Il picchio nero nel Parco Naturale Mont Avic Massimo Bocca 1. Introduzione I picchi sono fra i più tipici uccelli silvicoli e presentano un elevato interesse dal punto di vista della conservazione ambientale in quanto: - realizzano nei tronchi degli alberi ricoveri utilizzati da numerose altre specie animali (Johnsson, 1993), particolarmente importanti in boschi poveri di cavità naturali (conifere); - sono spesso considerati specie chiave o specie ombrello nell’ambito di ecosistemi forestali (Mikusiński et al., 2001; Pirovano et al., 2005; Wübbenhorst e Südbeck, 2002). In Valle d’Aosta nidificano quattro picchi appartenenti alla sottofamiglia Picinae: il picchio verde Picus viridis, il picchio nero Dryocopus martius, il picchio rosso maggiore Dendrocopos major ed il picchio rosso minore Dendrocopos minor, quest’ultimo localizzato in poche località di bassa quota (Bocca e Maffei, 1997). Le prime tre specie sono presenti in entrambe le valli del Parco Naturale Mont Avic; i dati contenuti nell’archivio faunistico dell’Ente consentono di precisarne in dettaglio la distribuzione spaziale ed altitudinale in un’area comprendente l’area protetta ed i suoi dintorni (Val Chalamy-Champdepraz e vallone di Dondena-Champorcher; fig. 1). 2 Fig. 1. Il Parco Naturale Mont Avic. 0 1 2 km 3 - 0 1 2 Il picchio verde (fig. 2) è presente nella bassa e media valle di Champdepraz, dove viene osservato con regolarità solo al di sotto dei 1700m di quota; evita le fitte pinete con sottobosco arbustivo, mentre è ben diffuso negli ambienti parzialmente alberati di fondovalle e delle aree rurali nonché nei boschi di latifoglie e misti. Nella valle di Champorcher sale sino a 20002100m di quota grazie alla presenza di un mosaico di pascoli e lariceti radi. km Fig. 2. Diffusione del picchio verde. - 0 1 2 Il picchio rosso maggiore (fig. 3) è presente in tutte le formazioni boschive e negli ambienti parzialmente alberati dal fondovalle sino al limite superiore della vegetazione arborea (tambureggiamento udito in due località a 2150m di altitudine); è il picide più diffuso nelle foreste del Parco e l’unico regolarmente presente anche nei settori forestali più fitti e privi di radure. Fig. 3. Diffusione del picchio rosso maggiore. km 4 Fig. 4. Diffusione del picchio nero. - Il picchio nero (fig. 4), oggetto del presente studio, è stato osservato in tutti i settori forestali montani e subalpini del Parco, sino a 2150m di quota; a Champdepraz occasionalmente può scendere sino al piano collinare (quota minima accertata pari a 500m s.l.m.). 0 1 2 km Sezione di un nido di picchio nero. 5 Sito riproduttivo di Picchio nero (Val Chalamy, 1900m) Il patrimonio forestale valdostano ha subito un forte depauperamento nei secoli XVIIXIX sia a causa dello sviluppo delle attività agricole e pastorali (disboscamento, varie utilizzazioni del legno e della lettiera), sia a scopo energetico (legna da ardere e produzione di carbone). Nelle due valli del Parco tale fenomeno è stato particolarmente accentuato, data la presenza di ampie porzioni di terreno utilizzabili come pascolo (Champorcher) e di numerose miniere attive per lunghi periodi (Champorcher e soprattutto Champdepraz). A partire dalla metà del secolo scorso vi è stata una brusca inversione di tendenza legata alle mutate condizioni socio-economiche; ciò ha comportato una totale interruzione della produzione di carbone di legna ed una forte riduzione delle pratiche agro-pastorali, con progressivo abbandono di numerosi alpeggi nei piani montano e subalpino. Pur in assenza di precisi dati quantitativi, è indubbio che ciò abbia comportato un generalizzato aumento degli animali silvicoli nel corso degli ultimi 50 anni; i picchi sono stati favoriti, oltre che da una maggiore estensione complessiva delle superfici boscate, anche da una maggiore frequenza di alberi di grandi dimensioni e dal notevole aumento della necromassa legnosa, un tempo quasi interamente asportata dall’uomo. Il Parco Naturale Mont Avic include ampie superfici forestali dominate in ordine decrescente di importanza dal pino uncinato Pinus montana (=Pinus uncinata), dal larice Larix decidua, dal pino silvestre Pinus sylvestris e dal faggio Fagus sylvatica (Morra di cella e Cremonese, 2004). L’Ente gestore ha promosso nel corso degli ultimi 15 anni numerosi studi sui boschi presenti nell’area protetta, ivi inclusa una approfondita ricerca sul picchio nero condotta in collaborazione con il Dipartimento di Biologia animale e dell’Uomo dell’Università di Torino: la valle del torrente Chalamy (Champdepraz) si è rivelata particolarmente idonea allo scopo, considerate l’estensione e la varietà dei boschi ivi esistenti; la ricca serie di dati sulla specie raccolti in modo non sistematico nel periodo 1986-1996 faceva inoltre presumere la presenza di una buona densità di popolazione. L’accidentata orografia e la difficile percorribilità di alcuni settori forestali hanno per contro reso particolarmente difficoltoso il lavoro degli operatori sul campo. 6 2. Il picchio nero nel Parco Naturale Mont Avic Il picchio nero, specie inserita nell’allegato I della direttiva comunitaria 79/409/CEE “Uccelli”, viene generalmente associato alla presenza di vaste aree boscate con alberi di grandi dimensioni. L’ecologia e la biologia della specie sono state studiate in modo approfondito nell’Europa centro-settentrionale (Glutz von Blotzheim e Bauer, 1980; Cramp, 1985; Blume 1996), mentre per le Alpi italiane le informazioni disponibili riguardanti la densità e soprattutto il successo riproduttivo e la selezione dell’habitat sono per lo più generiche e poco circostanziate. Nel corso del ventesimo secolo, il picchio nero ha mostrato in Europa centrale una marcata tendenza all’espansione dell’areale e ad un aumento degli effettivi. Nell’Italia settentrionale tale processo espansivo, seppur meno marcato rispetto alla vicina Francia, ha portato in un primo tempo ad una più uniforme copertura dell’intero Arco alpino dal Friuli alla provincia di Imperia e successivamente alla colonizzazione di numerosi settori prealpini e di alcuni siti planiziali (Brichetti e Fracasso, 2007). Il fenomeno ha assunto una particolare evidenza sulle Alpi occidentali, dove sino a pochi decenni or sono la specie era considerata rara, estremamente localizzata e confinata a quote superiori ai 1200 m. Dal punto di vista delle preferenze ecologiche, nell’Italia settentrionale il picchio nero è stato osservato in un’ampia gamma di tipologie forestali in una fascia altitudinale di norma compresa fra 900 e 1800m, con estremo superiore intorno ai 2000m; la massima altitudine di nidificazione accertata in Valle d’Aosta è pari a 1990m, mentre sulle Alpi centrali svizzere, a poca distanza dal confine italiano, sono noti due siti riproduttivi a 2100 e 2200m di quota (Glutz von Blotzheim e Bauer, 1980; Kasper e Jenni in Schmid et al.,1998). Bloccaggio di un emettitore radio sulla coda di un picchio nero. 7 Area di studio L’area utilizzata per le analisi di tipo ecologico è rappresentata dai bacini dei torrenti Chalamy e Pialong (Champdepraz), affluenti di destra della Dora Baltea; comprende 2000 ha di foreste estese fra 700 e 2200m di altitudine, prati e pascoli e modeste superfici occupate da affioramenti rocciosi e zone umide (Fig. 5). Ai margini nordorientale e sud-orientale il confine dell’area di studio è stato definito in modo arbitrario, mentre il restante perimetro rappresenta l’effettivo limite di diffusione potenziale della specie (margine esterno della fascia forestale). Durante le operazioni di radiotelemetria, alcuni individui sono stati seguiti anche nell’adiacente vallone del torrente Boccoil (Issogne). Nel piano collinare sono presenti boschi cedui di castagno Castanea sativa e boscaglie di roverella Quercus pubescens. Nel piano montano la specie arborea dominante è il pino silvestre, associato al pino uncinato e al larice; alcuni impluvi sono colonizzati dall’ontano bianco Alnus incana, mentre i settori più freschi ed ombrosi ospitano piccoli boschi di faggio. Nel piano subalpino domina il pino uncinato, sostituito solo su piccole aree dal larice. Di norma, nei mesi invernali l’innevamento al suolo nella fascia forestale è persistente soltanto sul versante esposto a nord al di sopra dei 1300-1500m, mentre i pendii esposti a sud conservano una copertura nevosa totale soltanto nei giorni immediatamente successivi alle precipitazioni. Metodi Fig. 5. Tipologie forestali presenti nell’area di studio. 0 1 La ricerca dei nidi è stata effettuata percorrendo in modo sistematico e ripetuto tutta l’area di studio. Sono stati considerati tutti gli scavi con foro d’ingresso regolare di forma ovale o ellittica e con almeno un asse superiore a 9cm, in modo da escludere le cavità scavate a scopo alimentare oppure attribuibili ad altre specie di picchi. Le km 8 cavità sono state considerate nidi se profonde almeno 25cm e prove di scavo negli altri casi. I parametri stazionali (altitudine; pendenza; esposizione; specie, numero e diametro a 1.3m d’altezza degli alberi; presenza di fronde sino a 3m dal suolo, fra 3 e 10m e oltre 10m) sono stati calcolati su aree circolari di raggio pari a 20m centrate su di un singolo albero con cavità, o sul baricentro di gruppi di alberi con nidi situati a meno di 20m gli uni dagli altri. Detti parametri sono stati ricavati anche in 39 aree scelte casualmente ed omogeneamente distribuite sull’intera area di studio (nodi del reticolo emichilometrico UTM). L’interno delle cavità è stato saltuariamente ispezionato in periodo riproduttivo con l’ausilio di una micro-telecamera munita di adeguata fonte luminosa, montata su una canna telescopica al fine di poter accertare la presenza di uova o pulli. Dal 2000 al 2003 è stata effettuata una attività di radiotelemetria utilizzando per le localizzazioni una radio ricevente e una antenna portatile a tre elementi. Le campagne di cattura sono state organizzate fra novembre e febbraio utilizzando reti montate su pali telescopici posizionate in corrispondenza di cavità utilizzate come ricovero notturno. Gli animali catturati sono stati equipaggiati con trasmettitori del peso di 4g incollati lungo lo stelo di una timoniera centrale; le localizzazioni sono state effettuate a intervalli non inferiori a 30 minuti in 2-4 giorni per settimana sino alla caduta della penna in occasione della muta tardo estiva (fine agosto, settembre); ciascun rilievo è stato riportato su carta utilizzando una griglia planimetrica con maglie pari ad 1 ha. Sulla base dei dati radiotelemetrici è stata effettuata l’analisi della selezione di habitat e dell’occupazione dello spazio da parte di singoli individui; per calcolare la sovrapposizione degli home-range di due o più individui in un dato periodo temporale, nel caso di coppie adiacenti sono stati considerati soltanto i territori dei maschi. Per maggiori dettagli si veda Bocca et al. (2007). Fig. 6. Distribuzione degli alberi con nidi di picchio nero nell’area di studio. 0 1 km 9 La localizzazione degli individui territoriali (canto, tambureggiamento) e dei nidi occupati è stata effettuata in modo completo nel corso del 1999 e del 2002 mediante: - l’effettuazione di ripetute sessioni di ascolto, occupando contemporaneamente una serie di punti dominanti durante le prime ore del mattino e nel tardo pomeriggio nei mesi di marzo e aprile; - il controllo diretto e ripetuto ogni due settimane nel periodo 15 aprile – 31 maggio di tutti gli alberi con cavità tramite osservazione prolungata a distanza o uso di microtelecamera. Sia durante le sessioni di ascolto, sia in occasione di osservazioni ravvicinate di individui muniti di radio sono stati registrati eventuali comportamenti legati a dispute territoriali. Tutti i dati georiferiti relativi a osservazioni dirette, manifestazioni acustiche, tracce alimentari e cavità sono stati inseriti in un sistema informativo geografico (ArcGIS ESRI™). Risultati Fig. 7. Frequenza delle osservazioni di picchio nero nell’area di studio (esclusi dati radiotelemetrici). 0 1 Sono stati individuati in totale 58 alberi con nidi (86 fori d’ingresso) e uno con prove non completate, in una fascia altitudinale compresa fra 1000 e 1940m; su singoli alberi sono stati osservati da 1 a 10 fori d’ingresso. Le specie arboree utilizzate sono cinque: faggio (n=36, 62%), pino silvestre (n=20, 32%), larice (n=1, 2%), ontano bianco (n=1, 2%) e pioppo tremulo (n=1, 2%). Dodici alberi con nidi risultano isolati, mentre i restanti 46 sono riuniti in gruppi di 2-4 (n=4), 6-7 (n=4) e 10 (n=1). Su un campione di 32 alberi con cavità (26 con nidi e 6 con prove non completate), dei quali 23 vivi, 2 deperienti e 7 morti, sono stati calcolati i seguenti parametri (Bocca e Falcone, 1999): - diametro medio: 40cm (d.s. 8.46), con minimo pari a soli 22cm nel caso di un faggio con evidente anomalo rigonfiamento nel tratto mediano del tronco; - altezza media dal suolo: 6.9m (d.s. 2.37, estremi 2.5 e 16m); l’altezza aumenta con km 10 l’aumentare della pendenza: si passa da 5.7m a 7.6m con inclinazioni del versante rispettivamente di 25° e 35°; - esposizione dei fori d’ingresso: casuale (test X2 , p>0.5); se si considera l’orientamento riferito al pendio, i nidi completati hanno foro d’ingresso più frequentemente rivolto verso valle rispetto alle prove non completate (p<0.05); - rami al di sotto dei fori d’ingresso: assenti nel 70% dei casi; - età media degli alberi: 107 anni (estremi: 42 per un pioppo tremulo e 170 per un pino silvestre). Le caratteristiche stazionali dei siti riproduttivi si differenziano nettamente da quelle delle aree scelte casualmente: il diametro medio (26.6cm contro 17.6cm, p<0.01) ed il diametro totale (1569cm contro 1127cm, p<0.05) risultano superiori; la presenza di fronde negli strati basso ed intermedio è meno frequente (44% contro 75% e 74% contro 90%, p<0.01), mentre è maggiore la copertura vegetale oltre i 10m d’altezza (68% contro 47 %, p<0.01). La pendenza media è superiore (31° contro 22°, p<0.01) e l’altitudine media inferiore (1355m contro 1660m, p<0.01). Scavi alimentari di picchio nero su pino uncinato. La specie arborea dominante in corrispondenza dei siti riproduttivi è il faggio (50% dei casi), seguita dal pino silvestre (31%); nelle aree di saggio scelte casualmente dominano per contro il pino uncinato (48% dei casi), il pino silvestre (26%) e il larice (23%), mentre il faggio è l’albero più frequente soltanto nel 3% delle stazioni. Il numero medio di alberi per ettaro non ha mostrato differenze statisticamente significative. La collocazione topografica dei nidi riflette i criteri di selezione ambientale sopra esposti e mostra una netta concentrazione degli alberi con cavità nei boschi di faggio e pino silvestre ed una loro totale assenza nelle foreste di pino uncinato (fig.6). Anche la distribuzione di 1.285 dati georiferiti su unità di 25ha relativi ai 12 mesi dell’anno contenuti nella Banca dati fauna del Parco conferma la marcata sottoutilizzazione dei settori forestali dell’alta Val Chalamy (fig. 7). Sono stati catturati 18 animali (11 maschi e 7 femmine), ciascuno dei quali è stato seguito in media per 7,2 mesi all’anno; sei individui sono stati monitorati per due anni e quattro per tre anni. La dimensione dell’home range individuale, in media pari a 316ha, è molto variabile e può essere sensibilmente differente per uno stesso soggetto in anni successivi; l’estensione della core area (contenente il 50% delle localizzazioni) è mediamente un terzo dell’intero home range. Durante il periodo riproduttivo gli spostamenti sono significativamente più brevi, anche se la core area non subisce apprezzabili variazioni. Gli spostamenti giornalieri dal ricovero notturno ai siti di alimentazione non superano di norma i 1000m, con notevoli variazioni individuali; un maschio si è quotidianamente spinto ad oltre 2,8 km lineari dalla sua cavità, pur avendo abbondanti risorse trofiche a breve distanza da quest’ultima. Soltanto tre individui hanno mostrato una netta separazione fra i territori occupati in periodo riproduttivo e non riproduttivo; una femmina per almeno tre anni consecutivi è rimasta fedele ad un sito di svernamento e ad un nido fra loro distanti 1,8 km lineari. La sovrapposizione degli home range individuali è pari al 27% in periodo riproduttivo (8,3 per la core area) e al 35,7% per i restanti mesi (11,2 per la core area). Gli animali monitorati hanno nel complesso selezionato positivamente le pinete silvestri e negativamente i boschi di pino uncinato e larice; per le faggete, ottimi siti riproduttivi, non è emersa alcuna tendenza significativa per quanto riguarda la frequentazione a scopo trofico. Su una superficie complessiva di 2200 ha (2000 ha di copertura arborea) durante la stagione riproduttiva 1999 è stata accertata la presenza di 6 coppie (367 ha/coppia in media) e 3 maschi non accoppiati; sia al confine nord-orientale sia a quello sudorientale sono stati ripetutamente osservati individui territoriali che frequentavano settori adiacenti all’area di studio. La distanza media dalla più vicina coppia confinante è risultata essere di 1050 m (estremi: 800 m e 1600 m). Nel 2002 sono stati localizzati 9 territori occupati da coppie (densità media calcolata sull’intera area di studio: 244 ha/coppia) e 3 individui solitari; la distanza media dalla più vicina coppia confinante è risultata essere di 818 m (estremi: 130 m e 1600 m). Sia nel 1999, sia nel 2002 in ampie porzioni dell’area di studio esposte prevalentemente a nord e dominate dal pino uncinato non sono stati osservati ne comportamenti di tipo territoriale ne nidi, a conferma dell’assenza di dati riproduttivi per il periodo 1986-1998. 11 Discussione Selezione dell’habitat La presenza e la densità del Picchio nero in un dato comprensorio dipendono in primo luogo dalla disponibilità di alberi di grandi dimensioni con struttura idonea allo scavo dei nidi (tronco privo di rami e asperità sino ad almeno 5-6m dal suolo) e dalla presenza di fonti alimentari abbondanti e differenziate; minore pare l’effetto della frammentazione delle foreste, purché i settori boscati disponibili presentino caratteristiche ottimali (Tjernberg et al., 1993). I dati ottenuti nell’area campione del Mont Avic confermano tali indicazioni e consentono numerose comparazioni con quanto riscontrato in varie località dell’Europa centro-settentrionale. In Val Chalamy i siti riproduttivi sono concentrati nei pochi settori ove sono frequenti alberi di diametro superiore a 30cm, anche in prossimità di zone aperte o pareti rocciose; la distribuzione spaziale risulta nettamente differente da quella regolare riportata per aree campione dei Pirenei, delle Alpi svizzere e della Germania (Fernandez e Azkona, 1996; Beaud et al., 1995; Möckel, 1979). Gli ampi e compatti massicci forestali dominati dal pino uncinato risultano utilizzati in misura modesta e soltanto a scopo trofico e ciò conferma le indicazioni note per le Alpi francesi ed i Pirenei (Ceugniet, 1989; Joachim et al., 1996; Lebreton et al., 1976). Con ogni probabilità ciò va messo in relazione con la presenza di un folto strato arbustivo dominato dal rododendro Rhododendron ferrugineum e con la persistenza di un consistente manto nevoso al suolo nei mesi invernali: infatti la specie non utilizza a scopo trofico ceppaie e tronchi abbattuti se collocati fra alte erbe o fitti arbusti (Weber 1968 in Cramp, 1985) oppure ricoperti completamente dalla neve (Mikusiński, 1997; Rolstad e Rolstad, 2000). Così come osservato in una vasta porzione dell’areale della specie, anche in Val Chalamy le specie arboree più utilizzate per la nidificazione risultano essere il faggio e il pino silvestre; nell’area di studio sono per contro quasi assenti pioppi tremuli di grandi dimensioni e ciò spiega come questo albero, il più utilizzato in Valle d’Aosta, abbia localmente un’importanza marginale. Il diametro medio e minimo delle piante con nidi rinvenute nell’area campione è piuttosto basso se confrontato con i dati bibliografici (medie di norma comprese fra 40 e 55cm, con valori estremi pari a 32 e 80cm), così come l’altezza media dei nidi dal suolo compresa solitamente fra 7 e 12m. Il foro d’ingresso più basso osservato in Val Chalamy (2.5m dal suolo) si avvicina al limite inferiore di 2m riportato per la specie da Géroudet (1973). Per ciò che concerne l’orientamento dei fori d’ingresso, in Val Chalamy è stata confermata la tendenza già riportata per la Germania (Lange 1995) a privilegiare il lato a valle dei tronchi in caso di elevate pendenze medie dei versanti, scelta che ha un’evidente funzione antipredatoria. Va inoltre segnalata la netta selezione a favore di tratti di foresta poco densi negli strati medio-bassi per la nidificazione; tutti i nidi conosciuti hanno di fronte al foro d’ingresso agevoli vie di fuga e sono scavati in settori con una frequenza inferiore alla media delle fronde nei primi 10m di altezza dal suolo. Oltre ad alcune osservazioni effettuate in modo casuale nel periodo 1986-1999 in alcune pinete dell’area campione, la radiotelemetria ha confermato l’uso a scopo trofico di settori boscati molto fitti e con alberi di piccolo diametro, già segnalata per i Pirenei spagnoli (Ceugniet 1989). Ciò è probabilmente da mettere in relazione ad una particolare abbondanza di imenotteri e coleotteri xilofagi in tali ambienti, nonché all’effetto antipredatorio della copertura vegetale. L’importanza dei settori forestali di età media compresa fra 15 e 30 anni quali siti di alimentazione del picchio nero è stata evidenziata anche in Scandinavia in un’area campione dominata da peccete; la massima disponibilità di prede è stata infatti riscontrata in boschi giovani (15-20 anni), selezionati positivamente in ogni stagione tranne che nei periodi con abbondante copertura nevosa al suolo, sia dagli adulti sia dai giovani (Rolstad et al., 1998). Densità e distribuzione spaziale La densità di coppie territoriali calcolata sull’intera area di studio del Mont Avic (367 ha/ coppia nel 1999 e 244 ha/coppia nel 2002) può essere considerata medio-alta se paragonata ad analoghi dati noti per le Alpi (da 260 ad oltre 500 ha/coppia in Svizzera e da 190 a 575 ha/coppia in Italia; Beaud et al., 1995; Brichetti e Fracasso, 2007; Kasper e Jenni in Schmid et al., 1998) e per il resto dell’Europa occidentale e centrale (240-600 ha/coppia; Blume, 12 1996; Cramp e Simmons, 1985; Cuisin in Yeatman-Berthelot e Jarry, 1994). Se si eccettua il caso di coppie isolate che occupano piccoli massicci boscati, valori inferiori a 200 ha/ coppia vengono raggiunti solo in situazioni ambientali particolarmente favorevoli, come riscontrato sui Pirenei spagnoli, in Danimarca e in Germania (Fernandez e Azkona, 1996; Johanssen, 1989; Striegler et al., 1982). Se si esprime la frequenza della specie utilizzando il valore medio della distanza minima fra coppie limitrofe, i valori pari a 1050 m e a 818 m ottenuti in Val Chalamy nel 1999 e nel 2002 - seppur calcolati su un ridotto numero di territori – risultano essere inferiori alla maggior parte dei dati riportati in letteratura e sono evidentemente influenzati dalla disomogenea dislocazione dei siti riproduttivi all’interno dell’area campione. A titolo comparativo tale distanza media è risultata essere 1530 m nella foresta di Quinto Real (Pirenei) e variabile fra 2200 m e 5000 m a seconda dell’omogeneità del manto forestale in un settore al confine fra Svezia e Norvegia (Fernandez e Azkona, 1996; Tjernberg et al., 1993). La distanza minima fra nidi contemporaneamente occupati può scendere a soli 660 m in Valle d’Aosta (Bocca e Maffei, 1997), 300 m in Scandinavia (Tjernberg et al., 1993) e 180 m in Germania (Striegler et al., 1982): il valore di soli 130 m registrato in Val Chalamy è quindi da ritenersi estremamente basso. La presenza di maschi non accoppiati richiama quanto riportato per aree campione danesi e tedesche (Johansen, 1989; Möckel, 1979). La fedeltà ad un singolo sito riproduttivo per più generazioni (Cuisin, 1992) è confermata anche al Mont Avic, dove su uno dei settori di nidificazione si è osservata l’ininterrotta presenza di riproduttori dal 1986 (già presenti 4 alberi con cavità) al 2007 e singoli individui marcati hanno frequentato lo stesso nido per almeno 4 anni consecutivi. In inverno più picchi neri possono frequentare cavità molto vicine fra loro (sino a 5 individui su 200m lineari e a 7 su 550m lineari; Bocca e Rolando, 2002). Nidificazione I dati raccolti in Val Chalamy mostrano per la specie un successo riproduttivo medio-basso se rapportato ai dati bibliografici; per l’Europa vari autori hanno infatti citato numeri medi di giovani involati per nidiata variabili fra 2.57 e 3.31, con il 75-95% delle coppie seguite riprodottesi con successo (Cramp, 1985; Cuisin, 1981 e 1988; Glutz von Blotzheim e Bauer, 1980; Johanssen, 1989; Lange, 1996; Tjernberg et al., 1993). A tal proposito occorre considerare da un lato l’influenza dell’altitudine (i valori risultano tendenzialmente inferiori in zone montane rispetto a settori planiziali) e dall’altro un possibile problema di ordine metodologico: in letteratura vengono spesso riportati dati riferiti a “coppie seguite” senza alcuna precisazione su quale sia la fase iniziale del controllo e ciò può portare ad una sovrastima del successo riproduttivo nel caso in cui la frazione di coppie che non depongono o perdono precocemente la covata non sia trascurabile. E’ interessante ricordare come in un’ampia area campione tedesca si sia riscontrato in media un tasso di occupazione annua dei territori pari al 50%, con soltanto il 76% delle coppie osservate effettivamente nidificanti (Lang e Rost, 1990). E’ quindi possibile che, anche in conseguenza della minore frequenza di canti e tambureggiamenti, un semplice controllo dei siti con nidi all’epoca della deposizione o della cova porti ad una notevole sottostima delle coppie di adulti territoriali presenti e conseguentemente al calcolo di indici riproduttivi molto elevati. A titolo comparativo in Svezia per il picchio rosso minore è stata riscontrata la mancata deposizione da parte del 7-22% delle coppie territoriali, con adulti regolarmente presenti sul settore di nidificazione per tutta la primavera (Wiktander et al., 1994), così come accertato per il picchio nero in Val Chalamy. Lo stesso studio riporta che il 76% delle coppie di Dendrocopos minor che depongono riesce a completare l’allevamento dei giovani, valore che scende al 33% in caso di annate fredde e piovose. Anche per il picchio nero i fattori climatici sono una delle principali cause di fallimento della riproduzione (53% dei casi in Germania secondo Lange, 1996). Nel complesso l’area indagata presenta uno scarso numero di alberi idonei allo scavo di nidi, distribuiti in modo disomogeneo. Ciò giustifica la prevalenza di nidi raggruppati (insolita in aree forestali non frammentate; Johnsson et al., 1993), il valore medio del diametro dei tronchi utilizzati inferiore a quanto riportato in letteratura, nonché lo scavo di più cavità su singoli alberi. Vanno collegate a tale aspetto anche la ridotta distanza media fra siti riproduttivi e l’assenza di nidi nell’intera metà sud-orientale dell’area di studio. 13 3. Conclusioni Le indagini condotte nell’area del Mont Avic hanno consentito di acquisire una preziosa serie di indicazioni utili ai fini gestionali e per la valorizzazione del patrimonio forestale della Val Chalamy. Dal punto di vista metodologico è stata accertata una scarsa attendibilità del metodo del mappaggio per la definizione del numero di territori occupati, legata a numerosi fattori: differente contattabilità della specie nelle varie tipologie forestali (Majewski e Rolstad, 1993), elevata estensione degli home range, canto e tambureggiamento emessi da entrambi i sessi, tambureggiamento emesso anche a grande distanza dal nido, presenza di un numero non trascurabile di soggetti territoriali non accoppiati, problemi logistici legati all’orografia in aree protette alpine. Per quanto riguarda le preferenze ecologiche, i risultati hanno messo in risalto sia la limitata disponibilità di alberi idonei allo scavo di nidi, sia l’abbondanza di risorse trofiche in un’ampia gamma di tipologie forestali. Le azioni di tutela devono quindi mirare da un lato a favorire la presenza di grandi alberi colonnari su una più ampia porzione del Parco, da un altro lato a mantenere un’elevata quantità di necromassa legnosa. I dati radiotelemetrici suggeriscono peraltro molta cautela riguardo all’uso del picchio nero quale indicatore ecologico, almeno per quanto riguarda le Alpi (Bocca et al. 2007). Gli animali monitorati hanno infatti evidenziato una notevole plasticità riguardo alla selezione ambientale ed una variabilità individuale molto accentuata; a ciò si somma la sopra menzionata difficoltà nell’interpretare correttamente i dati di densità ottenuti con tecniche di conteggio speditive. 4. Bibliografia citata Beaud P., Manuel F. e Beaud E., 1995 – Les oiseaux du Pays d’Enhaut, Atlas des oiseaux nicheurs. Nos Oiseaux, LaChaux-de-Fonds. Blume D. 1996. Schwarzspecht, Grauspecht, Grünspecht. Westarp-Wissenschaften, Magdeburg. Ceugniet F., 1989 - Etude de l’impact du Pic noir Dryocopus martius sur les arbres en moyenne montagne (Pineraie à crochet, forêt de Bolquère, Pyrénées-Orientales). L’Oiseau et RFO 59: 281-289. Cramp S., 1985 - The Birds of the Western Palearctic. Volume 4 – Terns to woodpeckers. Oxford University Press, Oxford. Bocca M. e Falcone G., 1999 – Caratteristiche dei siti riproduttivi del Picchio nero Dryocopus martius in una valle delle Alpi Graie (Parco Naturale del Mont Avic, Valle d’Aosta). Avocetta 23: 112. Cuisin M., 1981 – Note sur le nid et les jeunes du Pic noir (Dryocopus martius (L.)). L’Oiseau et RFO 51(4) : 287-295. Bocca M. e Maffei G., 1997 – Gli uccelli della Valle d’Aosta.Indagine bibliografica e dati inediti: Ristampa con aggiornamento al 1997 e check-list degli uccelli valdostani. ITLA, Aosta. Cuisin M., 1988 - Le Pic noir (Dryocopus martius (L.)) dans les biocénoses forestières. L’Oiseau et RFO 58: 72-274. Cuisin M.,1992 – Longévité remarquable d’un nid de Pic noir (Dryocopus martius (L.)) dans les Vosges. Ciconia 16(2) :115-116. Bocca M. E Rolando A., 2002 – The ecology of the Black Woodpecker in Mont Avic Natural Park (Italian Western Alps). In: Pechacek P. e d’Oleire-Oltmanns W. (eds.), International Woodpecker Symposium, Forschungsbericht 48, Nationalpark Berchtesgaden: 7-11. Fernandez C. e Azkona P., 1996 - Influence of forest structure on the density and distribution of the whitebacked woodpecker Dendrocopus leucotos and Black woodpecker Dryocopus martius in Quinto Real (Spanish western Pyrenees). Bird Study 43: 305-313. Bocca M., Rolando A. e Carisio L., 2007 – Habitat use, home ranger and census techniques in the Black Woodpecker Dryocopus martius in the Alps. Ardea 95(1):17-29. Géroudet P., 1973 – Les Passereaux. I: du coucou aux corvidés. Delachaux et Niestlé, Neuchâtel. Brichetti P. e Fracasso G., 2007 – Ornitologia italiana. Vol. 4 – Apodidae-Prunellidae. Oasi Alberto Perdisa Editore, Bologna. 14 Glutz von Blotzheim U.N. e Bauer K.M., 1980 - Handbuch der Vögel Mitteleuropas. Band 9 Columbiformes-Piciformes. Akademische Verlagsgesellschaft, Wiesbaden. Nillson S.G., Johnsson K e Tjernberg M.,1991 – Is avoidance by Black Woodpecker of old nest holes due to predators? Animal Behaviour 41(3): 439-441. Joachim J., Bousquet J.-F. e Faure C., 1997 – Atlas des oiseaux nicheurs de Midi-Pyrénées. Association Régionale Ornithologique de Midi-Pyrénées, Toulouse. Pirovano A., Zecca G., Compostella C. e Schroeder W., 2005 – The Black woodpecker Dryocopus martius as focal species in alpine protected areas. In: Kasere S. e Bauch K (ed.) - 3rd Symposion of the Hohe Tauern National Park for Research in Protected Areas, pp. 175-177. Johanssen T., 1989 – Sortspættens Dryocopus martius bestandsstørrelse, territoriestørrelse og yngleresultater i Tisvilde Hegn, Nordsjælland, 1977-1986. Dansk Orn. Foren. Tidsskr. 83:113-118. Rolstad J., Majewski P. e Rolstad E., 1998 - Black woodpecker use of habitat and feeding substrates in a managed Scandinavian forest. J. Wildl. Manage. 62: 11-23. Rolstad J. e Rolstad E., 2000 - Influence of large snow depths on Black woodpecker Dryocopus martius foraging behavior. Ornis Fennica 77: 65-70. Johnsson K., 1993 – The Black Woodpecker Dryocopus martius as a Keystone species in forest. Institutionen för Viltekologi, Rapport 24. Swedish University of Agricultural Sciences, Uppsala. Schmid H., Luder R., Naef-Denzer B. Graf R. e Zbinden N., 1998 – Schweizer Brutvogelatlas. Verbreitung der Brutvögel in der Schweiz und im Fürstentum Liechtenstein 19931996. Schweizerische Vogelwarte, Sempach. Johnsson K., Nilsson S.G. e Tjernberg M., 1993 – Characteristics and utilization of old Black Woodpecker Dryocopus martius holes by hole-nesting species. Ibis 135(4): 410-416. Striegler R., Striegler U. e Jost K.-D., 1982 – Große Siedlungsdichte des Schwarzspechtes im Branitzer Park bei Cottbus.Falke 29: 164-170. Lang E. e Rost R., 1990 - Hölenökologie und Schutz des Schwarzspechtes (Dryocopus martius). Vogelwarte 35(3): 177-185. Tjernberg M., Johnsson K. e Nilsson S.G., 1993 - Density variation and breeding success of the Black woodpecker Dryocopus martius in relation to forest fragmentation. Ornis Fennica 70: 155-162. Lange U., 1995 - Habitatstrukturen von Höhlenzentren des Schwarzspechtes (Dryocopus martius) im Thüringer Wald und dessen Vorland bei Ilmenau. Anz. Ver. Thüring. Ornithol. 2: 159-192. Lange U., 1996 - Brutphänologie, Bruterfolg und Geschlechterverhältnis der Nestlinge beim Schwarzspecht Dryocopus martius im Ilm-Kreis (Thüringen). Vogelwelt 117: 47-56. Lebreton Ph., Tournier H. e Lebreton J.D., 1976 – Etude de l’avifaune du Parc National de la Vanoise. VI. Recherches d’ordre quantitatif sur les oiseaux forestiers de Vanoise. Trav. Scient. Parc. Nat. Vanoise 7: 163-243. Yeatman-Berthelot D. e Jarry G., 1994 – Nouvel atlas des oiseaux nicheurs de France 1985-1989. Société Ornithologique de France, Paris. Wiktander U., Nilsson S.G., Olsson O. e Stagen A., 1994 – Breeding success of a Lesser Spotted Woodpecker Dendrocopos minor population. Ibis 136: 318-322. Wübbenhorst J. e Südbeck P., 2002 – Woodpeckers as indicators for sustainable forestry? First results of a study from Lower Saxony. In: Pechacek P. e d’OleireOltmanns W. (eds.), International Woodpecker Symposium, Forschungsbericht 48, Nationalpark Berchtesgaden: 175-177. Majewski P. e Rolstad J., 1993 - The detectability of Black woodpecker. Implications for forest bird censuses. Ornis Fennica 70: 213-214. Mikusiński G., 1997 - Winter foraging of the Black woodpecker Dryocopus martius in managed forest in southcentral Sweden. Ornis Fennica 74: 161-166. Mikusiński G., Gromadzki M. e Chylarecki P., 2001 Woodpeckers as indicators of forest bird diversity. Conserv. Biol. 15: 208-217. Möckel R., 1979 – Der Schwarzspecht (Dryocopus martius) im Westerzgebirge. Orn. Jber. Des Mus. Heineanum: 77-86. Morra di Cella U. e Cremonese E., 2004 – Caratterizzazione forestale delle aree boscate del Parco Naturale del Mont Avic e cartografia di variabili funzionali ad analisi ecologiche. Rapporto tecnico. Parco Naturale Mont Avic, Champdepraz. 15 Progetto COGEVA VAHSA “Coopération, gestion, valorisation des espaces protégés Vallée d’Aoste - Haute Savoie” cofinanziato dal PIC Interreg IIIA Alcotra Progetto realizzato col sostegno di: Interreg IIIA 2000-2006 Département des ressources naturelles et du Corps forestier Direction de la flore, de la faune, de la chasse et de la pêche Service espaces protégés immagini: R. Andrighetto (pag. 2) M. Bocca (pag. 6, 11, quarta di copertina) M. Gamba (pag. 7) L. Ramires (copertina) [grafica SeghesioGrivon] © Parco Naturale Mont Avic Champdepraz 2007