa. Come sapete l’ONU si è ritirata e siamo nel pieno del confronto militare. Bisognerà vedere se si riaprirà una possibilità di seguire una strada che non sia esclusivamente o prevalentemente quella militare; una strada di questo genere non potrebbe tuttavia essere intrapresa che sulla base degli accordi di Lusaka. Tali accordi sono stati infatti realizzati dopo molti anni di preparazione; mettere tutto in discussione significherebbe passare da una trattativa a una guerra e viceversa, rischiando di continuare cosı̀ all’infinito. Questa è la condizione non facile nella quale ci si trova in questo momento in Angola. Come sapete l’Italia aveva – ed ha tuttora – ampie relazioni con questo paese; avevamo avviato anche progetti di cooperazione e di collaborazione economica e commerciale. La soluzione del conflitto angolano rappresenta una componente essenziale che contribuirebbe alla soluzione del conflitto nel Congo ed alla stabilizzazione del Congo-Brazeville che, come sapete, è passato anche di recente attraverso una guerra pesante. Vi sono notizie relativamente positive per quanto riguarda il Burundi. Il dialogo nazionale, facilitato da Nyerere (con la collaborazione della comunità di Sant’Egidio e del nostro paese) sembra procedere bene e la pacificazione in Burundi sembra avanzare. Non è cosı̀ – o almeno lo è solo in parte – in Sierra Leone, dove solo di recente si è aperta una possibilità di colloquio tra il presidente Kabbah e il capo del RUF. Abbiamo affrontato tale questione con il presidente eletto della Nigeria, Obasanjo, venuto di recente in Italia (la Nigeria gioca un ruolo fondamentale anche con le truppe ECOWAS); si tratta di una situazione molto difficile, rispetto alla quale sussiste l’impegno della Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 8 III COMMISSIONE Comunità europea. Come sapete, la guerra civile è tuttora durissima. Il vescovo di Makeni, monsignor Biguzzi, ed altri missionari ci hanno riferito fatti drammatici; nonostante l’Italia non abbia tradizionali collegamenti con quel paese, fornisce il proprio contributo. La situazione si presenta comunque ancora difficile. In Guinea Bissau siamo un po’ più avanti ed il dialogo avviato ha condotto ad un accordo; Francia e Portogallo sono impegnati su questo versante e l’Italia fornisce un contributo anche economico. Si è discusso della possibilità di utilizzare strutture logistiche per sostenere presenze internazionali. Poiché si tratta, in particolare, di un aereo della difesa, in considerazione di quanto sta avvenendo in Kosovo non sono ora in grado di dire come si svilupperà la vicenda. Lo sviluppo in parte positivo della situazione è stato molto facilitato dal compianto vescovo di Bissau, monsignor Ferrazzetta, un italiano, che ha lavorato con intensità alla mediazione; anche secondo il giudizio del presidente eletto della Nigeria sembra che sussistano le condizioni per uno sviluppo positivo. Una valutazione più ampia dovrebbe coinvolgere – ecco un elemento di novità che vi prego di aiutarci ad approfondire – l’Africa mediterranea. Siamo abituati a parlare di Africa pensando solo a quella subsahariana, ma esiste anche un’Africa mediterranea. Da quando seguo con attenzione questi argomenti ho osservato nel corso degli anni un aumento dell’interesse dei paesi arabi mediterranei verso l’Africa. Penso in primo luogo all’Egitto, con il quale abbiamo una buona collaborazione in atto anche sui problemi africani; penso per alcuni aspetti alla Tunisia; penso, in particolare, alla Libia, che ha prodotto una serie di iniziative verso i paesi africani ed ha proposto di recente al ministro Dini una collaborazione tra Italia e Libia su una serie di punti di crisi, e non, della politica africana. Credo che sviluppare una collaborazione tra Italia e Libia in alcune aree africane potrebbe essere di notevole utilità. Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 Domani si svolgeranno le elezioni in Algeria, che avrà dal mese di luglio, per un anno, la presidenza dell’OUA. Nel corso di tale periodo si potrebbe arrivare al vertice euroafricano. L’Italia segue con grande attenzione la vicenda algerina. Sono stato tre settimane fa in Algeria per la terza volta e il voto – come sapete i candidati alla presidenza sono sette – sembra essere effettivo. Vedremo poi quale sarà il grado di partecipazione. La campagna elettorale si è sviluppata ampiamente e l’elezione potrebbe rappresentare l’uscita del paese da una fase difficile. L’Algeria, per il ruolo e il peso che ha, potrebbe diventare un punto importante dell’Africa mediterranea. A ciò si ricollega la questione dello sviluppo dei nostri rapporti con il Marocco; rapporti molto positivi, anche se il Governo italiano ha sempre sottolineato anche con il Marocco (senza che ciò sia ragione di tensioni) che occorre portare a soluzione la questione del Sahara occidentale, come stabilito dal piano dell’ONU e dal recente accordo Baker. Ci auguriamo che si possa procedere in tale direzione. La celebrazione del referendum è stata purtroppo rinviata al prossimo dicembre; ci auguriamo possa andare in porto perché se cosı̀ fosse si potrà rilanciare l’ipotesi anche dell’Unione magrebina (UMA). La Libia è uscita dalla fase dell’embargo – fatto ampiamente positivo –; l’Algeria sta per andare al voto; se si risolvesse il problema del Sahara occidentale potrebbero esservi le condizioni nell’Africa del nord per avviare quei processi di integrazione che potrebbero essere molto importanti per l’Europa, per il dialogo euromediterraneo e per l’Italia in particolare in considerazione della sua collocazione geografica. Di quest’ultimo fatto occorre tenere conto. La politica verso l’Africa a volte va fatta sotto voce, senza essere in prima linea, ma per un paese come l’Italia si tratta di una scelta fondamentale della nostra politica estera. La sponda sud del Mediterraneo e il continente che ci sta dietro sono importanti; occorre lavorare molto su questo Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 9 III COMMISSIONE versante anche prima di ottenere visibili risultati, ma a mio avviso l’impegno deve aumentare e non diminuire in rapporto alle difficoltà. Questa è la linea che il Governo tende ad attuare. PRESIDENTE. La ringrazio, signor sottosegretario, non solo per galateo parlamentare ma anche perché debbo darle atto dell’impegno, della passione e della concretezza che esprime con le sue parole. Hanno chiesto di intervenire gli onorevoli Zacchera, Rivolta, Bianchi e Pezzoni. Per l’importanza del tema in discussione non intendo limitare i tempi di intervento. Sapete tuttavia che alle 16 dovremo concludere i nostri lavori. Potremo pertanto proseguire il dibattito fino a quell’ora per poi riprenderlo la prossima settimana. MARCO ZACCHERA. Una delle domande che intendo rivolgere al sottosegretario e al presidente riguarda il senso della nostra Commissione. Discutiamo oggi un tema estremamente rilevante, come il sottosegretario ha ribadito anche al termine del suo intervento. A mio avviso siamo qui non solo per esaminare i commi degli articoli di qualche legge ma anche per fare qualcosa di buono per il mondo e sono convinto del fatto che il nostro paese possa fare davvero qualcosa di buono in un continente rispetto al quale non è difficile quella sorta di « afropessimismo » di cui ha parlato il sottosegretario, che sa meglio di me come tutti gli indici di sviluppo siano al ribasso e come sia difficile guardare alla situazione con spirito positivo. Condivido una parte della relazione del sottosegretario e non concordo invece su altre sue affermazioni. Condivido, in particolare, le sue osservazioni sulla Banca mondiale e sul fatto che occorre fare in modo di rinegoziare il debito dei paesi africani. Sono poi assolutamente d’accordo – colgo con piacere quanto ha affermato in merito al debolissimo mercato interno e al fatto che, anche per responsabilità della Banca mondiale, molti governi non hanno la possibilità di fornire Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 servizi alla popolazione – che uno dei maggiori problemi dell’Africa sia la « caduta » degli Stati. Purtroppo quasi ovunque nel continente africano gli Stati non hanno più una reale consistenza sotto il profilo organizzativo. Anche in paesi come il Kenya, all’avanguardia fino a qualche anno fa, il 50 per cento del territorio è privo di presenza dello Stato; lo stesso vale per il Sudan, per l’Uganda e per tanti altri paesi. Se non esiste polizia alla quale fare riferimento in caso di reati, se non si ha la minima possibilità di tutelare i propri diritti, lo Stato non esiste, e se il giudice civile, notoriamente corrotto, non dà risposte, la situazione è senza soluzione ! Dobbiamo chiederci cosa possiamo fare concretamente in proposito. Innanzitutto dobbiamo aiutare gli Stati ad esistere. Quando con il collega Bianchi visitammo il bombardato Parlamento del Ruanda chiedemmo al presidente di quell’istituzione cosa avremmo potuto fare per loro. Ci rispose che se avessimo inviato penne e fogli di carta avremmo già dato una mano, perché il Parlamento del Ruanda non aveva neppure la cancelleria ! Un paese che voglia davvero intervenire sul continente africano deve tenere conto di tutte le risposte che possono essere fornite con un minimo impegno di carattere economico. Un punto che il sottosegretario non ha affrontato e che va invece a mio avviso toccato con forza – e non solo in questa sede – è quello delle responsabilità internazionali. Dobbiamo smetterla di dire che in Africa ci si uccide a vicenda perché ci sono gli hutu e i tutsi, perché quando si arriva a questo non si è che all’ultimo anello della catena ! Dobbiamo prendere in considerazione seriamente le responsabilità mondiali geopolitiche ed economiche che stanno dietro le crisi dell’Africa, altrimenti non ne verremo fuori. Non possiamo dire che in Angola non si sta di fatto facendo una guerra tra le parti perché si vogliono mettere le mani sui bacini di petrolio presenti sulla costa e si ordina quindi al Governo angolano di andare dove c’è l’UNITA per controllare l’industria del petrolio, con la conse- Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 10 III COMMISSIONE guenza che le estrazioni sono ipotecate fino al 2005 per comprare armi ! Se l’Italia vuole essere un paese serio queste cose devono essere dette anche ai propri alleati e anche se si tratta di fatti spiacevoli. Le responsabilità della Francia nel conflitto dei Grandi laghi esistono e bisogna avere il coraggio di affrontarle; lo stesso vale per le responsabilità dell’ONU, che in Burundi e in Ruanda, quando nel 1993-1994 c’erano speranze di pace, non ha tutelato i presidenti regolarmente eletti, che sono stati scannati e uccisi da 50 persone ubriache, fatto che ha poi dato l’avvio alla guerra civile. Quando sono stato eletto deputato nel 1994 ero in Burundi e non è stato piacevole avere i kalashnikov puntati contro di me ! Nel 1993 sarebbero bastati 50 soldati dell’ONU perché nel Burundi non succedesse nulla, ed oggi avremmo forse una democrazia di sei anni al governo del paese e avremmo risolto tantissimi problemi in quella regione. Moltissime responsabilità internazionali degli Stati Uniti, delle grandi multinazionali, vanno espresse. Il sottosegretario avrà sicuramente letto – altrimenti glielo regalo volentieri – il libro di Cavaliere Balcani d’Africa, che contiene la descrizione di fatti che fanno accapponare la pelle. Esistono anche responsabilità della mafia italiana; Musumbue è infatti un centro di scambio di società off shore dove conveniva mantenere una situazione di estremo degrado, trattandosi di un posto adatto allo scambio di soldi e di denaro. Vengo ora ai quattro scenari delineati. Il Corno d’Africa, innanzitutto. Chiedo che in quell’area l’Italia faccia di più. Il sottosegretario Serri ce la mette tutta, ma temo che a buona parte del Governo italiano del Corno d’Africa non importi nulla o quasi. Nei confronti di Somalia, Etiopia ed Eritrea l’Italia può giocare un ruolo infinitamente superiore a quello di tutti gli altri paesi europei, e di questo dobbiamo assumerci la responsabilità. Vi sono in Somalia realtà che funzionano (le microregioni autonome, per esempio), ma è un anno che propongo alla Commissione di organizzare a mie spese una visita in Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 quei luoghi per capire come funzionino quelle realtà e che cosa si possa fare; si tratta di luoghi dove, addirittura, si parla italiano. Come deputato di questo paese mi sento responsabile per il futuro del Corno d’Africa; se il Congo non è un’area geopoliticamente vicina, lo è invece il Corno d’Africa, e ribadisco che dobbiamo fare di più per quell’area. Vent’anni fa abbiamo buttato via centinaia di miliardi facendo in questa zona delle vere porcherie attraverso la cooperazione internazionale. Non si può passare dal troppo al nulla e, anche in considerazione del ruolo della nostra Commissione, invito a guardare con maggiore attenzione a queste situazioni. Non dico che il Corno d’Africa debba diventare un protettorato italiano: stando bene attenti – bene sta operando il Governo italiano –, guardando dall’alto la situazione dobbiamo però svolgere una funzione di garanzia. L’ambasciatore ad Addis Abeba, Ricoveri, mi ha detto che dall’Etiopia hanno espulso tutti i cittadini eritrei, che si ritrovano ad essere apolidi; non sono infatti riconosciuti dagli eritrei perché erano in Etiopia. RINO SERRI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Gli espulsi sono 56 mila. Gli eritrei in Etiopia sono circa 250 mila. MARCO ZACCHERA. L’Italia deve porsi come garante di queste situazioni perché altrimenti queste persone neppure volendo potranno trovare una collocazione. Si ritrovano nel mezzo di una guerra in un paese ostile senza nessuna tutela come cittadini. Sorvolo sull’area dei Grandi laghi perché le notizie fornite dal sottosegretario sono sostanzialmente condivisibili. Vi sono però scelte politiche da fare. Per esempio, non condivido del tutto la scelta dell’Italia di ospitare Kabila; per lo meno avremmo dovuto fare pesare molto di più l’ospitalità a Kabila. Se infatti Milosevic è un macellaio, non è che un dilettante a confronto del presidente Kabila. Se la contabilità si fa in riferimento alle migliaia di morti, ebbene il Congo è in pole Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 11 III COMMISSIONE position per vincere lo scudetto. Dobbiamo essere più cauti nel dare credibilità internazionale a criminali dittatori (Kabila come Mobutu e tutti gli altri) perché il parametro nuovo con cui la Banca mondiale deve assolutamente rinegoziare i crediti è quello dei diritti umani; non bisogna più fare riferimento solo agli indici di bilancio. Se in uno Stato non vengono riconosciuti almeno in modo minimale i diritti umani, non gli si concedono aiuti; l’unico rimedio è ricattarli. Sappiamo che la corruzione « mangia » un’alta percentuale degli aiuti, quindi questa gente vuole avere sovvenzioni perché può guadagnarci direttamente. Non riusciremo a controllare la corruzione, ma quantomeno cerchiamo di condizionare la concessione di questi aiuti al rispetto dei diritti umani. PRESIDENTE. È un criterio di pregiudizialità. MARCO ZACCHERA. Questo avviene in Africa come purtroppo in tanti altri paesi, e penso che il sottosegretario condivida quello che dico. Per quanto riguarda l’Angola, non ci siamo. Sottosegretario Serri, lei non era presente in aula un mese fa quando mi è stata fornita risposta a due mie interrogazioni sull’Angola da parte del sottosegretario Ranieri, che le ha lette non sapendo neppure quali fossero i problemi in discussione. La prego, se non l’ha ancora fatto, di leggersele. Mi rifiuto di pensare che se lei avesse dovuto rispondere a tali interrogazioni in aula avrebbe letto quelle dichiarazioni, scritte da persone che evidentemente avevano dei preconcetti sulla situazione dell’Angola; se invece devo ritenere che rappresentino la volontà del Governo, critico totalmente il modo di fornire le risposte. È arduo dire che il leader dell’opposizione a Luanda si è fatto sparare dai suoi amici di partito, perché è molto probabile che le cose non siano andate in questo modo. Dire che la colpa sia tutta dell’UNITA è una falsità: se ne avessi il tempo mi piacerebbe leggere alcuni passi di Nigrizia di questo mese (se Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 vuole le posso consegnare la mia copia) che sono veramente disarmanti: Nigrizia è autorevole dal punto di vista dell’analisi politica di quanto avviene in Africa, e dà la colpa a tutti, non soltanto all’UNITA, perché anche Dos Santos ha le sue responsabilità in questa situazione. Il Governo ha dato una risposta di parte che assolutamente non condivido e per la quale ho protestato, perché è stato detto il falso su determinati fatti. Vorrei capire quale sia la politica del Governo, perché lei mi dice che nel Congo-Brazeville c’è una situazione instabile: va bene, ma qual è l’esercito invasore, se non quello angolano, che si è recato in CongoBrazeville a fare la rivoluzione ? Noi non possiamo tenere rapporti con il Governo angolano come se niente fosse, se questo spedisce forze armate in un altro paese dove c’è un presidente eletto al quale portano via il potere. Dobbiamo assumere delle posizioni. L’ONU non si è comportata come il Governo ha dichiarato in aula, ma ha dato la colpa ad ambedue le parti, denunciando il fatto che è stato il Governo angolano a cacciare dall’Angola gli osservatori dell’ONU. Allora, evitiamo le polemiche, ma invitiamo il Governo a rispondere in aula in altro modo; la invito, signor sottosegretario, a leggere quelle risposte e si renderà conto che quanto affermo è ancora moderato. Sul Sudan non ho nulla da aggiungere a quanto detto; faccio presente che anche in questo caso, giocando alla manovra degli aiuti, quei pochi aiuti che penso forniamo al Sudan, si verifica una situazione veramente di schiavitù. Ho chiesto interventi forti in aula e in questa Commissione sul problema dei cristiani, perché nel Sudan è in atto una pulizia etnico-religiosa: i cristiani si trovano da trent’anni a fare i guerriglieri perché se sono scoperti vengono uccisi tout court da estremisti islamici che hanno la copertura totale – per quanto ne so – da parte del governo di Khartoum. Bisogna dirlo: non è che in tutte le guerre le colpe siano al 50 per cento; sono in atto degli aperti genocidi e delle politiche di Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 12 III COMMISSIONE pulizia etnica, purtroppo non soltanto in Kosovo ma anche in altre aree (il Sudan è uno di queste). Non mi lascio andare all’autopessimismo; condivido ciò che lei ha detto, vale a dire che l’Italia in Africa può fare di più, ma a tal fine deve scegliere delle priorità, in quanto non può occuparsi di tutto. La zona che dobbiamo scegliere, secondo me, è il Corno d’Africa, perché abbiamo dei legami di carattere storico, tenendo – insieme a tutti i paesi della Comunità europea – delle posizioni di maggiore fermezza in difesa dei diritti umani in tutti i paesi di cui lei, signor sottosegretario, ha parlato nella sua relazione, perché possiamo e dobbiamo fare di più. Concludendo, per quanto riguarda l’Angola, chiediamo maggiore chiarezza da parte di questo ambasciatore che non conosco ma che ho visto su posizioni abbastanza strane, leggendo le relazioni che appaiono sulle riviste internazionali specializzate; a questo punto, mi viene da pensare che il Governo non abbia le idee chiare oppure non abbia impartito ordini chiari su come comportarsi in ordine al conflitto angolano. La prego, signor sottosegretario, di leggere quelle risposte e di fornirmi qualche chiarimento. DARIO RIVOLTA. Signor presidente, dalla relazione del sottosegretario Serri, ancora più cupa in ordine al problema dei diritti umani rispetto a quanto già si conosceva, ma soprattutto dalle parole del collega Zacchera, mi rendo conto che in Africa la pulizia etnica è forse solo il più lieve dei peccati concernenti i diritti Audizione – 13 — — SEDUTA DEL 14 APRILE 1999 umani. Se avessi ascoltato questa conversazione un mese fa sarei stato particolarmente preoccupato, cosı̀ come lo è giustamente il collega Zacchera, ma sentendola oggi, dopo quest’ultimo mese e soprattutto dopo gli interventi di ieri presso la Camera dei deputati, in cui è stato evidente a tutti come il tema dei diritti umani, in maniera disinteressata, sia cosı̀ presente a tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, mi sento molto più tranquillo. Sono sicuro – e penso di poter assicurare il collega Zacchera – che appena avremo risolto completamente questa « piccola grana » che abbiamo in Kosovo, la NATO, con il totale appoggio di tutti i partiti presenti al Parlamento italiano, sarà in grado di intervenire in Africa per risolvere quei « problemucoli » che anche là si stanno ponendo. PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Rivolta. Avrà anche tranquillizzato l’onorevole Zacchera, ma le posso assicurare che ha creato angoscia in me. Ringrazio il sottosegretario Serri per aver aderito al nostro invito. Il seguito del dibattito e la replica del sottosegretario di Stato Serri sono rinviati ad altra seduta. La seduta termina alle 15.55. IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO STENOGRAFIA DOTT. VINCENZO ARISTA Licenziato per la stampa dal Servizio Stenografia il 22 aprile 1999. STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO Stampato su carta riciclata ecologica STC13-3AU-13 Lire 500