Comuni di Arzana, Tertenia, Perdasdefogu Itinerari multimediali pastoralismo del a cura di PROGETTO PIC LEADER PLUS GRUPPO AZIONE LOCALE GAL DELL’OGLIASTRA COMUNITÀ EUROPEA ASSE I Sostegno a strategie pilota di sviluppo rurale dell’area a carattere territoriale integrato MISURA 1.3 “Valorizzazione delle risorse naturali e culturali” AZIONE 1.3.b “Interventi di valorizzazione del patrimonio culturale” INTERVENTO 1.3.b.3 “Itinerari integrati culturali e naturalistici” Ideazione e coordinamento Raimondo Schiavone Ricerche e testi Giampaolo Puggioni Fotografie ed elaborazioni grafiche Navigando srl Hanno collaborato all’opera Romina Mura - Idea snc Stefano Pisano - Idea snc Stampa Arti Grafiche Pisano, Cagliari Un sentito ringraziamento ai pastori che hanno dato anima al lavoro: Costantino Carta, Perdasdefogu Gianfranco Demontis, Perdasdefogu Giggino Demontis, Perdasdefogu Sandro Depau, Tertenia Italo Pinna, Arzana, Perdasdefogu Cirilllo Stocchino, Tertenia Emilio Stocchino, Arzana Severino Stocchino, Arzana Un grazie anche a: Stefania Camedda Alessandra Demurtas Giuseppe Schiavone Roberto Serra Tiberio Serra Presentazione Da diverse stagioni l’Ogliastra si confronta con una tipologia di turismo alternativa: ai soliti appassionati del mare e delle spiagge si aggiungono anche gli escursionisti, desiderosi di battere territori meno conosciuti, ma non meno interessanti nelle loro peculiarità ambientali, storiche ed antropologiche. Grazie alla misura 1.3, relativa alla valorizzazione delle risorse naturali e culturali nell’ambito del progetto PIC Leader Plus, il Gruppo Azione Locale dell’Ogliastra (18 comuni affiliati) punta le sue forze sull’ampliamento e la diversificazione dell’offerta attrattiva. L’opera I sentieri multimediali del pastoralismo ha il merito di aver posto una lente d’ingrandimento sulla fruibilità di un patrimonio rurale incassato tra le aspre valli collinose, visibile anche in prossimità delle zone costiere. Un modo singolare di ampliare le proposte di un turismo sostenibile attraverso la civiltà pastorale, semplificata dalle agiatezze figlie del benessere economico, ma conservatrice di innumerabili note distintive che potrebbero, a breve, diventare patrimonio dell’umanità. Le vie percorse nei secoli dai pastori, specialmente durante la transumanza risorgono non solo grazie alle tecnologie più all’avanguardia (riproduzioni filmate su DVD e totem multimediali) ma anche con la più tradizionale guida tascabile, davvero utilissima per un impatto più deciso con i territori di Arzana, Tertenia e Perdasdefogu. La speranza è che si proceda spediti verso la razionalizzazione dello sviluppo locale, perseguendola con la continua ricerca delle risorse regionali, nazionali ed europee da veicolare verso l’Ogliastra. Giuseppe Loi Presidente Consiglio Amministrazione Gal dell’Ogliastra INTRODUZIONE Sentieri avvolti nella sacralità pastorale La natura, i pastori e le greggi I misteri più fitti delle quattro stagioni possono essere svelati solo dal pastore. È lui che a cavallo dei due emisferi riesce ad interagire perfettamente con la natura: sa come sfidarla, indietreggia se percepisce che la sua supremazia è fuori discussione, le ammicca quando può instaurarci un dialogo vantaggioso. Il pastore, che vive nelle zone scarsamente abitate dell’Ogliastra, non si discosta dal comune modo di agire dei suoi emuli sparsi nei cinque continenti. Conduce la sua singolare esistenza non senza destare la meraviglia del cittadino comune che davanti a tante tribolazioni si arrenderebbe dopo neanche un giorno di permanenza in ovile. A quanti sarà balenato un innocente “ma chi glielo ha fatto fare?” Il dato è acclarato: le vocazioni pastorali diminuiscono sempre più, ma non si estinguono. E i giovani che al giorno d’oggi decidono di condividere letizie e dolenze con animali di varie specie, si fanno notare per un’ammirevole passione, trasmessa dai loro padri. Dallo scrigno magico custodito dai pastori di Arzana, Tertenia e Perdasdefogu è venuto alla luce un lavoro che ha attinto a piene mani dalla cultura pastorale sarda, soffermandosi altresì su porzioni di territori dispensatori di bellezze naturalistiche fuori dall’ordinario. La transumanza su tre itinerari Il momento ideale per conoscere al meglio virtù pastorali e cammini naturali ambientali è senza dubbio il tempo Cime innevate nel Gennargentu arzanese della transumanza. Nei mesi di novembre e di maggio di ogni anno le greggi venivano raccolte per un viaggio che poteva durare anche tre giorni. Ad autunno inoltrato si abbandonavano gli ovili in altura, posti ai piedi delle più alte vette del Gennargentu arzanese, e si prendeva la via naturale più facile per raggiungere mete dal clima sopportabile che, nella fattispecie, si trovavano al confine con il Sarrabus, “verso il mare”. I pastori, aiutati dai servi pastori, con grossi scarponi, coperte d’orbace e pistoccu, all’alba partivano. Da alcuni anni, tempo relativamente breve, il rito dell’uscita (sa essia), secondo una consuetudine consolidata, è stato sopraffatto dall’utilizzo di appositi autocarri, comoda alternativa che ha facilitato il compimento di un’operazione ricca di insidie. La ricerca si dipana seguendo tre itinerari che attraversano in linea verticale una superficie notevole della sub regione ogliastrina. Si è ricostruita la discesa verso sud, tenendo in considerazione sempre lo stesso punto di partenza: il Gennargentu. Nel primo caso la destinazione era rappresentata dai territori arzanesi posti a ridosso dell’agro di Perdasdefogu. Dopo aver aggirato gli ostacoli maggiormente insidiosi del massiccio più grande dell’isola, i pastori s’incuneavano tra aspri sentieri che poi spianavano il cammino verso l’imponente valle del Pardu. Superati i centri di Osini e Ulassai, lambendo anche vecchi sentieri ferroviari, si avvicinavano Veduta di Tertenia verso i suggestivi scenari offerti da Su Pranu e dalla valle di San Giorgio. Entravano in contatto con i mandriani del luogo, stipulando durevoli accordi destinati a creare un clima di serena convivenza e anche di amicizia in una zona storicamente divisa in tante isole amministrative dove furoreggiavano i campanilismi. Nella seconda metà del XV secolo, infatti, la contessa Violante Carroz concesse ai comuni dell’Ogliastra e del Sarrubus il diritto di esercitare l’agricoltura e di tagliare legna. Dopo l’abolizione del feudalesimo le terre del Salto di Quirra vennero ripartite tra le due regioni tenendo conto dell’antico documento. Il secondo itinerario si discosta dal precedente nella sua parte terminale. In questo caso i pastori arzanesi puntavano su Perdasdefogu, ma era solo un luogo di passaggio perché proseguivano verso l’area del Salto di Quirra compresa tra la S. S. 125 e il mare Tirreno. Il percorso numero tre prefigura l’attraversamento di due centri popolosi (Lanusei e Tertenia). La cittadina montana si raggiungeva dall’alto, dopo aver lasciato alle spalle la rigogliosa foresta di Maria Ausiliatrice. La marcia continuava in aperta campagna, prima a stretto contatto con il monte Tricoli e, successivamente, lungo il vertiginoso dedalo di Sa Serra. I transumanti risalivano la china aggredendo la flora di San Paolo e di Genne ’e Crexia, ritrovandosi poi nell’abitato di Tertenia. Da lì, percorrendo l’orientale sarda, era quasi un gioco arrivare nelle campagne di Quirra. Cavalli a Siccaderba (Arzana) Vita dura tra ostacoli e pericoli Riassunta in poche frasi, la transumanza appare di facile esecuzione, quasi una gita naturalistica affrontata gioiosamente dagli impavidi pastori. Ascoltando attentamente i racconti dei protagonisti, si cambia subito impressione: la lunga marcia delle greggi, specie quella autunnale, si tramutava in un percorso irto di trabocchetti e tracimante di imprevisti. La prima fatica si palesava con il raduno delle bestie. Non era facile tenerle tutte sotto controllo; capitava, infatti, che le stesse prendessero la via dello svernamento autonomamente, vogliose di trovare al più presto un habitat più confacente. Importante era anche stabilire la località ideale per la raccolta del latte. Di solito si faceva un’unica sosta: i luoghi deputati alla mungitura erano gli spazi adiacenti alla stazione ferroviaria di Villagrande Strisaili o quelli che lambivano la vecchia stazione di Jerzu costruita con “contenetti” di granito. La consuetudine prevedeva un atto di cortesia nei confronti degli amici che abitavano nei centri varcati dai pastori. Il latte approvvigionato si regalava a più persone: un segno di riconoscenza per tenere stretti e sinceri i rapporti con le altre comunità. I cammini dei pastori seguivano principalmente il tracciato stradale, almeno per gran parte del viaggio, indirizzando il bestiame in modo da evitare danni alle colture. Non tutto il patrimonio ovino e caprino si accompagnava a valle: la priorità era per le bestie gravide che avrebbero figliato nel giro di poche settimane. Le femmine pregne dovevano essere trattate con il massimo riguardo per evitare spiacevoli epiloghi che avrebbero compromesso i guadagni di un’intera stagione. Solo nei mesi di gennaio o di febbraio il resto delle greggi, composte dalle femmine giovani e da quelle non ancora fecondate (bagadias), si ritrovavano a pascolare nei pressi dell’ovile invernale. Le date dei parti si calcolano tenendo conto delle festività pasquali e natalizie: è in questi due distinti periodi che la richiesta di carni cresce in maniera esponenziale. Il pastore si piega a qualsiasi volontà, pur di non trovarsi impreparato alle importanti scadenze. “Ne succedevano di cotte e di crude” In quei due, tre giorni di spostamenti, per usare le testuali parole di un allevatore di Arzana, “ne succedevano di cotte e di crude”. I ricordi più nitidi sono legati principalmente ai mutamenti climatici o ai fenomeni dell’abigeato. Se si voleva tagliare il traguardo in assoluta tranquillità, al pastore dovevano affiancarsi due o più collaboratori. Sei occhi sono meglio di due, soprattutto nel bel mezzo della notte quando la stanchezza può giocare brutti scherzi. I ladri di bestiame agivano soprattutto all’imbrunire: se il colpo riusciva, il legittimo proprietario andava alla ricerca della refurtiva, comportandosi come il più esperto degli investigatori. Anche in questo caso si intrecciavano solide collaborazioni con i pastori del posto. A Tertenia e a Perdasdefogu, paesi in cui la transumanza si riduceva a brevissimi spostamenti, questo reato era abbastanza diffuso. Nella ricerca degli animali si coinvolgevano parecchie persone. Gli esiti potevano essere diversi: a volte il legittimo proprietario riabbracciava il maltolto, a volte si rassegnava perché i manigoldi mostravano abilità non comuni nel far perdere le loro tracce. Atmosfere da ecatombe si vivevano nel bel mezzo di un’alluvione, di un temporale o di un’abbondante nevicata. La preoccupazione maggiore era preservare l’incolumità delle bestie, portandole in salvo presso ricoveri estemporanei. Con il senno del poi, richiamando alla memoria le fasi più convulse di uno spostamento praticato anche per quarant’anni, i protagonisti si dicono stupefatti per il modo in cui affrontavano a viso aperto le insidie della natura. In situazioni disperate, con le tenebre che avevano ormai accerchiato il campo visivo e reso impraticabile il cammino, riuscivano a procedere senza l’aiuto di una torcia: si appellavano ad un istinto che raramente li tradiva. Uno stile di vita che non smette di affascinare La giornata del pastore sembra non finire mai. Agli albori del ventunesimo secolo c’è chi si alza alle quattro del mattino per mungere un gregge di vaste proporzioni. Una volta finita la mungitura e raccolto il latte, qualcuno continua ancora, secondo la tradizione, nella produzione di formaggi saporiti, di ricotta, di casu ageru, di casu ’e mattula che puntualmente riscuotono i consensi del consumatore. Nonostante sia circondato da centinaia di capretti, riconosce a colpo sicuro le rispettive mamme che vengono chiamate in causa per le poppate quotidiane. Quella dell’allattamento è una pratica da osservare con dedizione assoluta. Attualmente sono davvero rari i pastori in grado di distinguere le madri dei piccoli, altri non si mettono molti problemi e si affidano al caso, suscitando l’ilarità e lo sprezzo dei colleghi più rigorosi. Alcuni pastori chiamano ancora per nome le loro pecore o capre. Quando la capanna era l’unico rifugio a disposizione del pastore, bisognava ritagliare del tempo da dedicare alla sua manutenzione. Da allevatore si trasformava in architetto o in manutentore. Il coro è quasi unanime: i materiali più indicati nella costruzione delle tradizionali barraccheddas erano le pietre e le frasche. Con le prime si innalzava un muretto a secco dalla forma circolare che costituiva la base, con le seconde si provvedeva alla sua copertura. Il ginepro era il legname più indicato, ma se la zona ne era sprovvista, ci si affidava ai materiali disponibili nei paraggi. I più ostinati, non potendo fare a meno del ginepro, andavano alla sua ricerca, allontanandosi anche per diversi chilome10 Caratteristico pinnetto del Gennargentu tri. A quel punto sorgeva il problema di come trasportare le fascine. Per facilitare le operazioni, qualcuno si serviva di una rudimentale slitta, realizzata sul momento, che poi si faceva scivolare lungo il costone della montagna. L’essenza del pastoralismo resiste agli attacchi dell’innovazione I decani della pastorizia non nascondono come l’attività si sia semplificata con l’arrivo delle “diavolerie” figlie del benessere economico e della tecnologia. La diffusione dell’automobile e dell’autocarro, associata anche all’introduzione della corrente elettrica negli ovili più decentrati, ha alleviato tante sofferenze. Grazie ai contributi regionali le stalle sono state potenziate e rese più decorose. I latticini si lavorano anche la notte. Munito di cellulare, il pastore dialoga più facilmente con l’esterno: i clienti prenotano tranquillamente latte e formaggi e concordano il giorno della compravendita. In virtù di questi accadimenti, anche la transumanza a piedi è diventata un lontano ricordo: le bestie si accompagnano su un camioncino e nel giro di 11 Nuraghe Ruinas poche ore si ritrovano a girovagare tra gli erbai dalle temperature meno rigide. La modernità non è riuscita però ad offuscare l’immagine candida del pastore che da secoli si confronta con la natura. Da tempi immemorabili, specie nella zona del Gennargentu, si sostenta e sviluppa la sua civiltà attraverso l’allevamento e tutto quello che gli studiosi del fenomeno chiamano appunto pastoralismo. Alla base di queste teorie vi è una civiltà forte, intrisa non solo di spazio costruito e di economia, ma anche lingua, sapere e gli inevitabili problemi correlati. I pastori rivelano regolarmente la volontà di rimanere a stretto contatto con le montagne, in un territorio dove abbondano monumenti e oggetti facenti parte di un tesoro inestimabile da salvaguardare, anche con l’incentivazione turistica. Ma senza la cultura che lo ha prodotto, e che continua a mantenerlo in vita in un coerente processo evolutivo e dinamico, tale patrimonio, tangibile e non, rischia di rimanere vuoto. Nei paesaggi che caratterizzano l’entroterra e le zone costiere dell’Ogliastra, tracce inconfutabili di pastoralismo sono state lasciate dai transumanti che dal mare alla montagna, hanno modellato dei sentieri per assecondare i bisogni più impellenti. Interpreti dalla mentalità duttile, esperti nel convivere tra pieghe e interstizi, si sono dimostrati abili nell’uso delle aree marginali, dei pascoli poveri, del pendolo delle stagioni, fra l’alta collina, la pianura, le valli, le alture. 12 Andiamo attraverso gli antichi sentieri della transumanza! Sui sentieri della transumanza che invitiamo a perlustrare con il piglio dell’esploratore più incallito, l’essenza del pastoralismo si respira a pieni polmoni. Antiche mulattiere, combinate con le più moderne arterie automobilistiche, mettono in contatto due realtà ben definite, is coilis de ierru (gli ovili invernali) con is coilis de eranu (gli ovili estivi). I tre comuni coinvolti nella realizzazione del progetto avvertono la necessità di conservare questo tipo di tradizioni ma allo stesso tempo vogliono, con tutte le loro forze, risaltarle e valorizzarle come elemento trainante per il futuro sviluppo. Le amministrazioni di Arzana, Perdasdefogu e Tertenia si sono ritrovate non casualmente nell’elaborare delle strategie che vanno oltre i soliti piani di attrazione del viaggiatore o turista. Nei loro territori sono tanti i siti dove l’intervento dell’uomo, nel corso dei secoli, è stato minimo ma percettibile. Si parla di terre tutt’altro che incontaminate, dove proprio il lento calpestio dei pastori e degli animali è stato essenziale per creare dei varchi in mezzo alle sterminate espressioni della flora. Verso la prima quindicina di novembre cominciava il rito che nella lingua dei padri viene denominato tramuda o sa essìa. Si parte dalle antichissime rovine del villaggio di Ruinas, nel cuore del massiccio del Gennargentu, e si scende gradatamente verso le zone dove la temperatura è più affabile. Lo scopo del lavoro è dare un vistoso rilievo a questi tragitti che hanno richiamato l’interesse di studiosi e appassionati dell’entroterra sardo. Il modus vivendi, le sfaccettature e i segreti di chi ha deciso di trascorrere gran parte della sua vita a contatto con un ambiente mai statico, “esente dalle cadute in prescrizione”, ha le carte in regola per coinvolgere il turista dal palato fine, quello che agli ombrelloni e ad una permanenza ostinata sulle coste vuole alternare esperienze di qualità. Chi decide di intraprendere tale percorso turistico-culturale ha a disposizione un valido strumento di comprensione delle meccaniche esistenziali autoctone, scenograficamente lontane anni luce da quelle che caratterizzano gli universi metropolitani. 13 14 1 ITINERARIO 1 Gennargentu, Sa Modditzi, Baccu Nieddu, Osini, Ulassai, Perdasdefogu Dal tetto dell’isola La Sardegna non può vantare rilievi dalle sagome imperiose, ma nel suo piccolo si accontenta dell’aria fresca, purissima e frizzante che si respira tra i costoni del Gennargentu, il massiccio più rappresentativo della regione. Il versante orientale dell’antico sistema montuoso è sottoposto alla giurisdizione del comune di Arzana. Non a caso le poche persone che popolano le immense vallate dalla natura variegata sono i pastori, affiancati dalla loro consistente dote di bestiame. È da queste postazioni dai colori vivaci, da questi silenzi e solitudini, dove l’esaltazione della flora registra delle piacevoli impennate d’orgoglio, che si dava inizio alla transumanza. Con l’arrivo dell’autunno c’era già il rischio che la neve cominciasse a rendere impraticabile il territorio e a quel punto le operazioni di svernamento dovevano essere velocizzate. Nel Gennargentu arzanese sono tante le combinazioni ambientali, umane ed archeologiche. L’acqua è un’altra componente essenziale: si esprime con ricche fonti, o attraverso mormoranti e limpidi torrenti e spettacolari cascate che sezionano l’intera zona in lungo e in largo fino a riunirsi in località Frumini, dando vita al fiume Flumendosa, uno dei più significativi della regione, il terzo per lunghezza (127 km). 15 Le profonde vallate del Gennargentu Le montagne d’Ogliastra: ambiente - archeologia In tema di itinerari naturalistici ce n’è davvero per tutti: dal trekking all’equitazione, dalla mountain bike alle normali escursioni. Qualsiasi ipotesi sarà l’ideale per adocchiare delle visuali sempre diverse. Come le testimonianze storiche, reminiscenze di una civiltà antica che abitava luoghi impervi e quasi inaccessibili, ultimo baluardo della resistenza agli invasori provenienti dalla costa, a partire dai Fenici, che segneranno le travagliate vicende della nostra isola. E a questo proposito non si può non parlare del villaggio nuragico di Ruinas, posto a milleduecento metri d’altitudine, in cima alla collina di Mesu Serra. Attualmente sono individuabili i ruderi di circa duecento capanne di pianta circolare, costruite con blocchi irregolari. Si narra che a causa di una terribile pestilenza gli abitanti scesero più a valle, dando vita ad un nuovo nucleo abitativo, Preda Maore, che ora fa parte dell’abitato di Arzana. A nord svetta il nuraghe Ruinas, composto da una monotorre di pianta circolare con uno spazio aperto davanti all’ingresso. Due tombe dei giganti, situate alla periferia del villaggio, completano uno scenario di grande valenza storica. Da qui Punta La Marmora (la vetta del Gennargentu, 1834 metri) dista “appena” due ore di cammino. Ci si può arrivare con un fuori strada, da sfruttare, però, solo per alcuni chilometri. La fontana circondata da un prospero bosco 16 d’ontani, segnala che l’ascesa si potrà imboccare solo a piedi. Il punto di svolta del percorso è rappresentato da Sa forà ’e ’r degiotto (valle dei diciotto), splendido valico quasi al confine col territorio di Desulo. Deve il nome ad un fatto, sulla cui attendibilità non si è mai trovato un riscontro storico: pare che in seguito ad una battaglia campale tra arzanesi e desulesi, proprio in questa valle, persero la vita diciotto persone. La scarpinata si rivela assai impegnativa, la salita è più ripida ma gli sfondi restano sopraffini. Arrivati a Sa preda ’e sa muvra (la pietra della mufla) si percorre la cresta della montagna fino alla croce in acciaio che indica il tetto della Sardegna. Qui il vento soffia senza soste e miscela vocii e silenzi di una cima dalla quale si può ammirare tutta l’isola. Un interessante percorso naturalistico è stato tracciato dai volontari della proloco Siccaderba di Arzana e dagli operai dell’Ente Foreste. Si parte rigorosamente a piedi da S’Arcu de Aradorgiu, località situata a due chilometri di distanza dal letto del Flumendosa, e da Frumini, il punto in cui nasce il corso d’acqua. Si imbocca la strada asfaltata che, a sinistra, dopo aver superato il ponte sul Flumendosa, sale in direzione di Ruinas. Il sentiero si inerpica lungo la valle di Su Fumu, guadando ruscelli, superando intriganti cascate e verdi prati maculati di peonie e ciclamini. Un fitto e florido bosco di lecci si dirada solo in corrispondenza dei Gennargentu, la natura e la neve 17 1 fiumi, che scendono copiosi lungo l’intero percorso, dove crescono anche gli ontani neri. Particolarmente interessanti e pittoreschi sono i ginepri delle mini radure che il percorso divide simmetricamente: sono le uniche zone in cui il sentiero si ingentilisce leggermente. Nell’ultima parte del tragitto la salita accresce gradualmente, seguendo come un’ombra il corso del fiume s’Orrulariu: qui la vegetazione è leggermente più rada. Il bosco lascia spazio ad una macchia mediterranea alta con eriche, corbezzoli e bellissimi ginepri che si estendono fino ai piedi di sua maestà Silixi ’e Perreddu. Un leccio di ciclopiche dimensioni riduce le reali connotazioni delle querce secolari circostanti, al punto da farle sembrare dei bonsai. L’estensione della chioma ne ha fatto nei secoli un ottimo rifugio per gli animali della montagna, e il bestiame lo ha spesso usato come meriagu (ombreggio). Le varietà arboree: salute, aromi e terapie Il Gennargentu conserva intatte le sue qualità selvagge, grazie anche alla ricca presenza di specie vegetali. I prati a timo s’incontrano oltre i milleduecento metri . Dalle foglie bollite si ottiene un decotto molto amaro che stimola l’appetito, ma può essere incisivo per scacciare i disturbi dell’apparato digerente o placare le insidie di raffreddori e influenze. Le foglie non staccate dai rami impedivano che il formaggio fosse facile preda dei vermi; il timo, infine, viene decantato come gradevole deodorante. In quest’ambiente trova il suo humus ideale l’elicriso, pianta dal profumo intenso che somiglia a quello della liquirizia, e poi la santolina e altri arbusti aromatici. Nella zona di Tedderieddu cresce il tasso, albero capace di ridare la vita grazie alle sue benefiche proprietà, specie nella cura di alcune forme tumorali. Quelli che trovano dimora nel territorio arzanese sono i più antichi in Europa. Verso i mille metri di altitudine si riconoscono alcuni esemplari di roverella, a rischio d’estinzione dopo il loro intenso utilizzo per la costruzione delle limitrofe strade ferrate. Regine incontrastate del Gennargentu sono la genziana e la peonia. La prima è una pianta robusta che raggiunge anche i quaranta centimetri: cresce lentamente ma può 18 arrivare ai sessanta anni di vita. Ha fiori di colore giallooro peduncolati con corolla stellata, riuniti in fascetti che fioriscono in primavera. Usata soprattutto nelle febbri da malaria, la sua radice viene messa a macerare in acqua per diversi giorni. Lo sciroppo prodotto con l’aggiunta di piccole dosi di zucchero, veniva somministrato la mattina, ma in alcuni casi particolarmente gravi si ingeriva tre volte al giorno. Efficace anche nella cura del mal di denti e dell’anemia, in tanti ne esaltano le sue qualità digestive. Altro vegetale che predilige i pendii del sistema montuoso più alto della Sardegna è la peonia. Pianta erbacea perenne non supera i sessanta centimetri, diventa sovrana incontrastata tra aprile e maggio, non a caso è diventata simbolo della Sardegna nelle rassegne turistiche internazionali. Greggi e binari: un idillio Lasciate le sinuose ed accattivanti sinergie del Gennargentu, il pastore scendeva gradatamente a valle, avendo come punto di riferimento costante la singolare protuberanza calcarea, alta 1293 metri nota come Perda Liana. Superate anche le gradevoli atmosfere lacustri dell’invaso artificiale Alto Flumendosa, le greggi venivano indirizzate verso la località Sa Modditzi. È qui che nasce un primo contatto con la strada ferrata: a partire dalla seconda metà del 1800, quando venne completata la linea Mandas-Arbatax, essa, per alcuni tratti, prendeva simbolicamente per mano il Espressione della flora del Gennargentu 19 1 Ricovero locomotori della vecchia stazione di Jerzu pastore. Nel 1885 si comincia a parlare di nuove linee ferroviarie grazie all’approvazione del Regio Decreto per la concessione della costruzione e dell’esercizio delle strade ferrate secondarie nell’isola di Sardegna. Viene poi espletata la gara internazionale alla quale partecipa anche la Compagnia Reale (le future FS) con progetti dell’ingegner Benjamin Piercy, ma i lavori vengono affidati alla Società Italiana per le Strade Ferrate Secondarie della Sardegna (SFSS) sotto la direzione degli ingegneri Cottrau e Marsaglia. I cantieri adibiti alla costruzione delle numerose tratte si fanno notare non solo per l’eleganza e la qualità architettonica del progetto ma anche per la velocità dei lavori che vengono consegnati con forte anticipo rispetto alla data prestabilita. Uno dei problemi da affrontare fu quello delle maestranze e del personale tecnico specializzato da reclutare. Mancavano i muratori in grado di mettere in pratica le progettazioni avveniristiche: ponti in montagna, grandi edifici e altre costruzioni necessarie (stazioni, case cantoniere, ecc). Per la loro realizzazione vennero chiamati dalla provincia di Caltanisetta abili capimastri che, oltre a svelare i segreti della professione, decisero di restare nell’isola. In virtù della loro indiscussa esperienza, si diffusero nuove concezioni, che rivoluzionarono il comune modo di operare nell’ambito edilizio. Tra le reti costruite in quel periodo, la Mandas-Arbatax è 20 senz’altro la più bella per il serpeggiare del tracciato che cinge montagne, vallate e boschi immergendosi in visuali naturali di notevole avvenenza e magnetismo. Inaugurata il 20 aprile 1894, è lunga quasi 160 Km. Percorrendo il tracciato si contano 160 sottopassaggi, 831 piccoli ponti e 22 gallerie. Dal 1997 la linea funziona come servizio turistico solo nella stagione estiva: è stata la prima ad essere inserita nel progetto “trenino verde”. La dolce malinconia delle cantoniere diroccate lungo l’antico sentiero di Jerzu La marcia dei transumanti continuava nei territori di Gairo Sant’Elena, tra cui S’Arcu Enna e Baccu Nieddu. Ai loro occhi si apriva d’incanto la profonda valle del Rio Pardu, riconoscibile per l’estensione delle sue scarpate che raggiungono dislivelli impressionanti. Con l’ausilio della rete stradale, il bestiame veniva scortato per la vie principali di Osini, poi si immetteva nei sentieri in terra battuta che fino al 1956 sorreggevano i binari del tronco Gairo Taquisara - Jerzu, inaugurato il 16 novembre del 1893. I nostri audaci condottieri approfittarono del sentiero ormai spogliato dalle rotaie per procedere con più facilità nella marcia verso sud. Lungo il vecchio percorso ferroviario sono ancora presenti i resti delle caratteristiche case cantoniere e tutte le altre opere che furono realizzate di contorno. Si confonde con il resto del centro abitato anche la sbiadita stazione di Osini - Ulassai che venne edificata nella parte alta. La linea scendeva dolcemente fino all’attiguo comune, Ulassai, reso famoso dalle grotte di Su Marmuri, che veniva attraversato dal basso. Infine si giungeva alla stazione di Jerzu, capoPanorama di Ulassai 21 1 I singolari tacchi ogliastrini linea per i treni ma non per le greggi, anche se la meta si avvicinava sempre di più. Nel 2006 l’antico luogo di attesa, ricadente nel territorio di Ulassai è stato completamente ristrutturato per lasciare spazio ad un museo che non a caso prende il nome di “Stazione dell’Arte”. In questi anni non sono mancate le iniziative volte al recupero dei tracciati un tempo regni incontrastati di sbuffanti caffettiere (così erano dette le locomotive a vapore). L’intenzione è di trasformarle in strade ciclabili, proprio come è già successo in Spagna con le Vias Verdes, ottenute mediante il recupero di altrettante linee ferroviarie abbandonate. Un tacco tira l’altro e poi Perdasdefogu “foghesu” I sentieri pastorali potevano contare anche sulla poderosa presenza dei caratteristici tacchi, i torrioni appena spruzzati di macchia mediterranea. Sono loro ad aprire gli orizzonti verso l’ambito obiettivo. La stupefacente espressione dell’orografia ogliastrina si può apprezzare già da Sant’Antonio, dove l’omonima chiesetta viene letteralmente rapita da una verdeggiante pineta. Ma le ineguagliabili pareti rocciose, luogo di ritrovo per ardimentosi freeclimbers, si spingono fino alle aspre diramazioni di Serra Longa. La visione del Monte Codi e della sua postazione radar, avvertiva il pastore che Perdasdefogu era ormai alle porte. 22 Conosciuto anche con il nome di Foghesu, il paese si trova a 599 metri di quota e confina con il Sarrabus, il Gerrei e la zona di Quirra. Due sono le tesi sull’origine dell’abitato. La prima si riferisce ad una visita di alcuni missionari che tra i secoli VII e VIII avrebbero introdotto la dottrina cristiana consacrando ad un santo anche un sito di culto pagano come il nuraghe Santu Pedru. L’altra versione fa supporre che la nascita di Perdasdefogu risalga a dopo il 1500 d.c: il primo documento che ne attesta con sicurezza l’esistenza si riferisce al diploma di allodio concesso da Ferdinando II di Aragona alla Contessa di Quirra Violante Carroz. Il paese enumera quasi 2500 anime. L’Aeronautica militare italiana iniziò nel 1956 la costruzione del Poligono di Armamento Aeronautico proprio a Perdasdefogu. La comunità si è giovata della presenza dei militari, perché un gran numero di senza lavoro, nel corso degli ultimi decenni, ha potuto trovare una sistemazione, seppur temporanea. L’arrivo di tante persone ha favorito il vivace scoppiettio di attività commerciali: gli stessi abitanti ricordano i tempi andati asserendo che “sembrava di essere a New York”. Geometrie di vite essenzialmente agro pastorali Il suolo è reso appetibile dalle peculiarità geologiche e botaniche, ma anche dai numerosi insediamenti pre nuragici Funtana ’e susu, Perdasdefogu 23 1 e nuragici. Nei sentieri che lambiscono la Cape Canaveral versione quattro mori non è difficile farsi aggiogare dai boschi di querce, dai macchioni di cisto e ginestre. Qui, come anche nel resto della regione, si ripristinava l’alternanza biennale tra i seminativi a frumento (il vidazzone) e il maggese (il paberile), che dividevano quasi simmetricamente il territorio del paese. Su Pranu e il rio Flumineddu compongono il binomio più esaustivo della sintesi ambientale di Perdasdefogu. Nel primo caso ci si riferisce al classico esempio di altipiano, che indica la regione dal Salto di Quirra, intesa nella sua vastità. Quanto al Flumineddu, deve la sua importanza perchè nobile affluente del Flumendosa per lunghezza e portata d’acqua. Viene chiamato S’Erriu, meno frequentemente S’Erriu Mannu (il fiume grande). Nonostante tutta la zona fosse percorsa dai pastori che, da Arzana e Villagrande, si recavano in transumanza nel salto di Quirra e Alussera, gli abitanti di Perdasdefogu non muovevano molto oltre il loro raggio d’azione, secondo un pendolarismo che la documentazione storica mostra consolidato nel tempo. I pastori, ancora nel secolo scorso, non operavano spostamenti esterni al territorio comunale, ma frequentavano prevalentemente le vallate poste tra i duecento e i seicento metri sul livello del mare, alla ricerca della migliore soluzione, attinente al microclima e al ciclo di rinnovo della vegetazione spontanea. All’interno dell’abitato merita di essere visitata la chiesa dedicata a San Sebastiano. Di epoca compresa tra il X e il XII secolo, è stata sottoposta a restauro. A tre navate, sotto i suoi intonaci custodirebbe un numero imprecisato di dipinti di grande pregio e fattura. Un parco chiamato “Bruncu Santoru” Sono parecchi gli itinerari tracciabili sul territorio di Perdasdefogu. Consentono di visitare località di alto valore naturalistico, tra boschi millenari che celano sonanti ruscelli da passare a guado o cascate dagli elevati indici di trasparenza, senza contare le aree dotate di belvedere da cui si ammirano paesaggi di splendore arcaico, forgiati da una natura senza tempo e da una cultura pastorale che da queste parti non viene mai scalfita. 24 Quelli disegnati a monte del paese, nella parte sud occidentale del territorio, nell’area del Parco di Bruncu Santoru, sono decisamente i più affascinanti. Fiore all’occhiello della comunità foghesina, si estende per circa quattrocento ettari, pari al cinque percento della superficie territoriale di Perdasdefogu e viene parzialmente utilizzato a pascolo. La restante area, frazionata in tanti piccoli appezzamenti, è appannaggio dei privati che la sfruttano per le coltivazioni, per lo più orti e frutteti. Nella continuazione naturale del bosco di Santa Barbara, conosciuta con il nome di Is Tapparas (i capperi), si incontrano le fratture (Is Breccas), mentre spostandosi verso est ci si imbatte nello sperone di Bruncu Santoru, imponente parete rocciosa che supera i seicento metri d’altitudine, formata da scisti arenacei e porfidi del paleozoico. Più al centro non possono non destare interesse le singolari frane di Su Perdosu, prive di vegetazione ma decisamente fuori dal comune se si analizzano le correlazioni legate alla morfologia del terreno: appaiono, infatti, come cime isolate in pietra che si elevano solenni, mettendo a dura prova i codici gravitazionali. All’interno di quest’area è presente un monumento megalitico nuragico, Su Prediargiu, affidato alle preziose cure degli archeologi della Soprintendenza. È un’ opera in tecnica ciclopica, a blocchi poligonali di porfido di varia pezzatura, rinzeppati di pietrame minuto. Ha pianta ellissoidale e svetta su uno sperone roccioso a picco sul rio Su Luda. 25 1 26 2 ITINERARIO 2 Gennargentu Valle del Pardu - Valle di San Giorgio: la variante del Salto di Quirra Primo comandamento: non infastidire gli automobilisti A partire dalla seconda metà degli anni sessanta, la percentuale di automobili presenti sul suolo ogliastrino subì un aumento vertiginoso. Le utilitarie si riversarono nei tronconi viari più importanti, tra cui la S.S. 125 Orientale Sarda che a quel punto divenne off limits per i transumanti arzanesi intenti a raggiungere le campagne del Salto di Quirra. Prima che il fenomeno delle lamiere vaganti dilagasse irrimediabilmente, i pastori calcavano i sentieri che saranno descritti attentamente nel prossimo capitolo. L’alternativa fu quella di attraversare la valle del Pardu, nella maniera che abbiamo già diffusamente trattato. Una Veduta della marina di Sarrala, Tertenia 27 L’inconfondibile bellezza del ginepro 28 volta giunte a Perdasdefogu, le greggi venivano dirottate verso il basso, fiancheggiando la vecchia strada militare (da diversi lustri aperta al pubblico) che attraversa Quirra fino a raggiungere la statale che collega Cagliari alla Costa Smeralda. Un salto a…Quirra, dove il cemento non è di casa Quella del salto è una superficie caratterizzata dalla bassissima densità della popolazione. Nella sua estensione che si concentra nel raggio di trenta chilometri quadrati, predominano i paesaggi di natura montuosa. Il rilievo più alto è il monte Cardiga (676 m.). La destinazione è sempre stata appetibile per i pastori del Gennargentu alla ricerca di temperature ideali e di terreni adibiti al pascolo. Il secolare via vai registrato in questi circuiti pastorali, è servito a stringere un legame molto forte fra la popolazione dell’alta Ogliastra e quella del confinante Sarrabus, anche se ad onor del vero, in passato si sono susseguite delle furibonde schermaglie sfociate anche in sanguinosi conflitti. Dominata dalla presenza della tipica macchia mediterranea, l’area si è fatta conoscere per le numerose grotte e le sorgenti, spesso a carattere stagionale che alimentano cascate di alto profilo scenografico. Non è semplice avventurarsi per gli antri più intricati di Su Pranu. L’ideale sarebbe raggiungerli a bordo di un fuoristrada e magari in compagnia di chi quei luoghi li conosce come le sue tasche. I pastori mostrano un’innata capacità nel circuire in scioltezza le immancabili trappole di cui è disseminata l’intera zona. Assieme ai contadini sono i soli abitanti che da questa vasta area riescano a seguire con attenzione il corso dei tanti ruscelli che improvvisamente si tuffano nelle spettacolari cavità chiamate Is angurtidorgius, gli inghiottitoi. Speleologi di attestata esperienza sono riusciti ad addentrarsi in profondità, ma ai profani sarebbe sufficiente ammirare dall’esterno queste sconvolgenti incavature che si infilano di prepotenza nel cuore di un conturbante sistema roccioso. Nella stagione estiva, in sostituzione delle spiagge, venivano prese d’assalto dai giovani di Perdasdefogu. La peculiarità dei is angurtidorgius è che dopo essersi incuneati nelle viscere della terra, affiora29 2 no nuovamente alla luce del sole, circondati dalla macchia alta o dalle immancabili propagazioni cistose. I profili più intimi della valle di San Giorgio La valle di San Giorgio si esprime essenzialmente tra queste concrezioni. Il fiume omonimo la penetra dando un ulteriore tocco di classe ad una cartolina rupestre dalle infinite estrinsecazioni. Vagando tra percorsi alberati e visioni paesaggistiche che inorgogliscono l’animo umano, l’immenso spazio conserva anche preziose testimonianze del tempo che fu, come nuraghi, tombe dei giganti, e i ruderi di una chiesa cristiana. Le mulattiere che percorrono la valle misteriosa si fanno subito riconoscere per via delle loro pendenze quasi proibitive. I dislivelli che si formano lasciano col respiro ansante i visitatori dalla facile impressionabilità: possono raggiungere un’ampiezza anche di duecento metri. Il tratturo di Sa Scala de sa Contissa, ormai impercorribile, è forse quello che ha alimentato la nomea di una zona impervia, pericolosa ed infausta. Era un passaggio cruciale trafficato dai pastori ma anche dagli antichi signori spagnoli proprietari del Castello di Quirra. Prende il nome dalla contessa Violante Carroz sul cui conto circolano alcune leggende. Si dice che quando la nobildonna si trovò a percorrere l’angusto sentiero a bordo della sua carrozza venne colta da una crisi di panico proprio nel punto più critico, caratterizzato da uno strapiombo davvero rabbrividente. Le conseguenze furono drammatiche al punto che morì di crepacuore. La tradizione orale ha offerto anche un’altra versione della tragedia. Pare che il conte di Mandas rimase colpito dalla sua straordinaria bellezza e la domandò in sposa. La sensuale Violante, nonostante aborrisse il matrimonio, si manifestò favorevole. Ma ad un patto: che il conte andasse a prelevarla con un cocchio trainato da quattro cavalli bianchi. Lei era convinta che mai e poi mai il nobile trexentino sarebbe riuscito nell’impresa, considerato che la strada di accesso al castello di Quirra era pressoché inaccessibile. Ma qualche giorno dopo il conte innamorato riuscì nell’intento e all’esterrefatta discendente dei Carroz non rimase altra scelta: partire a malincuore per Mandas. Lo sconforto fu talmente grande che giunti in località Sa 30 Scala de Sa Contissa il suo cuore non poté resistere alla forte delusione: morì fra le braccia dell’innamorato. Due modi di concepire l’archeologia. Castelli e miniere nell’agro villaputzese La figura di Violante è strettamente legata dunque alla fortezza che sorge sul monte Cuidas, in territorio di Villaputzu, ben visibile anche dalla strada statale. Il Castello di Quirra, ebbe un ruolo assai rilevante nella storia del territorio di Villasimius - Carbonara fino al 1862. Fatto costruire dai giudici di Cagliari nella metà del XIII secolo fu concesso in feudo alla famiglia Carroz nel 1363. La sua storia venne ben presto a legarsi con quella del piccolo villaggio di Carbonara, facente parte dei numerosi possedimenti di quei potenti signori. Il vincolo si tramandò fino alla seconda metà del secolo scorso, quando l’ultimo feudatario, il marchese di Quirra, ne vendette i diritti. La porzione di territorio più meridionale del Salto di Quirra conserva i ruderi della miniera di Baccu Locci. Siamo sempre nel territorio di Villaputzu, a pochi chilometri dalla SS 125. Gli scenari che la zona riserva sono ovviamente di altri tempi e favoriscono i ricordi di un villaggio che nei periodi di sfruttamento più intenso accoglieva centinaia di lavoratori. Le zone edificate si concentrano in due zone, separate da un dislivello di quasi duecento metri. L’area più bassa ospitava la laveria e gli altri stabili utilizzati come officine, depositi e amministrazione. Comunicava con l’agglomerato nord, la zona dei cantieri, attraverso un sistema di teleferiche. Il territorio di Baccu Locci venne sfruttato sin dall’ottocento per la presenza della blenda e della galena. Successivamente furono due professionisti francesi ad incentivare l’attività estrattiva, specie nel cantiere Santa Teresa, dove si individuarono giacimenti di rame, argento, arsenico, ferro e antimonio. Nel 1938 fu il turno della Rumianca che si interessò agli impianti per la presenza di arsenopirite, assai gradita dal comparto chimico. Venne avviata una decisa politica di rinnovamento, più incisiva nel dopoguerra, grazie anche ai finanziamenti statali. Ma il sogno per gli operai durò troppo poco: nel 1965 la Rumianca rinunciò alla concessione. L’intera area è da tempo un forte richiamo per i turisti. 31 2 32 3 ITINERARIO 3 Gennargentu - Arzana Lanusei - Genna ’e Crexia Tertenia - Quirra Arzana, la culla del pastoralismo L’entroterra ogliastrino si mantiene interessante da qualsivoglia direzione lo si intenda esplorare. Sembra quasi inutile, quindi, rimarcare come le attrattive contemplate nel terzo itinerario offrano spunti altrettanto validi per accontentare i bisogni dei naturalisti più esigenti. Nella fattispecie la marcia verso sud dei pastori arzanesi, una volta superati i cromatismi più sfrenati del Gennargentu, si ammorbidiva lungo il tratto stradale che dalla stazione ferroviaria di Villagrande Strisaili conduce a Lanusei. La mandria seguiva così il suo andamento spedito, agevolata anche da un percorso che non riservava particolari asperità. Il centro abitato di Arzana non era incluso nella traiettoria disegnata dai pastori, ma è doveroso soffermarsi in una cittadina che custodisce usi, tradizioni e possedimenti Il centro abitato di Arzana 33 Il porto di Arbatax visto dal Monte Idolo, Arzana storici di grande interesse. Senza tralasciare i misteriosi fluidi legati all’alto tasso di longevità, unico ed invidiato. Se la cultura arzanese è conosciuta in mezza Sardegna, lo si deve sicuramente alla estensione delle sue terre che supera i sedicimila ettari. Gli abitanti hanno avuto modo di relazionarsi con tante popolazioni: Desulo, Aritzo, Seulo, Seui, solo per citare le realtà più decentrate. Monte Idòlo: osservatorio esclusivo dell’Ogliastra L’agglomerato è facilmente riconoscibile anche in lontananza perché alle sue spalle vigila, imperturbabile, il manieristico monte Idòlo. La tradizione popolare ha imbastito una serie di racconti e leggende che per un verso, o per l’altro, si ispirano al rilievo. Pratiche consuetudinarie legate al culto pagano vennero celebrate nei suoi paraggi. Con la diffusione del Cristianesimo tutta una serie di riti, che comprendeva anche sacrifici umani, venne definitivamente cancellata. Per suggellare il trionfo della fede cristiana fu innalzata la statua di San Michele che domina un paesaggio unico, dall’alto dei suoi 1240 metri. Contemplata da quell’altezza, la quasi totalità della provincia ogliastrina viene messa sorprendentemente a nudo. Ce n’è per tutti i gusti: dalla flora intricata del Parco Carmine fino alle località prossime al Gennargentu quali Gen34 na’e Contu, Sa Taula e Su Marroppiu. Dalla cima del monte Idòlo si scorgono le pinete impiantate dai nuovi cantieri di rimboschimento che fanno da cornice ad un quadretto collinare di per sé già perfetto; da assaporare con rilassato trasporto anche i fiabeschi paesaggi lacustri e fluviali generati dal fiume Flumendosa, impreziositi dagli angoli paradisiaci che si snodano nel confine meridionale con Seui. Dalla sua invidiabile postazione sono da ammirare i resti di costruzioni preistoriche e neolitiche, comprese le domus de janas di Perdixi. Non passano di certo inosservati i monti di Aritzo, Seui, Seulo e soprattutto Gairo Sant’Elena con l’inconfondibile Perda Liana, il monumento naturale per antonomasia. Le emozioni sono garantite anche sbirciando a valle: le onde del Mar Tirreno si alternano sinuose nel loro abbraccio fraterno ad una costa dalle sontuosità decantate ovunque. Sono perfettamente riconoscibili le sagome miniaturizzate del porto di Arbatax, autorevole portone d’ingresso per chi ama raggiungere l’Ogliastra circondato dai flutti di salsedine. Tra monumenti nuragici, cristiani e pastorali Il territorio di Arzana sembra esser stato baciato dalle testimonianze storiche. Su tutti il nuraghe Unturgiadore. Ma la lista tende a non esaurirsi mai: Sa Tanca Crobeni, Biddadeni, Gilorzi, Arredabba, Sa Pentuma, Piscina Niedda, Cantonera Beccia, Sa Canna, Esconi, Sa Mela, De Lura, Meurra. E anche quando si parla di villaggi, non vi è solo quello di Ruinas, diffusamente descritto nel primo itinerario. È giusto menzionare anche Tedderieddu, Genna ’e is Ortus, Forru, Adana, Funtana Terraona, Crobene e Gidinis. Fra le numerose tombe dei giganti ricordiamo Sa Tanca, Su Scusorgiu, Sa genna ’e su Boe, Adana, Gidinis e Cogiudu. Si attendono delle valutazioni ancora più articolate sugli insediamenti di età romana individuati a Tedderieddu e nel villaggio scomparso di Silisè. Ma destano curiosità anche i resti di un impianto termale venuto alla luce nella zona di Su Angiu, all’interno del centro abitato di Arzana. E circolando nella zona alta, tra le ordinate viuzze del centro collinare ci si imbatte anche nella chiesetta di San Vincenzo. Rappresenta un tipico esempio di architettura 35 3 La chiesa di San Vincenzo, Arzana campestre caratterizzato da una disposizione planimetrica ad unica navata. La costruzione risale al seicento, secolo da cui si fanno risalire le prime notizie storiche relative all’originale uso di “novenare” nei pressi delle chiese campestri in Sardegna. Vincenzo è un santo spagnolo: elemento che rafforza la tesi storica della presenza iberica anche in questo territorio. La chiesa è costruita in granito e porfido, con tetto a capanna. L’accesso è garantito da un portone provvisto di rosone, collocato nella parte superiore. Nei prospetti laterali sono presenti due finestre, mentre quello posteriore è completamente chiuso. L’interno è caratterizzato da due archi, poggiati su due piedritti addossati ai muri laterali. L’altare è costituito da un blocco di granito bocciardato lungo il perimetro delle falde. Quelle esterne, ristrutturate da poco, sono in blocchi di pietra con faccia a vista. Sul campanile a vela è posizionata la croce di ferro con lavorazione artistica. Ma la chiesa più antica del paese è quella parrocchiale. Intitolata a San Giovanni Battista, risale al 1200/1300. È a croce latina, con abside semisferico e due altari laterali nella navata. Di particolare pregio artistico e storico è l’ostensorio custodito al suo interno (che viene datato intorno al 36 XVII secolo), realizzato dal maestro argentiero cagliaritano Antioco Canavera. Medioevale è la croce di bronzo, conservata nella chiesa della parrocchia. Le variegate estrinsecazioni di una popolazione laboriosa Da una cittadina così ricca di storia ci si aspetta anche una tradizione illuminata in materia di artigianato e gastronomia. L’arzanese, infatti, si è fatto notare per l’attitudine e la fantasia nella lavorazione del legno. Ma diversi artisti conservano intatta nei secoli l’abilità nella creazione dei coltelli, strumenti inseparabili dei pastori nelle peregrinazioni di vallata in vallata. Diffusa anche l’arte della tessitura, nella sua forma tradizionale più genuina. C’è davvero da leccarsi i baffi se si prende confidenza con i piatti caratteristici del luogo. Dagli inimitabili culurgiones di patate ai prelibati aromi dei salumi, annaffiati dal nerboruto vino autoctono, il salto è breve. Le abbondanti carni locali, magari fatte arrostire dalle sagge mani di un arzanese attempato, lasciano i palati in estasi per intere settimane. I segreti legati all’arte della buona cucina derivano in parte dall’ottima qualità dell’acqua che sgorga fresca e copiosa dalle numerose fonti sparse intorno all’abitato. Con i pensieri immersi in sfondi inusuali e deliziosi, il visitatore può ristorarsi con piccole ma vigorose sorsate attinte da sorgenti con indici di purezza straordinari. E per un banchetto estemporaneo all’area aperta, le genti del posto non possono mandarvi via senza aver messo piede ad Abba Frida, località posta ai piedi del versante occidentale del monte Idòlo. Circondata da ceppi antichissimi, la località prende nome dalla fontana attorno alla quale è stata creata un’ampia area di ristoro dove stare in perfetta serenità, coccolati da una flora ammaliante e ispiratrice. Greggi in centro: invasione a Lanusei Dopo aver dato libero sfogo alle genuine libagioni consumate in una postazione che non si scorderà facilmente, riprendiamo il canonico tragitto dei pastori che superata l’attraente magnificenza selvosa del Parco Carmine (Comune di Elini) ascendevano verso la fitta foresta di Seleni, e da lì costeggiavano la chiesetta campestre di Maria Au37 3 siliatrice. Attorniata da un vitalissimo ed intrecciato sottobosco, la zona si fa apprezzare anche per le qualità organolettiche delle sue acque, assai vantate dagli abitanti. La carovana proseguiva verso il centro abitato di Lanusei. Per i pastori era d’obbligo passare all’interno della cittadina perché all’epoca non esistevano arterie stradali alternative, ma per non creare disagi alla circolazione, sfruttavano le fasce orarie meno caotiche. Si dirigevano in via Siccardi, nel quartiere di Niu Susu e dopo aver oltrepassato la sorgente di Sena, proseguivano verso le campagne di Lanusei che si affacciano sul massiccio del monte Tricoli. In località Pizzi ’e Cuccu il famigerato trenino classe 1885 compie un giro attorno alla montagna lasciando quantomeno basiti gli amanti dei binari. Vale la pena riportare un brano tratto dallo spettacolo Album, (Storie di certi italiani) di Marco Paolini: “Che montagna! Poi, per arrivarci dal mare, salendo, attraversa Lanusei, sulla tua destra, il treno fa una curva e te lo trovi a sinistra. Alla curva dopo, ce l’hai di nuovo a destra. Cristo Santo, si avvita su se stesso per scalare la montagna, che perdi l’orientamento, e asfodeli, asfodeli, asfodeli, poi ciclamini”. Il passaggio a livello di Sa sedda e Sa Porta, posto qualche chilometro più avanti, facilitava l’accesso a valle. Desta molta curiosità il muraglione costruito con i contonis, grosse pietre squadrate. A Sa Sedda e Sa Porta il vento ha sempre spirato con intensità inaudita. I più anziani della città ricordano i frequenti deragliamenti del convoglio che proprio in quel tratto veniva spostato dalle violente raffiche. L’amministrazione delle ferrovie decise di erigere la barriera in pietra capace di contenere le insidie del maltempo. Il lavoro che ne seguì fu impeccabile, ancora adesso fa una certa sensazione imbattersi su quei lastroni sistemati l’uno sull’altro in perfetta armonia. Dalle bianche, polverose e labirintiche stradine di Sa Serra, i pastori scendevano gradatamente verso le zone più pianeggianti. Abbandonata anche la sagoma conica di monte Paulis, si apprestavano a risalire la china dopo aver seminato anche le campagne di San Paolo. Al valico di Genna ’e Crexia, regno incontrastato delle uve Cannonau cominciava la lunga discesa che conduceva direttamente a Terte38 nia, non prima di aver fatto una sosta a Su Crabiolu, luogo amato dalle bestie per la presenza di un comodo abbeveratoio. Superato il centro abitato, i transumanti erano davvero a pochissimi chilometri dalla loro meta. Ma prima di chiudere definitivamente le nostre descrizioni, ci facciamo imbrigliare da un centro dalle mille attrazioni. Sospesa tra mare e collina: Tertenia La transumanza ha di sicuro inciso nel processo di urbanizzazione del comune più meridionale dell’Ogliastra. L’abitato di Tertenia si è infatti sviluppato lungo il percorso che i pastori provenienti dalle zone alte intraprendevano verso il salto di Quirra e le più remote lande del Sarrabus. Un tempo zona mineraria, oggi è un centro agricolo, ricco La torre di San Giovanni, Tertenia 39 3 Rilievo calcareo nel salto di Quirra di vigne e di pascoli, ma anche di grandi attrattive turistiche come la sua zona costiera che si estende per tredici chilometri, sviluppandosi dalla catena di Serramari fino al villaggio di Barisoni. Il suo è in definitiva un territorio variegato, fortemente frastagliato, dominato dagli altipiani dolomitici di Taccu Mannu e Tacchixeddu. Con i suoi 3700 abitanti è il sesto comune più popoloso della neonata provincia ogliastrina. Nella via principale del paese spicca un’aquila in bronzo, donata alla municipalità da Albino Manca, illustre scultore locale che riuscì ad affermarsi prima a Roma e successivamente, nel secondo dopo guerra, a New York. Una delle sue opere più famose è proprio il monumento ai caduti dell’Atlantico: un’aquila gigantesca che campeggia a Battery Park, la punta più estrema di Manhattan. All’artista è stato dedicato un museo che accoglie la sua donazione di bronzi, marmi, crete, medaglie, dipinti, argenti e cere. Se si è alla ricerca dei sapori più reconditi della pastorizia autoctona, è quasi d’obbligo una capatina al caseificio Sant’Antonio. Orgoglio dell’imprenditorialità terteniese, può contare sulle prestazioni di circa 35 mila capi sparsi nel territorio. Nei periodi di massima attività lavora oltre due milioni di litri di latte all’anno, con una annessa produzione di 3600 quintali di formaggio ovi caprino. Oltre a diffondere i suoi prodotti sul territorio regionale e nazionale, i 240 soci possono vantare anche uno sbocco commerciale verso la Gran Bretagna. 40 Un territorio battuto nei millenni L’intero territorio terteniese trasuda storia. Le prime presenze umane si riallacciano all’epoca neolitica, ma testimonianze più consistenti risalgono al periodo eneolitico, con i villaggi nuragici, domus de janas e tombe dei giganti. Nel cuore della vallata di Sa Brecca, che apre l’orizzonte sulla rinomata marina di Sarrala, è stato recentemente scoperto un pozzo sacro di notevole valenza archeologica. Prima di venire completamente alla luce, i proprietari sfruttarono quella apparente cavità per tenere il vino in fresco. Poi, grazie anche all’intervento di esperti archeologi, si è dato il via agli scavi che giorno dopo giorno regalano nuove, interessanti sorprese. Il pozzo di Sa Brecca presenta due camere sotterranee, quella superiore è alta quattro metri, l’inferiore cinque metri. È stato edificato con graniti, porfidi e basalto, ma nell’anello superiore è presente anche il scisto. Intorno sono state localizzate anche delle capanne. L’originalità del sito è costituita dall’elevazione a due piani, aspetto insolito che trova l’unico esempio analogo in una cisterna rilevata nell’agro di Villaputzu. In una delle camere sono visibili i muri, l’atrio e un tramezzo risalente all’epoca romana. La scalinata che conduce all’interno conta una ventina di gradini, e da pozzo che si rispetti, contiene ancora un metro e mezzo d’acqua. Durante le prime ricognizioni sono affiorati diversi reperti: 207 monete risalenti all’epoca tarda imperiale (350 d.c.), e poi orecchini; perline, collane d’ambra e ciotole. A Fustiraxili, proprio ai piedi del complesso di origine vulcanica monte Ferru, delle buche affossate nella roccia hanno tutte le sembianze di una necropoli; la zona si fa apprezzare anche per le classiche eterogeneità della vegetazione mediterranea. I pastori del luogo conducevano le greggi al pascolo macinando improbabili tratturi, ricavati su anfratti scoscesi. Spiagge, nuraghi e torri aprono le porte ai sentieri ogliastrini Attraverso il monte Ferru, percorrendo la strada panoramica, si accede alla splendida zona costiera della Marina di Tertenia, dove candide spiagge e scogliere pittoresche si alternano in una veduta tipica della costa ogliastrina. 41 3 La suggestiva Punta Is Ebbas, Tertenia A Foxi Manna, per esempio, la sabbia assume una lucentezza particolare, specie se contemplata attentamente dalla sommità del Nuraghe Aleri. Situato in posizione dominante su una collina antistante il mare, è composto da tre torri, collegate internamente da corridoi e tenute insieme esternamente da un antemurale che fascia tutta la struttura. Dal suo esclusivo punto di osservazione si materializza un gigantesco patchwork frutto dalla naturale commistione degli appezzamenti di terra adibiti sia al pascolo, sia alla produzione agricola. Si possono vedere nitidamente anche i nuraghi Nastasi e Longu. La spiaggia di Melisenda gode di particolari simpatie non solo per le sue acclarate facoltà dionisiache: perderebbe molto del suo charme se non fosse sorvegliata dalle sagome tranquillizzanti della torre di San Giovanni, altro monumento di indubbio valore storico che arricchisce un forziere già traboccante di beni preziosi. Completamente in granito, venne edificata tra il 1764 e il 1767. Nel corso della seconda guerra mondiale l’edificio venne utilizzato per questioni prettamente strategiche, trasformandosi in ricovero militare. Di forma troncoconica, ha un diametro di base di 12 metri per un’altezza di 11. Rovistando tra vecchi carteggi si scopre che la struttura ha conosciuto altre fasi cruente. 42 Come nel 1813 quando in seguito ad un sanguinoso scambio di vedute l’alcade della torre Giovanni Melis ebbe ragione dei perfidi Saraceni, guidando impeccabilmente la sua artiglieria. Il custode della torre fu poi decorato dal Re di Sardegna con la medaglia d’oro al valor militare per la determinazione e il coraggio dimostrati in battaglia. Tracce definite di pastoralismo si scorgono lungo la strada che dalla marina di Sarrala conduce verso le isole amministrative di Loceri e Lanusei. Da queste parti si contano una settantina di nuraghi che dalle colline dominano immensi spazi adibiti al pascolo. Dopo aver attraversato Barisoni, Su Prettu ’e S’Orca, si arriva al valico Coili ’e su Cani che poi si immette in località Pernis. Si notano i segni ormai logori di un’attività estrattiva che aveva preso piede nella prima metà del secolo scorso. Barite, bauxite, quarzo e pirite, erano i minerali più ricercati nelle viscere di Bau Arena, Sarrala e Barisoni – Porto Santoru. Dalle miniere, il prodotto veniva trasportato verso il diroccato porticciolo di Santoru, un residuo di archeologia industriale, come tanti se ne trovano sparsi nell’isola. Siamo al capolinea del percorso. Capitava che anche da qui (ma raramente) i transumanti inforcassero questa strada che, dopo una serie di difficoltà, si ricongiungeva con le campagne del Salto di Quirra. Faraglioni nella marina di Tertenia 43 3 Ampia veduta della costa terteniese 44 Bibliografia Angioni G., I pascoli erranti. Antropologia del pastore in Sardegna, Liguori – Isre, Napoli – Nuoro, 1989. Angioni G., I Pastori dell’Ogliastra: descrizione documentaria dell’ergologia tradizionale, in “Studi Sardi”, parte II, vol. 23, Gallizzi, Sassari, 1975. Angioni G., Pane e formaggio, in F. Manconi, G. Angioni (a cura di), Le opere e i giorni: contadini e pastori nella Sardegna tradizionale, Silvana Editoriale, Milano, 1982. Associazione Ogliastra Eventi, Ogliastra Tour, Cagliari, 1995. Balzano O., Melis M.L., Arzana, nella leggenda e nelle antiche tradizioni, Zonza Editori, Sestu, 2002. Bandinu B., Il mestiere del pastore tra vecchio e nuovo, in Manconi F. 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