Anno XXXV
N. 4
Agosto - Settembre 2014
Euro 2,00
Un falso storico o solo confusione di conventi e date
l'iniziale insediamento sul Monte Epomeo?
Il Convento delle Clarisse o Cappuccinelle
I Guevara e i d'Avalos d'Ischia
Fonti archivistiche
Testimonianze epigrafiche semitiche
"Educare" al tempo della rete
Rassegna Libri e Mostre
Rassegna Stampa
Sculture trecentesche nel Museo diocesano d'Ischia
Una nuova lettura
del monumento di Cossa
Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi
Dir. responsabile Raffaele Castagna
Per ricordare il dott. Giorgio Buchner
nel centenario della sua nascita
(Monaco di Baviera 14 agosto 1914 – 14 agosto 2014)
Il dottor Giorgio Buchner, noto
come lo “scopritore” di Pithekous­
sai, è stato colui che annullò l’e­
spressione dell’archeologo Amedeo
Maiuri: “ancora del tutto sconosciuta è l’isola d’Ischia”, con tutta
una serie di scavi archeologici che
hanno, in qualche caso, sconvol­
to alcune precedenti affermazioni
sull’Italia antica, anche se il suo
nome rimane “soprattutto sinonimo
dell’euboica Pithekoussai”.
Attraverso il suo campo di studi e
di ricerche sono venuti fuori: corredi
funebri di circa 1300 tombe scavate,
case e offi­cine metallurgiche in lo­
calità Mazzola; vasi dipinti, in parte
di pro­duzione locale, in parte impor­
tati da vari centri di fabbrica­zione,
non solo della Grecia, ma anche del
Vicino Oriente e dell’Italia; un gran
numero di altri oggetti, tra cui nume­
rosi scara­bei egiziani e sigilli pro­
venienti dalla Siria settentrio­
nale;
antichis­simi documenti, poi, di scrit­
tura greca, incisi o dipinti su vasi e,
so­prattutto, la cosiddetta «coppa di
Nestore», un vaso che reca un epi­
gramma in versi esametri, che allu­
de alla coppa di Nestore de­scritta da
Omero nell’Iliade, che rappresenta
non sol­tanto il più an­tico esempio di
scrittura greca in Italia, ma uno dei
più antichi do­cumenti scritti in alfa­
beto greco che si conosca.
Le pubblicazioni del dottor
Buchner e i reperti da lui portati
alla luce, divenuti oggetti di studio
da parte di esperti nazionali e in­
ternazionali, hanno por­tato il nome
di Lacco Ameno e, di riflesso, quello
dell’isola d’Ischia, non solo alla co­
noscenza da parte degli specialisti,
ma finanche nei manuali scolastici.
Un altro suo impegno importante:
aver sempre soste­nuto l’idea della
realizzazione di un Museo, che ac­
cogliesse «l’eccezionale patrimonio
di beni archeologici e storici che l’isola possiede»; cominciò a dar vita
a questa idea prima con la realiz­
zazione del Museo di San Pietro in
Ischia e poi sostenendo e favorendo
il museo che si è formato nella Villa
Arbusto di Lacco Ameno.
Il suo nome è da accompagnare,
per le sue scoperte e le sue realiz­
zazioni, a quello di Angelo Rizzoli
nello sviluppo dell’isola d’Ischia.
Un uomo, quindi, impegnato non
soltanto nel campo della sua spe­
cializzazione, ma attento ai proble­
mi della nostra isola e pronto a in­
tervenire per una proposta o per un
semplice consiglio, vin­cendo la sua
naturale modestia.
*
"La Parola del passato
Rivista di studi antichi (fascicolo LIV, 1957)
Testimonianze epigrafiche semitiche
dell’VIII secolo a. c. a Pithekoussai
di Giorgio Buchner
Alle numerose iscrizioni vascolari greche dellVIII sec. a. C. rinvenute a
Pithekoussai vengono ora ad affiancarsi tre iscrizioni in caratteri semitici
nordoccidentali, ugualmente dell’VIII sec. di cui una era nota già da tempo,
senza essere stata peraltro giustamente valutata.
Poiché, pur nella loro brevità, queste iscrizioni sono di non scarso inte­
resse, appare opportuno premettere tutte quelle informazioni circa i dati di
rinvenimento e la natura archeologica dei reperti su cui i graffiti sono incisi,
che possono essere utili per un loro più preciso inquadramento storico.
1. - Riportiamo anzitutto una scheda relativa all’anfora che reca il graffito
aramaico.
Tomba 575 (LG l)1 — inumazione, a enchytrismos. (N. di scavo 672).
Anfora giacente, orientata N-S, bocca a S. piano di posa a m 3.80 s.m. e a
m 1.30 sotto il piano di posa del tumulo della sovrapposta tomba a cremazio­
ne 199, il quale indica all’incirca il livello del piano di campagna all’epoca
della deposizione dell’anfora, senza pietre di rincalzo: bocca chiusa con una
pietra infilatavi a mo’ di tappo e spalmata con argilla. L’anfora, al momento
1 Indichiamo con questa sigla il periodo Tardo Geometrico I. ca. 750-725 a.C. che è
caratterizzato dalla presenza degli skyphoi tipo Thapsos con pannello e delle kotylai tipo
Aetos 666 e dalla assenza degli aryballoi globulari del Protocorinzio antico (EPC). Il
periodo Tardo Geometrico II (LG II), ca. 725-700 coincide invece, a Pithekoussai con il
EPC.
continua a pagina 56
La Rassegna d’Ischia
Periodico bimestrale di ricerche e di temi
turistici, culturali, politici e sportivi
Anno XXXV- n. 4
Agosto/Settembre 2014
Euro 2,00
In questo numero
2
2 Testimonianze epigrafiche semitiche
4 Parroco Vincenzo Avallone
Borsa Internaz. del Turismo Archeologico
5 Motivi
Editore e Direttore responsabile
Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Via IV novembre 19
80076 Lacco Ameno (NA)
Registrazione Tribunale di Napoli
n. 2907 del 16.02.1980
Registro degli Operatori
di Comunicazione n. 8661.
6 Classicità ed Europa
7 Il Monastero delle Clarisse sul Castello
10 150° anniversario
di Giuseppe Garibaldi a Casamicciola
11 I Guevara e i d'Avalos d'Ischia
14 Premio Pida
Stampa : Press Up - Ladispoli (Roma)
Le opinioni espresse dagli autori non impe­
gnano la rivista - La collaborazione ospitata
s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti,
fotografie ed altro (anche se non pubblicati),
libri e giornali non si restituiscono - La Di­
rezione ha facoltà di condensare, secondo le
esigenze di impaginazione e di spazio e senza
alterarne la sostanza, gli scritti a disposizione.
Non si pubblicano pubblicità a pagamento.
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tolo informativo, ad orientamento del lettore.
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Per ricordare Giorgio Buchner
15 Rassegna Libri
21 Rassegna Mostre
23 Traslazione
24 "Educare" al tempo della rete
28 Sculture trecentesche nel museo Diocesano (2)
Una nuova lettura del monumento di Cossa
33 Fonti archivistiche
Il Convento e la Chiesa di S. Domenico
38 La Napoli che se n'andò
41 Francesco de Bourcard
46 Benefici del Castello
49 Rassegna stampa
- Ischia, l'isola che ha sposato il cinema
- Bellissima in ogni stagione
53 Ischia Film Festival
56 Testimonianze epigrafiche semitiche
(seguito di pag. 2)
Numero chiuso in redazione
Martedì il 29 luglio 2014
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
3
Parroco Vincenzo Avallone
Domenica 29 giugno 2014 don
Vincenzo Avallone ha festeggiato nella sua natia Panza, circondato da un numeroso gruppo
di fedeli accorsi da vari paesi
dell’isola, i suoi 60 anni di sacerdozio (29 giugno 1954 – 29
giugno 2014).
Nato a Forio d’Ischia (NA) il 7 no­
vembre 1930 da Aniello e Iacono Geno­
veffa, inizia gli studi nel Seminario
vescovile di Ischia e prosegue la sua
formazione sacerdotale nei Seminari
di Salerno e di Posillipo, dove conse­
gue la Licenza in Sacra Teologia. È
ordinato sacerdote il 29 giugno 1954
da S. E. Mons.Ernesto De Laurenti­
is, vescovo di Ischia, e viene nomina­
to prefetto nel Seminario diocesano.
Presta servizio militare, dall’otto­
bre 1955 all’aprile del 1961, a Roma,
Trapani, Bolzano e Persano (SA)
con il grado di Tenente Cappellano.
Vice Rettore e Professore del Se­
minario di Ischia fino al 1964, anno
in cui viene eletto parroco di S. Maria
del Carmine in Serrara (dal 16 marzo
La XVII Borsa Mediterranea del
Turismo Archeologico, sotto l’Alto
Patronato del Presidente della Re­
pubblica e con il patrocinio di Expo
Milano 2015, Unesco e UNWTO, si
svolgerà nell’area archeologica della
città antica di Paestum.
La prima novità della nuova edizio­
ne riguarda il periodo di svolgimento:
la Borsa, infatti, solitamente collocata
a metà novembre, nel 2014 avrà luo­
go dal 30 ottobre al 2 novembre 2014
in un fine settimana con 2 giorni festi­
vi al fine di incrementare i visitatori e
dare agli albergatori l’opportunità di
offrire pacchetti ad hoc.
La Borsa si conferma un evento ori­
ginale nel suo genere: sede dell’unico
Salone Internazionale di Archeolo­
gia; luogo di approfondimento e di­
vulgazione di temi dedicati al turismo
culturale ed al patrimonio; occasione
di incontro per gli addetti ai lavori,
per gli operatori turistici e culturali,
4 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
1964, all’8 dicembre 1966). Parroco di
S. Maria Maddalena in Casamicciola
dal 9 dicembre 1967. Dal 1994 è Cano­
nico della Cattedrale di Ischia e ricopre
la carica di Vicario Foraneo per il De­
canato di Casamicciola-Lacco nonché
quella di incaricato per l’Ecumenismo.
Uomo pio, parroco zelante e virtuoso.
Ciò che più colpisce in lui sono l’umiltà,
la modestia, la discrezione, che gli han­
no attirato e attirano le simpatie di tutti.
lodano la carità, la dolcezza e le buone
maniere del suo generoso impegno pa­
storale.
È stato il promotore della Causa di
Beatificazione e Canonizzazione del
Servo di Dio Don Giuseppe Morgera,
parroco di S. Maria Maddalena in Ca­
samicciola (1883-1898), resosi beneme­
rito «per la sua sensibilità nei con­fronti
della Chiesa universale e, in particolare,
dei bisogni della Chiesa locale d’Ischia,
di cui fu fedele servitore e generoso
Buon Pastore a servizio delle anime
nella sua qualità di sacerdote, parroco
di Casamicciola». Si è prodigato sem­
pre per la divulgazione della vita, delle
opere, della carità del parroco Morgera
in un continuo, costante lavoro, senza
sosta né interruzione, non a scopo di in­
teresse meramente umano, di personale
profitto, fama o gloria, ma a vantaggio
della gloria di Dio e a beneficio dei suoi
parrocchiani.
Oggi vive nella sua natia Panza e non
disdegna di accorrere a celebrare messa
dove lo chiamano i suoi confratelli sa­
cerdoti; di tanto in tanto scrive qualche
articolo per il periodico della Curia in
quello che per lo più simpaticamente
chiama “L’angolo del contadino”.
*
Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico
Paestum dal 30 ottobre al 2 novembre 2014
per i viaggiatori, per gli appassionati;
opportunità di business nella sugge­
stiva location del Museo Archeolo­
gico con il Workshop tra la domanda
estera e l’offerta del turismo culturale
ed archeologico (sabato 1 novembre).
Nel sottolineare sempre più l’im­
portanza che il patrimonio culturale
riveste come fattore di dialogo in­
terculturale, d'integrazione sociale e
di sviluppo economico, ogni anno la
Borsa promuove la cooperazione tra
i popoli attraverso la partecipazione
e lo scambio di esperienze: il Paese
ospite ufficiale nel 2014 sarà l’Azer­
baijan.
La XVII edizione è ricca di novità e
di contenuti
Social Media & Archaeological
Heritage Forum, giovedì 30 ottobre,
che ospiterà “Archeoblog. Racconta­
re l’archeologia nel web”, il secondo
incontro nazionale dei blogger cultu­
rali: l’obiettivo è promuovere lo svi­
luppo dei beni culturali sempre più
attraverso i social network;
ArcheOpenData Forum. Trasparenza dell’informazione in archeologia, venerdì 31 ottobre, momento di
discussione dedicato agli open data;
ArcheoStartUp, sabato 1 novem­
bre, presentazione di nuove imprese
culturali e progetti innovativi;
la Mostra ArcheoVirtual, realizza­
ta in collaborazione con la più im­
portante Rete di ricerca Europea sui
Musei Virtuali, V-Must, coordinata
da ITABC Istituto per le Tecnologie
Applicate ai Beni Culturali del CNR.
*
MOTIVI
Una politica “ballerina” (oggi sto
da una parte, domani vado dall’al­
tra in un moto continuo) convince
sempre più che ormai, a certi livelli,
l’isola conta ben poco e che va per­
dendo ogni capacità e possibilità de­
cisionale circa il presente e il futuro
e i relativi provvedimenti e compor­
tamenti. Oltre tutto si procede, sul
piano locale senza alcuna idea preci­
sa, se mai esiste invero qualche idea
che abbia come obiettivo il tanto
ripetuto “bene del paese”, che tutti
dicono di perseguire e di inseguire.
Frasi fatte con ulteriori promesse
che si sa non saranno messe in atto.
E il destino dell’isola procede pro­
prio in senso contrario: spesso ci si
chiede che cosa vogliano effettiva­
mente gli amministratori, poiché
a volte l’apparenza va in un modo,
ma politicamente quanto si vuole è
proprio il contrario, per il cui vela­
to raggiungimento si opera, senza
darlo a intendere. Ecco perché da
anni non si riesce a risolvere effetti­
vamente alcuno dei grossi problemi
che affliggono l’isola. Sembra qua­
si che l’impegno di chi amministra
e dovrebbe lavorare pubblicamente
sia limitato ad una fase di semplice
rappresentanza nelle manifestazioni
e di consegna di attestazioni bene (o
male)merite; si parla di deficit di bi­
lancio, ma tutto si fa fuorché attuare
una vera economia di spese.
Nei vari interventi, qua e là sparsi
occasionalmente, a livello ufficiale, i
discorsi sono tutti basati e vertono su
argomentazioni e dichiarazioni ge­
nerali, senza tener presente la realtà
delle cose: l’isola è bella, la più bella
del mondo, abbiamo il più bel mare,
notevoli sono le risorse termali, at­
testate da secoli di storia e da studi
vari, ricco è il nostro patrimonio cul­
turale, artistico, archeologico… ma
non si va oltre. Abbiamo sull’isola
una biblioteca, ma il Comune d’I­
schia non è in grado (o non vuole)
di gestirla convenientemente, sia a
Raffaele Castagna
livello di conduzione che di incre­
mento dei suoi beni librari, per cui si
fa affidamento ad una associazione
di volontariato; oltre il Museo ar­
cheologico di Villa Arbusto a Lacco
Ameno (tanto auspicato soprattutto
da Giorgio Buchner, lo scopritore di
Pithekoussai, di cui prossimamente
ricorre il centenario della nascita), ci
sono gli scavi di S. Restituta ideati
e organizzati da don Pietro Monti:
ebbene all’attuale stagione turistica
ci si presenta con la chiusura siste­
matica degli Scavi e Museo di S. Re­
stituta, che attualmente dovrebbero
essere gestiti e condotti dalla Curia
o Museo Diocesano, già presente
con altre sezioni nella sede di Ischia.
E sono questi i presupposti con cui
si accenna alla possibilità di far leva
sulla cultura per incrementare il tu­
rismo? Inoltre in quali condizioni si
trovno Villa Arbusto e relativo Mu­
seo?
Anche qui ci si chiede come si
possano di anno in anno ottenere
dei fondi per questa o quella ma­
nifestazione (ora positiva, ora sol­
tanto negativa) che arricchiscono il
periodo estivo, e niente invece per
provvedimenti necessari per struttu­
re che qualificano l’isola non per un
periodo limitatissimo e forse effime­
ro, bensì duraturo. Tempi lunghi per
trattare (risolvere forse) problemi
che spesso fanno presentare l’isola
sotto aspetti soltanto negativi! Ci si
potrebbe anche obiettare che non c’è
forse nessuna volontà per avviarli a
soluzione, questi problemi che tutti
non mancano di annotare e presen­
tare nella loro importanza e nel loro
continuo appesantimento, al passare
degli anni.
Visto il disinteresse locale, sem­
bra logico che poi ne segua quello
ad altri livelli istituzionali, per cui
l’isola stava meglio quando conta­
va una popolazione minore e pote­
va localmente soddisfare certe esi­
genze; oggi con un numero sempre
maggiore di abitanti e di bisogni da
soddisfare, certe strutture vengo­
no meno o si tenta di annullarle del
tutto volendo legarci costantemen­
te alla terraferma, e costante è pure
l’indifferenza politica. Ma esiste una
politica sull’isola che realmente miri
al “bene del paese”? Chi ha votato
un certo rappresentante o una certa
idea poi si ritrova con i suoi eletti su
ben diversa posizione e non sa come
comportarsi se restare sulle antiche
posizioni o voltare faccia esso stes­
so. Come si può aver fiducia in chi
facilmente cambia bandiera? Suben­
tra allora il dubbio: errore era quel­
lo di ieri o è quello di oggi, per cui
l’elettore viene considerato come
uno straccio di vela da portare dove,
bene o male, si desidera a proprio
piacimento?
La società civile appare disorienta­
ta e sconcertata; le amministrazioni
in genere cambiano, gli uomini mo­
dificano le loro posizioni politiche
e le strategie, nulla avviene sul pia­
no delle realizzazioni. Purtroppo si
deve constatare che i mutamenti av­
vengono quasi sempre verso il peg­
gio. Per leggere i segni dei tempi ci
si adagia in un servile conformismo
e in una penosa remissività; non si
vedono spiragli per un pensiero ve­
ramente critico, per una riflessione o
anche soltanto un dubbio.
Si pensi alla questione del comune
unico, in cui per voler necessaria­
mente raggiungere lo scopo, non si
ha scrupolo di modificare le norme,
quando in un referendum si è falli­
to il primo tentativo. E la costanza
che si dimostra in questa circostanza
non è presente in altre situazioni che
ben potrebbero segnare un decisivo
passo in avanti nella nuova realtà
che dovrebbe far proseguire l'isola
d'Ischia sulla via di quello sviluppo,
non solo turistico, ma generale, cul­
turale, ambientale, sociale.
*
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
5
"Classicità ed Europa
Il destino della Grecia e dell’Italia"
Esposta a Roma la Coppa di Nestore
Dal 29 marzo al 15 luglio 2014 si è svolta al
Quirinale (Roma) la mostra dal titolo “Classicità
ed Europa. Il destino della Grecia e dell’Italia” con
l’esposizione di 25 opere selezionate – 16 reperti
archeologici e 9 dipinti – per celebrare la successione di Italia e Grecia nella presidenza del semestre europeo del 2014, realizzata da “Comunicare
Organizzando” di Alessandro Nicosia e curata da
Louis Godart, consigliere del Presidente della Repubblica italiana per la Conservazione del Patrimonio Culturale.
Il Museo di Pithecusa di Lacco Ameno è
stato partecipe alla mostra con la Coppa di
Nestore; in riferimento a questa presenza Louis
Godart ha scritto:
«L’VIII secolo a. C. è un periodo della storia greca e mediterranea (Roma secondo la tradizione
sarebbe stata fondata nel 753 a.C.). Si consolida,
infatti, in quel periodo nella Grecia d’Europa, nelle
isole dell’arcipelago egeo e sulle coste dell’Asia
Minore una forma originale di vita sociale che è
la polis, “la città”. Queste città sono comandate da gruppi d’individui relativamente ricchi che
sono proprietari terrieri e hanno alle loro dipendenze anche artigiani; riescono a esportare
verso l’oltremare l’eccedenza di una produzione
agricola e manifatturiera spesso abbondante.
A questi uomini ricchi e potenti erano destinati
i poemi omerici. Come gli eroi cantati da
Omero, chi ascoltava i versi dell’Iliade o dell’Odissea era in grado di fare la guerra e di equipaggiarsi acquistando o facendo fabbricare elmi,
corazze, spade o carri. Le proprie imprese
commerciali potevano portare queste persone
verso lidi lontani, come Pithecusa, Cuma o Siracusa, laddove fondavano nuove città.
Proprio in una tomba di Pithecusa, l’antica
Ischia, fu rinvenuta nel 1955 una coppa databile
al 740-­‐725 a.C. che contiene il primo riferimento scritto ai poemi omerici. La coppa appartiene
alla categoria detta degli skyphoi; presenta una
decorazione geometrica compatibile con una
provenienza dall’Egeo orientale, forse Rodi. L’epigrafe invece è stata incisa a Pithecusa da uno
scriba che conosceva perfettamente il greco. L’i6 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
scrizione è importantissima per due aspetti: in primo luogo è uno dei più antichi esempi di scrittura
alfabetica finora conosciuti nel mondo greco; in
secondo luogo il testo redatto nel dialetto ionico
dei colonizzatori euboici sbarcati a Pithecusa e in
forma metrica (un trimetro trocaico catalettico seguito da due esametri) evoca un passo dell’Iliade
(XI, 632-­‐637) in cui è immortalata la famosa
coppa di Nestore, il leggendario re della Pilo
delle sabbie in Messenia.
È quello che si può chiamare un oggetto
eloquente poiché è la coppa stessa che si rivolge al bevitore: “Sono la coppa, buona da bere,
di Nestore. Chi berrà sarà preso immediatamente
dal desiderio di Afrodite dalla bella corona”. Afrodite è la dea dell’amore. Quanto a Nestore, è un
personaggio essenziale sia nell’Iliade, sia nell’Odissea. L’iscrizione di Ischia è redatta in versi.
Possiamo quindi essere sicuri che i temi e anche
le forme della poesia epica greca esistevano già
in una versione scritta nella penultima decade
dell’VIII secolo a.C.
Nell’XI canto dell’Iliade, Ecamede dai bei
capelli prepara una colazione per gli ospiti di Nestore; spinge una tavola sulla quale poggia un canestro di bronzo riempito di cipolle, di
miele giallo e di farina di orzo. Il poeta aggiunge:
“Poi una coppa bellissima che il vecchio portò da
casa, sparsa di borchie d’oro; i manici erano quattro e due colombe d’oro intorno a ciascuno; sotto
vi erano due piedi; un altro dalla tavola l’avrebbe
mossa a stento quand’era piena; ma Nestore la
sollevava senza fatica”.
Da quella coppa mirabile non si separava mai
il re di Pilo. L’autore dell’epigrafe di Pithecusa,
esperto di poesia epica e ottimo conoscitore di
Omero, volle istituire un confronto fra la coppa
d’oro finemente cesellata del re miceneo e l’umile coppa di terracotta sulla quale incideva il suo
testo. La prima era soave a bersi ma la seconda
aveva un pregio molto più grande: poteva infondere in chi beveva il desiderio d’amore.
Come Nestore, il proprietario era particolarmente affezionato a questa coppa e ha voluto
che lo seguisse nella tomba».
Louis Godart
Un falso storico o solo confusione di conventi e di date
l’iniziale insediamento sull’Epomeo?
Il Monastero delle Clarisse o Cappuccinelle
sul Castello d’Ischia
di Raffaele Castagna
«Gli storici isolani – il d’Ascia in
particolare – copiandosi successivamente, affermano che Beatrice
Quadra avrebbe dato inizio all’Istituto nelle celle tufacee del Monte Epomeo; dopo queste chiare
origini del chiostro isclano non si
dovrebbe ripetere più oltre la diceria» (O. Buonocore).
Mons. Onofrio Buonocore, leg­
gendo e forse conservandoci il dia­
rio (o pagine) del convento delle
Clarisse sul Castello, in cui non si
parla affatto dell’iniziale presenza
nelle celle del monte Epomeo, ne
trae la convinzione di un errore sto­
rico da molti ripetuto nel corso dei
secoli e poi divenuto un riferimento
costante da parte di coloro che tratta­
no vicende dell’isola d’Ischia, com­
prese le guide turistiche. Il diario, attualmente esistente nel­
la Biblioteca Antoniana di Ischia,
fondata dallo stesso O. Buonocore,
contiene alcune pagine con scrittura
non sempre decifrabile, come pure
pagine in bianco, frammezzate con
brevi scritti dello stesso Buonocore.
Sul primo frontespizio si legge:
Prezioso diario del Convento delle Clarisse Isclane (1575-1911); le
date indicate fanno capire che non si
tratta di documento originale.
In seconda pagina si trova riporta­
to il seguente passo:
Libro nel quale s’annota il Breve
Apostolico per l’erettione di questo
Monastero di S. Maria della Con-
solazione delle monache della Città
d’Ischia, Capitolo e costituzioni initi
in tempo della fondatrice segnati a
10 settembre del 1575 con di più ut
intus… Nuovamente in unum e miglior metodo uniti per industria ed
ordine della Signora Maria Battista
di Linfreschi, odierna badessa del
medemo in data del primo di febbraio 1715.
L’inizio di questo libro di ricordi –
precisa il Buonocore - reca l’Istrumento di fondazione, il Breve Pontificio del decreto di clausura, l’elenco
delle Suore, dalla prima all’ultima:
pare bene fermare tante date.
La fiorita oasi d’anime contò
334 anni di vita santa; l’atto di
fondazione porta la data del 10
settembre 1575; il Breve Pontificio è dell’undici febbraio 1576; il
Vescovo isclano, Mons. Fabio Polverino , proclamò la clausura il 14
luglio 1577; quel giorno le suore
erano sette, poco di poi entravano
altre quattro.
Diamo un sunto dell’istrumento di
fondazione che qui innanzi è stato
appena citato.
Beatrice Quadra, dama napoleta­
na, vedova di Muzio d’Avalos, in­
terviene in qualità di fondatrice; pi­
gliano anche impegno gli Eletti della
città; l’atto è disteso nel palazzo po­
sto alla contrada Casalauro. Donna
Beatrice toglie impegno di fondare
un convento alla norma di S. France­
sco d’Assisi, il quale verrà intitolato
a Santa Maria della Consolazione,
a bene d’anima del figlio Giovan­
ni Marziale e del secondo consorte
Muzio d’Avalos.
Istrumento di fondazione
del convento
Capitoli, patti, e convenzioni abiti,
initi e firmati tra l’Eccelsa Signora
D. Beatrice della Quadra di Napoli
e li Mastri signori Gio: Antonio Pesce, Antonio Scotti, eletti della Città
d’Ischia, Gasparo di Ruggiero, Nicola Canetti, Carlo Melluso, deputati della medema Città, dall’altra
parte, sopra la fondazione e costruzione di un monastero di donne monache della Religione e Regola di
S. Francesco d’Assisi, che col favor
di Dio Nostro Signore s’ha da fare
dentro la suddetta Città dalla Sig.ra
D. Beatrice, che s’intitulerà sotto il
nome e vocabolo di S. Maria della
Consolazione, per servizio dell’Onnipotente Dio; Beneficio ceduto dalla Città ed Isola d’Ischia e altri buoni e devoti spiriti, per l’anima sua e
del quondam Sig. Giovanni Martiale suo figlio e del quondam Eccelso
Sig. Mutio d’Avalos suo secondo
marito.
In primis s’è convenuto che detta
Sig. D. Beatrice, come fondatrice di
detto luogo, donerà come al presente dona, il luogo suo sito dove s’ha
da fare il predetto monastero ch’è
una Casa grande dentro la Città
consistente in più membri superiori
ed inferiori: giusta li beni del nobile
Pietro Garofalo, giusta li beni della
mensa vescovile, la via pubblica ed
altri confini, e promette di più la Signora a sue proprie spese accomoLa Rassegna d’Ischia n. 4/2014
7
dare, fabricare e ridurre il luogo in
clausura, monastero e chiesa comoda ed atta a cantarci e farci il culto
divino.
Item detta Sig.ra senza pregiudicare a qualsivoglia delle sue ragioni
ed attioni, così di poter ??? testare
come di qualsivogl’altra cosa, entrarà dentro il monasterio con sette monache e quale a sua signoria
parerà e piacerà, alle quali sin che
viverà detta Signora darà vitto, vestito ed ogn’altra cosa necessaria,
le quali vuole che non habbiano da
fare niente con detto manasterio vita
durante, ma quelle siano ordinarie
monache di detto monastero.
E per che detta Sig.ra D. Beatrice si ritrova maldisposta e per altri
suoi negotii necessari, etiam per
quelli che occorreranno alla giornata per utile di detto Monastero li
Gli storici isolani hanno per lo più accennato all’iniziale insediamento di Beatrice della
Quadra e delle monache Clarisse nelle celle
tufacee dell’Epomeo. Errore o meno, tale riferimento è stato poi riportato costantemente
dagli altri e dalle guide turistiche, con qualche
lieve eccezione, non soffermandosi affatto sulla circostanza.
D’Alosio Giannandrea (L’infermo istruito, 1757)
… Si ascende alla sommità dell’Epomeo, nella di
cui cima si venera la statua di San Nicolò arcivescovo di Mirra, in bianco marmo scolpita; veggonsi colà numerose grotticelle dentro la grossezza
del sasso scavate; do­vevano essere quelle un ritiro di monache, che nei secoli trascorsi D. Beatrice
della Quadra dama napoletana aveva intrapreso
per ivi menare con altre com­pagne vita solitaria:
ma non essendosi potuto in un tal luogo effettuare
il suo devoto pensiero per la rigidezza del freddo,
abbandonò la incominciata opera, col ritirarsi dentro al Castello d’Ischia, ove fondò quel monastero
di religiose, che tuttavia con vita molto esemplare
si mantiene.
Vincenzo Onorato (Ragguaglio historico topografico dell’isola d’Ischia, 1816/1824)
… L’accennato luogo (cima dell’Epomeo) è stato
sempre antico romitaggio, e solitario. Nel secolo
15 Beatrice de la Quadra Dama napolitana con alcune di lei compagne si ritirò nell’istesso, affine di
menare in quell’aspra disagiata solitudine una vita
dedita soltanto a Dio. Ma dopo qualche dimora per
il continuo umido che in esso s’incontra, e per essere all’in tutto contrario alla salute, specialmente di quelle donne, che stavano sempre ritirate, e
chiuse in quel puro tufo incavato, fu la suddetta
dama colle di lei seguaci costretta ad abbandonare tale disagiata stazione, e passò nel Castello d’Ischia, in cui costruì, e formò un monastero di gentil donne sotto la regola di San Francesco d’Assisi.
Ragguaglio (idem) - Costì appunto D.na Beatrice
de la Quadra colle di lei compagne voleva fondare
8 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
sia lecito uscire ed entrare da detto
Monast. ad elettione di detta Sig.ra,
quando li piacerà e con chi li piacerà delle sette sue moniche, per la
manutenzione delle dette sette moniche tanto in vita di detta Signora
come pe doppo la morte l’assigna le
infrascritte entrate videlicet.
In primis la terra nominata Mata­
race, quale fu di Pietro Giovanni di
Barano per ducati duecento per an-
un monastero di perfetta clausura, ma fu costretta
a levarsi da tale dimora verso la fine del 14 secolo
per l’intemperie dell’aria, e ritirarsi nel Castello,
dove eresse un monastero di gentildonne sotto la
regola di San Francesco d’Assisi con titolo della
Madonna della Consolazione.
De Rivaz (Descrizione delle acque termominerali
… 1835 e successive edizioni)
In nota: … Questo eremo scavato interamente
nel tufo, ad eccezione della facciata della cappella
che è di muratura, abitato per qualche tempo verso la fine del XV secolo da Beatrice Quadra con
un certo numero di compagne che, non potendo
sopportare le intemperie del luogo, si ritirarono poi
sul castello d’Ischia, dove fondarono un convento
durato sino al 1809.
D’Ascia Giuseppe (Storia dell'isola d’Ischia,
1867)
… Fu questo Eremo (dell’Epomeo) un ritiro di
Monache verso la fine del secolo XVI o al principiar del XVII; in cui una signora Napoletana chiamata D. Beatrice della Quadra, pensò di ritirarsi
con altre compagne, per ivi menare vita solitaria.
Ma non potettero a lungo rimanere a dimorare in
questo Ospizio; atteso la rigidezza del clima, abbandonò la della Quadra la incominciata opera, e
si ritirò colle sue compagne nel Castello d’Ischia,
ove fondò quel monistero di religiose, che dopo il
1806 fu trasferito a S. Antonio, in Ischia, ed è detto
delle Chiariste.
Gina Algranati (Ischia, 1930)
…. Monastero delle Clarisse, trasferito nella città
castrense nel 1588, anno in cui la nobildonna Beatrice della Quadra, che fin allora aveva dimorato
con alcune sue seguaci sulla vetta dell’Epomeo,
nell’eremo accanto all’antica chiesetta consacrata
al Santo vescovo Nicola, e già esistente dal tempo
della guerra di Napoli, come dal Pontano apprendiamo, mal resistendo all’asprezza del clima di
montagna, determinò di trasportarsi verso le mi-
nui ducati venti alla paga di ducati
10 per cento, di più cede sue ragioni
che tiene colle 3e decorse di ducati
cinquanta.
Sopra la massaria delli magnifici
Gio: Vincenzo Cossa ed altri di casa
Cossa, sita nel Casale di Casamicciola e nominata lo Rostinale 200
per annui ducati venti.
Sopra la massaria nominata Cucoruosso del magnifico Cola Vin-
cenzo Menga ducati 100 per annui
10, sopra li beni del magnifico Pietro Antonio Melluso ducati 200 per
annui ducati venti con tutte le terre
decorse che son ducati 140 senza
obbligare essa Sig.ra ne suoi beni
all’emittente.
Item vuole detta Signora che, morendo alcuna delle sette monache
sue figliole quale entreranno con
sua signoria, sia lecito in vita sua
gliori condizioni di temperatura del Castello e dare
una più esatta forma religiosa al cenacolo delle
eremite. La stessa cura ed energia che già aveva
speso in pro dell’eremo montano, migliorandolo,
adoperò nella costituzione di questo convento che
nei secoli seguenti accrebbe la sua importanza,
finché in seguito ai diroccamenti delle guerre,
nel primo decennio dell’ottocento, non si trasferì
nell’antico convento di Sant’Antonio in Ischia.
G. G. Cervera (Guida d’Ischia, 1959)
… entriamo nel convento delle Clarisse che Beatrice della Quadra nel 1574 trasformò da quella
che era la casa dei Cossa. Le Chiariste o Clarisse
furono portate in Ischia dalla nobildonna napoletana Beatrice della Quadra ritiratasi nell’Epomeo
all’inizio del XVII secolo. Passarono quindi al Castello e infine si ridussero nel convento di S. Antonio in cui si estinsero nel 1911.
Salvatore Di Costanzo (Ischia meravigliosa,
1999)
Tutto il complesso abitativo (Epomeo e Chiesa
di San Nicola) è scavato nel vivo tufo, compresa
la chiesa. Essa era già esistente prima del 1459.
Verso il 1587 furono scavate le celle , così afferma
il D’Aloisio. Qui si ritirò a vita monastica Beatrice
La Quadra, nobildonna napoletana.
Raffaele Castagna (Isola d’Ischia, tremila voci,
titoli e immagini, 2006)
Beatrice Quadra nel 1575 radunò alcune religiose
che, dimoranti prima sull’eremo del monte Epomeo, si trasferirono successivamente in un convento adattato in una grande casa sul Castello
d’Ischia. Qui le Clarisse rimasero nel Monastero di
S. Maria della Consolazione fino al 1809.
Wikipedia
Convento delle Clarisse sul Castello: fu fondato
nel 1575 da Beatrice Quadra, vedova D’Avalos,
che si insediò con quaranta suore provenienti dal
convento di San Nicola che si trovava sul monte
aggregare secondo meglio li piacerà, et a sua morte sia ad elettione del
Rev.mo Vescovo che pro tempore si
ritroverà, e delli Mastri che si ritroveranno al governo di detto Monastero, e con voto e beneplacito delle
RR. Monache che si troveranno in
detto Monast. imbussolate dieci figliole povere e ben nate, cinque della Città e cinque dell’Isola e quella
che per sorte uscirà s’intenda subro-
Epomeo. Le suore provenivano da famiglie nobili
che le destinavano in genere alla vita claustrale
già dall’infanzia per evitare la frammentazione delle eredità. Il convento fu chiuso nel 1810 in seguito
alla legge di secolarizzazione emanata da Murat.
Un’ala del convento oggi ospita un albergo, le cui
stanze sono le celle di un tempo.
*
Qualche dubbio incomincia ad apparire: come per
esempio in Piero Monti, che parla di mancanza di
documenti in merito, e in Camillo d’Ambra, il quale evita di accennare all’iniziale insediamento sul
monte Epomeo.
Pietro Monti (Ischia, archeologia e storia, 1980)
L’affermazione di qualche storico che vuole che
Beatrice Quadra, vedova di Muzio d’Avalos, abbia
fondato un monastero nell’eremo di San Nicola è
priva di ogni documento. Al contrario la donatrice
napoletana fondò un monastero dell’ordine di S.
Chiara sotto il titolo di S. Maria della Consolazione sopra il Castello d’Ischia, ereditato dal marito,
dove «fece dono della casa e promette di adattarla a modo di convento col beneplacito del Vescovo
d’Ischia…».
Camillo D’Ambra (Ischia tra fede e cultura, 1988)
Fiore all’occhiello dell’episcopato di Mons. Fabio
Polverino (1564-1589) fu la fondazione in Ischia di
un monastero di clausura, quello di S. Maria della
Consolazione che avrà una vita di trecentosette
anni. La signora Beatrice della Quadra, due volte
vedova di un Marziale e di un d’Avalos, volendosi
consacrare alla vita monastica, donò il suo palazzo trasformandolo in monastero. Il nuovo cenobio
di Clarisse ricevette l’approvazione ecclesiastica
con un Breve di Gregorio XIII in data 15-2-1576
nel quale il Papa rivolge parole di encomio e di
apprezzamento per Mons. Polverino. Il 15-7.1577
lo stesso vescovo dischiuse anche al culto la cappella dello stesso monastero dedicandola alla Madonna e a San Francesco.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
9
gata in luogo di quella che manca
dalle sette. Ancora vuole detta Sig.
ra che in caso che mancasse alcuna
delle sette sue monache, volessero
essere monache in d. Monast. due
nipote del Rev. D. Pompilio Fiorentino Can.co della Cattedrale chiesa della Città d’Ischia, s’intendano subrogate a luogo di quelle che
mancassero senza essere bussolate.
L’istesso vuole detta Sig.ra che s’osservi in una che nominarà D. Mario
de Meglio, et in loro morte quella
nomineranno suoi legittimi eredi pro
una vice tantum di queste tre, le quali s’habbiano a pigliare in d. Monast. senz’altra dote, e siano trattate
come l’altre, come l’altre vuole che
s’osservi d. Capitolo in perpetuo.
Ritornando a quanto afferma il
Buonocore circa la diceria del monte
Epomeo, precisiamo che l’accenno
allo storico d’Ascia “in particolare”
e “da cui successivamente si sia co­
piato” non ci sembra affatto giustifi­
cato, in quanto l’autore foriano non
è stato il primo ad accennare alla ini­
ziale presenza sul monte Epomeo;
anche il d’Ascis ripete quanto detto
da altri storici precedenti (come riportiamo nei riquadri delle precedenti pagine).
Nel Breve pontificio di papa Gre­
gorio XIII, il solenne riformatore del
calendario, si legge:
«Per opera di cittadini isolani e in
particolare di Beatrice Quadra, ma­
trona napolitana, vedova di Muzio
d’Avalos (pro parte dilectorum filiorum communitatis civitatis Iscle ac
dilectae in Christo filiae Beatricis
Il 150° anniversario della presenza
di Giuseppe Garibaldi nell’isola d’Ischia
Sabato 19 luglio 2014 si sono con­
cluse a Casamicciola Terme le ce­
lebrazioni per il 150° anniversario
della presenza di Giuseppe Garibal­
di nell’isola d’Ischia, iniziate il 19
giugno 2014 (ospite d’onore: Giu­
seppe Garibaldi jr discendente di­
retto del Generale e di Anita); hanno
promosso l’evento il Museo Civico
di Casamicciola Terme, l’Associa­
zione Pro Casamicciola Terme ed il
Centro Ricerche Storiche d’Ambra.
Casamicciola ospitò Giuseppe Ga­
ribaldi dal 19 giugno al 19 luglio
1864. Con il pretesto apparente dei
bagni termali, Garibaldi era venuto,
quasi esclusivamente, per organiz­
zare azioni diplomatiche e militari
al fine del completamento dell’Uni­
tà d’Italia (ricordando che all’epoca
Roma e Venezia non facevano anco­
ra parte dello Stato Italiano).
Infatti uno degli incontri più im­
portanti per la Storia d’Italia è certa­
mente quello del 2 luglio 1864, pres­
so Villa Zavota (ora Villa Parodi),
quando Garibaldi convocò - oltre a
Partiti, Movimenti e Associazioni
10 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
favorevoli al completamento dell’U­
nità d’Italia – anche le diverse logge
massoniche italiane con l’auspicio
di vederle compatte in nome del
comune obiettivo. Purtroppo l’in­
contro non portò ad una intesa delle
logge e Garibaldi, nel giro di poco
tempo, rassegnò le dimissioni dalle
due logge di cui era membro.
Altro incontro importante fu quello
della Quadra, mulieris ? quondam
Mutii de Avalos…), non essendovi nell’isola d’Ischia monastero
di donne (.. nullum in tota insula
isclana monachale monisterium existere… in quo virgines, seculi fuggientes illecebris….), nel quale le
vergini possano votarsi al Signore,
si è stabilito di fondare un monaste­
ro dell’Ordine di Santa Chiara, sotto
il titolo di Santa Maria della Con­
solazione. La detta Signora ha fatto
dono della casa, e promette adattarla
a forma di convento, col beneplaci­
to del vescovo d’Ischia, venerabile
fratello nostro. Fummo umilmente
supplicati del erigere detto monaste­
ro, e l’erigiamo e lo costituiamo (…
exaudimus et prosequimur)».
(1 – continua)
con il colonnello Salvatore Porcelli,
inviato direttamente dal re. Infatti
grazie ad un documento recente­
mente venuto alla luce dal fondo
Savoia, si è potuto appurare che
l’ufficiale era stato mandato a Ca­
samicciola per portare l’appoggio
di Vittorio Emanuele II alla causa di
Garibaldi. È stato altresì rinvenuto il
mandato di Garibaldi a Porcelli per
l’acquisto di una nave da impegnare
in successive azioni militari. Il dena­
ro necessario veniva dalla casa reale.
Presso il Capricho in Piazza Marina
a Casamicciola Terme c’è stata la
proiezione del film documentario di
Roberto Senzani “Garibaldi eroe ro­
mantico e moderno” realizzato con
il contributo del Comitato Nazionale
per le Celebrazioni del Bicentenario
della Nascita di Giuseppe Garibaldi.
Si è avuto poi un intervento storico
dell’Avv. Nino d’Ambra. Un artisti­
co disegno per celebrare l’evento è
stato realizzato dall’architetto Pom­
peo Mennella, che ha anche ideato il
bozzetto utilizzato da Poste Italiane
per la realizzazione dell’annullo po­
stale celebrativo che proietterà nel
tempo e nello spazio il ricordo della
presenza del Generale ad Ischia.
*
I Guevara e i d’Avalos d’Ischia
*
I marchesi del Vasto - La torre
*
Quando il governo italiano scappò a
casa dei duchi di Bovino
di Rosario de Laurentiis
La storia dei Guevara e dei Dàvalos (poi D’Avalos) in Italia prende origine
dalle lotte in Spagna per la corona di Castiglia. Precisiamo subito che - in
entrambi i casi - questi nomi riguardano feudi e non cognomi. La famiglia
dei Guevara era quella dei Velez, quella dei Dàvalos era invece Lopez. Inol­
tre, almeno per quanto riguarda l’Italia, si può dire che si tratta della stessa
famiglia.
Agli inizi del ‘400 Pedro Velez de Guevara signore di Ognate sposa Isa­
bella di Castiglia ed i loro figli restano in Spagna (Guevara de Morata). In
seconde nozze sposa Costanza de Tovar con la quale ha almeno due figli
maschi. Alla morte di Pedro, Costanza sposa Ruy Lopez Dàvalos e anche
con lui genera almeno due figli maschi. Ruy Lopez è suo cognato, perché ha
sposato prima Maria Gutierrez, poi Elvira Guevara, sorella di Pedro Velez,
ed infine Costanza de Tovar. In casa Dàvalos abbiamo dunque una serie di
figli che si chiamano in maniera differente: Lopez y Guevara, Velez y Tovar,
Lopez y Tovar.
Ruy Lopez Dàvalos cade in disgrazia e viene esiliato. Costanza si trova
improvvisamente povera e con molti figli, ma re Alfonso il Magnanimo ha
bisogno di bravi soldati per le sue spedizioni in Italia e chiama nel suo eser­
cito almeno quattro figli di Costanza (due Guevara e due Dàvalos, che in
Italia si trasformano in D’Avalos). Sono bravi soldati, e ce lo ricorda il poeta
catalano Benedetto Gareth, che venne a Napoli e fu segretario di stato dopo il
Pontano, quando parla dei figli di Costanza di Tovar dicendo : “Frutto d’un
sol terren da due radici, / duo Avoli e duo Guevaro, antique genti / bellicosi
e terror degli inimici...”.
I marchesi del Vasto
Quando il re Alfonso - nella batta­
glia di Ponza del 1435 - cade prigio­
niero dei genovesi ha con sé i nostri
cavalieri, che ne condividono la pri­
gionia. Alfonso però vince la guerra
e ricompensa i suoi fedeli con titoli e
terre: Ignigo Guevara diventa conte
di Ariano, poi nel 1442 conte di Po­
tenza e (1444) Gran Siniscalco del
Regno e marchese del Vasto; non
bastandogli, nel ‘45 compra il feudo
di Savignano.
Sposa Covella Sanseverino e suo
figlio Pedro eredita i titoli del padre
- nel 1462 - e la carica di Gran Sini­
scalco nel 1470, la contea di Potenza
va invece a suo fratello Ignigo.
Pedro sposa Isotta Ginevra del
Balzo, figlia di Piero del Balzo duca
di Verona con una spettacolare ceri­
monia il cui sfarzo viene raccontato
dal Pontano. Isotta, principessa di
Altamura, è sorella di Federico, che
nel 1477 sposa Costanza D’Ava­
los, di Antonia, che nel 1479 sposa
GiovanFrancesco Gonzaga signore
di Sabbioneta, e di Isabella, che nel
1487 sposa nientemeno che il futuro
re Federico d’Aragona. Nonostante
questi legami, Pirro partecipa alla
congiura dei baroni e “ob notoriam
defectionem et rebellionem, perfidiam, prodictionem et demerita”
viene imprigionato e forse ucciso
per ordine del re. Pedro, suo gene­
ro e suo seguace, vede tutte le sue
ricchezze confiscate mentre il mar­
chesato del Vasto torna alla corona.
Pedro non ha figli maschi.
Il titolo di marchese del Vasto ri­
entra in famiglia con uno zio di Pe­
dro Guevara, fratellastro di Ignigo
Guevara: Ignigo Lopez d’Avalos y
Tovar, che sposa Antonella d’Aqui­
no marchesa di Pescara, e recupera
il feudo di Vasto. Suoi figli sono
l’ischitano Alfonso D’Avalos mar­
chese di Pescara, Martino Rodrigo
conte di Monteodorisio, Ignigo, car­
dinale e marchese del Vasto, più tre
figlie femmine.
La torre di Ischia
Essendo nostro obiettivo quello di
individuare chi risiedeva nella torre
Guevara di Ischia, ed avendo dimo­
strato che non si trattava dei marche­
si del Vasto espropriati dalla corona,
dobbiamo tornare ad un altro dei
quattro cavalieri che arrivano in Ita­
lia.
Un altro fratello di Ignigo Gueva­
ra, anche lui figlio di Costanza di To­
var, fu Giovanni Beltran de Guevara,
che sposa Maria Gesualdo. Giovan­
ni muore nel 1461 e suo figlio (Gue­
vara de Guevara) diventa signore di
Savignano e di Buonalbergo.
Guevara di Guevara sposa Mar­
gherita della Leonessa ed ha due fi­
gli: Ignigo e Giovanni.
Chi viene ad Ischia è – forse Guevara di Guevara, ma più proba­
bilmente è suo figlio Giovanni, che
sposa Lucia Tomacelli, di antichissi­
ma famiglia napoletana, che vantava
tra gli antenati due Papi (Bonifacio
IX e Innocenzo VIII).
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
11
Giovanni è padre di un altro Guevara de Guevara,
che sposa Delfina Loffredo (imparentata con Torqua­
to Tasso) e muore nel 1550. Quasi sicuramente è lui,
figlio di un Guevara e di una Tomacelli, il primo della
famiglia che viene ad Ischia, perché nelle scale della
torre abbiamo trovato uno stemma che è diviso in due:
a sinistra i colori (sbiaditi) dei Guevara, a destra (per
indicare la famiglia materna) si nota una banda diago­
nale composta da riquadri che sembrano essere quelli
della famiglia Tomacelli, il cui stemma viene così de­
finito: “di rosso alla banda scaccata di azzurro e d’oro
in tre file”.
Sarà invece il figlio Giovanni - che sposa Isabella
Frangipane della Tolfa - a comprare nel 1564 il ducato
di Bovino e sovrapporre allo stemma dei Guevara lo
scudo di Bovino. La nostra torre è infatti chiamata an­
che “di Bovino”. Tale nuovo stemma era presente nello
scudo di pietra, poi rubato, che sovrastava la porta di
ingresso della torre e su una parete della sala del primo
piano.
A proposito di stemmi dobbiamo rettificare un dato
che avevamo riportato sulla scorta di annotazioni ine­
satte trovate nell’araldica napoletana. Lo stemma che
sovrasta la porta d’accesso alla sala “di rappresentan­
za” recentemente restaurata, e che fu scoperto nel cor­
so della campagna di restauri 2012 commissionata dal
circolo Sadoul all’Università di Dresda, fu da noi defi­
nito come quello della famiglia “Guevara Suardo” sul­
la scorta delle indicazioni riportate sul sito della nobiltà
di Napoli. Tale stemma è invece sicuramente quello dei
Guevara di Spagna.
La cosa ha un certo interesse, perché i Suardo sono
entrati nella famiglia solo nel diciottesimo secolo, men­
tre lo stemma delle scale dovrebbe essere antecedente
al 1550, anno della morte di Guevara di Guevara.
Restando nel campo delle inesattezze, vorrei segna­
lare che Wikipedia, e molti siti internet di alberghi o
aziende ischitane, riportano - a proposito della torre
- l’indicazione che alla fine del ‘400 un Francesco de
Guevara, duca di Bovino, sarebbe stato nominato da
Carlo V governatore a vita di Ischia. Alla fine del ‘400
Carlo V non era ancora nato, il decreto reale che attri­
buiva alla famiglia il ducato di Bovino è del 1575, e
nessun duca di Bovino si chiamava Francesco.
Insomma, abbiamo ora la prova che la torre è stata
per molti secoli dei duchi di Bovino, di cui abbiamo la
genealogia, che le decorazioni interne sono tutte data­
bili agli anni a cavallo della metà del cinquecento, che
i Guevara ed i D’Avalos avevano - in Italia - un'origine
comune, incrementata poi con i successivi numerosi
matrimoni, e ci spieghiamo infine perché il titolo di
marchese del Vasto passa da uno all’altro membro del­
la casata.
Torneremo sull’argomento quando le ricerche che
stiamo conducendo con l’aiuto di esperti spagnoli
avranno portato a nuove conclusioni.
Quando il governo italiano scappò
a casa dei duchi di Bovino
Stemmi
12 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
Ho trovato un gustoso episodio che riguarda una
pagina dolorosa della storia d’Italia relativa all’8 set­
tembre del ‘43. Devo però necessariamente premettere
che la famiglia continuò ad utilizzare la casa di Ischia
(e l’isolotto di Vivara che da loro prende il nome) per
molti secoli.
Alla fine del ‘700 don Prospero Guevara, IX duca
di Bovino, aggiunse il cognome della madre (Suar­
do) avendo ereditato dalla famiglia materna il ducato
di Castel d’Airola. Fu probabilmente suo figlio Carlo
a decidere di abbandonare la proprietà di Ischia, sde­
gnato per la decisione del Comune di far seppellire i
morti del colera del 1836 quasi sotto le finestre della
Torre. Si dice che proprio il trasporto dei cadaveri via
mare nella baia di Cartaromana avesse ispirato al pitto­
re Böcklin il suo quadro intitolato “L’isola dei morti”.
Quest’opera d’arte ha colpito la fantasia di molti ed in
particolare dei dittatori. Certamente era nello studio di
Hitler quando fu firmato il patto Molotov Ribbentrop,
ma dopo la sua morte divenne bottino di guerra sovieti­
co e pare che lo stesso Stalin l’abbia tenuta esposta fino
al momento di restituirla alla Germania.
Lasciata Ischia, i Guevara Suardo conservarono il ti­
tolo di Duchi di Bovino sino alla fine dell’800, quando
Maddalena Guevara Suardo lo trasmise al figlio Gio­
vanni De Riseis che - nel feudo familiare di Crecchio,
in provincia di Chieti - fece costruire un castello vicino
alla torre duecentesca della sua famiglia. In quel castel­
lo è ambientato il nostro aneddoto, che ha protagonista
sua moglie Antonia. Maria Antonietta d’Alife Gaetani
dell’Aquila di Aragona, non bastandole i titoli di prin­
cipessa di Satriano, duchessa di Bovino, baronessa di
Crecchio ed un’altra decina di corone nobiliari, fu an­
che dama di Palazzo della regina Elena e - per 33 anni
- presidentessa della Croce Rossa Italiana.
Ma torniamo a quei giorni tragici e ridicoli che ac­
compagnarono la caduta del fascismo. La duchessa
di Bovino è nella sua residenza estiva di Crecchio,
dove ha saputo della caduta di Mussolini. È ancora
in vestaglia ed i suoi nipoti giocano nel parco quan­
do una grossa automobile si ferma all’ingresso della
villa. Si sente improvvisamente chiamare e si trova
davanti il principe Umberto, che è stato già altre vol­
te suo ospite. Quella che segue è la cronaca dei fatti
raccontata sul Candido e poi in un libro (“I Savoia
nella bufera”) da Giorgio Pillon.
Il principe la informa che - insieme a lui - ci sono
anche i sovrani. La duchessa sbianca per l’emozio­
ne, non solo per la visita inaspettata ma anche perché
Umberto, per la prima volta, dice “mio padre e mia
madre” e non “le Loro Maestà”. L’imbarazzo au­
menta quando apprende che con la famiglia reale c’è
anche il nuovo capo del governo ed una carrettata di
ministri e generali. Sono tutti scappati da Roma du­
rante la notte e sono diretti a Pescara dove contano
di imbarcarsi per il Sud Italia, già in mano agli alle­
ati. Preoccupati di arrivare in città prima della nave
militare che dovrà farli fuggire, hanno mandato il
duca d’Acquarone in avanscoperta e - su consiglio
dello stesso Umberto - hanno pensato di fermarsi in
casa di amici per non dover attendere in città l’arrivo
della corvetta “Baionetta”. (Permettetemi - da ingua­
ribile mazziniano - di sogghignare sul fatto che il re
“sciaboletta” scappa sulla “baionetta”).
Arriva la coppia reale e la regina abbraccia la sua
amica, che si affretta a dare ordine per alloggiare la
cinquantina di ospiti imprevisti. Il bagaglio della
sovrana è andato smarrito, e così la duchessa deve
fornire un po’ di biancheria per il viaggio. Ordina di
ammazzare una cinquantina di polli ed organizza tre
turni per far mangiare gli ospiti nella sala da pranzo,
non adeguata a tale quantità di commensali.
Consumano il pasto (solo un po’ di brodo per la
regina Elena, mentre il re - contrariamente alle sue
abitudini - mangia con appetito e fa commuovere la
cuoca quando dichiara di aver gustato molto ogni
piatto). La duchessa, il cui marito è senatore ed è sta­
to il primo podestà di Napoli, domanda privatamente
a Badoglio ed alla regina se era proprio necessario
l’arresto di Mussolini, ricevendo una risposta secca­
ta dal primo, imbarazzata da parte della sua amica.
Altra gaffe della nobildonna: sente Umberto che
viene consigliato dai suoi aiutanti di tornare a Roma
(e la risposta è: “dobbiamo ubbidire al re; in casa
Savoia si regna uno alla volta”) ma convince il prin­
cipe, che la considera una vera amica, a richiedere
nuovamente al padre il permesso di tornare a Roma.
Anche il nuovo tentativo - che forse avrebbe cam­
biato la storia d’Italia - va a vuoto, questa volta per­
ché è la regina a non voler separarsi dal figlio.
Finalmente, dopo che tutti si sono riposati e rifo­
cillati, il corteo va via... ma la nave non è arrivata
a Pescara ed è attesa ad Ortona molto più tardi. La
duchessa sta cercando un rimedio al suo mal di testa
quando sente di nuovo chiamare al portone … sono
tornati tutti, anzi si sono aggiunti un’altra ventina di
cortigiani.
Subito nuovi polli da ammazzare, ma questa vol­
ta i profughi non si trattengono a lungo. Ripartono
infatti dopo qualche ora ed arrivano senza problemi
all’imbarco sulla piccola corvetta, dove altri duecen­
to generali - tutti rigorosamente in borghese - tenta­
no disperatamente di imbarcarsi anche loro, con sce­
ne di arrembaggio che ben testimoniano il carattere
della classe dirigente di quei tempi.
Rosario De Laurentiis
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
13
Premio PIDA 2014
Il 25 Luglio 2014, nell’affascinante location di Tenuta Piromallo, si è svolta la serata finale del Premio PIDA 2014,
il grande Festival dell’Architettura e dell’Ospitalità, pro­
mosso dall’Associazione Pida, il Comune di Ischia e l’Ordine degli Architetti di Napoli.
A Bijoy Jain_Studio Mumbai è stato conferito il Premio
PIDA Sostenibilità per aver introdotto nell’architettura con
grande efficacia i temi legati all’ecologia e al rapporto con
il contesto ambientale e alla valorizzazione dei materiali au­
toctoni; a Christine Dalnoky il Premio Pida Paesaggio, per
aver aver saputo integrare i temi del paesaggio all’interno di
interventi architettonici complessi e per aver contribuito con
estrema sensibilità a diffondere la cultura paesaggistica nelle
università europee; a Matteo Piazza il Premio PIDA Fotografia per aver fotografato l’architettura con occhio attento
sia alla specificità della stessa, sia alle potenzialità artistiche
del mezzo.
I giovani partecipanti ai Workshop PIDA Paesaggio e
Design hanno illustrato il lavoro svolto durante i 5 giorni
trascorsi alla Villa La Colombaia sotto la direzione di Mi­
chela Baldessari e Paolo Baldessari, Enzo Tenore e Marcello
Lanza per il Workshop Design e Christine Dalnoky, Fausta
Occhipinti, Flavia Castagneto, Eduardo Bassolino, Gianluca
Parcianello e Giovanni Sacco per il Workshop Paesaggio.
Due progetti studiati approfonditamente da cui sono emerse
nuove idee e proposte per l’isola di Ischia che permettono di
esaltare, percepire e rendere fruibili i suoi caratteri distintivi.
Inoltre, per l’area della Chiesa di Sant’Anna, è stata redatta
una proposta d’intervento dai tutor del Workshop Paesag­
gio Christine Dalnoky e Fausta Occhipinti, organizzando la
piantumazione di tre cipressi in omaggio al dipinto di Arnold
Böcklin. Gli alberi, prima struttura del giardino, sono stati
sacralizzati durante la messa inaugurale della 82° edizione
della Festa a mare degli Scogli di S. Anna che si è svolta il
26 Luglio 2014 nella Baia del Castello Aragonese.
Sono poi stati svelati i vincitori delle varie sezioni designa­
ti dalle giurie, presiedute da Luigi Prestinenza:
Sezione PIDA Alberghi
1) “Moure Hotel” di Elizabhet Abalo, Gonzalo Alonso;
2) “Hotel A Sofia” di Lazzarini Pickering, collaboratori:
Barbara Fragale, Giuseppe Postet, Daniela Ogis, Antonio
Cavallo, Andrea Di Laurenzio, Carlo Guerrieri, Jenny Ham­
mer, Eva Christine Schenck, Francesca Wunderle;
3) “Donnacarmela Resort Agriturismo” di Giuseppe Scan­
nella.
Sezione PIDA SPA
1) “Centro Talassoterapeutico” a San Marco di Castellabate
di Massimiliano Rendina
2) “La Spa del Casale Del Principe” di Alberto Apostoli Ar­
chitecture e design
3) classificato “Salbea – Centro Relax Grotta di Sale”di
Francesco Deli, Francesco Sabatini
14 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
Sezione PIDA Concept Alberghi
1) “Preexistence” di Antonio Iraci, Serena Vivirito, Salvato­
re Terranova, Mario Renda, Concetto Pidatella, Erika Ruiz
2) “Piscopo Palace Hotel” di Architrend Architecture: Gae­
tano Manganello, Carmelo Tumino
3) “Convitto per Alunni a Malles” di Giovanni Fiamingo
capogruppo, Giuseppe Falzea, Angelo Italiano, Maria Gio­
vanna La Spada.
Sezione PIDA Concept SPA
1) “Spa a Beirut” di Lazzarini Pickering, collaboratori: Eva
Christine Schenck, Daniela Ogis, Simone Lorenzoni
2) “Wu Xiang Hotel Luxury Spa” di Alfredo Galdi (capo­
gruppo) Achille Ferolla, Antonietta Petroccelli, Antonio
Giuliano, Corradino d’Elia, Giuseppe Barile, Giuseppe
Martino, Maurizio Citro, Monica Imperato, Rossella Nota­
ri, Simona De Marco, Umberto Salvatore, Vito D’Ambrosio
3) “Spa_Arch” di Adriana Leone, Nicola Porta e Luca Mon­
trone
Sezione PIDA Paesaggio
1) “La città di Vulcano” di Luana Blascetta, Antonino Fren­
da, Giusti Maria Adriana
2) “The Pop-up Garden at The Westin Palace – Madrid” di
Claudia Bonollo
3) “Il giardino dell’ospitalità a Zafferana Etnea (CT)” di
Scau Studio
Sezione PIDA CasaClima
1) “Ecosuite” – Revine Lago (TV) di Daniele Menichini
2) “Gasthof Bad Dreikirchen” – Barbiano (BZ) di Lazzari­
ni Pickering, collaboratori: Eva Christine Schenck, Daniela
Ogis, Simone Lorenzoni
3) parimerito “Residence Italia” – Castelvolturno (CE) di
Chiara Lombardi e “Hotel Villa Gelsomino” – Ischia (NA)
di Blascetta Luana e Frenda Antonino
Sezione PIDA Social Network
1) Convitto per Alunni a Malles
2) Varese: Il sogno del Sommaruga. Proposta di intervento
per il recupero funzionale del Grand Hotel Campo dei Fiori
3) H2L
Rassegna LIBRI
Norme di buona creanza
per il matrimonio e la villeggiatura
di Matilde Serao
Inagaenaria-Ischia, in copertina litografia di Colette, aprile 2014
In questi due trattatelli, selezionati da un libro sul saper vivere pubblicato
nel 1900 e aggiornato dopo la guerra, il delicato tema del galateo è applicato
a due momenti peculiari della vita civile: il matrimonio e la villeggiatura.
Ironicamente critica nei confronti di mode e sperperi, la Serao elenca vizi e
virtù di sposi e viaggiatori, deliziando il lettore con curiosità di ogni genere.
Dalla penna di una regina del giornalismo, un viaggio appassionante tra le
mille raffinatezze di un’Italia ormai perduta (da una nota della IV di copertina).
Intorno all’amore
di Pantelejmon Romanv
Inagaenaria-Ischia, in copertina li­
tografia di Boris Grigoriev, Erotic,
aprile 2014
Una raffinata riflessione psicologica
anima questi tre racconti, pubblicati
in volume negli anni ‘20 del seco­
lo scorso. L’ingenua infatuazione di
una giovane viaggiatrice, l’inaspet­
tata remissività di una contadina
tradita e abbandonata, il sentimento
tormentato di una pia ragazza per
un ateo; gli amori difficili delle tre
protagoniste si disperdono lungo le
rotte incerte del desiderio maschile,
offrendo fugaci momenti di purez­
za nella livida realtà delle passioni.
Dalla penna di Romanov prendono
forma dei ritratti originali quanto
accurati, in cui la maestria della pa­
rola si coniuga ad una sensibilità già
contemporanea (da una nota di IV di
copertina).
Polka-Mazurka
di Alexsandr Neverov
Inagaenaria-Ischia, aprile 2014
Le rustiche atmosfere della campa­
gna russa fanno da sfondo a que­
sto frizzante e ironico racconto di
Aleksandr Neverov, pubblicato nel
1923. L’ingenuità del contadino
Gurjan e la scaltra leggerezza della
viziatissima Tonja sono gli elementi
di un giocoso contrappunto, in cui
le più comuni dinamiche della se­
duzione acquistano un’irresistibile
linfa comica. La storia dell’innamo­
ramento del protagonista, arricchita
dal contrasto tra la mollezza cittadi­
na e la dura realtà agricola, delinea
una tagliente satira sulle debolezze
umane, ma tratteggia anche un ori­
Boubouroche
di Georges Courteline
Inagaenaria-Ischia, aprile 2014
In due agili racconti, attraversati da
una irresistibile comicità, Courteline
ritrae con una surreale vena creati­
va l’eterno gioco delle relazioni tra
ginale affresco della vita nella step­
pa nei primi anni della Russia postzarista (da una nota di IV di copertina).
uomo e donna. Nel fortunato Bou­
bouroche, adattato per la scena nel
1897, il conflitto tra ingenuità e
astuzia si incarna nella goffa, genia­
le figura del protagonista e in quel­
la della sua terribile amante, dando
vita a una storia esemplare che vanta
numerose trasposizioni cinemato­
grafiche e televisive. Completa que­
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
15
sta edizione il breve racconto Prime
armi, altra brillante variazione sul
tema degli inganni amorosi (da una
nota della IV di copertina).
Un cuore semplice
di Gustave Flaubert
Inagaenaria-Ischia, aprile 2014
Felicita trascorre la propria vita alle
dipendenze di una famiglia bene­
stante di campagna. Se il più famoso
personaggio di Flaubert, la curiosa
e intraprendente Madame Bovary,
era interamente proiettato verso la
ricchezza di possibilità offerte dal
mondo, gli interessi di questa umile
serva si esauriscono integralmente
nella vita della casa, creando pro­
gressivamente un mondo interiore
fatto di fantasie e affetti. Pubblicato
in volume nel 1877, questo raccon­
to costituisce un perfetto esempio di
prosa flaubertiana, in cui la sensibi­
Le Terme Belliazzi
sulle storiche fonti
del Gurgitello di Casamicciola
di Gino Barbieri
Monografia storica
lità dell’osservazione si radica in un
linguaggio attento, ricco, mai banale
(da una nota della IV di copertina).
«In occasione del radicale restauro che ha interessato le
Terme Belliazzi a più di centocinquanta anni dalla loro
inaugurazipne, i nuovi proprietari hanno voluto cele­
brarne i fasti e ricordare l'importanza che esse hanno
rivestito per l'economia e lo sviluppo del termalismo
di Casamicciola e di tutta l'isola d'Ischia, con questa
pubblicazione che riesce a unire al rigore della ricer­
ca la nostalgica suggestione delle testimonianze di un
passato fatto di fascino, garbo e eleganza».
«La Maestà del Re N. S. s'interessò dello stato infe­
lice di oltre 24.000 suoi devoti sudditi e che riconob­
bero nell'augusta venuta il braccio della Provvidenza.
In poco tempo rifatte tutte le antiche strade dell'isola,
rendendole praticabili. Le acque del Gurgitello ebbero
un grande stabilimento degno del nome (Belliazzi). S.
M. ne affidò la proprietà ad alcuni privati ed espresse le
condizioni che le dette terme fossero ricostruite degna­
mente. Allora fu fabbricato un magnifico edificio con
la spesa di circa 14.000 ducati. Il Comune non pertan­
to si riservò il diritto di mantenere un impiegato cche
vigils alla regolarità del servizio e all'esistenza delle
tariffe stabilite (Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, 1855)».
«Ora diciamo di quei preziosissimo bagno, che è detto
volgarmente Gurgitello...» (Giulio Iasolino).
«... fonte del Gurgitello, cui il cielo concesse la virtù
portentosa di domare i morbi; che, una volta conosciu­
ta, in regioni straniere si diffuse e di sua rinomanza
empì il mondo...» (C. Eucherio de Quintiis)
(Riferimenti tratti dal libro)
16 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
Melchi
vi racconto una storia
di Sergio Schiazzano
Graus editore, collana tracce, immagine di copertina di
Giuseppe Mattera, pp. 247, Napoli, 2014.
“Vi racconto una storia” è il romanzo del giovane
Sergio Schiazzano, nato a Ischia nel 1993 e attuale stu­
dente di giurisprudenza presso l’Università di Napoli
Federico II. Una storia (“una storia da raccontare”)
che l’autore insegue “con una corsa indiavolata e fre­
netica in un giro per il mondo, senza riposarsi, senza
fermarsi mai”. Ed anche il lettore corre pacato insieme
a lui, chiedendosi ad ogni capitolo se si trova ad iniziare
un’altra tappa (decisiva o ancora soltanto circostanzia­
ta intorno a quell’obiettivo) e quindi procede ansioso
e bramoso della meta. Alla fine dovrà constatare e far
proprio il convincimento che “la storia da raccontare”
è il “racconto” stesso proposto in quelle pagine ricche
di vita e di sogni, di speranze e di illusioni, la cui let­
tura, ma più ancora il suo assimilarle nell’intensità che
esse emanano, richiede “un atto di fede e di coraggio”.
Fede e coraggio che forse oggi i giovani hanno smar­
rito o che più propriamente la realtà forse ai giovani
ne presenta il tramonto, prima ancora che sia spuntata
l’alba. Un futuro che si vorrebbe far vivere unicamente
nei sogni. Ma fin quando i giovani saranno disposti a
cullarsi nei sogni?
La storia di Melchi (il personaggio che s’inventa l’au­
tore), come si evince dalla copertina, ha come sfondo
per lo più l’ambiente ischitano, ma questo non sempre
appare in tutta chiarezza ed evidenza perché, come i
sogni sono spesso sfuggenti, velati e misteriosi, anche
la realtà tende ad apparire offuscata e nebbiosa, forse
appena rischiarata dalle luci dei lampioni di vecchia
memoria che sono sempre là presenti, anche quando
qualcuno si trastulla a farli scomparire. Immagini, vie,
piazze, vicoletti appaiono e non appaiono a fronte di
ogni vicenda che s’intreccia, si complica, si contrappo­
ne nel dipanarsi del racconto, senza sosta, senza pausa,
tant’è vero che in un primo momento il tutto (come
sembra) era previsto in uno svolgimento continuo, pri­
vo della suddivisione in capitoli.
Leggiamo la bella descrizione della Piazza dei lam­
pioni nella tempesta: «… il primo di dicembre e onde
spazzavano la piazza. Scavalcavano il molo con la
stessa facilità con cui un gatto salta su uno sgabello,
poi galoppavano sui ciottoli della pavimentazione e
s’infrangevano contro la cerchia di palazzi. Pareva che
l’isola fosse sprofondata di qualche metro. I lampioni
semisommersi che affioravano dalle acque ribollenti
sembravano relitti pallidi e surreali di un mondo fanta­
sma, le vestigia di una civiltà persa nell’oblio. Alcuni
lampioni ancora resistevano orgogliosamente nella de­
solazione dell’allagamento, e i loro riflessi tremolava­
no (“il tremolar della marina” di memoria dannunzia­
na) sinistri sulle onde. Altri invece erano stati sopraf­
fatti e se ne stavano lì spenti e miseri, immemori del
cuore caldo di luce che una volta covavano…». Altro­
ve: «… rotto qualcuno per gioco, (i lampioni) il giorno
dopo erano di nuovo lì, già belli che sostituiti, nuovi di
zecca, quasi fossero ricresciuti spontaneamente notte­
tempo. Mio Dio, lampioni ovunque».
«Non c'era strada sull'isola che non ne fosse provvi­
sta, perfino i vicoli più sperduti e reconditi potevano
fregiarsi della loro illuminazione». Una luce, la loro,
strana, misteriosa, che lasciava trasparire appena, a
volte, quei luoghi che sono teatro delle scene che si
susseguono, quando il sogno finisce di essere tale e si
prende coscienza di sé. «Sono nato su un'isola e per i
sognatori non esiste posto più disgraziato dove nasce­
re. Un posto dove immaginazione e speranze finiscono
con l'essere compresse in uno spazio piccolissimo».
Il giovane scrittore “dopo venti anni di clausura su
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
17
quest’isola”, si scuote e ne trae la
conclusione che “tutto questo non fa
per me” e, senza tener conto di chi
pensa di dissuaderlo, parte per altre
terre, speranzoso, in parte, di dimen­
ticare “una vita grigia e triste, che si
dispiega in una serie noiosa ed inin­
terrotta di giornate lunghe piatte”.
È stato ed è forse questo il desi­
derio, il sogno di tanti giovani, ieri
come oggi, tesi a superare questi li­
miti che l’isola ci impone e ci pre­
senta ad ogni istante, perché, come
dice il proverbio, tra il dire e il fare
c’è di mezzo il mare. Poi in realtà si
fa ritorno ai luoghi natii, quando tut­
to vacilla e crescono ancora le spe­
ranze deluse.
Raffaele Castagna
MELCHI
Vi racconto una storia
di Sergio Schiazzano
Riportiamo una recensione apparsa nel sito
giozzy76-acquachiara.blogspot.com/.../schiazzano-emergentedotato.htm...
Mi avvicino sempre con una certa
aspettativa alle opere di giovani emer­
genti e la lettura, molte volte, è sofferta
perché la storia non decolla da subito.
Mi appaiono sempre le “solite” storie,
cumulo di altre letture fatte e poi messe
in “assemblaggio” in una nuova storia.
Melchi, invece, attrae fin da subito.
Dalle prime pagine presenta un fasci­
no tutto suo dovuto alla miriade d’im­
magini felici che Schiazzano prodiga a
piene mani ai suoi lettori e nessuna delle
quali è banale ma tutte presentano pro­
fondità e maturità che di certo nessuno
si aspetta da un sì giovane scrittore. Per­
sonalmente adoro leggere romanzi che
oltre a raccontare una storia, abbiano
anche il pregio di lasciare tracce nella
mia anima; pare che Melchi sia una di
quelle storie.
Il tutto inizia con uno scrittore che va
in cerca della “sua” storia da raccontare;
una di quelle storie che “Quando la si
trova, è solo un particolare intreccio del
destino. Nessuna abilità, nessun colpo
di genio, semplicemente una favorevole
comunione di stelle, una concatenazio­
ne di eventi.”...
La fantasia spazia di qua e di là per
cercare la “Storia da raccontare” e le
azioni si succedono alle azioni con un
sempre rinnovato vigore che il lettore
gusta parola dopo parola, segue avve­
nimento dopo avvenimento mentre l’at­
18 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
tenzione rimane sempre alta e partecipe
di periodo in periodo.
...”C’è una particolare magia, un in­
canto, uno stupore nel mondo, ed è raro
che, nel corso della sua vita terrena, un
uomo riesca a coglierlo e, soprattutto, a
raccontarlo. Mi era stato concesso di ri­
uscirci, ma sul più bello quell’occasione
mi era stata sottratta.”...
Queste le parole disperate che lo scrit­
tore pronuncia, dopo aver perduto il filo
che teneva unita la sua storia. Egli, in
seguito, l’aveva ritrovato nitido mentre
si aggirava in un vecchio negozio attra­
verso un’enorme moltitudine di palle di
vetro che oltre a innevare i paesaggi in
quelle racchiusi, grazie a un gatto, illu­
minarono anche la fantasia dello scritto­
re. Egli vide chiaro l’intero svolgimento
narrativo fra i milioni di schegge di ve­
tro che si erano sparse per terra dopo che
un gatto le aveva investite, ma lo dimen­
ticò subito dopo a causa di un incontro
casuale; ma ...”poiché niente è perduto
sul serio... è anche inutile disperarsi...”
e infatti ecco che la Storia da raccontare
ritorna e tutto ...”grazie a una persona,
Melchi”...
L’uomo dei sogni.
“Sai, io posso vantare molte più vite
di qualunque essere umano. Sono stato
un marinaio, un inventore, un poeta, un
astronauta, e perfino un pirata.
Perché sei immortale?
Niente affatto. È perché sogno.”
Anche lo scrittore aveva inseguito i
suoi sogni ed era fuggito dalla sua iso­
la ma per lui non ci fu altra via che il
ritorno a casa dai suoi dove: “Le reti dei
pescatori sarebbero tornate ad essere i
confini inviolabili della mia vita, il mare
un sarcofago sigillato con dentro i miei
sogni.”
Ciò che più attrae in questo libro è il
linguaggio usato sapientemente dallo
scrittore e la descrizione delle infinite
situazioni descritte da cui il lettore può
cogliere a piene mani insegnamenti di
vita.
Oltre al fascino del racconto, Schiaz­
zano descrive la vita e fa mille e più
riflessioni sulla stessa tanto che il letto­
re viene a trovarsi legato da un filo di
empatia con lo scrittore e, segue la nar­
razione rapito da ciò che quelle pagine
cercano di trasmettergli.
Le descrizioni delle persone e degli
ambienti incantano il lettore, trasportan­
dolo in arie rarefatte e in mondi noti ma
arcani per il fascino che da sempre han­
no esercitato sugli umani, ed è perciò
che la scrittura di questo giovane dotato
riesce ad attirare il lettore fino in fondo,
senza distrazioni di sorta perché a tutti
farebbe piacere incontrare un grande,
meraviglioso saggio come Melchi che
aiuterebbe la gente a interpretare diver­
samente la vita ma solo in senso magico
e positivo.
Un esempio fra i numerosissimi con­
tenuti nel romanzo:
“Nelle sere meno fredde Melchi s’ar­
rampicava sugli scogli e, accucciatosi
su un masso che fosse meno spigoloso
e scomodo degli altri, restava a lungo a
osservare il sole che a Ovest prima in­
dugiava sui tetti delle case, rovesciando
colate d’oro e di vermiglio sulle tego­
le, poi scivolava lentamente giù per le
pareti perlacee e infinite, si tuffava in
qualche giardino nascosto. Melchi se ne
restava immobile sul suo trono a metà
strada tra terra e mare e la risacca, fle­
bile e regolare scandiva il ritmo dei suoi
pensieri... nell’attimo in cui i lampioni
nelle strade s’accendevano. In quel mo­
mento Melchi riprendeva vita. Chi lo
conosceva sapeva che quella era l’ora
preferita da Melchi, quando i lampioni
della Piazza antistante il Ponte s’infiam­
mavano. I loro fasci di luce erano per lui
come pallidi riflessi di un focolare lon­
tano, attorno al quale una famiglia persa
nel tempo si raggruppava e si stringeva,
erano mani gentili che lo accarezzavano
e lisciavano le pieghe del suo vestito e
facevano scomparire le ombre del suo
viso, e forse anche i cattivi pensieri dalla
sua testa.
Come non lasciarsi trasportare su quel
trono con Melchi per assaporare tutta la
nostalgia e la dolcezza del ricordo che
si fa memoria e si perpetua per tutta la
vita?
...” Erano quei lampioni, barlumi di in­
timità che riducevano la vastità impo­
nente e sconfinata della notte allo spazio
minuscolo e sicuro di una piazzetta. Il
mondo era quella Piazza, perché altro
non si poteva vedere, tutto il resto era
buio. Era quella l’ora in cui Melchi ri­
tornava a casa, con le stelle che lo guar­
davano sia dall’alto, sgargianti fermagli
nella fluente chioma corvina del cielo,
sia dal basso, diamanti incastonati nelle
placide acque del golfo.”
Di certo l’oscurità notturna e il cielo
trovano in codesta descrizione tutta la
tenera sensibilità dello scrittore, che ac­
carezza con le parole l’importanza affet­
tiva, per gli abitanti del luogo, della loro
piazzetta.
Di notte, Melchi volteggia attraverso
alberi, piazzetta e una vecchia casa di­
roccata e disabitata, da anni, cui Melchi
volge lo sguardo al balcone, tenendo un
fiore in mano ma poi, dopo essere rima­
sto incantato come in contemplazione,
si sveglia da tale incantesimo e torna a
dormire nella capanna mentre il lettore
resta affascinato a ripensare alle imma­
gini dolci e deliziose alle quali Schiaz­
zano l’ha incatenato.
Un’altra delle cose che attraggono ri­
petutamente il lettore, sono le descrizio­
ni ricche di metafore che si ritrovano in
più di duecentocinquanta pagine e che
trovano il lettore sempre ben disposto
ad assorbirle fino in fondo, quasi come
se egli stesso fosse presente sulla scena
descritta.
“Arrivò l’autunno, odoroso di foglie
e di muschio. La montagna dismise il
suo classico manto verde brillante e ne
indossò uno ombroso e sdrucito... alberi
imbrunivano, altri s’indoravano, cosic­
ché l’effetto era quello di una colata di
oro grezzo in mezzo ai pendii boscosi...
la penombra dei vicoli più nascosti si
era fatta strada fino alla Piazza dei Lam­
pioni, per incontrarsi con quella vischio­
sa della sera.”
I personaggi sono ben delineati e pos­
seggono caratteristiche peculiari che li
contraddistinguono e rendono simpatici
e quasi familiari a causa della saggez­
za di vita che possiedono; quella stes­
sa saggezza che qualcuno di noi ha già
sperimentato nella propria esistenza,
avendone incontrato alcuni simili, che
in seguito sono rimasti nella memoria
e nel cuore. Mi riferisco all’elettricista,
a Giòmaria, Notorio, al Vecchio Roc­
chino. Inga e suo figlio Massimiliano,
Ventura, Bottiglia, invece, non risaltano
per simpatia ma anche loro sono perfet­
tamente descritti come in un manuale
di “specie” umana e non si può fare a
meno di sorridere anche dei difetti dai
quali sono caratterizzati.
La favola e il mistero avvolgono i
personaggi in una continua e mutevole
scena che coinvolge e ammalia. Si passa
così, di storia in storia, ma tutte tengono
vivo e desto l’interesse per proseguire
la lettura, resa sapientemente attraente
da un gioco di avvenimenti che difficil­
mente annoiano ma che inteneriscono
e addolciscono l’animo: cosa essenzia­
le per il periodo storico in cui viviamo
così strano, così edonistico, narcisistico
e così poco umano. Incontrare Melchi,
e gli altri che inventano situazioni ro­
cambolesche per far vivere per sempre
felice Bottiglia, - questo uno fra i tanti
episodi - edifica lo spirito. Finalmente
un libro con buone intenzioni e non con
storie cruenti e inconsistenti che durano
lo spazio della moda.
Melchi è un libro che, se insegnassi
ancor oggi, proporrei nella Scuola, tanti
e belli sono gli insegnamenti proposti.
*
La flora dell'isola d'Ischia
(G. Gussone e altri)
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
19
Esercizi di scomposizione della risacca e altre marine
di Ciro Cenatiempo
Editrice: Ad est dell'equatore, introduzione
di Raffaele Aragona
Già il titolo della raccolta, modestamente qualificata
come “esercizi”, lascia prevedere l’originalità del con­
tenuto. Previsione ancor più sostenuta dal sottotitolo
che fa immaginare il registro nel quale si muove que­
sto Piccolo manuale di leggeratura e geografia superficiale, laddove “leggeratura” non è certo un refuso e
“superficiale” non sta a designare il disimpegno (ap­
parente) delle composizioni; apparente non nel senso
di “manifesto” ma di “non effettivo”, che “pare ma
non è”, poiché, a lèggere le leggère rime non rime che
si snodano nelle pagine di questa sorta di disordinato
diario in versi 1979-2014 si comprende come esso rac­
chiuda un percorso non soltanto geografico.
Sono versi la cui libertà cede il posto a una continua
e naturale attenzione a palesi o nascoste allitterazio­
ni, assonanze e consonanze o a riferimenti a prima vi­
sta criptici ma poi sorprendenti; e anche a una sorta
di felici neologismi che fanno sorridere e sorprendere
per la indovinata e geniale giustezza della parola nuo­
va. Invenzioni nate dall’alzare lo sguardo sulla lingua
corrente infrangendone la barriera. L’esclusione della
punteggiatura, inoltre, dà luogo a una lettura neces­
sariamente attenta e lascia cogliere la svagata ma non
vaga costante incostanza che caratterizza i versi.
È proprio il primo titolo, Lævitas, c’è vita che rac­
chiude e anticipa il carattere che pèrmea la raccolta, un
gioco di parole tra vita e lævitas: c’è vita nella legge­
rezza, c’è vita nella regola ma c’è vita nel divincolar­
sene, qualsiasi essa sia; è come un continuo clinamen
che si mostra gioiosamente fin dall’inizio quando, da
una prima strofa fatta di endecasillabi, i versi paiono
liberarsi man mano di questa e d’altre costrizioni. Non
di ogni altra contrainte, però, poiché è anche presente
nei versi un parlare un linguaggio diverso, inventato
(?), o un dialetto che aiuta meglio l’Autore a esprimere
situazioni ed emozioni legate ai propri luoghi e a quelli
che fa propri, nel suo peregrinare.
Le parole appaiono con tutta la loro sonorità, come
scintille musicali o addirittura spruzzi profumati: ter­
mini insoliti, a volte inventati, con lettere ammucchiate
alla rinfusa ma che riescono a offrire emozioni, sensa­
zioni primordiali, sentimenti che nascono dal cuore e
Leggete e diffondete
che la lingua comune non riesce a esprimere tanto è
diventata banale e ripetitiva.
Cenatiempo è certamente affascinato dagli esperi­
menti linguistici praticati dalle avanguardie storiche,
dai futuristi italiani con le loro parole in libertà e dai
dadaisti che usavano nelle loro poesie mozziconi di
parole, sillabe, radici, suffissi, prefissi, desinenze o
singole lettere ammucchiate alla rinfusa senza ordine
né logica; o dalla zaum (“oltre la mente”) dei futuristi
russi, ad esempio, una lingua priva di convenzioni se­
mantiche e assillanti norme stilistiche; e perché no?,
anche dai procedimenti oulipistici cui egli si avvicina
frequentemente ma se ne distacca per quella sua voglia
di abbandonare la regola che pensava di voler seguire.
Se quelli dell’Oulipo si definiscono topi che cercano
di uscire dal labirinto delle regole da essi stessi creato,
Cenatiempo, oulipista a metà, coglie l’occasione per
liberarsene non appena avverte che la regola lo prive­
rebbe della sua voglia di volare alto al di là d’ogni per­
corso segnato: e noi lo accompagniamo ben volentieri
in questo suo libero battito d’ali (Introduzione di Raffaele Aragona).
La Rassegna d'Ischia
Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi, fondato nel 1980
20 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
Rassegna MOSTRE
Ischia - Castello d'Aragona (Carcere borbonico)
Manifestazioni artistiche e culturali
Mostra personale di
Jean-Pierre Orrù
Pittura e scultura
14 luglio/15 agosto 2014
C'è una luce celata in ognuno di noi. L'apparire del
buio non è la morte del sole, ma il suo nascondersi at­
tendendo una nuova alba. E se la vita è un gioco di
sfumature, Jean-Pierre Orrù ha sperimentato quanto
chiaro sia il nero al punto da trasformare il grigiore
della vita in una tavola di colori da liberare in spazi
immaginifici. Sì, nelle sue tele vibranti di emozioni
colorate c'è la speranza di chi è sprofondato nella sof­
ferenza buia di un dolore ed è riuscito faticosamente
ad emergere, riconquistando il proprio spazio. Cos'al­
tro dire di un'esperienza formatasi nell'aiuto reciproco
fra persone alla ricerca di un futuro consapevole delle
difficoltà di una vita ormai priva di tonalità al punto
da soccombere nell'apatia?
Dall'esperienza del Labo­
ratorio Arte Fare, Jean-Pierre Orrù -- che dal 2012 è
il coordinatore, operando all'interno dell'AUS di Ni­
guarda grazie al sostegno della Fondazione Altamane
Italia - ha tratto stimolo per approfondire la sua ricerca
artistica e scultorea, individuando nelle forme e nei co­
lori un percorso in grado di liberare energie e poten­
zialità sinteticamente espresse nei suoi quadri al fine
di trasmettere una volontà di vivere al di là del buio
quotidiano.
Figlio di emigranti sardi, costretti a lavo­
rare nel profondo oscuro delle miniere francesi, dove
nacque nell'agosto del 1960 a Farebesville, Jean-Pierre
ha saputo trarre la forza e il coraggio di emergere da
quel "buco" nero come il carbone ed intravvedere la
luce e i colori che accompagnano la vita, anche la più
sofferta. Nelle sue opere, il colore movimenta la tela
al punto da stimolarvi uno sguardo introspettivo in gra­
do di scoprire il significato profondo che ognuno di noi
attribuisce all'arte come terapia dell'anima. Un'anima
non più prigioniera del corpo, ma ancella della fantasia
(da internet).
Ischia Ponte - Galleria Ielasi
In occasione della Festa di S. Anna, si è tenuta presso la Galleria Ielasi di Ischia Ponte una mostra
concernente gli artisti ischitani, che in passato hanno reso famosa la festa stessa, ideando ed ispirando le
barche allegoriche, denominata appunto “I Maestri della Festa”.
Nomi come Mario Mazzella, Funiciello, Variopinto, Colucci, Luigi e Federico De Angelis sono ancora
nel ricordo di tutti e ci si stupisce come il Comune non riesca ad organizzarne una mostra permanente,
per valorizzare la loro arte e cultura, e così anche la stessa isola d’Ischia.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
21
Ischia
Castello Aragonese
(Chiesa dell'Immacolata)
Christina von Bitter
Dal cielo
installazione, sculture e disegni
28 luglio/3 ottobre 2014
Gli “Amici di Gabriele Mattera” presentano al pubblico ischitano e italiano il lavoro di un'artista molto
conosciuta e apprezzata in Germania. Le sue opere realizzate in carta pesta, spesso di grandi dimensioni
ma prive di peso, evocano mondi infantili e al contempo la fine della vita. Giochi polverosi, abiti, schele­
tri leggeri sospesi nel tempo in una dimensione poetica e ludica
Ischia - Torre di Guevara
COMBINATO
DISPOSTO
Marisa Albanese
Roberto Marchese
A cura di Michela Casavola
12 luglio/21 settembre 2014
Marisa Albanese e Roberto Marchese presentano un
progetto espositivo, intitolato Combinato Disposto, pa­
trocinato dal Comune di Ischia e dal Museo MADRE,
a cura di Michela Casavola, nel quale opere recenti e
inedite, alcune site-specific, si pongono in dialettica re­
lazione tra loro e con gli spazi della Torre di Guevara.
L’incontro tra i due artisti dà vita a un “intreccio” lin­
guistico multimediale (caratterizzato da installazioni
e sculture ambientali, disegno e fotografia, tecnologie
analogiche e digitali) che veicola una vera e propria
simbiosi, uno scambio di visioni su tematiche e conte­
sti affini. Da ambiti antropologici e sociali (Marchese)
si passa a questioni sulla condizione dell’uomo con­
temporaneo, nomadismo e spostamento identitario
22 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
(Albanese). Un percorso tra “nonluoghi” (per citare
Marc Augè) caratterizzato da input visivi eterogenei
per incontrare le tracce archeologiche e geografiche
della surmodernità, accompagnati da riferimenti al su­
peramento della condizione di mobilità, associati all’i­
potesi di un nuovo habitat quotidiano, capace di ridise­
gnare la vicenda contemporanea e i suoi fenomeni.
Marisa Albanese crea nuove mappe con polvere di
metalli nell’opera Cosa ferma le altalene?.
In questa installazione un gruppo di cinque altalene
in vetro spostano, mediante un magnete posto sotto la
loro seduta, la polvere di ferro distribuita tra due lastre,
componendo un motivo iconico momentaneo, che va­
ria a seconda dell’oscillazione dell’altalena. La polvere
si dispone secondo percorsi liberi, elettrici, sottostando
alla densità del campo magnetico. L’artista non soltan­
to inventa mappe geografiche, con polveri metalliche o
con il sale, come vedremo nell’opera inedita che realiz­
zerà espressamente per una grande sala della Torre di
Guevara, ma disegna anche in modo inventivo il viag­
gio e il transito. Nel ciclo Diariogrammi i disegni di­
vengono grovigli di segni di fronte ai quali si è spinti a
cercare un’immagine, a ricostruire un senso figurativo,
fino a che non si coglie la vera immagine lì custodita:
l’immagine di un corpo fermo che si muove, un’appa­
rente unità organica statica che cela in realtà un flusso
di energia in attesa di esplodere, di deflagrare.
È la traccia di quella diffusa potenza immanente che
rimane inesplosa solo perché sepolta da una smisurata
produzione di flussi immunizzanti. Traccia che testi­
monia il lavoro dell’artista, narrando, come fu per gli
antichi viaggiatori del Grand Tour, la potenza creatrice
del proprio sguardo, delle proprie mani, della propria
ragione critica, fino a compiere nella sua forma più alta
il nostro viaggio.
In Marisa Albanese si può cogliere, attraverso la leg­
gerezza del tratto, tutto il “peso” del nostro tempo, del­
la vita in transito, nonché l’essere in viaggio.
L’analisi delle opere di Roberto Marchese si pone, in­
vece, oltre la moderna condizione globalizzata con la
presentazione di oggetti archeologici reinventati (og­
getti in cemento ricavati da calchi di vecchi televisori
e componenti strutturali di luoghi dismessi), spesso
utensili-artefatti nati dal riuso di materiali trovati (sorta
di doppio ready made) che aprono la riflessione su una
rinnovata memoria futura, riferibile a una immagina­
Traslazione
(5 Luglio 2014)
Il mio vuole essere un inno alla vita, quella no­
stalgica, relegata nel mio cuore e nella mia men­
te, ma oggi, sempre più che mai viva e splendente
come i raggi di quel bel sole, che in età di ‘fanciul­
lezza piena’, mi riscaldava illuminando e forgiando
il mio cuore e la mia mente indelebilmente. Io mi
sono sempre sentito e mi sentirò sempre parte viva
ed integrante della mia incontaminata ed ancestrale
isola di Pithecusa, così come la citavano gli antichi
greci, colonizzandola con i primi insediamenti. Io,
ora sentendomi particolarmente depresso e afflitto,
mi trasfiguro ed avviene la traslazione del mio in­
tero corpo e subitamente mi ritrovo in compagnia
dei ‘miei’ bianchi e maestosi gabbiani a svolazzare
con leggiadria sui litorali, ora scoscesi, di rocce di
tufo verde alternate a rocce di tufo nero e grigio, e
amene ed incantevoli piccole spiaggette di finissima
sabbia, nella quale è dolcissimo affondare le nude
estremità del corpo che vibra intensamente di un’e­
mozione incontenibile.
Ora, in compagnia svolazzo sfiorando l’azzurra
cupa turchese distesa marina, a tratti solcata da rom­
banti natanti ed incantevoli e leggiadre barchette,
dove mi è infinitamente dolce abbandonare, esta­
siandomi le mie stanche membra, ora in compagnia
ria civiltà postindustriale. Marchese si avventura poi
in un “viaggio onirico” con il ciclo fotografico intitola­
to New York, una registrazione temporale di immagini
catturate nelle aree periferiche di Napoli, che accen­
tuando il senso quasi visionario di zone dove convivo­
no agglomerati edilizi in cemento, fabbricati in lamiera
dismessi e scorci desolanti, zone intaccate dal vuoto,
rivendicano “il potere dell’immaginazione” in un pae­
saggio apocalittico.
Marchese esplora terre e “territori” alla ricerca di
codici non completamente decodificati, ma che siano
anelli di congiunzione di due grandi blocchi culturali,
quello contadino e quello del capitalismo post-indu­
striale, ponendo l’accento sulle contraddizioni tra luo­
ghi urbani e quelli rurali in una logica di catalogazione
e destrutturazione degli oggetti che sono appartenuti
o appartengono alla collettività. Nell’epoca in cui il
mondo si sperimenta, Marchese si muove nello spazio
eterogeneo della modernità, “dal quale siamo chiamati
fuori da noi stessi, nel quale si svolge concretamente
l’erosione della nostra vita, del nostro tempo e della
nostra storia” citando Foucault. (M.C.)
di altri maestosi gabbiani svetto nell’azzurro terso
cielo, infinitamente maestoso, tessendo ritmici voli
che volutamente mi riportano a sorvolare le pendi­
ci, i dolci, lussureggianti di vegetazione, pendii ed
amene dolci vallate del monte Tifeo (Epomeo), do­
minante tutt’intorno l’intera isola d’Aenaria (latini),
con le sue numerose e saluberrime fonti di acque
termali. Di fronte, s’erge scorgendosi nitidamente il
maestoso Vesuvio, dominante l’incantevole golfo di
Napoli, con Castellammare e la splendida costiera
amalfitana, e la mitica e molto frequentata isola di
Capri, con i suoi suggestivi faraglioni, sulla destra.
A sinistra, i campi flegrei e più in là la città di Ga­
eta, infine a nord-ovest, in lontananza dove il cielo
pare immergersi nel ‘mio’ mare turchese, avvolta da
una leggera foschia, l’isola di S. Stefano, Ventotene
e Ponza: meraviglia dell’ancestrale creato!!!
La mia traslazione, ahimè volge al termine, si
sta esaurendo, tutto svanisce come di incanto e mi
ritrovo nella mia poltrona a casa: cielo plumbeo e
uggioso, piovoso, con tanta nostalgia, ma rinvigori­
to nell’animo da quelle energie che solo grazie alla
traslazione nella ‘mia’ isola di Pithecusa, ho potuto
riacquistare. Resta la nostalgia, ma presto, se vor­
rò, ritornerò a volare con il mio maestoso gabbiano
sull’isola d’Aenaria e in tal modo ritornerò a vivere
la mia vera vita nel mio vero mondo.
Gaetano Ponzano
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
23
"Educare"
al tempo della rete
di Carmine Negro
In un recente articolo1 Massimo Cacciari ha trattato dell’intimo legame che unisce la filosofia
(amore per la sapienza) alla filologia (interesse per lo studio delle parole) e dell’attenzione che
la prima pone nel comprendere
e ordinare il linguaggio in cui tutti viviamo e che continuamente
trasformiamo. Egli si è chiesto
quale sfondo rivela il termine filosofia e quali siano le sue radici.
Cosa significa sophia, sapere o
sapienza, che il filosofo “ama”
e sente come un suo problema,
una sua cosa, chiamandolo radicalmente in causa. Anche se
inventato da Pitagora, questo
termine, fu espresso in modo
compiuto, per primo, da Eraclito,
per il quale “Per diventare filosofo è necessaria la “historei” cioè il
vedere molto, il conoscere molto,
il fare esperienza diretta di molte
cose oltre al saper collegare (col
logos) i dati raccolti attraverso
l’esperienza (historìa). Quindi il
filosofo è colui che fa esperienza
diretta delle cose e poi le sa rendere chiare, cogliendone il senso, armonizzando il molteplice.
Napoli mercoledì 23 luglio ore
18.20. L’ascensore prospiciente
il Tunnel della Vittoria che porta a
piazza Plebiscito è chiuso. Quanti devono raggiungere la piazza
sono costretti a percorrere la
scala che da via Acton immette
su via Cesario Console da cui si
raggiunge il grande spiazzo su
cui si affaccia il Palazzo Reale.
Faccio questo percorso condivi1 Cercando Sophia tra eros e logos
Repubblica 18 luglio 2014 pag. 35
24 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
dendolo con un nutrito gruppo di
turisti alcuni giovani, altri molto
meno. Sulla scala siamo investiti da una pioggia di acerbi frutti
strappati dalle palme e lanciati
da un piccolo gruppo di ragazzi
che subito dopo il lancio scappa
biascicando ad alta voce parole
tronche. Raggiunto il resto del
branco tutti corrono lungo i giardinetti che delimitano la strada
prima di dividersi velocemente
in piccole unità per ricercare una
nuova attività, impegnarsi in una
nuova azione di disturbo, passare il pomeriggio senza dare un
senso al proprio tempo, dove lo
spazio è un’appendice del proprio corpo. La maggior parte dei
ragazzi ha tra le mani un cellulare più o meno complesso con il
quale anche nei momenti di baldoria collettiva sente il bisogno di
interfacciarsi.
I dati più recenti relativi all’accesso a Internet riportati nell’indagine Istat, Cittadini e nuove
tecnologie2, segnalano che nel
2013 è aumentata rispetto all’anno precedente la quota di famiglie che dispone di un accesso
ad Internet da casa e di un personal computer3. Nel 2013, oltre la metà delle persone di età
superiore ai 3 anni (il 54,3%)
utilizza il personal computer e
oltre la metà della popolazione
di 6 anni e più (il 54,8%) naviga
su Internet. Rispetto al 2012, è
sempre più diffuso l’uso del personal computer in tenera età: tra
2 http://www.istat.it/.../Cittadini_e_nuove_
tecnologie_anno-2013.pdf?...Cittadini...
3 Rispettivamente dal 55,5% al 60,7%, dal
59,3% al 62,8%
i piccoli di 3-5 anni l’uso del pc
registra gli incrementi maggiori4.
Per quanto riguarda la frequenza
d’uso è importante rilevare che il
34,1% delle persone di 3 anni e
più usa il pc tutti i giorni mentre il
33,5%5 di quelle di 6 anni e più si
connette al web quotidianamente. Internet si rivela sempre più
un importante strumento di comunicazione e di partecipazione.
L’evoluzione di Internet ha condotto ad una spiccata crescita
della possibilità di interagire con
gli altri con l’e-mail (l’81,7%degli
utilizzatori di 6 anni e più si è
collegato per spedire o ricevere
e-mail), i social network e le telefonate in rete. Se il 49% degli
utenti continua ad usare forme
più tradizionali di comunicazione
tra internauti come inviare messaggi su chat, blog, newsgroup
o forum di discussione online,
contestualmente si assiste ad un
incremento di circa 5 punti percentuali della quota di persone
che partecipano a social network
come Facebook, Twitter6 o consultano un wiki7 e di circa 3 punti
percentuali di quanti effettuano
telefonate e/o videochiamate
attraverso la rete8, facilitati dal
fatto che l’ambiente web è multitasking9 e offre molteplici possibilità e affordances10. Una analisi
4 Passando dal 17,4% del 2012 al 23,3%
5 In aumento dal 29,5% del 2012
6 Dal 48,1% al 53,2%
7 Dal 53,8% al 58,7%
8 Dal 31,6% al 34,5%
9 Multitasking (multiprocessualità) per­
mette di eseguire più programmi contem­
poraneamente (http://it.wikipedia.org/wiki/
Multitasking).
10 Con affordance si definisce la qualità
comparativa dei dati Istat degli ultimi anni ci consente di affermare che gli incrementi più rilevanti
nell’uso di internet hanno riguardato gli usi relazionali del web anche perché i diversi ambienti
web sono diventati tutti ambienti di relazione. Non
sfugge ad osservatori attenti che come molti siti e
servizi a partire da Youtube e Skype hanno adottato negli ultimi anni un format da social network.
Varie ricerche, come quella diretta dalla prof.ssa
Chiara Giaccardi sulle modalità relazionali in rete
dei giovani tra i 18 e 24 anni confermano l’assoluta rilevanza degli usi relazionali da parte degli
utenti del web, soprattutto quelli più giovani11.
L’esperienza del web è dunque una esperienza prioritariamente relazionale di cui possiamo
evidenziare almeno tre aspetti salienti. Il primo
aspetto ci dice che l’esperienza relazionale è
concentrata sul qui e sull’ora, intimamente legata
all’emergere di una “coscienza nucleare”12,13. Si
tratta di una esperienza attenta a monitorare lo
svolgimento contingente di quanto avviene, a misurare la significatività di quanto avviene per il sé,
a scorgere tatticamente i punti e i toni più adatti
per un intervento personale. In secondo luogo si
tratta di una esperienza articolata da forme narrative deboli, da microsequenze ricorsive e da frammenti discorsivi che non possono organizzarsi in
racconti di portata ampia o in discorsi completi.
In terzo luogo si tratta di una esperienza che richiama e costituisce un sé che espone costantemente (per quanto in forme e gradi differenti) la
propria intimità, e dunque un sé che si costituisce
attraverso una “estimità”14 – un sé esposto e spetfisica di un oggetto che suggerisce a un essere umano le azioni
appropriate per manipolarlo (http://it.wikipedia.org/wiki/
Affordance). 11 Chiara Giaccardi (a cura di), Abitanti della rete, Vita e
Pensiero, Milano 2010
12 Antonio Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi, Milano
2000
13 In prima approssimazione, la coscienza può essere definita
come “presenza all’essere”: presenza di un qualche contenuto a
un ente che ne fa esperienza diretta e immediata (non-mediata).
Si può essere coscienti di un suono, di una luce, di un odore
particolare, della presenza di una persona o di un animale o
dell’accadere di un evento qualsiasi; ma è anche possibile
essere coscienti (o rendersi conto) di una sensazione piacevole
o dolorosa, di provare un’emozione o un sentimento, ecc. http://
www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=coscienza.html
14 Molto interessante il conio di quel vocabolo “estimità”
(psichiatra e psicanalista Serge Tisseron), che si contrappone a
“intimità”. Deriva dal latino ‘extra’, ‘exterus’ ed ‘exter’, di cui
c’è il superlativo “extimus”, in tutto uguale al superlativo di
‘intra’, che fa ‘intimus’. Ma mentre ‘extimus’ è stato soppiantato
da “extremus” nel passaggio in italiano, con significato che poco
o niente ha a che vedere con l’”esterno”, ‘intimus’ quel senso l’ha
mantenuto. E così Tisseron con ‘estimità’ recupera una parola,
tacolarizzato nelle varie forme di presentazioni,
avatar, ruoli di gioco, ecc. Per il prof. Ruggero Eugeni, Docente di Semiotica dei media, Università
Cattolica di Milano, non si può in assoluto sostenere che questa esperienza sia automaticamente
e necessariamente collegata alle tecnologie e ai
linguaggi del web: ma si tratta senza dubbio del
livello primo dell’esperienza del web15.
La filosofa americana Marta Nussbaum nel volume “Non per profitto” sostiene: «Siamo alla ricerca di beni che ci proteggono, ci piacciono e ci
danno agio. Ma sembra che ci stiamo dimenticando dell’anima. [E per anima si intende] le capacità
di pensiero e immaginazione che ci rendono umani, e che fanno delle nostre relazioni qualcosa di
umanamente ricco, non relazioni di semplice uso
e manipolazione. Quando ci troviamo in società,
se non abbiamo imparato a vedere noi stessi e gli
altri in questo modo, a immaginare le reciproche
capacità di pensiero e di emozione, la democrazia è destinata a cadere, perché è costruita sul rispetto e la cura, e questi a loro volta sono costruiti sulla capacità di vedere le altre persone come
esseri umani, e non come oggetti ...»� L’appello
della filosofa americana sembra un invito ad un
impegno educativo di stampo umanistico, anche
nei confronti del web e dei soggetti che ne abitano
spazi e tempi.
La sfida educativa si configura oggi come impegno a dotare i soggetti, in modo particolare i
più giovani, della capacità di contestualizzare lo
spazio tempo relazionale all’interno di uno spazio
– tempo che il prof Ruggeri chiama esteso che ha
delle caratteristiche ben precise. Lo spazio – tempo esteso trascende e reingloba lo spazio - tempo
immediato; nasce da un ripensamento riflessivo
degli spazi – tempo immediati e relazionali per
costruire una storia coerente e globale, costituisce l’orizzonte interpretativo di quanto accade nel
presente relazionale, un indispensabile orizzonte
di senso che permette di esercitare pratiche di discernimento nell’immediatezza della relazione. La
forma esperienziale dello spazio – tempo esteso
implica la costruzione di una forma di “coscienza
autobiografica” e non più semplicemente “nucleare” con l’adozione di strutture narrative e di intreccio complesse e non più frammentarie e ricorsive. Un tale passaggio richiede un lavoro sul sé,
l’avvio e la coltivazione di una “confabulazione”
contrapposta a ‘intimità’ che manca nel vocabolario delle lingue
neolatine.
15 http://www.arcidiocesibaribitonto.it/pubblicazioni/articoli-online/abitanti-digitali.-educare-alla-consapevolezza-del-tempo-edello-spazio-in-rete
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
25
interiore che Ruggeri chiama “ruminazione” riflessiva e dunque il
passaggio da pratiche di estimità
a pratiche di intimità – che non
vuol dire assenza di relazione,
ma costruzione di una rete ricca
di relazioni interiori e con sé stessi.
Per lo sviluppo di competenze
volte alla costituzione di uno spazio - tempo esteso si potrebbe
utilizzare la capacità di costruire
e di seguire strutture narrative
e intrecci complessi come propone Paul Ricoeur nel volume
“Tempo e racconto”16. Il racconto è un grande modo che l’uomo
possiede per umanizzare il tempo, per abitare il proprio tempo
individuale, familiare, collettivo.
Si potrebbe implementare l’attività appena descritta costruendo
racconti che riutilizzano e rilavorano materiali web già esistenti. È quanto suggerisce Pietro
Montani nel testo “L’immaginazione intermediale”. Il volume
parte da una considerazione: in
che modo si può contrastare la
crescente indistinzione con cui i
media mescolano realtà e spettacolo, fatti reali e simulazioni
elettroniche? L’autore, utilizzando un confronto critico tra i diversi formati tecnici dell’immagine e
i differenti linguaggi della comunicazione audiovisiva, dimostra
che è possibile farlo. Un confronto ‘intermediale’, dunque, di cui il
cinema contemporaneo offre gli
esempi più convincenti, questo
tipo di racconti e i prodotti mediali che ne derivano mostrano
dal vivo il passaggio dal qui e ora
della relazione alla possibilità di
lavorare su intelaiature narrative
ampie: il montaggio intermediale
è una pratica di estremo interesse sotto questo aspetto17. Molti
aspetti del web vanno verso que16 Paul Ricoeur, Tempo e racconto, 3 voll,
Jaka Book, Milano, 1986-1988
17 Pietro Montani, L’immaginazione
intermediale, Laterza, Roma – Bari 2010
26 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
Laboratorio per bambini (Museo Madre)
Visita guidata al Museo Madre
sto tipo di rielaborazione; si tratta di narrazioni autobiografiche,
diari che mettono in scena una
elaborazione della propria storia
individuale; del meccanismo di
alcuni videogiochi di simulazione
che chiedono non solo il gioco in
diretta, ma una periodica riorganizzazione narrativa di quanto si
è svolto affinché quanto accade
abbia senso; da alcuni prodotti
di montaggio intermediale che
ricorrono nel web: un esempio
è l’iniziativa One day on earth
(http://www.onedayonearth.org/)
un grande film composto da centinaia di micro testimonianze su
quanto accaduto in un giorno
qualunque in moltissime zone
della Terra.
Basta conoscere i dati sulla
diffusione e l’utilizzo delle piat-
taforme digitali (Facebook ha
superato il miliardo di utenti con
più di 70 lingue e 2,7 miliardi di
like al giorno, ogni 60 secondi su
Youtube vengono caricati 4320
minuti di video e su Instagram
postate 3472 foto) per poter affermare che gli ambienti digitali
sono ormai entrati a pieno titolo
nel quotidiano delle giovani generazioni. Per poter affrontare
il problema da un punto di vista
educativo è necessario accostarsi senza pregiudizi al mondo del
digitale cercando di comprendere il significato che ha per chi lo
frequenta abitualmente, contribuire all’elaborazione dei significati e al riconoscimento di rischi
e opportunità legati all’ambiente
digitale da parte dei giovani accompagnandoli a cogliere ciò
che da una prospettiva solo interna riesce difficile, contribuire a rendere più “abitabile” l’ambiente
digitale18.
Questo lavoro di ricerca che si è interessato
principalmente a come educare alla consapevolezza del tempo e dello spazio in rete necessita
di una ulteriore indagine per consentire che i dati
possano essere decodificati in attività didattiche.
Un grande aiuto può essere fornito dalla riflessione sull’essenza meno spirituale della filosofia e
dal suo legame con la filologia e con la pratica
di vita che fin dall’età greca ha fornito il prototipo
di come intervenire sulle cose dopo averle rese
chiare e averne colto il senso. Sono gli scanzonati
ragazzi del branco, spesso impegnati in gesti incomprensibili, specchio del nostro contesto socioeconomico e culturale, inconsapevoli vittime di
una tecnologia che sembra poter contenere e realizzare qualunque cosa, i soggetti a cui rivolgere
le nostre maggiori attenzioni. Uno dei bisogni che
cercano di soddisfare in rete è proprio il bisogno
di realtà e in un mondo in cui non ci sono divieti e
non ci si scontra mai con un limite, in cui il confine
tra immagine e realtà diventa sempre più sfumato, ciò che si perde è proprio la realtà. Incontrarsi
in Rete, che non è solo un dispositivo tecnico da
utilizzare ma anche un luogo antropologico da
abitare e condividere, è la nuova frontiera di chi
opera nel mondo della formazione. Trasformare il
web in luogo di alleanza e di educazione dove si
18 Chiara Giaccardi Giovani: uso e appropriazione delle pratiche
sociali nella rete, Rivista di Scienze dell’Educazione, Pontificia
Facoltà di Scienze dell’Educazione, Anno L maggio/agosto 2013
(2013/2) pag.186-195.
Malazè: sei itinerari per i Campi Flegrei,
Neapolis, Puteoli, Baiae, Avernum,
Quartum, Mons et Prochyta
Sei itinerari per i Campi Flegrei, la terra del mito e dell’ar­
cheoenogastronomia: sono i luoghi che ospiteranno la IX
edizione di Malazè, l’evento dedicato al vino, alla cucina
e al turismo nell’area a nord di Napoli, che si terrà dal 6 al
16 settembre 2014. Ecco una sintesi di cosa verrà proposto
negli itinerari.
Nepolis. Viste guidate e iniziative nelle vigne del vulcano
degli Astroni; visite guidate all’Area Marina Protetta della
Gaiola, alla Grotta di Seiano e al Parco archeologico di Po­
sillipo..
Puteoli. Visita ai principali monumenti della città di Poz­
zuoli (tra evento allo Stadio Antonino Pio eccezionalmente
aperto per l’occasione); Ciclo Wine Tour gratuito tra le can­
tine; mostra di oggettistica di artigiani locali; escursione su
barca confiscata alla criminalità.
Foto didattica (Museo Madre)
impara a vedere con occhi diversi, si forniscono
criteri di discernimento e orientamento e soprattutto si accompagna a porre la questione irrinunciabile del senso.
Carmine Negro
Avernum. Visita alla Città Sommersa; Malazè per i Picco­
li con Agrigiochiamo al Giardino dell’Orco; escursioni tea­
tralizzate nella pseudo grotta della Sibilla sul lago d’Averno;
Cene in Vigna e Vigna Jazz; iniziative Slow Food.
Baiae. Escursioni in bici a Bacoli e visite guidate in barca
sul lago Miseno; escursioni al Monte Miseno e al lago Fusa­
ro; visite guidate ai monumenti (tra cui il Museo Archeolo­
gico dei Campi Flegrei, il Sacello degli Augustali e Piscina
Mirabile); visite e Cena in Vigna; escursione tra i filari di
cozze; mostre di pittura; presentazione libri.
Quartum. Caccia al tesoro tra i monumenti di Quarto;
aperitivo offerto dallo chef Marianna Vitale (Stella Miche­
lin) del Ristorante Sud e dall’associazione la Bottega dei
Semplici Pensieri; cena dei Cavalieri della Tavola Balorda
con lo scrittore Maurizio De Giovanni.
Mons et Prochyta. Percorsi tra i sentieri dei produttori di
vino e dei pescatori di Monte di Procida; visite agli antichi
cellai; presentazione di libri a Cappella ed escursioni all’iso­
la di Vivara, Procida.
*
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
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Sculture trecentesche
nel Museo Diocesano di Ischia
II Parte - Una nuova lettura del monumento Cossa
ErnestaMazzella
Nella sezione lapidea del Museo
Diocesano di Ischia si conserva un
interessante monumento funerario
della famiglia Cossa.
La famiglia Cossa fu una delle più
illustri e prestigiose della città di
Napoli e dell’isola d’Ischia. I mem­
bri della famiglia appartenevano ai
Seggi di Capuana e di Nido. Si inte­
ressarono di uffici amministrativi in
vasti distretti regionali ed eccelsero
in modo particolare nel settore nava­
le ed ecclesiastico.
I Cossa furono ricompensati dalla
Corona con assegni annui sin dal re­
gno di Carlo II. La loro fedeltà alla
casa d’Angiò fu un esempio raro.
L’origine della famiglia è ancora
oggi incerta. Il Mazzella scrisse che
la famiglia Cossa ebbe origine da
Aulo Cornelio Cosso, che nel 428
a. C. vinse il re dei Veienti, Larte
Tolumnio, offrendone poi le spo­
glie a Giove Feretrio1. Il De Pietri,
invece, opinò che la famiglia Coscia
fosse d’origine d’Ischia da cui trasse
lo stemma della gamba dalla forma
dell’isola: “Tolsero costoro il casato dalla patria, con ciò sia cosa che
quel che i latini dicano coxa, e’ toscani coscia, i greci dicono ischion,
forse perché quell’isola habbia sembianza d’una coscia humana, sì
che tanto val Coscia quanto Ischia,
onde questa famiglia trasse il nome,
l’insegne e l’origine”2. I Cossa, che
1 Scipione Mazzella, Descrizione del
Regno di Napoli, I ed. Stamperia dello
Stignola a Porta Reale, Napoli 1597, ed.
cons. Giovan Battista Cappello, Napoli
1601, pp. 630-631.
2 Francesco De Pietri, Dell’Historia
napoletana, Stamperia di G. D. Montanaro,
Napoli 1634, pp. 121-123.
28 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
Cappelle Cossa, Cripta, Castello Aragonese
acquistarono nel 1339-1340 l’isola
di Procida, sembra che fossero un
ramo distaccatosi dal tronco dei Sal­
vacossa. La differenza tra il lignag­
gio dei Cossa e quello dei Salvacos­
sa è di difficile individuazione nella
documentazione. La questione fu
discussa dai più attenti tra i genea­
logisti antichi, senza arrivare ad una
conclusione chiarificatrice.
Il primo esponente della famiglia
che portò in alto le fortune fu Ma­
rino, che morì probabilmente nel
1348, figlio di Stefano che l’Ammi­
rato definì come “valoroso huomo di
mare”3. Marino, sin dal 1323-1324
fu miles, cambellanus, familiaris;
nel 1324-1325 giustiziere di Ter­
ra di Bari; nel 1327 giustiziere di
Principato Citra. Nel 1327-1328 fu
nominato capitano delle galee di Ga­
3 Scipione Ammirato, Delle famiglie nobili
napoletane, vol. 1, Giorgio Marescotti,
Firenze 1580, vol. 2, Amadore Maffi,
Firenze 1651, II, p. 87
eta, Ischia, Amalfi, Castellamare di
Stabia, Positano e offrì una galea di
sua proprietà al servizio del re. Nel
1328-1329 venne nominato portola­
no di Principato e Terra di Lavoro; fu
giustiziere di Terra di Lavoro e con­
tado di Molise, definito olim iustitiarius Calabrie. Nel 1332-1333 fu
giustiziere di Basilicata. Nel 13331334 fu consiliarius et familiaris, e
giustiziere di Terra di Bari, suo luo­
gotenente fu un altro Cossa Ligorio
detto Abbas. Nel 1337 fu generalis
capitaneus et iustiarius di Terra di
Lavoro e contado di Molise. Nel
1338-1339 fu di nuovo giustiziere
di Terra di Bari. Nel 1340-1341 di
nuovo giustiziere di Terra di Lavoro
e del contado di Molise, succedendo
al congiunto Pietro Salvacossa. Nel
1345-1346 fu iustitiarius et generalis capitaneus in Calabria.
La realizzazione feudale dei Cos­
sa avvenne contemporaneamente
a quella dei Salvacossa, nel 1339-
1340, con Marino, al culmine di
una importante carriera di officialis.
Questi acquistò l’isola ed il castello
di Procida dai discendenti di Giovan­
ni di Procida ed altri possessi feudali
altrove. La posizione di grande auto­
revolezza che la famiglia conquistò
nell’età di Roberto e che si può dire
suggellata dall’introduzione nella
Corte regia di Marino, si consolidò
nell’età durazzesca.
I Cossa rientrarono in quelle fami­
glie della nobiltà verso le quali la
Corte di Gaeta fece una politica di
ampi favori, largheggiando in con­
cessioni anche di assegni.
Del monumento sepolcrale espo­
sto nella sezione lapidea4 attribui­
bile alla famiglia Cossa, si ignora
l’esatta identità dei defunti; dallo
stemma, poco leggibile, si evince
che apparteneva alla famiglia Cos­
sa. Il frammento costituisce la parte
residua di una lastra terragna, della
quale non si conosce la collocazio­
ne originaria dell’opera. La famiglia
Cossa vantava il patronato su alcune
cappelle nella Cattedrale del Castel­
lo come si apprende nella Relationes
ad limina del vescovo Inigo d’Ava­
los del 15985, e nella Cripta come ci
documentano gli antichi affreschi
in essa ancora esistenti, e l’Onorato
nel suo prezioso manoscritto6, ma in
mancanza di riscontri nulla si può
dire circa la sua provenienza. Anche
il Lauro documenta che la famiglia
4 Guida al museo diocesano di Ischia,
Grafiche Somma Industria Poligrafica,
Castellammare di Stabia 2002, pp. 18-19.
5 Cfr. Pasquale Lopez, Ischia e Pozzuoli
due diocesi nell’età della Controriforma,
Adriano Gallina Editore, Napoli 1991,
214-215. “Nella Cathedrale vi è la Cappella
di S.to Luise, S.ta Croce, S.ta Sofia, è Jus
patronato delli Coscia, si possiede per D.
Gio. Domenico Corbera, tiene di peso duc.
messe lette la settimana, rende in circa dicc.
60”; “Nella Cathedrale vi è la Cappella di
S.to Andrea, è Jus patronato delli Coscia. Si
possiede per D. Francesco de Polverino, ha
di peso una messa la settimana, et paga al
Capitolo d’Ischia carlini otto l’anno, rende
ogn’anno duc. 6. ”
6 Cfr. Ernesta Mazzella, L’“Anonimo”
Vincenzo Onorato e il Ragguaglio dell’isola
di Ischia, Gutenberg Editore, Salerno 2014.
Museo Diocesano, Sepolcro Cossa, Ischia
Cossa aveva lo jus patronato su al­
cune cappelle nella Chiesa degli
Agostiniani di Santa Maria della
Scala7, oggi attuale cattedrale8, la
Delizia affermò che la famiglia pos­
sedeva una antica cappella col titolo
di Santa Sofia nel borgo di Celsa9, il
Di Lustro scrisse che la cappella fu
ampliata per edificare la nuova chie­
sa dello Spirito Santo10.
7 Agostino Lauro, La chiesa e il convento
degli agostiniani nel borgo di Celsa
vicino al Castello d’Ischia, in “Ricerche
Contributi e Memorie”, atti relativi agli
anni 1944 – 1970, Centro di studi d’Ischia,
I ed. 1971, ed cons. Tipografia A. Cortese,
Napoli 1984, pp. 651 – 67.
8 Cfr. Agostino Di Lustro, Ecclesia maior
insulana. La cattedrale d’Ischia dalle
origini ai nostri giorni, Tipografia Punto
Stampa, Forio 2010.
9 Ilia Delizia, L’antico borgo marinaro
di Ischia Ponte in una pianta inedita del
1616, in “Napoli Nobilissima”, XIX,
Napoli 1980, p. 52.
10 Cfr. Agostino Di Lustro, I marinai di
Celsa e la loro chiesa dello Spirito Santo ad
La scultura era un frammento che
costituiva, come già detto, la parte
residua di una lastra terragna. Il de­
funto fu scolpito inscritto all’interno
di un’edicola trilobata sostenuta da
due colonnine e decorata lungo gli
spioventi con gattoni rampanti fo­
liacei terminanti in un acroterio. Il
giacente è rappresentato con le mani
incrociate sull’addome. Indossa sul
capo un elegante cappello e sfoggia
un abito con strette maniche chiuse
da una fila di bottoncini e al di sopra
un ricco mantello. Alla destra del de­
funto in basso si scorge il capo di un
fanciullo. Negli spazi di risulta tra
l’edicola e la cornice recisa spiccano
due stemmi uguali.
Nella scheda del catalogo della So­
printendenza11 il frammento fu pre­
sentato come: “la parte superiore di
Ischia, Tipolito Punto Stampa, Forio 2003.
11 Catalogo della Soprintendenza di Napo­
li, scheda della Curia d’Ischia n°1 .
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
29
un sarcofago a parallelepipedo in
quanto la mancanza di un margine
perimetrale coll’iscrizione lo escluderebbe dalla tipologia di lastra
terragna”. In effetti il frammento è
stato privo dell’iscrizione in quanto
fu tagliato, ecco perché si nota “la
mancanza di un margine perimetra­
le coll’iscrizione”; inoltre, presenta
tutte le caratteristiche tipologiche
di una lastra terragna12. La lastra del
Cossa è stata attribuita erroneamente
dal Di Meglio al monumento di Gio­
vanni Cossa, padre di Baldassarre,
papa col nome di Giovanni XXIII,
collocato un tempo nell’antica Cat­
12 Cfr. Jörg Garms, Lastre, in
Enciclopedia dell’Arte Medioevale, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana fondata da
Giovanni Treccani, voll. X, Roma 1999,
pp. 543 – 547; Nicolas Bock, Sarcofago,
in Enciclopedia dell’Arte Medioevale,
cit, voll. X, 2000, pp. 364 – 368; Lucia
Morganti, Sepolcro, in Enciclopedia
dell’Arte Medioevale, cit., voll. X, 2000,
pp. 533 – 543;Valentino Pace, Morte a
Napoli. Sepolture nobiliari del Trecento, in
Reginale Aspekte der Grabmalforschung a
cura di W. Schmid, Trier 2000, pp. 41 - 62.
30 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
Fonte battesimale, Cattedrale Ischia
tedrale del Castello13. Oggi alcuni
frammenti superstiti della tomba
di Giovanni Cossa compongono il
fonte battesimale nell’attuale Catte­
drale. Il Di Meglio affermò che: “un
frammento dell’urna funeraria a
bassorilievo, rappresentante lo stesso Giovanni Cossa disteso a figura
intera, con abiti di governatore e
con tanto di spada a fianco. L’urna,
attualmente conservata nell’ingresso del Seminario di Ischia Ponte”.
Dell’urna di Giovanni Cossa non
resta purtroppo nessun frammento.
La descrizione dell’opera di Gio­
vanni Cossa ci fu documentata nel
manoscritto di Vincenzo Onorato14,
la quale descrizione dà prova che
quest’opera non poteva appartenere
alla tomba di Giovanni Cossa.
Il frammento è stato pubblica­
to dalla studiosa Ilia Delizia con
13
Giovanni Di Meglio, Il papa
sanguinario, vita di Giovanni XXIII,
Edizione Officina Ischitana delle Arti
Gafiche, Ischia 2003, pp. 21 – 22.
14 Ernesta Mazzella, L’ “Anonimo”
Vincenzo Onorato op.cit., pp. 192, 237.
la qualificazione di: “lastra di
condottiero”15, ma la foggia dell’a­
bito si addice più ad un mercante o
ad un armatore, anziché ad un con­
dottiero. Non v’è prova che il de­
funto sia stato un “condottiero”. Al
lato destro del defunto si scorge il
capo di un fanciullo. Doveva essere
un figlio del defunto, morto in tene­
ra età, e sepolto insieme al padre.
Analogo caso si riscontra in diversi
monumenti napoletani, ad esempio
la tomba di Guglielmo di Brussaco
in San Lorenzo Maggiore in Napo­
li. L’assetto generale della sepoltura
è piuttosto comune nella sepoltura
funeraria napoletana del Trecento16;
a riscontro si possono richiamare le
sepolture di Ludovico e di Ranuccio
Dentice in San Domenico Maggiore
15 Ilia Delizia, Ischia l’identità negata,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1987,
foto 100.
16 Ernesta Mazzella, Sculture trecentesche nel
Castello d’Ischia, in “La Rassegna d’Ischia”,
XXI, (2011), 1, pp. 6-10; Idem, Tipi e forme
della scultura funeraria a Ischia in età angioina,
in “Ricerche Contributi e Memorie”, Centro di
Studi d’Ischia, vol. IV, in c.d.s..
(†1349). L’opera è condotta con di­
screta padronanza tecnica.
Della tomba, invece, di Giovanni
Cossa, insigne personaggio della
nostra Isola, si custodiscono alcuni
marmi, come già affermato, i quali
insieme ad altri compongono l’at­
tuale fonte battesimale nella Catte­
drale di Ischia.
Giovanni Cossa nacque nella prima
metà del XIV secolo. Fu figlio del
celebre Marino Cossa che percorse
una brillante carriera al servizio di
Roberto d’Angiò. L’Ammirato lo
pose tra i “viris maritimae militiae
peritissimis et plurium triremium
dominis”17.
Giovanni Cossa, secondo signo­
re di Procida, sposò Cicciola Bari­
le, sorella del Conte di Monderiso,
imparentati con il papa Bonifacio
IX (Pietro Tomacelli). Ebbe quattro
figli: Pietro, conte di Bellante negli
Abruzzi, ammiraglio della regina
Giovanna II; Gaspare signore d’I­
schia, ammiraglio pontificio; Bal­
dassarre eletto papa con il nome di
Giovanni XXIII; Marino marescial­
lo del Regno. Giovanni Cossa nel
1341-1342 ebbe in possesso l’isola
di Procida, che era stata venduta al
padre nel 1339 da Adenolfo di Pro­
cida di Salerno figlio ed erede di
Giovanni di Procida; il valore an­
nuo della rendita era di 40 once. Nel
1346-1347 ricevé l’assecuratio dai
vassalli per il possesso di Procida e
Vivara, essendo morto il padre. Nel
1382 con un privilegio di Giovanna I
e poi con uno di Carlo III di Durazzo
gli venne confermato un assegno di
40 once. Nel 1384-1385 ottenne da
Margherita di Durazzo l’esenzione
dal pagamento dell’adoha in quanto
signore di Procida, in considerazio­
ne del fatto che due suoi figli forniti
di armi e cavalli servivano in Puglia.
La data sicura di morte di Gio­
vanni Cossa non si conosce. Il De
Pietri trascrisse: 134718, Ughelli:
17 Scipione Ammirato, Delle famiglie
nobili op. cit., pp. 85 ss.
18 Francesco De Pietri, Dell’Historia
napoletana op. cit., pp. 121-123.
138819, il Volpicella 134320 e l’O­
norato 139721. L’iscrizione registra­
ta dall’Onorato è la seguente: “tra i
miei scritti ho trovato la copia tirata
dal suo originale in lettere gotiche:
Hic jacet corpus viri magnifici Joannis Cossae ab Iscla militis Prothontini et cetera insulae Prochitae domini, qui obiit Isclae anno Domini
MCCCXCVII die IIII Augusti V Indic; cuius anima requiescat in pace
amen”22. L’Onorato lascia intendere
che nei primi dell’800 il monumento
non presentava più l’assetto origina­
le, in quanto per la tipologia dell’o­
pera l’iscrizione doveva essere ver­
gata sulla fronte dell’arca.
Del monumento attualmente si
conservano tre Virtù e quattro co­
lonne tortili con capitelli.
Il De Pietri nell’Historia napoletana, edita nel 1634, lo registrò: “Nel
Duomo d’Ischia in un superbo monumento di marmi sostenuto da colonne leggiamo…”23. L’ubicazione
e la forma originaria dell’opera non
si conoscono. L’Onorato scrisse che
“da sopra la porta maggiore della
Cattedrale (dove poi fu costruito
l’organo) e cominciando dal pavimento ci era eretto il bello e dispendioso mausoleo di Giovanni Cossa,
il di cui tumulo stava sito nel mezzo
e al disopra della porta”. In seguito
l’urna fu spostata al lato della detta
porta su quattro colonne. Sempre
l’Onorato ricorda che: “Giovanni su
la facciata della sudetta urna stava
a bassorilievo ben intagliato e disteso, ma in figura di generale e di
giacente e con spatange ben lunga
al lato”. Nel 1809 infine fu distrut­
to a causa del conflitto tra inglesi e
19 Ferdinando Ughelli, Italia Sacra sive de
episcopis Italiae, voll. 10, cura et studio di
N. Coleti, Venezia 1720, VI, p. 234.
20 Scipione Volpicella, Gite, estr. dall’Albo
Artistico Napoletano, pubblicato a cura di
Marino Lombardi, Napoli 1853, p. 120.
21 Ernesta Mazzella, L’“Anonimo”
Vincenzo Onorato op. cit., p. 237.
22 Idem
23 Francesco De Pietri, Dell’Historia op.
cit., pp. 121-123.
francesi. Nel 1810 circa per volere
dell’arciprete Raffaele Onorato fu­
rono salvati i pochi resti e riutilizzati
per costruire il battistero nella nuova
Cattedrale. Nel 2007 è stato oggetto
di restauro a cura di Massimiliano
Sampaolesi.
Il monumento Cossa fu studiato
dall’Algranati, la quale riconduce
l’opera alla scuola di Tino di Ca­
maino e scrive: “le tre figurine femminili … ci riconducono senz’altro
alle alate figure di Tino di Camaino,
poste a sorreggere il sepolcro di
Maria di Valois”24. L’Algranati con­
ferma il giudizio in base alla data di
morte del 1346 fornita dal De Pietri.
In seguito l’Alparone scrive che “il
castellano Giovanni Cossa venne
sepolto in una tomba uscita dalla
bottega dell’abate Antonio Baboccio da Piperno” evidenziando le
forti somiglianze nel panneggio tra
le Virtù Cossa e, gli angeli reggicor­
tina e l’analogia del volto delle Virtù
nel monumento Aldomoresco nella
chiesa di San Lorenzo Maggiore25.
In realtà le Virtù Cossa trovano
più strette analogie con le Virtù che
costituiscono parte del sepolcro di
Giovanna d’Angiò duchessa di Du­
razzo e di Roberto d’Artois, 13831393 circa, collocato nella chiesa di
San Lorenzo Maggiore, degli ultimi
decenni del Trecento.
Le quattro colonne tortili decorate
nelle scanalature da rami fioriti sono
coronate da quattro capitelli diversi
per grandezza e forma. È probabile
che questi provengono da altri mo­
numenti, e adattati a formare l’at­
tuale battistero insieme alle restanti
parti del monumento Cossa. Solo
un capitello di reimpiego potrebbe
24 Gina Algranati, Ischia, I ed. Istituto
italiano d’arti grafiche, Bergamo 1930,
ed. cons. a cura di Ilia Delizia, Editore
Tommaso Marotta, Napoli 1994, p. 79.
25 Giuseppe Alparone, Sculture del Medio
Evo ad Ischia, in “Ricerche Contributi
e Memorie”, atti relativi agli anni 19441970, Centro di Studi d’Ischia, I ed. 1971,
ed. cons. Tipografia A. Cortese, Napoli
1984, pp. 391-397.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
31
essere del monumento di Giovanni
Cossa per la presenza dello stemma
della famiglia. Un altro capitello
porta su un lato lo stemma Cossa e
su di un altro uno stemma diverso
non identificabile. Altri due capitelli
simili sono di età diversa26.
Ringrazio l’arch. Nicola Mattera del
Castello Aragonese per avermi con­
cesso di pubblicare alcune foto.
Ernesta Mazzella
26 Questo mio studio è stato esposto
nella conferenza dal titolo “Tipi e forme
della scultura funeraria a Ischia in età
angioina”, svoltasi presso l’Aula Magna
della Biblioteca Antoniana d’Ischia, il
22 ottobre 2010, presieduta dal Prof.
re Francesco Aceto, ordinario di Storia
dell’Arte medievale, presso l’Università
degli Studi di Napoli “Federico II”.
Cappella, Cripta, Castello Aragonese
Capitello con stemma Cossa e altro stemma non identificabile, Cattedrale, Ischia
Anonimo scultore, Virtù, Cattedrale, Ischia
32 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
Capitello con stemma Cossa, Cattedrale, Ischia
Colligite fragmenta, ne pereant
Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia
A cura di Agostino Di Lustro
Il Convento e la Chiesa
di San Domenico di Ischia
II
Il Seminario d’Ischia iniziò la sua attività nel 1740,
fortemente voluto dal vescovo Nicola Antonio Schiaf­
finati, come egli stesso scrive nella relazione ad limina
del 1° dicembre 17411. Poiché il testo della relazione
è ancora inedito, mi sembra opportuno trascrivere il
passo che si riferisce a questo aspetto della vita della
chiesa d’Ischia durante l’episcopato di tale vescovo.
A.S.V. Archivio della Congregazione del Concilio
Relazione del vescovo d’Ischia
fra Nicola Antonio Schiaffinati O.E.S.A.
Caput VI: De Seminario Clericorum
f. 33
Nullum unquam in hac Diecesi Predecessores Episcopi Seminarium erigere potuerunt. Et quamquam elapsis
annis duo parvi conventus suppressi fuerint unus nempe
Fratrum Eremitarum S. Augustini in oppido Forigij, et
unitus fuerit, sacra ista congregatione approbante, seminario in posterum erigendo, alter videlicet Fratrum
Predicatorum in Villa Campaniana, attamen, ut superius
exposui uniones prefate suum non sunt sortite effectum,
quem ut sortiatur, desideratur Consilium, et authoritas
f. 34
EE.PP. Cum ergo initio mei Presulatus deprehenderim
Ecclesiasticorum laxam effranatamque vivendi rationem, perditos mores et ignorantiam undique grassantem
originem duxise ex quo preterite ordinationes peracte
fuerunt sine delectu, sine disciplina, nulloque ad canones
respectu habito, existimavi nullo alio potentiori remedio
malis istis mederi posse, quam seminarium erigendo, ubi
Deo dicata Juventus in recta Ecclesiastica disciplina, ac
piis operibus instituetur. Omnem igitur cogitatum in Do1) Il vescovo Nicola Antonio Schiaffinati fece la sua prima visita
ad limina nel giugno 1739 ma, forse, non presentò la relazione.
Per la seconda visita, effettuata di persona, chiese ai Padri della
S. Congregazione del Concilio, come certifica un attestato di Don
Gregorio Albani vicario della patriarcale basilica di S. Paolo fuori
le Mura di Roma, una dilazione nella presentazione della relazione
che presentò, successivamente, il 1° dicembre 1741.
minum jactavi, ut media opportuna mihi ministraret pro
tam pio opere perficiendo, et intercedente B. M.a V. Boni
Consilij factum est, ut suppliciter me petente a S. M. Clemente XII erogationem hereditatis Predecessoris mei2 in
erectione novi Seminarij benigne petitis annuit, Quare de
summa ducatorum bis mille in qua consistebat spolium
predictum; cum consilio Deputatorum ad formam S.C.J.
electorum mei3 in hac civitate quandam domum pro ducatis bismille, e tercentum, quorum mille, et centum fuerunt soluti in pecunia numerata, ceteri vero fide habita
pro certo tempore solvendi. Alij mille erogati fuere in
novo aedificio costruendo, quod nondum est perfectum,
quamquam plusquam quator centum ducatos de proprijs
redditis subministraverim. Interim vero omnia peregi ad
formam Apostolicarum Constitutionum pro nova erectione et taxam confeci pertingentem ad ducatos centum triginta annuos . At concurrentibus quamplurimis Clericis,
qui desiderio ardebant in Ecclesiastica disciplina institui,
eis pro Seminario adsignavi quoddam Palatium Episco2) Il vescovo Giovanni Maria Capecelatro morì nella villa vesco­
vile del Cilento in Ischia l’8 dicembre 1738 (C. d’Ambra, Ischia
tra cultura e fede, Torre del Greco 1998 p. 75 ). Una memoria sulla
sua morte e sulla eredità, si può leggere in: Notai sec. XVIII scheda
n. 28 del notar Giovan Carlo Milone di Forio prot. n. 38 ff. nn.
dell’anno 1738. Copia della supplica del vescovo Schiaffinati al
papa Clemente XII per utilizzare, a beneficio del seminario, l’e­
redità di Mons. Capecelatro è inserita in un quinterno a parte, tra i
fogli 136 e 137 del protocollo n. 28 della scheda notarile n. 161 dei
Notai sec. XVIII del notar Orazio Maria Critari di Napoli. Anche
il Capitolo, a sua volta, ne inoltrò una simile il 4 settembre 1739,
copia della quale è inserita nello stesso quinterno.
3) L’atto di compravendita fu stipulato, come già accennato, dal
notar Orazio Maria Critari di Napoli e si trova nello stesso pro­
tocollo del notar Critari citato nella nota precedente. Fu stipulato
nel convento agostiniano di Napoli di S. Agostino alla Zecca tra
D. Giovanni Battista Gargiulo e il Padre Baccalaureo Francesco
Pirucchetti, agostiniano, procuratore con mandato speciale del ve­
scovo Nicola Antonio Schiaffinati. Il padre Francesco Pirucchetti
per alcuni anni è vissuto nel convento di S. Maria della Scala di
Ischia e ha messo ordine nell’archivio del convento, soprattutto nel
ricco fondo pergamenaceo. A Lui si devono anche alcune Platee
sui beni del convento, oggi conservate nell’Archivio di Stato di
Napoli (ASN) nel fondo Corporazioni Religiose Soppresse (CRS).
La Platea corrente, conservata nell’Archivio Storico Diocesano di
Ischia (ADI) fa continuo riferimento all’ordinamento delle carte
dell’archivio effettuato dal Padre Pirucchetti.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
33
pale satis Commodum, et instructum in vicinia Parochie
S. Dominici in quo morarent usque dum Seminarium perficeretur. Eis prefeci Rectorem, Magistrum Grammatice,
Lectorem Rhethorice, Philosophie, et Theologie moralis.
Numerantur ad presens viginti septem Seminariste qui
inibi morantur, et mirum est, quantum in litteris, et scientia Sanctorum in dies proficiant. Cum vero taxa statute
cuius solutio nunc completo
f. 35
anno fieri incipit non sit sufficiens ad alendos Alumnos,
univi Seminario aliquot Beneficia vacatura ad formam
S.C.T., et constitutionis S.M. Benedicti XIII que incipit
Credite Nobis pro cujus unionis approbatione presens
accepi ad pedes Santissimi Patris Benedicti XIV.
Non adsunt nunc Alunni nisi redditus majores accrescant,
quod brevi spero facturum, sed convictores, qui quotanni
respondent ducatos triginta sex, et expensis necessarijs
proprio aere suppleo.
Recte in Ecclesiastica disciplina instituunt et literis nimis
profectu vacant. Festis diebus Cathedrali inserviunt, et
in Ecclesia Parochiali S. Dominici provectiones Doctrinam Christianam docent. Pro Seminarij regimine duos
deputavi canonicos ad formam Sacri Concilij Tridentini;
illudque pluries hebdomada visito, et constitutiones servantj.
Il vescovo Schiaffinati, nell’istituire il seminario, non
prese alcun provvedimento nei confronti della parroc­
chia di S. Domenico e delle sue rendite da destinarsi al
seminario, come era stato stabilito al momento della
soppressione dai decreti della Sacra Congregazione del
Concilio nonché da altri interventi successivi. Neanche
nella relazione ad limina del successore Felice Amato
del 12 aprile 1747 risulta alcun provvedimento in que­
sto senso. Anzi, a proposito della parrocchia di S. Do­
menico, il vescovo scrive quanto segue: In villa Campaniana sistit Ecclesia Parochialis de libera collatione
sub titulo Sancti Dominici cum domo Parochiali, que
olim erat monasterium ordinis Predicatorum, situm
intra fines Parochie suburbij Celse, suppresso vigore
ultime Bulle, et ab Episcopo tunc temporis ad populi dicte Ville comoditatem, servatis, ipsa Ecclesia fuit
consentiente Parocho suburbij Celse ob annualem siti
prestandam corresponsionem ducatorum decem per
Parochum Sancti Dominici dismembrata, et in Parochiali erecta. Parochus habet annuos redditus ducatorum 40 preter stolam. Est supellectilibus sufficiens, et
laudabiliter provisa, et particulares redditus pro fabrica non habet, nisi Parochi curamento laudabiliter4.
Ma il seminario, organizzato e avviato con tanto en­
tusiasmo e tanti sacrifici dal vescovo Schiaffinati, ebbe
4) Cfr. relazione ad limina del vescovo Felice Amato del 12 aprile
1747.
34 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
vita brevissima perché dopo qualche anno fu chiuso.
Infatti fra Tommaso de Sio, agostiniano, rettore del se­
minario, fu costretto a partire per Roma per discolparsi
dalle false e ingiuste accuse mosse contro di lui da­
gli ambienti ostili all’apertura del seminario. Presto si
ammalò anche il vescovo Schiaffinati che fu costretto
a far ritorno nel suo antico convento di S. Giovanni
a Carbonara di Napoli. Qui egli morì il 15 febbraio
17435. Allora il seminario fu chiuso per mancanza di
docenti, che avevano interrotto l’insegnamento perché
privi di stipendio, e per le molteplici opposizioni che
si erano sviluppate intorno alla sua istituzione da varie
parti: capitolo, università, confraternite e altre istitu­
zioni. Queste tristi vicende ci vengono riferite con do­
vizia di particolari da una lunga pagina della relazione
ad limina ancora inedita del vescovo Felce Amato che
desidero riportare in questa sede per segnalarla all’at­
tenzione degli studiosi, anche se riveste una relativa
attinenza con la parrocchia di S. Domenico.
Archivio Sacra Congregazione del Concilio
Relazione ad limina del 12 aprile 1747
di Felice Amato vescovo d’Ischia
f. 279 r.
Quoad Seminarij verbum opus quidem in qualibet diecesi necessarium, utile, gloriosum si bene fieri potest hic
tamen multis ex causis negotium difficile, nam nunquam
a principio institutionis in cathedralem tot presidentibus
Episcopis extitit, sed anno 1739 secuta morte Presulis
fuit electus Antistes Frater Nicolaus Antonius Schiaffinati
Ordinis Eremitarum Sancti Augustini, qui Sancto magno
desiderio flagrans parum tamen cogitans de sumptibus
magis necessariis, et ad excogitati Seminarij fabricam
et ad multorum substentationem illud modo esplicando
cepit, ut voluit, de mense maij anni 1740 Et ipso Authore vivente, paulatim redeuntibus pueris in domo propria
correspondere non valentibus status annuos ducatos 36
pro unoquoque, fame etiam laborantibus, ac ludimagistrjs, et lectoribus hujusmet diecesis non assistentibus ob
defectu 0nerarij, terminare cepit mense dicembris 1742
quo tempore, magis aucthis querelis seminaristarum adversus F. Thomam de Sio ejusdem ordinis Santi Augustini
a principio deputatum rectorem bene gubernantem, non
sic pro pueris facente, et Episcopum illos non audiente.
Sive juste, sive iniuste multa querelarum Capita in Sacra
Congregatione, ut fertur, exposita fuerunt, quapropter,
seminarium relicto, Romam se defendendi causa Rector
venit, sicque deficientibus Magistris lectoribus, atque
alijs necessarijs pre dolore infirmitate Episcopum gravato. Et Neapolim ducto. ibique mortuo, finem habuit.
At ego optans non Seminarij nomen, sed rei, et virtutis
mense dicembris 1743 prima vice in hac diocesi ingressun faciens, seminariun sic ut supra descriptum de omni5) Cfr. C. d’Ambra, op. cit. p. 98.
bus destitutum repertum ipso bene habendo, omnes discessis Parochos et aliquos de Capitulo, et Clero vocavi
mea episcopali sub datum Ischie die 31 mensis januarij
1744 et coram me Congregatione habita super Seminarii negotio, a singulis eorum sensus, et inscriptis, et voce
aperientibus impossibilitatem Seminarii accepi.
Nonnulli namque parochi assevere, Seminarium non
substitisse, quia a principio male, et fraudolenter inceptum, non summa pro eodem absque consilio ab Episcopo
Schiaffinati indebite erogatum erat illa eadem quem sui
antecessor Episcopus Capicilatro vigore testamenti, et
inventarij in ejusdem ingressu facti, ac livelli ducatorum
200 quolibet anno e propria domo perceptorum, reliquit
ascendentem ad summam ducatorum 2000 et 46 libram
argenti cum dimidio cum alijs bonis mobilibus, omnibus
dispositjs partim pro ejus anima, parti pro honestis pauperibus orphanis puellis totius
f. 279 v.
diecesis, et in majori posse pro argento favore Cathedralis, et post mortem dicti Presulis, que pro capitularibus
erant, statim ipsi adimpleverunt, ceteri vero nummi cum
argento, ingressu Episcopi Schiaffinati propria authoritate erogati fuerunt in emptione cujusdam domus pro constructione descripti Seminarij, non obstante contrarietate
aliquorum de Capitulo, ac U.J.D. Francisci de Martino,
et Leonardi de Oro exequutor ultime voluntatis Testatorij
pro exequtione ejusdem.
Alij vero Parochi ex quo fuerunt, Seminarium non durasse, quia cum diecesis hec sit sita in parvula Insula que
de omnibus necessariis pro victu indiger et magno pretio
cibaria emantur, ipsum incipiendum erat sufficientibus
redditibus, qui alij non fuerunt, nisi sola convintor contributio ducatorum 36, et taxa beneficiorum ascendens ad
summam ducatorum 100 difficilis id circo adhuc debita
exta ceterique. Parochi predictis rationibus annuentes,
dixerunt etiam habitores hujus Insule pauperes existere,
exceptis paucissimis Neapolim studij causa pergentibus,
non est enim hic qui commode debitas expensa facere valeat, nihilominus aliqui Parentes desiderio, et amore habendi Presbiterum, premerunt se, et filium in Seminario,
cogente Episcopo, concluserunt, et subito taliter se angustiaverunt, quo aliqui honorem offenderunt, et aliqui pro
sustentandum in Seminario, multi fame in domo laborabant, et quinam bona alieniaverunt, et aliqui ornamenta
mulierum pignoraverunt, propterea ab incepto cessarunt,
et male educati paulatim ab illo exierunt, et quidam, quia
introducti, ordinati taliter fuerunt.
Aliqui ex Capitularibus narraverunt quod pro facta favore Seminarij unione beneficiorum hujus diecesi, quorum
annualis summa ascendit ad ducatos 260 super chartam,
et difficilis exactionis, Assensus Pontificis fuit ab Episcopo dolo impetratus; Episcopus enim Schiaffinati exposuit
se eregisse Seminarium prope cathedralem, quod distabat per medium miliare, et quod pejus nullam mentionem
fecit de prebenda Canononico Penitentiario assignanda de dictis beneficijsm et de alia facienda pro Canoni-
co Theologo in Cathedrali erigendo vigore Bulle clare
memorie Benedicti XIII. Denique omnes unanimiter antedictis, alijsque rationibus uniti asseruerunt summa ab
Episcopo Capicilatro relicta, fuisse frustra expensa, nam
Episcopus habens duo palatia, unum prope Cathedralem,
et alterum in suburbio in loco ubi dicitur al Cilento poterat cum assensu Pontificis illud circa cathedralem in
Seminarium, servatis tamen debite servandis, et magis
pensate erigere, et si locus erat, previa dispensatione totam summam ab Episcopo testatam in emptione annuo
rum reddituum applicare, ad hoc ut ex annuali perceptione decursu aliquorum annorum, et adimpleretur voluntas
Episcopi Testatoris, et in parte substentaretur Seminarium post decursum annorum sic prudenter
f. 280 r.
erigendum, quod secus factum fuit; Episcopus enim
Schiaffinati audiens tantum sententiam Primicerij Morgioni sub velo Seminarij procurantis lustrum sue domus
pro seminario costruendo quandam emit domum per medium miliare a Cathedrali distantem pro summa ducatorum 2.200 sic fraudolenter, ut fertur, appretiata, nam
eadem antecedenter a Possessore oblata fuit Francisco
Buonocore pro ducatis 1.000, et ab isto oblato pretio ducatorum 800 ut in actis (ut ex epistula sub datum Neapoli
I februarij 1745) et pro tali emptione soluti fuerunt in
pecunia numerata ducati 1.200 pro reliquis vero ducatis
1.000 Episcopus Schiaffinati absque assensu Apostolico
obligavit redditus mense Episcopalis per annum corresponsione ducatorum 40 promittens assensum impetrare
et instrumentum ratificare. Quod numquam toto tempore
sue vite fecit, quia errore facti contractus apertis oculis
cognoviti, et post ejus mortem numquam predicta annualis summa persoluta fuit Patronus empte domus tum
ob contractum nullum, tum ob enormissimam lesionem
in Ecclesie prejudicium non obstante facta pressione per
eosdem contra me apud Judices veritatem favore Ecclesie
cognoscentes Et data ab Episcopo Schiaffinati cura de
fabrica facienda in dicta domo pro Seminario Primicerio
Morgioni hic solum sui commodum, non autem Ecclesie
utilitatem querens, statim, et ante omnia demolire fecit
pecunia testatoris quandam Turrim vulgo un bel vedere
laterale ejusdem domus, que sistebat ante fenestras domus Primicerij impediens sibi lumen, et aspectum civitatis, quamtumvis ipsa Turris vigore appretij empta fuit
ducatis 300 inclusis in summa predicta.
His et tot alijs rationibus non obstantibus, seminarij ego
optans, etsi memoris habebam, quod primus, qui mecum
sermonem habuit de male acto Seminario Isclano, et impossibilitate ejusdem, fuit Eminentissimus et Reverendissimus Dominus Cardinalis Spinelli metropolitanus conscius de actis, et de facto recursu, dum Neapolim in principio eram, solus non valens remittere, alia mea hortatoria epistula sub datum de 9 mensis martij 1744 Parochis
diecesis directa enixe omnes representates universitatum
rogavi, ut pro tanto opere merito laudabile quilibet locus
ex duodecim quolibet anno corresponderet summam duLa Rassegna d’Ischia n. 4/2014
35
catorum 60 sic conflante summam ducatorum 720 cum
facultate ponendi respective Alumnum ad numerum duodecim promittens ego servatis debite servandis Palatium
prope Cathedralem pro Seminario duobus exceptis domunculis pro Episcopi, aliquid plus ultra taxa singulis
annis corrispondere, et pueros etiam instruere Responsio
in scriptis mihi data presertim ab universitate Terre Forigij fuit ipsos non posse propter univeritatem angustias,
de quibus omnibus in hac curia documenta conservantur.
Predictis igitur actis, et auditis resolutionibus in scriptis
mihi datis tam a parochis quam ab Universitatibus perijt
Seminarij nomen, et domus et domus male et imperfecte
constructa est pro illis de Gargiulo, Patronis, et beneficia
vacate que vigile facte expositionis mea episcopali Illustrissimum, et Reverendissimum Dominum Domini Nostri
Datario, credebam, penitentiarie unienda vigore Bulle
aliter ut supra provisa fuere. Et fructus Ecclesie quinque
mensium, scilicet a die mortis Presulis Schiaffinati usque
ad diem
f. 280 v.
expeditionis Brevis pro capienda possessione, et gratia
Sanctissimi Domini Nostri Benedicti XIV ad meas umiles
preces donati in subsidium Seminarij, suppliciter exoravi
illud desideran, et credens longe prudenter constructu,
servatis debite, secondis meis precibus, et ejusdem gratiam mihi liberati fuere ascendentes vere percepti ad
summam ducatorum 170 detractis ducatis 68 solutis in
Nuntiaturam pro liberalitate illis pro debitis Ecclesie
solutis pro portione respective, ac donatis pauperibus
debitoribus, ac illis solvere nolentibus ob cautelarum deficientiam de novo a me cum eis favore Ecclesie sic erogatum.
Il vescovo Amato, che reggerà la diocesi d’Ischia
fino alla morte avvenuta il 22 gennaio 1764 nella vil­
la episcopale del Cilento6, nelle brevi relazioni del 4
aprile 1750 e 1° novembre 1753 non parla più né del
seminario né della parrocchia di S. Domenico, men­
tre successivamente per ragioni varie effettua la visita
ad limina tramite un suo procuratore e chiede di poter
dilazionare la presentazione della relazione, cosa che
però non effettua mai.
Il successore Onofrio Rossi (1764-1775), nella sua
relazione del 30 ottobre 1770, parlando del seminario,
riferisce sul contributo di 150 ducati erogati a favore
di esso dalle varie università6 ma non fa cenno alla par­
rocchia di S. Domenico. Egli tace sul fatto che il suo
predecessore Felice Amato, oltre al contributo delle
università, aveva soppresso alcuni benefici semplici e
la parrocchia di S. Barbara che si trovava sul castello, e
che, d’altre parte, aveva una vita molto stentata perché
la sua giurisdizione si estendeva su pochissime per­
sone, e quella di S. Domenico, come aveva stabilito
6) Cfr. la relazione ad limina del 30 ottobre 1770.
36 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
prima la Congregazione del Concilio al momento della
soppressione del convento domenicano e le successive
disposizioni sia del sinodo campano che di alcuni ve­
scovi d’Ischia7. Così la chiesa di S. Domenico diven­
ne chiesa curata.
Già il vescovo Schiaffinati aveva fatto notare ai Padri
della Congregazione che la chiesa di S. Domenico si
trovava molto decentrata rispetto alla ubicazione delle
abitazioni della maggioranza della popolazione affida­
ta alle cure pastorali dei parroci prima e degli econo­
mi dopo. Infatti il costante lamento dei parroci di S.
Domenico, soprattutto nel corso delle visite pastorali,
verte sul fatto che la posizione della chiesa parrocchia­
le si presenta fortemente decentrata rispetto alla popo­
lazione e, di conseguenza, causa un grave pregiudizio
per l’attività pastorale del parroco. Forse proprio per
questo motivo gli atti della visita pastorale effettuata
dal pro-vicario capitolare Bartolomeo Mennella nel
1802 ci presentano la chiesa in una situazione statica
molto precaria. I tetti sono quasi pericolanti; l’umidità
si è propagata per tutta la costruzione ed anche il ta­
bernacolo, nel quale si conserva l’Eucaristia, è in uno
stato deplorevole. Soprattutto in sacrestia videtur omne
putridum. Per questo il pro-vicario visitatore ordina
perentoriamente che entro tre mesi reficiantur solaria,
et demoliantur fabricae dirutae, et cadentia fiant sacra utensilia, altrimenti il SS.mo Sacramento e i sa­
cramentali siano trasferiti nella chiesa dell’Annunziata
di Campagnano. In questo caso il vicario curato dovrà
pagare alla chiesa di Campagnano la somma di ducati
20 per la lampada al Sacramento e le altre cose ne­
cessarie alle celebrazioni parrocchiali. In caso di resi­
stenza o contravvenzione allo stesso decreto, interdice
la chiesa. Questo decreto viene notificato all’economo
D. Romualdo Mazzella e affisso alla porta della chiesa
perché possa essere conosciuto da tutti8. È da immagi­
nare che i lavori siano stati eseguiti con sollecitudine,
anche se per alcuni anni non abbiamo riscontri docu­
mentari sullo stato della chiesa.
Presto però si verificherà un altro inconveniente che
non solo provocherà miseria e morte tra gli abitanti
dell’isola d’Ischia, ma una nuova chiusura della chiesa
di S. Domenico: l’epidemia di colera nel 1854. Questa
si diffonde già nel mese di luglio e subito la chiesa di
S. Domenico fu chiusa e adibita ad ospedale per ol­
tre un anno. Nel corso della visita pastorale effettuata
nel 1855, il vescovo Felice Romano benché la chiesa
fosse ancora chiusa, volle comunque visitarla e ordinò
di rifare la porticina del tabernacolo. Negli atti di que­
7) Per le Università dell’Isola d’Ischia ed il Rev.do Seminario di
quella città presso il Tribunale Misto, s. n. t. p.14.
8) Cfr. atti della visita pastorale del pro-vicario capitolare Bartolo­
meo Mennella del 1803, f. 3 v.
sta visita, infatti, leggiamo: …. Episcopus…cum suis
Convisitatoribus processit ad visitandam Parochialem
Ecclesiam sub titulo S. Dominici Ruris Campaniani
hujus Civitatis Ischiae, et cum esset ad fores ejusdem
Ecclesiae exceptus a Parocho, et suo clero, et accepta
a dicto Parocho acqua benedicta, se et omnes astantes
aspersit. Et quoniam in dicta Ecclesia est intermissa
celebratio Sacrarum functionum, nec adservatur Sanctssima Eucaristia quia ratione ospitatalis domus addictae ad usum xenodochiae jam a mense Julii preteriti
anni 1854 est clausa, praeternissis solitis coeremoniis a Pontificali Romano praescriptis statim visitavit
altaria, et reliquam ecclesiam . Praescripsit, ut in taberbaculo majoris Altaris fiat januam ut sit actam ad
servandam Eucoristiam coetera Altaria laudavit.
Voluit autem, ut in dicta Ecclesia Parochiali fiant necessariae reparationes, et intra terminum duorum
mensium reponatur Eucaristiae Sacramentum, et iterum administratur in dicta Ecclesia omnia Sacramenta, uti prius, et nisi intra dictum tempus Parochus non
restituat Sacras functiones usuj preterito supendetur
ab officio sui Parochialis Beneficii. Et tandem praecepit Parocho fieri Inventarium omnium Vasorum, et
suppellectilium dictae Parochiae intra terminum mensium, quod hisce Actis S Visitatinis adnecti debeat 9.
Maggiore importanza per noi assume la visita pasto­
rale successiva effettuata dal vescovo Francesco Di
Nicola iniziata il 12 novembre 1872 perché ci presenta
una dettagliata descrizione della situazione sulla qua­
le è utile soffermarsi brevemente. Dal punto di vista
materiale, la parrocchia non ha altre rendite se non la
congrua parrocchiale10, mentre le questue non sono
continue se non quelle che si fanno nel mese mariano;
altre piccole che servono per le spese che occorrono in
qualche semplice festività, e per suffragio delle Anime
del Purgatorio, e per la funzione della novena di Natale. Vi sono tre novene: una che precede il dì della Commemorazione dei defunti, oltre la festa dell’Immacolata Concezione e la terza del Santo Natale, e si fanno
colle oblazioni dei fedeli e quando queste non bastano
supplisce il parroco. Unica processione è, cioè quella
della statua della Madonna della Misericordia, che si
solennizza nella prima domenica di giugno.
La chiesa parrocchiale è servita solo dagli economi
D. Crescenzo e D. Giovanni Giuseppe dell’Aquila, essendo la congrua meschina assai depurata da spese
necessarie, né le oblazioni dei fedeli possono somministrare tanto, perché sono tenui. Maggiore importanza
9) ADI, Atti della visita pastorale di Felice Romano del 1855, f. 13.
10). In quale anno le rendite di S. Domenico siano state restituite
dal seminario alla parrocchia e questa sia stata ripristinata in tutto
con un proprio parroco, non è dato sapere dalle fonti documentarie
in nostro possesso.
però assumono le risposte date dal parroco Pasquale
Pilato sulla sua persona e sul suo beneficio. Egli dice
di essere parroco di S. Domenico dal 26 marzo 184611.
Gli emolumenti che si percepiscono sono giusta la miseria del luogo: per matrimonio carlini 12, per fedi di
nascita e pubblicazioni di stato libero carlini 8, per
certificato di dispensa e albero genealogico carlini
6, per fede di battesimo carlini 2, per la benedizione
funebre grana 25, escluso il Monte di S Maria delle
Grazie di Campagnano che paga giusta l’antica consuetudine carlini 7, perché seguita a pagare nell’associazione funebre carlini 2 per ogni sacerdote, ove altri
pagano carlini 3.
La congrua è di ducati 74, mentre il resto delle entrate
ascende complessivamente a ducati 97,60.
Il parroco è sempre in parrocchia, anche perché vive
nella casa canonica, attaccata alla chiesa e di proprietà
della stessa.
Tutto ciò che conviene ad un Parroco si pratica nei
dì festivi. Nelle domeniche il popolo è poco, perché in
quell’ora si celebra la messa in tutte le cappelle ed
ognuno cerca di sbrigarsi presto. La parrocchia di S.
Domenico non ha feste di lusso, se non il mese Mariano di maggio con in fine la processione della statua
della Madonna della Misericordia e questo perderà il
suo lustro e concorso, perché disturbato dalla gelosia
e falsa divozione di alcuni. La processione del Corpus
Domini non si fa perché non vi sono mezzi. Le Ceneri
non si benedicono perché nella messa delle ceneri vi è
solo il celebrante e il servente.
Un quadro, questo, non molto esaltante, ma è solo,
per fortuna, una parte di quello più generale.
Infatti nella parrocchia tutti frequentano i sacramenti ad eccezione di qualcheduno. Per questo in questa
parrocchia non si usa la dispensa delle cartelle pel
precetto pasquale perché è raro che lo trascura. Inoltre
i matrimoni si celebrano in chiesa giusta le formalità richieste dal Rituale Romano; non si è dato ancora
l’esempio che alcuno si sia servito delle sole formalità
dello stato civile12.
Agostino Di Lustro
11) Atti della visita pastorale di Francesco di Nicola del 1872-73
in ADI.
12) Cfr. atti della visita pastorale citata in ADI.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
37
"La Lega del bene" - Salvatore Di Giacomo
La ristrutturazione del vecchio centro storico nel XIX secolo
La Napoli che se ne andò
di Bruno J. R. Nicolaus
Napoli è stata da sempre una città tanto stupenda
quanto difficile da gestire: se ne accorsero presto gli
accorti amministratori romani, i quali, a scanso di peg­
giori guai ed equivoci, preferirono concederle subito la
massima autonomia, assieme ad uno statuto speciale
ed al permesso di continuare ad usare illimitatamente il
greco accanto al latino - lingua ufficiale dell’Impero. Il
continuo incremento della popolazione napoletana nel
corso dei secoli non fece che aumentare le difficoltà
di gestione della città e mise tragicamente in evidenza
tutte le carenze socio-economiche e sanitarie.
Molto si parlò e discusse e poco o nulla si fece, sia
sotto il regime borbonico sia sotto quello sabaudo: in­
numerevoli furono invece studi e progetti teorici per
una ristrutturazione urbanistica - tra l’altro già proget­
tata da Ferdinando IV, a metà ‘800 e mai realizzata.
Nella situazione igienica precaria nella quale volgeva
la città, le malattie infettive dilagarono a macchia d’o­
lio, colpendo inesorabilmente i quartieri più poveri ed
affollati: tubercolosi, tifo, paratifo, epatiti di vario tipo
divennero endemici falcidiando i più deboli – vecchi,
bambini e ragazzi - e furono responsabili di grandi sof­
ferenze; non c’è da meravigliarsi, quindi, se un altro
terribile morbo, che flagellò ripetutamente l’Europa
nel XIX secolo – il colera – scoppiasse a Napoli ben
quattro volte nel giro di un solo trentennio (nel 1855,
1866, 1873 e 1884). La congestione dei quartieri bas­
si, l’insufficienza della rete fognaria, la scarsa igiene
personale e la scarsezza di acqua potabile, furono ripe­
tutamente indicati come probabili cause o concause di
queste ricorrenti, tristi evenienze e dell’alta mortalità.
L’epidemia di colera del 1884 insorse, come spesso
accade, all’improvviso: dilagò con rapidità ed estre­
Epidemia di colera del 1884
ma violenza nei quartieri bassi della città ed in misura
minore negli altri. Fu allora, che le autorità cittadine
- messe alle strette da stampa e pubblica opinione - fu­
rono costrette a mettere in atto gl’interventi più urgen­
ti: la creazione di una rete fognaria efficace; la realizza­
zione dell’ acquedotto del Serino; lo sventramento e la
bonifica dei quartieri bassi; la costruzione di una strada
principale dalla stazione centrale al centro cittadino
(Rettifilo) e una rete viaria minore ad essa afferente.
In quest’ambito si decise anche, seppure a malincuo­
re, l’abbattimento di numerosi edifici, tra i quali alcuni
di grandissimo valore storico, onde far posto al corso
Umberto, alle piazze Nicola Amore e Giovanni Bovio
(piazza Borsa) e alla Galleria Umberto I1.
1 In realtà alle spalle dei grandi palazzi umbertini la situazione rimase
immutata.
38 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
La pianificazione e la realizzazione di queste opere
fu tutt’altro che facile: tanti furono gli ostacoli e i tra­
bocchetti messi di traverso da lobby e partiti, contrari
al cambiamento e disponibili solo a soluzioni parziali e
di proprio interesse.
Molto efficace si rivelò, quindi, l’opera di persuasio­
ne di alcuni organi di stampa, tra i quali andrebbe ci­
tata una popolare rivista settimanale - LA LEGA DEL
BENE - edita a Napoli ed in vendita in tutto il Regno
al prezzo di centesimi 5: così proponeva - la Lega - in
prima pagina, i suoi nobili ed encomiabili scopi:
«Nel nostro paese sono partiti come tutti gli altri.
Essi si combattono ora con maggiore ora con minore ferocia, sempre con pari slealtà. Ma v’è un terreno
comune sul quale s’intendono sempre i caporioni di
questi partiti, ed è il terreno dell’affare. Allora tu li
vedi, l’occhio scintillante, le labbra tumide, la fronte
increspata, il volto spietato. Manca loro un coltello fra
i denti per parere omicidi.
Contro questa lega del male molti vorrebbero che offrissero un asilo le leggi, altri l’Autorità politica, altri
la solerzia del Magistrato, altri novelli freni meno politici e più morali. Per me, credo che a schiacciare le
cento teste di questa lega del male, basterebbe il raccogliere insieme tutti i galantuomini in una Lega del
Bene».
Salvatore Di Giacomo – uno dei napoletani più
brillanti a cavallo del XIX-XX secolo - collaborò at­
tivamente alla Lega: egli così si esprimeva in un suo
memorabile articolo sulla ristrutturazione del vecchio
centro storico, del quale si riproduce un estratto2:
La Napoli che se ne andrà
La Galleria Santa Brigida
«A proposito di santa Brigida […] diamo un’occhiata
alla zona, che la galleria verrà a bonificare».
Vico Rotto S. Carlo
Il primo, che s’incontra a destra, lungo la via Roma,
camminando da S.Ferdinando verso la strada S. Brigi­
da, è il Vico Rotto S. Carlo, vico molto recente, molto
sporco, molto oscuro di sera, con alcune orizzontali in
fondo, a primo piano, con un caffè e alcune canove fre­
quentate da persone all’apparenza equivoche, con uno
dei fianchi del trapezoidale palazzo Cirella che ne for­
ma uno dei lati e, perché senza botteghe, salvo sei verso
Toledo, ne aumenta l’oscurità; con una caciolia, Donna
Rosina, nella prima delle botteghe, di cui la merce più
appariscente sono le provole; e una cantina speciale,
con un'esposizione di secolari aranci fenomenalmente
2 Salvatore Di Giacomo: La Napoli che se ne andrà – La Galleria
di Santa Brigida in “ La lega del bene”, anno I, n. 29 (1886) pp.3-5.
grossi nella vetrina, e un cameriere, non meno speciale
per l’eterno sonno che lo fa parlare senza conchiudere
e sentire senza intendere: una cantina che ha una sto­
ria e che è la nota cantina di Salvatore, tanto nota a
quella borghesia notturna napoletana che non ama fare
un'operazione col credito fondiario prima di andare a
cenare al Caffè di Europa, o di assistere al Gran Caffè
allo spettacolo del biondo uomo del corso pubblico con
una forchetta dimenticata in bocca e un pezzo di carne
fra i denti, abbandonato completamente nelle braccia
di Morfeo, col rischio di trovarsi diventato, sveglian­
dosi, un autentico uomo della forchetta.
Al n°6 abita una sorella di Florenzano […]
Al n°8 vi è una donna Giovannina, che è sola, sola,
come nella canzone tarantina; ma che viceversa poi,
formando come il nucleo di un esercito, trovasi in gra­
do, dal primo all’ultimo piano, di soddisfare ai giusti
desideri di avanscoperta di un intero reggimento di
cavalleria. Nel caffè sottoposto, che ho accennato, si
giuocava fino a iersera a giuochi leciti, secondo il per­
messo, e forse, senza permesso, anche agli illeciti: ora
gli è stato tolto anche il lecito dalla Questura.
Al n°11 abita il noto pittore de Falco.
In fondo al vico, è il muro, con le relative predette
orizzontali al n°22 1°piano e una cambia moneta di
rimpetto nella via che non le lascia desiderare - par­
lo della parte plastica, perché per i costumi la cambia
moneta è certamente una onesta donna - tanto più che
la guarda costantemente con occhio de suonno, nire,
appassiunate, un simpatico, giovine, e robusto Cerbe­
ro, che potrebbe anche avariarmi le costole, se il notaio
Scotti Ugo, suo vicino e che non ha pagato ancora l’ab­
bonamento alla Lega, gli desse a leggere la medesima.
Le orizzontali sono 3 e le dirige Clementina Alfano.
Il Vico Rotto S. Carlo non può essere, per la sua stes­
sa denominazione, anteriore al 1737. Le Guide del
1690 mostrano, che esso non esistesse in quell’epoca
né dalla parte di Toledo, né dalla parte della Strada che
anche allora conduceva, senza chiamarsi di S. Carlo,
dalla Piazza del Palazzo Vecchio, oggi Largo di Palaz­
zo, alla vasta Piazza del Castello, in seguito Largo del
Castello, oggi Piazza Municipio.
Vico della Cagliandese
Arrivati al muro, che sembra ostruire il Vico Rotto S.
Carlo, questo volge obliquamente – veramente rotto
– a destra e sbocca nella Strada S. Carlo; e continua a
sinistra nel Vico della Cagliandese, dove un portonci­
no, n°12, con scaletta di marmo, conduce ad un tempio
al 1°piano, ufficiato da 5 vestali, sotto la guida della
somma sacerdotessa Maria Ferrara. In questo vico vi è
una cantina, come ve ne sono nei due, che esso unisce,
cioè nel Vico Rotto e nel Vico delle Campane.
Nel 1669 vi era anche una cantina alla Cagliandese.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
39
È uno dei 20 quartieri, in cui era divisa la città per la
vendita del vino al minuto, che allora si dava in appal­
to, era detto il Quartiere della Cagliandese, e conte­
neva le seguenti cantine e taverne come rilevatosi da
un bando del marchese di Crispano regio consigliere
delegato […]
Il Capasso, nel suo libro Sulla circoscrizione civile ed
ecclesiastica ecc. ritiene che la taverna della Caglian­
dese del XVI secolo fosse dov’è oggi il Vico Rotto S.
Carlo. Ci troveremmo dunque nella trattoria di Salva­
tore: la trattoria, che non ha bisogno né di Salvatore
né di Trattoria, e solo dell’indicazione del luogo per
essere specificata.
- Dove andiamo a cenare?
- Al Vico Rotto;
e si comprende che, di tutte le mezze trattorie e canove
del Vico Rotto, non si parla che della trattoria di Sal­
vatore.
Vico delle Campane
Si chiamava così per un'antica fonderia di campa­
ne, che vi era ancora nel 1690: il che dimostra, che
in origine il luogo sorse per tutto, fuorché per essere,
come oggi, di ricreazione ai nottambuli di tutte le clas­
si della sezione S. Ferdinando. All’angolo verso Tole­
do, ha esso infatti la Trattoria de’ Giardini di Torino,
nel piano più matto che sia mai stato schiacciato da
un primo piano nobile: trattoria stabilita dopo il 1860:
coll’ostricaro giù, dirimpetto al portone di entrata, col
suo elegante banco di marmo e le sue arselle che ne
coprono la superficie superiore.
Più giù a sinistra, la nota Antica pizzeria col suo ban­
co di marmo, e le sue stanze da mangiare, di rimpetto,
a destra. Un po’ più giù, una cappella – con una finestra
accanto munita d’inferriata: finestra che fa da campani­
le – raccoglie la sera i fedeli. È la cappella di S. Anna.
Viene poi il Vico della Cagliandese, che apre la co­
municazione col Vico Rotto. All’angolo con esso, al
n°58, con balconi che affacciano nello stesso Vico
delle Campane e in quello della Cagliandese, un’altra
cappella a primo piano con 4 suore, diretta dalla priora
Teresa de Santis, fa una concorrenza notturna spietata
alla vicina cappella di S. Anna. Le due campanelle an­
nunciano a martello dalla finestra circa due ore di notte
la benedizione; e nell’altra cappella, dove si penetra
dal portoncino n°58 e si ascende comodamente per la
marmorea scalinata, si benedice Domino in laetitia.
Pare che nel secolo scorso il Vico delle Campane ed
il Vico Rotto ospitassero come oggi le stesse clausu­
re. Nel popolo napoletano vive, in fatti, ancora una
sconcia tradizione: che la regina Maria Carolina e la
marchesa di San Marco facessero scommessa a chi
guadagnerebbe di più, esponendo la propria bellezza
all’uso degli avventori d’uno di quei templi afrodisia­
40 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
ci: sconosciuta l’una e l’altra, aggiungesi il particolare,
che la regina guadagnasse nella serata 18 ducati e la
marchesa 16. Il fatto, dopo aver vissuto un secolo nei
discorsi del trivio, fu raccolto da uno storico francese e
da uno paesano, e se esso non è vero, rivela il concetto
in cui la amica di Emma Liona e la sua corte erano
tenute dal popolo di Napoli.
Più giù vi è una stalla di vacche, e più giù ancora
un vicoletto cieco, che è chiamato da tutti, come con
nome proprio, Il vico che non spunta, privo di tabella.
In questo vico continua la numerazione del Vico delle
Campane, e al numero su mattone nuovo marmoreo
segnato 43, infilando un pulito portoncino, per scala di
marmo, si passa in un primo piano, che con le sue per­
siane verdi semichiuse affaccia da questa parte e dalla
parte del Vico delle Campane, per lasciar vedere e non
vedere, attraverso le grate della clausura, 5 monachel­
le, che obbediscono al pastorale abbaziale di Maria
Cuomo. Poco più giù, al n°38, abitava in casa propria
il de Bourcard, nipote del maresciallo di Ferdinando
IV Emanuele de Bourcard, che fece le due campagne
di Roma del1798 e del 1800, e a cagione del quale il
generale Mcdonald scrisse a Mack le male parole, che
noi pubblicammo nel n°28 della Lega.
Francesco de Bourcard, che possedeva la casa al
n°38, era il compilatore dell’opera illustrata Napoli e
contorni. Aveva una buona biblioteca di cose napole­
tane al piano matto, mentre egli abitava al primo. Il
Cafiero, che amava reclutare i più competenti per il suo
giornale, gli fece scrivere articoli sugli edifici di Napo­
li; e il de Bourcard descrisse il palazzo di Donn’Anna
ed alcun altro monumento nel Corriere del Mattino.
Egli è morto l’anno scorso: questo uomo aveva un idea
fissa che ne rivelava l’animo nobile: purgare l’avo di
quel malaugurato proclama del 1798, nel quale pro­
metteva di uccidere un prigioniero francese per ogni
colpo che avrebbe tirato Castel S. Angelo.
Il Vico delle Campane continua fra canove e taverne,
fin dove si chiamava Largo del Castello e poi Piazza
Municipio, lasciandosi sulla sinistra il Nuovo Vico III
S. Brigida (già Piazza Municipio).
Quant’è bello quel vico sostituito ad una piazza! Bo­
nificamento alla rovescia!
Vico S. Antonio Abbate
Il Vico S. Antonio Abbate non è il vico delle taverne,
delle cantine e dei caffè di ultimo ordine, come il Vico
Rotto S. Carlo e il Vico delle Campane – che sono stati
sempre tali, anche a tempo dei Borboni. In compenso
però è sporco, più privo di luce, e di livello disugua­
le. Appena entratovi da Toledo, sulla mano destra, dal
portone n°49 si sale ad un primo piano, dove 5 ciprigne
riconoscono come maestra, nella pratica dei sacrifici,
Carolina Petito.
Anticamente questo vico era abitato da fabbricanti di
polvere da sparo. Nel 1690 essi non vi erano più, ma
il luogo si chiamava ancora Vico dei polveristi. Anche
questo prova, che la zona fra S. Carlo, Toledo e S. Bri­
gida, non venne su come dipendenza, in certo modo,
del vicino regio palazzo, ma come una specie di borgo
del non lontano castello e delle sue caserme. Qualche
gran guaio dovette mutare il nome di Polveristi in quel­
lo di S. Antonio Abbate; del resto, i due nomi indicano
semplicemente un protetto e un protettore. Oggi, più
che dei Polveristi o di S. Antonio, potrebbe chiamarsi
Vico della Venere Pandemia, perché a sinistra, verso
lo sbocco nel Vico III S. Brigida, dal portone n°23 per
una scaletta si sale ad un Parnaso, dove 4 muse cir­
condano un Apollo in gonnella che si chiama Caterina
Ventriglia. E per premunirsi dallo scandalo di queste
abitatrici dell’ignobile Elicona, gli abitanti del 1°piano
nel palazzo di rincontro han dovuto elevare un para­
vento di latta all’angolo del balcone.
Mentre i poeti della prosa salgono d’ora in ora sul
Parnaso, un bottaio fa pacificamente il suo mestiere,
giù all’angolo.
Vichi di S. Brigida
Quasi a metà della sua lunghezza, il Vico S. Anto­
nio Abbate riceve a sinistra i più graditi effluvi dallo
sbocco in esso del Vico I S. Brigida: noto ad ogni buon
napoletano come un vico tutto assorbito in una latrina
[…] È il solo sfogo, dal lato destro, di questa strada:
uno sfogo imperiale; uno sfogo dei tempi di Vespasia­
no; né ha altra apertura sul suo lato destro la larga via
che prende il nome dalla santa svedese. Sicché, a quel­
la altezza, al comando: a destra riga, un povero soldato
non troverebbe altra guida sulla quale allinearsi, che
l’enorme e anche ai ciechi di Caravaggio visibile, latri­
na […] Ed in fatti, ai miei tempi – tempi barbari – tutti
e tre i vichi: Campane, S. Antonio e II S. Brigida sboc­
cavano in quella larga spianata, che era il Largo del
Castello, che i tempi civili chiamarono Piazza Municipio, e che poi, sotto il consolato Giura-Alvino, divenne
arena di misfatti, l’uno dei quali grida ancora vendetta
al trono dell’Altissimo: parlo del misfatto Capone.
Il misfatto edilizio Capone gettato a qualche metro di
distanza dagli sbocchi dei tre vichi, dei due ultimi spe­
cialmente, toglie loro aria e luce. Il delitto è rubricato
dalla tabella: un vico, e stretto, soggetto alle inonda­
zioni notturne, boulevard delle vicine sacerdotesse del
luridume, sostituito ad una spianata, di cui solo Corfù
aveva l’eguale.
La Piazzetta di porto a tre ore di notte, trapiantata nel
centro di Napoli civile!
[…] Vuol dire, che col tempo, il rione S. Brigida, in­
vece di migliorare ha sempre peggiorato. Disponendo­
si bellamente verso Toledo con belli palazzi, che, con­
temporaneamente toglievano aria e luce a tutto ciò che
essi si rimanevano indietro».
Francesco de Bourcard: Usi e costumi di Napoli e contorni
Figlio di Gaetano Rodolfo (secondogenito maschio
di don Emanuele de Bourcard, Capitano generale na­
poletano) e di Clementina Viglia, Francesco nasceva
il 23 Marzo 1821, alla Riviera di Chiaia, nel palazzo
di famiglia situato al numero civico 168 - accanto al
palazzo del Duca di Caivano - prospiciente alla Villa
Reale e alla lunga spiaggia, che si estendeva dalla Tor­
retta a Palazzo Sirignano e poi al Castel dell’Ovo, ga­
rantendo libero accesso allo splendido, pescosissimo
mare1. È sempre stata una delle vie più belle e salubri
della città, la Riviera di Chiaia, tutta aria e sole con
un’incantevole vista sul golfo: così vicina alla riva e
senza protezioni, da poter essere perfino inondata dal
mare in tempesta: attorno al XVI secolo – si raccon­
ta - una gigantesca onda anomala proveniente dalle
bocche di Capri (un vero tsunami) superò il litorale
raggiungendo la piazzetta, che si trova parecchi metri
più in alto e che oggi si chiama piazza dei Martiri.
Dopo questi disastri, un’ampia fetta di terra tra il
1 Nell’ambito dei lavori di ristrutturazione della città, la spiaggia
ed una lunga fetta di mare furono ricoperti di sassi frammisti a terra
(grande colmata) sulla quale fu indi costruita la via Caracciolo attuale.
La Riviera di Chiaia nella prima metà dell'800
mare e la filiera di case della riviera fu ricoperta di
alberi e piante: in mezzo alla sabbia, saltò fuori, come
d’incanto, una macchia di verde stretta e lunga; una
piccola oasi, che avrebbe fatto da scudo alla furia dei
flutti. Alla fine del parco, nei pressi di Mergellina si
trova tuttora un edificio alto e stretto, tutto tinto di
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
41
bianco chiamato Torretta. Fu costruito a causa dei tur­
chi – si dice - che allora venivano a frotte a fare bottino
di oro e di donne, sbarcando di notte su di una spiaggia
del tutto indifesa.
Costruita apposta per fare da guardia alla Riviera, la
Torretta avrebbe meritato un nome più serio, un nome
che incutesse rispetto; ma il suo pacifico aspetto scon­
sigliò ogni cambiamento e qualsiasi epico nome: Torretta va bene – si disse – e Torretta fino ad oggi restò.
Anche Palazzo Caravita di Sirignano, all’altro capo
della riviera, ha due belle torrette sul tetto: torre di vedetta, si chiama pomposamente quella sul lato orienta­
le. Perché tante torri, in una tanto pacifica via? Colpa
dei turchi, ovviamente. D’accordo, seppure resterebbe
da dimostrare, se queste torri e torrette veramente ten­
nero a bada i pirati: erano solo dei turchi sprovvisti,
che arrivavano costeggiando la riva orientale del gol­
fo, mentre, tanti secoli addietro, c’erano ben più feroci
La Torretta
etruschi e fenici, a calare dal nord a ridosso di Procida
ed Ischia, doppiando Capo Miseno2.
***
Francesco de Bourcard, da sempre intimamente le­
gato all’anima partenopea, ebbe il gran merito di saper
cogliere le sfumature più tenui della cultura locale e di
descriverne con rara sensibilità pregi e difetti. Quando
scriveva della città, sembrava che egli parlasse, reci­
tasse e cantasse allo stesso momento; con gran finezza
e fantasia tratteggiava quanto vedeva e ascoltava, tutto
quanto sentiva: le tantissime strade e stradine; il labi­
rinto di vie, viuzze, vialoni, viottoli e vicoli; le rampe,
salite e discese; le innumerevoli chiese, le statue, gli
affreschi e i monumenti; i palazzi e i più umili bassi; le
canzoni più melodiose; il cielo, la luna, le stelle, il sole
ed il mare ovviamente assieme all’alba e al tramonto.
2 Da Wikipedia: «Palazzo Caravita di Sirignano fu il primo edificio
ad essere eretto alla Riviera di Chiaia nel XVI secolo, per desiderio del
marchese Alarçon, generale spagnolo; a quel periodo risale la sua parte
più antica, la torre di vedetta all’angolo orientale.
42 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
Nei periodici articoli e nelle memorie, si sente il bat­
tito del cuore ed il fremito dell’anima sua: ci metteva
l’anima - Francesco - quando scriveva. Rileggendo i
suoi scritti, ti accorgi che sono dei variopinti quadretti,
dipinti con parole melodiose come canzoni invece che
con i colori: ti riportano addietro nel tempo, a un'epo­
ca e ad una società scomparse per sempre. Francesco
provava un amore profondo e sincero per la città natale
ed i suoi abitanti, sentimento che traspare tra le sue
righe. Nel prologo al suo splendido libro, così descri­
veva la sua città ed i napoletani3:
«… in Napoli il cielo è quasi sempre puro e sereno: l’aria vi è salubre e libera, e non vi si sentono
mai gli estremi del caldo e del freddo: nulla si può
immaginare di più delizioso quanto una bella giornata d’inverno a Napoli. Questo sito, in cui la natura fa
mostra di tutte le sue bellezze, questo cielo che ha una
sembianza sì ridente ed una quasi perpetua dolcezza
di stagioni, questi elementi diciamo così docili, che
espongono gli abitanti a minori bisogni della vita, se
non sempre formano le anime forti e pazienti, danno
però grande energia al cuore, ed eccitano una felice
illusione alle facoltà dell’anima. Sembra che qui più
che altrove si creino gli ingegni per la musica, la pittura, la poesia…
L'origine di Napoli è così antica che si perde nella
oscurità delle favole della più remota età. Tutta l’antichità è di accordo che una Sirena detta Partenope
avesse edificato su questo lido una città dandole il suo
nome…Napoli (città nuova) fu così detta, per quanto
si crede, allorché venne la colonia Ateniese… e quindi
prevalse il nome di Napoli… e nell’antichità non viene
conosciuta che come città greca…».
«…Le strade di Napoli, oltre all’essere in gran parte
irregolari, anguste e senza proporzione con l’altezza
degli edifici, non sono tutte ben livellate con un dolce
pendio…fra strade, vie, vichi, vicoletti, larghi, salite,
calate, rampe, sopportici, fondaci, se ne contano più
che 1400… nel 1792 furono la prima volta messe su’
cantoni delle strade le iscrizioni dei loro nomi e si affissero i numeri a tutte le porte…
La illuminazione notturna cominciò a Napoli nel
1806. Prima la divozione suppliva al difetto di polizia, giacché per tutti gli angoli di strade si vedono immagini della Vergine o dei Santi con fanali mantenuti
accesi dalla pietà dei complateari: i fanali pubblici
che illuminano la città sono più di 1925 e le principali
strade sono tutte illuminate a gas…
Si può dire che a Napoli vi siano quasi tutte le arti e
manifatture e che molte di esse siano in stato florido…
per la sua situazione, per la sua popolazione e per le
3 Francesco de Bourcard, Usi e costumi di Napoli e contorni descritti
e dipinti, Napoli, 1866
sue ricchezze, Napoli, potrebbe esercitare il più florido commercio…
In Napoli, come quasi per tutta l’Europa, si possono
fare tre distinzioni di classi, cioè di nobiltà, di ceto
medio e di plebe; distinzioni oggi meno notabili che in
altri tempi…
Gli abitanti di Napoli, che vivono sotto un clima salubre e ridente, che ritraggono da un feracissimo terreno i prodotti più opportuni alla vita umana, sono dediti naturalmente a festive allegrezze, e molti disposti e
corrivi alla pigrizia e alla mollezza…mostrano grande
golosità… e la qualità più spiccata di essere portati
al fracassio: va di leggieri in collera e di leggieri si
calma…parla ad alta voce, è curioso, vuol decidere
di tutto…la spensieratezza è un’altra qualità, la quale
più che dal clima deriva dalla facilità della sussistenza e degli impieghi… sono pure vivi, ciarlieri, gesticolatori all’eccesso. Le danze, i canti, i suoni formano
un gusto continuo e generale…
Il dialetto del popolo napoletano vien creduto goffo
da quelli che non l’hanno né esaminato né compreso…
l’ingenita allegria e la ridente natura…han creato un
linguaggio scherzevole e buffonesco, ma nello stesso
tempo pieno di immagini, di grazie, di bei concetti. Di
sali e di proverbi… Napoli fu anticamente celebre per
le scienze e per le belle lettere… se nelle altre belle
arti vari paesi d’Italia possono pretendere il primato,
nella musica nessuno può contendere con Napoli…».
***
La popolazione del quartiere di Chiaia era fatta di
pescatori e gente di mare; gente semplice, avvezza fin
dall’infanzia, a passare la giornata ignuda dentro l’acqua - elemento prediletto dal quale nessuno riusciva
a cavarli: i signori, invece, quelli veri, quelli che da­
vano agli occhi - per le scarpe a punta, gli abiti ricer­
cati ed i cocchi sfarzosi - venivano alla Riviera a fare
villeggiatura o, in altre parole, a fare quattro passi e a
rifornirsi di pesce fresco. Si riconoscevano da lontano
le carrozze fregiate sui lati con gli stemmi variopinti
delle casate; arrivavano in una nuvola di polvere cigo­
lando e strisciando sull’arena con un sibilo strano, op­
pure sobbalzando con un tonfo sordo sul duro selciato:
subito accorrevano le popolane vociando; arrivavano
in frotte correndo e vantando a gran voce le qualità
del proprio pescato4. Pesce di tutte le razze, grandezze,
forme e colori: un limite non c’era alla pesca, essen­
do il mare tanto pescoso da soddisfare i bisogni delle
famiglie. Non avevano vita grama i pescatori a quei
tempi, raccontava Nicola Maresca nella commedia La
4 Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, Adelphi Edizioni
1993.
Milla: descriveva argutamente la vita e le loro fatiche;
i litigi, le frodi frequenti alla gabella; i piccoli furti di
affamati garzoni ad avidi e tirchi padroni. Da secoli,
l’esistenza proseguiva tranquilla sul litorale, finché, un
giorno, Ferdinando IV non prese una storica decisio­
ne: il 9 Giugno 1778, emise un decreto reale e diede
un colpo di spugna a quel vecchio, stupendo e pacifico
sito: annunciò la creazione di un nuovissimo, unico
ed aristocratico Real Passeggio di Chiaia. A tambur
battente, l’architetto di corte, Vanvitelli – nipote del
più famoso costruttore della Reggia di Caserta - dise­
gnò, una pianta della neo Villa, formata di cinque viali
spaziosi. Incuranti delle usuali lentezze burocratiche
e senza tanti complimenti furono espropriati i suoli
occorrenti: la dogana fu trasferita poco lontano, men­
tre il casino degli Invitti veniva raso al suolo; i lava­
toi delle donne furono rimossi nonostante le loro urla
ed il rischio di un’ insurrezione violenta, l’amatissima
Cappelletta di don Rocco, infine, fu demolita fino alla
base. Un’intera brigata di giardinieri provetti spuntò
fuori dal nulla: come d’incanto, furono piantate decine
e decine di tigli con viti intrecciate, mentre dalla sera
alla mattina spuntavano gli alberi nuovi, molti dei qua­
li di altissimo fusto. Ai lati dello stupendo cancello di
ferro battuto, messo di guardia all’entrata, tutto ornato
di borchie d’ottone lucente, qualcuno piazzò due gros­
si casini di ruvida pietra: pieni di botteghe, terrazze e
cantine da appaltare ai migliori offerenti, onde instal­
lare servizi di bar e trattoria; di bigliardo e sorbette­
ria, di bottiglieria ed altra galanteria. L’intenzione del
costruttore nobilissima era: servire solo gente civile.
La villa fu dichiarata sito reale: l’entrata permessa di
giorno e di notte solo a persone decentemente vestite; severamente proibita alle genti di livrea, ai poveri,
agli scalzi ed impropriamente vestiti.
Presso popolo e popolino, grande fu il successo di
questa nobile impresa reale: subito ben accetta e af­
follata di bellissima gente, desiderosa solamente di
mettersi in mostra. Evviva la vanità. Nei decenni che
seguirono, la Villa reale fu ampliata fino alle attuali
dimensioni, perdendo dopo la cacciata dei Borbone e
la riunificazione del Regno, le caratteristiche ufficiali
di sito reale. Dopo l’ultima guerra, rivolgendosi al po­
polo in un famoso discorso, Benedetto Croce si chie­
deva, cosa significasse quest’opera per i Napoletani;
che cosa per noi italiani.
Molto istruttiva, seppure un po’ deludente, fu la con­
clusione del sommo Maestro, che invece di rispondere
direttamente, propose la paginetta di un libretto assai
popolare in Germania, nel 1892, dove una borghesuc­
cia berlinese in visita turistica a Napoli, così descrive­
va la Villa al tramonto:
«Più tardi il giardino s’illuminò con cento e cento
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
43
Real passeggio di Chiaia a fine '700
fiammelle di gas. Le piante sono vere piante, non di
zinco dipinte di verde! Il mare mormora giù presso il
giardino; le onde accompagnano la musica, e, cessata
questa, continuano a divertirsi da sole, come fa la gente. In mezzo al giardino si eleva un magnifico edificio
bianco, le cui mura sono rischiarate dalle fiammelle di
gas. Esso sta serio e silenzioso, come qualcosa di straniero, in mezzo a quel rumore, allo stridore delle ruote, al vocio degli uomini, alle melodie dell’orchestra.
E straniero è in effetti :è la stazione zoologica, fondata
dal Dr. Dohrn di Stettino, per il quale l’Impero germanico contribuì con centomila marchi e l’Accademia di
Berlino fece costruire un piccolo vaporetto, atto alla
pesca degli animali marini. Altri Stati vi concorsero,
ma la stazione, tuttavia, è tedesca: quantunque offra
opportunità di lavoro ai naturalisti di tutte le nazioni, un tedesco l’ha fondata, e perciò essa è tedesca.
Il mio Carlo disse: ”Folleggia pure, o Napoli; gioisci
a tua posta! In mezzo a tutto questo tumulto, nel più
bel punto di Napoli, la Germania ha eretto un tempio
alla Scienza: e ciò mi rallegra più di tutto onde tu vai
superba. Perché? Perché l’onore della mia patria è il
mio onore».
Quando queste frasi gloriose furono scritte, nel 1892,
noi e gli altri europei, ancora ignari della posta in gio­
co, continuavamo a trastullarci nel quotidiano, mentre
era già in pectore una sanguinosa guerra mondiale con
questa gente!
***
Benedetto Croce studiò a fondo le opere di Francesco de Bourcard, lodandole spesso; in una nota dive­
nuta famosa, egli così proseguiva:
44 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
«“Usi e costumi…” sono un magnifico libro, che mi
meraviglio di non veder lodato e celebrato e ricercato
come si dovrebbe, e che forse adesso comincerà a svegliare attorno a sé questi meritati sentimenti, adesso
che, come tanti altri libri, - dopo la rarefazione bibliopolica prodotta dalla guerra, - è diventato prezioso e
quasi introvabile5.
Contiene cento disegni acquerellati, di cui ben quarantasette sono di Filippo Palizzi, ventisei del Duclère
e gli altri incisi per la maggior parte da Francesco
Pisanti; e cento scritti illustrativi, composti da…”
“E chi era Francesco de Bourcard? Un oriundo svizzero, nipote del maresciallo Emanuele de Bourcard,
capitano generale del regno di Napoli… Il nipote,
come accade nelle famiglie forestiere che si stabiliscono presso di noi, presto trasformate dall’ambiente,
era del tutto napoletano di sentimenti e di abitudini,
e amatore altresì della storia patria, collezionista di
libri e manoscritti e documenti. Morì nel 1886 nel suo
appartamento di vico alle Campane…”
“… Il libro si cominciò a pubblicare nel 1847 e
richiese per essere condotto a fine quasi venti anni,
durante i quali solo la perseverante fermezza del suo
compilatore poté vincere le difficoltà che venivano
dall’indisciplina dei compilatori, artisti e letterati. Il
libro attraversò le rivoluzioni del 1848-47 e del 185960,e giunse a compimento nel giugno del 1866. Si possono curiosamente osservare, in alcuni punti di esso, i
segni dei rivolgimenti accaduti…”
“… Oggi nel guardare le figure disegnate pel libro
dal Palizzi e dagli altri artisti, par di vedere una Na5 Benedetto Croce, Nuove curiosità storiche, Riccardo Ricciardi
Editore, Napoli 1922
poli fantasticamente travestita, una Napoli che più
non esiste, ma della quale gli uomini della mia generazione ricordano molti aspetti, nella loro fanciullezza, ancora superstiti: la Napoli degli ultimi anni dei
Borbone…”
“… Che se poi si desiderasse di pascere anche gli
orecchi, consiglierei (mi si consenta la disgressione)
di recarsi alla Biblioteca Nazionale, nella sala dei manoscritti…un vocio assordante sale da quelle pagine:
i gridi della più varia intonazione, modulazione e acutezza vi s’incrociano e si soverchiano l’un l’altro…
sono centinaia e centinaia di simili voci, che sembrano
compiere con l’opera del fonografo il cinematografo
offerto dal de Bourcard…”
***
Francesco de Bourcard condusse una vita ritirata,
dedicata allo studio; egli divideva il suo tempo tra
biblioteche ed archivi storici, tra chiese, esposizioni
e monumenti: i suoi articoli e le tante pubblicazioni
trovavano sempre ampio spazio nella stampa cittadi­
na. Non coltivò grandi amicizie – il de Bourcard – e
poco si sa della sua vita privata, mentre era nota la sua
passione per libri e manoscritti antichi, che era solito
acquistare a qualsiasi prezzo: con l’andare degli anni
e raccogliendo a destra e manca, aveva messo insieme
una biblioteca privata ricca di rarissimi testi. Avvici­
nandosi alla fine, egli tentò ripetutamente di cedere
l’intera collezione al Comune di Napoli - a prezzo di
favore e con il solo obbligo di non disperderla: non
ebbe successo e così passò gli ultimi tempi della sua
vita nel terrore che i suoi amati libri divenissero preda
di sciacalli avidi e ignoranti; cosa che avvenne come
temuto6.
Lasciata la lussuosa casa paterna alla Riviera di
Chiaia, Francesco era andato ad abitare assieme al
fratello nel centro storico della città, al numero civico
38 del vico delle Campane, situato in una delle zone
caratteristiche ma più decrepite della città - quella tra
via Toledo, piazza Municipio e Santa Brigida, più o
meno sul sito dell’odierna Galleria Vittorio Emanuele,
la quale non esisteva ancora, a quel tempo. Un anti­
quato quartiere - quello delle Campane - tra i primi
ad essere demolito durante la ristrutturazione edilizia
di fine ‘800 - così ricordata da Salvatore Di Giacomo
“il vico delle Campane, il vico Rotto San Carlo e il
vico Sant’Antonio Abate, questi tre cancerosi budelli
che sono stati i primi ad essere strappati dalle viscere
napoletane “.
6 Salvatore Di Giacomo (1860 –1934) è stato poeta, drammaturgo e
saggista; autore di molte poesie di gran successo in dialetto napoletano
- molte delle quali poi musicate: Scritti inediti e rari a cura di
Costantino del Franco, Ente Provinciale per il Turismo Napoli 1961,
p.135 Corriere di Napoli, 2-3 ottobre 1888.
Una residenza senza pretese, bohémien - quella di
vico Campane - sufficiente per chi non ha tante pretese
e coltiva il gusto della semplicità: notevole il vantag­
gio di essere in pieno centro, ad un tiro di schioppo
dal Museo e dalla redazione del Corriere, al quale
Francesco dedicò l’intera esistenza: “… In qualunque
più lurida stradicciola napoletana, il pezzetto di terrazza che la luna bacia, nelle notti serene, è sempre
una gran gioia dolcemente assaporata, e tra’ i vasi di
ruta e maggiorana, davanti al parapetto alto, su cui la
serva mette a seccare delle fette di melanzane, al mite
lume lunare, ogni buon napoletano si sente un Tibullo,
e nella più tranquilla soddisfazione segue, con l’occhio astratto, le azzurrine spire di fumo della sua pipa
da due centesimi…”.
Così continuava Salvatore Di Giacomo in merito a
Francesco de Bourcard ed al suo alloggio nel quartie­
re di Santa Brigida:
“…Qualcuna delle famiglie onde i lari domestici ricordavano addirittura la fondazione di quelle mura,
prima che queste colpisse il piccone si è sfasciata.
Io ne ricordo una, sopra i cui componenti, Dickens
avrebbe dato agli avidi lettori della sua prosa grigia la
pagina più mite e malinconica d’un romanzo d’interno: i due fratelli de Bourcard, la loro vecchia serva, la
figlia della loro serva e la casuccia luminosa e allegra
che, a un quinto piano d’un palazzetto al vico Campane, come un lieto cassettino pieno di fiori avvizziti,
alloggiava tanti ricordi e tante vecchie pene…7”
“…Francesco de Bourcard io l’ho conosciuto al
“Corriere del mattino”, cinque o sei anni fa. Era un
buon vecchio tranquillo e sereno, fumava sigari toscani in bocchini di carta da due un soldo, e alla tavola
rotonda della redazione si dava, silenziosamente alla
lettura di tutti gli opuscoli che arrivavano al giornale.
Eravamo, in quel tempo, giovani d’anni tutti, e, chissà
forse anche di cuore. Cominciava, per noi, gaiamente,
la vita dell’arte e del giornalismo, erano più dolci, più
durature le illusioni, e nell’avvenire o ci si pensava
sorridendo, o pur non ci si pensava per nulla. Il vecchio De Bourcard, che aveva poche parole per tutti e
che scriveva soltanto di monumenti, considerato come
un pezzo archeologico, allontanava la nostra gioventù. Finalmente anche lui s’allontanò, né più ricomparve, e nemmeno più comparirono nella famosa pagina
letteraria le sue descrizioni delle chiese e dei palazzi
di Napoli...
Bruno J. R. Nicolaus
7 Salvatore di Giacomo, Uomini e libri vecchi, loc. cit
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
45
Note di don Camillo D'Ambra
Benefici (altari o cappelle)
del Castello, una volta “Civitas isclana”
Un elemento rilevante nella politica organizzatrice
dell’organismo ecclesiastico sono stati i Benefici. A
Ischia 34 di essi, su un totale di 58, erano di patronato
laico, tra cui le chiese parrocchiali di Lacco, Forio e
Moropano, ed altre chiese parrocchiali, e perciò non
curate, come quelle di S. Biagio e di S. Maria al Mon­
te1.
Nella Cattedrale del Castello ogni altare aveva uno
dei benefici che, fondati da famiglie benestanti, ser­
vivano a dare sostentamento a sacerdoti appartenenti
alla famiglia stessa del fondatore e dei discendenti o,
in mancanza di preti in famiglia, a coloro che gli stessi
patroni eleggevano. Queste cappellanie servivano an­
che per assicurare nelle cappelle soggette al patronato
le fosse per seppellire i morti dello stesso nucleo fami­
liare. Dalla Platea del vescovo d’Avalos del 1598 si
ricava che i benefici esistenti nella cattedrale erano 21,
riferiti o ad una cappella (tredici) o ad un altare (sette)
più quello detto “della sacrestia”. Dalla pianta odierna
dei ruderi della cattedrale non si riesce ad individuare e
localizzare esattamente cappelle e altari2.
Beneficio dell’Assunta
Presso l’altare maggiore della Cattedrale, fondato il 10
ottobre 1716 dal conte D. Francesco Antonio Avallone
e da lui tenuto fino al 1° novembre 1753, quando volle
entrare nel Monastero di San Pietro a Majella in Napo­
li. Ne fu poi investito il figlio D. Filippo dal vescovo
Mons. Felice Amati il 14 giugno 1754; alla morte di
questo (11 maggio 1755) successe Marcello Avallone
(24 luglio 1755).
Più tardi questo beneficio dell’Assunta passò sotto il
patronato della famiglia Porta di Procida. Si trova noti­
zia che nel 1796, essendo morto Giovanbattista Porta,
detto beneficio fu concesso a D. Pietro Fiorentino.
Beneficio di S. Cristofaro
L’altare di questo santo era nel soccorpo della Catte­
drale, di patronato della famiglia de Funerii. Risul­
ta che il 12 agosto 1586 il vescovo Fabio Polverino
investì di questo beneficio il Primicerio del Capitolo
can. Michele Di Meglio con l’onere della celebrazione
1 Lopez P., Ischia e Pozzuoli due diocesi nell’età della
controriforma, Napoli, A. Gallina Editore 1991.
2 Di Lustro Agostino, Ecclesia maior insulana, la Cattedrale di
Ischia dalle origini ai nostri giorni, Forio 2010.
46 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
di una messa alla settimana e Vespro e Messa solenne
nella ricorrenza di San Cristofaro. Il beneficio rendeva
12 rotoli di grano. Nel 1697 detto beneficio passò alla
famiglia Castellano di Napoli.
Beneficio del Santissimo Salvatore
Era di patronato della famiglia Assante con l’obbligo
di celebrare due messe alla settimana e il Vespro e mes­
sa solenne il 6 agosto. Rendeva 21 ducati. In seguito
divenne di libera collazione. Nel 1712 era in possesso
di Marco Ponzio. Dal 1714 al 1744 fu tenuto da D.
Giuseppe Tranquillo di Napoli.
Beneficio di San Martino
Di patronato della famiglia Bozzuto, che aveva lega­
mi e parentele con le famiglie Tomacelli. Boccaparata,
Caracciolo, Madio, Minutolo e Brancaccio. Essi erano
ben radicati nella società napoletana proprio attraverso
detti legami. Gravavano sulla cappella di S. Martino
questi oneri: una messa ogni settimana; la celebrazione
della festa del Santo l’11 novembre con Vespro e Mes­
sa cantata. La rendita del beneficio assommava a 45
ducati. Nel 1640 questo beneficio era però già diventa­
to di libera collazione.
Beneficio dell’Annunziata
Di diritto patronato della famiglia Bulgaro. Aveva una
rendita di 27 ducati e per onere una Messa ogni setti­
mana. La famiglia Bulgaro già era estinta prima dell’e­
piscopato di Fabio Polverino.
Beneficio della Visitazione
Di patronato della famiglia Caralcio, con l’onere di
quattro messe settimanali. Rendeva 18 ducati. In se­
guito divenne di libera collazione. Nella relazione ad
limina del 1601 si dice che il beneficio è posseduto dal
chierico Giandomenico Vitale che ha sostituito Gio­
vanni Girolamo Caralcio che è ritornato al secolo.
Beneficio di S. Sebastiano
Di patronato della famiglia Corbera; rendeva 6 ducati.
Beneficio di S. Croce e di S. Sofia
Erano due benefici separati di patronato della famiglia
Cossa. Quello di S. Croce aveva dei beni a Panza; quel­
lo di S. Sofia stava nella chiesetta omonima che fu poi
Ruderi della Cattedrale del Castello (foto dal testo di A. Di Lustro citato in nota 2)
distrutta per costruire la chiesa dello Spirito Santo, e il
beneficio passò in Cattedrale, unito a quello di S. Cro­
ce, quest’ultimo, dopo i Cossa, passò alla famiglia Zac­
chi. Nel 1747 il beneficio era del sac. Franc. Antonio
Monticelli, succeduto al sac. Antonio Zacchi.
Beneficio di S. Tommaso e S. Maria
Nel 1692 era di patronato della famiglia Mellusi; nel
1749, morto il beneficiato D. Cesare Mellusi, passò al
chierico Giuseppe Mellusi. Oneri: una messa alla set­
timana.
Beneficio dei santi Stefano, Giuliano, Urbano e Maria Maddalena
Di patronato della famiglia Corbera. Nel 1749, alla
morte di Alfonso Corbera, passò al chierico Stefano
Corbera.
Beneficio di S. Sebastiano
Di patronato della famiglia Cervera. Nel 1723, morto
D. Michelangelo Cervera, esso fu conferito a D. Gaeta­
no Canetta: a morte di questo, nel 1748, passò al chieri­
co Baldassarre Cervera. Antecedentemente il beneficio
di S. Sebastiano era separato da quello di S. Anna e da
solo rendeva sei ducati.
Beneficio dei santi Caterina e Lorenzo
Di patronato della famiglia Baldura. Nel 1758, morto
D. Francesco Baldura, canonico decano del Capitolo
cattedrale di Squillace, passò al sac. D. Bernardo Celia.
Beneficio di S. Giovanni Evangelista
Aveva l’onere di cinque messe settimanali con l’obbli­
go di tener sempre accesa una lampada, oltre il Vespro
e la messa cantata il 27 dicembre.
Beneficio di San Vincenzo
Di patronato della famiglia Basi con l’onere di una
messa il giorno 15 di ogni mese. Rendita 2,10 ducati.
Beneficio di S. Margherita
Di patronato della famiglia Lanfreschi. Onere di una
messa alla settimana. Rendita sei ducati annui.
Beneficio dei Santi Innocenti
Di patronato della famiglia Tortella con l’onere di due
messe alla settimana, Vespro e messa cantata il 28 di­
cembre. Rendita di 55 ducati annui. Nel 1752 Mons.
Felice Amati unì questo beneficio alla Teologale da lui
istituita in cattedrale. In quest’anno la rendita era salita
a 66 ducati.
Beneficio del Crocifisso
Fondato in cattedrale da Mons. Bernardo Onorato, ve­
scovo di Treviso. Nel 1743 fu assegnato al chierico Ni­
cola Onorato, figlio di Teodoro e di Isabella Moraldi.
Beneficio dell’Immacolata, dei Santi Pietro e Paolo
e Camillo
Di patronato della famiglia Cortese. Nel 1751 il benefi­
ciato era D. Pietro Cortese, figlio del fondatore Nicola.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
47
Ruderi della Cattedrale del Castello (foto dal testo di A. Di Lustro citato in nota 2)
Beneficio della sacrestia della Cattedrale
Il sacrista che ne beneficiava era obbligato a procurare
le candele per l’altare maggiore, le croci di cera nel­
la festa di San Marco il 25 aprile, le palme o rami di
olivo nella domenica delle Palme e aveva il mandato
di custodire le suppellettili della sacrestia. Rendeva 31
ducati annui.
Beneficio di ebdomadario
Fondato in cattedrale da Mons. Michelangelo Cotigno­
la e lo tenne suo fratello D. Francesco Cotignola, vita
natural durante, poi passò al Capitolo. Ad ogni vacanza
di tale ebdomadariato era il Capitolo e non il Vescovo a
eleggere e presentare il nuovo sacrista.
Beneficio di S. Andrea
Di patronato della famiglia Cossa. Il patrono dava al
Capitolo 8 carlini annui. Onere: una messa alla setti­
mana. La rendita era di 6 ducati. Poi passò ad altri. Nel
1625 era di un tal Giacomo Salerno, napoletano.
Beneficio di San Bartolomeo
Di patronato della famiglia Di Capua. Onere. Una
messa alla settimana, con Vespro e messa solenne il 2
agosto. Rendita di 14 ducati annui. Poi passò prima ai
Mellusi e poi agli Albano.Nel 1723 il beneficiato era
D. Vincenzo Cigliano di Napoli; nel 1740 il can. Ora­
zio Albano, nel 1757 il chierico Giuseppe Mellusi, nel
1775 D. Pasquale Jovene.
Beneficio di S. Agostino
Di patronato della famiglia Garrica. Rendita: 15 ducati
annui con l’onere di una messa alla settimana.
48 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
Beneficio di S. Maria delle Grotte
Di patronato della famiglia Calosirto. Rendita: 37 du­
cati annui, con l’onere di due messe alla settimana. Nel
1646 il beneficiato era D. Bartolomeo Di Leo. In segui­
to il patronato passò alla famiglia Lanfreschi. Nel 1745
il beneficiato era D. Gaetano Lanfreschi.
Beneficio di S. Lucia
Di patronato della famiglia Donursi. Rendita: 7 ducati
annui. Onere: una messa a settimana, Vespro e messa
solenne il 13 dicembre.
Beneficio di S. Anna
Di patronato della famiglia Di Manso. Rendita: 6 duca­
ti annui. Onere: una messa la settimana, Vespri e messa
solenne il 26 luglio.
Beneficio del SS. Corpo di Cristo
Nella cappella del Sacramento era eretta la confraterni­
ta del SS. Corpo di Cristo, di patronato dell’Università
d’Ischia, con l’onere di fornire vesti e scarpe ai fratelli,
nonché le torce da portare durante la processione del
Corpus Domini, nelle esequie e quando veniva portato
il Viatico.
Beneficio di San Giacomo
Ne godeva il Capitolo, da antichissimo tempo, come si
legge nel libro delle Conclusioni capitolari del 1805.
Non so se era eretto in qualche cappella della Catte­
drale o altrove. Dote: un fondo sito a Casamicciola in
località Casa Cumana che fruttava 40 ducati annui. Il
Capitolo recitava ogni giorno al termine delle funzioni
corali l’antifona del Vespro e l’oremus di S. Giacomo.
Rassegna STAMPA
Atmosphere, giugno 2014
Ischia - l’isola che ha sposato il cinema
La sua sconvolgente bellezza, che si anima di colori forti, dalle spiagge ai monti,
non smetterà mai di affascinare registi ed artisti da tutto il mondo
Amleto Palermi nel 1936 ha scelto
Ischia per Il Corsaro Nero, film trat­
to dall’omonimo romanzo di Emilio
Salgari. E dal quel momento in poi
il patto tra l’Isola e il cinema è dive­
nuto sempre più forte: i suoi scorci
sono stati immortalati fino ai nostri
giorni in ben 34 pellicole. Cleopatra, produzione hollywoodiana di
successo, Avanti, Caccia alla Volpe, Ischia operazione amore, fino
alle opere più moderne, come Villa
Amalia; Ischia, set a cielo aperto, è
da sempre nel cinema un forte con­
trappunto spirituale.
Tutt’ora sono due gli eventi che
mantengono vivo quel legame or­
mai indissolubile: l’Ischia Film Festival che, dal 28 giugno al 7 luglio,
proietta opere selezionate da tutto il
di Claudia Beccato
mondo che valorizzano attraverso il
racconto filmico l’identità culturale
di un territorio, e l’Ischia Global
Film & Musica Fest, manifestazione
più generalista che si svolge dal 12
al 20 luglio.
Il motivo di questo patto è la sua
straordinaria bellezza. Terra sor­
prendente, che ci accoglie, raggiun­
gendola via mare, calamitando il
nostro sguardo: si innalza dall’acqua
con eleganza, svettando con il Mon­
te Epomeo, spesso sbiadito dalla
foschia, il Monte Vizzi e il Castello
Aragonese, che si erge su uno sco­
glio di forte roccia vulcanica, uno
dei più antichi e caratteristici castelli
d’Italia, facilmente raggiungibile dal
Porto dell’Isola e visitabile.
Ad Ischia, dove sono tutti «fratello
e sorella» orgogliosi della propria
terra, l’ospitalità e la generosità
sono inviolabili. Custodiscono una
bellezza, richiamo per noi forestieri,
che condividono senza malizia.
Un soggiorno ad Ischia si spera
sempre non abbia mai fine: oltre ai
paesaggi struggenti della natura, co­
lorata dal giallo lampeggiante dei
suoi limoni, e profumata di macchia
mediterranea, si mangia e si beve
bene, dal coniglio all’ischitana ac­
compagnato da un calice di Bian­
colella, dalle semplici penne allo
scarpariello con pomodorini freschi,
parmigiano, aglio, peperoncino e
basilico, al Migliaccio, dolce a base
di semola, ricotta, latte ed ovvia­
mente la scorza profumatissima di
un limone; terminando con qualche
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
49
sorso di Rucolino, amaro alla rucola
aromatizzato all’arancia, al limone e
al mandarino. Ischia, sconvolgente
bellezza che si anima di colori for­
ti, dalle spiagge ai monti, ha quindi
saputo irretire grazie al suo fascino,
registi, scrittori ed artisti da tutto il
mondo, che, molto spesso, incapaci
di lasciare l’Isola, vi hanno preso
dimora. Tra i più celebri, Luchino
Visconti, che abitò presso La Co­
lombaia, splendida villa che sul pro­
montorio di Zaro segna il confine tra
il mare blu, il cielo intagliato dalle
nuvole ed il fitto bosco. Ora la villa è
una Fondazione e ospita il primo nu­
cleo del Museo permanente pregno
della memoria viscontiana.
Ischia, the island that married the cinema
Its amazing beauty, which comes alive with bright colours, from the beaches to the mountains,
will never cease to fascinate fìlmmakers and artists from all over the world
Amleto Palermi in 1936 chose Ischia for The Black Corsair, a film based on the novel of Emilio Salgari. And from
that moment on, the pact between the Island and the cinema has become increasingly stronger: its views have been
immortalized to this day in at least 34 films. Cleopatra, successful Hollywood production. Billy Wilder, Caccia alla
volpe, Ischia operazione amore, to the more modem works, such as Villa Amalia; Ischia, an open air set, has always
been a strong spiritual counterpoint for cinema.
Even now there are two events that keep this indissoluble bond alive: the Ischia Film Festival, which from June 28
to Jury 5 projects selected works from around the world that value through the filmic narrative the cultural identity of
an area, and the Ischia Global Film & Music Fest a more generalist event that takes place from July 12 to 24.
The reason for this agreement is its extraordinary beauty. Amazing earth that welcomes us, reaching it by sea, ma­
gnetizing our eyes: it rises from the water with elegance, standing out against the Epomeo Mount, often faded by the
mist. Vizzi Mount and the Aragonese Castle, which stands on a cliff made of strong volcanic rock, one of the oldest
and most characteristic castles in Italy, easily reachable from the port of the island and that can be visited.
In Ischia, where everybody is brother and sister and proud of their land, the hospitality and generosity are inviolable.
They preserve a beauty that calls for us foreigners. who share it without malice.
You always hope your holiday in Ischia will never end: in addition to the haunting landscapes of nature, coloured
by the flashing yellow of its lemons and smelling of Mediterranean vegetation, you eat and drink well, from the Ischia
rabbit accompanied by a glass of Biancolella, from simple penne allo scarpariello with fresh cherry tomatoes, parme­
san cheese, garlic. chilli and basil, to Migliaccio, sweet made of semolina, ricotta cheese, milk and of course the fra­
grant peel of a lemon; ending with a few sips of Rucolino, arugula bitter flavoured with orange, lemon and tangerine.
Ischia, disturbing beauty that comes alive with bright colours, from beaches to mountains, then managed to ensnare
thanks to its charm, directors, writers and artists from all over the world, who, very often, unable to leave the island,
decided to live there. Among the most famous, Luchino Visconti, who lived at La Colombaia, a beautiful villa on the
promontory of Zara marking the boundary between the blue sea, the sky carved by clouds and the dense forest. Now
the villa is a foundation and core of the first permanent museum dedicate to Visconti.
Meeting e Congressi - La Rivista del Meeting Industry
Meeting-Incentive-Convention-Exhibition (MICE) - n. 01 gennaio-febbraio 2014
Bellissima in ogni stagione
Uno scrigno di tesori artistici, storici e naturalistici di primo piano, ai
quali si aggiungono strutture alberghiere di lusso e rilassanti stabili­
menti termali: Ischia è la destinazione perfetta - e mai scontata - per la
meeting industry più esigente.
Nell’Olimpo delle località turisti­
che più à la page del Mediterraneo,
l’hanno lanciata la campagna di sca­
vi che negli anni Cinquanta portò
alla scoperta di Pithekoussai, prima
50 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
colonia greca d’occidente, e l’inna­
moramento di Angelo Rizzoli per
Lacco Ameno. Ma è grazie all’estro
e all’intraprendenza degli imprendi­
tori locali e ai loro hotel pluri-stel­
lati, che esplose la Dolce Vita made
in Ischia e che l’isola delle terme,
già meta di viaggiatori più o meno
celebri, divenne una destinazione da
sogno, che più glamour non si può.
Tutto questo porta anche Mice e bu­
siness. I direttori di alberghi e resort
sanno che i loro ospiti in viaggio per
affari preferiscono strutture e luoghi
che, oltre agli spazi meeting, offra­
no anche opportunità per il tempo
libero e occasioni di relax, diverti­
mento ed escursioni. E ciò è possi­
bile soprattutto se la meta è l’isola di
Ischia. Qui si lavora in una cornice
paesaggistica notevole, con hotel di
lusso, strutture moderne e resort che,
nati per il turismo d’élite, sono anche
ideali per meeting lanci di prodotti,
presentazioni aziendali congressi
scientifici, predisponendo oltretut­
to, l’evento al successo. Al di fuori
del lavoro non manca nulla, a co­
minciare dalle straordinarie spiagge,
optional molto apprezzato, davanti
ad acque trasparenti: l’Isola Verde è
anche meta di chi vuole scoprire le
meraviglie dei fondali e degli aman­
ti degli sport d’acqua in generale.
Paradiso di benessere e relax, ormai
ai primi posti nelle classifiche delle
priorità di chi viaggia anche per mo­
tivi di lavoro, Ischia offre spazio an­
che all’immaginazione. Negli Anni
60, divi di Hollywood e Cinecittà,
magnati dell’industria e della finan­
za, teste coronate e playboy sbar­
cavano sull’isola per partecipare a
feste favolose e la cronaca di quegli
anni è raccontata in un’esposizione a
Villa Arbusto, dimora settecentesca
immersa tra i fiori bianchi e i frut­
ti rossi di corbezzolo, meta del jet
set ospite di Rizzoli e poi acquisita
dal Comune di Lacco Ameno con la
villetta Gingerò, dependance riser­
vata agli amici stretti dell’editore.
Immagini affascinanti di Alida Valli,
Claudia Cardinale, Helmut Berger
e Alain Delon si sono sovrapposte
a quelle del precedente albo d’oro
dei visitatori: Ibsen e Stendhal, La­
martine e Polanski, tanto per citare
i più noti, frequentavano Ischia per
l’incredibile numero di fonti terma­
li, il prezioso patrimonio naturale
dell’isola conosciuto e sfruttato sin
dall’antichità. Plinio e Strabone lo
raccontano: furono gli antichi ro­
mani, che conoscevano i segreti
dell’art de vivre, a capire i benefici
delle acque ischitane, dei bagni, del­
le immersioni e delle saune. Le pro­
prietà mediche, gli studi scientifici
e le terapie vennero in un secondo
momento e resero Ischia l’isola del
benessere per antonomasia. Oggi è
la capitale del termalismo europeo,
con oltre trecento stabilimenti e una
grande varietà di acque, 29 bacini e
centinaia di sorgenti e fumarole.
Un’isola. Mille Proposte
La passeggiata nel suggestivo
quartiere dei pescatori di Ischia Pon­
te, il lungo passaggio a mare per la
visita al Castello Aragonese, lo shop­
ping lungo via Roma, il by-night
sulla Rive Droite, lo jogging in pine­
ta e il bagno agli scogli di Sant’Anna
a Cartaromana, la visita al quartiere
chic e colorato di Sant’Angelo sono
solo le prime cose da fare una volta
approdati sull’isola. Ma la lista dei
luoghi da vedere, delle esperienze
da fare, dei prodotti da assaggiare,
a cominciare dal pregiatissimo vino,
è lunghissima. In tutto 34 chilometri
di linea costiera, la più grande del­
le isole del golfo di Napoli ha un
clima dolce, anche per la presenza,
al centro, del monte Epomeo. Con
circa sessantamila abitanti, dopo Si­
cilia e Sardegna, è la più popolosa
d’Italia, divisa in sei comuni: Ischia,
Casamicciola Terme, Lacco Ameno,
Forio, Serrara Fontana e Barano d’I­
schia.
L’isola dei pithekoi, le scimmie, o
dei pithoi, i vasi d’argilla, si apre sul­
lo scalo più importante: Ischia Porto
è la vera e propria porta d’ingresso,
il luogo dell’accoglienza, sulla riva
sinistra, da dove partono i traghetti.
La riva destra ospita invece ristoran­
ti, tavernette, bar e locali notturni,
dove si cena, si beve e si balla nelle
notti d’estate. Da qui partono il cor­
so, via Roma e corso Vittorio Colon­
na, la passeggiata più prestigiosa ed
esclusiva di Ischia, mentre i palazzi
nobiliari sono su via Seminario. Da
qui a Ischia Ponte il passo è breve:
il borgo dei pescatori, il ponte verso
il castello sull’isolotto, lo specchio
d’acqua invaso dalle imbarcazio­
ni. E il cuore dell’isola di Ischia, il
luogo dell’anima degli abitanti e dei
turisti, imperdibile.
Tra storia e arte
La suggestiva rupe di lava basal­
tica, alta un centinaio di metri, deve
il nome al castello, ampliato e for­
tificato nel 1438 da Alfonso d’Ara­
gona, anche se l’isolotto pare fosse
già abitato nel 474 a.C. dai soldati di
Gerone, tiranno di Siracusa. Sull’in­
credibile stratificazione di ruderi si
erge il possente maschio trapezoi­
dale a strapiombo sul mare. Poco
distante la rinascimentale cattedrale
dell’Assunta, nella quale, nel 1509,
si sposarono la poetessa Vittoria
Colonna e Ferrante d’Avalos. E an­
cora nei pressi c’è il convento delle
Clarisse, con la grandiosa cupola del
Settecento, e il cimitero dove si rac­
conta che i corpi delle monache di
clausura venissero seduti su scranni
di pietra e lì lasciati a decomporsi.
La salita al castello, lungo il percor­
so scavato nella roccia da Alfonso I
d’Aragona nel ‘400 è piena di ruderi
e segrete, ma è anche un eccezionale
colpo d’occhio sulle barchette della
marina, su Ponte, Procida e il golfo
di Napoli.
La storia dell’isola è narrata nel
Museo archeologico, allestito an­
cora all’interno di villa Arbusto a
Lacco Ameno: la Coppa di Nestore,
una kotyle, ossia una tazza piccola,
di uso quotidiano, databile intorno
all’ultimo venticinquennio delI’VIIl
secolo a.C, uno dei più antichi esem­
pi d scrittura alfabetica. Dalla cripta
della vicina chiesa di Santa Resti­
tuta, si accede poi agli scavi di una
suggestiva basilica paleocristiana.
Dal lungomare si vede iI Fungo,
simbolo del posto, un masso d tufo
verde, la tipica roccia di origine
vulcanica, che si staccò dalle pare­
ti dell’Epomeo in seguito a una sua
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
51
eruzione, ma anche gli enormi panfi­
li milionari di magnati russi, sceicchi
arabi e sultani dell’estremo oriente.
La baia di San Montano, verdissima
e affascinante, è uno de luoghi più
selvaggi dell’isola.
Forio è l’altro borgo marinaro di
charme dove, su uno sperone di tufo,
si erge i bianco santuario di Santa
Maria del Soccorso, che al tramon­
to diventa uno spettacolo di colore.
Il centro è dominato da un Torrione
quattrocentesco che ospita un museo
civico. Qui sono da vedere il giardi­
no La Mortella, tra i più belli d’Ita­
lia, che ospita piante rare provenienti
da ogni parte del mondo su 150mila
metri quadrati di terreno, la villa
del musicista sir William Walton, la
spiaggia di Citara e La Colombaia,
la villa di Luchino Visconti. Da non
perdere il bagno notturno nella baia
di Sorgeto. Dominano le torri, prima
tra tutte quella conosciuta come il
Torrione, tre piani del XV secolo
Entroterra
a tutta natura
A sud c’è Sant’Angelo, una volta
zona poco frequentata, oggi elegan­
te centro turistico, animata di giorno
e di sera, la piazzetta di Ischia dalla
scenografia esclusiva. Tra boutique
grandi firme, atelier e gioiellerie,
le stradine si inerpicano in mezzo
Lacco Ameno - Il Fungo
alle casette dalle tinte pastello. Tap­
pa obbligata per artisti e vip, qui si
mangiano zuppe di pesce leggenda­
rie e dolci da re.
Infine, tra Sant’Angelo e Ischia
Ponte, c’è il maggior numero di
spiagge in sequenza: i Maronti, la più
famosa e la più estesa, tre chilometri
ricchi di cave, dentro le quali sgor­
gano sorgenti d’acqua termale, un
tempo rifugio dei pirati: la Scarrupa­
ta, sottile nastro di sabbia e ciottoli:
punta San Pancrazio e una minusco­
la spiaggetta: la spiaggia dell’Amo­
re, segreta e appartata; le grotte, le
più famose, la grotta Verde, la grotta
del Mago, la grotta Tisichiello; poi
l’incantevole spiaggia Cartaromana,
davanti alla quale si nuota ammiran­
Forio - Il Soccorso
52 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
do il castello. Nell’entroterra si apro­
no Serrara e Panza, panoramiche ai
piedi del monte Epomeo, e Barano
d’Ischia, affacciata sulla spiaggia
dei Maronti, lunga due chilometri e
costellata di sorgenti termali e fuma­
role. Da Barano partono “i sentieri
della lucertola” quattro percorsi na­
turalistici indicati da una lucertola
colorata. Sulla vetta dell’Epomeo è
interamente scavato nella roccia tu­
facea l’eremo di San Nicola del XV
secolo.
A Ischia si producono i vini che,
per primi, hanno ottenuto il marchio
Doc in Campania, da vitigni quali
Biancolella, Forastera e Piediros­
so (o Per’e Palummo). Nei boschi
abbondano bacche, funghi porcini
e tantissimi sono i castagneti, gli
agrumeti, i frutteti, gli oliveti, ma
anche gli alberi di noci e nocciole,
i fichi celebrati da Orazio. Dagli orti
arrivano pomodori grossi e succosi,
cicerchie, lenticchie, fagiolini e fa­
gioli particolari, gli “zampognari”
piccoli, rosso scuro, adatti per una
zuppa da leccarsi i baffi. I piatti della
tradizione vanno dal maiale al pesce,
primo tra tutti il coniglio, che all’i­
schitana è in padella, con pomodori,
olio, vino bianco, aglio e peperonci­
no. Tipica è anche la parmigiana di
melanzane nella versione col basili­
co a foglie larghe dell’isola.
*
Ischia Film Festival
Edizione 2014
Si è svolta ad Ischia, dal 28 giugno al 7 luglio 2014, la dodicesima edizio­
ne dell’Ischia Film Festival (concorso internazionale dedicato alle location
cinematografiche, ideato e organizzato da Michelangelo Messina. Presieduto
quest’anno da Pupi Avati), che ha fatto registrare i seguenti vincitori nelle
relative sezioni:
- Sezione Documentari - The silent chaos di Antonio Spanò, che dà
voce alla disperazione dei sordomuti del Butembo1.
- Sezione Cortometraggi - America di Alessandro Stevanon, poeti­
co tributo all’esistenza di Giuseppe Bertuna, conosciuto come Pino
America2.
- Sezione Location negata - Lucciole per lanterne di Stefano e Mario
Martone, film ambientato nel Cile delle grandi dighe e della lotta di
tre donne contro la privatizzazione dell’acqua3.
- Premio Castello Aragonese come miglior regista - Matti Ijäs con
‘Things we do for love’.
- Premio Epomeo per la miglior fotografia - Xi Wei per ‘Ashes to
ashes’ di Wu Qing.
- Menzioni speciali per la sezione Documentari a L’uomo sulla Luna
di Giuliano Ricci4; per la sezione Cortometraggi a Sassiwood di An­
tonio Andrisani e Vito Cea5
In occasione della prima giornata di questa edizione, il Festival ha confe­
rito l’Ischia Film Award alla carriera al regista israeliano Amos Gitai (nato
a Haifa nel 1950), il quale ha anche presentato il suo film Ana Arabia: un
momento nella vita di una piccola comunità di reietti, ebrei e arabi, che vi­
vono insieme in una enclave dimenticata al “confine” tra Jaffa e Bat Yam in
Israele. In Ana Arabia, Yael, una giovane giornalista decide di visitare un
piccolo villaggio; in quelle baracche fatiscenti tra i frutteti carichi di limoni,
circondate da gigantesche abitazioni popolari, scopre una serie di personaggi
distanti dai cliché con i quali viene descritta la regione. Yael ha la sensazione
di aver scoperto una miniera di umanità. Non pensa più al suo lavoro. Le
facce e le parole di Youssef e Miriam, Sarah e Walid, e dei loro vicini e amici
la introducono alla vita, ai sogni e alle speranze, agli amori, ai desideri e alle
illusioni. La loro relazione con il tempo è diversa da quella della città che li
1 «Per i rischi reali che il regista ha corso per illustrare, con un esempio poco conosciuto,
l’estrema difficoltà di essere diverso in una società tradizionale, attraverso immagini di
grande forza emozionale» (in giuria: Jean Emanuel Martinez, Arnaldo Catinari, Roland
Sejko e Giovanni Esposito).
2 «Per la regia insolita, che descrive con affetto la vita di un uomo che ha scelto una dolce
follia per sfuggire al rimpianto di una vita mancata».
3 «Un omaggio a tutte le donne che resistono ai superpoteri in modo costruttivo e senza mai
perdere di vista le cause vitali delle loro lotte, contrariamente a quanto fanno moltissimi
uomini che ancor oggi non sanno esprimersi altrimenti che con la violenza».
4 «Per la capacità del regista di entrare, con pudore e delicatezza, in una realtà
sorprendente e fuori dal tempo, con delle bellissime immagini e mantenendo una distanza
piena di umorismo malgrado la drammaticità del soggetto».
5 «Uno sguardo divertente e affettuoso su quel pizzico di follia che caratterizza i lavoratori
del cinema e senza il quale non esisterebbe il cinema stesso».
Ischia - Il Castello Aragonese
circonda. In quel luogo provvisorio
e fragile, c’è la possibilità di coesi­
stere, di vivere insieme. Una meta­
fora universale.
«La bellezza principale di Ischia
– ha dichiarato Amos Gitai - è data
dai suoi meravigliosi scorci naturali che, per registi come me, sono di
grande ispirazione. Il mio modo di
fare regia, essendo io un ex architetto e non avendo mai fatto alcuna
scuola di cinema, si basa esclusivamente sulle emozioni. La macchina da presa è per me il modo più
diretto per esprimere le sensazioni
che provo. È proprio per questo che
continuerò a fare film: perché non
ho alcuna intenzione di smettere di
emozionarmi».
Di forte attrattiva sono state an­
che le due anteprime nazionali: And
while we were here di Kat Coiro,
lungometraggio ambientato tra Na­
Amos Gitai
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
53
poli e Ischia, un adattamento letterario dei racconti
della nonna di Coiro sulla seconda guerra mondiale,
ed il corto “1%Ers” di Francesca de Sola, prodotto da
Quentin Tarantino e girato a Palm Springs in Califor­
nia. Una vera e propria festa del cinema alla quale han­
no partecipato anche tanti autori di corti e documentari
tra i quali si segnalano: Luciano Schito, autore e regista
del cortometraggio Malak; Brunella Filì autrice e regi­
sta del film Emergency Exit, e Matteo Ferrarini autore
e regista di Buracos L’eredità del diamante.
Ugo Gregoretti ha presentato Un intellettuale di Borgata di Enzo De Camillis, di cui è protagonista e testi­
mone. Interpretato da uno straordinario Leo Gullotta,
questo documentario racconta di Pier Paolo Pasolini e
della sua onestà intellettuale fatta di una ricerca conti­
nua come poeta delle borgate in contrasto con le rigi­
dità del governo di quegli anni, carico di preconcetti
sulle diversità; le critiche e le accuse verso un mon­
do politico ed economico miope, sono rappresentate
in contrapposizione con la lungimiranza culturale di
espressioni cinematografiche quali Ragazzi di Vita, Petrolio, Accattone e Mamma Roma, e nelle sue intervi­
ste sul pericoloso potere dei media.
Anche se ha lavorato soprattutto per la televisione,
Ugo Gregoretti si è distinto anche come regista cine­
matografico nel cui ruolo esordì nel 1962 con il film
inchiesta sui giovani I nuovi angeli, pellicola distintasi
per il suo stile insolito ed i dialoghi fin troppo avan­
54 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
guardistici tanto da risultare tutt’oggi attuale.
Ospiti d’eccezione sono stati anche Pupi e Antonio
Avati, i quali hanno parlato della loro esperienza nel
mondo del cinema.
In contemporanea con l’uscita nazionale nelle sale
cinematografiche, è approdato anche all’Ischia Film
Festival Le cose belle, il documentario di Agostino
Ferrente e Giovanni Piperno ambientato nella perife­
ria napoletana di Ponticelli. Prodotta, tra gli altri, dalla
Parallelo 41 di Antonella Di Nocera, l’opera di Fer­
rente e Piperno mostra la fatica e la bellezza di cre­
scere al Sud in un film che narra tredici anni di vita.
Quella di Adele, Enzo, Fabio e Silvana, raccontata in
due momenti fondamentali delle loro esistenze: la pri­
ma giovinezza e l’inizio dell’età adulta, in un film che
mescola il tempo della vita ed il tempo del cinema. La
dignità dei giovani e le responsabilità degli adulti in
una Napoli, immersa in quel suo tessuto magmatico,
dove il bene e il male vivono in prossimità, dando un
volto alla complessità dell’esperienza umana. Quando
nel 1999 Agostino Ferrente e Giovanni Piperno realiz­
zarono Intervista a mia madre, un documentario per
Rai Tre che voleva raccontare dei frammenti di adole­
scenza a Napoli, ai loro quattro protagonisti chiesero
come immaginassero il proprio futuro: loro risposero
con gli occhi pieni di quella luce speciale che solo a
quell’età possiede chi ancora sogna “le cose belle” e
con quell’autoironia tipica della cultura partenopea
che li aiuta a sdrammatizzare, esorcizzare e talvolta ri­
muovere gli aspetti problematici della vita. Al tempo
Ugo Gregoretti
Pupi Avati
stesso da quegli occhi traspariva una
traccia di scaramantico disincanto.
Dieci anni dopo, passando dalla Na­
poli del rinascimento culturale, che
attirava artisti da tutto il mondo, a
quella di oggi, piena di fermento e
talenti, ma sommersa dall’immondi­
zia e con il degrado sempre nasco­
sto nelle pieghe della quotidianità, i
registi sono tornati a filmare i loro
quattro protagonisti per un arco di
quattro anni: l’auto-ironia ha ceduto
il posto al realismo; alle “cose belle”
Fabio, Enzo, Adele e Silvana non
credono più o forse hanno imparato
a non cercarle nel futuro o nel passa­
to, ma nell’incerto vivere della loro
giornata, nella lotta per un’esistenza/
resistenza, difficile ma dignitosa. Ad
accompagnare la presentazione del
film a Ischia è stato uno dei protago­
nisti, Fabio Rippa.
Nel contesto del Castello Arago­
nese si è tenuto anche il XII con­
vengo internazionale sul Cineturi­
smo. All’incontro sono intervenuti:
Cornelia Hammelmann, Direttrice
del fondo DFFF, che ha presentato
il fondo tedesco innescando inevi­
tabilmente tra i presenti il naturale
confronto con la situazione italiana;
Francesca Pellicanò, AGCOM Di­
rezione servizi media, che ha spie­
gato come fare ad ottenere la certifi­
cazione che dimostri in Europa che
la propria opera, film o serie tv, sia
made in Italy; Marco Cucco, docen­
te presso l’Università della Svizze­
ra italiana di Lugano, autore della
ricerca “Il mercato delle location
cinemtografiche” avente come sco­
po la comprensione della fattibilità
di costituire una film commission
in Svizzera; Eugenio Prosperetti,
avvocato e docente di diritto della
concorrenza nell’Università di Sie­
na, che ha trattato la parte giuridica
legata alla proprietà intellettuale;
Furio Reggente, docente presso l’U­
niversità Cattolica del Sacro Cuore
di Brescia, e Roberta Todesco, neolaureata presso l’Università Cat­
tolica del Sacro Cuore di Milano,
che hanno presentato in anteprima
esclusiva una ricerca condotta per
l’Università, che ha come scopo l’a­
nalisi psicologica della scelta della
vacanza, tenendo conto soprattutto
delle preferenze motivate dal cine­
ma; Angelo D’Alessio, consulente
Cinema Digitale Mostra del Cinema
Venezia, e Federico Savina, docen­
te presso il Centro Sperimentale di
Cinematografia, che hanno fato una
breve introduzione sugli sviluppi
delle nuove tecnologie e formati
emergenti nella presentazione cine­
matografica e multimedial; Enrico
Nicosia, ricercatore presso l’Univer­
sità degli Studi di Macerata e autore
del libro “Cineturismo e Territorio”,
che ha parlato di un nuovo tipo di
turismo detto “cineturismo gastro­
nomico”.
Tra gli altri ospiti presenti al con­
vegno anche Michaela Guenzi,
responsabile comunicazione Lom­
bardia Film Commission che ha sot­
tolineato quanto il loro ente sia inte­
ressato al fenomeno del cineturismo,
Augusto Sainati, docente di storia,
teoria e analisi del film per il corso
di laurea in Scienze della Comunica­
zione all’Università Suor Orsola Be­
nincasa, che ha portato un prezioso
contributo sulla storia del cinema le­
gato agli argomenti trattati, Andrea
Camesasca, delegato al turismo Ca­
mera di Commercio di Como ed ide­
atore del format TTT TourismThin­
kTank di Lariofiere Erba, che ha
dato delucidazione della realtà turi­
stica del lago di Como ed Anna Olivucci, responsabile di Marche Film
Commission, che ha denunciato la
mancanza di una governance unita
e lineare dichiarando: «c’è troppa
concorrenza tra regioni e si sente la
mancanza di una promozione unita­
ria di un unico marchio “Italia”».
*
Terrazzo della Casa del sole, luogo di proiezioni
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
55
Testimonianze epigrafiche semitiche
(segue da pagina 2 di copertina)
della scoperta, si presentava intera,
ma in pessime condizioni (tanto che
si è accasciata prima che fosse stato
possibile fotografarla!) e pressoché
vuota di terra nell’interno, salvo un
po’ di terriccio pulverulento sul fon­
do e spesse incrostazioni silicee.
Nell’interno, oltre a resti di ossici­
ni di infante inumato, uno scarabeo
di steatite, un pendente a forma di
doppia ascia, di osso, e un anellino
di bronzo.
Manca il piede dell’anfora, che è
stato tagliato dalla fossa della tom­
ba ad inumazione 574 (LG I): tanto
l’anfora 575 quanto la fossa 574 era­
no sottoposte al tumulo 199 (LG I).
575 - 1
Anfora grezza importata, con collo
cilindrico. H. ca. cm 67; diam. max.
cm. 45.
Ricomposta da frammenti; ampia­
mente integrata: resta qualche lacuna
e manca interamente il piede. Molto
alterata e deformata dall’azione del­
le fumarole: superficie quasi intera­
mente annerita. La terracotta che si
sgretolava tutta è stata ampiamente
consolidata con acetato di polivinile.
Pasta fine rosso-mattone scuro, con
pochi inclusi non intenzionali, ugua­
le a quella dell’anfora sporadica e
molto frammentaria Sp. 2/1: restano
soltanto poche tracce della scialba­
tura color nocciola chiaro, che è in­
vece ben conservata sui frammenti
dell’esemplare sporadico.
Ampio corpo ovoide panciuto; col­
lo perfettamente cilindrico con mar­
gine superiore arrotondato, senza
orlo distinto, se non per una sottile
linea rilevata poco sotto il margine.
Brevi anse a nastro ingrossato dal
collo alla spalla. (Il piede mancante
doveva essere ad anello, come quel­
lo, conservato, dell’esemplare spo­
radico Sp. 2/1).
Cinque gruppi di segni incisi dopo
cottura sulla spalla, su una delle
56 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
anse, sotto l’attacco inferiore dell’al­
tra ansa e sul collo, di cui uno in ca­
ratteri consonantici semitici nordoc­
cidentali: kpln, da interpretare come
il sostantivo kpl («doppio») seguito
dal suffisso –n che indica la natura
aramaica della lingua.
575 - 2
Anello di bronzo.
Diam. cm 2: spess. cm. 0.3.
Integro, molto ossidato. Cerchio
chiuso, a sezione circolare.
575 - 3
Pendente di osso a forma di bipen­
ne. - Lungh. cons. cm. 2.7; largh,
cm. 1.5; spess. max. cm. 0.3.
Restaurato, incompleto.
Piccola ascia bipenne rettangolare,
con sottile foro passante al centro.
Una faccia presenta quattro incavi
circolari per l’inserimento di una
decorazione in materia diversa, pre­
sumibilmente ambra, oggi del tutto
scomparsa.
575 - 4
Scarabeo di tipo egizio. Base cm.
1.44.
Scarabeo di steatite con tracce di
rivestimento giallo-ocra. Frattura sul
lato destro della base, incrostazioni
sulle elitre e sul lato destro.
Schiena ampia e curvilinea: sono
indicati il clipeo con la testa e gli oc­
chi, il protorace, nonché le elitre con
contorno laterale e segni superiori a
v; zampe naturalistiche e sollevate.
Incisioni sommarie, più profonde
sulla base.
Leggenda verticale provvista di
contorno: si tratta di una variante del
prenome del faraone della XIX dina­
stia Sethos II (1214-1208).
Il tipo della sepoltura e del suo cor­
redo è quello consueto delle tombe
greche della necropoli di San Mon­
tano.
La forma dell’anfora, con il suo
corpo ovoide panciuto, le anse im­
postate dal collo cilindrico alla spal­
la e il piede ad anello, indica chia­
ramente che si tratta di un prodotto
greco2. La terracotta molto tipica e
l’assenza ad solito orlo ingrossato a
cordone intorno alla bocca sono ele­
menti caratteristici che dovrebbero
permettere in futuro di identificare
più precisamente il centro di fabbri­
cazione di questo tipo di anfore.
I dati stratigrafici più sopra ri­
cordati collocano la deposizione
dell’anfora saldamente nel periodo
LG I. Non sappiamo quanti anni sia
durata la sua vita come contenitore
domestico, ma si può comunque af­
fermare che la data più bassa asse­
gnabile al graffito aramaico si pone
intorno al 730, quella più alta verso
il 750. Una data intermedia, intorno
al 740, appare la più verosimile.
Come è stato già accennato, la ne­
cropoli di San Montano ha restituito
finora soltanto un altro esemplare di
questo tipo di anfore, purtroppo in
frammenti sporadici molto lacuno­
si che non permettono una integra­
zione del vaso. Da quanto ne resta
appare che forma e dimensioni non
erano diverse da quelle dell’anfo­
ra 575-1. Anche questo secondo
esemplare reca iscrizioni graffite
dopo cottura, ma questa volta gre­
che. Alcuni frammenti con graffiti
sono stati rinvenuti nella lente di ter­
ra nera del tumulo 235 (n. di scavo
691), o immediatamente al di sotto
della stessa. Arche questo tumulo
appartiene al periodo LG I. La data
da assegnare ai graffiti ricade quindi
entro gli stessi limiti di tempo in cui
si colloca il graffito aramaico e va
ugualmente determinata all’incirca
intorno al 740.
Poiché si tratta probabilmente
dell’iscrizione greca più antica fino­
2 Del tutto diversa è la sintassi formale delle
anfore orientali - canaanite, fenicie, puniche
- che pure furono importate abbastanza
frequentemente a Pithekoussai, dove si
trovano tanto riusate per enchytrismoi nella
necropoli, quanto nei livelli di abitazione.
ra rinvenuta a Pithekoussai - forse
all’incirca di un decennio preceden­
te all’epigramma della cosiddetta
‘coppa di Nestore‘ - ci sembra giu­
stificato anticipare qui la sua pub­
blicazione, anche perché proprio
dal confronto con la contemporanea
iscrizione aramaica risalta in modo
vieppiù evidente come in questo pe­
riodo, di poco posteriore alla metà
dell’VIII sec. la scrittura greca sia
stata già completamente sviluppa­
ta e diversificata nella forma e nel
ductus delle lettere rispetto a quella
semitica nordoccidentale.
L’iscrizione sinistrorsa consta di
due righe sottoposte, su un fram­
mento della spalla ricomposto da
otto frammenti minori (figura 1).
... ] μιμαιονο [...
... ] ος εμι
Le lettere della prima riga, incon­
suetamente grandi per un graffito
vascolare, notevolmente spaziate e
vigorosamente incise da una mano
ferma e sicura, si trovano poco sot­
to l’attacco del collo cilindrico3. La
prima lettera M si trova sotto l’ansa
di cui è conservato l’attacco inferio­
re. Poiché non si inizia un’iscrizio­
ne in un posto così inopportuno e
scomodo per incidere una lettera, e
nemmeno subito prima dell’ansa, si
deve supporre che quanto precedeva
le lettere conservate fosse stato mol­
to più lungo e si sia sviluppato su
buona parte, o su tutto il lato oppo­
sto del vaso. Una scheggiatura alla
base della lettera che segue l’alpha
impedisce di accertare se si tratta di
uno iota oppure di un lambda. La
seconda riga presenta lettere ancora
più grandi e meno spaziate che sem­
brano tuttavia tracciate da una mano
diversa, molto meno sicura e che ha
inciso meno profondamente4. Forse
3 Le lettere misurano in altezza, nell’ordine,
da destra a sinistra, riga 1: cm. 2,5; 3; 2.6;
2,2 (le terminazioni delle ultime tre lettere
sono incomplete); riga 2: cm. 1.5: 4: 3,5;
3,4: 2,6.
4 La differenza tra la scrittura della
Fig. 1 - Necropoli di San Montano - Graffiti
incisi sull'anfora Sp 2/1 - Scala 1:2
la seconda riga era la copia di quella
superiore, eseguita da un principian­
te nell’arte dello scrivere. In tal caso
essa ci restituirebbe la terminazione
della riga soprastante.
Alla stessa anfora appartiene un
frammento isolato che conserva una
sola lettera integra sinistrorsa - K preceduta da due lettere frammen­
tarie difficilmente interpretabili e
seguita da una lettera ugualmente
frammentaria in basso (iota o lam­
bda). La curvatura del frammento
esclude che possa trattarsi di parte
della prima riga dell’iscrizione testé
descritta e le lettere sembrano del
resto tracciate da una mano ancora
diversa.
2. - Un minuscolo frammento va­
scolare dalla necropoli di San Mon­
tano che conserva due lettere integre
leggermente incise dopo cottura,
precedute e seguite da una lettera
prima e della seconda riga non risalta
sufficientemente nel disegno. Da notare
è l’aggiunta di un quarto tratto nella parte
interiore del sigma, volto tuttavia nella
direzione sbagliatia cioè verso sinistra
anziché verso destra. Resta incerto se
si possa considerarlo un vero sigma a
quattro tratti tracciato in forma aberrante, o
piuttosto un semplice errore di grafia. Per
un esempio di sigma a quattro tratti regolare
da Pithekoussai vedi E. Peruzzi, Origini di
Roma II, (Bologna. 1973). p. 25. tav. IV a e
M. Cristofani. in Arch. Class., 25-26. 19731974. p. 155 s.
frammentaria, è stato pubblicato fin
dal 1964 da Margherita Guardac­
ci5. Il graffito (fig. 2), interpretato
come greco, acquistava un partico­
lare interesse per la presenza della
lettera alpha nella forma orizzontale
o ‘adagiata’. Di recente due studiosi,
in base al disegno pubblicato, hanno
ritenuto indipendentemente che il
coccio, da leggersi capovolto, rechi
invece lettere fenicie6. La possibili­
tà di leggere i due segni conserva­
ti in chiave semitica, cioè ...]a l[...
anziché ... ]p a.. [, se greco) è stata
pienamente confermata da Giovanni
Garbini dopo aver esaminato l’ori­
ginale. E i dati archeologici del re­
perto, che non erano stati resi noti
finora, rendono infatti estremamente
inverosimile che possa trattarsi di
scrittura greca. Con ciò la brevissi­
ma iscrizione assume un significato
storico molto diverso da quello che
inizialmente le era stato attribuito.
Fig. 2 - Necropoli di San Montano - Fram­
mento di vaso con graffito
Il frammento è stato rinvenuto
sporadico nella lente di terra nera
di rogo della tomba a cremazio­
ne a tumulo 232 (n. di scavo 538).
Per chiarire meglio il significato di
questa circostanza, è necessario ri­
cordare il modo particolare del rito
funebre in uso a Pithekoussai per le
tombe a cremazione del ceto me­
dio, durante l’VIII e fino agli inizi
5 M. Guarducci. Appunti di epigrafia greca
arcaica. Arch. Class. 16, 1964, p. 129;
Epigrafia greca, I, (Roma 1967) p. 217,
225 e fig. 87
6 B. Rocco. Greco o fenicio? - Sicilia
Archeologica, 12. 1970. pp. 5-7; P. K.
McCarter, A Phoenician Graffito from
Pithekoussai; Amer. Journal of Archaeol.
79. 1975. pp. 140-141.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
57
del VI sec. finora mai chiaramente
osservato altrove, sebbene sarà sta­
to certamente più largamente diffu­
so7. I roghi non venivano accesi sul
posto dove era eretto poi il tumulo,
ma su un ustrino comune, da dove
tutti gli avanzi indistintamente era­
no portati sul posto della sepoltura
definitiva e accumulati in un leggero
incavo praticato sulla superficie del
piano di campagna, talvolta anche
direttamente sulla superficie stessa,
e ricoperti con un piccolo tumulo
di pietre, del diametro tra 1,5 e 4
metri. Tolte le pietre di copertura,
si presenta quindi una lente di terra
nera che contiene alla rinfusa i fram­
menti di ossa cremate, di vasi e di
ornamenti personali bruciati e le­
gno carbonizzato. Mentre era quasi
inevitabile che durante la raccolta
dei resti, e poi durante il trasporto,
qualche frammento appartenente al
corredo andasse disperso - e infatti
quasi sempre i vasi ricomposti del­
le tombe a cremazione risultano più
o meno lacunosi - era ugualmente
inevitabile che vi si inserissero dei
cocci non appartenenti che erano
rimasti giacenti sull’ustrino da ro­
ghi precedenti. Si trova perciò, nelle
lenti di terra nera, sempre un certo
numero di cocci sporadici bruciati
che di regola non si differenziano
cronologicamente in modo apprez­
zabile dalla ceramica del corredo.
Il tumulo 232 appartiene al periodo
LG II, vale a dire all’ultimo quarto
dell’VIII sec.. e più precisamente a
un momento già piuttosto inoltrato,
essendo stratigraficamente posterio­
re a una serie di tombe ad inumazio­
ne e a cremazione appartenenti allo
stesso periodo e al medesimo appez­
7 Per i diversi tipi di sepoltura contempo­
raneamente in uso a Pithekoussai nell’VIII
sec. cfr. G. Buchner, Nuovi aspetti e problemi posti dagli scavi di Pithecusa, con particolari considerazioni sulle oreficerie di
stile orientalizzarne antico, in Contribution
à l’étude de la Société et de la Colonisation
Eubéenne, Centre Jean Bérard, Naples.
1975. p. 69 ss. e tav. Il (sezione schematica
attraverso un appezzamento familiare della
necropoli).
58 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
zamento familiare. Si può ritenere
quindi che il tumulo sia databile en­
tro l’ultimo decennio dell’VIII sec. e
che i cocci sporadici contenuti nella
sua lente di terra nera appartengano
a un rogo di poco precedente, siano
cioè praticamente contemporanei.
Il frammento iscritto, che misura 3 x
2,2 cm. con uno spessore di 0,2 - 0,3
cm.. è coperto di vernice rossa uni­
forme all’esterno e all’interno e non
è sagomato. La pasta, di colore rosa,
appare uguale a quella consueta del­
la ceramica di produzione locale
fabbricata con l’argilla ischitana, e
anche la vernice non si differenzia
da quella dei prodotti locali. Con
ogni probabilità si tratta di un fram­
mento della vasca di un piccolo kan­
tharos uniformemente verniciato, un
tipo di vaso da bere caratteristico, ed
esclusivo, del protocorinzio antico,
molto frequente a Pithekoussai tan­
to in esemplari originali importati
quanto in imitazioni di produzione
locale8. Il frammento si adatta per­
fettamente, per curvatura e spessore,
alla parte superiore della vasca di
queste tazze, indifferentemente, sia
che lo si ponga nel senso in cui l’i­
scrizione potrebbe essere letta come
greca, sia capovolto, come è neces­
sario per la lettura fenicia9.
A conferma che si tratti di caratteri
8 Come E. Garrici, Cuma, Mon. Ant. Linc.
22 (1913). tav. XL.4. L’usanza di apporre
iscrizioni graffite su vasi da bere di questo
tipo così semplici e poco appariscenti, è
attestato altre volte a Pithekoussai: sulla
spalla di un frammento di esemplare
EPC originale da Monte di Vico (scarico
Gosetti) si legge ...]«oio t[|vj; sulla parte
superiore della vasca di un frammento di
esemplare di imitazione locale dall’abitato
in località Mazzola si trova parte di
un’iscrizione greca più lunga che doveva
girare tutt’intorno al vaso
9 P. Kyle McCarter op. cit. sospetta - sen­
za conoscenza diretta del frammento - che
possa trattarsi della nota classe di cerami­
ca fenicia e punica con ingubbiatura rossa
Questa supposizione, anche se errata nel
caso specifico, era peraltro pienamente giu­
stificata: la terza delle iscrizioni semitiche
pithecusane è infatti incisa su un frammen­
to di tale tipo.
semitici nordoccidentali è da ricor­
dare - e ci sembra questo l’argomen­
to di maggior peso - che tra i graffiti
greci databili nella seconda metà
dell’VIII sec. rinvenuti ad Ischia ve
ne sono non meno di otto che pre­
sentano uno o più esemplari della
lettera alpha, tutti nella consueta for­
ma eretta. Di questi almeno due, l’i­
scrizione più sopra descritta e quella
della ‘coppa di Nestore’, sono sicu­
ramente più antiche del frammento
in questione. Appare dunque del
tutto inverosimile che verso la fine
dell’VlII sec. un greco a Pithekous­
sai abbia potuto scrivere ancora un
alpha ‘adagiato’10.
3. - Il terzo graffito in caratteri
semitici è inciso su un piatto im­
portato di produzione fenicia che si
descrive qui di seguito.
Piatto. - H. cm. 3,1; diam. (ricostr.)
cm. 23,4; largh. tesa cm. 3,55.
Un frammento ricomposto da
quattro minori che comprende tutta
la sagoma, e due frammenti separati.
Pasta dura di color ocra-arancione
uniforme per tutto lo spessore e
all’esterno, smagrita con sabbia a
grana molto fine e uniforme di co­
lore scuro e con rarissimi inclusi di
roccia calcarea bianca.
Piede a basso disco con piano
d’appoggio perfettamente orizzon­
tale che presenta, a breve distanza
dal margine, un’ampia solcatura cir­
colare a sezione curva; vasca poco
profonda; labbro a tesa con il lato
superiore leggermente convesso, sul
10 Quando sottoposi 1’apografo dell’iscri­
zione all’attenzione dì Margherita Guar­
ducci, all’inizio degli anni “60, il materiale
di quella zona della necropoli non era stato
ancora ricomposto e meglio classificato e
non erano perciò disponibili le indicazioni
più precise sull’inquadramento cronologico
del piccolo coccio in base ai dati di scavo,
ora esposti. Il giudizio formulato dall’esi­
mia epigrafista: ‘Forse è proprio questa la
più antica iscrizione greca alfabetica finora
conosciuta’ [Epigrafia greca, I. p. 225 – era
quindi fondato unicamente sull’assunto che
si trattasse di un alpha ‘adagiato’.
Fig. 3- Graffito sotto il fondo del piatto
lato interno nettamente distinto dalla
vasca con spigolo vivo.
Tutto il lato superiore è uniforme­
mente ricoperto con ingubbiatura
color rosso ruggine, levigata e lu­
cida; il lato esterno della vasca con
il piano d’appoggio, privo di ingub­
biatura, è levigato uniformemente,
semilucido, mentre il lato inferiore
della tesa presenta cinque linee con­
centriche levigate con la stecca sul
tornio.
Sotto il fondo, sul disco centrale di
cui è conservata poco più della metà
è un graffito da destra a sinistra ese­
guito dopo la cottura (fig. 3). Men­
tre l’inizio del graffito è completo,
come dimostra lo spazio ampio a
destra, resta incerto se continuava
o meno con qualche altro segno a
sinistra. Indubbiamente si tratta di
scrittura semitica nordoccidentale,
ma la sua interpretazione rimane per
ora incerta.
Il pezzo proviene dallo scarico in
proprietà Gosetti al margine orienta­
le di Monte di Vico, un riempimento
antico secondario, non stratificato
che conteneva frammischiato ma­
teriale che spazia dalla ceramica
dell’età del bronzo (civiltà appenni­
nica) alla ceramica campana a verni­
ce nera del II sec. a. C, con prevalen­
za di materiale dell’VIII e VII sec.
La circostanza che aspetto e colore
della terracotta e dell’ingubbiatura
rossa sono assolutamente identici a
quelli della bottiglia fenicia, rinve­
nuta in una tomba della necropoli
di San Montano in associazione con
ceramica del protocorinzio antico
databile nell’ultimo quarto dell’VIII
sec.11 indica comunque che anche
questo piatto deve appartenere alla
stessa epoca e provenire dal mede­
simo centro di fabbricazione. I piatti
con ingubbiatura rossa rappresen­
tano una forma molto caratteristica
e diffusa della ceramica fenicia del
Mediterraneo occidentale, come
è stato messo in evidenza da H.
Schubart12. Secondo il giudizio di
un conoscitore della ceramica feni­
cio-punica spagnola quale è Pierre
Rouillard che ha osservato recente­
mente il nostro piatto, sembra tut­
tavia che si possa escludere, per la
qualità della terracotta e dell’ingub­
biatura rossa, una provenienza dalla
Penisola Iberica.
Dallo studio di Giovanni Garbini,
appare che, tra i numerosi graffiti
incisi sull’anfora 575 – 1, la parola
aramaica, il numerale aramaico su
una delle anse, due segni forse alfa­
betici greci e un altro di significato
incerto, si riferiscono al suo uso pri­
mario di contenitore commerciale
e domestico. Altri due segni, di cui
uno particolarmente significativo,
da leggersi in posizione coricata e
ugualmente in chiave semitica, si ri­
feriscono invece all’uso secondario
del recipiente quale contenitore fu­
nerario.
Ciò testimonia quindi la presenza
a Pithekoussai, nel terzo quarto del­
l’VIII sec., di un Arameo che pur
conservando la sua lingua e scrittura
e l’uso di un simbolo religioso semi­
tico, è tuttavia integrato nella socie­
11 Tomba 545 (n. di scavo 591); G.
Buchner, in Metropoli e colonie di Magna
Grecia - Atti III Convegno di Studi sulla
Magna Grecia (1964). fig. 6. -. J. J. Jully,
in «Opuscula Romana». 6. 1968. tav. 1, 2:
associato con uno skyphos EPC originale
del tipo Thapsos tardo, ossia senza
pannello, con vernice uniforme a partire da
sotto l’attacco delle anse e di dimensioni
ridotte.
12 Vedi in ultimo H. Schubart,
Westphönizische Telier., Riv. di Studi
Fenici, IV, 2. 1976. pp. 179-196 e tavv.
XXV-XXXVI
tà della colonia, tanto da seppellire
un suo figlio morto in tenerissima
età nel mezzo di un appezzamento
familiare della necropoli greca e in
modo non diverso da quello usato
dagli stessi greci.
Il frammento di un vaso di fattura
locale con un graffito fenicio trovato
sporadico nella tomba a cremazione
232 è indizio di un altro semita vis­
suto a Pithekoussai una generazione
più tardi e seppellito col rito della
cremazione nella stessa necropoli.
Appare improbabile che questi
due semiti fortuitamente identifi­
cabili perché ci hanno lasciato una
testimonianza scritta, rappresentino
dei casi singoli. Piuttosto si dovrà
pensare alla presenza stabile, duran­
te la seconda metà dell’VIII sec, di
un certo numero di asiatici. Se cosi
era, la loro residenza doveva essere
di reciproco vantaggio, sia per gli
stranieri, sia e soprattutto per i greci
che li ospitavano nella loro comuni­
tà. Che si sia trattato, piuttosto che
di commercianti, di artigiani-artisti
che producevano oggetti di arte
orientalizzante per conto dei greci,
ci sembra perciò la spiegazione più
attendibile13.
Giorgio Buchner
13 Per l’ipotesi che Pithekoussai sia stata
un centro di produzione e di diffusione
di oggetti di stile orientalizzante, e
specialmente di oreficerie, vedi G. Buchner,
op. cit. sopra n. 7. Contra, F. W. Von Hase,
Zur Problematik der frühesten Goldfunde
in Mittelitalien, Hamburger Beiträge zur
Archäologie V, 2— 1975 (1977), p. 142;
le sue opinioni opposte assumono tuttavia
minor peso di fronte alle testimonianze ora
presentate.
Ischia - Castello Aragonese - Cripta
Ischia - Castello - Terrazzo della Casa del Sole - Location IFF
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La Rassegna d`Ischia 4/2014