Anno XXXV N. 4 Agosto - Settembre 2014 Euro 2,00 Un falso storico o solo confusione di conventi e date l'iniziale insediamento sul Monte Epomeo? Il Convento delle Clarisse o Cappuccinelle I Guevara e i d'Avalos d'Ischia Fonti archivistiche Testimonianze epigrafiche semitiche "Educare" al tempo della rete Rassegna Libri e Mostre Rassegna Stampa Sculture trecentesche nel Museo diocesano d'Ischia Una nuova lettura del monumento di Cossa Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna Per ricordare il dott. Giorgio Buchner nel centenario della sua nascita (Monaco di Baviera 14 agosto 1914 – 14 agosto 2014) Il dottor Giorgio Buchner, noto come lo “scopritore” di Pithekous sai, è stato colui che annullò l’e spressione dell’archeologo Amedeo Maiuri: “ancora del tutto sconosciuta è l’isola d’Ischia”, con tutta una serie di scavi archeologici che hanno, in qualche caso, sconvol to alcune precedenti affermazioni sull’Italia antica, anche se il suo nome rimane “soprattutto sinonimo dell’euboica Pithekoussai”. Attraverso il suo campo di studi e di ricerche sono venuti fuori: corredi funebri di circa 1300 tombe scavate, case e officine metallurgiche in lo calità Mazzola; vasi dipinti, in parte di produzione locale, in parte impor tati da vari centri di fabbricazione, non solo della Grecia, ma anche del Vicino Oriente e dell’Italia; un gran numero di altri oggetti, tra cui nume rosi scarabei egiziani e sigilli pro venienti dalla Siria settentrio nale; antichissimi documenti, poi, di scrit tura greca, incisi o dipinti su vasi e, soprattutto, la cosiddetta «coppa di Nestore», un vaso che reca un epi gramma in versi esametri, che allu de alla coppa di Nestore descritta da Omero nell’Iliade, che rappresenta non soltanto il più antico esempio di scrittura greca in Italia, ma uno dei più antichi documenti scritti in alfa beto greco che si conosca. Le pubblicazioni del dottor Buchner e i reperti da lui portati alla luce, divenuti oggetti di studio da parte di esperti nazionali e in ternazionali, hanno portato il nome di Lacco Ameno e, di riflesso, quello dell’isola d’Ischia, non solo alla co noscenza da parte degli specialisti, ma finanche nei manuali scolastici. Un altro suo impegno importante: aver sempre sostenuto l’idea della realizzazione di un Museo, che ac cogliesse «l’eccezionale patrimonio di beni archeologici e storici che l’isola possiede»; cominciò a dar vita a questa idea prima con la realiz zazione del Museo di San Pietro in Ischia e poi sostenendo e favorendo il museo che si è formato nella Villa Arbusto di Lacco Ameno. Il suo nome è da accompagnare, per le sue scoperte e le sue realiz zazioni, a quello di Angelo Rizzoli nello sviluppo dell’isola d’Ischia. Un uomo, quindi, impegnato non soltanto nel campo della sua spe cializzazione, ma attento ai proble mi della nostra isola e pronto a in tervenire per una proposta o per un semplice consiglio, vincendo la sua naturale modestia. * "La Parola del passato Rivista di studi antichi (fascicolo LIV, 1957) Testimonianze epigrafiche semitiche dell’VIII secolo a. c. a Pithekoussai di Giorgio Buchner Alle numerose iscrizioni vascolari greche dellVIII sec. a. C. rinvenute a Pithekoussai vengono ora ad affiancarsi tre iscrizioni in caratteri semitici nordoccidentali, ugualmente dell’VIII sec. di cui una era nota già da tempo, senza essere stata peraltro giustamente valutata. Poiché, pur nella loro brevità, queste iscrizioni sono di non scarso inte resse, appare opportuno premettere tutte quelle informazioni circa i dati di rinvenimento e la natura archeologica dei reperti su cui i graffiti sono incisi, che possono essere utili per un loro più preciso inquadramento storico. 1. - Riportiamo anzitutto una scheda relativa all’anfora che reca il graffito aramaico. Tomba 575 (LG l)1 — inumazione, a enchytrismos. (N. di scavo 672). Anfora giacente, orientata N-S, bocca a S. piano di posa a m 3.80 s.m. e a m 1.30 sotto il piano di posa del tumulo della sovrapposta tomba a cremazio ne 199, il quale indica all’incirca il livello del piano di campagna all’epoca della deposizione dell’anfora, senza pietre di rincalzo: bocca chiusa con una pietra infilatavi a mo’ di tappo e spalmata con argilla. L’anfora, al momento 1 Indichiamo con questa sigla il periodo Tardo Geometrico I. ca. 750-725 a.C. che è caratterizzato dalla presenza degli skyphoi tipo Thapsos con pannello e delle kotylai tipo Aetos 666 e dalla assenza degli aryballoi globulari del Protocorinzio antico (EPC). Il periodo Tardo Geometrico II (LG II), ca. 725-700 coincide invece, a Pithekoussai con il EPC. continua a pagina 56 La Rassegna d’Ischia Periodico bimestrale di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Anno XXXV- n. 4 Agosto/Settembre 2014 Euro 2,00 In questo numero 2 2 Testimonianze epigrafiche semitiche 4 Parroco Vincenzo Avallone Borsa Internaz. del Turismo Archeologico 5 Motivi Editore e Direttore responsabile Raffaele Castagna La Rassegna d’Ischia Via IV novembre 19 80076 Lacco Ameno (NA) Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.02.1980 Registro degli Operatori di Comunicazione n. 8661. 6 Classicità ed Europa 7 Il Monastero delle Clarisse sul Castello 10 150° anniversario di Giuseppe Garibaldi a Casamicciola 11 I Guevara e i d'Avalos d'Ischia 14 Premio Pida Stampa : Press Up - Ladispoli (Roma) Le opinioni espresse dagli autori non impe gnano la rivista - La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti, fotografie ed altro (anche se non pubblicati), libri e giornali non si restituiscono - La Di rezione ha facoltà di condensare, secondo le esigenze di impaginazione e di spazio e senza alterarne la sostanza, gli scritti a disposizione. Non si pubblicano pubblicità a pagamento. Nomi, ditte, citazioni sono riferiti a puro ti tolo informativo, ad orientamento del lettore. conto corr. postale n. 29034808 intestato a Raffaele Castagna - Via IV novembre 19 80076 Lacco Ameno (NA) www.larassegnadischia.it www.ischiainsula.eu [email protected] [email protected] Per ricordare Giorgio Buchner 15 Rassegna Libri 21 Rassegna Mostre 23 Traslazione 24 "Educare" al tempo della rete 28 Sculture trecentesche nel museo Diocesano (2) Una nuova lettura del monumento di Cossa 33 Fonti archivistiche Il Convento e la Chiesa di S. Domenico 38 La Napoli che se n'andò 41 Francesco de Bourcard 46 Benefici del Castello 49 Rassegna stampa - Ischia, l'isola che ha sposato il cinema - Bellissima in ogni stagione 53 Ischia Film Festival 56 Testimonianze epigrafiche semitiche (seguito di pag. 2) Numero chiuso in redazione Martedì il 29 luglio 2014 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 3 Parroco Vincenzo Avallone Domenica 29 giugno 2014 don Vincenzo Avallone ha festeggiato nella sua natia Panza, circondato da un numeroso gruppo di fedeli accorsi da vari paesi dell’isola, i suoi 60 anni di sacerdozio (29 giugno 1954 – 29 giugno 2014). Nato a Forio d’Ischia (NA) il 7 no vembre 1930 da Aniello e Iacono Geno veffa, inizia gli studi nel Seminario vescovile di Ischia e prosegue la sua formazione sacerdotale nei Seminari di Salerno e di Posillipo, dove conse gue la Licenza in Sacra Teologia. È ordinato sacerdote il 29 giugno 1954 da S. E. Mons.Ernesto De Laurenti is, vescovo di Ischia, e viene nomina to prefetto nel Seminario diocesano. Presta servizio militare, dall’otto bre 1955 all’aprile del 1961, a Roma, Trapani, Bolzano e Persano (SA) con il grado di Tenente Cappellano. Vice Rettore e Professore del Se minario di Ischia fino al 1964, anno in cui viene eletto parroco di S. Maria del Carmine in Serrara (dal 16 marzo La XVII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Re pubblica e con il patrocinio di Expo Milano 2015, Unesco e UNWTO, si svolgerà nell’area archeologica della città antica di Paestum. La prima novità della nuova edizio ne riguarda il periodo di svolgimento: la Borsa, infatti, solitamente collocata a metà novembre, nel 2014 avrà luo go dal 30 ottobre al 2 novembre 2014 in un fine settimana con 2 giorni festi vi al fine di incrementare i visitatori e dare agli albergatori l’opportunità di offrire pacchetti ad hoc. La Borsa si conferma un evento ori ginale nel suo genere: sede dell’unico Salone Internazionale di Archeolo gia; luogo di approfondimento e di vulgazione di temi dedicati al turismo culturale ed al patrimonio; occasione di incontro per gli addetti ai lavori, per gli operatori turistici e culturali, 4 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 1964, all’8 dicembre 1966). Parroco di S. Maria Maddalena in Casamicciola dal 9 dicembre 1967. Dal 1994 è Cano nico della Cattedrale di Ischia e ricopre la carica di Vicario Foraneo per il De canato di Casamicciola-Lacco nonché quella di incaricato per l’Ecumenismo. Uomo pio, parroco zelante e virtuoso. Ciò che più colpisce in lui sono l’umiltà, la modestia, la discrezione, che gli han no attirato e attirano le simpatie di tutti. lodano la carità, la dolcezza e le buone maniere del suo generoso impegno pa storale. È stato il promotore della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Don Giuseppe Morgera, parroco di S. Maria Maddalena in Ca samicciola (1883-1898), resosi beneme rito «per la sua sensibilità nei confronti della Chiesa universale e, in particolare, dei bisogni della Chiesa locale d’Ischia, di cui fu fedele servitore e generoso Buon Pastore a servizio delle anime nella sua qualità di sacerdote, parroco di Casamicciola». Si è prodigato sem pre per la divulgazione della vita, delle opere, della carità del parroco Morgera in un continuo, costante lavoro, senza sosta né interruzione, non a scopo di in teresse meramente umano, di personale profitto, fama o gloria, ma a vantaggio della gloria di Dio e a beneficio dei suoi parrocchiani. Oggi vive nella sua natia Panza e non disdegna di accorrere a celebrare messa dove lo chiamano i suoi confratelli sa cerdoti; di tanto in tanto scrive qualche articolo per il periodico della Curia in quello che per lo più simpaticamente chiama “L’angolo del contadino”. * Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico Paestum dal 30 ottobre al 2 novembre 2014 per i viaggiatori, per gli appassionati; opportunità di business nella sugge stiva location del Museo Archeolo gico con il Workshop tra la domanda estera e l’offerta del turismo culturale ed archeologico (sabato 1 novembre). Nel sottolineare sempre più l’im portanza che il patrimonio culturale riveste come fattore di dialogo in terculturale, d'integrazione sociale e di sviluppo economico, ogni anno la Borsa promuove la cooperazione tra i popoli attraverso la partecipazione e lo scambio di esperienze: il Paese ospite ufficiale nel 2014 sarà l’Azer baijan. La XVII edizione è ricca di novità e di contenuti Social Media & Archaeological Heritage Forum, giovedì 30 ottobre, che ospiterà “Archeoblog. Racconta re l’archeologia nel web”, il secondo incontro nazionale dei blogger cultu rali: l’obiettivo è promuovere lo svi luppo dei beni culturali sempre più attraverso i social network; ArcheOpenData Forum. Trasparenza dell’informazione in archeologia, venerdì 31 ottobre, momento di discussione dedicato agli open data; ArcheoStartUp, sabato 1 novem bre, presentazione di nuove imprese culturali e progetti innovativi; la Mostra ArcheoVirtual, realizza ta in collaborazione con la più im portante Rete di ricerca Europea sui Musei Virtuali, V-Must, coordinata da ITABC Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del CNR. * MOTIVI Una politica “ballerina” (oggi sto da una parte, domani vado dall’al tra in un moto continuo) convince sempre più che ormai, a certi livelli, l’isola conta ben poco e che va per dendo ogni capacità e possibilità de cisionale circa il presente e il futuro e i relativi provvedimenti e compor tamenti. Oltre tutto si procede, sul piano locale senza alcuna idea preci sa, se mai esiste invero qualche idea che abbia come obiettivo il tanto ripetuto “bene del paese”, che tutti dicono di perseguire e di inseguire. Frasi fatte con ulteriori promesse che si sa non saranno messe in atto. E il destino dell’isola procede pro prio in senso contrario: spesso ci si chiede che cosa vogliano effettiva mente gli amministratori, poiché a volte l’apparenza va in un modo, ma politicamente quanto si vuole è proprio il contrario, per il cui vela to raggiungimento si opera, senza darlo a intendere. Ecco perché da anni non si riesce a risolvere effetti vamente alcuno dei grossi problemi che affliggono l’isola. Sembra qua si che l’impegno di chi amministra e dovrebbe lavorare pubblicamente sia limitato ad una fase di semplice rappresentanza nelle manifestazioni e di consegna di attestazioni bene (o male)merite; si parla di deficit di bi lancio, ma tutto si fa fuorché attuare una vera economia di spese. Nei vari interventi, qua e là sparsi occasionalmente, a livello ufficiale, i discorsi sono tutti basati e vertono su argomentazioni e dichiarazioni ge nerali, senza tener presente la realtà delle cose: l’isola è bella, la più bella del mondo, abbiamo il più bel mare, notevoli sono le risorse termali, at testate da secoli di storia e da studi vari, ricco è il nostro patrimonio cul turale, artistico, archeologico… ma non si va oltre. Abbiamo sull’isola una biblioteca, ma il Comune d’I schia non è in grado (o non vuole) di gestirla convenientemente, sia a Raffaele Castagna livello di conduzione che di incre mento dei suoi beni librari, per cui si fa affidamento ad una associazione di volontariato; oltre il Museo ar cheologico di Villa Arbusto a Lacco Ameno (tanto auspicato soprattutto da Giorgio Buchner, lo scopritore di Pithekoussai, di cui prossimamente ricorre il centenario della nascita), ci sono gli scavi di S. Restituta ideati e organizzati da don Pietro Monti: ebbene all’attuale stagione turistica ci si presenta con la chiusura siste matica degli Scavi e Museo di S. Re stituta, che attualmente dovrebbero essere gestiti e condotti dalla Curia o Museo Diocesano, già presente con altre sezioni nella sede di Ischia. E sono questi i presupposti con cui si accenna alla possibilità di far leva sulla cultura per incrementare il tu rismo? Inoltre in quali condizioni si trovno Villa Arbusto e relativo Mu seo? Anche qui ci si chiede come si possano di anno in anno ottenere dei fondi per questa o quella ma nifestazione (ora positiva, ora sol tanto negativa) che arricchiscono il periodo estivo, e niente invece per provvedimenti necessari per struttu re che qualificano l’isola non per un periodo limitatissimo e forse effime ro, bensì duraturo. Tempi lunghi per trattare (risolvere forse) problemi che spesso fanno presentare l’isola sotto aspetti soltanto negativi! Ci si potrebbe anche obiettare che non c’è forse nessuna volontà per avviarli a soluzione, questi problemi che tutti non mancano di annotare e presen tare nella loro importanza e nel loro continuo appesantimento, al passare degli anni. Visto il disinteresse locale, sem bra logico che poi ne segua quello ad altri livelli istituzionali, per cui l’isola stava meglio quando conta va una popolazione minore e pote va localmente soddisfare certe esi genze; oggi con un numero sempre maggiore di abitanti e di bisogni da soddisfare, certe strutture vengo no meno o si tenta di annullarle del tutto volendo legarci costantemen te alla terraferma, e costante è pure l’indifferenza politica. Ma esiste una politica sull’isola che realmente miri al “bene del paese”? Chi ha votato un certo rappresentante o una certa idea poi si ritrova con i suoi eletti su ben diversa posizione e non sa come comportarsi se restare sulle antiche posizioni o voltare faccia esso stes so. Come si può aver fiducia in chi facilmente cambia bandiera? Suben tra allora il dubbio: errore era quel lo di ieri o è quello di oggi, per cui l’elettore viene considerato come uno straccio di vela da portare dove, bene o male, si desidera a proprio piacimento? La società civile appare disorienta ta e sconcertata; le amministrazioni in genere cambiano, gli uomini mo dificano le loro posizioni politiche e le strategie, nulla avviene sul pia no delle realizzazioni. Purtroppo si deve constatare che i mutamenti av vengono quasi sempre verso il peg gio. Per leggere i segni dei tempi ci si adagia in un servile conformismo e in una penosa remissività; non si vedono spiragli per un pensiero ve ramente critico, per una riflessione o anche soltanto un dubbio. Si pensi alla questione del comune unico, in cui per voler necessaria mente raggiungere lo scopo, non si ha scrupolo di modificare le norme, quando in un referendum si è falli to il primo tentativo. E la costanza che si dimostra in questa circostanza non è presente in altre situazioni che ben potrebbero segnare un decisivo passo in avanti nella nuova realtà che dovrebbe far proseguire l'isola d'Ischia sulla via di quello sviluppo, non solo turistico, ma generale, cul turale, ambientale, sociale. * La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 5 "Classicità ed Europa Il destino della Grecia e dell’Italia" Esposta a Roma la Coppa di Nestore Dal 29 marzo al 15 luglio 2014 si è svolta al Quirinale (Roma) la mostra dal titolo “Classicità ed Europa. Il destino della Grecia e dell’Italia” con l’esposizione di 25 opere selezionate – 16 reperti archeologici e 9 dipinti – per celebrare la successione di Italia e Grecia nella presidenza del semestre europeo del 2014, realizzata da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia e curata da Louis Godart, consigliere del Presidente della Repubblica italiana per la Conservazione del Patrimonio Culturale. Il Museo di Pithecusa di Lacco Ameno è stato partecipe alla mostra con la Coppa di Nestore; in riferimento a questa presenza Louis Godart ha scritto: «L’VIII secolo a. C. è un periodo della storia greca e mediterranea (Roma secondo la tradizione sarebbe stata fondata nel 753 a.C.). Si consolida, infatti, in quel periodo nella Grecia d’Europa, nelle isole dell’arcipelago egeo e sulle coste dell’Asia Minore una forma originale di vita sociale che è la polis, “la città”. Queste città sono comandate da gruppi d’individui relativamente ricchi che sono proprietari terrieri e hanno alle loro dipendenze anche artigiani; riescono a esportare verso l’oltremare l’eccedenza di una produzione agricola e manifatturiera spesso abbondante. A questi uomini ricchi e potenti erano destinati i poemi omerici. Come gli eroi cantati da Omero, chi ascoltava i versi dell’Iliade o dell’Odissea era in grado di fare la guerra e di equipaggiarsi acquistando o facendo fabbricare elmi, corazze, spade o carri. Le proprie imprese commerciali potevano portare queste persone verso lidi lontani, come Pithecusa, Cuma o Siracusa, laddove fondavano nuove città. Proprio in una tomba di Pithecusa, l’antica Ischia, fu rinvenuta nel 1955 una coppa databile al 740-‐725 a.C. che contiene il primo riferimento scritto ai poemi omerici. La coppa appartiene alla categoria detta degli skyphoi; presenta una decorazione geometrica compatibile con una provenienza dall’Egeo orientale, forse Rodi. L’epigrafe invece è stata incisa a Pithecusa da uno scriba che conosceva perfettamente il greco. L’i6 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 scrizione è importantissima per due aspetti: in primo luogo è uno dei più antichi esempi di scrittura alfabetica finora conosciuti nel mondo greco; in secondo luogo il testo redatto nel dialetto ionico dei colonizzatori euboici sbarcati a Pithecusa e in forma metrica (un trimetro trocaico catalettico seguito da due esametri) evoca un passo dell’Iliade (XI, 632-‐637) in cui è immortalata la famosa coppa di Nestore, il leggendario re della Pilo delle sabbie in Messenia. È quello che si può chiamare un oggetto eloquente poiché è la coppa stessa che si rivolge al bevitore: “Sono la coppa, buona da bere, di Nestore. Chi berrà sarà preso immediatamente dal desiderio di Afrodite dalla bella corona”. Afrodite è la dea dell’amore. Quanto a Nestore, è un personaggio essenziale sia nell’Iliade, sia nell’Odissea. L’iscrizione di Ischia è redatta in versi. Possiamo quindi essere sicuri che i temi e anche le forme della poesia epica greca esistevano già in una versione scritta nella penultima decade dell’VIII secolo a.C. Nell’XI canto dell’Iliade, Ecamede dai bei capelli prepara una colazione per gli ospiti di Nestore; spinge una tavola sulla quale poggia un canestro di bronzo riempito di cipolle, di miele giallo e di farina di orzo. Il poeta aggiunge: “Poi una coppa bellissima che il vecchio portò da casa, sparsa di borchie d’oro; i manici erano quattro e due colombe d’oro intorno a ciascuno; sotto vi erano due piedi; un altro dalla tavola l’avrebbe mossa a stento quand’era piena; ma Nestore la sollevava senza fatica”. Da quella coppa mirabile non si separava mai il re di Pilo. L’autore dell’epigrafe di Pithecusa, esperto di poesia epica e ottimo conoscitore di Omero, volle istituire un confronto fra la coppa d’oro finemente cesellata del re miceneo e l’umile coppa di terracotta sulla quale incideva il suo testo. La prima era soave a bersi ma la seconda aveva un pregio molto più grande: poteva infondere in chi beveva il desiderio d’amore. Come Nestore, il proprietario era particolarmente affezionato a questa coppa e ha voluto che lo seguisse nella tomba». Louis Godart Un falso storico o solo confusione di conventi e di date l’iniziale insediamento sull’Epomeo? Il Monastero delle Clarisse o Cappuccinelle sul Castello d’Ischia di Raffaele Castagna «Gli storici isolani – il d’Ascia in particolare – copiandosi successivamente, affermano che Beatrice Quadra avrebbe dato inizio all’Istituto nelle celle tufacee del Monte Epomeo; dopo queste chiare origini del chiostro isclano non si dovrebbe ripetere più oltre la diceria» (O. Buonocore). Mons. Onofrio Buonocore, leg gendo e forse conservandoci il dia rio (o pagine) del convento delle Clarisse sul Castello, in cui non si parla affatto dell’iniziale presenza nelle celle del monte Epomeo, ne trae la convinzione di un errore sto rico da molti ripetuto nel corso dei secoli e poi divenuto un riferimento costante da parte di coloro che tratta no vicende dell’isola d’Ischia, com prese le guide turistiche. Il diario, attualmente esistente nel la Biblioteca Antoniana di Ischia, fondata dallo stesso O. Buonocore, contiene alcune pagine con scrittura non sempre decifrabile, come pure pagine in bianco, frammezzate con brevi scritti dello stesso Buonocore. Sul primo frontespizio si legge: Prezioso diario del Convento delle Clarisse Isclane (1575-1911); le date indicate fanno capire che non si tratta di documento originale. In seconda pagina si trova riporta to il seguente passo: Libro nel quale s’annota il Breve Apostolico per l’erettione di questo Monastero di S. Maria della Con- solazione delle monache della Città d’Ischia, Capitolo e costituzioni initi in tempo della fondatrice segnati a 10 settembre del 1575 con di più ut intus… Nuovamente in unum e miglior metodo uniti per industria ed ordine della Signora Maria Battista di Linfreschi, odierna badessa del medemo in data del primo di febbraio 1715. L’inizio di questo libro di ricordi – precisa il Buonocore - reca l’Istrumento di fondazione, il Breve Pontificio del decreto di clausura, l’elenco delle Suore, dalla prima all’ultima: pare bene fermare tante date. La fiorita oasi d’anime contò 334 anni di vita santa; l’atto di fondazione porta la data del 10 settembre 1575; il Breve Pontificio è dell’undici febbraio 1576; il Vescovo isclano, Mons. Fabio Polverino , proclamò la clausura il 14 luglio 1577; quel giorno le suore erano sette, poco di poi entravano altre quattro. Diamo un sunto dell’istrumento di fondazione che qui innanzi è stato appena citato. Beatrice Quadra, dama napoleta na, vedova di Muzio d’Avalos, in terviene in qualità di fondatrice; pi gliano anche impegno gli Eletti della città; l’atto è disteso nel palazzo po sto alla contrada Casalauro. Donna Beatrice toglie impegno di fondare un convento alla norma di S. France sco d’Assisi, il quale verrà intitolato a Santa Maria della Consolazione, a bene d’anima del figlio Giovan ni Marziale e del secondo consorte Muzio d’Avalos. Istrumento di fondazione del convento Capitoli, patti, e convenzioni abiti, initi e firmati tra l’Eccelsa Signora D. Beatrice della Quadra di Napoli e li Mastri signori Gio: Antonio Pesce, Antonio Scotti, eletti della Città d’Ischia, Gasparo di Ruggiero, Nicola Canetti, Carlo Melluso, deputati della medema Città, dall’altra parte, sopra la fondazione e costruzione di un monastero di donne monache della Religione e Regola di S. Francesco d’Assisi, che col favor di Dio Nostro Signore s’ha da fare dentro la suddetta Città dalla Sig.ra D. Beatrice, che s’intitulerà sotto il nome e vocabolo di S. Maria della Consolazione, per servizio dell’Onnipotente Dio; Beneficio ceduto dalla Città ed Isola d’Ischia e altri buoni e devoti spiriti, per l’anima sua e del quondam Sig. Giovanni Martiale suo figlio e del quondam Eccelso Sig. Mutio d’Avalos suo secondo marito. In primis s’è convenuto che detta Sig. D. Beatrice, come fondatrice di detto luogo, donerà come al presente dona, il luogo suo sito dove s’ha da fare il predetto monastero ch’è una Casa grande dentro la Città consistente in più membri superiori ed inferiori: giusta li beni del nobile Pietro Garofalo, giusta li beni della mensa vescovile, la via pubblica ed altri confini, e promette di più la Signora a sue proprie spese accomoLa Rassegna d’Ischia n. 4/2014 7 dare, fabricare e ridurre il luogo in clausura, monastero e chiesa comoda ed atta a cantarci e farci il culto divino. Item detta Sig.ra senza pregiudicare a qualsivoglia delle sue ragioni ed attioni, così di poter ??? testare come di qualsivogl’altra cosa, entrarà dentro il monasterio con sette monache e quale a sua signoria parerà e piacerà, alle quali sin che viverà detta Signora darà vitto, vestito ed ogn’altra cosa necessaria, le quali vuole che non habbiano da fare niente con detto manasterio vita durante, ma quelle siano ordinarie monache di detto monastero. E per che detta Sig.ra D. Beatrice si ritrova maldisposta e per altri suoi negotii necessari, etiam per quelli che occorreranno alla giornata per utile di detto Monastero li Gli storici isolani hanno per lo più accennato all’iniziale insediamento di Beatrice della Quadra e delle monache Clarisse nelle celle tufacee dell’Epomeo. Errore o meno, tale riferimento è stato poi riportato costantemente dagli altri e dalle guide turistiche, con qualche lieve eccezione, non soffermandosi affatto sulla circostanza. D’Alosio Giannandrea (L’infermo istruito, 1757) … Si ascende alla sommità dell’Epomeo, nella di cui cima si venera la statua di San Nicolò arcivescovo di Mirra, in bianco marmo scolpita; veggonsi colà numerose grotticelle dentro la grossezza del sasso scavate; dovevano essere quelle un ritiro di monache, che nei secoli trascorsi D. Beatrice della Quadra dama napoletana aveva intrapreso per ivi menare con altre compagne vita solitaria: ma non essendosi potuto in un tal luogo effettuare il suo devoto pensiero per la rigidezza del freddo, abbandonò la incominciata opera, col ritirarsi dentro al Castello d’Ischia, ove fondò quel monastero di religiose, che tuttavia con vita molto esemplare si mantiene. Vincenzo Onorato (Ragguaglio historico topografico dell’isola d’Ischia, 1816/1824) … L’accennato luogo (cima dell’Epomeo) è stato sempre antico romitaggio, e solitario. Nel secolo 15 Beatrice de la Quadra Dama napolitana con alcune di lei compagne si ritirò nell’istesso, affine di menare in quell’aspra disagiata solitudine una vita dedita soltanto a Dio. Ma dopo qualche dimora per il continuo umido che in esso s’incontra, e per essere all’in tutto contrario alla salute, specialmente di quelle donne, che stavano sempre ritirate, e chiuse in quel puro tufo incavato, fu la suddetta dama colle di lei seguaci costretta ad abbandonare tale disagiata stazione, e passò nel Castello d’Ischia, in cui costruì, e formò un monastero di gentil donne sotto la regola di San Francesco d’Assisi. Ragguaglio (idem) - Costì appunto D.na Beatrice de la Quadra colle di lei compagne voleva fondare 8 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 sia lecito uscire ed entrare da detto Monast. ad elettione di detta Sig.ra, quando li piacerà e con chi li piacerà delle sette sue moniche, per la manutenzione delle dette sette moniche tanto in vita di detta Signora come pe doppo la morte l’assigna le infrascritte entrate videlicet. In primis la terra nominata Mata race, quale fu di Pietro Giovanni di Barano per ducati duecento per an- un monastero di perfetta clausura, ma fu costretta a levarsi da tale dimora verso la fine del 14 secolo per l’intemperie dell’aria, e ritirarsi nel Castello, dove eresse un monastero di gentildonne sotto la regola di San Francesco d’Assisi con titolo della Madonna della Consolazione. De Rivaz (Descrizione delle acque termominerali … 1835 e successive edizioni) In nota: … Questo eremo scavato interamente nel tufo, ad eccezione della facciata della cappella che è di muratura, abitato per qualche tempo verso la fine del XV secolo da Beatrice Quadra con un certo numero di compagne che, non potendo sopportare le intemperie del luogo, si ritirarono poi sul castello d’Ischia, dove fondarono un convento durato sino al 1809. D’Ascia Giuseppe (Storia dell'isola d’Ischia, 1867) … Fu questo Eremo (dell’Epomeo) un ritiro di Monache verso la fine del secolo XVI o al principiar del XVII; in cui una signora Napoletana chiamata D. Beatrice della Quadra, pensò di ritirarsi con altre compagne, per ivi menare vita solitaria. Ma non potettero a lungo rimanere a dimorare in questo Ospizio; atteso la rigidezza del clima, abbandonò la della Quadra la incominciata opera, e si ritirò colle sue compagne nel Castello d’Ischia, ove fondò quel monistero di religiose, che dopo il 1806 fu trasferito a S. Antonio, in Ischia, ed è detto delle Chiariste. Gina Algranati (Ischia, 1930) …. Monastero delle Clarisse, trasferito nella città castrense nel 1588, anno in cui la nobildonna Beatrice della Quadra, che fin allora aveva dimorato con alcune sue seguaci sulla vetta dell’Epomeo, nell’eremo accanto all’antica chiesetta consacrata al Santo vescovo Nicola, e già esistente dal tempo della guerra di Napoli, come dal Pontano apprendiamo, mal resistendo all’asprezza del clima di montagna, determinò di trasportarsi verso le mi- nui ducati venti alla paga di ducati 10 per cento, di più cede sue ragioni che tiene colle 3e decorse di ducati cinquanta. Sopra la massaria delli magnifici Gio: Vincenzo Cossa ed altri di casa Cossa, sita nel Casale di Casamicciola e nominata lo Rostinale 200 per annui ducati venti. Sopra la massaria nominata Cucoruosso del magnifico Cola Vin- cenzo Menga ducati 100 per annui 10, sopra li beni del magnifico Pietro Antonio Melluso ducati 200 per annui ducati venti con tutte le terre decorse che son ducati 140 senza obbligare essa Sig.ra ne suoi beni all’emittente. Item vuole detta Signora che, morendo alcuna delle sette monache sue figliole quale entreranno con sua signoria, sia lecito in vita sua gliori condizioni di temperatura del Castello e dare una più esatta forma religiosa al cenacolo delle eremite. La stessa cura ed energia che già aveva speso in pro dell’eremo montano, migliorandolo, adoperò nella costituzione di questo convento che nei secoli seguenti accrebbe la sua importanza, finché in seguito ai diroccamenti delle guerre, nel primo decennio dell’ottocento, non si trasferì nell’antico convento di Sant’Antonio in Ischia. G. G. Cervera (Guida d’Ischia, 1959) … entriamo nel convento delle Clarisse che Beatrice della Quadra nel 1574 trasformò da quella che era la casa dei Cossa. Le Chiariste o Clarisse furono portate in Ischia dalla nobildonna napoletana Beatrice della Quadra ritiratasi nell’Epomeo all’inizio del XVII secolo. Passarono quindi al Castello e infine si ridussero nel convento di S. Antonio in cui si estinsero nel 1911. Salvatore Di Costanzo (Ischia meravigliosa, 1999) Tutto il complesso abitativo (Epomeo e Chiesa di San Nicola) è scavato nel vivo tufo, compresa la chiesa. Essa era già esistente prima del 1459. Verso il 1587 furono scavate le celle , così afferma il D’Aloisio. Qui si ritirò a vita monastica Beatrice La Quadra, nobildonna napoletana. Raffaele Castagna (Isola d’Ischia, tremila voci, titoli e immagini, 2006) Beatrice Quadra nel 1575 radunò alcune religiose che, dimoranti prima sull’eremo del monte Epomeo, si trasferirono successivamente in un convento adattato in una grande casa sul Castello d’Ischia. Qui le Clarisse rimasero nel Monastero di S. Maria della Consolazione fino al 1809. Wikipedia Convento delle Clarisse sul Castello: fu fondato nel 1575 da Beatrice Quadra, vedova D’Avalos, che si insediò con quaranta suore provenienti dal convento di San Nicola che si trovava sul monte aggregare secondo meglio li piacerà, et a sua morte sia ad elettione del Rev.mo Vescovo che pro tempore si ritroverà, e delli Mastri che si ritroveranno al governo di detto Monastero, e con voto e beneplacito delle RR. Monache che si troveranno in detto Monast. imbussolate dieci figliole povere e ben nate, cinque della Città e cinque dell’Isola e quella che per sorte uscirà s’intenda subro- Epomeo. Le suore provenivano da famiglie nobili che le destinavano in genere alla vita claustrale già dall’infanzia per evitare la frammentazione delle eredità. Il convento fu chiuso nel 1810 in seguito alla legge di secolarizzazione emanata da Murat. Un’ala del convento oggi ospita un albergo, le cui stanze sono le celle di un tempo. * Qualche dubbio incomincia ad apparire: come per esempio in Piero Monti, che parla di mancanza di documenti in merito, e in Camillo d’Ambra, il quale evita di accennare all’iniziale insediamento sul monte Epomeo. Pietro Monti (Ischia, archeologia e storia, 1980) L’affermazione di qualche storico che vuole che Beatrice Quadra, vedova di Muzio d’Avalos, abbia fondato un monastero nell’eremo di San Nicola è priva di ogni documento. Al contrario la donatrice napoletana fondò un monastero dell’ordine di S. Chiara sotto il titolo di S. Maria della Consolazione sopra il Castello d’Ischia, ereditato dal marito, dove «fece dono della casa e promette di adattarla a modo di convento col beneplacito del Vescovo d’Ischia…». Camillo D’Ambra (Ischia tra fede e cultura, 1988) Fiore all’occhiello dell’episcopato di Mons. Fabio Polverino (1564-1589) fu la fondazione in Ischia di un monastero di clausura, quello di S. Maria della Consolazione che avrà una vita di trecentosette anni. La signora Beatrice della Quadra, due volte vedova di un Marziale e di un d’Avalos, volendosi consacrare alla vita monastica, donò il suo palazzo trasformandolo in monastero. Il nuovo cenobio di Clarisse ricevette l’approvazione ecclesiastica con un Breve di Gregorio XIII in data 15-2-1576 nel quale il Papa rivolge parole di encomio e di apprezzamento per Mons. Polverino. Il 15-7.1577 lo stesso vescovo dischiuse anche al culto la cappella dello stesso monastero dedicandola alla Madonna e a San Francesco. La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 9 gata in luogo di quella che manca dalle sette. Ancora vuole detta Sig. ra che in caso che mancasse alcuna delle sette sue monache, volessero essere monache in d. Monast. due nipote del Rev. D. Pompilio Fiorentino Can.co della Cattedrale chiesa della Città d’Ischia, s’intendano subrogate a luogo di quelle che mancassero senza essere bussolate. L’istesso vuole detta Sig.ra che s’osservi in una che nominarà D. Mario de Meglio, et in loro morte quella nomineranno suoi legittimi eredi pro una vice tantum di queste tre, le quali s’habbiano a pigliare in d. Monast. senz’altra dote, e siano trattate come l’altre, come l’altre vuole che s’osservi d. Capitolo in perpetuo. Ritornando a quanto afferma il Buonocore circa la diceria del monte Epomeo, precisiamo che l’accenno allo storico d’Ascia “in particolare” e “da cui successivamente si sia co piato” non ci sembra affatto giustifi cato, in quanto l’autore foriano non è stato il primo ad accennare alla ini ziale presenza sul monte Epomeo; anche il d’Ascis ripete quanto detto da altri storici precedenti (come riportiamo nei riquadri delle precedenti pagine). Nel Breve pontificio di papa Gre gorio XIII, il solenne riformatore del calendario, si legge: «Per opera di cittadini isolani e in particolare di Beatrice Quadra, ma trona napolitana, vedova di Muzio d’Avalos (pro parte dilectorum filiorum communitatis civitatis Iscle ac dilectae in Christo filiae Beatricis Il 150° anniversario della presenza di Giuseppe Garibaldi nell’isola d’Ischia Sabato 19 luglio 2014 si sono con cluse a Casamicciola Terme le ce lebrazioni per il 150° anniversario della presenza di Giuseppe Garibal di nell’isola d’Ischia, iniziate il 19 giugno 2014 (ospite d’onore: Giu seppe Garibaldi jr discendente di retto del Generale e di Anita); hanno promosso l’evento il Museo Civico di Casamicciola Terme, l’Associa zione Pro Casamicciola Terme ed il Centro Ricerche Storiche d’Ambra. Casamicciola ospitò Giuseppe Ga ribaldi dal 19 giugno al 19 luglio 1864. Con il pretesto apparente dei bagni termali, Garibaldi era venuto, quasi esclusivamente, per organiz zare azioni diplomatiche e militari al fine del completamento dell’Uni tà d’Italia (ricordando che all’epoca Roma e Venezia non facevano anco ra parte dello Stato Italiano). Infatti uno degli incontri più im portanti per la Storia d’Italia è certa mente quello del 2 luglio 1864, pres so Villa Zavota (ora Villa Parodi), quando Garibaldi convocò - oltre a Partiti, Movimenti e Associazioni 10 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 favorevoli al completamento dell’U nità d’Italia – anche le diverse logge massoniche italiane con l’auspicio di vederle compatte in nome del comune obiettivo. Purtroppo l’in contro non portò ad una intesa delle logge e Garibaldi, nel giro di poco tempo, rassegnò le dimissioni dalle due logge di cui era membro. Altro incontro importante fu quello della Quadra, mulieris ? quondam Mutii de Avalos…), non essendovi nell’isola d’Ischia monastero di donne (.. nullum in tota insula isclana monachale monisterium existere… in quo virgines, seculi fuggientes illecebris….), nel quale le vergini possano votarsi al Signore, si è stabilito di fondare un monaste ro dell’Ordine di Santa Chiara, sotto il titolo di Santa Maria della Con solazione. La detta Signora ha fatto dono della casa, e promette adattarla a forma di convento, col beneplaci to del vescovo d’Ischia, venerabile fratello nostro. Fummo umilmente supplicati del erigere detto monaste ro, e l’erigiamo e lo costituiamo (… exaudimus et prosequimur)». (1 – continua) con il colonnello Salvatore Porcelli, inviato direttamente dal re. Infatti grazie ad un documento recente mente venuto alla luce dal fondo Savoia, si è potuto appurare che l’ufficiale era stato mandato a Ca samicciola per portare l’appoggio di Vittorio Emanuele II alla causa di Garibaldi. È stato altresì rinvenuto il mandato di Garibaldi a Porcelli per l’acquisto di una nave da impegnare in successive azioni militari. Il dena ro necessario veniva dalla casa reale. Presso il Capricho in Piazza Marina a Casamicciola Terme c’è stata la proiezione del film documentario di Roberto Senzani “Garibaldi eroe ro mantico e moderno” realizzato con il contributo del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Bicentenario della Nascita di Giuseppe Garibaldi. Si è avuto poi un intervento storico dell’Avv. Nino d’Ambra. Un artisti co disegno per celebrare l’evento è stato realizzato dall’architetto Pom peo Mennella, che ha anche ideato il bozzetto utilizzato da Poste Italiane per la realizzazione dell’annullo po stale celebrativo che proietterà nel tempo e nello spazio il ricordo della presenza del Generale ad Ischia. * I Guevara e i d’Avalos d’Ischia * I marchesi del Vasto - La torre * Quando il governo italiano scappò a casa dei duchi di Bovino di Rosario de Laurentiis La storia dei Guevara e dei Dàvalos (poi D’Avalos) in Italia prende origine dalle lotte in Spagna per la corona di Castiglia. Precisiamo subito che - in entrambi i casi - questi nomi riguardano feudi e non cognomi. La famiglia dei Guevara era quella dei Velez, quella dei Dàvalos era invece Lopez. Inol tre, almeno per quanto riguarda l’Italia, si può dire che si tratta della stessa famiglia. Agli inizi del ‘400 Pedro Velez de Guevara signore di Ognate sposa Isa bella di Castiglia ed i loro figli restano in Spagna (Guevara de Morata). In seconde nozze sposa Costanza de Tovar con la quale ha almeno due figli maschi. Alla morte di Pedro, Costanza sposa Ruy Lopez Dàvalos e anche con lui genera almeno due figli maschi. Ruy Lopez è suo cognato, perché ha sposato prima Maria Gutierrez, poi Elvira Guevara, sorella di Pedro Velez, ed infine Costanza de Tovar. In casa Dàvalos abbiamo dunque una serie di figli che si chiamano in maniera differente: Lopez y Guevara, Velez y Tovar, Lopez y Tovar. Ruy Lopez Dàvalos cade in disgrazia e viene esiliato. Costanza si trova improvvisamente povera e con molti figli, ma re Alfonso il Magnanimo ha bisogno di bravi soldati per le sue spedizioni in Italia e chiama nel suo eser cito almeno quattro figli di Costanza (due Guevara e due Dàvalos, che in Italia si trasformano in D’Avalos). Sono bravi soldati, e ce lo ricorda il poeta catalano Benedetto Gareth, che venne a Napoli e fu segretario di stato dopo il Pontano, quando parla dei figli di Costanza di Tovar dicendo : “Frutto d’un sol terren da due radici, / duo Avoli e duo Guevaro, antique genti / bellicosi e terror degli inimici...”. I marchesi del Vasto Quando il re Alfonso - nella batta glia di Ponza del 1435 - cade prigio niero dei genovesi ha con sé i nostri cavalieri, che ne condividono la pri gionia. Alfonso però vince la guerra e ricompensa i suoi fedeli con titoli e terre: Ignigo Guevara diventa conte di Ariano, poi nel 1442 conte di Po tenza e (1444) Gran Siniscalco del Regno e marchese del Vasto; non bastandogli, nel ‘45 compra il feudo di Savignano. Sposa Covella Sanseverino e suo figlio Pedro eredita i titoli del padre - nel 1462 - e la carica di Gran Sini scalco nel 1470, la contea di Potenza va invece a suo fratello Ignigo. Pedro sposa Isotta Ginevra del Balzo, figlia di Piero del Balzo duca di Verona con una spettacolare ceri monia il cui sfarzo viene raccontato dal Pontano. Isotta, principessa di Altamura, è sorella di Federico, che nel 1477 sposa Costanza D’Ava los, di Antonia, che nel 1479 sposa GiovanFrancesco Gonzaga signore di Sabbioneta, e di Isabella, che nel 1487 sposa nientemeno che il futuro re Federico d’Aragona. Nonostante questi legami, Pirro partecipa alla congiura dei baroni e “ob notoriam defectionem et rebellionem, perfidiam, prodictionem et demerita” viene imprigionato e forse ucciso per ordine del re. Pedro, suo gene ro e suo seguace, vede tutte le sue ricchezze confiscate mentre il mar chesato del Vasto torna alla corona. Pedro non ha figli maschi. Il titolo di marchese del Vasto ri entra in famiglia con uno zio di Pe dro Guevara, fratellastro di Ignigo Guevara: Ignigo Lopez d’Avalos y Tovar, che sposa Antonella d’Aqui no marchesa di Pescara, e recupera il feudo di Vasto. Suoi figli sono l’ischitano Alfonso D’Avalos mar chese di Pescara, Martino Rodrigo conte di Monteodorisio, Ignigo, car dinale e marchese del Vasto, più tre figlie femmine. La torre di Ischia Essendo nostro obiettivo quello di individuare chi risiedeva nella torre Guevara di Ischia, ed avendo dimo strato che non si trattava dei marche si del Vasto espropriati dalla corona, dobbiamo tornare ad un altro dei quattro cavalieri che arrivano in Ita lia. Un altro fratello di Ignigo Gueva ra, anche lui figlio di Costanza di To var, fu Giovanni Beltran de Guevara, che sposa Maria Gesualdo. Giovan ni muore nel 1461 e suo figlio (Gue vara de Guevara) diventa signore di Savignano e di Buonalbergo. Guevara di Guevara sposa Mar gherita della Leonessa ed ha due fi gli: Ignigo e Giovanni. Chi viene ad Ischia è – forse Guevara di Guevara, ma più proba bilmente è suo figlio Giovanni, che sposa Lucia Tomacelli, di antichissi ma famiglia napoletana, che vantava tra gli antenati due Papi (Bonifacio IX e Innocenzo VIII). La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 11 Giovanni è padre di un altro Guevara de Guevara, che sposa Delfina Loffredo (imparentata con Torqua to Tasso) e muore nel 1550. Quasi sicuramente è lui, figlio di un Guevara e di una Tomacelli, il primo della famiglia che viene ad Ischia, perché nelle scale della torre abbiamo trovato uno stemma che è diviso in due: a sinistra i colori (sbiaditi) dei Guevara, a destra (per indicare la famiglia materna) si nota una banda diago nale composta da riquadri che sembrano essere quelli della famiglia Tomacelli, il cui stemma viene così de finito: “di rosso alla banda scaccata di azzurro e d’oro in tre file”. Sarà invece il figlio Giovanni - che sposa Isabella Frangipane della Tolfa - a comprare nel 1564 il ducato di Bovino e sovrapporre allo stemma dei Guevara lo scudo di Bovino. La nostra torre è infatti chiamata an che “di Bovino”. Tale nuovo stemma era presente nello scudo di pietra, poi rubato, che sovrastava la porta di ingresso della torre e su una parete della sala del primo piano. A proposito di stemmi dobbiamo rettificare un dato che avevamo riportato sulla scorta di annotazioni ine satte trovate nell’araldica napoletana. Lo stemma che sovrasta la porta d’accesso alla sala “di rappresentan za” recentemente restaurata, e che fu scoperto nel cor so della campagna di restauri 2012 commissionata dal circolo Sadoul all’Università di Dresda, fu da noi defi nito come quello della famiglia “Guevara Suardo” sul la scorta delle indicazioni riportate sul sito della nobiltà di Napoli. Tale stemma è invece sicuramente quello dei Guevara di Spagna. La cosa ha un certo interesse, perché i Suardo sono entrati nella famiglia solo nel diciottesimo secolo, men tre lo stemma delle scale dovrebbe essere antecedente al 1550, anno della morte di Guevara di Guevara. Restando nel campo delle inesattezze, vorrei segna lare che Wikipedia, e molti siti internet di alberghi o aziende ischitane, riportano - a proposito della torre - l’indicazione che alla fine del ‘400 un Francesco de Guevara, duca di Bovino, sarebbe stato nominato da Carlo V governatore a vita di Ischia. Alla fine del ‘400 Carlo V non era ancora nato, il decreto reale che attri buiva alla famiglia il ducato di Bovino è del 1575, e nessun duca di Bovino si chiamava Francesco. Insomma, abbiamo ora la prova che la torre è stata per molti secoli dei duchi di Bovino, di cui abbiamo la genealogia, che le decorazioni interne sono tutte data bili agli anni a cavallo della metà del cinquecento, che i Guevara ed i D’Avalos avevano - in Italia - un'origine comune, incrementata poi con i successivi numerosi matrimoni, e ci spieghiamo infine perché il titolo di marchese del Vasto passa da uno all’altro membro del la casata. Torneremo sull’argomento quando le ricerche che stiamo conducendo con l’aiuto di esperti spagnoli avranno portato a nuove conclusioni. Quando il governo italiano scappò a casa dei duchi di Bovino Stemmi 12 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 Ho trovato un gustoso episodio che riguarda una pagina dolorosa della storia d’Italia relativa all’8 set tembre del ‘43. Devo però necessariamente premettere che la famiglia continuò ad utilizzare la casa di Ischia (e l’isolotto di Vivara che da loro prende il nome) per molti secoli. Alla fine del ‘700 don Prospero Guevara, IX duca di Bovino, aggiunse il cognome della madre (Suar do) avendo ereditato dalla famiglia materna il ducato di Castel d’Airola. Fu probabilmente suo figlio Carlo a decidere di abbandonare la proprietà di Ischia, sde gnato per la decisione del Comune di far seppellire i morti del colera del 1836 quasi sotto le finestre della Torre. Si dice che proprio il trasporto dei cadaveri via mare nella baia di Cartaromana avesse ispirato al pitto re Böcklin il suo quadro intitolato “L’isola dei morti”. Quest’opera d’arte ha colpito la fantasia di molti ed in particolare dei dittatori. Certamente era nello studio di Hitler quando fu firmato il patto Molotov Ribbentrop, ma dopo la sua morte divenne bottino di guerra sovieti co e pare che lo stesso Stalin l’abbia tenuta esposta fino al momento di restituirla alla Germania. Lasciata Ischia, i Guevara Suardo conservarono il ti tolo di Duchi di Bovino sino alla fine dell’800, quando Maddalena Guevara Suardo lo trasmise al figlio Gio vanni De Riseis che - nel feudo familiare di Crecchio, in provincia di Chieti - fece costruire un castello vicino alla torre duecentesca della sua famiglia. In quel castel lo è ambientato il nostro aneddoto, che ha protagonista sua moglie Antonia. Maria Antonietta d’Alife Gaetani dell’Aquila di Aragona, non bastandole i titoli di prin cipessa di Satriano, duchessa di Bovino, baronessa di Crecchio ed un’altra decina di corone nobiliari, fu an che dama di Palazzo della regina Elena e - per 33 anni - presidentessa della Croce Rossa Italiana. Ma torniamo a quei giorni tragici e ridicoli che ac compagnarono la caduta del fascismo. La duchessa di Bovino è nella sua residenza estiva di Crecchio, dove ha saputo della caduta di Mussolini. È ancora in vestaglia ed i suoi nipoti giocano nel parco quan do una grossa automobile si ferma all’ingresso della villa. Si sente improvvisamente chiamare e si trova davanti il principe Umberto, che è stato già altre vol te suo ospite. Quella che segue è la cronaca dei fatti raccontata sul Candido e poi in un libro (“I Savoia nella bufera”) da Giorgio Pillon. Il principe la informa che - insieme a lui - ci sono anche i sovrani. La duchessa sbianca per l’emozio ne, non solo per la visita inaspettata ma anche perché Umberto, per la prima volta, dice “mio padre e mia madre” e non “le Loro Maestà”. L’imbarazzo au menta quando apprende che con la famiglia reale c’è anche il nuovo capo del governo ed una carrettata di ministri e generali. Sono tutti scappati da Roma du rante la notte e sono diretti a Pescara dove contano di imbarcarsi per il Sud Italia, già in mano agli alle ati. Preoccupati di arrivare in città prima della nave militare che dovrà farli fuggire, hanno mandato il duca d’Acquarone in avanscoperta e - su consiglio dello stesso Umberto - hanno pensato di fermarsi in casa di amici per non dover attendere in città l’arrivo della corvetta “Baionetta”. (Permettetemi - da ingua ribile mazziniano - di sogghignare sul fatto che il re “sciaboletta” scappa sulla “baionetta”). Arriva la coppia reale e la regina abbraccia la sua amica, che si affretta a dare ordine per alloggiare la cinquantina di ospiti imprevisti. Il bagaglio della sovrana è andato smarrito, e così la duchessa deve fornire un po’ di biancheria per il viaggio. Ordina di ammazzare una cinquantina di polli ed organizza tre turni per far mangiare gli ospiti nella sala da pranzo, non adeguata a tale quantità di commensali. Consumano il pasto (solo un po’ di brodo per la regina Elena, mentre il re - contrariamente alle sue abitudini - mangia con appetito e fa commuovere la cuoca quando dichiara di aver gustato molto ogni piatto). La duchessa, il cui marito è senatore ed è sta to il primo podestà di Napoli, domanda privatamente a Badoglio ed alla regina se era proprio necessario l’arresto di Mussolini, ricevendo una risposta secca ta dal primo, imbarazzata da parte della sua amica. Altra gaffe della nobildonna: sente Umberto che viene consigliato dai suoi aiutanti di tornare a Roma (e la risposta è: “dobbiamo ubbidire al re; in casa Savoia si regna uno alla volta”) ma convince il prin cipe, che la considera una vera amica, a richiedere nuovamente al padre il permesso di tornare a Roma. Anche il nuovo tentativo - che forse avrebbe cam biato la storia d’Italia - va a vuoto, questa volta per ché è la regina a non voler separarsi dal figlio. Finalmente, dopo che tutti si sono riposati e rifo cillati, il corteo va via... ma la nave non è arrivata a Pescara ed è attesa ad Ortona molto più tardi. La duchessa sta cercando un rimedio al suo mal di testa quando sente di nuovo chiamare al portone … sono tornati tutti, anzi si sono aggiunti un’altra ventina di cortigiani. Subito nuovi polli da ammazzare, ma questa vol ta i profughi non si trattengono a lungo. Ripartono infatti dopo qualche ora ed arrivano senza problemi all’imbarco sulla piccola corvetta, dove altri duecen to generali - tutti rigorosamente in borghese - tenta no disperatamente di imbarcarsi anche loro, con sce ne di arrembaggio che ben testimoniano il carattere della classe dirigente di quei tempi. Rosario De Laurentiis La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 13 Premio PIDA 2014 Il 25 Luglio 2014, nell’affascinante location di Tenuta Piromallo, si è svolta la serata finale del Premio PIDA 2014, il grande Festival dell’Architettura e dell’Ospitalità, pro mosso dall’Associazione Pida, il Comune di Ischia e l’Ordine degli Architetti di Napoli. A Bijoy Jain_Studio Mumbai è stato conferito il Premio PIDA Sostenibilità per aver introdotto nell’architettura con grande efficacia i temi legati all’ecologia e al rapporto con il contesto ambientale e alla valorizzazione dei materiali au toctoni; a Christine Dalnoky il Premio Pida Paesaggio, per aver aver saputo integrare i temi del paesaggio all’interno di interventi architettonici complessi e per aver contribuito con estrema sensibilità a diffondere la cultura paesaggistica nelle università europee; a Matteo Piazza il Premio PIDA Fotografia per aver fotografato l’architettura con occhio attento sia alla specificità della stessa, sia alle potenzialità artistiche del mezzo. I giovani partecipanti ai Workshop PIDA Paesaggio e Design hanno illustrato il lavoro svolto durante i 5 giorni trascorsi alla Villa La Colombaia sotto la direzione di Mi chela Baldessari e Paolo Baldessari, Enzo Tenore e Marcello Lanza per il Workshop Design e Christine Dalnoky, Fausta Occhipinti, Flavia Castagneto, Eduardo Bassolino, Gianluca Parcianello e Giovanni Sacco per il Workshop Paesaggio. Due progetti studiati approfonditamente da cui sono emerse nuove idee e proposte per l’isola di Ischia che permettono di esaltare, percepire e rendere fruibili i suoi caratteri distintivi. Inoltre, per l’area della Chiesa di Sant’Anna, è stata redatta una proposta d’intervento dai tutor del Workshop Paesag gio Christine Dalnoky e Fausta Occhipinti, organizzando la piantumazione di tre cipressi in omaggio al dipinto di Arnold Böcklin. Gli alberi, prima struttura del giardino, sono stati sacralizzati durante la messa inaugurale della 82° edizione della Festa a mare degli Scogli di S. Anna che si è svolta il 26 Luglio 2014 nella Baia del Castello Aragonese. Sono poi stati svelati i vincitori delle varie sezioni designa ti dalle giurie, presiedute da Luigi Prestinenza: Sezione PIDA Alberghi 1) “Moure Hotel” di Elizabhet Abalo, Gonzalo Alonso; 2) “Hotel A Sofia” di Lazzarini Pickering, collaboratori: Barbara Fragale, Giuseppe Postet, Daniela Ogis, Antonio Cavallo, Andrea Di Laurenzio, Carlo Guerrieri, Jenny Ham mer, Eva Christine Schenck, Francesca Wunderle; 3) “Donnacarmela Resort Agriturismo” di Giuseppe Scan nella. Sezione PIDA SPA 1) “Centro Talassoterapeutico” a San Marco di Castellabate di Massimiliano Rendina 2) “La Spa del Casale Del Principe” di Alberto Apostoli Ar chitecture e design 3) classificato “Salbea – Centro Relax Grotta di Sale”di Francesco Deli, Francesco Sabatini 14 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 Sezione PIDA Concept Alberghi 1) “Preexistence” di Antonio Iraci, Serena Vivirito, Salvato re Terranova, Mario Renda, Concetto Pidatella, Erika Ruiz 2) “Piscopo Palace Hotel” di Architrend Architecture: Gae tano Manganello, Carmelo Tumino 3) “Convitto per Alunni a Malles” di Giovanni Fiamingo capogruppo, Giuseppe Falzea, Angelo Italiano, Maria Gio vanna La Spada. Sezione PIDA Concept SPA 1) “Spa a Beirut” di Lazzarini Pickering, collaboratori: Eva Christine Schenck, Daniela Ogis, Simone Lorenzoni 2) “Wu Xiang Hotel Luxury Spa” di Alfredo Galdi (capo gruppo) Achille Ferolla, Antonietta Petroccelli, Antonio Giuliano, Corradino d’Elia, Giuseppe Barile, Giuseppe Martino, Maurizio Citro, Monica Imperato, Rossella Nota ri, Simona De Marco, Umberto Salvatore, Vito D’Ambrosio 3) “Spa_Arch” di Adriana Leone, Nicola Porta e Luca Mon trone Sezione PIDA Paesaggio 1) “La città di Vulcano” di Luana Blascetta, Antonino Fren da, Giusti Maria Adriana 2) “The Pop-up Garden at The Westin Palace – Madrid” di Claudia Bonollo 3) “Il giardino dell’ospitalità a Zafferana Etnea (CT)” di Scau Studio Sezione PIDA CasaClima 1) “Ecosuite” – Revine Lago (TV) di Daniele Menichini 2) “Gasthof Bad Dreikirchen” – Barbiano (BZ) di Lazzari ni Pickering, collaboratori: Eva Christine Schenck, Daniela Ogis, Simone Lorenzoni 3) parimerito “Residence Italia” – Castelvolturno (CE) di Chiara Lombardi e “Hotel Villa Gelsomino” – Ischia (NA) di Blascetta Luana e Frenda Antonino Sezione PIDA Social Network 1) Convitto per Alunni a Malles 2) Varese: Il sogno del Sommaruga. Proposta di intervento per il recupero funzionale del Grand Hotel Campo dei Fiori 3) H2L Rassegna LIBRI Norme di buona creanza per il matrimonio e la villeggiatura di Matilde Serao Inagaenaria-Ischia, in copertina litografia di Colette, aprile 2014 In questi due trattatelli, selezionati da un libro sul saper vivere pubblicato nel 1900 e aggiornato dopo la guerra, il delicato tema del galateo è applicato a due momenti peculiari della vita civile: il matrimonio e la villeggiatura. Ironicamente critica nei confronti di mode e sperperi, la Serao elenca vizi e virtù di sposi e viaggiatori, deliziando il lettore con curiosità di ogni genere. Dalla penna di una regina del giornalismo, un viaggio appassionante tra le mille raffinatezze di un’Italia ormai perduta (da una nota della IV di copertina). Intorno all’amore di Pantelejmon Romanv Inagaenaria-Ischia, in copertina li tografia di Boris Grigoriev, Erotic, aprile 2014 Una raffinata riflessione psicologica anima questi tre racconti, pubblicati in volume negli anni ‘20 del seco lo scorso. L’ingenua infatuazione di una giovane viaggiatrice, l’inaspet tata remissività di una contadina tradita e abbandonata, il sentimento tormentato di una pia ragazza per un ateo; gli amori difficili delle tre protagoniste si disperdono lungo le rotte incerte del desiderio maschile, offrendo fugaci momenti di purez za nella livida realtà delle passioni. Dalla penna di Romanov prendono forma dei ritratti originali quanto accurati, in cui la maestria della pa rola si coniuga ad una sensibilità già contemporanea (da una nota di IV di copertina). Polka-Mazurka di Alexsandr Neverov Inagaenaria-Ischia, aprile 2014 Le rustiche atmosfere della campa gna russa fanno da sfondo a que sto frizzante e ironico racconto di Aleksandr Neverov, pubblicato nel 1923. L’ingenuità del contadino Gurjan e la scaltra leggerezza della viziatissima Tonja sono gli elementi di un giocoso contrappunto, in cui le più comuni dinamiche della se duzione acquistano un’irresistibile linfa comica. La storia dell’innamo ramento del protagonista, arricchita dal contrasto tra la mollezza cittadi na e la dura realtà agricola, delinea una tagliente satira sulle debolezze umane, ma tratteggia anche un ori Boubouroche di Georges Courteline Inagaenaria-Ischia, aprile 2014 In due agili racconti, attraversati da una irresistibile comicità, Courteline ritrae con una surreale vena creati va l’eterno gioco delle relazioni tra ginale affresco della vita nella step pa nei primi anni della Russia postzarista (da una nota di IV di copertina). uomo e donna. Nel fortunato Bou bouroche, adattato per la scena nel 1897, il conflitto tra ingenuità e astuzia si incarna nella goffa, genia le figura del protagonista e in quel la della sua terribile amante, dando vita a una storia esemplare che vanta numerose trasposizioni cinemato grafiche e televisive. Completa que La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 15 sta edizione il breve racconto Prime armi, altra brillante variazione sul tema degli inganni amorosi (da una nota della IV di copertina). Un cuore semplice di Gustave Flaubert Inagaenaria-Ischia, aprile 2014 Felicita trascorre la propria vita alle dipendenze di una famiglia bene stante di campagna. Se il più famoso personaggio di Flaubert, la curiosa e intraprendente Madame Bovary, era interamente proiettato verso la ricchezza di possibilità offerte dal mondo, gli interessi di questa umile serva si esauriscono integralmente nella vita della casa, creando pro gressivamente un mondo interiore fatto di fantasie e affetti. Pubblicato in volume nel 1877, questo raccon to costituisce un perfetto esempio di prosa flaubertiana, in cui la sensibi Le Terme Belliazzi sulle storiche fonti del Gurgitello di Casamicciola di Gino Barbieri Monografia storica lità dell’osservazione si radica in un linguaggio attento, ricco, mai banale (da una nota della IV di copertina). «In occasione del radicale restauro che ha interessato le Terme Belliazzi a più di centocinquanta anni dalla loro inaugurazipne, i nuovi proprietari hanno voluto cele brarne i fasti e ricordare l'importanza che esse hanno rivestito per l'economia e lo sviluppo del termalismo di Casamicciola e di tutta l'isola d'Ischia, con questa pubblicazione che riesce a unire al rigore della ricer ca la nostalgica suggestione delle testimonianze di un passato fatto di fascino, garbo e eleganza». «La Maestà del Re N. S. s'interessò dello stato infe lice di oltre 24.000 suoi devoti sudditi e che riconob bero nell'augusta venuta il braccio della Provvidenza. In poco tempo rifatte tutte le antiche strade dell'isola, rendendole praticabili. Le acque del Gurgitello ebbero un grande stabilimento degno del nome (Belliazzi). S. M. ne affidò la proprietà ad alcuni privati ed espresse le condizioni che le dette terme fossero ricostruite degna mente. Allora fu fabbricato un magnifico edificio con la spesa di circa 14.000 ducati. Il Comune non pertan to si riservò il diritto di mantenere un impiegato cche vigils alla regolarità del servizio e all'esistenza delle tariffe stabilite (Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, 1855)». «Ora diciamo di quei preziosissimo bagno, che è detto volgarmente Gurgitello...» (Giulio Iasolino). «... fonte del Gurgitello, cui il cielo concesse la virtù portentosa di domare i morbi; che, una volta conosciu ta, in regioni straniere si diffuse e di sua rinomanza empì il mondo...» (C. Eucherio de Quintiis) (Riferimenti tratti dal libro) 16 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 Melchi vi racconto una storia di Sergio Schiazzano Graus editore, collana tracce, immagine di copertina di Giuseppe Mattera, pp. 247, Napoli, 2014. “Vi racconto una storia” è il romanzo del giovane Sergio Schiazzano, nato a Ischia nel 1993 e attuale stu dente di giurisprudenza presso l’Università di Napoli Federico II. Una storia (“una storia da raccontare”) che l’autore insegue “con una corsa indiavolata e fre netica in un giro per il mondo, senza riposarsi, senza fermarsi mai”. Ed anche il lettore corre pacato insieme a lui, chiedendosi ad ogni capitolo se si trova ad iniziare un’altra tappa (decisiva o ancora soltanto circostanzia ta intorno a quell’obiettivo) e quindi procede ansioso e bramoso della meta. Alla fine dovrà constatare e far proprio il convincimento che “la storia da raccontare” è il “racconto” stesso proposto in quelle pagine ricche di vita e di sogni, di speranze e di illusioni, la cui let tura, ma più ancora il suo assimilarle nell’intensità che esse emanano, richiede “un atto di fede e di coraggio”. Fede e coraggio che forse oggi i giovani hanno smar rito o che più propriamente la realtà forse ai giovani ne presenta il tramonto, prima ancora che sia spuntata l’alba. Un futuro che si vorrebbe far vivere unicamente nei sogni. Ma fin quando i giovani saranno disposti a cullarsi nei sogni? La storia di Melchi (il personaggio che s’inventa l’au tore), come si evince dalla copertina, ha come sfondo per lo più l’ambiente ischitano, ma questo non sempre appare in tutta chiarezza ed evidenza perché, come i sogni sono spesso sfuggenti, velati e misteriosi, anche la realtà tende ad apparire offuscata e nebbiosa, forse appena rischiarata dalle luci dei lampioni di vecchia memoria che sono sempre là presenti, anche quando qualcuno si trastulla a farli scomparire. Immagini, vie, piazze, vicoletti appaiono e non appaiono a fronte di ogni vicenda che s’intreccia, si complica, si contrappo ne nel dipanarsi del racconto, senza sosta, senza pausa, tant’è vero che in un primo momento il tutto (come sembra) era previsto in uno svolgimento continuo, pri vo della suddivisione in capitoli. Leggiamo la bella descrizione della Piazza dei lam pioni nella tempesta: «… il primo di dicembre e onde spazzavano la piazza. Scavalcavano il molo con la stessa facilità con cui un gatto salta su uno sgabello, poi galoppavano sui ciottoli della pavimentazione e s’infrangevano contro la cerchia di palazzi. Pareva che l’isola fosse sprofondata di qualche metro. I lampioni semisommersi che affioravano dalle acque ribollenti sembravano relitti pallidi e surreali di un mondo fanta sma, le vestigia di una civiltà persa nell’oblio. Alcuni lampioni ancora resistevano orgogliosamente nella de solazione dell’allagamento, e i loro riflessi tremolava no (“il tremolar della marina” di memoria dannunzia na) sinistri sulle onde. Altri invece erano stati sopraf fatti e se ne stavano lì spenti e miseri, immemori del cuore caldo di luce che una volta covavano…». Altro ve: «… rotto qualcuno per gioco, (i lampioni) il giorno dopo erano di nuovo lì, già belli che sostituiti, nuovi di zecca, quasi fossero ricresciuti spontaneamente notte tempo. Mio Dio, lampioni ovunque». «Non c'era strada sull'isola che non ne fosse provvi sta, perfino i vicoli più sperduti e reconditi potevano fregiarsi della loro illuminazione». Una luce, la loro, strana, misteriosa, che lasciava trasparire appena, a volte, quei luoghi che sono teatro delle scene che si susseguono, quando il sogno finisce di essere tale e si prende coscienza di sé. «Sono nato su un'isola e per i sognatori non esiste posto più disgraziato dove nasce re. Un posto dove immaginazione e speranze finiscono con l'essere compresse in uno spazio piccolissimo». Il giovane scrittore “dopo venti anni di clausura su La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 17 quest’isola”, si scuote e ne trae la conclusione che “tutto questo non fa per me” e, senza tener conto di chi pensa di dissuaderlo, parte per altre terre, speranzoso, in parte, di dimen ticare “una vita grigia e triste, che si dispiega in una serie noiosa ed inin terrotta di giornate lunghe piatte”. È stato ed è forse questo il desi derio, il sogno di tanti giovani, ieri come oggi, tesi a superare questi li miti che l’isola ci impone e ci pre senta ad ogni istante, perché, come dice il proverbio, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Poi in realtà si fa ritorno ai luoghi natii, quando tut to vacilla e crescono ancora le spe ranze deluse. Raffaele Castagna MELCHI Vi racconto una storia di Sergio Schiazzano Riportiamo una recensione apparsa nel sito giozzy76-acquachiara.blogspot.com/.../schiazzano-emergentedotato.htm... Mi avvicino sempre con una certa aspettativa alle opere di giovani emer genti e la lettura, molte volte, è sofferta perché la storia non decolla da subito. Mi appaiono sempre le “solite” storie, cumulo di altre letture fatte e poi messe in “assemblaggio” in una nuova storia. Melchi, invece, attrae fin da subito. Dalle prime pagine presenta un fasci no tutto suo dovuto alla miriade d’im magini felici che Schiazzano prodiga a piene mani ai suoi lettori e nessuna delle quali è banale ma tutte presentano pro fondità e maturità che di certo nessuno si aspetta da un sì giovane scrittore. Per sonalmente adoro leggere romanzi che oltre a raccontare una storia, abbiano anche il pregio di lasciare tracce nella mia anima; pare che Melchi sia una di quelle storie. Il tutto inizia con uno scrittore che va in cerca della “sua” storia da raccontare; una di quelle storie che “Quando la si trova, è solo un particolare intreccio del destino. Nessuna abilità, nessun colpo di genio, semplicemente una favorevole comunione di stelle, una concatenazio ne di eventi.”... La fantasia spazia di qua e di là per cercare la “Storia da raccontare” e le azioni si succedono alle azioni con un sempre rinnovato vigore che il lettore gusta parola dopo parola, segue avve nimento dopo avvenimento mentre l’at 18 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 tenzione rimane sempre alta e partecipe di periodo in periodo. ...”C’è una particolare magia, un in canto, uno stupore nel mondo, ed è raro che, nel corso della sua vita terrena, un uomo riesca a coglierlo e, soprattutto, a raccontarlo. Mi era stato concesso di ri uscirci, ma sul più bello quell’occasione mi era stata sottratta.”... Queste le parole disperate che lo scrit tore pronuncia, dopo aver perduto il filo che teneva unita la sua storia. Egli, in seguito, l’aveva ritrovato nitido mentre si aggirava in un vecchio negozio attra verso un’enorme moltitudine di palle di vetro che oltre a innevare i paesaggi in quelle racchiusi, grazie a un gatto, illu minarono anche la fantasia dello scritto re. Egli vide chiaro l’intero svolgimento narrativo fra i milioni di schegge di ve tro che si erano sparse per terra dopo che un gatto le aveva investite, ma lo dimen ticò subito dopo a causa di un incontro casuale; ma ...”poiché niente è perduto sul serio... è anche inutile disperarsi...” e infatti ecco che la Storia da raccontare ritorna e tutto ...”grazie a una persona, Melchi”... L’uomo dei sogni. “Sai, io posso vantare molte più vite di qualunque essere umano. Sono stato un marinaio, un inventore, un poeta, un astronauta, e perfino un pirata. Perché sei immortale? Niente affatto. È perché sogno.” Anche lo scrittore aveva inseguito i suoi sogni ed era fuggito dalla sua iso la ma per lui non ci fu altra via che il ritorno a casa dai suoi dove: “Le reti dei pescatori sarebbero tornate ad essere i confini inviolabili della mia vita, il mare un sarcofago sigillato con dentro i miei sogni.” Ciò che più attrae in questo libro è il linguaggio usato sapientemente dallo scrittore e la descrizione delle infinite situazioni descritte da cui il lettore può cogliere a piene mani insegnamenti di vita. Oltre al fascino del racconto, Schiaz zano descrive la vita e fa mille e più riflessioni sulla stessa tanto che il letto re viene a trovarsi legato da un filo di empatia con lo scrittore e, segue la nar razione rapito da ciò che quelle pagine cercano di trasmettergli. Le descrizioni delle persone e degli ambienti incantano il lettore, trasportan dolo in arie rarefatte e in mondi noti ma arcani per il fascino che da sempre han no esercitato sugli umani, ed è perciò che la scrittura di questo giovane dotato riesce ad attirare il lettore fino in fondo, senza distrazioni di sorta perché a tutti farebbe piacere incontrare un grande, meraviglioso saggio come Melchi che aiuterebbe la gente a interpretare diver samente la vita ma solo in senso magico e positivo. Un esempio fra i numerosissimi con tenuti nel romanzo: “Nelle sere meno fredde Melchi s’ar rampicava sugli scogli e, accucciatosi su un masso che fosse meno spigoloso e scomodo degli altri, restava a lungo a osservare il sole che a Ovest prima in dugiava sui tetti delle case, rovesciando colate d’oro e di vermiglio sulle tego le, poi scivolava lentamente giù per le pareti perlacee e infinite, si tuffava in qualche giardino nascosto. Melchi se ne restava immobile sul suo trono a metà strada tra terra e mare e la risacca, fle bile e regolare scandiva il ritmo dei suoi pensieri... nell’attimo in cui i lampioni nelle strade s’accendevano. In quel mo mento Melchi riprendeva vita. Chi lo conosceva sapeva che quella era l’ora preferita da Melchi, quando i lampioni della Piazza antistante il Ponte s’infiam mavano. I loro fasci di luce erano per lui come pallidi riflessi di un focolare lon tano, attorno al quale una famiglia persa nel tempo si raggruppava e si stringeva, erano mani gentili che lo accarezzavano e lisciavano le pieghe del suo vestito e facevano scomparire le ombre del suo viso, e forse anche i cattivi pensieri dalla sua testa. Come non lasciarsi trasportare su quel trono con Melchi per assaporare tutta la nostalgia e la dolcezza del ricordo che si fa memoria e si perpetua per tutta la vita? ...” Erano quei lampioni, barlumi di in timità che riducevano la vastità impo nente e sconfinata della notte allo spazio minuscolo e sicuro di una piazzetta. Il mondo era quella Piazza, perché altro non si poteva vedere, tutto il resto era buio. Era quella l’ora in cui Melchi ri tornava a casa, con le stelle che lo guar davano sia dall’alto, sgargianti fermagli nella fluente chioma corvina del cielo, sia dal basso, diamanti incastonati nelle placide acque del golfo.” Di certo l’oscurità notturna e il cielo trovano in codesta descrizione tutta la tenera sensibilità dello scrittore, che ac carezza con le parole l’importanza affet tiva, per gli abitanti del luogo, della loro piazzetta. Di notte, Melchi volteggia attraverso alberi, piazzetta e una vecchia casa di roccata e disabitata, da anni, cui Melchi volge lo sguardo al balcone, tenendo un fiore in mano ma poi, dopo essere rima sto incantato come in contemplazione, si sveglia da tale incantesimo e torna a dormire nella capanna mentre il lettore resta affascinato a ripensare alle imma gini dolci e deliziose alle quali Schiaz zano l’ha incatenato. Un’altra delle cose che attraggono ri petutamente il lettore, sono le descrizio ni ricche di metafore che si ritrovano in più di duecentocinquanta pagine e che trovano il lettore sempre ben disposto ad assorbirle fino in fondo, quasi come se egli stesso fosse presente sulla scena descritta. “Arrivò l’autunno, odoroso di foglie e di muschio. La montagna dismise il suo classico manto verde brillante e ne indossò uno ombroso e sdrucito... alberi imbrunivano, altri s’indoravano, cosic ché l’effetto era quello di una colata di oro grezzo in mezzo ai pendii boscosi... la penombra dei vicoli più nascosti si era fatta strada fino alla Piazza dei Lam pioni, per incontrarsi con quella vischio sa della sera.” I personaggi sono ben delineati e pos seggono caratteristiche peculiari che li contraddistinguono e rendono simpatici e quasi familiari a causa della saggez za di vita che possiedono; quella stes sa saggezza che qualcuno di noi ha già sperimentato nella propria esistenza, avendone incontrato alcuni simili, che in seguito sono rimasti nella memoria e nel cuore. Mi riferisco all’elettricista, a Giòmaria, Notorio, al Vecchio Roc chino. Inga e suo figlio Massimiliano, Ventura, Bottiglia, invece, non risaltano per simpatia ma anche loro sono perfet tamente descritti come in un manuale di “specie” umana e non si può fare a meno di sorridere anche dei difetti dai quali sono caratterizzati. La favola e il mistero avvolgono i personaggi in una continua e mutevole scena che coinvolge e ammalia. Si passa così, di storia in storia, ma tutte tengono vivo e desto l’interesse per proseguire la lettura, resa sapientemente attraente da un gioco di avvenimenti che difficil mente annoiano ma che inteneriscono e addolciscono l’animo: cosa essenzia le per il periodo storico in cui viviamo così strano, così edonistico, narcisistico e così poco umano. Incontrare Melchi, e gli altri che inventano situazioni ro cambolesche per far vivere per sempre felice Bottiglia, - questo uno fra i tanti episodi - edifica lo spirito. Finalmente un libro con buone intenzioni e non con storie cruenti e inconsistenti che durano lo spazio della moda. Melchi è un libro che, se insegnassi ancor oggi, proporrei nella Scuola, tanti e belli sono gli insegnamenti proposti. * La flora dell'isola d'Ischia (G. Gussone e altri) La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 19 Esercizi di scomposizione della risacca e altre marine di Ciro Cenatiempo Editrice: Ad est dell'equatore, introduzione di Raffaele Aragona Già il titolo della raccolta, modestamente qualificata come “esercizi”, lascia prevedere l’originalità del con tenuto. Previsione ancor più sostenuta dal sottotitolo che fa immaginare il registro nel quale si muove que sto Piccolo manuale di leggeratura e geografia superficiale, laddove “leggeratura” non è certo un refuso e “superficiale” non sta a designare il disimpegno (ap parente) delle composizioni; apparente non nel senso di “manifesto” ma di “non effettivo”, che “pare ma non è”, poiché, a lèggere le leggère rime non rime che si snodano nelle pagine di questa sorta di disordinato diario in versi 1979-2014 si comprende come esso rac chiuda un percorso non soltanto geografico. Sono versi la cui libertà cede il posto a una continua e naturale attenzione a palesi o nascoste allitterazio ni, assonanze e consonanze o a riferimenti a prima vi sta criptici ma poi sorprendenti; e anche a una sorta di felici neologismi che fanno sorridere e sorprendere per la indovinata e geniale giustezza della parola nuo va. Invenzioni nate dall’alzare lo sguardo sulla lingua corrente infrangendone la barriera. L’esclusione della punteggiatura, inoltre, dà luogo a una lettura neces sariamente attenta e lascia cogliere la svagata ma non vaga costante incostanza che caratterizza i versi. È proprio il primo titolo, Lævitas, c’è vita che rac chiude e anticipa il carattere che pèrmea la raccolta, un gioco di parole tra vita e lævitas: c’è vita nella legge rezza, c’è vita nella regola ma c’è vita nel divincolar sene, qualsiasi essa sia; è come un continuo clinamen che si mostra gioiosamente fin dall’inizio quando, da una prima strofa fatta di endecasillabi, i versi paiono liberarsi man mano di questa e d’altre costrizioni. Non di ogni altra contrainte, però, poiché è anche presente nei versi un parlare un linguaggio diverso, inventato (?), o un dialetto che aiuta meglio l’Autore a esprimere situazioni ed emozioni legate ai propri luoghi e a quelli che fa propri, nel suo peregrinare. Le parole appaiono con tutta la loro sonorità, come scintille musicali o addirittura spruzzi profumati: ter mini insoliti, a volte inventati, con lettere ammucchiate alla rinfusa ma che riescono a offrire emozioni, sensa zioni primordiali, sentimenti che nascono dal cuore e Leggete e diffondete che la lingua comune non riesce a esprimere tanto è diventata banale e ripetitiva. Cenatiempo è certamente affascinato dagli esperi menti linguistici praticati dalle avanguardie storiche, dai futuristi italiani con le loro parole in libertà e dai dadaisti che usavano nelle loro poesie mozziconi di parole, sillabe, radici, suffissi, prefissi, desinenze o singole lettere ammucchiate alla rinfusa senza ordine né logica; o dalla zaum (“oltre la mente”) dei futuristi russi, ad esempio, una lingua priva di convenzioni se mantiche e assillanti norme stilistiche; e perché no?, anche dai procedimenti oulipistici cui egli si avvicina frequentemente ma se ne distacca per quella sua voglia di abbandonare la regola che pensava di voler seguire. Se quelli dell’Oulipo si definiscono topi che cercano di uscire dal labirinto delle regole da essi stessi creato, Cenatiempo, oulipista a metà, coglie l’occasione per liberarsene non appena avverte che la regola lo prive rebbe della sua voglia di volare alto al di là d’ogni per corso segnato: e noi lo accompagniamo ben volentieri in questo suo libero battito d’ali (Introduzione di Raffaele Aragona). La Rassegna d'Ischia Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi, fondato nel 1980 20 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 Rassegna MOSTRE Ischia - Castello d'Aragona (Carcere borbonico) Manifestazioni artistiche e culturali Mostra personale di Jean-Pierre Orrù Pittura e scultura 14 luglio/15 agosto 2014 C'è una luce celata in ognuno di noi. L'apparire del buio non è la morte del sole, ma il suo nascondersi at tendendo una nuova alba. E se la vita è un gioco di sfumature, Jean-Pierre Orrù ha sperimentato quanto chiaro sia il nero al punto da trasformare il grigiore della vita in una tavola di colori da liberare in spazi immaginifici. Sì, nelle sue tele vibranti di emozioni colorate c'è la speranza di chi è sprofondato nella sof ferenza buia di un dolore ed è riuscito faticosamente ad emergere, riconquistando il proprio spazio. Cos'al tro dire di un'esperienza formatasi nell'aiuto reciproco fra persone alla ricerca di un futuro consapevole delle difficoltà di una vita ormai priva di tonalità al punto da soccombere nell'apatia? Dall'esperienza del Labo ratorio Arte Fare, Jean-Pierre Orrù -- che dal 2012 è il coordinatore, operando all'interno dell'AUS di Ni guarda grazie al sostegno della Fondazione Altamane Italia - ha tratto stimolo per approfondire la sua ricerca artistica e scultorea, individuando nelle forme e nei co lori un percorso in grado di liberare energie e poten zialità sinteticamente espresse nei suoi quadri al fine di trasmettere una volontà di vivere al di là del buio quotidiano. Figlio di emigranti sardi, costretti a lavo rare nel profondo oscuro delle miniere francesi, dove nacque nell'agosto del 1960 a Farebesville, Jean-Pierre ha saputo trarre la forza e il coraggio di emergere da quel "buco" nero come il carbone ed intravvedere la luce e i colori che accompagnano la vita, anche la più sofferta. Nelle sue opere, il colore movimenta la tela al punto da stimolarvi uno sguardo introspettivo in gra do di scoprire il significato profondo che ognuno di noi attribuisce all'arte come terapia dell'anima. Un'anima non più prigioniera del corpo, ma ancella della fantasia (da internet). Ischia Ponte - Galleria Ielasi In occasione della Festa di S. Anna, si è tenuta presso la Galleria Ielasi di Ischia Ponte una mostra concernente gli artisti ischitani, che in passato hanno reso famosa la festa stessa, ideando ed ispirando le barche allegoriche, denominata appunto “I Maestri della Festa”. Nomi come Mario Mazzella, Funiciello, Variopinto, Colucci, Luigi e Federico De Angelis sono ancora nel ricordo di tutti e ci si stupisce come il Comune non riesca ad organizzarne una mostra permanente, per valorizzare la loro arte e cultura, e così anche la stessa isola d’Ischia. La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 21 Ischia Castello Aragonese (Chiesa dell'Immacolata) Christina von Bitter Dal cielo installazione, sculture e disegni 28 luglio/3 ottobre 2014 Gli “Amici di Gabriele Mattera” presentano al pubblico ischitano e italiano il lavoro di un'artista molto conosciuta e apprezzata in Germania. Le sue opere realizzate in carta pesta, spesso di grandi dimensioni ma prive di peso, evocano mondi infantili e al contempo la fine della vita. Giochi polverosi, abiti, schele tri leggeri sospesi nel tempo in una dimensione poetica e ludica Ischia - Torre di Guevara COMBINATO DISPOSTO Marisa Albanese Roberto Marchese A cura di Michela Casavola 12 luglio/21 settembre 2014 Marisa Albanese e Roberto Marchese presentano un progetto espositivo, intitolato Combinato Disposto, pa trocinato dal Comune di Ischia e dal Museo MADRE, a cura di Michela Casavola, nel quale opere recenti e inedite, alcune site-specific, si pongono in dialettica re lazione tra loro e con gli spazi della Torre di Guevara. L’incontro tra i due artisti dà vita a un “intreccio” lin guistico multimediale (caratterizzato da installazioni e sculture ambientali, disegno e fotografia, tecnologie analogiche e digitali) che veicola una vera e propria simbiosi, uno scambio di visioni su tematiche e conte sti affini. Da ambiti antropologici e sociali (Marchese) si passa a questioni sulla condizione dell’uomo con temporaneo, nomadismo e spostamento identitario 22 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 (Albanese). Un percorso tra “nonluoghi” (per citare Marc Augè) caratterizzato da input visivi eterogenei per incontrare le tracce archeologiche e geografiche della surmodernità, accompagnati da riferimenti al su peramento della condizione di mobilità, associati all’i potesi di un nuovo habitat quotidiano, capace di ridise gnare la vicenda contemporanea e i suoi fenomeni. Marisa Albanese crea nuove mappe con polvere di metalli nell’opera Cosa ferma le altalene?. In questa installazione un gruppo di cinque altalene in vetro spostano, mediante un magnete posto sotto la loro seduta, la polvere di ferro distribuita tra due lastre, componendo un motivo iconico momentaneo, che va ria a seconda dell’oscillazione dell’altalena. La polvere si dispone secondo percorsi liberi, elettrici, sottostando alla densità del campo magnetico. L’artista non soltan to inventa mappe geografiche, con polveri metalliche o con il sale, come vedremo nell’opera inedita che realiz zerà espressamente per una grande sala della Torre di Guevara, ma disegna anche in modo inventivo il viag gio e il transito. Nel ciclo Diariogrammi i disegni di vengono grovigli di segni di fronte ai quali si è spinti a cercare un’immagine, a ricostruire un senso figurativo, fino a che non si coglie la vera immagine lì custodita: l’immagine di un corpo fermo che si muove, un’appa rente unità organica statica che cela in realtà un flusso di energia in attesa di esplodere, di deflagrare. È la traccia di quella diffusa potenza immanente che rimane inesplosa solo perché sepolta da una smisurata produzione di flussi immunizzanti. Traccia che testi monia il lavoro dell’artista, narrando, come fu per gli antichi viaggiatori del Grand Tour, la potenza creatrice del proprio sguardo, delle proprie mani, della propria ragione critica, fino a compiere nella sua forma più alta il nostro viaggio. In Marisa Albanese si può cogliere, attraverso la leg gerezza del tratto, tutto il “peso” del nostro tempo, del la vita in transito, nonché l’essere in viaggio. L’analisi delle opere di Roberto Marchese si pone, in vece, oltre la moderna condizione globalizzata con la presentazione di oggetti archeologici reinventati (og getti in cemento ricavati da calchi di vecchi televisori e componenti strutturali di luoghi dismessi), spesso utensili-artefatti nati dal riuso di materiali trovati (sorta di doppio ready made) che aprono la riflessione su una rinnovata memoria futura, riferibile a una immagina Traslazione (5 Luglio 2014) Il mio vuole essere un inno alla vita, quella no stalgica, relegata nel mio cuore e nella mia men te, ma oggi, sempre più che mai viva e splendente come i raggi di quel bel sole, che in età di ‘fanciul lezza piena’, mi riscaldava illuminando e forgiando il mio cuore e la mia mente indelebilmente. Io mi sono sempre sentito e mi sentirò sempre parte viva ed integrante della mia incontaminata ed ancestrale isola di Pithecusa, così come la citavano gli antichi greci, colonizzandola con i primi insediamenti. Io, ora sentendomi particolarmente depresso e afflitto, mi trasfiguro ed avviene la traslazione del mio in tero corpo e subitamente mi ritrovo in compagnia dei ‘miei’ bianchi e maestosi gabbiani a svolazzare con leggiadria sui litorali, ora scoscesi, di rocce di tufo verde alternate a rocce di tufo nero e grigio, e amene ed incantevoli piccole spiaggette di finissima sabbia, nella quale è dolcissimo affondare le nude estremità del corpo che vibra intensamente di un’e mozione incontenibile. Ora, in compagnia svolazzo sfiorando l’azzurra cupa turchese distesa marina, a tratti solcata da rom banti natanti ed incantevoli e leggiadre barchette, dove mi è infinitamente dolce abbandonare, esta siandomi le mie stanche membra, ora in compagnia ria civiltà postindustriale. Marchese si avventura poi in un “viaggio onirico” con il ciclo fotografico intitola to New York, una registrazione temporale di immagini catturate nelle aree periferiche di Napoli, che accen tuando il senso quasi visionario di zone dove convivo no agglomerati edilizi in cemento, fabbricati in lamiera dismessi e scorci desolanti, zone intaccate dal vuoto, rivendicano “il potere dell’immaginazione” in un pae saggio apocalittico. Marchese esplora terre e “territori” alla ricerca di codici non completamente decodificati, ma che siano anelli di congiunzione di due grandi blocchi culturali, quello contadino e quello del capitalismo post-indu striale, ponendo l’accento sulle contraddizioni tra luo ghi urbani e quelli rurali in una logica di catalogazione e destrutturazione degli oggetti che sono appartenuti o appartengono alla collettività. Nell’epoca in cui il mondo si sperimenta, Marchese si muove nello spazio eterogeneo della modernità, “dal quale siamo chiamati fuori da noi stessi, nel quale si svolge concretamente l’erosione della nostra vita, del nostro tempo e della nostra storia” citando Foucault. (M.C.) di altri maestosi gabbiani svetto nell’azzurro terso cielo, infinitamente maestoso, tessendo ritmici voli che volutamente mi riportano a sorvolare le pendi ci, i dolci, lussureggianti di vegetazione, pendii ed amene dolci vallate del monte Tifeo (Epomeo), do minante tutt’intorno l’intera isola d’Aenaria (latini), con le sue numerose e saluberrime fonti di acque termali. Di fronte, s’erge scorgendosi nitidamente il maestoso Vesuvio, dominante l’incantevole golfo di Napoli, con Castellammare e la splendida costiera amalfitana, e la mitica e molto frequentata isola di Capri, con i suoi suggestivi faraglioni, sulla destra. A sinistra, i campi flegrei e più in là la città di Ga eta, infine a nord-ovest, in lontananza dove il cielo pare immergersi nel ‘mio’ mare turchese, avvolta da una leggera foschia, l’isola di S. Stefano, Ventotene e Ponza: meraviglia dell’ancestrale creato!!! La mia traslazione, ahimè volge al termine, si sta esaurendo, tutto svanisce come di incanto e mi ritrovo nella mia poltrona a casa: cielo plumbeo e uggioso, piovoso, con tanta nostalgia, ma rinvigori to nell’animo da quelle energie che solo grazie alla traslazione nella ‘mia’ isola di Pithecusa, ho potuto riacquistare. Resta la nostalgia, ma presto, se vor rò, ritornerò a volare con il mio maestoso gabbiano sull’isola d’Aenaria e in tal modo ritornerò a vivere la mia vera vita nel mio vero mondo. Gaetano Ponzano La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 23 "Educare" al tempo della rete di Carmine Negro In un recente articolo1 Massimo Cacciari ha trattato dell’intimo legame che unisce la filosofia (amore per la sapienza) alla filologia (interesse per lo studio delle parole) e dell’attenzione che la prima pone nel comprendere e ordinare il linguaggio in cui tutti viviamo e che continuamente trasformiamo. Egli si è chiesto quale sfondo rivela il termine filosofia e quali siano le sue radici. Cosa significa sophia, sapere o sapienza, che il filosofo “ama” e sente come un suo problema, una sua cosa, chiamandolo radicalmente in causa. Anche se inventato da Pitagora, questo termine, fu espresso in modo compiuto, per primo, da Eraclito, per il quale “Per diventare filosofo è necessaria la “historei” cioè il vedere molto, il conoscere molto, il fare esperienza diretta di molte cose oltre al saper collegare (col logos) i dati raccolti attraverso l’esperienza (historìa). Quindi il filosofo è colui che fa esperienza diretta delle cose e poi le sa rendere chiare, cogliendone il senso, armonizzando il molteplice. Napoli mercoledì 23 luglio ore 18.20. L’ascensore prospiciente il Tunnel della Vittoria che porta a piazza Plebiscito è chiuso. Quanti devono raggiungere la piazza sono costretti a percorrere la scala che da via Acton immette su via Cesario Console da cui si raggiunge il grande spiazzo su cui si affaccia il Palazzo Reale. Faccio questo percorso condivi1 Cercando Sophia tra eros e logos Repubblica 18 luglio 2014 pag. 35 24 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 dendolo con un nutrito gruppo di turisti alcuni giovani, altri molto meno. Sulla scala siamo investiti da una pioggia di acerbi frutti strappati dalle palme e lanciati da un piccolo gruppo di ragazzi che subito dopo il lancio scappa biascicando ad alta voce parole tronche. Raggiunto il resto del branco tutti corrono lungo i giardinetti che delimitano la strada prima di dividersi velocemente in piccole unità per ricercare una nuova attività, impegnarsi in una nuova azione di disturbo, passare il pomeriggio senza dare un senso al proprio tempo, dove lo spazio è un’appendice del proprio corpo. La maggior parte dei ragazzi ha tra le mani un cellulare più o meno complesso con il quale anche nei momenti di baldoria collettiva sente il bisogno di interfacciarsi. I dati più recenti relativi all’accesso a Internet riportati nell’indagine Istat, Cittadini e nuove tecnologie2, segnalano che nel 2013 è aumentata rispetto all’anno precedente la quota di famiglie che dispone di un accesso ad Internet da casa e di un personal computer3. Nel 2013, oltre la metà delle persone di età superiore ai 3 anni (il 54,3%) utilizza il personal computer e oltre la metà della popolazione di 6 anni e più (il 54,8%) naviga su Internet. Rispetto al 2012, è sempre più diffuso l’uso del personal computer in tenera età: tra 2 http://www.istat.it/.../Cittadini_e_nuove_ tecnologie_anno-2013.pdf?...Cittadini... 3 Rispettivamente dal 55,5% al 60,7%, dal 59,3% al 62,8% i piccoli di 3-5 anni l’uso del pc registra gli incrementi maggiori4. Per quanto riguarda la frequenza d’uso è importante rilevare che il 34,1% delle persone di 3 anni e più usa il pc tutti i giorni mentre il 33,5%5 di quelle di 6 anni e più si connette al web quotidianamente. Internet si rivela sempre più un importante strumento di comunicazione e di partecipazione. L’evoluzione di Internet ha condotto ad una spiccata crescita della possibilità di interagire con gli altri con l’e-mail (l’81,7%degli utilizzatori di 6 anni e più si è collegato per spedire o ricevere e-mail), i social network e le telefonate in rete. Se il 49% degli utenti continua ad usare forme più tradizionali di comunicazione tra internauti come inviare messaggi su chat, blog, newsgroup o forum di discussione online, contestualmente si assiste ad un incremento di circa 5 punti percentuali della quota di persone che partecipano a social network come Facebook, Twitter6 o consultano un wiki7 e di circa 3 punti percentuali di quanti effettuano telefonate e/o videochiamate attraverso la rete8, facilitati dal fatto che l’ambiente web è multitasking9 e offre molteplici possibilità e affordances10. Una analisi 4 Passando dal 17,4% del 2012 al 23,3% 5 In aumento dal 29,5% del 2012 6 Dal 48,1% al 53,2% 7 Dal 53,8% al 58,7% 8 Dal 31,6% al 34,5% 9 Multitasking (multiprocessualità) per mette di eseguire più programmi contem poraneamente (http://it.wikipedia.org/wiki/ Multitasking). 10 Con affordance si definisce la qualità comparativa dei dati Istat degli ultimi anni ci consente di affermare che gli incrementi più rilevanti nell’uso di internet hanno riguardato gli usi relazionali del web anche perché i diversi ambienti web sono diventati tutti ambienti di relazione. Non sfugge ad osservatori attenti che come molti siti e servizi a partire da Youtube e Skype hanno adottato negli ultimi anni un format da social network. Varie ricerche, come quella diretta dalla prof.ssa Chiara Giaccardi sulle modalità relazionali in rete dei giovani tra i 18 e 24 anni confermano l’assoluta rilevanza degli usi relazionali da parte degli utenti del web, soprattutto quelli più giovani11. L’esperienza del web è dunque una esperienza prioritariamente relazionale di cui possiamo evidenziare almeno tre aspetti salienti. Il primo aspetto ci dice che l’esperienza relazionale è concentrata sul qui e sull’ora, intimamente legata all’emergere di una “coscienza nucleare”12,13. Si tratta di una esperienza attenta a monitorare lo svolgimento contingente di quanto avviene, a misurare la significatività di quanto avviene per il sé, a scorgere tatticamente i punti e i toni più adatti per un intervento personale. In secondo luogo si tratta di una esperienza articolata da forme narrative deboli, da microsequenze ricorsive e da frammenti discorsivi che non possono organizzarsi in racconti di portata ampia o in discorsi completi. In terzo luogo si tratta di una esperienza che richiama e costituisce un sé che espone costantemente (per quanto in forme e gradi differenti) la propria intimità, e dunque un sé che si costituisce attraverso una “estimità”14 – un sé esposto e spetfisica di un oggetto che suggerisce a un essere umano le azioni appropriate per manipolarlo (http://it.wikipedia.org/wiki/ Affordance). 11 Chiara Giaccardi (a cura di), Abitanti della rete, Vita e Pensiero, Milano 2010 12 Antonio Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000 13 In prima approssimazione, la coscienza può essere definita come “presenza all’essere”: presenza di un qualche contenuto a un ente che ne fa esperienza diretta e immediata (non-mediata). Si può essere coscienti di un suono, di una luce, di un odore particolare, della presenza di una persona o di un animale o dell’accadere di un evento qualsiasi; ma è anche possibile essere coscienti (o rendersi conto) di una sensazione piacevole o dolorosa, di provare un’emozione o un sentimento, ecc. http:// www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=coscienza.html 14 Molto interessante il conio di quel vocabolo “estimità” (psichiatra e psicanalista Serge Tisseron), che si contrappone a “intimità”. Deriva dal latino ‘extra’, ‘exterus’ ed ‘exter’, di cui c’è il superlativo “extimus”, in tutto uguale al superlativo di ‘intra’, che fa ‘intimus’. Ma mentre ‘extimus’ è stato soppiantato da “extremus” nel passaggio in italiano, con significato che poco o niente ha a che vedere con l’”esterno”, ‘intimus’ quel senso l’ha mantenuto. E così Tisseron con ‘estimità’ recupera una parola, tacolarizzato nelle varie forme di presentazioni, avatar, ruoli di gioco, ecc. Per il prof. Ruggero Eugeni, Docente di Semiotica dei media, Università Cattolica di Milano, non si può in assoluto sostenere che questa esperienza sia automaticamente e necessariamente collegata alle tecnologie e ai linguaggi del web: ma si tratta senza dubbio del livello primo dell’esperienza del web15. La filosofa americana Marta Nussbaum nel volume “Non per profitto” sostiene: «Siamo alla ricerca di beni che ci proteggono, ci piacciono e ci danno agio. Ma sembra che ci stiamo dimenticando dell’anima. [E per anima si intende] le capacità di pensiero e immaginazione che ci rendono umani, e che fanno delle nostre relazioni qualcosa di umanamente ricco, non relazioni di semplice uso e manipolazione. Quando ci troviamo in società, se non abbiamo imparato a vedere noi stessi e gli altri in questo modo, a immaginare le reciproche capacità di pensiero e di emozione, la democrazia è destinata a cadere, perché è costruita sul rispetto e la cura, e questi a loro volta sono costruiti sulla capacità di vedere le altre persone come esseri umani, e non come oggetti ...»� L’appello della filosofa americana sembra un invito ad un impegno educativo di stampo umanistico, anche nei confronti del web e dei soggetti che ne abitano spazi e tempi. La sfida educativa si configura oggi come impegno a dotare i soggetti, in modo particolare i più giovani, della capacità di contestualizzare lo spazio tempo relazionale all’interno di uno spazio – tempo che il prof Ruggeri chiama esteso che ha delle caratteristiche ben precise. Lo spazio – tempo esteso trascende e reingloba lo spazio - tempo immediato; nasce da un ripensamento riflessivo degli spazi – tempo immediati e relazionali per costruire una storia coerente e globale, costituisce l’orizzonte interpretativo di quanto accade nel presente relazionale, un indispensabile orizzonte di senso che permette di esercitare pratiche di discernimento nell’immediatezza della relazione. La forma esperienziale dello spazio – tempo esteso implica la costruzione di una forma di “coscienza autobiografica” e non più semplicemente “nucleare” con l’adozione di strutture narrative e di intreccio complesse e non più frammentarie e ricorsive. Un tale passaggio richiede un lavoro sul sé, l’avvio e la coltivazione di una “confabulazione” contrapposta a ‘intimità’ che manca nel vocabolario delle lingue neolatine. 15 http://www.arcidiocesibaribitonto.it/pubblicazioni/articoli-online/abitanti-digitali.-educare-alla-consapevolezza-del-tempo-edello-spazio-in-rete La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 25 interiore che Ruggeri chiama “ruminazione” riflessiva e dunque il passaggio da pratiche di estimità a pratiche di intimità – che non vuol dire assenza di relazione, ma costruzione di una rete ricca di relazioni interiori e con sé stessi. Per lo sviluppo di competenze volte alla costituzione di uno spazio - tempo esteso si potrebbe utilizzare la capacità di costruire e di seguire strutture narrative e intrecci complessi come propone Paul Ricoeur nel volume “Tempo e racconto”16. Il racconto è un grande modo che l’uomo possiede per umanizzare il tempo, per abitare il proprio tempo individuale, familiare, collettivo. Si potrebbe implementare l’attività appena descritta costruendo racconti che riutilizzano e rilavorano materiali web già esistenti. È quanto suggerisce Pietro Montani nel testo “L’immaginazione intermediale”. Il volume parte da una considerazione: in che modo si può contrastare la crescente indistinzione con cui i media mescolano realtà e spettacolo, fatti reali e simulazioni elettroniche? L’autore, utilizzando un confronto critico tra i diversi formati tecnici dell’immagine e i differenti linguaggi della comunicazione audiovisiva, dimostra che è possibile farlo. Un confronto ‘intermediale’, dunque, di cui il cinema contemporaneo offre gli esempi più convincenti, questo tipo di racconti e i prodotti mediali che ne derivano mostrano dal vivo il passaggio dal qui e ora della relazione alla possibilità di lavorare su intelaiature narrative ampie: il montaggio intermediale è una pratica di estremo interesse sotto questo aspetto17. Molti aspetti del web vanno verso que16 Paul Ricoeur, Tempo e racconto, 3 voll, Jaka Book, Milano, 1986-1988 17 Pietro Montani, L’immaginazione intermediale, Laterza, Roma – Bari 2010 26 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 Laboratorio per bambini (Museo Madre) Visita guidata al Museo Madre sto tipo di rielaborazione; si tratta di narrazioni autobiografiche, diari che mettono in scena una elaborazione della propria storia individuale; del meccanismo di alcuni videogiochi di simulazione che chiedono non solo il gioco in diretta, ma una periodica riorganizzazione narrativa di quanto si è svolto affinché quanto accade abbia senso; da alcuni prodotti di montaggio intermediale che ricorrono nel web: un esempio è l’iniziativa One day on earth (http://www.onedayonearth.org/) un grande film composto da centinaia di micro testimonianze su quanto accaduto in un giorno qualunque in moltissime zone della Terra. Basta conoscere i dati sulla diffusione e l’utilizzo delle piat- taforme digitali (Facebook ha superato il miliardo di utenti con più di 70 lingue e 2,7 miliardi di like al giorno, ogni 60 secondi su Youtube vengono caricati 4320 minuti di video e su Instagram postate 3472 foto) per poter affermare che gli ambienti digitali sono ormai entrati a pieno titolo nel quotidiano delle giovani generazioni. Per poter affrontare il problema da un punto di vista educativo è necessario accostarsi senza pregiudizi al mondo del digitale cercando di comprendere il significato che ha per chi lo frequenta abitualmente, contribuire all’elaborazione dei significati e al riconoscimento di rischi e opportunità legati all’ambiente digitale da parte dei giovani accompagnandoli a cogliere ciò che da una prospettiva solo interna riesce difficile, contribuire a rendere più “abitabile” l’ambiente digitale18. Questo lavoro di ricerca che si è interessato principalmente a come educare alla consapevolezza del tempo e dello spazio in rete necessita di una ulteriore indagine per consentire che i dati possano essere decodificati in attività didattiche. Un grande aiuto può essere fornito dalla riflessione sull’essenza meno spirituale della filosofia e dal suo legame con la filologia e con la pratica di vita che fin dall’età greca ha fornito il prototipo di come intervenire sulle cose dopo averle rese chiare e averne colto il senso. Sono gli scanzonati ragazzi del branco, spesso impegnati in gesti incomprensibili, specchio del nostro contesto socioeconomico e culturale, inconsapevoli vittime di una tecnologia che sembra poter contenere e realizzare qualunque cosa, i soggetti a cui rivolgere le nostre maggiori attenzioni. Uno dei bisogni che cercano di soddisfare in rete è proprio il bisogno di realtà e in un mondo in cui non ci sono divieti e non ci si scontra mai con un limite, in cui il confine tra immagine e realtà diventa sempre più sfumato, ciò che si perde è proprio la realtà. Incontrarsi in Rete, che non è solo un dispositivo tecnico da utilizzare ma anche un luogo antropologico da abitare e condividere, è la nuova frontiera di chi opera nel mondo della formazione. Trasformare il web in luogo di alleanza e di educazione dove si 18 Chiara Giaccardi Giovani: uso e appropriazione delle pratiche sociali nella rete, Rivista di Scienze dell’Educazione, Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione, Anno L maggio/agosto 2013 (2013/2) pag.186-195. Malazè: sei itinerari per i Campi Flegrei, Neapolis, Puteoli, Baiae, Avernum, Quartum, Mons et Prochyta Sei itinerari per i Campi Flegrei, la terra del mito e dell’ar cheoenogastronomia: sono i luoghi che ospiteranno la IX edizione di Malazè, l’evento dedicato al vino, alla cucina e al turismo nell’area a nord di Napoli, che si terrà dal 6 al 16 settembre 2014. Ecco una sintesi di cosa verrà proposto negli itinerari. Nepolis. Viste guidate e iniziative nelle vigne del vulcano degli Astroni; visite guidate all’Area Marina Protetta della Gaiola, alla Grotta di Seiano e al Parco archeologico di Po sillipo.. Puteoli. Visita ai principali monumenti della città di Poz zuoli (tra evento allo Stadio Antonino Pio eccezionalmente aperto per l’occasione); Ciclo Wine Tour gratuito tra le can tine; mostra di oggettistica di artigiani locali; escursione su barca confiscata alla criminalità. Foto didattica (Museo Madre) impara a vedere con occhi diversi, si forniscono criteri di discernimento e orientamento e soprattutto si accompagna a porre la questione irrinunciabile del senso. Carmine Negro Avernum. Visita alla Città Sommersa; Malazè per i Picco li con Agrigiochiamo al Giardino dell’Orco; escursioni tea tralizzate nella pseudo grotta della Sibilla sul lago d’Averno; Cene in Vigna e Vigna Jazz; iniziative Slow Food. Baiae. Escursioni in bici a Bacoli e visite guidate in barca sul lago Miseno; escursioni al Monte Miseno e al lago Fusa ro; visite guidate ai monumenti (tra cui il Museo Archeolo gico dei Campi Flegrei, il Sacello degli Augustali e Piscina Mirabile); visite e Cena in Vigna; escursione tra i filari di cozze; mostre di pittura; presentazione libri. Quartum. Caccia al tesoro tra i monumenti di Quarto; aperitivo offerto dallo chef Marianna Vitale (Stella Miche lin) del Ristorante Sud e dall’associazione la Bottega dei Semplici Pensieri; cena dei Cavalieri della Tavola Balorda con lo scrittore Maurizio De Giovanni. Mons et Prochyta. Percorsi tra i sentieri dei produttori di vino e dei pescatori di Monte di Procida; visite agli antichi cellai; presentazione di libri a Cappella ed escursioni all’iso la di Vivara, Procida. * La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 27 Sculture trecentesche nel Museo Diocesano di Ischia II Parte - Una nuova lettura del monumento Cossa ErnestaMazzella Nella sezione lapidea del Museo Diocesano di Ischia si conserva un interessante monumento funerario della famiglia Cossa. La famiglia Cossa fu una delle più illustri e prestigiose della città di Napoli e dell’isola d’Ischia. I mem bri della famiglia appartenevano ai Seggi di Capuana e di Nido. Si inte ressarono di uffici amministrativi in vasti distretti regionali ed eccelsero in modo particolare nel settore nava le ed ecclesiastico. I Cossa furono ricompensati dalla Corona con assegni annui sin dal re gno di Carlo II. La loro fedeltà alla casa d’Angiò fu un esempio raro. L’origine della famiglia è ancora oggi incerta. Il Mazzella scrisse che la famiglia Cossa ebbe origine da Aulo Cornelio Cosso, che nel 428 a. C. vinse il re dei Veienti, Larte Tolumnio, offrendone poi le spo glie a Giove Feretrio1. Il De Pietri, invece, opinò che la famiglia Coscia fosse d’origine d’Ischia da cui trasse lo stemma della gamba dalla forma dell’isola: “Tolsero costoro il casato dalla patria, con ciò sia cosa che quel che i latini dicano coxa, e’ toscani coscia, i greci dicono ischion, forse perché quell’isola habbia sembianza d’una coscia humana, sì che tanto val Coscia quanto Ischia, onde questa famiglia trasse il nome, l’insegne e l’origine”2. I Cossa, che 1 Scipione Mazzella, Descrizione del Regno di Napoli, I ed. Stamperia dello Stignola a Porta Reale, Napoli 1597, ed. cons. Giovan Battista Cappello, Napoli 1601, pp. 630-631. 2 Francesco De Pietri, Dell’Historia napoletana, Stamperia di G. D. Montanaro, Napoli 1634, pp. 121-123. 28 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 Cappelle Cossa, Cripta, Castello Aragonese acquistarono nel 1339-1340 l’isola di Procida, sembra che fossero un ramo distaccatosi dal tronco dei Sal vacossa. La differenza tra il lignag gio dei Cossa e quello dei Salvacos sa è di difficile individuazione nella documentazione. La questione fu discussa dai più attenti tra i genea logisti antichi, senza arrivare ad una conclusione chiarificatrice. Il primo esponente della famiglia che portò in alto le fortune fu Ma rino, che morì probabilmente nel 1348, figlio di Stefano che l’Ammi rato definì come “valoroso huomo di mare”3. Marino, sin dal 1323-1324 fu miles, cambellanus, familiaris; nel 1324-1325 giustiziere di Ter ra di Bari; nel 1327 giustiziere di Principato Citra. Nel 1327-1328 fu nominato capitano delle galee di Ga 3 Scipione Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, vol. 1, Giorgio Marescotti, Firenze 1580, vol. 2, Amadore Maffi, Firenze 1651, II, p. 87 eta, Ischia, Amalfi, Castellamare di Stabia, Positano e offrì una galea di sua proprietà al servizio del re. Nel 1328-1329 venne nominato portola no di Principato e Terra di Lavoro; fu giustiziere di Terra di Lavoro e con tado di Molise, definito olim iustitiarius Calabrie. Nel 1332-1333 fu giustiziere di Basilicata. Nel 13331334 fu consiliarius et familiaris, e giustiziere di Terra di Bari, suo luo gotenente fu un altro Cossa Ligorio detto Abbas. Nel 1337 fu generalis capitaneus et iustiarius di Terra di Lavoro e contado di Molise. Nel 1338-1339 fu di nuovo giustiziere di Terra di Bari. Nel 1340-1341 di nuovo giustiziere di Terra di Lavoro e del contado di Molise, succedendo al congiunto Pietro Salvacossa. Nel 1345-1346 fu iustitiarius et generalis capitaneus in Calabria. La realizzazione feudale dei Cos sa avvenne contemporaneamente a quella dei Salvacossa, nel 1339- 1340, con Marino, al culmine di una importante carriera di officialis. Questi acquistò l’isola ed il castello di Procida dai discendenti di Giovan ni di Procida ed altri possessi feudali altrove. La posizione di grande auto revolezza che la famiglia conquistò nell’età di Roberto e che si può dire suggellata dall’introduzione nella Corte regia di Marino, si consolidò nell’età durazzesca. I Cossa rientrarono in quelle fami glie della nobiltà verso le quali la Corte di Gaeta fece una politica di ampi favori, largheggiando in con cessioni anche di assegni. Del monumento sepolcrale espo sto nella sezione lapidea4 attribui bile alla famiglia Cossa, si ignora l’esatta identità dei defunti; dallo stemma, poco leggibile, si evince che apparteneva alla famiglia Cos sa. Il frammento costituisce la parte residua di una lastra terragna, della quale non si conosce la collocazio ne originaria dell’opera. La famiglia Cossa vantava il patronato su alcune cappelle nella Cattedrale del Castel lo come si apprende nella Relationes ad limina del vescovo Inigo d’Ava los del 15985, e nella Cripta come ci documentano gli antichi affreschi in essa ancora esistenti, e l’Onorato nel suo prezioso manoscritto6, ma in mancanza di riscontri nulla si può dire circa la sua provenienza. Anche il Lauro documenta che la famiglia 4 Guida al museo diocesano di Ischia, Grafiche Somma Industria Poligrafica, Castellammare di Stabia 2002, pp. 18-19. 5 Cfr. Pasquale Lopez, Ischia e Pozzuoli due diocesi nell’età della Controriforma, Adriano Gallina Editore, Napoli 1991, 214-215. “Nella Cathedrale vi è la Cappella di S.to Luise, S.ta Croce, S.ta Sofia, è Jus patronato delli Coscia, si possiede per D. Gio. Domenico Corbera, tiene di peso duc. messe lette la settimana, rende in circa dicc. 60”; “Nella Cathedrale vi è la Cappella di S.to Andrea, è Jus patronato delli Coscia. Si possiede per D. Francesco de Polverino, ha di peso una messa la settimana, et paga al Capitolo d’Ischia carlini otto l’anno, rende ogn’anno duc. 6. ” 6 Cfr. Ernesta Mazzella, L’“Anonimo” Vincenzo Onorato e il Ragguaglio dell’isola di Ischia, Gutenberg Editore, Salerno 2014. Museo Diocesano, Sepolcro Cossa, Ischia Cossa aveva lo jus patronato su al cune cappelle nella Chiesa degli Agostiniani di Santa Maria della Scala7, oggi attuale cattedrale8, la Delizia affermò che la famiglia pos sedeva una antica cappella col titolo di Santa Sofia nel borgo di Celsa9, il Di Lustro scrisse che la cappella fu ampliata per edificare la nuova chie sa dello Spirito Santo10. 7 Agostino Lauro, La chiesa e il convento degli agostiniani nel borgo di Celsa vicino al Castello d’Ischia, in “Ricerche Contributi e Memorie”, atti relativi agli anni 1944 – 1970, Centro di studi d’Ischia, I ed. 1971, ed cons. Tipografia A. Cortese, Napoli 1984, pp. 651 – 67. 8 Cfr. Agostino Di Lustro, Ecclesia maior insulana. La cattedrale d’Ischia dalle origini ai nostri giorni, Tipografia Punto Stampa, Forio 2010. 9 Ilia Delizia, L’antico borgo marinaro di Ischia Ponte in una pianta inedita del 1616, in “Napoli Nobilissima”, XIX, Napoli 1980, p. 52. 10 Cfr. Agostino Di Lustro, I marinai di Celsa e la loro chiesa dello Spirito Santo ad La scultura era un frammento che costituiva, come già detto, la parte residua di una lastra terragna. Il de funto fu scolpito inscritto all’interno di un’edicola trilobata sostenuta da due colonnine e decorata lungo gli spioventi con gattoni rampanti fo liacei terminanti in un acroterio. Il giacente è rappresentato con le mani incrociate sull’addome. Indossa sul capo un elegante cappello e sfoggia un abito con strette maniche chiuse da una fila di bottoncini e al di sopra un ricco mantello. Alla destra del de funto in basso si scorge il capo di un fanciullo. Negli spazi di risulta tra l’edicola e la cornice recisa spiccano due stemmi uguali. Nella scheda del catalogo della So printendenza11 il frammento fu pre sentato come: “la parte superiore di Ischia, Tipolito Punto Stampa, Forio 2003. 11 Catalogo della Soprintendenza di Napo li, scheda della Curia d’Ischia n°1 . La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 29 un sarcofago a parallelepipedo in quanto la mancanza di un margine perimetrale coll’iscrizione lo escluderebbe dalla tipologia di lastra terragna”. In effetti il frammento è stato privo dell’iscrizione in quanto fu tagliato, ecco perché si nota “la mancanza di un margine perimetra le coll’iscrizione”; inoltre, presenta tutte le caratteristiche tipologiche di una lastra terragna12. La lastra del Cossa è stata attribuita erroneamente dal Di Meglio al monumento di Gio vanni Cossa, padre di Baldassarre, papa col nome di Giovanni XXIII, collocato un tempo nell’antica Cat 12 Cfr. Jörg Garms, Lastre, in Enciclopedia dell’Arte Medioevale, Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, voll. X, Roma 1999, pp. 543 – 547; Nicolas Bock, Sarcofago, in Enciclopedia dell’Arte Medioevale, cit, voll. X, 2000, pp. 364 – 368; Lucia Morganti, Sepolcro, in Enciclopedia dell’Arte Medioevale, cit., voll. X, 2000, pp. 533 – 543;Valentino Pace, Morte a Napoli. Sepolture nobiliari del Trecento, in Reginale Aspekte der Grabmalforschung a cura di W. Schmid, Trier 2000, pp. 41 - 62. 30 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 Fonte battesimale, Cattedrale Ischia tedrale del Castello13. Oggi alcuni frammenti superstiti della tomba di Giovanni Cossa compongono il fonte battesimale nell’attuale Catte drale. Il Di Meglio affermò che: “un frammento dell’urna funeraria a bassorilievo, rappresentante lo stesso Giovanni Cossa disteso a figura intera, con abiti di governatore e con tanto di spada a fianco. L’urna, attualmente conservata nell’ingresso del Seminario di Ischia Ponte”. Dell’urna di Giovanni Cossa non resta purtroppo nessun frammento. La descrizione dell’opera di Gio vanni Cossa ci fu documentata nel manoscritto di Vincenzo Onorato14, la quale descrizione dà prova che quest’opera non poteva appartenere alla tomba di Giovanni Cossa. Il frammento è stato pubblica to dalla studiosa Ilia Delizia con 13 Giovanni Di Meglio, Il papa sanguinario, vita di Giovanni XXIII, Edizione Officina Ischitana delle Arti Gafiche, Ischia 2003, pp. 21 – 22. 14 Ernesta Mazzella, L’ “Anonimo” Vincenzo Onorato op.cit., pp. 192, 237. la qualificazione di: “lastra di condottiero”15, ma la foggia dell’a bito si addice più ad un mercante o ad un armatore, anziché ad un con dottiero. Non v’è prova che il de funto sia stato un “condottiero”. Al lato destro del defunto si scorge il capo di un fanciullo. Doveva essere un figlio del defunto, morto in tene ra età, e sepolto insieme al padre. Analogo caso si riscontra in diversi monumenti napoletani, ad esempio la tomba di Guglielmo di Brussaco in San Lorenzo Maggiore in Napo li. L’assetto generale della sepoltura è piuttosto comune nella sepoltura funeraria napoletana del Trecento16; a riscontro si possono richiamare le sepolture di Ludovico e di Ranuccio Dentice in San Domenico Maggiore 15 Ilia Delizia, Ischia l’identità negata, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1987, foto 100. 16 Ernesta Mazzella, Sculture trecentesche nel Castello d’Ischia, in “La Rassegna d’Ischia”, XXI, (2011), 1, pp. 6-10; Idem, Tipi e forme della scultura funeraria a Ischia in età angioina, in “Ricerche Contributi e Memorie”, Centro di Studi d’Ischia, vol. IV, in c.d.s.. (†1349). L’opera è condotta con di screta padronanza tecnica. Della tomba, invece, di Giovanni Cossa, insigne personaggio della nostra Isola, si custodiscono alcuni marmi, come già affermato, i quali insieme ad altri compongono l’at tuale fonte battesimale nella Catte drale di Ischia. Giovanni Cossa nacque nella prima metà del XIV secolo. Fu figlio del celebre Marino Cossa che percorse una brillante carriera al servizio di Roberto d’Angiò. L’Ammirato lo pose tra i “viris maritimae militiae peritissimis et plurium triremium dominis”17. Giovanni Cossa, secondo signo re di Procida, sposò Cicciola Bari le, sorella del Conte di Monderiso, imparentati con il papa Bonifacio IX (Pietro Tomacelli). Ebbe quattro figli: Pietro, conte di Bellante negli Abruzzi, ammiraglio della regina Giovanna II; Gaspare signore d’I schia, ammiraglio pontificio; Bal dassarre eletto papa con il nome di Giovanni XXIII; Marino marescial lo del Regno. Giovanni Cossa nel 1341-1342 ebbe in possesso l’isola di Procida, che era stata venduta al padre nel 1339 da Adenolfo di Pro cida di Salerno figlio ed erede di Giovanni di Procida; il valore an nuo della rendita era di 40 once. Nel 1346-1347 ricevé l’assecuratio dai vassalli per il possesso di Procida e Vivara, essendo morto il padre. Nel 1382 con un privilegio di Giovanna I e poi con uno di Carlo III di Durazzo gli venne confermato un assegno di 40 once. Nel 1384-1385 ottenne da Margherita di Durazzo l’esenzione dal pagamento dell’adoha in quanto signore di Procida, in considerazio ne del fatto che due suoi figli forniti di armi e cavalli servivano in Puglia. La data sicura di morte di Gio vanni Cossa non si conosce. Il De Pietri trascrisse: 134718, Ughelli: 17 Scipione Ammirato, Delle famiglie nobili op. cit., pp. 85 ss. 18 Francesco De Pietri, Dell’Historia napoletana op. cit., pp. 121-123. 138819, il Volpicella 134320 e l’O norato 139721. L’iscrizione registra ta dall’Onorato è la seguente: “tra i miei scritti ho trovato la copia tirata dal suo originale in lettere gotiche: Hic jacet corpus viri magnifici Joannis Cossae ab Iscla militis Prothontini et cetera insulae Prochitae domini, qui obiit Isclae anno Domini MCCCXCVII die IIII Augusti V Indic; cuius anima requiescat in pace amen”22. L’Onorato lascia intendere che nei primi dell’800 il monumento non presentava più l’assetto origina le, in quanto per la tipologia dell’o pera l’iscrizione doveva essere ver gata sulla fronte dell’arca. Del monumento attualmente si conservano tre Virtù e quattro co lonne tortili con capitelli. Il De Pietri nell’Historia napoletana, edita nel 1634, lo registrò: “Nel Duomo d’Ischia in un superbo monumento di marmi sostenuto da colonne leggiamo…”23. L’ubicazione e la forma originaria dell’opera non si conoscono. L’Onorato scrisse che “da sopra la porta maggiore della Cattedrale (dove poi fu costruito l’organo) e cominciando dal pavimento ci era eretto il bello e dispendioso mausoleo di Giovanni Cossa, il di cui tumulo stava sito nel mezzo e al disopra della porta”. In seguito l’urna fu spostata al lato della detta porta su quattro colonne. Sempre l’Onorato ricorda che: “Giovanni su la facciata della sudetta urna stava a bassorilievo ben intagliato e disteso, ma in figura di generale e di giacente e con spatange ben lunga al lato”. Nel 1809 infine fu distrut to a causa del conflitto tra inglesi e 19 Ferdinando Ughelli, Italia Sacra sive de episcopis Italiae, voll. 10, cura et studio di N. Coleti, Venezia 1720, VI, p. 234. 20 Scipione Volpicella, Gite, estr. dall’Albo Artistico Napoletano, pubblicato a cura di Marino Lombardi, Napoli 1853, p. 120. 21 Ernesta Mazzella, L’“Anonimo” Vincenzo Onorato op. cit., p. 237. 22 Idem 23 Francesco De Pietri, Dell’Historia op. cit., pp. 121-123. francesi. Nel 1810 circa per volere dell’arciprete Raffaele Onorato fu rono salvati i pochi resti e riutilizzati per costruire il battistero nella nuova Cattedrale. Nel 2007 è stato oggetto di restauro a cura di Massimiliano Sampaolesi. Il monumento Cossa fu studiato dall’Algranati, la quale riconduce l’opera alla scuola di Tino di Ca maino e scrive: “le tre figurine femminili … ci riconducono senz’altro alle alate figure di Tino di Camaino, poste a sorreggere il sepolcro di Maria di Valois”24. L’Algranati con ferma il giudizio in base alla data di morte del 1346 fornita dal De Pietri. In seguito l’Alparone scrive che “il castellano Giovanni Cossa venne sepolto in una tomba uscita dalla bottega dell’abate Antonio Baboccio da Piperno” evidenziando le forti somiglianze nel panneggio tra le Virtù Cossa e, gli angeli reggicor tina e l’analogia del volto delle Virtù nel monumento Aldomoresco nella chiesa di San Lorenzo Maggiore25. In realtà le Virtù Cossa trovano più strette analogie con le Virtù che costituiscono parte del sepolcro di Giovanna d’Angiò duchessa di Du razzo e di Roberto d’Artois, 13831393 circa, collocato nella chiesa di San Lorenzo Maggiore, degli ultimi decenni del Trecento. Le quattro colonne tortili decorate nelle scanalature da rami fioriti sono coronate da quattro capitelli diversi per grandezza e forma. È probabile che questi provengono da altri mo numenti, e adattati a formare l’at tuale battistero insieme alle restanti parti del monumento Cossa. Solo un capitello di reimpiego potrebbe 24 Gina Algranati, Ischia, I ed. Istituto italiano d’arti grafiche, Bergamo 1930, ed. cons. a cura di Ilia Delizia, Editore Tommaso Marotta, Napoli 1994, p. 79. 25 Giuseppe Alparone, Sculture del Medio Evo ad Ischia, in “Ricerche Contributi e Memorie”, atti relativi agli anni 19441970, Centro di Studi d’Ischia, I ed. 1971, ed. cons. Tipografia A. Cortese, Napoli 1984, pp. 391-397. La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 31 essere del monumento di Giovanni Cossa per la presenza dello stemma della famiglia. Un altro capitello porta su un lato lo stemma Cossa e su di un altro uno stemma diverso non identificabile. Altri due capitelli simili sono di età diversa26. Ringrazio l’arch. Nicola Mattera del Castello Aragonese per avermi con cesso di pubblicare alcune foto. Ernesta Mazzella 26 Questo mio studio è stato esposto nella conferenza dal titolo “Tipi e forme della scultura funeraria a Ischia in età angioina”, svoltasi presso l’Aula Magna della Biblioteca Antoniana d’Ischia, il 22 ottobre 2010, presieduta dal Prof. re Francesco Aceto, ordinario di Storia dell’Arte medievale, presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Cappella, Cripta, Castello Aragonese Capitello con stemma Cossa e altro stemma non identificabile, Cattedrale, Ischia Anonimo scultore, Virtù, Cattedrale, Ischia 32 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 Capitello con stemma Cossa, Cattedrale, Ischia Colligite fragmenta, ne pereant Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia A cura di Agostino Di Lustro Il Convento e la Chiesa di San Domenico di Ischia II Il Seminario d’Ischia iniziò la sua attività nel 1740, fortemente voluto dal vescovo Nicola Antonio Schiaf finati, come egli stesso scrive nella relazione ad limina del 1° dicembre 17411. Poiché il testo della relazione è ancora inedito, mi sembra opportuno trascrivere il passo che si riferisce a questo aspetto della vita della chiesa d’Ischia durante l’episcopato di tale vescovo. A.S.V. Archivio della Congregazione del Concilio Relazione del vescovo d’Ischia fra Nicola Antonio Schiaffinati O.E.S.A. Caput VI: De Seminario Clericorum f. 33 Nullum unquam in hac Diecesi Predecessores Episcopi Seminarium erigere potuerunt. Et quamquam elapsis annis duo parvi conventus suppressi fuerint unus nempe Fratrum Eremitarum S. Augustini in oppido Forigij, et unitus fuerit, sacra ista congregatione approbante, seminario in posterum erigendo, alter videlicet Fratrum Predicatorum in Villa Campaniana, attamen, ut superius exposui uniones prefate suum non sunt sortite effectum, quem ut sortiatur, desideratur Consilium, et authoritas f. 34 EE.PP. Cum ergo initio mei Presulatus deprehenderim Ecclesiasticorum laxam effranatamque vivendi rationem, perditos mores et ignorantiam undique grassantem originem duxise ex quo preterite ordinationes peracte fuerunt sine delectu, sine disciplina, nulloque ad canones respectu habito, existimavi nullo alio potentiori remedio malis istis mederi posse, quam seminarium erigendo, ubi Deo dicata Juventus in recta Ecclesiastica disciplina, ac piis operibus instituetur. Omnem igitur cogitatum in Do1) Il vescovo Nicola Antonio Schiaffinati fece la sua prima visita ad limina nel giugno 1739 ma, forse, non presentò la relazione. Per la seconda visita, effettuata di persona, chiese ai Padri della S. Congregazione del Concilio, come certifica un attestato di Don Gregorio Albani vicario della patriarcale basilica di S. Paolo fuori le Mura di Roma, una dilazione nella presentazione della relazione che presentò, successivamente, il 1° dicembre 1741. minum jactavi, ut media opportuna mihi ministraret pro tam pio opere perficiendo, et intercedente B. M.a V. Boni Consilij factum est, ut suppliciter me petente a S. M. Clemente XII erogationem hereditatis Predecessoris mei2 in erectione novi Seminarij benigne petitis annuit, Quare de summa ducatorum bis mille in qua consistebat spolium predictum; cum consilio Deputatorum ad formam S.C.J. electorum mei3 in hac civitate quandam domum pro ducatis bismille, e tercentum, quorum mille, et centum fuerunt soluti in pecunia numerata, ceteri vero fide habita pro certo tempore solvendi. Alij mille erogati fuere in novo aedificio costruendo, quod nondum est perfectum, quamquam plusquam quator centum ducatos de proprijs redditis subministraverim. Interim vero omnia peregi ad formam Apostolicarum Constitutionum pro nova erectione et taxam confeci pertingentem ad ducatos centum triginta annuos . At concurrentibus quamplurimis Clericis, qui desiderio ardebant in Ecclesiastica disciplina institui, eis pro Seminario adsignavi quoddam Palatium Episco2) Il vescovo Giovanni Maria Capecelatro morì nella villa vesco vile del Cilento in Ischia l’8 dicembre 1738 (C. d’Ambra, Ischia tra cultura e fede, Torre del Greco 1998 p. 75 ). Una memoria sulla sua morte e sulla eredità, si può leggere in: Notai sec. XVIII scheda n. 28 del notar Giovan Carlo Milone di Forio prot. n. 38 ff. nn. dell’anno 1738. Copia della supplica del vescovo Schiaffinati al papa Clemente XII per utilizzare, a beneficio del seminario, l’e redità di Mons. Capecelatro è inserita in un quinterno a parte, tra i fogli 136 e 137 del protocollo n. 28 della scheda notarile n. 161 dei Notai sec. XVIII del notar Orazio Maria Critari di Napoli. Anche il Capitolo, a sua volta, ne inoltrò una simile il 4 settembre 1739, copia della quale è inserita nello stesso quinterno. 3) L’atto di compravendita fu stipulato, come già accennato, dal notar Orazio Maria Critari di Napoli e si trova nello stesso pro tocollo del notar Critari citato nella nota precedente. Fu stipulato nel convento agostiniano di Napoli di S. Agostino alla Zecca tra D. Giovanni Battista Gargiulo e il Padre Baccalaureo Francesco Pirucchetti, agostiniano, procuratore con mandato speciale del ve scovo Nicola Antonio Schiaffinati. Il padre Francesco Pirucchetti per alcuni anni è vissuto nel convento di S. Maria della Scala di Ischia e ha messo ordine nell’archivio del convento, soprattutto nel ricco fondo pergamenaceo. A Lui si devono anche alcune Platee sui beni del convento, oggi conservate nell’Archivio di Stato di Napoli (ASN) nel fondo Corporazioni Religiose Soppresse (CRS). La Platea corrente, conservata nell’Archivio Storico Diocesano di Ischia (ADI) fa continuo riferimento all’ordinamento delle carte dell’archivio effettuato dal Padre Pirucchetti. La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 33 pale satis Commodum, et instructum in vicinia Parochie S. Dominici in quo morarent usque dum Seminarium perficeretur. Eis prefeci Rectorem, Magistrum Grammatice, Lectorem Rhethorice, Philosophie, et Theologie moralis. Numerantur ad presens viginti septem Seminariste qui inibi morantur, et mirum est, quantum in litteris, et scientia Sanctorum in dies proficiant. Cum vero taxa statute cuius solutio nunc completo f. 35 anno fieri incipit non sit sufficiens ad alendos Alumnos, univi Seminario aliquot Beneficia vacatura ad formam S.C.T., et constitutionis S.M. Benedicti XIII que incipit Credite Nobis pro cujus unionis approbatione presens accepi ad pedes Santissimi Patris Benedicti XIV. Non adsunt nunc Alunni nisi redditus majores accrescant, quod brevi spero facturum, sed convictores, qui quotanni respondent ducatos triginta sex, et expensis necessarijs proprio aere suppleo. Recte in Ecclesiastica disciplina instituunt et literis nimis profectu vacant. Festis diebus Cathedrali inserviunt, et in Ecclesia Parochiali S. Dominici provectiones Doctrinam Christianam docent. Pro Seminarij regimine duos deputavi canonicos ad formam Sacri Concilij Tridentini; illudque pluries hebdomada visito, et constitutiones servantj. Il vescovo Schiaffinati, nell’istituire il seminario, non prese alcun provvedimento nei confronti della parroc chia di S. Domenico e delle sue rendite da destinarsi al seminario, come era stato stabilito al momento della soppressione dai decreti della Sacra Congregazione del Concilio nonché da altri interventi successivi. Neanche nella relazione ad limina del successore Felice Amato del 12 aprile 1747 risulta alcun provvedimento in que sto senso. Anzi, a proposito della parrocchia di S. Do menico, il vescovo scrive quanto segue: In villa Campaniana sistit Ecclesia Parochialis de libera collatione sub titulo Sancti Dominici cum domo Parochiali, que olim erat monasterium ordinis Predicatorum, situm intra fines Parochie suburbij Celse, suppresso vigore ultime Bulle, et ab Episcopo tunc temporis ad populi dicte Ville comoditatem, servatis, ipsa Ecclesia fuit consentiente Parocho suburbij Celse ob annualem siti prestandam corresponsionem ducatorum decem per Parochum Sancti Dominici dismembrata, et in Parochiali erecta. Parochus habet annuos redditus ducatorum 40 preter stolam. Est supellectilibus sufficiens, et laudabiliter provisa, et particulares redditus pro fabrica non habet, nisi Parochi curamento laudabiliter4. Ma il seminario, organizzato e avviato con tanto en tusiasmo e tanti sacrifici dal vescovo Schiaffinati, ebbe 4) Cfr. relazione ad limina del vescovo Felice Amato del 12 aprile 1747. 34 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 vita brevissima perché dopo qualche anno fu chiuso. Infatti fra Tommaso de Sio, agostiniano, rettore del se minario, fu costretto a partire per Roma per discolparsi dalle false e ingiuste accuse mosse contro di lui da gli ambienti ostili all’apertura del seminario. Presto si ammalò anche il vescovo Schiaffinati che fu costretto a far ritorno nel suo antico convento di S. Giovanni a Carbonara di Napoli. Qui egli morì il 15 febbraio 17435. Allora il seminario fu chiuso per mancanza di docenti, che avevano interrotto l’insegnamento perché privi di stipendio, e per le molteplici opposizioni che si erano sviluppate intorno alla sua istituzione da varie parti: capitolo, università, confraternite e altre istitu zioni. Queste tristi vicende ci vengono riferite con do vizia di particolari da una lunga pagina della relazione ad limina ancora inedita del vescovo Felce Amato che desidero riportare in questa sede per segnalarla all’at tenzione degli studiosi, anche se riveste una relativa attinenza con la parrocchia di S. Domenico. Archivio Sacra Congregazione del Concilio Relazione ad limina del 12 aprile 1747 di Felice Amato vescovo d’Ischia f. 279 r. Quoad Seminarij verbum opus quidem in qualibet diecesi necessarium, utile, gloriosum si bene fieri potest hic tamen multis ex causis negotium difficile, nam nunquam a principio institutionis in cathedralem tot presidentibus Episcopis extitit, sed anno 1739 secuta morte Presulis fuit electus Antistes Frater Nicolaus Antonius Schiaffinati Ordinis Eremitarum Sancti Augustini, qui Sancto magno desiderio flagrans parum tamen cogitans de sumptibus magis necessariis, et ad excogitati Seminarij fabricam et ad multorum substentationem illud modo esplicando cepit, ut voluit, de mense maij anni 1740 Et ipso Authore vivente, paulatim redeuntibus pueris in domo propria correspondere non valentibus status annuos ducatos 36 pro unoquoque, fame etiam laborantibus, ac ludimagistrjs, et lectoribus hujusmet diecesis non assistentibus ob defectu 0nerarij, terminare cepit mense dicembris 1742 quo tempore, magis aucthis querelis seminaristarum adversus F. Thomam de Sio ejusdem ordinis Santi Augustini a principio deputatum rectorem bene gubernantem, non sic pro pueris facente, et Episcopum illos non audiente. Sive juste, sive iniuste multa querelarum Capita in Sacra Congregatione, ut fertur, exposita fuerunt, quapropter, seminarium relicto, Romam se defendendi causa Rector venit, sicque deficientibus Magistris lectoribus, atque alijs necessarijs pre dolore infirmitate Episcopum gravato. Et Neapolim ducto. ibique mortuo, finem habuit. At ego optans non Seminarij nomen, sed rei, et virtutis mense dicembris 1743 prima vice in hac diocesi ingressun faciens, seminariun sic ut supra descriptum de omni5) Cfr. C. d’Ambra, op. cit. p. 98. bus destitutum repertum ipso bene habendo, omnes discessis Parochos et aliquos de Capitulo, et Clero vocavi mea episcopali sub datum Ischie die 31 mensis januarij 1744 et coram me Congregatione habita super Seminarii negotio, a singulis eorum sensus, et inscriptis, et voce aperientibus impossibilitatem Seminarii accepi. Nonnulli namque parochi assevere, Seminarium non substitisse, quia a principio male, et fraudolenter inceptum, non summa pro eodem absque consilio ab Episcopo Schiaffinati indebite erogatum erat illa eadem quem sui antecessor Episcopus Capicilatro vigore testamenti, et inventarij in ejusdem ingressu facti, ac livelli ducatorum 200 quolibet anno e propria domo perceptorum, reliquit ascendentem ad summam ducatorum 2000 et 46 libram argenti cum dimidio cum alijs bonis mobilibus, omnibus dispositjs partim pro ejus anima, parti pro honestis pauperibus orphanis puellis totius f. 279 v. diecesis, et in majori posse pro argento favore Cathedralis, et post mortem dicti Presulis, que pro capitularibus erant, statim ipsi adimpleverunt, ceteri vero nummi cum argento, ingressu Episcopi Schiaffinati propria authoritate erogati fuerunt in emptione cujusdam domus pro constructione descripti Seminarij, non obstante contrarietate aliquorum de Capitulo, ac U.J.D. Francisci de Martino, et Leonardi de Oro exequutor ultime voluntatis Testatorij pro exequtione ejusdem. Alij vero Parochi ex quo fuerunt, Seminarium non durasse, quia cum diecesis hec sit sita in parvula Insula que de omnibus necessariis pro victu indiger et magno pretio cibaria emantur, ipsum incipiendum erat sufficientibus redditibus, qui alij non fuerunt, nisi sola convintor contributio ducatorum 36, et taxa beneficiorum ascendens ad summam ducatorum 100 difficilis id circo adhuc debita exta ceterique. Parochi predictis rationibus annuentes, dixerunt etiam habitores hujus Insule pauperes existere, exceptis paucissimis Neapolim studij causa pergentibus, non est enim hic qui commode debitas expensa facere valeat, nihilominus aliqui Parentes desiderio, et amore habendi Presbiterum, premerunt se, et filium in Seminario, cogente Episcopo, concluserunt, et subito taliter se angustiaverunt, quo aliqui honorem offenderunt, et aliqui pro sustentandum in Seminario, multi fame in domo laborabant, et quinam bona alieniaverunt, et aliqui ornamenta mulierum pignoraverunt, propterea ab incepto cessarunt, et male educati paulatim ab illo exierunt, et quidam, quia introducti, ordinati taliter fuerunt. Aliqui ex Capitularibus narraverunt quod pro facta favore Seminarij unione beneficiorum hujus diecesi, quorum annualis summa ascendit ad ducatos 260 super chartam, et difficilis exactionis, Assensus Pontificis fuit ab Episcopo dolo impetratus; Episcopus enim Schiaffinati exposuit se eregisse Seminarium prope cathedralem, quod distabat per medium miliare, et quod pejus nullam mentionem fecit de prebenda Canononico Penitentiario assignanda de dictis beneficijsm et de alia facienda pro Canoni- co Theologo in Cathedrali erigendo vigore Bulle clare memorie Benedicti XIII. Denique omnes unanimiter antedictis, alijsque rationibus uniti asseruerunt summa ab Episcopo Capicilatro relicta, fuisse frustra expensa, nam Episcopus habens duo palatia, unum prope Cathedralem, et alterum in suburbio in loco ubi dicitur al Cilento poterat cum assensu Pontificis illud circa cathedralem in Seminarium, servatis tamen debite servandis, et magis pensate erigere, et si locus erat, previa dispensatione totam summam ab Episcopo testatam in emptione annuo rum reddituum applicare, ad hoc ut ex annuali perceptione decursu aliquorum annorum, et adimpleretur voluntas Episcopi Testatoris, et in parte substentaretur Seminarium post decursum annorum sic prudenter f. 280 r. erigendum, quod secus factum fuit; Episcopus enim Schiaffinati audiens tantum sententiam Primicerij Morgioni sub velo Seminarij procurantis lustrum sue domus pro seminario costruendo quandam emit domum per medium miliare a Cathedrali distantem pro summa ducatorum 2.200 sic fraudolenter, ut fertur, appretiata, nam eadem antecedenter a Possessore oblata fuit Francisco Buonocore pro ducatis 1.000, et ab isto oblato pretio ducatorum 800 ut in actis (ut ex epistula sub datum Neapoli I februarij 1745) et pro tali emptione soluti fuerunt in pecunia numerata ducati 1.200 pro reliquis vero ducatis 1.000 Episcopus Schiaffinati absque assensu Apostolico obligavit redditus mense Episcopalis per annum corresponsione ducatorum 40 promittens assensum impetrare et instrumentum ratificare. Quod numquam toto tempore sue vite fecit, quia errore facti contractus apertis oculis cognoviti, et post ejus mortem numquam predicta annualis summa persoluta fuit Patronus empte domus tum ob contractum nullum, tum ob enormissimam lesionem in Ecclesie prejudicium non obstante facta pressione per eosdem contra me apud Judices veritatem favore Ecclesie cognoscentes Et data ab Episcopo Schiaffinati cura de fabrica facienda in dicta domo pro Seminario Primicerio Morgioni hic solum sui commodum, non autem Ecclesie utilitatem querens, statim, et ante omnia demolire fecit pecunia testatoris quandam Turrim vulgo un bel vedere laterale ejusdem domus, que sistebat ante fenestras domus Primicerij impediens sibi lumen, et aspectum civitatis, quamtumvis ipsa Turris vigore appretij empta fuit ducatis 300 inclusis in summa predicta. His et tot alijs rationibus non obstantibus, seminarij ego optans, etsi memoris habebam, quod primus, qui mecum sermonem habuit de male acto Seminario Isclano, et impossibilitate ejusdem, fuit Eminentissimus et Reverendissimus Dominus Cardinalis Spinelli metropolitanus conscius de actis, et de facto recursu, dum Neapolim in principio eram, solus non valens remittere, alia mea hortatoria epistula sub datum de 9 mensis martij 1744 Parochis diecesis directa enixe omnes representates universitatum rogavi, ut pro tanto opere merito laudabile quilibet locus ex duodecim quolibet anno corresponderet summam duLa Rassegna d’Ischia n. 4/2014 35 catorum 60 sic conflante summam ducatorum 720 cum facultate ponendi respective Alumnum ad numerum duodecim promittens ego servatis debite servandis Palatium prope Cathedralem pro Seminario duobus exceptis domunculis pro Episcopi, aliquid plus ultra taxa singulis annis corrispondere, et pueros etiam instruere Responsio in scriptis mihi data presertim ab universitate Terre Forigij fuit ipsos non posse propter univeritatem angustias, de quibus omnibus in hac curia documenta conservantur. Predictis igitur actis, et auditis resolutionibus in scriptis mihi datis tam a parochis quam ab Universitatibus perijt Seminarij nomen, et domus et domus male et imperfecte constructa est pro illis de Gargiulo, Patronis, et beneficia vacate que vigile facte expositionis mea episcopali Illustrissimum, et Reverendissimum Dominum Domini Nostri Datario, credebam, penitentiarie unienda vigore Bulle aliter ut supra provisa fuere. Et fructus Ecclesie quinque mensium, scilicet a die mortis Presulis Schiaffinati usque ad diem f. 280 v. expeditionis Brevis pro capienda possessione, et gratia Sanctissimi Domini Nostri Benedicti XIV ad meas umiles preces donati in subsidium Seminarij, suppliciter exoravi illud desideran, et credens longe prudenter constructu, servatis debite, secondis meis precibus, et ejusdem gratiam mihi liberati fuere ascendentes vere percepti ad summam ducatorum 170 detractis ducatis 68 solutis in Nuntiaturam pro liberalitate illis pro debitis Ecclesie solutis pro portione respective, ac donatis pauperibus debitoribus, ac illis solvere nolentibus ob cautelarum deficientiam de novo a me cum eis favore Ecclesie sic erogatum. Il vescovo Amato, che reggerà la diocesi d’Ischia fino alla morte avvenuta il 22 gennaio 1764 nella vil la episcopale del Cilento6, nelle brevi relazioni del 4 aprile 1750 e 1° novembre 1753 non parla più né del seminario né della parrocchia di S. Domenico, men tre successivamente per ragioni varie effettua la visita ad limina tramite un suo procuratore e chiede di poter dilazionare la presentazione della relazione, cosa che però non effettua mai. Il successore Onofrio Rossi (1764-1775), nella sua relazione del 30 ottobre 1770, parlando del seminario, riferisce sul contributo di 150 ducati erogati a favore di esso dalle varie università6 ma non fa cenno alla par rocchia di S. Domenico. Egli tace sul fatto che il suo predecessore Felice Amato, oltre al contributo delle università, aveva soppresso alcuni benefici semplici e la parrocchia di S. Barbara che si trovava sul castello, e che, d’altre parte, aveva una vita molto stentata perché la sua giurisdizione si estendeva su pochissime per sone, e quella di S. Domenico, come aveva stabilito 6) Cfr. la relazione ad limina del 30 ottobre 1770. 36 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 prima la Congregazione del Concilio al momento della soppressione del convento domenicano e le successive disposizioni sia del sinodo campano che di alcuni ve scovi d’Ischia7. Così la chiesa di S. Domenico diven ne chiesa curata. Già il vescovo Schiaffinati aveva fatto notare ai Padri della Congregazione che la chiesa di S. Domenico si trovava molto decentrata rispetto alla ubicazione delle abitazioni della maggioranza della popolazione affida ta alle cure pastorali dei parroci prima e degli econo mi dopo. Infatti il costante lamento dei parroci di S. Domenico, soprattutto nel corso delle visite pastorali, verte sul fatto che la posizione della chiesa parrocchia le si presenta fortemente decentrata rispetto alla popo lazione e, di conseguenza, causa un grave pregiudizio per l’attività pastorale del parroco. Forse proprio per questo motivo gli atti della visita pastorale effettuata dal pro-vicario capitolare Bartolomeo Mennella nel 1802 ci presentano la chiesa in una situazione statica molto precaria. I tetti sono quasi pericolanti; l’umidità si è propagata per tutta la costruzione ed anche il ta bernacolo, nel quale si conserva l’Eucaristia, è in uno stato deplorevole. Soprattutto in sacrestia videtur omne putridum. Per questo il pro-vicario visitatore ordina perentoriamente che entro tre mesi reficiantur solaria, et demoliantur fabricae dirutae, et cadentia fiant sacra utensilia, altrimenti il SS.mo Sacramento e i sa cramentali siano trasferiti nella chiesa dell’Annunziata di Campagnano. In questo caso il vicario curato dovrà pagare alla chiesa di Campagnano la somma di ducati 20 per la lampada al Sacramento e le altre cose ne cessarie alle celebrazioni parrocchiali. In caso di resi stenza o contravvenzione allo stesso decreto, interdice la chiesa. Questo decreto viene notificato all’economo D. Romualdo Mazzella e affisso alla porta della chiesa perché possa essere conosciuto da tutti8. È da immagi nare che i lavori siano stati eseguiti con sollecitudine, anche se per alcuni anni non abbiamo riscontri docu mentari sullo stato della chiesa. Presto però si verificherà un altro inconveniente che non solo provocherà miseria e morte tra gli abitanti dell’isola d’Ischia, ma una nuova chiusura della chiesa di S. Domenico: l’epidemia di colera nel 1854. Questa si diffonde già nel mese di luglio e subito la chiesa di S. Domenico fu chiusa e adibita ad ospedale per ol tre un anno. Nel corso della visita pastorale effettuata nel 1855, il vescovo Felice Romano benché la chiesa fosse ancora chiusa, volle comunque visitarla e ordinò di rifare la porticina del tabernacolo. Negli atti di que 7) Per le Università dell’Isola d’Ischia ed il Rev.do Seminario di quella città presso il Tribunale Misto, s. n. t. p.14. 8) Cfr. atti della visita pastorale del pro-vicario capitolare Bartolo meo Mennella del 1803, f. 3 v. sta visita, infatti, leggiamo: …. Episcopus…cum suis Convisitatoribus processit ad visitandam Parochialem Ecclesiam sub titulo S. Dominici Ruris Campaniani hujus Civitatis Ischiae, et cum esset ad fores ejusdem Ecclesiae exceptus a Parocho, et suo clero, et accepta a dicto Parocho acqua benedicta, se et omnes astantes aspersit. Et quoniam in dicta Ecclesia est intermissa celebratio Sacrarum functionum, nec adservatur Sanctssima Eucaristia quia ratione ospitatalis domus addictae ad usum xenodochiae jam a mense Julii preteriti anni 1854 est clausa, praeternissis solitis coeremoniis a Pontificali Romano praescriptis statim visitavit altaria, et reliquam ecclesiam . Praescripsit, ut in taberbaculo majoris Altaris fiat januam ut sit actam ad servandam Eucoristiam coetera Altaria laudavit. Voluit autem, ut in dicta Ecclesia Parochiali fiant necessariae reparationes, et intra terminum duorum mensium reponatur Eucaristiae Sacramentum, et iterum administratur in dicta Ecclesia omnia Sacramenta, uti prius, et nisi intra dictum tempus Parochus non restituat Sacras functiones usuj preterito supendetur ab officio sui Parochialis Beneficii. Et tandem praecepit Parocho fieri Inventarium omnium Vasorum, et suppellectilium dictae Parochiae intra terminum mensium, quod hisce Actis S Visitatinis adnecti debeat 9. Maggiore importanza per noi assume la visita pasto rale successiva effettuata dal vescovo Francesco Di Nicola iniziata il 12 novembre 1872 perché ci presenta una dettagliata descrizione della situazione sulla qua le è utile soffermarsi brevemente. Dal punto di vista materiale, la parrocchia non ha altre rendite se non la congrua parrocchiale10, mentre le questue non sono continue se non quelle che si fanno nel mese mariano; altre piccole che servono per le spese che occorrono in qualche semplice festività, e per suffragio delle Anime del Purgatorio, e per la funzione della novena di Natale. Vi sono tre novene: una che precede il dì della Commemorazione dei defunti, oltre la festa dell’Immacolata Concezione e la terza del Santo Natale, e si fanno colle oblazioni dei fedeli e quando queste non bastano supplisce il parroco. Unica processione è, cioè quella della statua della Madonna della Misericordia, che si solennizza nella prima domenica di giugno. La chiesa parrocchiale è servita solo dagli economi D. Crescenzo e D. Giovanni Giuseppe dell’Aquila, essendo la congrua meschina assai depurata da spese necessarie, né le oblazioni dei fedeli possono somministrare tanto, perché sono tenui. Maggiore importanza 9) ADI, Atti della visita pastorale di Felice Romano del 1855, f. 13. 10). In quale anno le rendite di S. Domenico siano state restituite dal seminario alla parrocchia e questa sia stata ripristinata in tutto con un proprio parroco, non è dato sapere dalle fonti documentarie in nostro possesso. però assumono le risposte date dal parroco Pasquale Pilato sulla sua persona e sul suo beneficio. Egli dice di essere parroco di S. Domenico dal 26 marzo 184611. Gli emolumenti che si percepiscono sono giusta la miseria del luogo: per matrimonio carlini 12, per fedi di nascita e pubblicazioni di stato libero carlini 8, per certificato di dispensa e albero genealogico carlini 6, per fede di battesimo carlini 2, per la benedizione funebre grana 25, escluso il Monte di S Maria delle Grazie di Campagnano che paga giusta l’antica consuetudine carlini 7, perché seguita a pagare nell’associazione funebre carlini 2 per ogni sacerdote, ove altri pagano carlini 3. La congrua è di ducati 74, mentre il resto delle entrate ascende complessivamente a ducati 97,60. Il parroco è sempre in parrocchia, anche perché vive nella casa canonica, attaccata alla chiesa e di proprietà della stessa. Tutto ciò che conviene ad un Parroco si pratica nei dì festivi. Nelle domeniche il popolo è poco, perché in quell’ora si celebra la messa in tutte le cappelle ed ognuno cerca di sbrigarsi presto. La parrocchia di S. Domenico non ha feste di lusso, se non il mese Mariano di maggio con in fine la processione della statua della Madonna della Misericordia e questo perderà il suo lustro e concorso, perché disturbato dalla gelosia e falsa divozione di alcuni. La processione del Corpus Domini non si fa perché non vi sono mezzi. Le Ceneri non si benedicono perché nella messa delle ceneri vi è solo il celebrante e il servente. Un quadro, questo, non molto esaltante, ma è solo, per fortuna, una parte di quello più generale. Infatti nella parrocchia tutti frequentano i sacramenti ad eccezione di qualcheduno. Per questo in questa parrocchia non si usa la dispensa delle cartelle pel precetto pasquale perché è raro che lo trascura. Inoltre i matrimoni si celebrano in chiesa giusta le formalità richieste dal Rituale Romano; non si è dato ancora l’esempio che alcuno si sia servito delle sole formalità dello stato civile12. Agostino Di Lustro 11) Atti della visita pastorale di Francesco di Nicola del 1872-73 in ADI. 12) Cfr. atti della visita pastorale citata in ADI. La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 37 "La Lega del bene" - Salvatore Di Giacomo La ristrutturazione del vecchio centro storico nel XIX secolo La Napoli che se ne andò di Bruno J. R. Nicolaus Napoli è stata da sempre una città tanto stupenda quanto difficile da gestire: se ne accorsero presto gli accorti amministratori romani, i quali, a scanso di peg giori guai ed equivoci, preferirono concederle subito la massima autonomia, assieme ad uno statuto speciale ed al permesso di continuare ad usare illimitatamente il greco accanto al latino - lingua ufficiale dell’Impero. Il continuo incremento della popolazione napoletana nel corso dei secoli non fece che aumentare le difficoltà di gestione della città e mise tragicamente in evidenza tutte le carenze socio-economiche e sanitarie. Molto si parlò e discusse e poco o nulla si fece, sia sotto il regime borbonico sia sotto quello sabaudo: in numerevoli furono invece studi e progetti teorici per una ristrutturazione urbanistica - tra l’altro già proget tata da Ferdinando IV, a metà ‘800 e mai realizzata. Nella situazione igienica precaria nella quale volgeva la città, le malattie infettive dilagarono a macchia d’o lio, colpendo inesorabilmente i quartieri più poveri ed affollati: tubercolosi, tifo, paratifo, epatiti di vario tipo divennero endemici falcidiando i più deboli – vecchi, bambini e ragazzi - e furono responsabili di grandi sof ferenze; non c’è da meravigliarsi, quindi, se un altro terribile morbo, che flagellò ripetutamente l’Europa nel XIX secolo – il colera – scoppiasse a Napoli ben quattro volte nel giro di un solo trentennio (nel 1855, 1866, 1873 e 1884). La congestione dei quartieri bas si, l’insufficienza della rete fognaria, la scarsa igiene personale e la scarsezza di acqua potabile, furono ripe tutamente indicati come probabili cause o concause di queste ricorrenti, tristi evenienze e dell’alta mortalità. L’epidemia di colera del 1884 insorse, come spesso accade, all’improvviso: dilagò con rapidità ed estre Epidemia di colera del 1884 ma violenza nei quartieri bassi della città ed in misura minore negli altri. Fu allora, che le autorità cittadine - messe alle strette da stampa e pubblica opinione - fu rono costrette a mettere in atto gl’interventi più urgen ti: la creazione di una rete fognaria efficace; la realizza zione dell’ acquedotto del Serino; lo sventramento e la bonifica dei quartieri bassi; la costruzione di una strada principale dalla stazione centrale al centro cittadino (Rettifilo) e una rete viaria minore ad essa afferente. In quest’ambito si decise anche, seppure a malincuo re, l’abbattimento di numerosi edifici, tra i quali alcuni di grandissimo valore storico, onde far posto al corso Umberto, alle piazze Nicola Amore e Giovanni Bovio (piazza Borsa) e alla Galleria Umberto I1. 1 In realtà alle spalle dei grandi palazzi umbertini la situazione rimase immutata. 38 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 La pianificazione e la realizzazione di queste opere fu tutt’altro che facile: tanti furono gli ostacoli e i tra bocchetti messi di traverso da lobby e partiti, contrari al cambiamento e disponibili solo a soluzioni parziali e di proprio interesse. Molto efficace si rivelò, quindi, l’opera di persuasio ne di alcuni organi di stampa, tra i quali andrebbe ci tata una popolare rivista settimanale - LA LEGA DEL BENE - edita a Napoli ed in vendita in tutto il Regno al prezzo di centesimi 5: così proponeva - la Lega - in prima pagina, i suoi nobili ed encomiabili scopi: «Nel nostro paese sono partiti come tutti gli altri. Essi si combattono ora con maggiore ora con minore ferocia, sempre con pari slealtà. Ma v’è un terreno comune sul quale s’intendono sempre i caporioni di questi partiti, ed è il terreno dell’affare. Allora tu li vedi, l’occhio scintillante, le labbra tumide, la fronte increspata, il volto spietato. Manca loro un coltello fra i denti per parere omicidi. Contro questa lega del male molti vorrebbero che offrissero un asilo le leggi, altri l’Autorità politica, altri la solerzia del Magistrato, altri novelli freni meno politici e più morali. Per me, credo che a schiacciare le cento teste di questa lega del male, basterebbe il raccogliere insieme tutti i galantuomini in una Lega del Bene». Salvatore Di Giacomo – uno dei napoletani più brillanti a cavallo del XIX-XX secolo - collaborò at tivamente alla Lega: egli così si esprimeva in un suo memorabile articolo sulla ristrutturazione del vecchio centro storico, del quale si riproduce un estratto2: La Napoli che se ne andrà La Galleria Santa Brigida «A proposito di santa Brigida […] diamo un’occhiata alla zona, che la galleria verrà a bonificare». Vico Rotto S. Carlo Il primo, che s’incontra a destra, lungo la via Roma, camminando da S.Ferdinando verso la strada S. Brigi da, è il Vico Rotto S. Carlo, vico molto recente, molto sporco, molto oscuro di sera, con alcune orizzontali in fondo, a primo piano, con un caffè e alcune canove fre quentate da persone all’apparenza equivoche, con uno dei fianchi del trapezoidale palazzo Cirella che ne for ma uno dei lati e, perché senza botteghe, salvo sei verso Toledo, ne aumenta l’oscurità; con una caciolia, Donna Rosina, nella prima delle botteghe, di cui la merce più appariscente sono le provole; e una cantina speciale, con un'esposizione di secolari aranci fenomenalmente 2 Salvatore Di Giacomo: La Napoli che se ne andrà – La Galleria di Santa Brigida in “ La lega del bene”, anno I, n. 29 (1886) pp.3-5. grossi nella vetrina, e un cameriere, non meno speciale per l’eterno sonno che lo fa parlare senza conchiudere e sentire senza intendere: una cantina che ha una sto ria e che è la nota cantina di Salvatore, tanto nota a quella borghesia notturna napoletana che non ama fare un'operazione col credito fondiario prima di andare a cenare al Caffè di Europa, o di assistere al Gran Caffè allo spettacolo del biondo uomo del corso pubblico con una forchetta dimenticata in bocca e un pezzo di carne fra i denti, abbandonato completamente nelle braccia di Morfeo, col rischio di trovarsi diventato, sveglian dosi, un autentico uomo della forchetta. Al n°6 abita una sorella di Florenzano […] Al n°8 vi è una donna Giovannina, che è sola, sola, come nella canzone tarantina; ma che viceversa poi, formando come il nucleo di un esercito, trovasi in gra do, dal primo all’ultimo piano, di soddisfare ai giusti desideri di avanscoperta di un intero reggimento di cavalleria. Nel caffè sottoposto, che ho accennato, si giuocava fino a iersera a giuochi leciti, secondo il per messo, e forse, senza permesso, anche agli illeciti: ora gli è stato tolto anche il lecito dalla Questura. Al n°11 abita il noto pittore de Falco. In fondo al vico, è il muro, con le relative predette orizzontali al n°22 1°piano e una cambia moneta di rimpetto nella via che non le lascia desiderare - par lo della parte plastica, perché per i costumi la cambia moneta è certamente una onesta donna - tanto più che la guarda costantemente con occhio de suonno, nire, appassiunate, un simpatico, giovine, e robusto Cerbe ro, che potrebbe anche avariarmi le costole, se il notaio Scotti Ugo, suo vicino e che non ha pagato ancora l’ab bonamento alla Lega, gli desse a leggere la medesima. Le orizzontali sono 3 e le dirige Clementina Alfano. Il Vico Rotto S. Carlo non può essere, per la sua stes sa denominazione, anteriore al 1737. Le Guide del 1690 mostrano, che esso non esistesse in quell’epoca né dalla parte di Toledo, né dalla parte della Strada che anche allora conduceva, senza chiamarsi di S. Carlo, dalla Piazza del Palazzo Vecchio, oggi Largo di Palaz zo, alla vasta Piazza del Castello, in seguito Largo del Castello, oggi Piazza Municipio. Vico della Cagliandese Arrivati al muro, che sembra ostruire il Vico Rotto S. Carlo, questo volge obliquamente – veramente rotto – a destra e sbocca nella Strada S. Carlo; e continua a sinistra nel Vico della Cagliandese, dove un portonci no, n°12, con scaletta di marmo, conduce ad un tempio al 1°piano, ufficiato da 5 vestali, sotto la guida della somma sacerdotessa Maria Ferrara. In questo vico vi è una cantina, come ve ne sono nei due, che esso unisce, cioè nel Vico Rotto e nel Vico delle Campane. Nel 1669 vi era anche una cantina alla Cagliandese. La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 39 È uno dei 20 quartieri, in cui era divisa la città per la vendita del vino al minuto, che allora si dava in appal to, era detto il Quartiere della Cagliandese, e conte neva le seguenti cantine e taverne come rilevatosi da un bando del marchese di Crispano regio consigliere delegato […] Il Capasso, nel suo libro Sulla circoscrizione civile ed ecclesiastica ecc. ritiene che la taverna della Caglian dese del XVI secolo fosse dov’è oggi il Vico Rotto S. Carlo. Ci troveremmo dunque nella trattoria di Salva tore: la trattoria, che non ha bisogno né di Salvatore né di Trattoria, e solo dell’indicazione del luogo per essere specificata. - Dove andiamo a cenare? - Al Vico Rotto; e si comprende che, di tutte le mezze trattorie e canove del Vico Rotto, non si parla che della trattoria di Sal vatore. Vico delle Campane Si chiamava così per un'antica fonderia di campa ne, che vi era ancora nel 1690: il che dimostra, che in origine il luogo sorse per tutto, fuorché per essere, come oggi, di ricreazione ai nottambuli di tutte le clas si della sezione S. Ferdinando. All’angolo verso Tole do, ha esso infatti la Trattoria de’ Giardini di Torino, nel piano più matto che sia mai stato schiacciato da un primo piano nobile: trattoria stabilita dopo il 1860: coll’ostricaro giù, dirimpetto al portone di entrata, col suo elegante banco di marmo e le sue arselle che ne coprono la superficie superiore. Più giù a sinistra, la nota Antica pizzeria col suo ban co di marmo, e le sue stanze da mangiare, di rimpetto, a destra. Un po’ più giù, una cappella – con una finestra accanto munita d’inferriata: finestra che fa da campani le – raccoglie la sera i fedeli. È la cappella di S. Anna. Viene poi il Vico della Cagliandese, che apre la co municazione col Vico Rotto. All’angolo con esso, al n°58, con balconi che affacciano nello stesso Vico delle Campane e in quello della Cagliandese, un’altra cappella a primo piano con 4 suore, diretta dalla priora Teresa de Santis, fa una concorrenza notturna spietata alla vicina cappella di S. Anna. Le due campanelle an nunciano a martello dalla finestra circa due ore di notte la benedizione; e nell’altra cappella, dove si penetra dal portoncino n°58 e si ascende comodamente per la marmorea scalinata, si benedice Domino in laetitia. Pare che nel secolo scorso il Vico delle Campane ed il Vico Rotto ospitassero come oggi le stesse clausu re. Nel popolo napoletano vive, in fatti, ancora una sconcia tradizione: che la regina Maria Carolina e la marchesa di San Marco facessero scommessa a chi guadagnerebbe di più, esponendo la propria bellezza all’uso degli avventori d’uno di quei templi afrodisia 40 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 ci: sconosciuta l’una e l’altra, aggiungesi il particolare, che la regina guadagnasse nella serata 18 ducati e la marchesa 16. Il fatto, dopo aver vissuto un secolo nei discorsi del trivio, fu raccolto da uno storico francese e da uno paesano, e se esso non è vero, rivela il concetto in cui la amica di Emma Liona e la sua corte erano tenute dal popolo di Napoli. Più giù vi è una stalla di vacche, e più giù ancora un vicoletto cieco, che è chiamato da tutti, come con nome proprio, Il vico che non spunta, privo di tabella. In questo vico continua la numerazione del Vico delle Campane, e al numero su mattone nuovo marmoreo segnato 43, infilando un pulito portoncino, per scala di marmo, si passa in un primo piano, che con le sue per siane verdi semichiuse affaccia da questa parte e dalla parte del Vico delle Campane, per lasciar vedere e non vedere, attraverso le grate della clausura, 5 monachel le, che obbediscono al pastorale abbaziale di Maria Cuomo. Poco più giù, al n°38, abitava in casa propria il de Bourcard, nipote del maresciallo di Ferdinando IV Emanuele de Bourcard, che fece le due campagne di Roma del1798 e del 1800, e a cagione del quale il generale Mcdonald scrisse a Mack le male parole, che noi pubblicammo nel n°28 della Lega. Francesco de Bourcard, che possedeva la casa al n°38, era il compilatore dell’opera illustrata Napoli e contorni. Aveva una buona biblioteca di cose napole tane al piano matto, mentre egli abitava al primo. Il Cafiero, che amava reclutare i più competenti per il suo giornale, gli fece scrivere articoli sugli edifici di Napo li; e il de Bourcard descrisse il palazzo di Donn’Anna ed alcun altro monumento nel Corriere del Mattino. Egli è morto l’anno scorso: questo uomo aveva un idea fissa che ne rivelava l’animo nobile: purgare l’avo di quel malaugurato proclama del 1798, nel quale pro metteva di uccidere un prigioniero francese per ogni colpo che avrebbe tirato Castel S. Angelo. Il Vico delle Campane continua fra canove e taverne, fin dove si chiamava Largo del Castello e poi Piazza Municipio, lasciandosi sulla sinistra il Nuovo Vico III S. Brigida (già Piazza Municipio). Quant’è bello quel vico sostituito ad una piazza! Bo nificamento alla rovescia! Vico S. Antonio Abbate Il Vico S. Antonio Abbate non è il vico delle taverne, delle cantine e dei caffè di ultimo ordine, come il Vico Rotto S. Carlo e il Vico delle Campane – che sono stati sempre tali, anche a tempo dei Borboni. In compenso però è sporco, più privo di luce, e di livello disugua le. Appena entratovi da Toledo, sulla mano destra, dal portone n°49 si sale ad un primo piano, dove 5 ciprigne riconoscono come maestra, nella pratica dei sacrifici, Carolina Petito. Anticamente questo vico era abitato da fabbricanti di polvere da sparo. Nel 1690 essi non vi erano più, ma il luogo si chiamava ancora Vico dei polveristi. Anche questo prova, che la zona fra S. Carlo, Toledo e S. Bri gida, non venne su come dipendenza, in certo modo, del vicino regio palazzo, ma come una specie di borgo del non lontano castello e delle sue caserme. Qualche gran guaio dovette mutare il nome di Polveristi in quel lo di S. Antonio Abbate; del resto, i due nomi indicano semplicemente un protetto e un protettore. Oggi, più che dei Polveristi o di S. Antonio, potrebbe chiamarsi Vico della Venere Pandemia, perché a sinistra, verso lo sbocco nel Vico III S. Brigida, dal portone n°23 per una scaletta si sale ad un Parnaso, dove 4 muse cir condano un Apollo in gonnella che si chiama Caterina Ventriglia. E per premunirsi dallo scandalo di queste abitatrici dell’ignobile Elicona, gli abitanti del 1°piano nel palazzo di rincontro han dovuto elevare un para vento di latta all’angolo del balcone. Mentre i poeti della prosa salgono d’ora in ora sul Parnaso, un bottaio fa pacificamente il suo mestiere, giù all’angolo. Vichi di S. Brigida Quasi a metà della sua lunghezza, il Vico S. Anto nio Abbate riceve a sinistra i più graditi effluvi dallo sbocco in esso del Vico I S. Brigida: noto ad ogni buon napoletano come un vico tutto assorbito in una latrina […] È il solo sfogo, dal lato destro, di questa strada: uno sfogo imperiale; uno sfogo dei tempi di Vespasia no; né ha altra apertura sul suo lato destro la larga via che prende il nome dalla santa svedese. Sicché, a quel la altezza, al comando: a destra riga, un povero soldato non troverebbe altra guida sulla quale allinearsi, che l’enorme e anche ai ciechi di Caravaggio visibile, latri na […] Ed in fatti, ai miei tempi – tempi barbari – tutti e tre i vichi: Campane, S. Antonio e II S. Brigida sboc cavano in quella larga spianata, che era il Largo del Castello, che i tempi civili chiamarono Piazza Municipio, e che poi, sotto il consolato Giura-Alvino, divenne arena di misfatti, l’uno dei quali grida ancora vendetta al trono dell’Altissimo: parlo del misfatto Capone. Il misfatto edilizio Capone gettato a qualche metro di distanza dagli sbocchi dei tre vichi, dei due ultimi spe cialmente, toglie loro aria e luce. Il delitto è rubricato dalla tabella: un vico, e stretto, soggetto alle inonda zioni notturne, boulevard delle vicine sacerdotesse del luridume, sostituito ad una spianata, di cui solo Corfù aveva l’eguale. La Piazzetta di porto a tre ore di notte, trapiantata nel centro di Napoli civile! […] Vuol dire, che col tempo, il rione S. Brigida, in vece di migliorare ha sempre peggiorato. Disponendo si bellamente verso Toledo con belli palazzi, che, con temporaneamente toglievano aria e luce a tutto ciò che essi si rimanevano indietro». Francesco de Bourcard: Usi e costumi di Napoli e contorni Figlio di Gaetano Rodolfo (secondogenito maschio di don Emanuele de Bourcard, Capitano generale na poletano) e di Clementina Viglia, Francesco nasceva il 23 Marzo 1821, alla Riviera di Chiaia, nel palazzo di famiglia situato al numero civico 168 - accanto al palazzo del Duca di Caivano - prospiciente alla Villa Reale e alla lunga spiaggia, che si estendeva dalla Tor retta a Palazzo Sirignano e poi al Castel dell’Ovo, ga rantendo libero accesso allo splendido, pescosissimo mare1. È sempre stata una delle vie più belle e salubri della città, la Riviera di Chiaia, tutta aria e sole con un’incantevole vista sul golfo: così vicina alla riva e senza protezioni, da poter essere perfino inondata dal mare in tempesta: attorno al XVI secolo – si raccon ta - una gigantesca onda anomala proveniente dalle bocche di Capri (un vero tsunami) superò il litorale raggiungendo la piazzetta, che si trova parecchi metri più in alto e che oggi si chiama piazza dei Martiri. Dopo questi disastri, un’ampia fetta di terra tra il 1 Nell’ambito dei lavori di ristrutturazione della città, la spiaggia ed una lunga fetta di mare furono ricoperti di sassi frammisti a terra (grande colmata) sulla quale fu indi costruita la via Caracciolo attuale. La Riviera di Chiaia nella prima metà dell'800 mare e la filiera di case della riviera fu ricoperta di alberi e piante: in mezzo alla sabbia, saltò fuori, come d’incanto, una macchia di verde stretta e lunga; una piccola oasi, che avrebbe fatto da scudo alla furia dei flutti. Alla fine del parco, nei pressi di Mergellina si trova tuttora un edificio alto e stretto, tutto tinto di La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 41 bianco chiamato Torretta. Fu costruito a causa dei tur chi – si dice - che allora venivano a frotte a fare bottino di oro e di donne, sbarcando di notte su di una spiaggia del tutto indifesa. Costruita apposta per fare da guardia alla Riviera, la Torretta avrebbe meritato un nome più serio, un nome che incutesse rispetto; ma il suo pacifico aspetto scon sigliò ogni cambiamento e qualsiasi epico nome: Torretta va bene – si disse – e Torretta fino ad oggi restò. Anche Palazzo Caravita di Sirignano, all’altro capo della riviera, ha due belle torrette sul tetto: torre di vedetta, si chiama pomposamente quella sul lato orienta le. Perché tante torri, in una tanto pacifica via? Colpa dei turchi, ovviamente. D’accordo, seppure resterebbe da dimostrare, se queste torri e torrette veramente ten nero a bada i pirati: erano solo dei turchi sprovvisti, che arrivavano costeggiando la riva orientale del gol fo, mentre, tanti secoli addietro, c’erano ben più feroci La Torretta etruschi e fenici, a calare dal nord a ridosso di Procida ed Ischia, doppiando Capo Miseno2. *** Francesco de Bourcard, da sempre intimamente le gato all’anima partenopea, ebbe il gran merito di saper cogliere le sfumature più tenui della cultura locale e di descriverne con rara sensibilità pregi e difetti. Quando scriveva della città, sembrava che egli parlasse, reci tasse e cantasse allo stesso momento; con gran finezza e fantasia tratteggiava quanto vedeva e ascoltava, tutto quanto sentiva: le tantissime strade e stradine; il labi rinto di vie, viuzze, vialoni, viottoli e vicoli; le rampe, salite e discese; le innumerevoli chiese, le statue, gli affreschi e i monumenti; i palazzi e i più umili bassi; le canzoni più melodiose; il cielo, la luna, le stelle, il sole ed il mare ovviamente assieme all’alba e al tramonto. 2 Da Wikipedia: «Palazzo Caravita di Sirignano fu il primo edificio ad essere eretto alla Riviera di Chiaia nel XVI secolo, per desiderio del marchese Alarçon, generale spagnolo; a quel periodo risale la sua parte più antica, la torre di vedetta all’angolo orientale. 42 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 Nei periodici articoli e nelle memorie, si sente il bat tito del cuore ed il fremito dell’anima sua: ci metteva l’anima - Francesco - quando scriveva. Rileggendo i suoi scritti, ti accorgi che sono dei variopinti quadretti, dipinti con parole melodiose come canzoni invece che con i colori: ti riportano addietro nel tempo, a un'epo ca e ad una società scomparse per sempre. Francesco provava un amore profondo e sincero per la città natale ed i suoi abitanti, sentimento che traspare tra le sue righe. Nel prologo al suo splendido libro, così descri veva la sua città ed i napoletani3: «… in Napoli il cielo è quasi sempre puro e sereno: l’aria vi è salubre e libera, e non vi si sentono mai gli estremi del caldo e del freddo: nulla si può immaginare di più delizioso quanto una bella giornata d’inverno a Napoli. Questo sito, in cui la natura fa mostra di tutte le sue bellezze, questo cielo che ha una sembianza sì ridente ed una quasi perpetua dolcezza di stagioni, questi elementi diciamo così docili, che espongono gli abitanti a minori bisogni della vita, se non sempre formano le anime forti e pazienti, danno però grande energia al cuore, ed eccitano una felice illusione alle facoltà dell’anima. Sembra che qui più che altrove si creino gli ingegni per la musica, la pittura, la poesia… L'origine di Napoli è così antica che si perde nella oscurità delle favole della più remota età. Tutta l’antichità è di accordo che una Sirena detta Partenope avesse edificato su questo lido una città dandole il suo nome…Napoli (città nuova) fu così detta, per quanto si crede, allorché venne la colonia Ateniese… e quindi prevalse il nome di Napoli… e nell’antichità non viene conosciuta che come città greca…». «…Le strade di Napoli, oltre all’essere in gran parte irregolari, anguste e senza proporzione con l’altezza degli edifici, non sono tutte ben livellate con un dolce pendio…fra strade, vie, vichi, vicoletti, larghi, salite, calate, rampe, sopportici, fondaci, se ne contano più che 1400… nel 1792 furono la prima volta messe su’ cantoni delle strade le iscrizioni dei loro nomi e si affissero i numeri a tutte le porte… La illuminazione notturna cominciò a Napoli nel 1806. Prima la divozione suppliva al difetto di polizia, giacché per tutti gli angoli di strade si vedono immagini della Vergine o dei Santi con fanali mantenuti accesi dalla pietà dei complateari: i fanali pubblici che illuminano la città sono più di 1925 e le principali strade sono tutte illuminate a gas… Si può dire che a Napoli vi siano quasi tutte le arti e manifatture e che molte di esse siano in stato florido… per la sua situazione, per la sua popolazione e per le 3 Francesco de Bourcard, Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti, Napoli, 1866 sue ricchezze, Napoli, potrebbe esercitare il più florido commercio… In Napoli, come quasi per tutta l’Europa, si possono fare tre distinzioni di classi, cioè di nobiltà, di ceto medio e di plebe; distinzioni oggi meno notabili che in altri tempi… Gli abitanti di Napoli, che vivono sotto un clima salubre e ridente, che ritraggono da un feracissimo terreno i prodotti più opportuni alla vita umana, sono dediti naturalmente a festive allegrezze, e molti disposti e corrivi alla pigrizia e alla mollezza…mostrano grande golosità… e la qualità più spiccata di essere portati al fracassio: va di leggieri in collera e di leggieri si calma…parla ad alta voce, è curioso, vuol decidere di tutto…la spensieratezza è un’altra qualità, la quale più che dal clima deriva dalla facilità della sussistenza e degli impieghi… sono pure vivi, ciarlieri, gesticolatori all’eccesso. Le danze, i canti, i suoni formano un gusto continuo e generale… Il dialetto del popolo napoletano vien creduto goffo da quelli che non l’hanno né esaminato né compreso… l’ingenita allegria e la ridente natura…han creato un linguaggio scherzevole e buffonesco, ma nello stesso tempo pieno di immagini, di grazie, di bei concetti. Di sali e di proverbi… Napoli fu anticamente celebre per le scienze e per le belle lettere… se nelle altre belle arti vari paesi d’Italia possono pretendere il primato, nella musica nessuno può contendere con Napoli…». *** La popolazione del quartiere di Chiaia era fatta di pescatori e gente di mare; gente semplice, avvezza fin dall’infanzia, a passare la giornata ignuda dentro l’acqua - elemento prediletto dal quale nessuno riusciva a cavarli: i signori, invece, quelli veri, quelli che da vano agli occhi - per le scarpe a punta, gli abiti ricer cati ed i cocchi sfarzosi - venivano alla Riviera a fare villeggiatura o, in altre parole, a fare quattro passi e a rifornirsi di pesce fresco. Si riconoscevano da lontano le carrozze fregiate sui lati con gli stemmi variopinti delle casate; arrivavano in una nuvola di polvere cigo lando e strisciando sull’arena con un sibilo strano, op pure sobbalzando con un tonfo sordo sul duro selciato: subito accorrevano le popolane vociando; arrivavano in frotte correndo e vantando a gran voce le qualità del proprio pescato4. Pesce di tutte le razze, grandezze, forme e colori: un limite non c’era alla pesca, essen do il mare tanto pescoso da soddisfare i bisogni delle famiglie. Non avevano vita grama i pescatori a quei tempi, raccontava Nicola Maresca nella commedia La 4 Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, Adelphi Edizioni 1993. Milla: descriveva argutamente la vita e le loro fatiche; i litigi, le frodi frequenti alla gabella; i piccoli furti di affamati garzoni ad avidi e tirchi padroni. Da secoli, l’esistenza proseguiva tranquilla sul litorale, finché, un giorno, Ferdinando IV non prese una storica decisio ne: il 9 Giugno 1778, emise un decreto reale e diede un colpo di spugna a quel vecchio, stupendo e pacifico sito: annunciò la creazione di un nuovissimo, unico ed aristocratico Real Passeggio di Chiaia. A tambur battente, l’architetto di corte, Vanvitelli – nipote del più famoso costruttore della Reggia di Caserta - dise gnò, una pianta della neo Villa, formata di cinque viali spaziosi. Incuranti delle usuali lentezze burocratiche e senza tanti complimenti furono espropriati i suoli occorrenti: la dogana fu trasferita poco lontano, men tre il casino degli Invitti veniva raso al suolo; i lava toi delle donne furono rimossi nonostante le loro urla ed il rischio di un’ insurrezione violenta, l’amatissima Cappelletta di don Rocco, infine, fu demolita fino alla base. Un’intera brigata di giardinieri provetti spuntò fuori dal nulla: come d’incanto, furono piantate decine e decine di tigli con viti intrecciate, mentre dalla sera alla mattina spuntavano gli alberi nuovi, molti dei qua li di altissimo fusto. Ai lati dello stupendo cancello di ferro battuto, messo di guardia all’entrata, tutto ornato di borchie d’ottone lucente, qualcuno piazzò due gros si casini di ruvida pietra: pieni di botteghe, terrazze e cantine da appaltare ai migliori offerenti, onde instal lare servizi di bar e trattoria; di bigliardo e sorbette ria, di bottiglieria ed altra galanteria. L’intenzione del costruttore nobilissima era: servire solo gente civile. La villa fu dichiarata sito reale: l’entrata permessa di giorno e di notte solo a persone decentemente vestite; severamente proibita alle genti di livrea, ai poveri, agli scalzi ed impropriamente vestiti. Presso popolo e popolino, grande fu il successo di questa nobile impresa reale: subito ben accetta e af follata di bellissima gente, desiderosa solamente di mettersi in mostra. Evviva la vanità. Nei decenni che seguirono, la Villa reale fu ampliata fino alle attuali dimensioni, perdendo dopo la cacciata dei Borbone e la riunificazione del Regno, le caratteristiche ufficiali di sito reale. Dopo l’ultima guerra, rivolgendosi al po polo in un famoso discorso, Benedetto Croce si chie deva, cosa significasse quest’opera per i Napoletani; che cosa per noi italiani. Molto istruttiva, seppure un po’ deludente, fu la con clusione del sommo Maestro, che invece di rispondere direttamente, propose la paginetta di un libretto assai popolare in Germania, nel 1892, dove una borghesuc cia berlinese in visita turistica a Napoli, così descrive va la Villa al tramonto: «Più tardi il giardino s’illuminò con cento e cento La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 43 Real passeggio di Chiaia a fine '700 fiammelle di gas. Le piante sono vere piante, non di zinco dipinte di verde! Il mare mormora giù presso il giardino; le onde accompagnano la musica, e, cessata questa, continuano a divertirsi da sole, come fa la gente. In mezzo al giardino si eleva un magnifico edificio bianco, le cui mura sono rischiarate dalle fiammelle di gas. Esso sta serio e silenzioso, come qualcosa di straniero, in mezzo a quel rumore, allo stridore delle ruote, al vocio degli uomini, alle melodie dell’orchestra. E straniero è in effetti :è la stazione zoologica, fondata dal Dr. Dohrn di Stettino, per il quale l’Impero germanico contribuì con centomila marchi e l’Accademia di Berlino fece costruire un piccolo vaporetto, atto alla pesca degli animali marini. Altri Stati vi concorsero, ma la stazione, tuttavia, è tedesca: quantunque offra opportunità di lavoro ai naturalisti di tutte le nazioni, un tedesco l’ha fondata, e perciò essa è tedesca. Il mio Carlo disse: ”Folleggia pure, o Napoli; gioisci a tua posta! In mezzo a tutto questo tumulto, nel più bel punto di Napoli, la Germania ha eretto un tempio alla Scienza: e ciò mi rallegra più di tutto onde tu vai superba. Perché? Perché l’onore della mia patria è il mio onore». Quando queste frasi gloriose furono scritte, nel 1892, noi e gli altri europei, ancora ignari della posta in gio co, continuavamo a trastullarci nel quotidiano, mentre era già in pectore una sanguinosa guerra mondiale con questa gente! *** Benedetto Croce studiò a fondo le opere di Francesco de Bourcard, lodandole spesso; in una nota dive nuta famosa, egli così proseguiva: 44 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 «“Usi e costumi…” sono un magnifico libro, che mi meraviglio di non veder lodato e celebrato e ricercato come si dovrebbe, e che forse adesso comincerà a svegliare attorno a sé questi meritati sentimenti, adesso che, come tanti altri libri, - dopo la rarefazione bibliopolica prodotta dalla guerra, - è diventato prezioso e quasi introvabile5. Contiene cento disegni acquerellati, di cui ben quarantasette sono di Filippo Palizzi, ventisei del Duclère e gli altri incisi per la maggior parte da Francesco Pisanti; e cento scritti illustrativi, composti da…” “E chi era Francesco de Bourcard? Un oriundo svizzero, nipote del maresciallo Emanuele de Bourcard, capitano generale del regno di Napoli… Il nipote, come accade nelle famiglie forestiere che si stabiliscono presso di noi, presto trasformate dall’ambiente, era del tutto napoletano di sentimenti e di abitudini, e amatore altresì della storia patria, collezionista di libri e manoscritti e documenti. Morì nel 1886 nel suo appartamento di vico alle Campane…” “… Il libro si cominciò a pubblicare nel 1847 e richiese per essere condotto a fine quasi venti anni, durante i quali solo la perseverante fermezza del suo compilatore poté vincere le difficoltà che venivano dall’indisciplina dei compilatori, artisti e letterati. Il libro attraversò le rivoluzioni del 1848-47 e del 185960,e giunse a compimento nel giugno del 1866. Si possono curiosamente osservare, in alcuni punti di esso, i segni dei rivolgimenti accaduti…” “… Oggi nel guardare le figure disegnate pel libro dal Palizzi e dagli altri artisti, par di vedere una Na5 Benedetto Croce, Nuove curiosità storiche, Riccardo Ricciardi Editore, Napoli 1922 poli fantasticamente travestita, una Napoli che più non esiste, ma della quale gli uomini della mia generazione ricordano molti aspetti, nella loro fanciullezza, ancora superstiti: la Napoli degli ultimi anni dei Borbone…” “… Che se poi si desiderasse di pascere anche gli orecchi, consiglierei (mi si consenta la disgressione) di recarsi alla Biblioteca Nazionale, nella sala dei manoscritti…un vocio assordante sale da quelle pagine: i gridi della più varia intonazione, modulazione e acutezza vi s’incrociano e si soverchiano l’un l’altro… sono centinaia e centinaia di simili voci, che sembrano compiere con l’opera del fonografo il cinematografo offerto dal de Bourcard…” *** Francesco de Bourcard condusse una vita ritirata, dedicata allo studio; egli divideva il suo tempo tra biblioteche ed archivi storici, tra chiese, esposizioni e monumenti: i suoi articoli e le tante pubblicazioni trovavano sempre ampio spazio nella stampa cittadi na. Non coltivò grandi amicizie – il de Bourcard – e poco si sa della sua vita privata, mentre era nota la sua passione per libri e manoscritti antichi, che era solito acquistare a qualsiasi prezzo: con l’andare degli anni e raccogliendo a destra e manca, aveva messo insieme una biblioteca privata ricca di rarissimi testi. Avvici nandosi alla fine, egli tentò ripetutamente di cedere l’intera collezione al Comune di Napoli - a prezzo di favore e con il solo obbligo di non disperderla: non ebbe successo e così passò gli ultimi tempi della sua vita nel terrore che i suoi amati libri divenissero preda di sciacalli avidi e ignoranti; cosa che avvenne come temuto6. Lasciata la lussuosa casa paterna alla Riviera di Chiaia, Francesco era andato ad abitare assieme al fratello nel centro storico della città, al numero civico 38 del vico delle Campane, situato in una delle zone caratteristiche ma più decrepite della città - quella tra via Toledo, piazza Municipio e Santa Brigida, più o meno sul sito dell’odierna Galleria Vittorio Emanuele, la quale non esisteva ancora, a quel tempo. Un anti quato quartiere - quello delle Campane - tra i primi ad essere demolito durante la ristrutturazione edilizia di fine ‘800 - così ricordata da Salvatore Di Giacomo “il vico delle Campane, il vico Rotto San Carlo e il vico Sant’Antonio Abate, questi tre cancerosi budelli che sono stati i primi ad essere strappati dalle viscere napoletane “. 6 Salvatore Di Giacomo (1860 –1934) è stato poeta, drammaturgo e saggista; autore di molte poesie di gran successo in dialetto napoletano - molte delle quali poi musicate: Scritti inediti e rari a cura di Costantino del Franco, Ente Provinciale per il Turismo Napoli 1961, p.135 Corriere di Napoli, 2-3 ottobre 1888. Una residenza senza pretese, bohémien - quella di vico Campane - sufficiente per chi non ha tante pretese e coltiva il gusto della semplicità: notevole il vantag gio di essere in pieno centro, ad un tiro di schioppo dal Museo e dalla redazione del Corriere, al quale Francesco dedicò l’intera esistenza: “… In qualunque più lurida stradicciola napoletana, il pezzetto di terrazza che la luna bacia, nelle notti serene, è sempre una gran gioia dolcemente assaporata, e tra’ i vasi di ruta e maggiorana, davanti al parapetto alto, su cui la serva mette a seccare delle fette di melanzane, al mite lume lunare, ogni buon napoletano si sente un Tibullo, e nella più tranquilla soddisfazione segue, con l’occhio astratto, le azzurrine spire di fumo della sua pipa da due centesimi…”. Così continuava Salvatore Di Giacomo in merito a Francesco de Bourcard ed al suo alloggio nel quartie re di Santa Brigida: “…Qualcuna delle famiglie onde i lari domestici ricordavano addirittura la fondazione di quelle mura, prima che queste colpisse il piccone si è sfasciata. Io ne ricordo una, sopra i cui componenti, Dickens avrebbe dato agli avidi lettori della sua prosa grigia la pagina più mite e malinconica d’un romanzo d’interno: i due fratelli de Bourcard, la loro vecchia serva, la figlia della loro serva e la casuccia luminosa e allegra che, a un quinto piano d’un palazzetto al vico Campane, come un lieto cassettino pieno di fiori avvizziti, alloggiava tanti ricordi e tante vecchie pene…7” “…Francesco de Bourcard io l’ho conosciuto al “Corriere del mattino”, cinque o sei anni fa. Era un buon vecchio tranquillo e sereno, fumava sigari toscani in bocchini di carta da due un soldo, e alla tavola rotonda della redazione si dava, silenziosamente alla lettura di tutti gli opuscoli che arrivavano al giornale. Eravamo, in quel tempo, giovani d’anni tutti, e, chissà forse anche di cuore. Cominciava, per noi, gaiamente, la vita dell’arte e del giornalismo, erano più dolci, più durature le illusioni, e nell’avvenire o ci si pensava sorridendo, o pur non ci si pensava per nulla. Il vecchio De Bourcard, che aveva poche parole per tutti e che scriveva soltanto di monumenti, considerato come un pezzo archeologico, allontanava la nostra gioventù. Finalmente anche lui s’allontanò, né più ricomparve, e nemmeno più comparirono nella famosa pagina letteraria le sue descrizioni delle chiese e dei palazzi di Napoli... Bruno J. R. Nicolaus 7 Salvatore di Giacomo, Uomini e libri vecchi, loc. cit La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 45 Note di don Camillo D'Ambra Benefici (altari o cappelle) del Castello, una volta “Civitas isclana” Un elemento rilevante nella politica organizzatrice dell’organismo ecclesiastico sono stati i Benefici. A Ischia 34 di essi, su un totale di 58, erano di patronato laico, tra cui le chiese parrocchiali di Lacco, Forio e Moropano, ed altre chiese parrocchiali, e perciò non curate, come quelle di S. Biagio e di S. Maria al Mon te1. Nella Cattedrale del Castello ogni altare aveva uno dei benefici che, fondati da famiglie benestanti, ser vivano a dare sostentamento a sacerdoti appartenenti alla famiglia stessa del fondatore e dei discendenti o, in mancanza di preti in famiglia, a coloro che gli stessi patroni eleggevano. Queste cappellanie servivano an che per assicurare nelle cappelle soggette al patronato le fosse per seppellire i morti dello stesso nucleo fami liare. Dalla Platea del vescovo d’Avalos del 1598 si ricava che i benefici esistenti nella cattedrale erano 21, riferiti o ad una cappella (tredici) o ad un altare (sette) più quello detto “della sacrestia”. Dalla pianta odierna dei ruderi della cattedrale non si riesce ad individuare e localizzare esattamente cappelle e altari2. Beneficio dell’Assunta Presso l’altare maggiore della Cattedrale, fondato il 10 ottobre 1716 dal conte D. Francesco Antonio Avallone e da lui tenuto fino al 1° novembre 1753, quando volle entrare nel Monastero di San Pietro a Majella in Napo li. Ne fu poi investito il figlio D. Filippo dal vescovo Mons. Felice Amati il 14 giugno 1754; alla morte di questo (11 maggio 1755) successe Marcello Avallone (24 luglio 1755). Più tardi questo beneficio dell’Assunta passò sotto il patronato della famiglia Porta di Procida. Si trova noti zia che nel 1796, essendo morto Giovanbattista Porta, detto beneficio fu concesso a D. Pietro Fiorentino. Beneficio di S. Cristofaro L’altare di questo santo era nel soccorpo della Catte drale, di patronato della famiglia de Funerii. Risul ta che il 12 agosto 1586 il vescovo Fabio Polverino investì di questo beneficio il Primicerio del Capitolo can. Michele Di Meglio con l’onere della celebrazione 1 Lopez P., Ischia e Pozzuoli due diocesi nell’età della controriforma, Napoli, A. Gallina Editore 1991. 2 Di Lustro Agostino, Ecclesia maior insulana, la Cattedrale di Ischia dalle origini ai nostri giorni, Forio 2010. 46 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 di una messa alla settimana e Vespro e Messa solenne nella ricorrenza di San Cristofaro. Il beneficio rendeva 12 rotoli di grano. Nel 1697 detto beneficio passò alla famiglia Castellano di Napoli. Beneficio del Santissimo Salvatore Era di patronato della famiglia Assante con l’obbligo di celebrare due messe alla settimana e il Vespro e mes sa solenne il 6 agosto. Rendeva 21 ducati. In seguito divenne di libera collazione. Nel 1712 era in possesso di Marco Ponzio. Dal 1714 al 1744 fu tenuto da D. Giuseppe Tranquillo di Napoli. Beneficio di San Martino Di patronato della famiglia Bozzuto, che aveva lega mi e parentele con le famiglie Tomacelli. Boccaparata, Caracciolo, Madio, Minutolo e Brancaccio. Essi erano ben radicati nella società napoletana proprio attraverso detti legami. Gravavano sulla cappella di S. Martino questi oneri: una messa ogni settimana; la celebrazione della festa del Santo l’11 novembre con Vespro e Mes sa cantata. La rendita del beneficio assommava a 45 ducati. Nel 1640 questo beneficio era però già diventa to di libera collazione. Beneficio dell’Annunziata Di diritto patronato della famiglia Bulgaro. Aveva una rendita di 27 ducati e per onere una Messa ogni setti mana. La famiglia Bulgaro già era estinta prima dell’e piscopato di Fabio Polverino. Beneficio della Visitazione Di patronato della famiglia Caralcio, con l’onere di quattro messe settimanali. Rendeva 18 ducati. In se guito divenne di libera collazione. Nella relazione ad limina del 1601 si dice che il beneficio è posseduto dal chierico Giandomenico Vitale che ha sostituito Gio vanni Girolamo Caralcio che è ritornato al secolo. Beneficio di S. Sebastiano Di patronato della famiglia Corbera; rendeva 6 ducati. Beneficio di S. Croce e di S. Sofia Erano due benefici separati di patronato della famiglia Cossa. Quello di S. Croce aveva dei beni a Panza; quel lo di S. Sofia stava nella chiesetta omonima che fu poi Ruderi della Cattedrale del Castello (foto dal testo di A. Di Lustro citato in nota 2) distrutta per costruire la chiesa dello Spirito Santo, e il beneficio passò in Cattedrale, unito a quello di S. Cro ce, quest’ultimo, dopo i Cossa, passò alla famiglia Zac chi. Nel 1747 il beneficio era del sac. Franc. Antonio Monticelli, succeduto al sac. Antonio Zacchi. Beneficio di S. Tommaso e S. Maria Nel 1692 era di patronato della famiglia Mellusi; nel 1749, morto il beneficiato D. Cesare Mellusi, passò al chierico Giuseppe Mellusi. Oneri: una messa alla set timana. Beneficio dei santi Stefano, Giuliano, Urbano e Maria Maddalena Di patronato della famiglia Corbera. Nel 1749, alla morte di Alfonso Corbera, passò al chierico Stefano Corbera. Beneficio di S. Sebastiano Di patronato della famiglia Cervera. Nel 1723, morto D. Michelangelo Cervera, esso fu conferito a D. Gaeta no Canetta: a morte di questo, nel 1748, passò al chieri co Baldassarre Cervera. Antecedentemente il beneficio di S. Sebastiano era separato da quello di S. Anna e da solo rendeva sei ducati. Beneficio dei santi Caterina e Lorenzo Di patronato della famiglia Baldura. Nel 1758, morto D. Francesco Baldura, canonico decano del Capitolo cattedrale di Squillace, passò al sac. D. Bernardo Celia. Beneficio di S. Giovanni Evangelista Aveva l’onere di cinque messe settimanali con l’obbli go di tener sempre accesa una lampada, oltre il Vespro e la messa cantata il 27 dicembre. Beneficio di San Vincenzo Di patronato della famiglia Basi con l’onere di una messa il giorno 15 di ogni mese. Rendita 2,10 ducati. Beneficio di S. Margherita Di patronato della famiglia Lanfreschi. Onere di una messa alla settimana. Rendita sei ducati annui. Beneficio dei Santi Innocenti Di patronato della famiglia Tortella con l’onere di due messe alla settimana, Vespro e messa cantata il 28 di cembre. Rendita di 55 ducati annui. Nel 1752 Mons. Felice Amati unì questo beneficio alla Teologale da lui istituita in cattedrale. In quest’anno la rendita era salita a 66 ducati. Beneficio del Crocifisso Fondato in cattedrale da Mons. Bernardo Onorato, ve scovo di Treviso. Nel 1743 fu assegnato al chierico Ni cola Onorato, figlio di Teodoro e di Isabella Moraldi. Beneficio dell’Immacolata, dei Santi Pietro e Paolo e Camillo Di patronato della famiglia Cortese. Nel 1751 il benefi ciato era D. Pietro Cortese, figlio del fondatore Nicola. La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 47 Ruderi della Cattedrale del Castello (foto dal testo di A. Di Lustro citato in nota 2) Beneficio della sacrestia della Cattedrale Il sacrista che ne beneficiava era obbligato a procurare le candele per l’altare maggiore, le croci di cera nel la festa di San Marco il 25 aprile, le palme o rami di olivo nella domenica delle Palme e aveva il mandato di custodire le suppellettili della sacrestia. Rendeva 31 ducati annui. Beneficio di ebdomadario Fondato in cattedrale da Mons. Michelangelo Cotigno la e lo tenne suo fratello D. Francesco Cotignola, vita natural durante, poi passò al Capitolo. Ad ogni vacanza di tale ebdomadariato era il Capitolo e non il Vescovo a eleggere e presentare il nuovo sacrista. Beneficio di S. Andrea Di patronato della famiglia Cossa. Il patrono dava al Capitolo 8 carlini annui. Onere: una messa alla setti mana. La rendita era di 6 ducati. Poi passò ad altri. Nel 1625 era di un tal Giacomo Salerno, napoletano. Beneficio di San Bartolomeo Di patronato della famiglia Di Capua. Onere. Una messa alla settimana, con Vespro e messa solenne il 2 agosto. Rendita di 14 ducati annui. Poi passò prima ai Mellusi e poi agli Albano.Nel 1723 il beneficiato era D. Vincenzo Cigliano di Napoli; nel 1740 il can. Ora zio Albano, nel 1757 il chierico Giuseppe Mellusi, nel 1775 D. Pasquale Jovene. Beneficio di S. Agostino Di patronato della famiglia Garrica. Rendita: 15 ducati annui con l’onere di una messa alla settimana. 48 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 Beneficio di S. Maria delle Grotte Di patronato della famiglia Calosirto. Rendita: 37 du cati annui, con l’onere di due messe alla settimana. Nel 1646 il beneficiato era D. Bartolomeo Di Leo. In segui to il patronato passò alla famiglia Lanfreschi. Nel 1745 il beneficiato era D. Gaetano Lanfreschi. Beneficio di S. Lucia Di patronato della famiglia Donursi. Rendita: 7 ducati annui. Onere: una messa a settimana, Vespro e messa solenne il 13 dicembre. Beneficio di S. Anna Di patronato della famiglia Di Manso. Rendita: 6 duca ti annui. Onere: una messa la settimana, Vespri e messa solenne il 26 luglio. Beneficio del SS. Corpo di Cristo Nella cappella del Sacramento era eretta la confraterni ta del SS. Corpo di Cristo, di patronato dell’Università d’Ischia, con l’onere di fornire vesti e scarpe ai fratelli, nonché le torce da portare durante la processione del Corpus Domini, nelle esequie e quando veniva portato il Viatico. Beneficio di San Giacomo Ne godeva il Capitolo, da antichissimo tempo, come si legge nel libro delle Conclusioni capitolari del 1805. Non so se era eretto in qualche cappella della Catte drale o altrove. Dote: un fondo sito a Casamicciola in località Casa Cumana che fruttava 40 ducati annui. Il Capitolo recitava ogni giorno al termine delle funzioni corali l’antifona del Vespro e l’oremus di S. Giacomo. Rassegna STAMPA Atmosphere, giugno 2014 Ischia - l’isola che ha sposato il cinema La sua sconvolgente bellezza, che si anima di colori forti, dalle spiagge ai monti, non smetterà mai di affascinare registi ed artisti da tutto il mondo Amleto Palermi nel 1936 ha scelto Ischia per Il Corsaro Nero, film trat to dall’omonimo romanzo di Emilio Salgari. E dal quel momento in poi il patto tra l’Isola e il cinema è dive nuto sempre più forte: i suoi scorci sono stati immortalati fino ai nostri giorni in ben 34 pellicole. Cleopatra, produzione hollywoodiana di successo, Avanti, Caccia alla Volpe, Ischia operazione amore, fino alle opere più moderne, come Villa Amalia; Ischia, set a cielo aperto, è da sempre nel cinema un forte con trappunto spirituale. Tutt’ora sono due gli eventi che mantengono vivo quel legame or mai indissolubile: l’Ischia Film Festival che, dal 28 giugno al 7 luglio, proietta opere selezionate da tutto il di Claudia Beccato mondo che valorizzano attraverso il racconto filmico l’identità culturale di un territorio, e l’Ischia Global Film & Musica Fest, manifestazione più generalista che si svolge dal 12 al 20 luglio. Il motivo di questo patto è la sua straordinaria bellezza. Terra sor prendente, che ci accoglie, raggiun gendola via mare, calamitando il nostro sguardo: si innalza dall’acqua con eleganza, svettando con il Mon te Epomeo, spesso sbiadito dalla foschia, il Monte Vizzi e il Castello Aragonese, che si erge su uno sco glio di forte roccia vulcanica, uno dei più antichi e caratteristici castelli d’Italia, facilmente raggiungibile dal Porto dell’Isola e visitabile. Ad Ischia, dove sono tutti «fratello e sorella» orgogliosi della propria terra, l’ospitalità e la generosità sono inviolabili. Custodiscono una bellezza, richiamo per noi forestieri, che condividono senza malizia. Un soggiorno ad Ischia si spera sempre non abbia mai fine: oltre ai paesaggi struggenti della natura, co lorata dal giallo lampeggiante dei suoi limoni, e profumata di macchia mediterranea, si mangia e si beve bene, dal coniglio all’ischitana ac compagnato da un calice di Bian colella, dalle semplici penne allo scarpariello con pomodorini freschi, parmigiano, aglio, peperoncino e basilico, al Migliaccio, dolce a base di semola, ricotta, latte ed ovvia mente la scorza profumatissima di un limone; terminando con qualche La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 49 sorso di Rucolino, amaro alla rucola aromatizzato all’arancia, al limone e al mandarino. Ischia, sconvolgente bellezza che si anima di colori for ti, dalle spiagge ai monti, ha quindi saputo irretire grazie al suo fascino, registi, scrittori ed artisti da tutto il mondo, che, molto spesso, incapaci di lasciare l’Isola, vi hanno preso dimora. Tra i più celebri, Luchino Visconti, che abitò presso La Co lombaia, splendida villa che sul pro montorio di Zaro segna il confine tra il mare blu, il cielo intagliato dalle nuvole ed il fitto bosco. Ora la villa è una Fondazione e ospita il primo nu cleo del Museo permanente pregno della memoria viscontiana. Ischia, the island that married the cinema Its amazing beauty, which comes alive with bright colours, from the beaches to the mountains, will never cease to fascinate fìlmmakers and artists from all over the world Amleto Palermi in 1936 chose Ischia for The Black Corsair, a film based on the novel of Emilio Salgari. And from that moment on, the pact between the Island and the cinema has become increasingly stronger: its views have been immortalized to this day in at least 34 films. Cleopatra, successful Hollywood production. Billy Wilder, Caccia alla volpe, Ischia operazione amore, to the more modem works, such as Villa Amalia; Ischia, an open air set, has always been a strong spiritual counterpoint for cinema. Even now there are two events that keep this indissoluble bond alive: the Ischia Film Festival, which from June 28 to Jury 5 projects selected works from around the world that value through the filmic narrative the cultural identity of an area, and the Ischia Global Film & Music Fest a more generalist event that takes place from July 12 to 24. The reason for this agreement is its extraordinary beauty. Amazing earth that welcomes us, reaching it by sea, ma gnetizing our eyes: it rises from the water with elegance, standing out against the Epomeo Mount, often faded by the mist. Vizzi Mount and the Aragonese Castle, which stands on a cliff made of strong volcanic rock, one of the oldest and most characteristic castles in Italy, easily reachable from the port of the island and that can be visited. In Ischia, where everybody is brother and sister and proud of their land, the hospitality and generosity are inviolable. They preserve a beauty that calls for us foreigners. who share it without malice. You always hope your holiday in Ischia will never end: in addition to the haunting landscapes of nature, coloured by the flashing yellow of its lemons and smelling of Mediterranean vegetation, you eat and drink well, from the Ischia rabbit accompanied by a glass of Biancolella, from simple penne allo scarpariello with fresh cherry tomatoes, parme san cheese, garlic. chilli and basil, to Migliaccio, sweet made of semolina, ricotta cheese, milk and of course the fra grant peel of a lemon; ending with a few sips of Rucolino, arugula bitter flavoured with orange, lemon and tangerine. Ischia, disturbing beauty that comes alive with bright colours, from beaches to mountains, then managed to ensnare thanks to its charm, directors, writers and artists from all over the world, who, very often, unable to leave the island, decided to live there. Among the most famous, Luchino Visconti, who lived at La Colombaia, a beautiful villa on the promontory of Zara marking the boundary between the blue sea, the sky carved by clouds and the dense forest. Now the villa is a foundation and core of the first permanent museum dedicate to Visconti. Meeting e Congressi - La Rivista del Meeting Industry Meeting-Incentive-Convention-Exhibition (MICE) - n. 01 gennaio-febbraio 2014 Bellissima in ogni stagione Uno scrigno di tesori artistici, storici e naturalistici di primo piano, ai quali si aggiungono strutture alberghiere di lusso e rilassanti stabili menti termali: Ischia è la destinazione perfetta - e mai scontata - per la meeting industry più esigente. Nell’Olimpo delle località turisti che più à la page del Mediterraneo, l’hanno lanciata la campagna di sca vi che negli anni Cinquanta portò alla scoperta di Pithekoussai, prima 50 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 colonia greca d’occidente, e l’inna moramento di Angelo Rizzoli per Lacco Ameno. Ma è grazie all’estro e all’intraprendenza degli imprendi tori locali e ai loro hotel pluri-stel lati, che esplose la Dolce Vita made in Ischia e che l’isola delle terme, già meta di viaggiatori più o meno celebri, divenne una destinazione da sogno, che più glamour non si può. Tutto questo porta anche Mice e bu siness. I direttori di alberghi e resort sanno che i loro ospiti in viaggio per affari preferiscono strutture e luoghi che, oltre agli spazi meeting, offra no anche opportunità per il tempo libero e occasioni di relax, diverti mento ed escursioni. E ciò è possi bile soprattutto se la meta è l’isola di Ischia. Qui si lavora in una cornice paesaggistica notevole, con hotel di lusso, strutture moderne e resort che, nati per il turismo d’élite, sono anche ideali per meeting lanci di prodotti, presentazioni aziendali congressi scientifici, predisponendo oltretut to, l’evento al successo. Al di fuori del lavoro non manca nulla, a co minciare dalle straordinarie spiagge, optional molto apprezzato, davanti ad acque trasparenti: l’Isola Verde è anche meta di chi vuole scoprire le meraviglie dei fondali e degli aman ti degli sport d’acqua in generale. Paradiso di benessere e relax, ormai ai primi posti nelle classifiche delle priorità di chi viaggia anche per mo tivi di lavoro, Ischia offre spazio an che all’immaginazione. Negli Anni 60, divi di Hollywood e Cinecittà, magnati dell’industria e della finan za, teste coronate e playboy sbar cavano sull’isola per partecipare a feste favolose e la cronaca di quegli anni è raccontata in un’esposizione a Villa Arbusto, dimora settecentesca immersa tra i fiori bianchi e i frut ti rossi di corbezzolo, meta del jet set ospite di Rizzoli e poi acquisita dal Comune di Lacco Ameno con la villetta Gingerò, dependance riser vata agli amici stretti dell’editore. Immagini affascinanti di Alida Valli, Claudia Cardinale, Helmut Berger e Alain Delon si sono sovrapposte a quelle del precedente albo d’oro dei visitatori: Ibsen e Stendhal, La martine e Polanski, tanto per citare i più noti, frequentavano Ischia per l’incredibile numero di fonti terma li, il prezioso patrimonio naturale dell’isola conosciuto e sfruttato sin dall’antichità. Plinio e Strabone lo raccontano: furono gli antichi ro mani, che conoscevano i segreti dell’art de vivre, a capire i benefici delle acque ischitane, dei bagni, del le immersioni e delle saune. Le pro prietà mediche, gli studi scientifici e le terapie vennero in un secondo momento e resero Ischia l’isola del benessere per antonomasia. Oggi è la capitale del termalismo europeo, con oltre trecento stabilimenti e una grande varietà di acque, 29 bacini e centinaia di sorgenti e fumarole. Un’isola. Mille Proposte La passeggiata nel suggestivo quartiere dei pescatori di Ischia Pon te, il lungo passaggio a mare per la visita al Castello Aragonese, lo shop ping lungo via Roma, il by-night sulla Rive Droite, lo jogging in pine ta e il bagno agli scogli di Sant’Anna a Cartaromana, la visita al quartiere chic e colorato di Sant’Angelo sono solo le prime cose da fare una volta approdati sull’isola. Ma la lista dei luoghi da vedere, delle esperienze da fare, dei prodotti da assaggiare, a cominciare dal pregiatissimo vino, è lunghissima. In tutto 34 chilometri di linea costiera, la più grande del le isole del golfo di Napoli ha un clima dolce, anche per la presenza, al centro, del monte Epomeo. Con circa sessantamila abitanti, dopo Si cilia e Sardegna, è la più popolosa d’Italia, divisa in sei comuni: Ischia, Casamicciola Terme, Lacco Ameno, Forio, Serrara Fontana e Barano d’I schia. L’isola dei pithekoi, le scimmie, o dei pithoi, i vasi d’argilla, si apre sul lo scalo più importante: Ischia Porto è la vera e propria porta d’ingresso, il luogo dell’accoglienza, sulla riva sinistra, da dove partono i traghetti. La riva destra ospita invece ristoran ti, tavernette, bar e locali notturni, dove si cena, si beve e si balla nelle notti d’estate. Da qui partono il cor so, via Roma e corso Vittorio Colon na, la passeggiata più prestigiosa ed esclusiva di Ischia, mentre i palazzi nobiliari sono su via Seminario. Da qui a Ischia Ponte il passo è breve: il borgo dei pescatori, il ponte verso il castello sull’isolotto, lo specchio d’acqua invaso dalle imbarcazio ni. E il cuore dell’isola di Ischia, il luogo dell’anima degli abitanti e dei turisti, imperdibile. Tra storia e arte La suggestiva rupe di lava basal tica, alta un centinaio di metri, deve il nome al castello, ampliato e for tificato nel 1438 da Alfonso d’Ara gona, anche se l’isolotto pare fosse già abitato nel 474 a.C. dai soldati di Gerone, tiranno di Siracusa. Sull’in credibile stratificazione di ruderi si erge il possente maschio trapezoi dale a strapiombo sul mare. Poco distante la rinascimentale cattedrale dell’Assunta, nella quale, nel 1509, si sposarono la poetessa Vittoria Colonna e Ferrante d’Avalos. E an cora nei pressi c’è il convento delle Clarisse, con la grandiosa cupola del Settecento, e il cimitero dove si rac conta che i corpi delle monache di clausura venissero seduti su scranni di pietra e lì lasciati a decomporsi. La salita al castello, lungo il percor so scavato nella roccia da Alfonso I d’Aragona nel ‘400 è piena di ruderi e segrete, ma è anche un eccezionale colpo d’occhio sulle barchette della marina, su Ponte, Procida e il golfo di Napoli. La storia dell’isola è narrata nel Museo archeologico, allestito an cora all’interno di villa Arbusto a Lacco Ameno: la Coppa di Nestore, una kotyle, ossia una tazza piccola, di uso quotidiano, databile intorno all’ultimo venticinquennio delI’VIIl secolo a.C, uno dei più antichi esem pi d scrittura alfabetica. Dalla cripta della vicina chiesa di Santa Resti tuta, si accede poi agli scavi di una suggestiva basilica paleocristiana. Dal lungomare si vede iI Fungo, simbolo del posto, un masso d tufo verde, la tipica roccia di origine vulcanica, che si staccò dalle pare ti dell’Epomeo in seguito a una sua La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 51 eruzione, ma anche gli enormi panfi li milionari di magnati russi, sceicchi arabi e sultani dell’estremo oriente. La baia di San Montano, verdissima e affascinante, è uno de luoghi più selvaggi dell’isola. Forio è l’altro borgo marinaro di charme dove, su uno sperone di tufo, si erge i bianco santuario di Santa Maria del Soccorso, che al tramon to diventa uno spettacolo di colore. Il centro è dominato da un Torrione quattrocentesco che ospita un museo civico. Qui sono da vedere il giardi no La Mortella, tra i più belli d’Ita lia, che ospita piante rare provenienti da ogni parte del mondo su 150mila metri quadrati di terreno, la villa del musicista sir William Walton, la spiaggia di Citara e La Colombaia, la villa di Luchino Visconti. Da non perdere il bagno notturno nella baia di Sorgeto. Dominano le torri, prima tra tutte quella conosciuta come il Torrione, tre piani del XV secolo Entroterra a tutta natura A sud c’è Sant’Angelo, una volta zona poco frequentata, oggi elegan te centro turistico, animata di giorno e di sera, la piazzetta di Ischia dalla scenografia esclusiva. Tra boutique grandi firme, atelier e gioiellerie, le stradine si inerpicano in mezzo Lacco Ameno - Il Fungo alle casette dalle tinte pastello. Tap pa obbligata per artisti e vip, qui si mangiano zuppe di pesce leggenda rie e dolci da re. Infine, tra Sant’Angelo e Ischia Ponte, c’è il maggior numero di spiagge in sequenza: i Maronti, la più famosa e la più estesa, tre chilometri ricchi di cave, dentro le quali sgor gano sorgenti d’acqua termale, un tempo rifugio dei pirati: la Scarrupa ta, sottile nastro di sabbia e ciottoli: punta San Pancrazio e una minusco la spiaggetta: la spiaggia dell’Amo re, segreta e appartata; le grotte, le più famose, la grotta Verde, la grotta del Mago, la grotta Tisichiello; poi l’incantevole spiaggia Cartaromana, davanti alla quale si nuota ammiran Forio - Il Soccorso 52 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 do il castello. Nell’entroterra si apro no Serrara e Panza, panoramiche ai piedi del monte Epomeo, e Barano d’Ischia, affacciata sulla spiaggia dei Maronti, lunga due chilometri e costellata di sorgenti termali e fuma role. Da Barano partono “i sentieri della lucertola” quattro percorsi na turalistici indicati da una lucertola colorata. Sulla vetta dell’Epomeo è interamente scavato nella roccia tu facea l’eremo di San Nicola del XV secolo. A Ischia si producono i vini che, per primi, hanno ottenuto il marchio Doc in Campania, da vitigni quali Biancolella, Forastera e Piediros so (o Per’e Palummo). Nei boschi abbondano bacche, funghi porcini e tantissimi sono i castagneti, gli agrumeti, i frutteti, gli oliveti, ma anche gli alberi di noci e nocciole, i fichi celebrati da Orazio. Dagli orti arrivano pomodori grossi e succosi, cicerchie, lenticchie, fagiolini e fa gioli particolari, gli “zampognari” piccoli, rosso scuro, adatti per una zuppa da leccarsi i baffi. I piatti della tradizione vanno dal maiale al pesce, primo tra tutti il coniglio, che all’i schitana è in padella, con pomodori, olio, vino bianco, aglio e peperonci no. Tipica è anche la parmigiana di melanzane nella versione col basili co a foglie larghe dell’isola. * Ischia Film Festival Edizione 2014 Si è svolta ad Ischia, dal 28 giugno al 7 luglio 2014, la dodicesima edizio ne dell’Ischia Film Festival (concorso internazionale dedicato alle location cinematografiche, ideato e organizzato da Michelangelo Messina. Presieduto quest’anno da Pupi Avati), che ha fatto registrare i seguenti vincitori nelle relative sezioni: - Sezione Documentari - The silent chaos di Antonio Spanò, che dà voce alla disperazione dei sordomuti del Butembo1. - Sezione Cortometraggi - America di Alessandro Stevanon, poeti co tributo all’esistenza di Giuseppe Bertuna, conosciuto come Pino America2. - Sezione Location negata - Lucciole per lanterne di Stefano e Mario Martone, film ambientato nel Cile delle grandi dighe e della lotta di tre donne contro la privatizzazione dell’acqua3. - Premio Castello Aragonese come miglior regista - Matti Ijäs con ‘Things we do for love’. - Premio Epomeo per la miglior fotografia - Xi Wei per ‘Ashes to ashes’ di Wu Qing. - Menzioni speciali per la sezione Documentari a L’uomo sulla Luna di Giuliano Ricci4; per la sezione Cortometraggi a Sassiwood di An tonio Andrisani e Vito Cea5 In occasione della prima giornata di questa edizione, il Festival ha confe rito l’Ischia Film Award alla carriera al regista israeliano Amos Gitai (nato a Haifa nel 1950), il quale ha anche presentato il suo film Ana Arabia: un momento nella vita di una piccola comunità di reietti, ebrei e arabi, che vi vono insieme in una enclave dimenticata al “confine” tra Jaffa e Bat Yam in Israele. In Ana Arabia, Yael, una giovane giornalista decide di visitare un piccolo villaggio; in quelle baracche fatiscenti tra i frutteti carichi di limoni, circondate da gigantesche abitazioni popolari, scopre una serie di personaggi distanti dai cliché con i quali viene descritta la regione. Yael ha la sensazione di aver scoperto una miniera di umanità. Non pensa più al suo lavoro. Le facce e le parole di Youssef e Miriam, Sarah e Walid, e dei loro vicini e amici la introducono alla vita, ai sogni e alle speranze, agli amori, ai desideri e alle illusioni. La loro relazione con il tempo è diversa da quella della città che li 1 «Per i rischi reali che il regista ha corso per illustrare, con un esempio poco conosciuto, l’estrema difficoltà di essere diverso in una società tradizionale, attraverso immagini di grande forza emozionale» (in giuria: Jean Emanuel Martinez, Arnaldo Catinari, Roland Sejko e Giovanni Esposito). 2 «Per la regia insolita, che descrive con affetto la vita di un uomo che ha scelto una dolce follia per sfuggire al rimpianto di una vita mancata». 3 «Un omaggio a tutte le donne che resistono ai superpoteri in modo costruttivo e senza mai perdere di vista le cause vitali delle loro lotte, contrariamente a quanto fanno moltissimi uomini che ancor oggi non sanno esprimersi altrimenti che con la violenza». 4 «Per la capacità del regista di entrare, con pudore e delicatezza, in una realtà sorprendente e fuori dal tempo, con delle bellissime immagini e mantenendo una distanza piena di umorismo malgrado la drammaticità del soggetto». 5 «Uno sguardo divertente e affettuoso su quel pizzico di follia che caratterizza i lavoratori del cinema e senza il quale non esisterebbe il cinema stesso». Ischia - Il Castello Aragonese circonda. In quel luogo provvisorio e fragile, c’è la possibilità di coesi stere, di vivere insieme. Una meta fora universale. «La bellezza principale di Ischia – ha dichiarato Amos Gitai - è data dai suoi meravigliosi scorci naturali che, per registi come me, sono di grande ispirazione. Il mio modo di fare regia, essendo io un ex architetto e non avendo mai fatto alcuna scuola di cinema, si basa esclusivamente sulle emozioni. La macchina da presa è per me il modo più diretto per esprimere le sensazioni che provo. È proprio per questo che continuerò a fare film: perché non ho alcuna intenzione di smettere di emozionarmi». Di forte attrattiva sono state an che le due anteprime nazionali: And while we were here di Kat Coiro, lungometraggio ambientato tra Na Amos Gitai La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 53 poli e Ischia, un adattamento letterario dei racconti della nonna di Coiro sulla seconda guerra mondiale, ed il corto “1%Ers” di Francesca de Sola, prodotto da Quentin Tarantino e girato a Palm Springs in Califor nia. Una vera e propria festa del cinema alla quale han no partecipato anche tanti autori di corti e documentari tra i quali si segnalano: Luciano Schito, autore e regista del cortometraggio Malak; Brunella Filì autrice e regi sta del film Emergency Exit, e Matteo Ferrarini autore e regista di Buracos L’eredità del diamante. Ugo Gregoretti ha presentato Un intellettuale di Borgata di Enzo De Camillis, di cui è protagonista e testi mone. Interpretato da uno straordinario Leo Gullotta, questo documentario racconta di Pier Paolo Pasolini e della sua onestà intellettuale fatta di una ricerca conti nua come poeta delle borgate in contrasto con le rigi dità del governo di quegli anni, carico di preconcetti sulle diversità; le critiche e le accuse verso un mon do politico ed economico miope, sono rappresentate in contrapposizione con la lungimiranza culturale di espressioni cinematografiche quali Ragazzi di Vita, Petrolio, Accattone e Mamma Roma, e nelle sue intervi ste sul pericoloso potere dei media. Anche se ha lavorato soprattutto per la televisione, Ugo Gregoretti si è distinto anche come regista cine matografico nel cui ruolo esordì nel 1962 con il film inchiesta sui giovani I nuovi angeli, pellicola distintasi per il suo stile insolito ed i dialoghi fin troppo avan 54 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 guardistici tanto da risultare tutt’oggi attuale. Ospiti d’eccezione sono stati anche Pupi e Antonio Avati, i quali hanno parlato della loro esperienza nel mondo del cinema. In contemporanea con l’uscita nazionale nelle sale cinematografiche, è approdato anche all’Ischia Film Festival Le cose belle, il documentario di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno ambientato nella perife ria napoletana di Ponticelli. Prodotta, tra gli altri, dalla Parallelo 41 di Antonella Di Nocera, l’opera di Fer rente e Piperno mostra la fatica e la bellezza di cre scere al Sud in un film che narra tredici anni di vita. Quella di Adele, Enzo, Fabio e Silvana, raccontata in due momenti fondamentali delle loro esistenze: la pri ma giovinezza e l’inizio dell’età adulta, in un film che mescola il tempo della vita ed il tempo del cinema. La dignità dei giovani e le responsabilità degli adulti in una Napoli, immersa in quel suo tessuto magmatico, dove il bene e il male vivono in prossimità, dando un volto alla complessità dell’esperienza umana. Quando nel 1999 Agostino Ferrente e Giovanni Piperno realiz zarono Intervista a mia madre, un documentario per Rai Tre che voleva raccontare dei frammenti di adole scenza a Napoli, ai loro quattro protagonisti chiesero come immaginassero il proprio futuro: loro risposero con gli occhi pieni di quella luce speciale che solo a quell’età possiede chi ancora sogna “le cose belle” e con quell’autoironia tipica della cultura partenopea che li aiuta a sdrammatizzare, esorcizzare e talvolta ri muovere gli aspetti problematici della vita. Al tempo Ugo Gregoretti Pupi Avati stesso da quegli occhi traspariva una traccia di scaramantico disincanto. Dieci anni dopo, passando dalla Na poli del rinascimento culturale, che attirava artisti da tutto il mondo, a quella di oggi, piena di fermento e talenti, ma sommersa dall’immondi zia e con il degrado sempre nasco sto nelle pieghe della quotidianità, i registi sono tornati a filmare i loro quattro protagonisti per un arco di quattro anni: l’auto-ironia ha ceduto il posto al realismo; alle “cose belle” Fabio, Enzo, Adele e Silvana non credono più o forse hanno imparato a non cercarle nel futuro o nel passa to, ma nell’incerto vivere della loro giornata, nella lotta per un’esistenza/ resistenza, difficile ma dignitosa. Ad accompagnare la presentazione del film a Ischia è stato uno dei protago nisti, Fabio Rippa. Nel contesto del Castello Arago nese si è tenuto anche il XII con vengo internazionale sul Cineturi smo. All’incontro sono intervenuti: Cornelia Hammelmann, Direttrice del fondo DFFF, che ha presentato il fondo tedesco innescando inevi tabilmente tra i presenti il naturale confronto con la situazione italiana; Francesca Pellicanò, AGCOM Di rezione servizi media, che ha spie gato come fare ad ottenere la certifi cazione che dimostri in Europa che la propria opera, film o serie tv, sia made in Italy; Marco Cucco, docen te presso l’Università della Svizze ra italiana di Lugano, autore della ricerca “Il mercato delle location cinemtografiche” avente come sco po la comprensione della fattibilità di costituire una film commission in Svizzera; Eugenio Prosperetti, avvocato e docente di diritto della concorrenza nell’Università di Sie na, che ha trattato la parte giuridica legata alla proprietà intellettuale; Furio Reggente, docente presso l’U niversità Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, e Roberta Todesco, neolaureata presso l’Università Cat tolica del Sacro Cuore di Milano, che hanno presentato in anteprima esclusiva una ricerca condotta per l’Università, che ha come scopo l’a nalisi psicologica della scelta della vacanza, tenendo conto soprattutto delle preferenze motivate dal cine ma; Angelo D’Alessio, consulente Cinema Digitale Mostra del Cinema Venezia, e Federico Savina, docen te presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, che hanno fato una breve introduzione sugli sviluppi delle nuove tecnologie e formati emergenti nella presentazione cine matografica e multimedial; Enrico Nicosia, ricercatore presso l’Univer sità degli Studi di Macerata e autore del libro “Cineturismo e Territorio”, che ha parlato di un nuovo tipo di turismo detto “cineturismo gastro nomico”. Tra gli altri ospiti presenti al con vegno anche Michaela Guenzi, responsabile comunicazione Lom bardia Film Commission che ha sot tolineato quanto il loro ente sia inte ressato al fenomeno del cineturismo, Augusto Sainati, docente di storia, teoria e analisi del film per il corso di laurea in Scienze della Comunica zione all’Università Suor Orsola Be nincasa, che ha portato un prezioso contributo sulla storia del cinema le gato agli argomenti trattati, Andrea Camesasca, delegato al turismo Ca mera di Commercio di Como ed ide atore del format TTT TourismThin kTank di Lariofiere Erba, che ha dato delucidazione della realtà turi stica del lago di Como ed Anna Olivucci, responsabile di Marche Film Commission, che ha denunciato la mancanza di una governance unita e lineare dichiarando: «c’è troppa concorrenza tra regioni e si sente la mancanza di una promozione unita ria di un unico marchio “Italia”». * Terrazzo della Casa del sole, luogo di proiezioni La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 55 Testimonianze epigrafiche semitiche (segue da pagina 2 di copertina) della scoperta, si presentava intera, ma in pessime condizioni (tanto che si è accasciata prima che fosse stato possibile fotografarla!) e pressoché vuota di terra nell’interno, salvo un po’ di terriccio pulverulento sul fon do e spesse incrostazioni silicee. Nell’interno, oltre a resti di ossici ni di infante inumato, uno scarabeo di steatite, un pendente a forma di doppia ascia, di osso, e un anellino di bronzo. Manca il piede dell’anfora, che è stato tagliato dalla fossa della tom ba ad inumazione 574 (LG I): tanto l’anfora 575 quanto la fossa 574 era no sottoposte al tumulo 199 (LG I). 575 - 1 Anfora grezza importata, con collo cilindrico. H. ca. cm 67; diam. max. cm. 45. Ricomposta da frammenti; ampia mente integrata: resta qualche lacuna e manca interamente il piede. Molto alterata e deformata dall’azione del le fumarole: superficie quasi intera mente annerita. La terracotta che si sgretolava tutta è stata ampiamente consolidata con acetato di polivinile. Pasta fine rosso-mattone scuro, con pochi inclusi non intenzionali, ugua le a quella dell’anfora sporadica e molto frammentaria Sp. 2/1: restano soltanto poche tracce della scialba tura color nocciola chiaro, che è in vece ben conservata sui frammenti dell’esemplare sporadico. Ampio corpo ovoide panciuto; col lo perfettamente cilindrico con mar gine superiore arrotondato, senza orlo distinto, se non per una sottile linea rilevata poco sotto il margine. Brevi anse a nastro ingrossato dal collo alla spalla. (Il piede mancante doveva essere ad anello, come quel lo, conservato, dell’esemplare spo radico Sp. 2/1). Cinque gruppi di segni incisi dopo cottura sulla spalla, su una delle 56 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 anse, sotto l’attacco inferiore dell’al tra ansa e sul collo, di cui uno in ca ratteri consonantici semitici nordoc cidentali: kpln, da interpretare come il sostantivo kpl («doppio») seguito dal suffisso –n che indica la natura aramaica della lingua. 575 - 2 Anello di bronzo. Diam. cm 2: spess. cm. 0.3. Integro, molto ossidato. Cerchio chiuso, a sezione circolare. 575 - 3 Pendente di osso a forma di bipen ne. - Lungh. cons. cm. 2.7; largh, cm. 1.5; spess. max. cm. 0.3. Restaurato, incompleto. Piccola ascia bipenne rettangolare, con sottile foro passante al centro. Una faccia presenta quattro incavi circolari per l’inserimento di una decorazione in materia diversa, pre sumibilmente ambra, oggi del tutto scomparsa. 575 - 4 Scarabeo di tipo egizio. Base cm. 1.44. Scarabeo di steatite con tracce di rivestimento giallo-ocra. Frattura sul lato destro della base, incrostazioni sulle elitre e sul lato destro. Schiena ampia e curvilinea: sono indicati il clipeo con la testa e gli oc chi, il protorace, nonché le elitre con contorno laterale e segni superiori a v; zampe naturalistiche e sollevate. Incisioni sommarie, più profonde sulla base. Leggenda verticale provvista di contorno: si tratta di una variante del prenome del faraone della XIX dina stia Sethos II (1214-1208). Il tipo della sepoltura e del suo cor redo è quello consueto delle tombe greche della necropoli di San Mon tano. La forma dell’anfora, con il suo corpo ovoide panciuto, le anse im postate dal collo cilindrico alla spal la e il piede ad anello, indica chia ramente che si tratta di un prodotto greco2. La terracotta molto tipica e l’assenza ad solito orlo ingrossato a cordone intorno alla bocca sono ele menti caratteristici che dovrebbero permettere in futuro di identificare più precisamente il centro di fabbri cazione di questo tipo di anfore. I dati stratigrafici più sopra ri cordati collocano la deposizione dell’anfora saldamente nel periodo LG I. Non sappiamo quanti anni sia durata la sua vita come contenitore domestico, ma si può comunque af fermare che la data più bassa asse gnabile al graffito aramaico si pone intorno al 730, quella più alta verso il 750. Una data intermedia, intorno al 740, appare la più verosimile. Come è stato già accennato, la ne cropoli di San Montano ha restituito finora soltanto un altro esemplare di questo tipo di anfore, purtroppo in frammenti sporadici molto lacuno si che non permettono una integra zione del vaso. Da quanto ne resta appare che forma e dimensioni non erano diverse da quelle dell’anfo ra 575-1. Anche questo secondo esemplare reca iscrizioni graffite dopo cottura, ma questa volta gre che. Alcuni frammenti con graffiti sono stati rinvenuti nella lente di ter ra nera del tumulo 235 (n. di scavo 691), o immediatamente al di sotto della stessa. Arche questo tumulo appartiene al periodo LG I. La data da assegnare ai graffiti ricade quindi entro gli stessi limiti di tempo in cui si colloca il graffito aramaico e va ugualmente determinata all’incirca intorno al 740. Poiché si tratta probabilmente dell’iscrizione greca più antica fino 2 Del tutto diversa è la sintassi formale delle anfore orientali - canaanite, fenicie, puniche - che pure furono importate abbastanza frequentemente a Pithekoussai, dove si trovano tanto riusate per enchytrismoi nella necropoli, quanto nei livelli di abitazione. ra rinvenuta a Pithekoussai - forse all’incirca di un decennio preceden te all’epigramma della cosiddetta ‘coppa di Nestore‘ - ci sembra giu stificato anticipare qui la sua pub blicazione, anche perché proprio dal confronto con la contemporanea iscrizione aramaica risalta in modo vieppiù evidente come in questo pe riodo, di poco posteriore alla metà dell’VIII sec. la scrittura greca sia stata già completamente sviluppa ta e diversificata nella forma e nel ductus delle lettere rispetto a quella semitica nordoccidentale. L’iscrizione sinistrorsa consta di due righe sottoposte, su un fram mento della spalla ricomposto da otto frammenti minori (figura 1). ... ] μιμαιονο [... ... ] ος εμι Le lettere della prima riga, incon suetamente grandi per un graffito vascolare, notevolmente spaziate e vigorosamente incise da una mano ferma e sicura, si trovano poco sot to l’attacco del collo cilindrico3. La prima lettera M si trova sotto l’ansa di cui è conservato l’attacco inferio re. Poiché non si inizia un’iscrizio ne in un posto così inopportuno e scomodo per incidere una lettera, e nemmeno subito prima dell’ansa, si deve supporre che quanto precedeva le lettere conservate fosse stato mol to più lungo e si sia sviluppato su buona parte, o su tutto il lato oppo sto del vaso. Una scheggiatura alla base della lettera che segue l’alpha impedisce di accertare se si tratta di uno iota oppure di un lambda. La seconda riga presenta lettere ancora più grandi e meno spaziate che sem brano tuttavia tracciate da una mano diversa, molto meno sicura e che ha inciso meno profondamente4. Forse 3 Le lettere misurano in altezza, nell’ordine, da destra a sinistra, riga 1: cm. 2,5; 3; 2.6; 2,2 (le terminazioni delle ultime tre lettere sono incomplete); riga 2: cm. 1.5: 4: 3,5; 3,4: 2,6. 4 La differenza tra la scrittura della Fig. 1 - Necropoli di San Montano - Graffiti incisi sull'anfora Sp 2/1 - Scala 1:2 la seconda riga era la copia di quella superiore, eseguita da un principian te nell’arte dello scrivere. In tal caso essa ci restituirebbe la terminazione della riga soprastante. Alla stessa anfora appartiene un frammento isolato che conserva una sola lettera integra sinistrorsa - K preceduta da due lettere frammen tarie difficilmente interpretabili e seguita da una lettera ugualmente frammentaria in basso (iota o lam bda). La curvatura del frammento esclude che possa trattarsi di parte della prima riga dell’iscrizione testé descritta e le lettere sembrano del resto tracciate da una mano ancora diversa. 2. - Un minuscolo frammento va scolare dalla necropoli di San Mon tano che conserva due lettere integre leggermente incise dopo cottura, precedute e seguite da una lettera prima e della seconda riga non risalta sufficientemente nel disegno. Da notare è l’aggiunta di un quarto tratto nella parte interiore del sigma, volto tuttavia nella direzione sbagliatia cioè verso sinistra anziché verso destra. Resta incerto se si possa considerarlo un vero sigma a quattro tratti tracciato in forma aberrante, o piuttosto un semplice errore di grafia. Per un esempio di sigma a quattro tratti regolare da Pithekoussai vedi E. Peruzzi, Origini di Roma II, (Bologna. 1973). p. 25. tav. IV a e M. Cristofani. in Arch. Class., 25-26. 19731974. p. 155 s. frammentaria, è stato pubblicato fin dal 1964 da Margherita Guardac ci5. Il graffito (fig. 2), interpretato come greco, acquistava un partico lare interesse per la presenza della lettera alpha nella forma orizzontale o ‘adagiata’. Di recente due studiosi, in base al disegno pubblicato, hanno ritenuto indipendentemente che il coccio, da leggersi capovolto, rechi invece lettere fenicie6. La possibili tà di leggere i due segni conserva ti in chiave semitica, cioè ...]a l[... anziché ... ]p a.. [, se greco) è stata pienamente confermata da Giovanni Garbini dopo aver esaminato l’ori ginale. E i dati archeologici del re perto, che non erano stati resi noti finora, rendono infatti estremamente inverosimile che possa trattarsi di scrittura greca. Con ciò la brevissi ma iscrizione assume un significato storico molto diverso da quello che inizialmente le era stato attribuito. Fig. 2 - Necropoli di San Montano - Fram mento di vaso con graffito Il frammento è stato rinvenuto sporadico nella lente di terra nera di rogo della tomba a cremazio ne a tumulo 232 (n. di scavo 538). Per chiarire meglio il significato di questa circostanza, è necessario ri cordare il modo particolare del rito funebre in uso a Pithekoussai per le tombe a cremazione del ceto me dio, durante l’VIII e fino agli inizi 5 M. Guarducci. Appunti di epigrafia greca arcaica. Arch. Class. 16, 1964, p. 129; Epigrafia greca, I, (Roma 1967) p. 217, 225 e fig. 87 6 B. Rocco. Greco o fenicio? - Sicilia Archeologica, 12. 1970. pp. 5-7; P. K. McCarter, A Phoenician Graffito from Pithekoussai; Amer. Journal of Archaeol. 79. 1975. pp. 140-141. La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 57 del VI sec. finora mai chiaramente osservato altrove, sebbene sarà sta to certamente più largamente diffu so7. I roghi non venivano accesi sul posto dove era eretto poi il tumulo, ma su un ustrino comune, da dove tutti gli avanzi indistintamente era no portati sul posto della sepoltura definitiva e accumulati in un leggero incavo praticato sulla superficie del piano di campagna, talvolta anche direttamente sulla superficie stessa, e ricoperti con un piccolo tumulo di pietre, del diametro tra 1,5 e 4 metri. Tolte le pietre di copertura, si presenta quindi una lente di terra nera che contiene alla rinfusa i fram menti di ossa cremate, di vasi e di ornamenti personali bruciati e le gno carbonizzato. Mentre era quasi inevitabile che durante la raccolta dei resti, e poi durante il trasporto, qualche frammento appartenente al corredo andasse disperso - e infatti quasi sempre i vasi ricomposti del le tombe a cremazione risultano più o meno lacunosi - era ugualmente inevitabile che vi si inserissero dei cocci non appartenenti che erano rimasti giacenti sull’ustrino da ro ghi precedenti. Si trova perciò, nelle lenti di terra nera, sempre un certo numero di cocci sporadici bruciati che di regola non si differenziano cronologicamente in modo apprez zabile dalla ceramica del corredo. Il tumulo 232 appartiene al periodo LG II, vale a dire all’ultimo quarto dell’VIII sec.. e più precisamente a un momento già piuttosto inoltrato, essendo stratigraficamente posterio re a una serie di tombe ad inumazio ne e a cremazione appartenenti allo stesso periodo e al medesimo appez 7 Per i diversi tipi di sepoltura contempo raneamente in uso a Pithekoussai nell’VIII sec. cfr. G. Buchner, Nuovi aspetti e problemi posti dagli scavi di Pithecusa, con particolari considerazioni sulle oreficerie di stile orientalizzarne antico, in Contribution à l’étude de la Société et de la Colonisation Eubéenne, Centre Jean Bérard, Naples. 1975. p. 69 ss. e tav. Il (sezione schematica attraverso un appezzamento familiare della necropoli). 58 La Rassegna d’Ischia n. 4/2014 zamento familiare. Si può ritenere quindi che il tumulo sia databile en tro l’ultimo decennio dell’VIII sec. e che i cocci sporadici contenuti nella sua lente di terra nera appartengano a un rogo di poco precedente, siano cioè praticamente contemporanei. Il frammento iscritto, che misura 3 x 2,2 cm. con uno spessore di 0,2 - 0,3 cm.. è coperto di vernice rossa uni forme all’esterno e all’interno e non è sagomato. La pasta, di colore rosa, appare uguale a quella consueta del la ceramica di produzione locale fabbricata con l’argilla ischitana, e anche la vernice non si differenzia da quella dei prodotti locali. Con ogni probabilità si tratta di un fram mento della vasca di un piccolo kan tharos uniformemente verniciato, un tipo di vaso da bere caratteristico, ed esclusivo, del protocorinzio antico, molto frequente a Pithekoussai tan to in esemplari originali importati quanto in imitazioni di produzione locale8. Il frammento si adatta per fettamente, per curvatura e spessore, alla parte superiore della vasca di queste tazze, indifferentemente, sia che lo si ponga nel senso in cui l’i scrizione potrebbe essere letta come greca, sia capovolto, come è neces sario per la lettura fenicia9. A conferma che si tratti di caratteri 8 Come E. Garrici, Cuma, Mon. Ant. Linc. 22 (1913). tav. XL.4. L’usanza di apporre iscrizioni graffite su vasi da bere di questo tipo così semplici e poco appariscenti, è attestato altre volte a Pithekoussai: sulla spalla di un frammento di esemplare EPC originale da Monte di Vico (scarico Gosetti) si legge ...]«oio t[|vj; sulla parte superiore della vasca di un frammento di esemplare di imitazione locale dall’abitato in località Mazzola si trova parte di un’iscrizione greca più lunga che doveva girare tutt’intorno al vaso 9 P. Kyle McCarter op. cit. sospetta - sen za conoscenza diretta del frammento - che possa trattarsi della nota classe di cerami ca fenicia e punica con ingubbiatura rossa Questa supposizione, anche se errata nel caso specifico, era peraltro pienamente giu stificata: la terza delle iscrizioni semitiche pithecusane è infatti incisa su un frammen to di tale tipo. semitici nordoccidentali è da ricor dare - e ci sembra questo l’argomen to di maggior peso - che tra i graffiti greci databili nella seconda metà dell’VIII sec. rinvenuti ad Ischia ve ne sono non meno di otto che pre sentano uno o più esemplari della lettera alpha, tutti nella consueta for ma eretta. Di questi almeno due, l’i scrizione più sopra descritta e quella della ‘coppa di Nestore’, sono sicu ramente più antiche del frammento in questione. Appare dunque del tutto inverosimile che verso la fine dell’VlII sec. un greco a Pithekous sai abbia potuto scrivere ancora un alpha ‘adagiato’10. 3. - Il terzo graffito in caratteri semitici è inciso su un piatto im portato di produzione fenicia che si descrive qui di seguito. Piatto. - H. cm. 3,1; diam. (ricostr.) cm. 23,4; largh. tesa cm. 3,55. Un frammento ricomposto da quattro minori che comprende tutta la sagoma, e due frammenti separati. Pasta dura di color ocra-arancione uniforme per tutto lo spessore e all’esterno, smagrita con sabbia a grana molto fine e uniforme di co lore scuro e con rarissimi inclusi di roccia calcarea bianca. Piede a basso disco con piano d’appoggio perfettamente orizzon tale che presenta, a breve distanza dal margine, un’ampia solcatura cir colare a sezione curva; vasca poco profonda; labbro a tesa con il lato superiore leggermente convesso, sul 10 Quando sottoposi 1’apografo dell’iscri zione all’attenzione dì Margherita Guar ducci, all’inizio degli anni “60, il materiale di quella zona della necropoli non era stato ancora ricomposto e meglio classificato e non erano perciò disponibili le indicazioni più precise sull’inquadramento cronologico del piccolo coccio in base ai dati di scavo, ora esposti. Il giudizio formulato dall’esi mia epigrafista: ‘Forse è proprio questa la più antica iscrizione greca alfabetica finora conosciuta’ [Epigrafia greca, I. p. 225 – era quindi fondato unicamente sull’assunto che si trattasse di un alpha ‘adagiato’. Fig. 3- Graffito sotto il fondo del piatto lato interno nettamente distinto dalla vasca con spigolo vivo. Tutto il lato superiore è uniforme mente ricoperto con ingubbiatura color rosso ruggine, levigata e lu cida; il lato esterno della vasca con il piano d’appoggio, privo di ingub biatura, è levigato uniformemente, semilucido, mentre il lato inferiore della tesa presenta cinque linee con centriche levigate con la stecca sul tornio. Sotto il fondo, sul disco centrale di cui è conservata poco più della metà è un graffito da destra a sinistra ese guito dopo la cottura (fig. 3). Men tre l’inizio del graffito è completo, come dimostra lo spazio ampio a destra, resta incerto se continuava o meno con qualche altro segno a sinistra. Indubbiamente si tratta di scrittura semitica nordoccidentale, ma la sua interpretazione rimane per ora incerta. Il pezzo proviene dallo scarico in proprietà Gosetti al margine orienta le di Monte di Vico, un riempimento antico secondario, non stratificato che conteneva frammischiato ma teriale che spazia dalla ceramica dell’età del bronzo (civiltà appenni nica) alla ceramica campana a verni ce nera del II sec. a. C, con prevalen za di materiale dell’VIII e VII sec. La circostanza che aspetto e colore della terracotta e dell’ingubbiatura rossa sono assolutamente identici a quelli della bottiglia fenicia, rinve nuta in una tomba della necropoli di San Montano in associazione con ceramica del protocorinzio antico databile nell’ultimo quarto dell’VIII sec.11 indica comunque che anche questo piatto deve appartenere alla stessa epoca e provenire dal mede simo centro di fabbricazione. I piatti con ingubbiatura rossa rappresen tano una forma molto caratteristica e diffusa della ceramica fenicia del Mediterraneo occidentale, come è stato messo in evidenza da H. Schubart12. Secondo il giudizio di un conoscitore della ceramica feni cio-punica spagnola quale è Pierre Rouillard che ha osservato recente mente il nostro piatto, sembra tut tavia che si possa escludere, per la qualità della terracotta e dell’ingub biatura rossa, una provenienza dalla Penisola Iberica. Dallo studio di Giovanni Garbini, appare che, tra i numerosi graffiti incisi sull’anfora 575 – 1, la parola aramaica, il numerale aramaico su una delle anse, due segni forse alfa betici greci e un altro di significato incerto, si riferiscono al suo uso pri mario di contenitore commerciale e domestico. Altri due segni, di cui uno particolarmente significativo, da leggersi in posizione coricata e ugualmente in chiave semitica, si ri feriscono invece all’uso secondario del recipiente quale contenitore fu nerario. Ciò testimonia quindi la presenza a Pithekoussai, nel terzo quarto del l’VIII sec., di un Arameo che pur conservando la sua lingua e scrittura e l’uso di un simbolo religioso semi tico, è tuttavia integrato nella socie 11 Tomba 545 (n. di scavo 591); G. Buchner, in Metropoli e colonie di Magna Grecia - Atti III Convegno di Studi sulla Magna Grecia (1964). fig. 6. -. J. J. Jully, in «Opuscula Romana». 6. 1968. tav. 1, 2: associato con uno skyphos EPC originale del tipo Thapsos tardo, ossia senza pannello, con vernice uniforme a partire da sotto l’attacco delle anse e di dimensioni ridotte. 12 Vedi in ultimo H. Schubart, Westphönizische Telier., Riv. di Studi Fenici, IV, 2. 1976. pp. 179-196 e tavv. XXV-XXXVI tà della colonia, tanto da seppellire un suo figlio morto in tenerissima età nel mezzo di un appezzamento familiare della necropoli greca e in modo non diverso da quello usato dagli stessi greci. Il frammento di un vaso di fattura locale con un graffito fenicio trovato sporadico nella tomba a cremazione 232 è indizio di un altro semita vis suto a Pithekoussai una generazione più tardi e seppellito col rito della cremazione nella stessa necropoli. Appare improbabile che questi due semiti fortuitamente identifi cabili perché ci hanno lasciato una testimonianza scritta, rappresentino dei casi singoli. Piuttosto si dovrà pensare alla presenza stabile, duran te la seconda metà dell’VIII sec, di un certo numero di asiatici. Se cosi era, la loro residenza doveva essere di reciproco vantaggio, sia per gli stranieri, sia e soprattutto per i greci che li ospitavano nella loro comuni tà. Che si sia trattato, piuttosto che di commercianti, di artigiani-artisti che producevano oggetti di arte orientalizzante per conto dei greci, ci sembra perciò la spiegazione più attendibile13. Giorgio Buchner 13 Per l’ipotesi che Pithekoussai sia stata un centro di produzione e di diffusione di oggetti di stile orientalizzante, e specialmente di oreficerie, vedi G. Buchner, op. cit. sopra n. 7. Contra, F. W. Von Hase, Zur Problematik der frühesten Goldfunde in Mittelitalien, Hamburger Beiträge zur Archäologie V, 2— 1975 (1977), p. 142; le sue opinioni opposte assumono tuttavia minor peso di fronte alle testimonianze ora presentate. Ischia - Castello Aragonese - Cripta Ischia - Castello - Terrazzo della Casa del Sole - Location IFF