Edito nel 1998 dal
ROTARY CLUB DEI
TEMPESTA NOALE
da tempo non è più reperibile, salvo per
consultazione presso la Biblioteca
Comunale
Le stagioni della storia locale rappresentano
sedimenti di incancellabile esperienza umana,
sociale e morale che hanno segnato e continuano
a segnare non solo il tessuto urbano, ma anche
lo spirito, l'anima, il carattere di una popolazione.
Perciò è doveroso e giusto conservante la memoria.
Eliseo Carraro
DirezioneArtistica
GIANNI SCAPIN
Prefazione:
FRANCO POSOCCO
Testi:
MARIAPIA BARZAN
ANDREA FATTORI
GIUSEPPE RALLO
FRANCESCO COZZA
Immagini:
SAMUELE GALEOTTI
Illustrazioni e Progetto grafico:
TONI TREVISAN
Redazione:
ROTARY CLUB NOALE DEI TEMPESTA
in collaborazione con il gruppo archeologico
ASSOCIAZIONE CULTURA AVVENTURA NOALE
Fotolito:
QUATTRIFOGLIO s.n.c.
Impaginazione:
FUTURA s.n.c.
Stampa:
ARTI GRAFICHE MOLIN
L'autore delle immagini ringrazia quanti hanno dato la possibilità
di fotografare gli interni
© Per i testi 1998 degli autori
© Per le immagini 1998 SamueleGaleotti
© 1998 ROTARY CLUB NOALE
Immagini di copertina - 1. Mastio della rocca
2. Torre trevisana - Leone di S. Marco
MARIAPIA BARZAN
ANDREA FATTORI
GIUSEPPE RALLO
FRANCESCO COZZA
Prefazione:
FRANCESCO POSOCCO
NOALE
DEI
TEMPESTA
Immagini:SAMUELE GALEOTTI
ROTARY CLUB
DEI TEMPESTA
NOALE
ROTARY CLUB NOALE DEI TEMPESTA
Quando siamo stati chiamati, assieme ad un gruppo di amici, a costi­tuire anche a Noale il Rotary
Club, s'è presentato subito il dilemma sulla titolazione da dargli per qualificarlo.
Così si è deciso di adottare quella di "Rotmy Club Noale dei Tempesta ", Nella generale riscoperta
della storia locale, che è in fondo la ricerca delle radici umane, civili, morali e religiose su cui affonda
la nosta più profonda identità sociale, questo libro vuole essere un contributo alla conoscenza, alla
conservazione e alla valorizzazione di quanto il pas­sato ci ha lasciato.
E tracce di questo passato Noale ne conserva ancora molte fortunata­mente.
Per ciò il Rotary Club Noale ha voluto impegnarsi subito in un’opera che rappresentasse ai Noalesi e
ai Visitatori un patrimonio storico e cultu­rale notevole, compreso tra Medioevo e Rinascimento, e
testimoniato soprattutto dalla presenza a Noale della potente famiglia dei Tempesta.
Crediamo che anche i migliori conoscitori di Noale e della sua storia rimarranno piacevolmente
sorpresi sfogliando questo volume ricco soprattutto, oltre che di testi-guida per rievocarla
scientificamente, delle bellissime immagini che il nostro amico Samuele Galeotti ha saputo cogliere con
arte e gusto raffinati per renderla viva e fissarla davvero nella memoria di tutti.
Ringrazio gli autori dei testi: dott.ssa Maria Pia Barzan, Andrea Fattori, arch. Giuseppe Rallo,
dott. Francesco Cozza, nonché l'arch. Franco Posocco che ci ha onorato della presentazione.
Un ringraziamento particolare ad Antonio Trevisan che ha curato la grafica e l'impaginazione e alle
Ditte che hanno sponsorizzato l 'opera.
Il Presidente fondatore del Rotary Club
"Noale Dei Tempesta"
dr Gianni Scapin
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“NOALE HA UN CUORE ANTICO”
Di Franco Posocco
L'illustrazione che questo volume, attraverso un ricco corredo di immagini e di scritti, effettua nei riguardi del
centro storico di Noale, non ha soltanto il pregio di ricostruire l'assetto morfologico delle strutture urbiche
assieme alla vicenda della famiglia: i Tempesta, che nel periodo medievale le ha erette, ma anche quello di
indurci ad approfondire le ragioni territoriali, che motivano l'esistenza della città-castello e ne giustificano i
caratteri architettonici e urbanistici, al fine di poterne adeguatamente attualizzare il significato all'interno della
realtà contemporanea.
Nella trama del Graticolato romano, vera sinopia dell'ordinamento planiziale centro-veneto, alcuni luoghi
particolarmente connotati dalla geomorfologia e dall'idrologia sono stati, per così dire, scelti in quel periodo
quali nodi strategici nell'indistinta maglia modulare centuriale, per essere elevati a sede di castello e di
munizione, con lo scopo di consentire un più penetrante controllo delle direttrici di traffico e delle attività
economiche nei territori aperti, su cui si estendeva l'influenza delle città politicamente egemoni.
Oltre a Noale, è il caso di Castelfranco, Camposampiero, Mirano, Mestre, Cittadella, Piove di Sacco, per
restare nel circostante; città-castello, in gran parte di progetto, che attraverso una triangolazione spaziale
attuata per infittimento insediativo, presidiano e colonizzano l'agro di pertinenza loro assegnato dagli staterelli
feudali organizzati attorno ai capoluoghi feudali: Padova e Treviso, per quanto ci riguarda, poiché all'epoca
Venezia è ancora in fieri e comunque orientata prevalentemente sul fronte marittimo.
Questi borghi murati non sono quindi da confondersi con i castelli singoli, poiché rispetto a tali ordigni
militari isolati, di solito pertinenti ad una famiglia e aventi funzioni soprattutto strategiche nell'ambito dello
scacchiere territoriale centro-veneto, possiedono una dimensione comunitaria e conseguentemente una vera e
propria struttura urbana con i suoi articolati e complessi caratteri civili.
Là dove le acque di risorgiva, scorrendo lentamente verso l'arco delle lagune, intersecano tangenzialmente
antichi tracciati interurbani, si evidenzia una particolare nodalità territoriale, assieme con una vocazione del sito
ad essere sede di scambi fra la mobilità idroviaria e quella stradale: è questa, anche per Noale, la ragione
spontanea che, ancor prima della città, fa nascere sul luogo dell'incontro, il mercato, attribuendo ai bivi, ai guadi,
ai ponti, agli incroci, ai confini , etc, un valore posizionale tipicamente infrastrutturale.
La tipologia di Noale è quella di un luogo forte situato in corrispondenza delle divagazioni del Marzenego: un
fiume di risorgiva, che, come il Sile, il Lemene, il Dese, è riuscito nei secoli a sconvolgere la geometria della
centuriazione, consentendo l'impianto di un sistema difensivo di tipo organico, ove i suggerimenti
dell'ambiente e della naturalità sembrano presiedere alla forma progettuale e insediativa.
La morfologia urbanistica si adatta dunque a quella del sito, rinunciando a imporre i suoi canoni.
La differenza tra Noale, Castelfranco e altre analoghe città di fondazione, al permanere della suddivisione fra
le diverse parti: castello, bastie, borgo esterno, piazza-mercato, fossato, etc,
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consiste infatti soprattutto nel linguaggio figurativo e nell'articolazione spaziale, cioè nella regola adottata
per interpretare con il progetto architettonico le suscettività del luogo.
Noale quindi nasce come mercato presidiato, che si attrezza via via secondo gli schemi della urbs picta
trevigiana, realizzata sostanzialmente con un monomateriale: il mattone cotto, essendo l'altro materiale della
configurazione paesaggistica paradossalmente l'acqua, che fluisce incessante, determinando i tracciati urbani.
Questo carattere proto-urbano, che Noale acquisisce durante il periodo trevigiano, quello ezzeliniano e
quello tempestino, sembra coincidere con l'attrezzatura ossidionale e strategica delle fortificazioni, con tutto
il corredo di fossati, terrapieni, porte e torri, che la compongono.
Giuseppe Rallo con grande competenza descrive nel suo saggio sul restauro della rocca la configurazione
tipologica e architettonica del manufatto, mentre con pari approfondimento Andrea Fattori ci illustra le
mura urbiche con il loro corredo fortificatorio, Maria Pia Barzan ci racconta la complessa vicenda della
famiglia signorile e Francesco Cozza ci informa sulla particolare cultura ceramica, che in quel tempo è
fiorita nel Noalese.
E' con l'istituzione della Podestaria che Noale, prima eterodiretta dal capoluogo della Marca gioiosa, di cui è
un avamposto, diventa sede di autorità autonoma decentrata, cioè di amministrazione locale, di presidio
militare, di magistratura di primo grado; il punto attrezzato si articola via via in sistema.
Attorno al mercato si aggregano le funzioni extra-agricole dell'artigianato, del commercio e delle libere
professioni, mentre la pieve ecclesiastica consolida il suo primato gerarchico sulle cappelle circostanti.
E' con Venezia quindi che, non solo a Noale, si compatta lentamente il borgo, mentre il territorio della
contrada interna, che assieme alla rocca chiameremo la città istituzionale, proprio perché contiene le sedi
dell'autorità, si aggrega e si infittisce a somiglianza di quanto avviene in quella esterno, che per la sua natura
prevalentemente economico-produttiva, chiameremo la città mercantile.
La Repubblica evidenze la connessione fra le due parti della città, imponendo lo splendido pilo
portabandiera di forma classica, là dove si materializza l'incrocio fra le direttrici, si affacciano i poteri e si
esercitano le funzioni.
Uno stato come quello veneziano, così attento al valori dell'economia, per rappresentarsi e celebrarsi
adottava infatti una semiologia figurativa composta da simboli coerenti: l'orologio per segnare il tempo, la
loggia per lo svolgimento delle contrattazioni il pennone e il leone, che sostituiscono laicamente le
monumentalità regie imperanti altrove.
Attraverso un controllato decentramento si tendeva a coinvolgere, in una sorta di federalismo ante litteram le
autonomie locali e le diverse componenti della società nel governo della città e del territorio.
L'identità urbana, cioè la consapevolezza di essere comunità cittadina, si consolida durante tutto il
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periodo della Serenissima, tant'è che, secondo quanto viene riportato negli scritti dianzi citati, è proprio
un sentimento collettivo che determinerà la difesa delle ultime porzioni di mura dal saccheggio e dalla
distruzione.
I noalesi stessi hanno dunque voluto mantenere il segnacolo della loro dignità cittadina, rispettando, oltre
alle cinte e ai manufatti antichi, pure il sistema delle acque, che delle mura è quasi la proiezione
planimetrica.
Anche altrove le cortine e i refossi si erano salvati dall'atterramento.
Ma tale conservazione era avvenuta per intervento di intellettuali e di studiosi, come a Montagnana e a
Soave, per le quali, memore della campagna effettuata in Francia da Viollet Le Duc, si mobilitò
addirittura Camillo Boito, uno dei più noti architetti e restauratori del secolo scorso.
Quando invece i segni della storia vennero tutelati dalla comunità indigena, ciò è indice di una particolare
consapevolezza civica e forse significa che la coesione locale e l'orgoglio cittadino hanno consentito di
separare le ragioni del progresso e dell'innovazione da quelle della tradizione e dell'appartenenza, tanto da
permettere che l'espansione e la trasformazione, cioè lo sviluppo, potessero avvenire senza la perdita e la
cancellazione dei valori appartenenti alla memoria collettiva.
Diversamente da molte altre zone del paese, dove le cinte furono atterrate perché premevano i miti del
futuro e della modernizzazione, nel Veneto, specie nelle città più piccole, le mura furono difese perché
erano l'emblema del livello urbano, erano il segnacolo dell'unità comunitaria, erano il simbolo della
distinzione civica rispetto alla circostante contadinanza.
Gli impianti difensivi sopravvissuti alla demilitarizzazione operata dalla Repubblica dopo la sconfitta da
parte dei federati di Cambrai (1 509), pur malandati per l'incuria e la vetustà e in parte manomessi dal
riuso e dalle trasformazioni, durante l'ottocento e il Novecento conservarono sostanzialmente le loro
strutture, permettendo di consegnarle alla modernità.
La nobiltà veneziana aveva intanto disegnato il contesto rurale circostante la città, ubicandovi le proprie
ville e progettandone l'immagine panoramica.
E' invece la società locale che si incarica del borgo e che ne conforma lo spazio e l'assetto urbano.
Con i francesi e con i successivi regni lombardo-veneto e italiano, si assiste invece a una reinterpretazione
delle presenze storico-artistiche e ad una riproposizione delle strutture monumentali intese come
elemento costitutivo dell'immaginario collettivo. Il mito romantico soprattutto erge le mura (guelfe o
ghibelline), ormai del tutto inutili, a simbolo della tradizione urbana e della continuità civile; la città
moderna ingloba quella antica, mutandone però il significato.
Noale, con una scelta lungimirante e significativa, addirittura ubica il luogo più alto ed emblematico della
memoria: il cimitero comunale, inteso secondo il decreto napoleonico, quale sito della rimembranza
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e dell'onore, nella rocca dei Tempesta, che così assume una nuova funzione monumentale, cioè di monito, secondo
il senso etimologico del termine.
Il corredo di acque, prati, salici piangenti, le rosse torri, i magli e i mulini, compongono insieme l'immagine
suggestiva della città-castello con i palazzi, le chiese, i portici, le fabbriche della protoindustria e le sedi della
pubblica amministrazione.
Il rapporto del sistema urbano con il paesaggio agrario è assai intenso e, per quanto talvolta offeso dalla rozza
modernità, ancora percepibile.
E' questo aspetto, che anche un grande architetto contemporaneo: Aldo Rossi, colse quando gli si offrì l'occasione
di proporre delle idee per l'assetto della piazza maggiore del castello.
In tale prospettiva il centro storico diventa progressivamente il luogo referenziale e quasi il salotto della
proteiforme città contemporanea, che si estende e si allarga nell'intorno territoriale.
Al contempo la piazza si conferma come il luogo della monumentalità e dell'incontro; un meeting point, tanto più
necessario, quanto più desolata è la solitudine dell'abitante nella periferia.
In questa prorompente riscoperta dei luoghi centrali, proprio Noale, con il recupero del suo articolato sistema di
spazi pubblici comunitari, sembra aver anticipato quel fenomeno antropologico di esaltazione e riappropriazione
civica degli ambienti collettivi, che a poca distanza ha visto recentemente nella piazza centrale di Mestre un
episodio analogo alla scala metropolitana.
Noale ora è quindi città nel senso compiutamente urbanistico del termine, poiché allo spessore della storia civile
connette la continuità delle funzioni terziarie, all'unità del manufatto fortificato unisce la densità dei rapporti
territoriali, alla forza della figurazione architettonica associa la tradizione della comunità locale con tutte le sue
componenti di appartenenza e di rappresentatività.
E' questo un valore sociale e culturale, la cui rilevanza emerge proprio quando le tendenze all'omologazione e alla
banalità stanno rendendo simili tutti gli insediamenti di recente realizzazione, quasi a dimostrare che l'assenza di
storia e la povertà delle forme non possono essere supplite dalla ricchezza dei beni e dalla quantità delle risorse.
Anche se i nostri comportamenti sono spesso contraddittori, sappiamo bene che la cultura non è proporzionale
all'opulenza.
Invece la distinzione dei luoghi antichi e perciò nobili, così come la qualità dell'ambiente, sono elementi essenziali
soprattutto per la città moderna, poiché in rapporto con la povertà e l'informalismo dei quartieri contemporanei, i
manufatti antichi non sono soltanto considerati oggettivamente belli, ma consentono anche la gratificazione dello
stare insieme, favoriscono l'aggregazione sociale, facilitano il dialogo interpersonale. Il centro antico, anche nei
piccoli nuclei, è un suggerimento di misura, una offerta di colloquialità, un dono di gradevolezza, che può salvarci
dal degrado della conurbazione continua, ove peraltro la città, intesa come concentrazione delle complessità,
12
non c'è mai, perché prevale l'indistinto e l'indifferenziato, cioè, come dice Kevin Lynch, il non figurabile.
Nella grande metropoli del Nord-Est, questo sistema urbano in costruzione, che ormai a rete comprende tutti gli
insediamenti racchiusi dal poligono Venezia-Treviso-Padova, Noale, una città ove la storia antica convive con la
più sofisticata innovazione tecnologica, non da sola, ma unicamente agli altri centri storici minori, può
rappresentare un polo di elevata qualità formale e perciò stesso di grande attrazione e significato socio-culturale.
L'augurio rivolto a questo volume, che ora viene pubblicato, si unisce quindi al desiderio del Rotary club, che ne ha
curato l'edizione: che esso possa contribuire alla crescita di una consapevolezza generale nei riguardi della Noale
storica e, insieme, alla formazione di una volontà di tutela/valorizzazione delle sue venerande strutture, affinché a
lungo ancora possano riunire e proteggere la comunità, che le ha ereditate.
13
I TEMPESTA
Di Mariapia Barzan
L’importanza e il valore storico, politico e istituzionale che assunse la signoria dei Tempesta nel corso del XII, del
XIII e in parte del XIV secolo nei riguardi del territorio noalese meriterebbero uno studio a più largo respiro e
senz’altro più esaustivo. Purtroppo gli angusti limiti imposti a questa introduzione non permettono di sviluppare
in modo compiuto l’evoluzione in senso politico e istituzionale della signoria dei Tempesta e l’evoluzione del
patrimonio della famiglia.
Le funzioni e le attività esercitate dalla famiglia nel primissimo periodo, in particolare nel secolo XII, erano tutte
dettate dall’esigenza di crearsi un ambito territoriale di una certa entità; con il trascorrere del tempo, si
tramutarono in competenze quasi esclusivamente di ordine civile; nel corso del ‘200 e del ‘300 gli esponenti dei
Tempesta, infatti, si occuparono di difendere sì i loro possedimenti e quindi i castelli di loro appartenenza, ma
soprattutto di partecipare attivamente alla vita politica e amministrativa del Comune di Treviso, che ormai, dopo
le epoche signorili, si andava autonomamente affermando come istituzione.
A questo punto è necessario inquadrare storicamente l’ambito entro il quale i Tempesta si trovarono ad operare,
fornendo alcune indicazioni di base circa la situazione politica e istituzionale del territorio di Treviso, civitas sede
dell’episcopato, attorno alla quale gravitò quasi esclusivamente l’interesse dei Tempesta, dal momento che essi si
trovarono a ricoprire la funzione di avogari del vescovo di Treviso.
Ottone I attorno alla metà del X secolo aveva creato la Marca veronese, separando la regione nord orientale dal
Regno Italico. Il comitato di Treviso fece parte della Marca in modo continuativo. La posizione del comitato di
Treviso in rapporto al potere dei duchi-marchesi si differenzia notevolmente dalle realtà di altri comitati, collocati
in altre Marche, come ad esempio quelle dell’Italia centrale. Nella Marca veronese, infatti, la concessione dei diritti
rimase prerogativa dell’Imperatore e non dei duchi-marchesi; anche i vescovi quindi furono sottoposti
direttamente all’Impero sia per l’espletamento dei diritti di natura pubblica, sia per l’esercizio delle temporalità.
Questo significò la scarsa presa dell’istituto marchionale e fece sì che i duchi-marchesi non venissero coinvolti nel
processo di costituzione dei poteri signorili. Nel X e soprattutto nell’XI secolo ebbe luogo nella Marca, e dunque
nel comitato di Treviso, quel passaggio dal distretto pubblico, cioè dal comitato - retaggio di natura carolingia all’ambito signorile; tale processo si realizzò attraverso uno degli strumenti classici del dominio signorile, ovvero
l’incastellamento. Un importante aspetto che favorì l’affermazione e il rafforzamento delle signorie fu il loro
rapporto con l’episcopato; la diffusione dei legami personali risulta infatti, in tutta la sua portata, da una rassegna
dei vassalli episcopali del 11781. Le famiglie signorili, dal canto loro, si distinsero per intraprendenza politica ed
economica attraverso alcune espressioni di grande significato, quali - data la scarsità di documenti relativi al secolo
XI - la fondazione di monasteri e di chiese2. Tiso e Gerardo da Camposampiero, per esempio, appartenenti alla
famiglia dei da Camposampiero, risultano essere, e non a caso, gli autori di una ingente donazione elargita nel
15
1085 a favore del monastero di Sant’Eufemia di Villanova3.
A sua volta il vescovo, per salvaguardare i suoi interessi di natura politica, economica e militare, concedeva in feudo
agli esponenti di queste nobili casate terre, ville, massaricie o altro. Tuttavia i beni che costituirono il patrimonio della
signoria dei Tempesta non furono mai una concessione beneficiaria del vescovo, ma ebbero sempre carattere
allodiale. Quindi i castelli di Noale e Brusaporco, che costituirono il patrimonio iniziale degli stessi, furono fin
dall’inizio liberi da ogni vincolo di tipo feudale4.
La maggior parte degli storiografi veneti che si è occupata della signoria dei Tempesta ha fatto derivare questa
nobile famiglia dalla casata dei da Camposampiero, che assieme agli Estensi, i da Camino e i da Romano, per citare
le maggiori, fiorì nella Marca trevigiana nel corso del XII e del XIII secolo5. Una tradizione dunque piuttosto
consolidata di storici e di genealogisti è concorde nel ritenere Vinciguerra, figlio di Gerardo da Camposampiero, il
capostipite dei Tempesta. Egli essendo bravo e formidabile oltre modo per le sue notabilissime imprese nella guerra fatte, fu
cognominato Tempesta: di che egli compiacendosi, levò anche nell’arma sua la grandine, che tempesta diciamo. Laonde lasciato il suo
vero cognome di Campo San Piero egli e i suoi discendenti furono Tempesta chiamati6. Così lo descrive il Bonifaccio nel 1744,
nella sua Istoria di Trivigi. Questa ipotesi trovò larghi consensi nel corso del tempo, al punto di essere considerata
come la più probante da storici come G. B. Rossi, A. Maschio, A. Gallo, L. Picchini, che si occuparono di storia
noalese.
L’Istoria del Bonifaccio, come poc’anzi si è accennato, descrive il capostipite dei Tempesta, Vinciguerra da
Camposampiero figlio di Gerardo, un uomo dotato di grande valore militare, al punto che l’imperatore Enrico IV,
di ritorno da Roma, per premiare le sue capacità, gli concesse nel 1114 la muda, ovvero il dazio di tutto ciò che
entrava e usciva da Treviso. Dal momento che alla muda erano altresì annessi i diritti di transito e i pedaggi non solo
alle porte della città, ma anche nei diversi luoghi del distretto, il Bonifaccio intravede in tale concessione la vera
ragione di una così grande potenza e di un peso politico così rilevante esercitato dai Tempesta nel territorio,
nonché la ragione di tanti conflitti d’interesse con altre famiglie trevigiane.
Tralasciando di seguire questa tradizione che passa dal Bonifaccio al Verci, al Rossi, al Litta, al De Marchi, per
avvicinarci ai nostri giorni, si tenterà di far emergere altre possibili soluzioni, soprattutto grazie a studi più recenti.
Ad osteggiare, seppur parzialmente, questa tradizione consolidata sono per esempio le recenti biografie sulle
personalità più autorevoli dei da Camposampiero curate da E. Barile. Ebbene, considerando che tutti gli storici
sono concordi nel ritenere Vinciguerra un esponente di altissimo livello, in quest’opera non ne viene segnalata la
presenza7. Ma a contrastare in maniera più netta questa ipotesi è G. Biscaro in uno studio non recentissimo8. Egli,
riguardo all’origine della casata dei Tempesta dal ramo dei da Camposampiero, sostiene che il diploma di
concessione della muda a Vinciguerra Tempesta, rilasciato dall’imperatore Enrico IV, non era altro che una
deliberata falsificazione, e a sostegno di ciò asserisce che in una causa promossa nel 1315 dai Tempesta contro
16
il Comune di Treviso, il diploma col quale essi rivendicavano la muda non risulta mai essere stato esibito, ma solo
reclamato dal Comune9. G. Biscaro ritiene, invece, che il capostipite dei Tempesta vada individuato in un esponente
della famiglia dei da Carbonara (dal nome di una località nei pressi di Treviso), famiglia che esercitò un ruolo
notevole per aver rivestito la funzione di avogari (avvocati) del vescovo di Treviso, almeno dalla metà del secolo XI.
Valperto Montaverra10 e non Vinciguerra - nome che con ogni probabilità fu letto in modo scorretto dal notaio
Ubertino - sarebbe dunque il padre di Guido Tempesta, il quale, dopo la morte dello zio Bertaldo, raccolse la
successione del feudo dell’avogaria e la trasmise ai suoi discendenti, essendo Bertaldo privo di eredi11. L’ipotesi trova
altresì conferma in quanto dice G. M. Varanini a proposito della famiglia dei da Carbonara, la quale appunto attorno
al secolo XII si scisse in diversi rami che acquistarono denominazioni diverse (Tempesta, da Crespignaga,
Buzolino)12. Se Guido è il primo esponente a comparire con la denominazione Tempesta, la scissione dei da
Carbonara nei diversi rami, e dunque il distacco del nucleo familiare dalla consorteria originaria, risulta più evidente
con il figlio Guglielmino13.
E’ interessante notare come i primi Tempesta, nonostante l’obbligo dell’ufficio di avogari del vescovo di Treviso,
gravitassero in modo preponderante sulla città di Padova, quasi a volersi garantire una certa tranquillità tra due zone
in costante rivalità politica. Guido, infatti, fu anche vassallo del vescovo di Padova, essendo stato investito il 24
agosto del 1160 da Giovanni, vescovo della medesima città, del suo feudo e dell’aggiunta dello stesso. Tale
patrimonio immobiliare comprendeva sei mansi di terra dislocati entro i confini della curia episcopale, tre scelti da
Guido stesso e tre dal vescovo14.
I Tempesta in qualità di avvogari del vescovo erano tenuti alla difesa ed alla conservazione dei beni temporali di
appartenenza della curia episcopale, nonché alla riscossione degli affitti dei poderi, dei bandi, delle decime e di altre
contribuzioni di spettanza della sede vescovile. L’avogaro dunque amministrava tutti gli interessi materiali del
vescovo, difendendone nel contempo i relativi diritti: è chiaro che tale ufficio dotava di grande prestigio e di
notevole potenza la famiglia che lo deteneva15. Guido Tempesta, che già per patrimonio familiare era in possesso di
molti feudi con alcuni castelli, i più importanti dei quali erano Noale e Brusaporco, in breve tempo si creò un feudo
di indubbia rilevanza, grazie anche alle investiture del vescovo di Treviso, il quale per ricompensarlo dell’ufficio
dell’avogaria, gli offrì le terre di Noale, Buchignana, Briana, Mazzacavallo, Ruigo, Zeminiana, Vighizzolo, Damisano,
Toscanigo, Rigagli e Ronchi, possessi e feudi prevalentemente situati nelle vici­nanze di Noale, a parte Ruigo, che
per l’Agnoletti si tratterebbe di Onigo o Volnigo e dunque appartenente al territorio di Valdobbiadene16. Guido si
trovò ad amministrare un vasto territorio e come luogo della sua dimora scelse Noale, località nella quale appunto
possedeva già dei beni, ma soprattutto per la sua posizione strategica; egli la rese un centro fortificato, costruendovi
una salda rocca che dominava il territorio17. Il castello invece, al tempo dell’avogaria di Guido, risultava essere già
costruito18.
17
Guido I trasmise l’ufficio dell’avogaria al figlio Guglielmino, personalità di grande prestigio dal punto di vista
politico. Guglielmino, probabilmente in seguito a ragioni di opportunità politica, si era procurato, accanto
all’originaria cittadinanza di Treviso, quella sussidiaria di Padova, conseguita nel 1178, e l’anno successivo era
stato eletto podestà della medesima città. Lo si trova nel 1177 come testimone all’atto con il quale l’imperatore
Federico I aveva preso sotto la sua protezione il monastero di S. Maria delle Carceri19. Nel 1181, durante un breve
periodo di tregua imposto dalla Lega lombarda nel conflitto tra il Comune trevigiano e Padova, Guglielmino
ottenne il riconoscimento della propria giurisdizione su Noale pro Comune Tarvisii, lasciando in tal modo intatti i
poteri signorili sul castello e sul suo distretto. Dunque Guglielmino rimase cittadino padovano e l’avogaria passò
ai suoi figli Guido e Guercio, ai quali fu riconosciuta l’esclusiva cittadinanza trevigiana20. Guglielmino fu
comunque un fedele avogaro del vescovo di Treviso e per difendere le prerogative e le giurisdizioni di
quest’ultimo finì proprio per ribellarsi al Comune di Treviso21. Guglielmino ebbe due figli Guercio e Guido II.
Gli anni tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo avevano visto infatti un certo intensificarsi dell’aggressività del
Comune di Treviso, non tanto all’interno del comitato storico, quanto al di fuori di esso. Al tempo stesso si era
rafforzata l’azione del medesimo Comune nei confronti del patrimonio vescovile, mediante la rivendicazione sia
dei beni e dei redditi fiscali, sia dei diritti di giurisdizione. Purtroppo la capacità di affermazione da parte del
Comune nei confronti di altre forze presenti nel territorio risulta molto difficile da documentare22. I reali e
concreti rapporti instaurati dal Comune di Treviso e i domini, che si trovarono ad agire simultaneamente all’interno
del medesimo organismo comunale, si possono cogliere parzialmente e forse indirettamente dedurre dai patti
concordati con i signori locali. G. Biscaro ritiene che una prima conferma della precoce capacità del Comune di
assorbire le autonomie signorili del contado vada individuata nell’istituto della wizatio, operazione consistente nel
divieto o nella limitazione parziale e temporanea del ius capulandi o del ius pascendi su terreni aperti boschivi con
l’elevazione di multe ai contravventori23. Questa testimonianza può aiutare a chiarire come i Tempesta,
nonostante tali imposizioni da parte del Comune, ritenessero di agire in completa autonomia, almeno riguardo alla
wizatio. Nella serie degli interventi comunali G. Biscaro ha individuato due fasi: una, fra il 1180 e il 1184, in cui il
Comune aveva sancito che chiunque avesse voluto wizare le proprie terre avrebbe dovuto farlo davanti al podestà
o ai consoli; una seconda, tra il 1191-1192, durante la podesteria di Ezzelino II da Romano, in cui entro l’ambito
degli statuti emanati si fissavano le ammende dovute dai trasgressori delle wizationes. Eppure una wizatio effettuata
dai Tempesta il 20 giugno 1192 a Brusaporco (attuale Castelminio di Resana) non venne mai pubblicata davanti al
podestà o ai consoli, né venne rispettato l’ammontare delle singole ammende. Anche se gli statuti ezzeliniani non
risultavano essere in vigore in questo momento, in ogni caso i Tempesta ignorarono le norme stabilite e questo
nonostante pochi mesi prima (nel febbraio 1192) assieme ai da Crespignaga fossero stati oggetto di contenzioso
con il Comune a proposito di una lite per la legna del bosco stesso.
18
Per i Tempesta e per i da Crespignaga pertanto non erano efficaci le norme in fatto di polizia campestre imposte dal
Comune ed estese alle loro proprietà, pur accettando essi stessi, almeno in linea di principio, la superiore giurisdizione
comunale24.
Guercio I, figlio di Guglielmino, giurò fedeltà al vescovo di Treviso il 6 maggio 120125. Il 2 febbraio 1200 fu presente
con il fratello Guido al patto fra il Comune di Treviso e gli uomini di Feltre e di Belluno, rappresentati dal proprio
vescovo26. Egli, inoltre, fu l’unico tra tutti i Tempesta avogari ad essere insignito della signoria di Orgnano, castello nei
dintorni di Mestre, che fino al 1189 era appartenuto a Zordanino. Nel 1223, quando Guercio morì, il figlio, Guido
III, fu costretto a vendere proprio il castello di Orgnano27 per saldare i debiti accumulati dal padre. Guercio non fu
un fedele sostenitore del vescovo di Treviso, come lo era stato il padre Guglielmino, anzi in più occasioni non aveva
esitato a prevaricare dall’autorità dell’allora vescovo di Treviso, Tiso da Vidor, personalità tutt’altro che forte e decisa.
Dopo la consacrazione, avvenuta il 24 ottobre 1209, questi dovette infatti subire direttamente le pretese di Guercio, al
quale, nel frattempo, aveva già sborsato ben 2.000 lire. Secondo Tiso questa somma avrebbe dovuto essere il
compenso per tacitare il prepotente avvocato e garantirsi così la tranquillità, ma considerando anche quanto era
successo nelle due precedenti elezioni vescovili sorge il dubbio che l’ingente somma elargita da Tiso a Guercio altro
non fosse che il prezzo pagato per assicurarsi la cattedra episcopale28.
L’arroganza di Guercio si inserisce in un particolare contesto sociale, localizzabile verso la fine del secolo XII, e più
ancora agli esordi di quello successivo, quando l’età comunale si stava ormai avviando verso la fase della maturità. In
questi frangenti si era andata accentuando la turbolenza all’interno della società urbana e le persone coinvolte nella
violenza provenivano in gran parte da famiglie di spicco del ceto dirigente. Guercio Tempesta compare infatti nel
1216, assieme a Giacomino Guidotti, all’interno di una fazione capeggiata da Ezzelino II da Romano, in un momento
in cui non vi era al potere nessun podestà29. Tale ruolo egemone, comunque effimero e durato al massimo per quattro
mesi (febbraio-giugno), venne di fatto a cessare con la nomina di un podestà lucchese, Rodolfo Borgognone.
L’instabile situazione interna spiega il rapido succedersi al potere di vari podestà ed è proprio in questo agitato
periodo che a Treviso si ha la prima menzione di partes. Guercio Tempesta compare all’interno della fazione dei
nobili, che includeva anche Ezzelino II da Romano, due esponenti dei da Camino, due dei da Prata, Giacomino
Guidotti (che l’anno precedente era stato al governo assieme a Guercio senza che quest’ultimo godesse di una
qualifica ufficiale), un esponente dei da Cavaso e un Buzolino. In questa fazione confluivano dunque i massimi
esponenti del potere signorile presenti nel territorio, contrapposti ad altre partes menzionate dal podestà stesso. I
nobili erano preoccupati di salvaguardare i propri patrimoni signorili di fronte alle pressioni esercitate dalla classe
politica comunale, di estrazione urbana30. Alcuni mesi dopo la comparsa di questa fazione dei nobili il podestà
Rodolfo intervenne per sanare le gravi inimicizie createsi tra i gruppi familiari; egli, inoltre, stabilì che per i
contravventori la pena era esorbitante, pari a 50.000 lire, metà della quale da devolversi al Comune31.
19
Dall’analisi di una serie di atti relativi all’anno 1228 è possibile intravedere la consistenza dell’eredità di Guercio,
l’ultima notizia intorno al quale risale al 19 settembre 1219. In quest’occasione infatti assieme al fratello Guido II,
con Ezzelino II da Romano, con Gabriele da Camino e con altri nobili era intervenuto al giuramento di sudditanza
prestato al Comune di Treviso32. Anche se la sua rapacità nei confronti dell’episcopato avrebbe potuto lasciar
supporre un asse ereditario costituito da una ingente quantità di averi, in realtà egli trasmise ai suoi eredi un
patrimonio sovraccarico di passività. Gli atti della relativa liquidazione conservati sono solo alcuni, quelli cioè che
riguardavano direttamente l’episcopato.
Guido II, fratello minore di Guercio, non ebbe una personalità così prorompente come quella del fratello, tuttavia la
sua presenza nell’ambiente comunale non si può considerare del tutto trascurabile. Compare, e con ogni probabilità
la prima volta, il 4 aprile 1184 per assistere al giuramento fatto dalla città di Treviso di salvaguardare e di difendere il
castello e gli uomini di Conegliano. Alla fine del 1190 Guido II è presente alla ratifica della vendita del castello di
Zumelle33. Lo si trova nel 1194 a difendere la città di Treviso e le sue giurisdizioni assieme ad altri cospicui
cittadini34; e ancora nel 1208 come rappresentante dei Trevigiani alla costituzione della lega formatasi tra le città
venete, inclusa Treviso, contro le pretese dell’imperatore Ottone IV, sceso in Italia35. Si sa infine che Guido vendette
il 15 gennaio 1220, con autorizzazione papale, il castello di Stigliano perché la chiesa trevigiana era onerata di
debiti36. Qualche dubbio riguarda la data della sua morte. Secondo l’Ughelli Guido sarebbe morto qualche anno
prima del 1275 e il Bonifaccio lo ritiene deceduto addirittura nel 1281, notizia poco verosimile, se si considera che
nel 1184 era presente al giuramento sopra accennato e che di conseguenza non poteva essere vissuto per più di
cento anni. Molto più convincente rimane essere ancora una volta G. Biscaro, il quale asserisce che Guido II morì
verso il 1230, epoca in cui tutta la sostanza familiare, o meglio ciò che era rimasto del patrimonio di Guercio, si
accentrò nel nipote Guido III, figlio dunque di Guercio37.
A questo punto è opportuno formulare una qualche ipotesi circa la crisi patrimoniale che aveva colpito i Tempesta
alla morte dei due fratelli, cioè Guido e Guercio. Non è possibile ricostruire, nella totalità, la reale ampiezza
dell’espansione e degli ingenti patrimoni accumulati dai Tempesta durante il secolo precedente, e sembrano sfuggire
anche le motivazioni per cui in un così breve arco di tempo, e precisamente tra il 1228 e il 1230, tali fortune furono
vendute. Gli atti conservati, e tutti riguardanti il 1228, gettano uno squarcio di luce sull’eredità di Guercio. In vendita
erano stati posti non solo molti vassallatici, benefici e livelli di Asolo, compresa la rocca - beni, questi, che Guercio
aveva accumulato probabilmente durante l’episcopato di Tiso (del quale si è già detto in precedenza) - ma anche
l’avogaria. Si sa che l’importo sborsato dal vescovo per entrare in possesso di una parte dell’eredità di Guercio
raggiunse le 14.000 lire38.
20
Il figlio di Guercio, Guido III, l’8 dicembre 1228 con il consenso dei suoi procuratori, fece vendita al vescovo per il
prezzo di lire 300 “de advocatia et de ratione advocatie a Postoyma in sursum”, in particolare dell’avogaria delle corti di
Montebelluna, Cornuda, Braida, Asolo, Sumonzo, S. Giustina e Caselle e dei rispettivi territori39. Il papa, Onorio III, non fece
alcuna osservazione circa questa deliberata vendita dell’ufficio dell’avogaria. Si può supporre che la divisione nelle
due parti dell’avogaria, comprendente la prima le terre alte al di là della Postumia e la seconda le terre basse al di
qua, verso Treviso, sia stata solo un accorgimento, al quale si fece ricorso per conciliare gli interessi dei creditori
con quelli dell’episcopato. Forse la divisione, oltre che rispondere a criteri di convenienza, ebbe la sua ragione
d’essere in una antica tradizione che vedeva divise le due antiche diocesi di Asolo e di Treviso, già separate dalla
Postumia. E’ probabile ancora che tale divisione avesse avuto un precedente in un accordo raggiunto tra i due
fratelli Guido e Guercio, in ragione del fatto che a Guercio era stato assegnato il territorio di Asolo (dunque al di
là della Postumia) e a Guido le case a Treviso e il territorio di Noale, con il castello, e inoltre il castello e le terre di
Brusaporco e di Casacorba. Come si è detto in precedenza, morto Guido II attorno al 1230, al nipote Guido III
toccò la parte dell’avogaria al di sotto della Postumia, nonché le utilità rimaste del podere di Guercio40.
Durante i rivolgimenti politici susseguitisi nel territorio veneto in tale periodo, negli anni cioè della dominazione
di Ezzelino III da Romano e del fratello Alberico, i Tempesta sembrano scomparsi dal mondo politico. Dopo la
dedizione di Treviso all’imperatore Federico II, nel secondo semestre del 1237, Federico aveva concesso a
Ezzelino di occupare i castelli di Montebelluna, di Asolo e di Cornuda, la rocca di Braida, nelle immediate
vicinanze di Asolo e quella di Cornuda, tutti possedimenti del vescovo di Treviso. Ezzelino in breve tempo aveva
provveduto ad attrezzare i castelli e le rocche per la custodia dei cittadini di Verona e di Padova, della cui fedeltà
aveva motivo di dubitare. Negli anni successivi, tra il 1239 e il 1240, Ezzelino conquistò Bassano e occupò i
castelli di Mestre, di Noale, di Castelfranco, di Treville, di Campreto, di Maser e di Mussolente. Con l’occupazione
della città di Treviso, nel maggio del 1239, prese corpo un governo di tipo signorile che durò per vent’anni. La
città rimase nelle mani di Alberico da Romano e dei Caminesi fino al 1244-45 e solo in quelle di Alberico fino al
1259. Fu in seguito a questa situazione che iniziarono le prime serie di defezioni: ad abbandonare la città furono
infatti i domini, i quali, perdurando la divisione politica tra i due fratelli da Romano, fecero una scelta a favore di
Ezzelino. L’assenza dei Tempesta in tali frangenti si può forse imputare a questo stato di cose. Il crollo della
potenza ezzeliniana e albericiana e il ritorno al libero reggimento comunale si ebbero solo nel 1260, e tale
improvvisa fine della tirannide segnò l’immediato risveglio delle rivendicazioni di dominio nel territorio della
diocesi e del comitato da parte del Comune, nonché del vescovo e dei domini41. I Tempesta, comunque, non
ricomparvero immediatamente nell’ambiente politico trevigiano; non erano, infatti, presenti in seno al Consiglio
dei Trecento nel novembre 1259, allorché venne stipulato il patto con Conegliano42.
21
Il Comune di Treviso, entrato ormai sostanzialmente nella geografia dell’Italia comunale, iniziò ben presto a fissare
dei limiti all’azione delle forze ad esso estranee, assumendo, per esempio, una serie di provvedimenti volti a
disciplinare l’esercizio dei diritti signorili. Verso la fine degli anni Settanta vennero riprese cioè alcune norme già in
vigore nelle epoche passate e rivolte in questo momento contro le famiglie più eminenti del ceto magnatizio, tra le
quali compaiono anche i Tempesta, oltre che i da Romano, i Collalto, i Guidotti, i Buzolino, i Castelli, i da Camino, i
Camposampiero, i da Formeniga, i da Fossalta43.
A pieno titolo i Tempesta rientrarono a far parte attiva della vita politica con Artico I, figlio di Guido III, il quale nel
1281 aveva ricevuto dal vescovo Alberto l’investitura de advocatia Tarvisini episcopatus, e cioè della parte inferiore della
Postumia, compresa la curia di Trebaseleghe, territorio - con ogni probabilità - che a quella data, nell’ampia
giurisdizione diocesana, a sud della Postumia, faceva ancora parte dei beni dell’episcopio44. Lo si ritrova schierato nel
1283 in una delle due fazioni, la pars alba, che assieme alla pars rubea aveva sconvolto nel proprio interno la classe
dirigente trevigiana, e giusto nel momento che aveva visto primeggiare in città la signoria dei Caminesi. Nel 1314,
due anni dopo la morte di Rizzardo da Camino, e dunque in una nuova fase comunale per la città di Treviso, Artico
I viene eletto console45. Dietro l’uccisione di Rizzardo ci fu senz’altro la spinta dei conti di Collalto, del vescovo di
Treviso e delle più importanti famiglie aristocratiche che in precedenza avevano appoggiato i Caminesi e tra queste i
Tempesta, in particolare Artico e Guecello entrambi figli di Guido46.
L’influenza politica esercitata dai Tempesta all’interno del ceto dirigente trevigiano agli inizi del ‘300 si può
considerare ormai completamente ristabilita: a testimonianza di ciò si possono leggere le deliberazioni relative all’uso
delle armi, inserite negli Statuti del 1313. Secondo tali disposizioni, solo gli esponenti di tre grandi famiglie, ovvero i
Collalto, i da Camino e i Tempesta potevano portare armi ovunque come segno di distinzione47. Questa fase non va
certo contrapposta in modo netto al periodo caminese, visto che comunque con quest’ultimo vi è una certa
continuità; anzi, lascia chiaramente trasparire una evidente scelta di coinvolgimento del ceto dirigente trevigiano.
Non sono pochi gli indizi che permettono di rilevare un’accresciuta intraprendenza dei Tempesta proprio in questo
momento di autonomia del Comune trevigiano. Un altro evento di grande interesse, estremamente significativo della
fase politica entro la quale l’iniziativa dei Tempesta stava prendendo forma, è la contesa avviata dalla famiglia contro
il Comune, meglio definita dagli storici come processo avogari. I Tempesta tra il 1314-15 rivendicarono infatti al
Comune la muda, precedentemente prerogativa dell’episcopato48. Nel corso dell’azione legale ci furono moltissime
deposizioni di testimoni di parte, nonché l’esibizione di alcuni documenti e di diplomi imperiali da parte dei
Tempesta comprovanti la concessione del dazio. G. Biscaro ritiene che tali documenti non siano altro che deliberate
falsificazioni49. Il processo si concluse con esito quasi scontato, ovvero il Comune ottenne la titolarità del diritto di
riscossione del dazio.
22
Questa nuova fase di vita indipendente del Comune trevigiano ebbe tuttavia una durata assai breve. Da un lato le
cause vanno individuate nell’aggressività politica e militare degli Scaligeri, i quali misero in crisi l’equilibrio politico
dell’area compresa tra Padova e Treviso, dall’altro nelle profonde fratture esistenti all’interno della stessa classe
dirigente trevigiana. La città, a partire dal 1317, divenne infatti oggetto delle mire politiche di Federico d’Asburgo, il
quale con il suo intervento tentava di evitare il formarsi di pericolose lacerazioni nel precario equilibrio esistente tra
le città del Veneto. Rambaldo Collalto e Guecello Tempesta si recarono nel 1318 presso Federico per chiedere
appoggio contro Cangrande I della Scala. La città si pose dunque sotto la protezione del re: il Consiglio dei Trecento
e il vescovo giurarono quindi fedeltà a Federico, impegnandosi a riformare la costituzione cittadina, secondo il
volere dello stesso re.
Il Comune trevigiano del primo Trecento andò lentamente perdendo la sua autonomia, proprio a causa delle pesanti
e continue pressioni politiche provenienti dall’esterno. In seguito alle persistenti incursioni scaligere, tra il 1324 e il
1326, le forze cittadine si raccolsero attorno a due partiti, facenti capo rispettivamente alle famiglie degli Azzoni e
dei Tempesta. Dietro a questi schieramenti si può individuare senza dubbio la propensione di appoggiare l’uno o
l’altro dei due maggiori contendenti, gli Scaligeri e Federico d’Asburgo. L’incalzare degli avvenimenti aveva in ogni
caso costretto Guecello Tempesta a ritirarsi per un certo periodo nei suoi castelli, in modo da mettersi al riparo
dall’inevitabile cospirazione ai suoi danni messa in atto da parte di Altiniero degli Azzoni. Guecello rientrò poi
definitivamente a Treviso il 6 gennaio 1327, dopo un breve scontro armato terminato con l’uccisione di Altiniero50.
Da quel momento in poi egli assunse il controllo delle istituzioni cittadine e una funzione egemone nel governo della
città, grazie probabilmente al sostegno di Enrico di Carinzia-Tirolo51.
Dopo il prolungato assedio di Cangrande I, la città di Treviso venne conquistata nel luglio del 1329. La conquista
sancì, almeno formalmente, l’accordo tra Cangrande e Guecello Tempesta, sostenitore del dominio scaligero e
principale esponente del governo trevigiano tra il 1327 e il 132952. Durante tutto il decennio del dominio scaligero i
Tempesta mantennero un ruolo egemone, anche se fallì il loro tentativo di instaurare in città una vera e propria
signoria, sulla scorta di quanto era avvenuto a Padova. I Tempesta, tuttavia, conservarono le proprie prerogative
signorili, seppure con una giurisdizione estremamente limitata rispetto all’immediato passato, almeno fino al
settembre del 1342, quando il rettore di Treviso venne investito dalla Repubblica di Venezia anche del governo di
Noale53. Nel 1360 uno degli ultimi esponenti della famiglia, Maladugio, primogenito di Guecello, richiese al doge di
Venezia di rientrare in possesso della giurisdizione del castello di Noale. Richiesta che naturalmente venne respinta
dalla Repubblica, dal momento che il 28 ottobre 1360 anche a Noale venne istituita dal Maggior Consiglio la
podestaria54.
23
Qualche tempo dopo Vampo, il fratello di Maladugio, riuscì a rientrare in possesso del castello di Crespignaga,
ergendolo a fortezza. In questo castello trovò riparo durante la guerra di Chioggia, il figlio di Vampo, Marco,
l’ultimo degli esponenti della famiglia, morto nel 138055. Con lui si estinse il ramo legittimo della famiglia dei
Tempesta.
Per la famiglia dei Tempesta troppo tardi sorse il più abile de’ suoi personaggi; Venezia, sospettosa delle potenti signorie formatesi
intorno alla laguna, fidente nella forza, che le derivava dalla sua libera costituzione e dalle immense ricchezze, accumulate nel commercio
sul mare, si decideva finalmente di intromettersi nelle vicende politiche della Marca trevigiana e con una tendenza di espansione nella
terra ferma, del tutto nuova per la Repubblica e quindi più audace, nel tempo stesso che tarpava le ali all’ambizione degli Scaligeri,
veniva a troncare i progressi della crescente Signoria Tempesta di cui era capoluogo Noale56.
1
D. Rando, Religione e politica nella Marca. Studi su Treviso e il suo territorio nei secoli XI - XV, vol. I, pp. 15-22. L’episcopato aveva tutto
l’interesse a legare a sé, mediante il vincolo del vassallaggio, le persone considerate politicamente più temibili. Nella rassegna dei
vassalli maggiori e minori dell’episcopato del 1178, si presentarono a prestare giuramento di fedeltà ben 109 vassalli. G. Biscaro, Le
temporalità del vescovo di Treviso dal secolo IX al XIII, in “Archivio Veneto”, s. V, LXVI (1936), pp. 19-24.
2 D. Rando, Religione e politica, p. 20.
3 Ivi
4
A. Maschio, Alcuni saggi da una monografia su Noale, Caserta 1904, pp. 10-11; G. Biscaro, Le temporalità, p. 23; D. Rando, Religione e
politica, p. 21.
5 Ibidem, p. 10.
6
G. Bonifaccio, Istoria di Trivigi, Venezia MDCCLIV, Libro IV, pp. 150-151.
7
Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XVII, voce Camposampiero.
8
G. Biscaro, Le temporalità, p. 23. Il saggio in questione è infatti stato pubblicato nel 1936.
9
Ibidem. p. 24.
10 Bonifacio figliolo del q. Bernardo del loco di Carbonaria, Valpertin Montaverra et Bertoldo fratelli germani del q. Carbone di Carbonaria predetta. Se
dunque Valperto Montaverra fu il padre di Guido, l’ipotesi così a lungo sostenuta dagli storici sull’origine dei Tempesta dalla casata
dei da Camposampiero risulta essere completamente posta in discussione, a favore appunto della discendenza dei medesimi dalla
casata dei da Carbonara. Si spiegherebbe in tal modo la trasmissione per via ereditaria dell’ufficio dell’avogaria conseguito da
Guido I Tempesta dallo zio e non, invece, ottenuto da Vinciguerra per concessione imperiale. G. Biscaro, Le temporalità, p. 21;
D.Rando, Religione e politica, p. 21.
24
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14
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16
L’atto relativo alla successione di Bertaldo Malsperone fu redatto a Noale nel 1119. G. Biscaro, Le temporalità, p. 22.
G. M. Varanini, Istituzioni e Società a Treviso tra Comune, signorie e poteri regionali (1259-1339), in Storia di Treviso, a c. di E.
Brunetta, vol. II, pp. 161-162
In un documento del 21 dicembre 1168 Willelmino (Guglielmino), attestato quale fratello di Bonifacino e
GirardinodaCrespignaga, si sottomette a una transazione nel contenzioso insorto con i tre fratelli, avente quale
risultato concreto la divisione dei beni familiari in tre parti. In un successivo documento del 1171, redatto sotto il
portico della chiesa della villa di Brusaporco, i fratelli Willelmino Tempesta, Girardino e Bonifacino da Crespignaga,
giurano di non innalzare alcun edificio dentro e fuori il castello di Crespignaga. Nella documentazione successiva
compaiono invece solo i due fratelli Girardino e Bonifacino, intenti a risolvere le controversie relative alla proprietà
del castello e degli altri beni immobili della famiglia. E. Cristiani, La consorteria da Crespignaga e l’origine degli Alvarotti di
Padova (secoli XII-XIV), in “Annali dell’Istituto Italiano per gli studi storici”, I (1967-68), pp. 179-184; in particolare:
docc. n. 1, pp. 195-195; n. 2, p. 196.
A. Gloria, Codice diplomatico padovano, vol. II, p. 60, doc. n. 745. Il feudo era situato nella curia di Campagnalupia, e un
terzo della stessa, precisamente le località di Cornio, Lova e Prozzolo, erano state concesse in feudo da Rolando da
Curano a Dalesmano di Padova. L’atto, redatto il 21 aprile 1148, aveva visto la testimonianza di Guido I Tempesta.
Ibidem, doc. n. 506.
A. Marchesan, Treviso medioevale. Istituzioni - usi - costumi - aneddoti - curiosità, Treviso 1923 (ed. anast. Bologna 1977, a
cura di L. Gargan), II, p. 328.
I Tempesta in ragione del loro ufficio di avogari del vescovo - ufficio che veniva esercitato come ereditario ricevettero in feudo da quella Chiesa terras de Anoalis, de Bormignana, de Abriana, de Mazacavallo, de Ruigo, Zumignana,
Vigozollo, Damiseno, Tascenigo cum decimis et novalibus ad usum opuletum dictae dignitatis ut habent monumenta evulgata. L. A.
Muratori, Antiquitates Italiae Medii Aedi, Milano 1741, diss. 63; A. Marchesan, Treviso medievale, II, p. 329; C. Agnoletti,
Treviso e le sue pievi, vol. I, Treviso 1897, cap. II, p. 51.
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21
22
L. Picchini, Ricordi storici di Noale, Noale 1946, p. 7.
G. Dal Maistro, Noale tra storia e memoria, Spinea 1994, pp. 95-96, 158-161.
A. Gloria, Codice diplomatico padovano, III, doc. 1268, 27 agosto 1177.
Nel 1164 i Trevigiani avevano sconfitto la lega guidata da Guecelletto da Prata e formatasi tra il patriarca di Aquileia,
i Caminesi e i vescovo di Belluno e di Ceneda. Ancora attorno al 1177 il Comune di Treviso, dopo aver distrutto la
città di Feltre, aveva costretto il vescovo ad assoggettarsi a Treviso; i da Camino vista la minaccia opprimente si
allearono a Conegliano, sottomettendosi di lì a poco alla città di Padova. La coalizione che venne a crearsi contro il
Comune trevigiano, alla quale aderirono anche il vescovo di Belluno e la popolazione di Oderzo, portò alla
distruzione del castello di Godego e della città di Conegliano, nonché di altre ville del territorio trevigiano e del
cenedese. A questo punto, il 20 gennaio 1181, la Lega fu costretta ad intervenire: il Comune di Treviso dovette
rinunciare ai propri interessi nei confronti del territorio coneglianese e cenedese, ma poté conservare la piena
giurisdizione su Guglielmino Tempesta e sul castello di Noale. D. Rando, Dall’età del particolarismo al Comune (secoli XIMetà XIII), in Storia di Treviso, pp. 41-102.
G. Biscaro, Il Comune di Treviso e i suoi più antichi statuti fino al 1218, in “ Nuovo Archivio Veneto”, n.s., 1902, n. 5, p.
124.
Un testimone, Giovanni da Negrisia elencava nel 1210 dieci località sedi di castello, di curie e di ville in cui il vescovo
esercitava la piena giurisdizione. Dal confronto con una precedente lista dei castelli dell’episcopato compilata nel
1152, risultano mancanti dieci castelli e questo dimostra come l’episcopato a quell’epoca avesse perso il controllo di
più di un terzo dei suoi castelli. D. Rando, Dall’età del particolarismo, p. 68.
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50
G. Biscaro, La polizia campestre negli statuti del Comune di Treviso in “Rivista italiana per le scienze giuridiche”, XXXIII (1902), pp. 5960.
D. Rando, Dall’età del particolarismo, p. 71.
F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae, V, Venezia 1720, 2a ed. a c. di N. Coleti (ed. anast. Bologna 1973), col. 536.
G.B. Verci, Storia della Marca Trivigiana e Veronese, Venezia MDCCXCI, vol. III, doc. 68, pp. 138-139.
G. Biscaro, Il Comune di Treviso, p. 141.
D. Rando, Le elezioni vescovili nei secoli XII-XIV. Uomini, poteri, procedure in Storia di Treviso, pp. 387-388; S. Tramontin, La diocesi e i
vescovi dall’alto medioevo al secolo XIII. Linee di sviluppo in Id., p. 366.
Come avvenne per la maggior parte delle città dell’Italia centro-settentrionale anche le istituzioni comunali trevigiane oscillarono,
almeno a partire dal 1176, anno in cui è documentato il primo podestà, per dei lunghi periodi tra governo podestarile e
governo consolare, tra podestà cittadini e podestà forestieri. La soluzione del podestà di professione fu adottata nel 1193,
anche se non si trattò di un’acquisizione stabile e duratura, dal momento che si fece ricorso a collegi di consoli almeno fino al
1213. Dopo di questa data, comunque, si stabilizzò la scelta sul podestà forestiero di alta professionalità. D. Rando, Religione e
politica, pp. 38-43.
D. Rando, Dall’età del particolarismo, pp. 77-80.
Ivi.
G. Biscaro, Le temporalità, p. 57.
G. Bonifaccio Istoria di Trivigi, p. 141.
Ibidem, p. 145.
Ibidem, p. 160.
C. Agnoletti, Treviso e le sue pievi, vol. I, cap. V, p. 148; S. Bortolami, “Fra alte domus e populares homines”: il Comune di Padova e il suo
sviluppo prima di Ezzelino in Storia e cultura a Padova nell’età di S. Antonio, p. 9, n. 22.
G. Biscaro, Le temporalità, p. 61.
Ibidem, pp. 58-60.
Ibidem, pp. 58-60.
Ibidem, pp. 60-61.
D. Rando, Dall’età del particolarismo, pp. 89-92.
G. M. Varanini, Istituzioni e società a Treviso, p. 141.
Ibidem, pp. 148-149.
G. Biscaro, Le temporalità, pp. 61-62.
G. M Varanini, Istituzioni e società, p. 180.
G. B. Verci, Storia della Marca, t. VII, pp. 126-128.
Ibidem, t. V, pp. 185-186.
Già nel corso del secolo precedente il Comune aveva tentato di rivendicare la titolarità del diritto di riscossione della muda o del
dazio, di spettanza del vescovo. A. Marchesan individua la vera causa del processo avogari nella volontà da parte del Comune di
esercitare un ulteriore sopruso ai danni dell’episcopio, di cui i Tempesta erano appunto avvocati. A. Marchesan, Treviso
medievale, vol. II, p. 40.
G. Biscaro, Le temporalità, p. 24.
G. M. Varanini, Istituzioni e società, p. 183. Riguardo alla cospirazione contro Guecello si veda anche la sentenza ai danni di
Altiniero e dei suoi seguaci, pronunciata dal Comune trevigiano in G. B. Verci, Storia della Marca, t. IX, p. 120.
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55
56
J. Riedmann, L’area trevigiana e i poteri alpini, in Storia di Treviso, pp. 260-261.
G. M. Varanini, Istituzioni e società, pp. 183-184.
E. Volpi, Distretto e podestaria di Noale, Venezia 1893, pp. 11-12.
Archivio di Stato di Venezia, Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 19, Liber Novella, c. 74v.
G. B. Verci, Storia della Marca, t. XIII, p. 75; A. Maschio, Alcuni saggi, pp. 47-48.
A. Maschio, Alcuni saggi, p. 49.
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IL RESTAURO DELLA ROCCA DEI TEMPESTA
TRA CONSERVAZIONE E MANUTENZIONE
di Giuseppe Rallo
Tra i vari siti fortificati presenti nell'area compresa tra Padova e Treviso, la Rocca dei Tempesta rappresenta
un'importante testimonianza di Castellum, parte di una più complessa ed estesa macchina difensiva che a Noale, insieme
ad doppio anello d'acqua, proteggeva l'intero abitato antico.
La parte più “sicura” della struttura, la Rocca, come fondazione risalente al secolo XII, rientra interamente nell'antica
concezione di architettura fortificata, precedente alle bocche da fuoco1. Le torri e le cortine, infatti, venivano
considerate tanto più efficaci quanto più alte, prevedendo una cosiddetta difesa piombante. Il miglioramento della
struttura difensiva comportava non la revisione della sua geometria ma innalzamenti di mura e torri.
Da ciò che ancora oggi mostrano i resti murari del mastio, del palazzo e delle torri, elementi questi riportati nei
documenti e nell'iconografia storica, la Rocca non obbediva ad una precisa regola geometrica d'insieme, pur avendo una
organizzazione interna strutturata con criteri funzionali alla difesa ed all’alloggiamento di truppe.
La particolare leggibilità planimetrica e urbanistica dell'insieme, unita alla “pittoricità” dei resti della Rocca nonché delle
architetture civili del centro antico, fanno di Noale e del suo Castellum un irrinunciabile documento di storia dei sistemi
difensivi e di urbanistica militare medioevale2.
A partire dall'ultimo trentennio del XII secolo, infatti, è testimoniata in area veneta l'esistenza di diversi borghi cresciuti
attorno e a ridosso di castelli, come ad esempio S. Giorgio delle Pertiche (1178), Castellum S. Petri (1183), Bardolino
(1194), Malo (1224), Pernumia (1225), S. Zenone degli Ezzelini (1261) e Fontaniva (1226), di cui però le tracce
superstiti, laddove esistono, non permettono una lettura sufficiente del complessivo sistema fortificato3.
Giobatta Rossi in uno scritto del 1788 sulla cittadina di Noale parla di altri Castelli ubicati a breve distanza da quello
noalese, quali ad esempio Stigliano, Robegano, Moniego, Scorzè, S. Ambrogio, alcuni distrutti già nel XIII secolo4.
Di tutti questi siti nessuno ha conservato in maniera leggibile l'impianto complessivo del sistema di fortificazione, ragion
per cui Noale e la Rocca divengono testimonianza di notevole interesse storico e architettonico in un ambito territoriale
posto al confine tra le municipalità di Treviso, Padova e Venezia.
Il nucleo fortificato di Noale era situato, infatti, all’incrocio di due importanti direttrici storiche, ossia Treviso-Padova e
Camposampiero-Mestre. Sorgeva in prossimità di un'ansa naturale del fiume Marzenego di cui ancora oggi sfrutta le
acque per l'alimentazione del doppio fossato. Le acque del Marzenego opportunamente diramate in fossati con spalti,
come possiamo osservare da un documento di archivio del 1546 conservato alla Biblioteca Civica di Treviso, nonché da
una seconda mappa del 1689 dell'Archivio di Stato di Venezia, delimitavano e circondavano la Rocca con il fossato
interno, mentre con il fossato esterno racchiudevano il Castello interiore, quindi definivano con altri canali anche
l'insediamento esterno sorto in epoca successiva, denominato Castello esteriore.
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L’interesse del sistema va ricercato nel fatto che la difesa militare non è risolta con un solo baluardo, bensì con una
sequenza di strutture difensive di natura diversa secondo la logica della scatola cinese; ovvero canali, fossati con spalti,
quindi porte urbane a torre forse con cinta muraria, e, infine, la Rocca con al suo interno una ulteriore torre, elemento
di estrema e ultima difesa.
La parte più difficile da espugnare dell'intera macchina di difesa, la Rocca, era collegata alla città da un unico ponte
levatoio posto a nord, oggi stabile in mattoni.
L'area, originariamente corrispondente al Castello interiore, oggi è costituita dall'abitato situato a cavallo della strada
lungo la direttrice Camposampiero-Mestre, delimitato dalle due porte con torri.
…..Il palazzo dei Tempesta detto volgarmente Palazzon, vera Rocca dell'antico castello di Noale, vanta la sua origine
fin dal secolo XII...:così inizia la descrizione del Maschio in un testo del 1904. Dalle “Notizie storiche del Castel di
Noale” di Giobatta Rossi scritte circa nel 1788, si possono trarre preziose notizie sia sulla situazione della Rocca alla
fine del XVIII secolo che sui passaggi di proprietà con le relative vicende costruttive.
Il Bonifacio nel 1754 riporta un terremoto di grossa entità che nel 1222”fece crollare le torri del castello dei Tempesta
a Noale:” se ne deduce che a quella data esisteva un castello con torri.
Su una muraglia, posta a sud della torre detta delle prigioni, già demolita all'epoca del G. B. Rossi, era riportata una
lapide con l'iscrizione “MAGNIFICUS ADVOCATUS TARVISII HOC OPUS FIERI FECIT MCCLXXII”. Questa
data rappresenta il termine post quem cui riferire le diverse vicende della Rocca, supposto che la stessa venne
ricostruita dopo il terremoto del 1222. “... e l'ampia Rocca framezzata di torri e cinta da terrapieni almeno nel
tredicesimo secolo divenuta era uno Staccato per alloggiare molta milizia, ad un baluardo quasi insuperabile non
inventato ancor l'Artiglieria...” così si legge nel manoscritto del XVIII secolo.
Pur rimanendo essenzialmente una struttura difensiva, come dimostrano le cronache di battaglie e assedi del periodo
che va dal 1360 fino al 15134, afferma il G.Rossi che “...divenuta la residenza dei Nobili uomini Rettori veneti, senza
cangiar di faccia di fortezza, vi si aggiunsero di mano in mano comodi ed ornamenti ad uso di Sala colla Scala, ed
all'esterno alla parte di mezzogiorno cert'altra costruzione detta comunemente la Terrazza, ciò seguì verso il 1463
forse sulle rovine dell'antico Palazzo...”. Questa trasformazione e le necessità d'uso che l'avevano determinata
dureranno fino alla seconda metà del XVII secolo, come ancora afferma il Rossi, “... ma certi morsi più potenti assai
del tempo edace e delle militari concessioni cominciarono da circa un secolo a guastare sì importante edifizio...”.E'
questa la prima notizia che attesta l'inizio del lungo abbandono che porterà il complesso ad un irreparabile degrado.
A conferma del perdurare dell'abbandono della Rocca, una Ducale del 20 agosto del 1763 autorizzava la comunità
noalese a trarre materiali costruttivi “cadenti o che fossero per cadere a restauro principalmente de ponti della Terra”.
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L'uso della Rocca come cava di materiali durò fino a che una parte della cittadinanza di Noale nel 1811
protestò vivamente per la distruzione di molta parte della Rocca e in tal modo si pose fine alla distruzione.
E' nel 1819 che il cimitero, prima posto intorno alla Chiesa, venne spostato entro il recinto murato della
Rocca.. Questa data risulta di grande importanza per la salvaguardia dei ruderi della struttura difensiva, in
quanto con il riuso dell'area cominciano i lavori di manutenzione dei resti murari, che seppur non continui ed
insufficienti a conservare le murature e i segni superstiti, rallenta sostanzialmente la distruzione avviata nel
secolo precedente. Infatti nel 1880 viene scavato il fossato che si era quasi trasformato in acquitrino e nel 1939
vengono effettuati dei lavori di restauro difficilmente individuabili oggi, ma che dalla consultazione degli
archivi risultano non sufficientemente rispettosi dell'esistente.
Una buona documentazione fotografica dell'inizio del secolo mostra la Rocca avvolta completamente da edera
e da altre piante rampicanti. Le immagini lasciano comunque intravedere la stessa consistenza muraria del
rudere pervenutoci. Ulteriori lavori interessano l'area circostante la Rocca nel 1946 con rialzi di terreno
all'esterno che ancora oggi sono leggibili5.
LA FASE CONOSCITIVA ED IL RILIEVO DEI FENOMENI DEL DEGRADO
La consapevolezza della rilevanza storica della Rocca e la conoscenza delle sue diverse fasi costruttive,
testimoniate dai documenti in prima istanza e confermata dai ruderi che oggi è possibile vedere, hanno
determinato un atteggiamento di fondo che guida e in gran parte determina tutto il progetto di restauro,
nonché la scelta dei modi e degli strumenti tecnici con cui si è intervenuti.
La Rocca si presenta oggi sotto l'aspetto di un suggestivo rudere, con i resti degli edifici originari, limitati però
alle tre torri di difesa e alle murature esterne del palazzone e del mastio, con numerosi segni dei vecchi interni
degli edifici abbattuti, con parti intonacate, fori di alloggiamenti delle travature lignee, tracce di scale e perfino
di affreschi di un ambiente al piano terra originariamente voltato.
Alla consapevolezza che la ruderizzazione della Rocca è il risultato di scelte e di fattori storici conseguenti ai
cambiamenti delle politiche territoriali della Serenissima nel XVIII secolo, si unisce la constatazione della
richezza di segni architettonici e costruttivi superstiti, rilevabili sia sulle murature sia sulle altre superfici
interne ancora presenti. Ciò ha imposto un tipo di intervento strettamente conservativo sia nei confronti della
forma generale dei ruderi che delle strutture murarie superstiti e più in generale dell’intera materia pervenutaci.
Ogni piccolo particolare costruttivo e di finitura assume nel rudere noalese valore testimoniale di una
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configurazione precedente, di una versione architettonica e funzionale in parte cancellata. L'atteggiamento
conservativo discende anche dalla volontà di non applicare criteri di selezione storica o formale sulle superfici,
considerando le stesse e le strutture che le sottendono dati materiali permanenti della storia della costruzione.
La conservazione della materia, laddove è possibile, attua il superamento della esclusiva visione di tipo
“romantico” del rudere per realizzare un rapporto che includa la dimensione storica della costruzione e del sito
di Noale in generale. Si rinuncia a priori ad ogni forma di integrazione delle parti mancanti, che andrebbe ad
alterare il documento storico privilegiando una completezza formale comunque parziale e difficilmente
documentabile. Si è voluto in verità dare più importanza all’intervento di rallentamento del degrado ottenuto
con metodi , tecniche e forme operative possibilmente in continuità con la tradizione manutentiva precedente,
laddove le condizioni del monumento lo permettevano. In altri casi si è intervenuti con materiali e strumenti
nuovi. L'intervento effettuato vuole inserirsi all'interno del processo storico della fabbrica che viene
riconosciuto nella sua totalità. Il rispetto assoluto del testo pervenutoci, compresi gli aspetti irrazionali, quali le
interruzioni della continuità da crollo, le irregolarità e le altre anomalie di fatto determinate negli ultimi due
secoli, che lo fanno essere innanzitutto un rudere, spostano l'intervento quasi esclusivamente sul piano del
rallentamento del degrado materico. In funzione di questo presupposto la prima fase operativa finalizzata alla
conoscenza della Rocca, è stata indirizzata ad uno studio approfondito dell'esistente a partire dalla analisi storica
del manufatto. Abbiamo poi percorso i volumi, le superfici e le strutture, effettuando un primo lavoro di
decodificazione dei segni costruttivi rilevati e da un punto di vista storico-architettonico indagando
contemporaneamente i processi di degrado in atto sui mattoni, sulle fugature e sulla struttura. In particolare
sulle murature interne del mastio una troupe francese formata da archeologi e da tecnici informatici ha
effettuato un rilievo generale delle superfici enucleando dall'insieme le diverse unità stratigrafiche murarie,
mediante un sistema di restituzione che parte dal dato fotografico per arrivare al tracciato geometrico. L’intera
superficie è stata restituita sia come insieme ma anche nei particolari che mostravano uno specifico interesse da
un punto di vista dell’archeologia degli elevati. Si è così prodotto anche una importante documentazione
fotografica eseguita con sistematicità, che oggi permette di effettuare un ordinato confronto tra i risultati del
lavoro di conservazione e lo stato precedente. Mediante questo itinerario di lavoro sono stati individuati i
singoli “interventi umani ”nel tentativo duplice di ricostruire le vicende costruttive del manufatto e di
conservarne i segni nel lavoro di restauro e di conservazione del bene. Questo tipo di conoscenza, ottenuta con
il sistema “Archeoplan”, è stato il supporto sostanziale per il rapporto di collaborazione sul cantiere tra la
direzione lavori e i tecnici restauratori. L'intervento di restauro è stato articolato in più stralci che hanno
interessato dapprima la torre ovest, quindi le superfici esterne e quelle interne del mastio e infine i resti della
torre sud-est.
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L'intervento sulla torre ovest
Il primo intervento è stato effettuato sulla torre posta a ovest. Costruzione compatta con assenza di dissesti
significativi, con una inclinazione storicizzatasi, a giudicare dall'apertura di una finestra che risulta parallela alla linea
di terra e inclinata rispetto alla torre. Il lavoro di restauro è stato concentrato sulla sommità della torre e sulle
superfici murarie a vista. Queste sono state, infatti, rilevate riportando sui grafici le osservazioni dirette riguardanti i
dissesti della struttura, i macrofenomeni di deterioramento (aggressione biologica nella parte sommitale della torre),
quindi i processi di alterazione in corso sui mattoni e sui giunti di malta e registrando il degrado delle parti di
intonaco superstiti. E' stata quindi approntata una campagna di analisi chimico-fisiche per comprendere il modo di
evolversi del degrado e individuare le cause che lo avevano determinato. In particolare sono stati individuati
fenomeni macroscopici di aggressione biologica con presenza di piante inseritesi negli interstizi murari e con estese
colonie di licheni e alghe che hanno ricoperto la superficie muraria a nord. Sono presenti anche aree con forti
fenomeni di disgregazione e decoesione dei giunti di malta, con conseguente aumento dell'infiltrazione dell'acqua
piovana e incremento dei processi di deterioramento dei mattoni. Ciò porta a veloci fenomeni di scagliatura e nel
tempo alla perdita di parti consistenti di mattoni. Vi sono anche aree in cui i mattoni presentano fenomeni di
polverizzazione più o meno spinta in profondità a seconda dell'esposizione della facciata e della condizione dei
giunti di malta. Fenomeno dovuto sia all'aggressione delle acque meteoriche, sia, talvolta, anche alla scarsa qualità
dei mattoni impiegati.
In funzione di queste osservazioni iniziali sono state effettuate le seguenti analisi:
- esecuzione di documentazione fotografica del manufatto prima dell'intervento, finalizzata a illustrare sia i caratteri
costitutivi del manufatto, sia la morfologia del deterioramento;
- prelievo di campioni di materiale laterizio ed intonaco a varie altezze e a diversa esposizione mediante asporto
manuale e a scalpello, secondo le indicazioni Normal 3/80;
- esecuzione di stratigrafie in situ sugli intonaci e sui giunti di malta, eseguite a diverse altezze in modo da esaminare
la corrispondente situazione conservativa;
- sono stati individuati in alcuni punti dieci strati di intonaco e dipinture, di cui una con tracce di affresco;
- analisi petrografiche e mineralogiche dei mattoni e degli intonaci prelevati su sezione sottile, da cui sono state tratte
indicazioni sulla composizione mineralogica degli stessi ma non sulla loro struttura e tessitura;
- analisi calcimetrica dell'impasto legante-inerte dei campioni prelevati sugli intonaci delle pareti e sulle malte di
allettamento;
-analisi diffrattometrica con cui è stata determinata la presenza di sali e di ossalati nei materiali prima ridotti in
polvere per questo tipo di esame. E' stato inoltre determinato il quantitativo di minerali presenti nei campioni;
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- analisi morfologica dei prodotti di alterazione e del materiale costitutivo mediante microscopia elettronica a
scansione S.E.M.;
-analisi qualitativa dei prodotti di alterazione mediante applicazione di interfaccia al S.E.M. della microsonda
elettronica;
- misurazioni in situ della capacità di imbibizione ed assorbimento capillare dell'acqua, mediante sistema con pipette
Karsten.
I risultati delle singole analisi completati dalle osservazioni attente su tutta la superficie della torre ha permesso di
redigere dei grafici su:
- gli intonaci esistenti e il tipo di degrado cui sono soggetti;
- mancanze e lacune del materiale laterizio;
- aree di distacco o in fase di distacco della cortina muraria esterna regolarmente apparecchiata e normalmente
ammorsata al nucleo interno non omogeneamente apparecchiato;
- aree con mattoni scagliati o molto decoesi e giunti mancanti o molto decoesi;
- aree con mattoni e giunti con processi di polverizzazione in atto;
- aree con aggressione biologica a diversi livelli e fasi.
Si è osservato che l'attacco chimico sta all'origine dei processi di deterioramento dei mattoni e delle malte, ma non
ne è la causa primaria. L'acqua, l'anidride carbonica, lo zolfo, i nitrati, i sali di ammonio e gli altri elementi presenti
nell'aerosol sono in grado di attaccare i legami che tengono saldata la matrice dei minerali silicatici e carbonatici
presenti nei laterizi e negli intonaci. L'aumento e l'alterazione del rapporto superficie-volume (macroporosità
acquisita dove vengono esaltate le attività chimiche e chimico-fisiche) aumenta in questi materiali la capacità di
assorbimento e scambio di ioni con soluzioni. Questo complesso sinergismo genera nell'architettura tessiturale del
paramento un forte aumento dei valori assoluti della igroscopicità. Al variare dei parametri di evaporazione,
temperatura, umidità, Ph. ecc. dell'ambiente si creano fenomeni ciclici più o meno costanti, in conseguenza dei quali
si perde la coesione originaria dei mattoni e degli intonaci, poichè si indeboliscono le strutture intergranulari e
tessiturali. La ripetizione dello stesso fenomeno aumenta esponenzialmente gli effetti disgregativi sui materiali.
Naturalmente ai fenomeni chimici si aggiungono quelli strettamente fisici legati al ciclo gelo-disgelo, e alla
disgregazione dovuta alla formazione di cristalli di sali veicolati dall'acqua o già presenti nella composizione dei
mattoni e delle malte.
Ne è risultato che il paramento murario è composto da mattoni di tipo e composizione diversa che rispondono alle
sollecitazioni ambientali in modo diverso. In particolare i mattoni denominati Ferragnoli o Albase, risultano molto
sensibili ai processi di degrado in quanto poco cotti. La maggiore sensibilità è determinata dalla minore resistenza
meccanica che il materiale ha per rispondere alla pressione dovuta alla cristallizzazione salina e al conseguente
fenomeno di aumento dei valori igroscopici assoluti.
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Il degrado riscontrato quindi trae origine dai processi gelivi, ossia dalla capacità del materiale di assorbire notevoli
quantità di acqua, che viene trattenuta all'interno sia sotto forma liquida sia di vapore. Le fasi successive che
portano alla disgregazione interna e quindi alla caduta di parti di materiali sono solo di tipo tensionale meccanico
interno alla tessitura.
L'altro tipo di mattoni molto più resistenti alle aggressioni chimico-fisiche dell'atmosfera sono detti Stracotti. Il
deterioramento della malta di allettamento è da attribuirsi invece all'eccesso di materiale legante scarsamente
omogeneizzato, che ha creato dei noduli di calce non ben spenta.
Ruolo di notevole importanza ha avuto la determinazione di alcuni inerti presenti nelle malte analizzate, infatti i
risultati ottenuti hanno permesso di confezionare le nuove malte con sabbie simili alle preesistenti, ancora
reperibili sul territorio. Sono stati individuati inerti di pietra di Vicenza, di Piovene o pietra d'Istria, trachite ed una
scarsa percentuale di sabbia di fiume. Va precisato che le fugature riscontrate sulla cortina muraria della torre sono
di diversi tipi e momenti storici, con variazione di componenti dovuta, ovviamente, ai diversi interventi
manutentivi effettuati nel tempo sulla muratura.
Anche sulle parti di intonaco presenti sulla facciata rivolta verso il cimitero sono stati effettuati saggi stratigrafici e
analisi chimico-fisiche. Ne è risultato che nelle parti corrispondenti agli ambienti interni, ora all’esterno, si sono
riscontrati diversi strati di intonaci e dipinture, a volte di natura diversa, in alcuni casi in fase di distacco dal
supporto murario, in altre invece ben agganciate ma con vistosi fenomeni di erosione superficiale o, ancora
peggio, in fase di decoesione leggibile dalla perdita di inerti al tatto.
Le analisi hanno confermato la diversa lavorazione dei materiali, con curve granulometriche diverse e con
tessiture a volte distinte tra strato e strato.
Sulla superficie della torre sono state individuate aree in cui si è proceduto alla sostituzione dei mattoni decoesi,
operando uno smontaggio anche in profondità per estirpare le radici delle erbe e in qualche caso anche alberelli
infestanti, procedendo poi ad un rimontaggio accurato dei mattoni stessi che presentavano una compattezza ed un
contenuto salino ancora accettabile. Infine nelle stesse aree è stata eseguita la rifugatura dei giunti. Questo tipo di
lavoro è stato essenzialmente realizzato nella parte sommitale della torre, dove l'aggressione delle piante aveva
contribuito al degrado non solo della cortina esterna dei mattoni, ma anche di parte del nucleo strutturale. Sulla
facciata nord, soprattutto, erano presenti ampie aree con forte decoesione dei giunti e dei mattoni. In questo caso
è stato effettuato solo un lavoro di cuci-scuci superficiale, riposizionando i mattoni in modo da rigenerare anche
le ammorsature con la muratura. Sono stati inoltre eliminati i giunti decoesi e sostituiti con rifugature effettuate
con malte dalla composizione similare all'esistente6. Sulle aree invece dove i giunti presentavano una condizione
conservativa disomogenea è stata effettuata una selezione attenta delle parti da rimuovere e di quelle da
mantenere. Su queste parti è stato effettuato un lavoro di microstuccature, facendo precedere l'operazione dalla
pulitura con spazzole e dal lavaggio dei giunti.
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La volontà di conservare la parte di fugature ancora compatta discende dalla consapevolezza del loro valore
documentario. La loro presenza testimonia infatti i diversi interventi manutentivi, in certi casi anche molto
antichi. Il lavoro di microstuccatura effettuato su ampie aree delle facciate sud, est ed ovest cerca di impedire
anche il procedere del degrado da infiltrazioni di acqua piovana.
Di particolare difficoltà è stato l’intervento messo in atto alla base della torre, in cui si è in presenza di una
muratura molto erosa, con numerose mancanze di mattoni. In ampie porzioni di muratura la scomparsa della
cortina di superficie aveva messo in vista l’apparecchiatura non regolare della parte interna del muro, che a causa
dello spessore maggiore dei giunti di malta presentava un livello di degrado maggiore rispetto al resto del
paramento. Si è intervenuti rimuovendo tutte le malte decorse, ricucendo le lacune interne del paramento in
mattoni facendo comunque in modo che il deflusso delle acque meteoriche venisse favorito e non incontrasse
punti di ristagno.
Sul lato nord della torre è stata individuata un'area in cui la cortina esterna, con apparecchiatura regolare, era in
fase di distacco dal resto del muro, con notevoli problemi di infiltrazioni dall'alto e con il pericolo di piccoli crolli
di parti della cortina stessa, peraltro già avvenuti nella parte alta. Dopo un primo lavaggio a pressione controllata
della intercapedine formatasi tra la cortina esterna e la muratura, si è messa in opera una griglia di tirantini con
capsula di resina a rapida polimerizzazione inserita effettuando innanzitutto una microperforazione di profondità
pari a circa 25-30 cm, inserendo il tirantino con capsula e avvitando in un secondo momento in maniera da
mettere in tiro le barre filettate inserite. In un secondo momento, dopo avere stuccato tutto il bordo della cortina
distaccata, è stata iniettata nella intercapedine tra la cortina e la muratura una miscela di calce additivata. Infine su
tutta la superficie è stata applicata una miscela di organosilani e resine acriliche in modo da unire all'azione di
idrorepellenza anche quella consolidante. Applicata dopo avere effettuato diverse prove in sito e in laboratorio,
dove sono stati verificati sia il viraggio di colore che i gradi di idrorepellenza che la superficie raggiungeva,
garantendo la porosità relativa del materiale.
Tutte le parti di intonaco presenti nel lato est, originariamente pareti di ambienti interni, sono state pulite,
stuccate e riaggrappate con iniezioni di calce emulsionata a resina acrilica.
L'insieme degli interventi effettuati e degli accorgimenti tecnici adottati sono finalizzati al rallentamento del
degrado.
Gli stralci successivi al primo, più o meno in continuità temporale, sono stati realizzati applicando le stesse
categorie di intervento già sperimentate sulla torre ovest.
La differente complessità dei resti delle superfici interne del mastio hanno imposto una più dettagliata analisi e
quindi un progetto più minuzioso. I resti dei camini, dei portalucerne, degli intonaci delle pareti, degli attacchi
delle volte sono stati trattati con criteri di consolidamento e restauro propri degli elementi scultorei, ponendo
una particolare attenzione a tutte le parti che mostravano i segni di interventi.
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Pulitura con impacchi, spazzolature morbide, consolidamenti puntuali eseguiti a impacco e ad iniezione su
parti di intonaci o di mattoni, piccoli imperniaggi e protezione finale di tutta la superficie sono in sintesi le
tappe più significative del piano di lavoro messo in atto sulle superfici del mastio.
Ma, al di là delle tecniche usate, la conservazione dei resti della Rocca dei Tempesta pone, subito dopo il
restauro di alcune sue parti, il grave problema di protezione e manutenzione. Da un lato i piccioni, dall'altro
l'aggressione biologica e fisico-chimica, insieme all'inevitabile dilavamento, impongono a chi detiene il bene
l'onere di un ciclo di manutenzione che garantisca un livello controllato di degrado, senza la quale i ruderi
sarebbero condannati ad una veloce cancellazione.
Sono necessari monitoraggi dello stato conservativo di paramenti in mattoni e dei giunti in malta, il controllo
di alcune parti più esposte agli agenti atmosferici e, con una ciclicità da stabilire, una sorta di pulitura dal
guano dei piccioni che, nonostante le soluzioni adottate, continuano ad abitare la Rocca.
1
A. Fara, La città da guerra, Torino 1993, pp. 12-13
Aldo A. Settia, Da villaggio a città: lo sviluppo dei centri minori nell'Italia del nord.
3
op. cit. pag. e G.B.Rossi, manoscritto sulla Rocca deiTempesta,1788 Noale.
4
. G.B.Rossi op. cit.
5
Le notizie storiche non riprese dal Giobatta Rossi sono state tratte dalla Relazione Storico-Artistica del
Consorzio Noè presentata in allegato al Progetto di Restauro della Rocca dei Tempesta del 1987.
6
La composizione della malta utilizzata è la seguente:
- polvere e frammenti di cocciopesto
2%
- inerte di pietra arenaria
8%
- sabbia silicatica
50%
- polvere di marmo grigia carbonatica
5%
- sabbia di fiume lavata grigia
10%
- grassello di calce stagionata 12 mesi
20%
- calce idraulica bianca
5%
2
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NOALE, CITTA’ MURATA DEI TEMPESTA
di Andrea Fattori
Noal, castello situado in Trivigiana, et murato con fosse late et profunde, à do porte , una contro l’altra, et è ancora la rocha ne la
qual si va per la terra [...] et la rocha è forte, piacevole et amena, belle stantie; lì abita el Podestà, Cancelier et Cavalier; et nel intrar è, in
mexo, locho amplo et una porta a l’incontro di quella si vien per il castello, con uno ponte di legno mete fuora, longissimo et bello, et è
etiam levador. A’ borghi casizati et adorni [...]1.
Così descriveva Noale Marin Sanudo nel 1483.
Ancor oggi, il visitatore rimane suggestionato di fronte ai resti della città fortificata medievale della signoria dei
Tempesta: si vedono ancora garrire al vento le insegne di questi domini castri che per almeno tre secoli sono stati signori
incontrastati delle terre del noalese sopravvivendo, nel XII e XIII secolo, ai Comuni cittadini di Treviso e Padova.
Il Medioevo nel Veneto è il tempo delle città murate, costruite sui confini e in aree nevralgiche, o come nel
caso di Noale per l’esigenza dei Tempesta di colonizzare nuove terre e di instaurare uno stretto controllo economico e
politico sulla popolazione rurale, difendendola, però, anche dalle incursioni delle soldataglie dei confinanti
(Cfr.articolo di Maria P. Barzan).
Documento dell’urbanistica medievale, Noale conserva, leggibile nella sua interezza, il sistema difensivo e la
tipologia ad isola nati dalla associazione del castello al borgo, caratterizzato da una sequenza di strutture difensive, di
forza diversa e basate sullo sfruttamento delle acque del fiume Marzenego. Sono evidenti le cerche, prime rudimentali
difese e il castello, protetto da fossati e spalti doppi, con due possenti torri poste a protezione delle due porte d'accesso,
l’una sulla strada per Camposampiero e l’altra verso Mestre. Isolata un tempo da ponti levatoi, possente inespugnabile
macchina da guerra, sorge con le mura protette da alte torri esterne la rocca. Ultima estrema difesa, all’interno della
rocca, il mastio, grosso torrione posto sulla sinistra dell’ingresso e utilizzato anche come torre di difesa della porta.
LE CERCHE
Le cerche erano un insieme di fortificazioni di forma e dimensioni irregolari che circondavano all’esterno e in
aperta campagna le città murate, proteggendo in modo rudimentale gli agglomerati abitati2. Erano realizzate
utilizzando i corsi d’acqua, i ruscelli e i fossati naturali collegati fra loro con altri artificiali e rafforzati con terragli
formati dal materiale ottenuto dall’allargamento dei corsi d’acqua esistenti o dallo scavo dei nuovi. Le difese negli
spazi intermedi erano ulteriormente potenziate con piantagioni d'arbusti spinosi (spinede), con la costruzione di
staccionate (stangade) e, in corrispondenza delle strade d'ingresso alle porte dei centri abitati, s'aggiungevano torri di
legno o muratura e altri baluardi.
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Nelle leggi fondamentali (gli statuti) che il Comune di Treviso ebbe dagli ultimi decenni del XII secolo
e sino all’instaurarsi delle signorie, si trova abbondante documentazione sulla normativa che regolava le
cerche sia al fine di evitare i danneggiamenti sia per regolare la manutenzione. Il problema principale era
quello di evitare che coloro che possedevano i terreni coltivati nell’area delle cerche e al di fuori, spianassero
le difese per realizzare un proprio passaggio. Era proibito utilizzare il terreno compreso nelle fortificazioni
vietando specificamente le viti, il frumento e l’erba da sfalcio, come tutte le colture che richiedono terreni
regolari. Era invece obbligatorio conservare rovi, spine e sterpi al fine di rendere il più intransitabile possibile
l’area. Esisteva il divieto di pascolo specialmente in primavera per le capre ghiotte di germogli di rovi. Le
contravvenzioni erano piuttosto pesanti ed i rei erano tenuti a reintegrare il malfatto, mentre, a vantaggio
degli accusatori, era prevista metà della somma riscossa. Si cercava anche di andare incontro ai privati,
prevedendo un rimborso per i danni di guerra.
Dallo studio di quell’importante strumento d'analisi storica che è il catasto napoleonico3, si osserva
che le cerche, nel 1810, erano ancora integre ad est, nord ed ovest mentre a sud, lato difeso dalla rocca, non
c’era traccia di difese esterne. A sud-ovest, era ancora individuabile l’antico percorso del fiume Marzenego,
identificato col nome di Branco, nel catasto dei Savi ed Esecutori all’Acque del 17824. A nord est di Noale nel
catasto del 1810, nel luogo denominato Bastia, non vi è traccia di cerche, mentre in una mappa del 10 ottobre
1776 delle proprietà del N.H. Francesco Soranzo, opera di Gio Battista Giuin5, è indicato un corso d’acqua
che può essere identificato come una cerca.
IL CASTELLO (XII - XIII sec.)
Per castello s’intende quella parte del sistema difensivo realizzata a cavallo della direttrice
Camposampiero - Mestre, a forma di quadrilatero irregolare, difesa da doppi fossati e terrapieni, cui si accede
da due porte sovrastate da torri sui lati occidentale e orientale. Il castello è da ritenersi pressoché coevo alla
rocca, appare nato vuoto e non è mai stato completamente edificato, come si può notare sia nel catasto
napoleonico, sia in foto della seconda metà dell’8006. Le fonti sono insufficienti per suggerirci un’idea storica
sulle sue origini e i reperti più antichi raccolti nell’area del castello appartengono al ‘2007.
TERRAPIENI E CANALI
Non è certo se il castello fosse racchiuso da mura, anzi una serie d’elementi induce a ritenere che
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probabilmente solo il sistema idrico unisse in un unico organismo difensivo rocca e castello.
Nella rappresentazione cartografica dei possedimenti territoriali padovani stesa dal Maggi nel 1449, lungo i confini
con le terre trevigiane vediamo indicato un sistema di terrapieni (terragli) contrappuntato dai castelli di Noale,
Mirano, Stigliano e Rustega, mentre le città murate Camposampiero, Cittadella, Montagnana, Este, Monselice e
Piove di Sacco, sono indicate con diversa simbologia8. Sulla lapide del 1636, allocata nel muro est della porta
trevigiana e dedicata a Giorgio Alojsio, si parla di terrapieni difesi con fosse “aggeres cum foveis castrum
circundantes”9. Di eventuali mura, oggi non più esistenti, rimangono delle tracce sia sulle porte dell’ora o trevigiana e
delle campane, sia sulla torre per Vicenza. Sempre nel catasto napoleonico, si può notare che le contrade interne
(della Sorgata, del Gatto e della Dirondella) terminavano molto prima dei canali, segno evidente che quelle aree
erano, agli inizi del 1800, ancora occupate dai terrapieni interni. E’ assai diffusa l’ipotesi che piccoli tratti di mura si
dipartissero per una lunghezza di circa 15 m dalle porte e dalle torri per poi continuare con terrapieni sovrastati da
palizzate di legno. La ghiacciaia sita nelle immediate adiacenze dell’antica porta della torre delle campane, vincolata
quale monumento d'importante interesse nel 193810, subito dopo l’ultima guerra è stata demolita e con il manufatto
forse è andata perduta l’ultima testimonianza dei terrapieni che difendevano Noale. La ghiacciaia è ricordata e
descritta come un alto cumulo di terra addossato al muro che, partendo dalla parete nord della porta ovest,
proseguiva per circa 15 m parallelo al canale.
TORRE DELL’OROLOGIO: NEL MEDIOEVO ORARIAO TREVIGIANA (XII - XIII sec.)
La torre dell’orologio è costituita interamente in mattoni di laterizio realizzati con argilla locale. Le misure più
frequenti dei mattoni sono: cm 27,5x5x12,5/13,5 - 25x5x12,5 - 26x5x11/13,5. Il legante è composto da
abbondante calce e sabbia, ed è assai probabile l’uso di calce viva. La muratura è costituita da un nucleo centrale
molto curato e da due paramenti esterni. L’uso di materiale di recupero è insignificante. Ha pianta quadrata con il
lato interno sia alla base sia alla quota sommitale di circa 5 m, e si eleva per circa 32,5 m. Alla base, lo spessore del
muro delle pareti ovest e nord è di 150 cm mentre le pareti est e sud misurano cm 105. La torre è aperta sino alla
terrazza sommitale che è sostenuta da una volta a botte in mattoni con due piccoli pertugi, che servono uno da
collegamento e l’altro, un tempo, da camino. I solai sono lignei come le strutture di collegamento verticale. Ai livelli
terra, primo e secondo la forometria difensiva originale è stata completamente stravolta mentre appare quasi
integra ai successivi. Termina con dei merli ghibellini aggiunti nel corso del XIX sec. In un acquerello di Charles
Louis Clérisseau (Parigi 1721-1820)11, la torre è dipinta con il tetto spiovente e due finestre verticali su ogni lato.
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Negli anni 1979 e 1980 sono stati eseguiti dei lavori conservativi della muratura. Nella terrazza
sommitale si trovano le due campane più antiche di Noale. La più piccola, fusa in Venezia nel 1563 da S.
Contarini, reca gli stemmi del fonditore e di S. Marco. La maggiore è stata fusa a Venezia nel 172312.
PORTA DELLA TORRE: DELL’OROLOGIO O TREVIGIANA (XII - XIII sec.)
Coeva alla torre è stata costruita con i medesimi materiali e con la stessa tecnica ed è ad essa
ammorsata. Era munita di ponte levatoio, grata e portone.
Interventi di restauro nel corso del XIX sec. hanno aggiunto i merli ghibellini e murata gran parte della
forometria. Non sono più leggibili i fori dell’impianto di sollevamento del ponte levatoio, sono state murate le
feritoie sul muro est e nord, visibili ancora dall’interno, mentre è rimasta la feritoia sul muro sud. Sul muro
nord, dalla parte interna del castello all’altezza del cammino di ronda, conserva tracce di una porta di
collegamento con il sistema difensivo che si sviluppava verso nord. Alla fine del ‘700, inizio ‘800, è stato
riprodotto l’attacco del muro di cinta sul lato sud, utilizzando soprattutto mattoni dell’epoca e sabbia saorna
con pochissima calce. Ha quattro postierle, due ai lati del portone di accesso e due all’interno del castello e
tutte e quattro le porticine appaiono realizzate dopo che il castello ha cessato ogni funzione militare.
TORRE DELLE CAMPANE: NEL MEDIOEVO PER VICENZA (XII - XIII sec.)
Opposta alla torre dell’orologio, di cui è coeva, vi è la torre delle campane. E’ stata costruita con la
stessa tecnica e il medesimo materiale, e analogamente abbellita con merli ghibellini nel XIX sec. Ha base
quadrangolare irregolare, il muro ad ovest segue il corso del canale, quello a nord la direzione della strada per
Camposampiero e quello ad est è ad angolo retto con l’adiacente palazzetto padronale, ora casa canonica. Il
lato interno alla base è di circa 5,50 m. Lo spessore dei muri alla base è di m 1,55 - 1,70 sul lato del canale e di
m 1,20 sugli altri lati; alla quota di m 27,5 è di m 1,35 sui lati del canale e sud e di m 1,20 sugli altri lati.
La torre ha subito una sopraelevazione chiaramente leggibile nell’anno 1876, che ha portato la sua
altezza da m 30,50 a m 42,70. Tale sopraelevazione consente di utilizzare la torre come campanile per
l’adiacente chiesa parrocchiale. In una foto del 186513 si può osservare la copertura originale della torre. Negli
anni 1982 e 1983 la torre è stata oggetto di un secondo intervento. Questa volta sono stati ripristinati i solai e
le strutture verticali di collegamento (scale), oltre ad interventi di conservazione della muratura.
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Nei secoli scorsi, le feritoie sono state murate al primo livello e trasformate in finestre al terzo livello
(originali). Le finestre dell’ultimo livello sono originali, così pure la porta di collegamento della torre con il
camino di ronda della porta della torre della campane.
La volta che sostiene la cella delle campane è stata rifatta in occasione della sopraelevazione del 1876.
Nella loggia della canonica è chiaramente leggibile, sulla parete sud della torre, l’antico muro di cinta
tagliato.
PORTA DELLA TORRE DELLE CAMPANE: NEL MEDIOEVO PER VICENZA (XII XIII sec.)
Coeva alla torre, è stata costruita con gli stessi materiali e tecnica ed è a sua volta ammorsata alla torre.
Era munita di ponte levatoio, grata e portone.
Analogamente alla porta dell’ora, ha subito nel XIX sec. restauri che hanno cancellato tutta la
forometria medievale ed è stata abbellita con i merli ghibellini. Negli anni 1964-65 è stata oggetto di un
ulteriore restauro conservativo, che è consistito nella rimozione dell'abbondante vegetazione che si era andata
formando e nel consolidamento delle strutture più danneggiate. Sul muro nord si notano i resti dell’antico
muro di cinta sul quale si appoggiava il terrapieno utilizzato, come precedentemente descritto, quale ghiacciaia.
In alcuni tratti i resti del muro appaiono ricostruiti artificialmente. Ha tre postierle, due ai lati del portone di
accesso e una all’interno e tutte e tre le porticine appaiono realizzate dopo che il castello ha cessato ogni
funzione militare. Conserva la porta di collegamento con il sistema difensivo che si sviluppava verso sud.
LA ROCCA: NEL MEDIOEVO CASTRUM (XII-XIII sec.)
La rocca rappresenta, nella sua imponenza, il nucleo originario su cui si è sviluppata per addizione di
parti l’attuale città. Ha le caratteristiche del girone duecentesco, fortezza edificata a cavallo fra centro
fortificato e campagna, in modo da garantire ai feudatari contemporaneamente la difesa sia da attacchi esterni
sia interni. Quel che resta oggi dell'antica rocca, manifesta, nella sua poderosa struttura, la destinazione a
“macchina da guerra”. Risale al XII-XIII sec. e l’unica data certa sul monumento la riferisce G. B. Rossi, che,
nel 1780, asseriva di aver visto all’interno del palazzon (così era chiamata la rocca), una lapide con la scritta
Magnificus advocatus Tarvisii hoc opus fieri fecit MCCLXXII14 (Il magnifico avvocato di Treviso questa opera fece
eseguire 1272) ed è rimasta pressoché intatta sino al 1763, quando il governo di Venezia l’abbandonò.
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Da quel momento, da monumento d’architettura militare di notevole interesse storico ed artistico,
nonché prestigiosa residenza del podestà, è divenuta cava di materiale laterizio da cui attingere. Le demolizioni si
sono protratte sino al 1811. Nella mappa di Roberto Zuccareda del 178015 è evidenziato che a quella data era già
avvenuta la totale demolizione di tutta la parte sud e dei corpi di fabbrica interni. In completo abbandono dalla
fine del ‘700, dal 1819 al 1996 la rocca è stata utilizzata come cimitero. L’uso cimiteriale, se ha salvato il
monumento dalla totale distruzione, ha però portato alla manomissione del complesso architettonico. Dagli anni
cinquanta è stato utilizzato il torrione sud e le strutture funebri sono state realizzate in adesione o inserite nella
cinta muraria.
La rocca è stata edificata nell’interno di un’ansa del fiume Marzenego ed ha quindi la forma a costa
allungata nel senso nord - sud. Era circondata da un’ampia distesa d’acqua, da un terrapieno, dal corso del fiume
Marzenego e da alte mura su cui erano addossate le costruzioni che si affacciavano su una corte interna. La
cortina muraria era rafforzata da tre torri esterne.
La cortina muraria e le torri sono in muratura di mattoni di laterizio. La struttura muraria è costituita da
un nucleo interno collegato a due paramenti esterni. Ha una propria struttura ed una lavorazione capace di
assicurargli un'adeguata consistenza ed un efficace collegamento con i paramenti. I mattoni sono d'argilla locale,
ad eccezione di un tratto del muro ad ovest e il legante è una malta realizzata con sabbia locale e calce. E’ assai
probabile l’uso di calce viva direttamente spenta nell’impasto, come alcuni studi hanno recentemente dimostrato
per costruzioni coeve. In alcuni punti si è potuta osservare una sigillatura delle fughe con malta molto ricca di
calce. Scarsa o inesistente è la presenza di materiale di recupero. Nel legante sono talvolta presenti frammenti di
pietra.
Lo sviluppo esterno della cortina muraria è di circa 200 m mentre il muro di recinzione a sud. edificato in
tempi moderni, è di m 65.
MURO AD OVEST
La cortina ad ovest è composta da muri di almeno due momenti diversi. Il più antico è il muro della
parete interna della torre, ed è l’unico costruito con mattoni prodotti con argilla non proveniente dal noalese. Si
tratta di un'argilla molto simile a quella del territorio di Quinto di Treviso, Zero Branco, Villa del Conte: i
mattoni hanno una misura media di cm 26x5,5x13,5. La muratura ha le fondazioni, come si è constatato nel 1994
durante la rimozione di una salma, inferiori al metro e alla base mostra uno spessore di 110 cm e raggiungeva
l’altezza di 14,25 m rispetto a quota zero* e m 18,25 circa, rispetto al livello medio dell’acqua. Conserva tracce
dei solai dell’edificio interno alle quote: m 3,90, m 9,50 e m 13,70.
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Il recente restauro conservativo operato dalla Soprintendenza ai beni Architettonici e Ambientali del Veneto
Orientale sia sul muro interno, sia sulla torre est, ha messo in risalto il passaggio della storia nella materia (Cfr.
articolo di G. Rallo). E’ stata evidenziata sia la forometria originale, sia la successiva e rese leggibili le suddivisioni
interne del corpo di fabbrica, un tempo esistente a ridosso del muro di cinta della rocca. E’ visibile quel che rimane di
una finestra chiaramente esistente prima dell’edificazione della torre ovest.
•
Quota media del livello del suolo all’interno della rocca prima della rimozione delle salme e indicata con dei chiodi infissi nei muri.
TORRE OVEST O DI PONENTE: GIA’ LA CHIARA
La torre ovest è stata costruita nell’arco di pochi decenni a ridosso ed all’esterno della cortina muraria
preesistente e non è con questa ammorsata; ha pianta quadrangolare e i piani orizzontali sono divisi da volte a botte
in mattoni. I collegamenti dal piano terra al terzo livello erano esterni alla torre e passavano dal corpo di fabbrica
esistente all’interno della rocca. La stanza sottostante alla terrazza sommitale era raggiungibile da una scala esterna,
che partiva dal cammino di ronda posto sopra il tetto del corpo di fabbrica interno alla rocca. Da osservare che tutte
le porte della rocca sono larghe quanto basta per permettere il passaggio delle spalle di un uomo. La suddetta stanza è
collegata alla terrazza sommitale con un passaggio interno alla torre. Il lato interno alla base è di m 4,25 e gli spessori
dei muri sono di cm 120 a sud ed ovest e cm 140 a nord. E’ alta m 25 da quota zero e m 29 dal livello medio
dell’acqua. Presenta una rotazione ed uno spanciamento verso l’interno dovuti al cedimento della malta, molto
probabilmente iniziato durante la costruzione della torre; difatti, l’inclinazione totale è del 3,2 %, mentre all’altezza di
m 13,70 è del 3,7 % e dai m13 ai 25 è del 2,5 %. La misura più frequente dei mattoni è di cm 25,5x5x12. Le finestre
sulle pareti sud e nord, sono state realizzate dopo che la torre si era già inclinata e sul muro ovest (lato del canale) non
ha forometria difensiva. Nella stanza al primo piano, sono visibili scritte ed immagini risalenti all’Ottocento, che
testimoniano l’uso di quella parte della torre quale prigione16.
IL MASTIO: NEL MEDIOEVO DULLONE O DUNGIONE
Il secondo tempo della cortina ovest termina tagliato in corrispondenza del mastio. Alla base misura m 1 ed i
mattoni hanno varie dimensioni.
Il mastio, innovazione militare del 1200, solida torre principale, era l’ultimo rifugio per gli abitanti della
fortezza in caso d'attacco nemico.
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E’ stato senz’altro edificato dopo il muro ovest e con questo non presenta ammorsature, ha pianta
rettangolare e misura all’esterno m 15,50x10,50, ha le fondazioni che vanno oltre i 3 m di profondità. L’altezza attuale
è di m 14,45 da quota zero e di m 18,45 dal livello medio dell’acqua, i muri alla base misurano cm 160, ed i mattoni
impiegati misurano cm 27x4,5-5x12,5 - 26,5x5x13,5. Era munito di feritoie anche all’interno della rocca, si elevava su
tre piani con solai di legno di cui è evidente l’orditura: due travoni che poggiavano sui muri nord e sud reggevano una
serie di travi che s'incuneavano nei muri est ed ovest rafforzati da remme. Il tetto, appoggiato a travoni posti con la
stessa orditura dei solai, era formato da una terrazza cementizia piana e si trovava ai piedi delle difese sommitali ed lo
scarico dell’acqua avveniva attraverso degli archetti ancora visibili su quello che resta del muro ad est. Tutte le
travature dei solai e del tetto sono state poste in opera durante la costruzione del muro; raggiunta la quota del primo
caminetto, sono state inserite le travi del primo solaio e si è continuato a salire con il muro e così via sino al tetto.
Nella parte superiore sopra il tetto, era collocato il cammino di ronda. Questa parte del mastio ha subito
un'importante trasformazione nei primi decenni della sua esistenza: i muri nord ed ovest sono stati elevati con una
struttura muraria alleggerita da archi ed il cammino di ronda è stato spostato sopra gli arconi. Nel corso di un restauro
di consolidamento, avvenuto nel 1966, quel che rimane della sopraelevazione è stato impermeabilizzato con una
copertina di cemento che impedisce di accertare la presenza di un parapetto o merlatura.
I piani terra e primo non hanno finestre ma delle feritoie su tutti i lati, mentre il secondo piano ha sulla parete
nord due finestre archivoltate con parapetto: sulle spallette delle quali sono rimaste tracce di affreschi e una
portafinestra ad ovest, in corrispondenza della quale all’esterno esisteva un'incastellatura mobile sporgente con chiaro
uso difensivo. Tracce di dipintura originale sono presenti nell’area dei camini17.
Sulla parete nord, sia al primo sia al secondo piano, sono visibili tracce di due camini in muratura con la
canna fumaria in comune che sbuca sul tetto ai piedi degli arconi. Non è possibile accertare come fossero le cappe dei
camini, ma, ad un certo punto della loro esistenza, sono state rafforzate con supporti di legno. Ai lati dei camini vi
sono delle nicchie porta lucerna, che in origine avevano la forma della nicchia a destra del camino al primo piano
simile a quella che si trova sulla parete nord al primo piano. Successivamente le nicchie hanno subito una
trasformazione assumendo la forma attuale ed una conserva lievi tracce di decorazione a fresco.
Nel XVII sec. il tetto ha subito delle modifiche: è stato tagliato il muro della sopraelevazione ed è stato
aggiunto un tetto spiovente che scendendo dagli arconi si appoggiava sulla terrazza. Nella stessa circostanza, è stata
chiusa la canna fumaria e sono stati rafforzati i travoni centrali sia del tetto, sia dei solai con dei puntelli.
Inserite nelle pareti nord ed ovest, sono state trovate le più antiche testimonianze dell’uso cimiteriale della
rocca. Si tratta di due piccole formelle romboidali in terracotta datate 1838 con le iniziali l’una F G e l’altra F Z. Negli
anni 1995 e 1996 i muri interni sono stati oggetto di un attento restauro conservativo (Cfr. articolo di G. Rallo).
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PORTA DI COLLEGAMENTO DELLA ROCCA CON IL CASTELLO
Dal mastio alla porta principale, la cortina muraria continua con un muro edificato in due tempi diversi: la
parte interna, non collegata al mastio, è precedente o coeva allo stesso, mentre il muro all’esterno è più alto ed è
stato edificato dopo il mastio ed è in più punti ammorsato allo stesso. Ammorsatura particolarmente evidente nella
parte alta del mastio dove esso è stato incavato per appoggiarvi il muro di cinta. Alla base il muro misura m 1 e
all’esterno era alto m 13 da quota zero e m 17 dal livello medio dell’acqua.
La porta di collegamento della rocca con il castello ha subito continui rafforzamenti e cambiamenti anche
recenti di difficile lettura.
MURO NORD-EST
La cortina muraria nel tratto nord-est alla base misura, nei pressi della porta, m 1,10 e verso la torre est m
1,20; raggiungeva l’altezza di m 14,25 da quota zero e m 18,25 dal livello medio dell’acqua. Durante la rimozione
d'alcune tombe di famiglia, è stato possibile accertare che le fondazioni del muro arrivano alla profondità di m 3. I
resti del muro rivelano tracce di affreschi del ‘500 e del ‘700 risalenti all’epoca in cui la rocca era sede della
podesteria e di solai dell’edificio interno alle quote di m 3,90, m 9,50 e m 13,70.
TORRE EST O DI LEVANTE
Appoggiata al muro est, non ammorsata, è stata edificata la torre est o di levante. La torre ha una base
quadrangolare con i lati interni di m 3,40 a nord, m 3,50 a sud e m 3,10 ad est. I muri alla base hanno uno spessore
di cm 120 a sud ed est e cm 130 a nord. E’ alta m 24 da quota zero e m 28 dal livello medio dell’acqua. La misura
più frequente dei mattoni è di cm 25x5x12, 25x6x13 e 26x5x13. La terrazza sommitale poggia su una volta a botte
in mattoni che ha una piccola apertura di collegamento interno con la torre. All’interno conserva le tracce di un
soffitto archivoltato in mattoni al primo livello e parte della forometria e delle mensole di supporto dei soppalchi di
legno di suddivisione dei piani orizzontali, andati completamente perduti. Il paramento interno si è in parte
staccato dal nucleo centrale che è andato a riempire la vasca per liquami che si trova all’interno e alla base della
torre. Sulla parete est sono visibili due scarichi fognari che provengono dal primo livello della torre, dove nel muro
interno si notano due porte che un tempo collegavano il palazzo alla torre.
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Sopra l’ultimo solaio sono visibili tracce del cammino di ronda e di un doccione. La stanza sottostante la terrazza
sommitale era raggiungibile, come nella torre ovest, dal cammino di ronda. La torre nel 1986 è stata oggetto di una
ripulitura dalla vegetazione che la ricopriva intaccandone gravemente la struttura muraria.
MURO EST NEL TRATTO SUD
La cortina muraria est continua sino all’angolo sud con un muro che alla base misura cm 120, e rivela
superiormente tracce di struttura muraria archivoltata. I mattoni impiegati misurano cm 27x5,5x12. Nei pressi della
torre est, sono evidenti, sia all’interno sia all’esterno della cortina, tracce di un caminetto. E’ visibile una finestra
ricavata dopo che è cessato l’uso militare della rocca, si notano tracce di un tetto aggiunto in tempi successivi,
contemporaneamente alla parziale muratura della stessa finestra e un gabinetto che scaricava direttamente all’esterno
della rocca. Nel 1985 la parete esterna del muro è stata ripulita dai vegetali e consolidata. Analoga operazione è stata
compiuta nel 1995 per la parte interna, ripristinando la muratura dove era stata esportata per collocarvi i loculi.
TORRE SUD: GIA’ LA SCURA
La torre sud è stata eretta tagliando il muro di cinta che un tempo chiudeva la rocca a sud. Tracce del suddetto
muro, del quale rimaneva ancora una traccia come da fotografia del 186518, sono state rinvenute alla profondità di m
2 durante l’esumazione delle salme nell’inverno 1994/95; la torre è stata costruita per rafforzare la difesa della porta
di collegamento della rocca con la campagna. Di tale porta dà notizia il Sanudo1 e indicazioni la mappa del 168319.
La torre è alta m 7,65 rispetto quota zero e m 11,65 dal livello medio dell’acqua. E’ a base quadrangolare e i lati
interni misurano m 4,40 x 4,15.A sud ed ovest ha un contrafforte. I muri alla base hanno uno spessore di m 1,75. I
mattoni impiegati sono prevalentemente di due misure: cm 27x5,5x13/13,5 e cm 26x5x13,5. Le fondazioni sono
inferiori al metro. La torre conserva alcuni elementi dei soppalchi interni, una feritoia sul muro sud, tracce degli
ossari che nel 1950 sono stati ricavati incavando la struttura muraria sia all’interno che all’esterno della torre e sul
muro est all’esterno, tagliato per allargare la piccola stanza, tracce di intonaco e dipintura. La porta d'accesso alla
torre è stata allargata in epoca recente. Il muro esterno della torre nel 1995 è stato oggetto di un attento restauro
conservativo.
48
1
Itinerario di Marin Sanudo per la Terraferma Veneziana nell’anno MCCCCLXXXIII a c. di R. BROWN, Padova 1847, p.116.
Gianni Netto - Quaderno di Studi e Notizie - Mestre negli Statuti del Comune di Treviso. Centro Studi Storici Mestre 1995.
Q. Farronato, G. Netto - Gli statuti del Comune di Treviso (1326 - 1390) secondo il codice di Asolo. Asolo, 1988.
3 1810 - Centro storico di Noale nel Catasto Napoleonico. Archivio di Stato in Venezia - mappa n. 149.
4 1782 - SAVI ED ESECUTORI ALL’ACQUE - VALLE DEL TERRITORIO DI NOALE. Archivio di Stato in Venezia.
5 Mappa presso la Pro Loco di Noale.
6 Saluti da Noale a cura di Mario Ferrante. Comune di Noale 1997 Centro Grafico di Emilio Bortolato - Noale (ve).
7 Presso il Deposito Archeologico del Comune di Noale.
8 Antonio Draghi - Città Murate e Centri Fortificati del Veneto - Lo Stato padovano rievocato dalla carta del Maggi. Regione Veneto 1988
9 LOJSIO GIORGIO RECTORI PRAESTANTISSIMO PROPTER JIUSTITIAM CLEMENTIAM PACEM ET UBERTATEM
IUGITER SERVATAS OPTME PRETURA FUNCTO AC DE COMUNITATE BENEMERITO OB AGGERES CUM FOVEIS
CASTRUM CIRCUMDANTES AT UTILE REGIMINIS POPULORUMQUE COMODUM DEFEMSOS ET IN PRISTINUM
USU RESTITUTOS NOVALENSES CIVES VIGORE PARTIS CUNCTIS SSUFERAGIIS IN EORUM CONSILIO CAPTAE
DICAVERE ANNO MDCXXXVI AD FUTURORUM.MEMORIAM
A Giorgio Aloisio, governatore eccellente per aver conservato continuamente la giustizia, la clemenza la pace e la prosperità esercitando
ottimamente la pretura e benemerito della comunità per le fortificazioni difese con fosse che circondano il castello a utilità del governo
cittadino e a vantaggio del popolo e restituite all’uso originario, i cittadini noalesi in forza di una decisione presa con voto unanime nel
loro consiglio, dedicarono nell’anno 1636 a ricordo dei posteri.
10 La comunicazione del vincolo di tutela quale monumento di importante interesse, è stata trasmessa al Municipio di Venezia anziché a
quello di Noale. Comunicazione della R. SOPRINTENDENZA AI MONUMENTI MEDIEVALI E MODERNI Palazzo Ducale Venezia. A 4 Notificaz. Venezia e prov. del 30 maggio 1938.
11 Museo dell’Ermitage - Leningrado - Pietroburgo. Collezione Loris Vedovato.
12 NOALE TRA STORIA E MEMORIA. Giacomo Dal Maistro. Comune di Noale 1994. Multigraf - Spinea (Venezia).
13 Saluti da Noale a cura di Mario Ferrante. Comune di Noale 1997 Centro Grafico di Emilio Bortolato - Noale (ve).
14 Giambattista Rossi - Notizie Storiche del Castello di Noale - 1780 (manoscritto inedito in undici fascicoli con aggiunte del copista Carlo
Scotton) - Biblioteca Comunale di Noale.
15 1780 - La Rocca dei Tempesta in un disegno di Roberto Zuccareda. Archivio di Stato in Venezia.
16 Presso l’archivio Dell’Associazione Cultura Avventura di Noale.
17 Presso l’archivio Dell’Associazione Cultura Avventura di Noale.
18 Saluti da Noale a cura di Mario Ferrante. Comune di Noale 1997 Centro Grafico di Emilio Bortolato - Noale (ve).
19 1683 - Mappa storica del centro di Noale, particolare. Archivio di Stato in Venezia.
2
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NOALE RACCONTA IL SUO PASSATO
di Andrea Fattori
Consistenti documentazioni fotografiche risalenti alla fine del 1800 e alla prima parte del ‘900 ci fanno
capire quanto vasto fosse il patrimonio artistico noalese, quanto importante e quale ne fosse la qualità. Gli storici1
testimoniano che, nel secolo scorso, un viaggiatore che visitava Noale, poteva ammirare un continuo susseguirsi
di facciate variamente decorate, affreschi dimenticati che talvolta, in occasione di restauri, ricompaiono per
raccontare il passato. Le opere visibili rappresentano un saggio di quello che la cittadina è stata, facendoci intuire
una vivacità dell’ambiente perfettamente inserito con quello che era il gusto per le facciate dipinte e per le
decorazioni interne, che nel ‘400 e per tutto il ‘600 interessò i maggiori centri veneti, da Venezia fino ai minori.
Noale, nonostante le perdite d'importanti affreschi, si è salvata dallo scempio che ha caratterizzato altre città e, dal
punto di vista decorativo, oggi è uno dei centri più rilevanti di tutto il veneto.
Inizieremo la ricerca delle testimonianze che raccontano la storia di Noale dal borgo medievale di S.
Giorgio, ora Piazza XX settembre, che testimonia nelle strutture architettoniche, come in tutto il centro storico, la
costante influenza culturale che Treviso ebbe su Noale. Arrivando da Mestre, sulla destra appare, come per
incanto, una fra le più belle facciate della provincia di Venezia. Si tratta della piccola facciata dell’Ospedale dei
Battuti, che presenta uno degli esempi più significativi di decorazione esterna noalese ed è caratterizzata da una
serie di decorazioni distribuite con armonia. Partendo dall’alto, ai fianchi delle finestre che davano sul granaio, si
notano delle candelabre, finti marmi, un bel fregio marcapiano su fondo rosso di gusto lombardesco, un altro
fregio marcapiano con dei grifoni affrontati e palmette. Al centro la Madonna dei Battuti, simbolo del culto
mariano della confraternita, e le figure allungate e sottili degli angeli. Si tratta di una decorazione del tardo
quattrocento e lo conferma una serie d'elementi stilistici quali la scelta delle cromie, la posizione degli animali
affrontati e le tarsie marmoree. All’interno della Banca Popolare di Novara, un tempo parete esterna della casetta,
si scoprono affreschi di tipologia trevigiana rappresentanti finti marmi policromi con raffigurato un pesce, della
frutta e altre fantasie, che documentano come, in mancanza di materiali più costosi, spesso si ricorresse, in edifici
di una certa rilevanza, a dare delle finte connotazioni ornamentali con decorazioni a fresco. Sempre all’interno
dello stesso edificio, al primo piano, appaiono a livello del soffitto una serie di motivi decorativi con vasi e motivi
floreali che sono caratteristici della produzione del tardo ‘400 in tutta l’area veneta. Sotto il portico, oltre a motivi
a finto marmo, sul lato destro, sopra l’antico ingresso dell’ospedale, vi è un affresco mediocre datato 1661, e che
di nuovo presenta la Madonna dei Battuti venerata dai confratelli e, verso la Banca Popolare di Novara, a decorare
l’arco del fronte esterno dell’antico Ospedale dei Battuti troviamo un’altra Madonna, opera modesta del primo
Cinquecento. Le immagini sacre, in genere non di qualità altissima, testimoniano però la devozione popolare; un
altro capitello dipinto, con iscrizione MDCCXXXVIII, appare sotto il portico di Palazzo Zogia in Piazza Castello.
La presenza dell’immagine sacra è sempre molto sentita ed è documentata dal 1500 fino al 1800.
51
Anche edifici che all’esterno oggi sembrerebbero non presentare alcun interesse dal punto di vista
decorativo, come Palazzo Menegazzi ora Casa di Riposo, hanno invece all’interno delle sorprese significative.
Anche queste decorazioni si rifanno a motivi fitomorfi, zoomorfi, delfini affrontati e finte incorniciature
marmoree alle porte. I libri circolavano con facilità, gli artisti con una spesa contenuta ne venivano in possesso, e
ne ricavavano queste immagini che poi venivano ripetute senza soluzione di continuità su tutti i palazzi.
Una decorazione del tutto diversa dal punto di vista stilistico è quella di Palazzo Soranzo Scotto, oggi
sede della Biblioteca Comunale. Il recente restauro ha restituito delle decorazioni quattrocentesche, finti marmi e
figure fitomorfe sugli archi della facciata e nel portico. Nel sottoportico, d'accesso al palazzo, oltre alle
decorazioni con mascherone sull’arco, ci sono due figure di putti, di buona mano cinquecentesca, ma,
sfortunatamente, in una posizione isolata. Data l’importanza del palazzo, la sua facciata era sicuramente tutta
affrescata. Pochi esempi di questi affreschi di buona qualità, anche se con il colore portato via dall’usura dei secoli,
sono emersi al piano nobile dove l’architetto aveva lasciato due ampi campi liberi. In tutti i palazzi veneti
generalmente si teorizza questa possibilità.
Nell’edificio appoggiato col lato destro a Palazzo Soranzo, casa Mascarucci, nel recentissimo restauro della
facciata sono apparsi vivaci motivi decorativi. Non a caso Noale era descritta come il nobile, il vago, il dipinto Noale,
insomma era una cittadina che si presentava al visitatore con una vivacità di cromie che doveva stupire. Gli archi
del portico sono abbelliti da motivi vegetali: gialli sul portico di destra a simboleggiare l’inverno e verdi con
melagrane a ricordare l’estate su quello di sinistra. All’altezza del piano nobile finti marmi bianchi, verdi e rossi,
tipico motivo quattrocentesco trevigiano e, ai piani superiori, labili tracce di un importante fregio con figure e
motivi vegetali di scuola veneta della prima metà del Cinquecento e altri elementi decorativi coevi. La forometria
della facciata nel corso del 1800 è stata cambiata, creando non pochi danni alla decorazione cinquecentesca.
Doveva meravigliare la facciata di Palazzo Martini, sulla quale oggi non si legge quasi più nulla, ma che in
una foto dei primi del nostro secolo, M.A. Chiari Moretto Viel2 intuisce la figura di un giovane rapito da un’aquila,
probabilmente una ripresa del tema iconografico di Ganimede rapito da Giove, quasi ad imitazione del modello
canonico di Giorgione e di Tiziano sul Fondaco dei Tedeschi a Venezia, con le grandi figure in piedi poste nelle
nicchie tra una finestra e l’altra. Il lacerto d'affresco che oggi rimane e che leggiamo a livello delle finestre del
granaio, è il gesto di una mano felice, che era a conoscenza della grande pittura di facciata del ‘500 veneziano dei
grandi artisti quali il Tiziano e il Pordenone, ossia dei maestri gran decoratori di facciata, che dilatavano lo spazio
architettonico creando l’architettura dipinta all’interno dell’architettura reale, con grande illusione per il visitatore.
Un’altra facciata dipinta, molto interessante, doveva essere quella di Palazzo Campigotto, accostato e più
basso di Palazzo Martini, ma che conserva poco o nulla delle decorazioni originali.
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Fra le finestre del granaio si distinguono due figure in piedi, una maschile e l’altra femminile. Le fotografie
dell’inizio del secolo documentano una situazione già d'avanzato degrado e si possono fare solo delle supposizioni;
sotto le finestre del piano nobile, un fregio marcapiano con figure di putti che sostengono due ovati, in quello di
sinistra si distingue appena un piccolo nudo femminile. Molto probabilmente all’interno degli ovati dovevano esserci
delle scene mitologiche. Al suo interno, al piano terra, conserva, sulle nicchie, interessanti decorazioni
cinquecentesche con conchiglie e mascheroni. Al piano nobile, nel salone centrale, un fregio con elementi fitomorfi
che terminano con delle sfingi che contornano dei medaglioni raffiguranti scene mitologiche, d’ambiente agreste, di
caccia al cinghiale e con il falcone. In un’altra stanza, abbellimenti parietali che fingono arazzi appesi alle pareti ed
una figura virile non identificata. In Venezia, nei palazzi patrizi, era usuale la prassi di coprire con tessuti le pareti
delle stanze, espediente che risolveva anche il problema dell'umidità e il freddo degli interni. Nelle case noalesi di un
certo rilievo, così come in tutta l’area trevigiana, si riscontra spesso la finzione del reale con l’affresco che diventa
elemento decorativo di sicuro effetto e molto più economico.
All’altro lato della piazza, nel Palazzo Ex Poste, ora sede di uffici comunali, un fregio cinquecentesco con
ovali che si trovano anche nella rocca dei Tempesta. La mano è meno felice che in altri casi, però la ripetitività ne fa
una testimonianza curiosa. Su una parete motivi decorativi quattrocenteschi, di una cromia molto decisa, che
ricordano le strasse o meglio le canevasse appese all’interno degli edifici, delle scuole e delle chiese in occasione di
celebrazioni solenni. Questo palazzo, come altri è stato oggetto all’inizio del secolo della pretestuosa
modernizzazione che ha contraddistinto anche quasi tutto l’Ottocento, e che, in questo caso, ha causato dei danni
irreparabili all’intera facciata.
Accanto alla cinquecentesca Colonna della Pace, opera di Paolo Pino Veneziano, sul retro del Palazzo Due
Spade, ancora una facciata quattrocentesca. In occasione di un recente restauro, sono comparsi motivi geometrici che
sono tipici di tutto il trevigiano in un periodo tardo ‘400. Sono un elemento decorativo che deriva dal Palazzo
Ducale di Venezia e la stessa decorazione, fatta in marmi policromi, veniva ripetuta nelle case di una certa
importanza ad affresco. All’interno dell’edificio sono comparsi dei pregevoli medaglioni quattrocenteschi e si ritrova
l’elemento caratteristico, nelle decorazioni degli interni, a fingere arazzi e tappeti appesi alle pareti.
Spostando la nostra attenzione nel castello, ora Piazza Castello, osservando Palazzo Tebaldi che si trova
all’imbocco della Ca’ Matta, riceviamo conferma che, in Noale, il restauro d'ogni facciata è un evento culturale. Le
decorazioni, vivaci e a forte cromia della sua facciata risalgono al Quattrocento, e appartengono ad una mano felice
di scuola veneta. Purtroppo l’originale struttura della facciata, per la quale gli affreschi erano stati pensati, è stata
modificata nel tardo ‘500. In tale occasione, cambiando la forometria per ricavare soprattutto un’armoniosa trifora,
le decorazioni sono state tagliate all’altezza del piano nobile e distrutti gli affreschi della parte centrale della facciata.
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Nel sottotetto sono presenti tracce di un elegante fregio a motivi floreali con mele rappresentate in gruppi
di tre, che si ripete sul pilastro centrale e sull’arco gotico del portico. Sia le melagrane che le mele avevano
significati terapeutici, come osserva F. Cozza nel suo contestuale intervento. A delimitare la decorazione del
portico, una sottile fascia orizzontale rossa, probabile imitazione del marmo. Subito sopra, una decorazione
monocroma scura che si prolunga su tutta la facciata con, ripetuto a stampo, un ramoscello con delle foglie
stilizzate. All’altezza del piano nobile, sotto le finestre, una decorazione, che si estendeva a tutta la facciata, con
delle trecce ripetute che incorniciano dei soli gialli paffutelli e un po’ tristi e dei grandi fiori a quattro steli e quattro
pigne, bianchi, neri e gialli. Fra le trecce, incorniciato da una ghirlanda con frutta, si distinguono delle mele
arancione e rosse e delle pigne, vi è uno stemma raffigurante una testa di moro, che c'induce a ritenere il palazzo la
dimora dei Negro. I membri di questa famiglia fra il ‘400 e l’inizio del ‘500. sono stati fra i cittadini noalesi maggiori
possidenti terrieri. Sulla spalletta di una finestra murata, una candelabra con dei decori, di colore bianco, grigio e
nero. Immediatamente sopra, la scritta Ca’ Matta, un cartiglio nel quale si legge----LTADE T-V PT. Ai lati della
facciata due larghe fasce verticali rosse, probabili imitazioni del marmo. All’interno si trova una decorazione tardo
quattrocentesca ripetitiva, di grande raffinatezza, con una curiosa raffigurazione di putti, sull’arcione di cavalli
bianchi. affrontati con eleganti sirene e vasi di fiori.
Sempre in Piazza Castello, abbiamo un altro importante edificio storico, Palazzo Borghesan, che sulla facciata
laterale, che dà in Contrà del Gatto, conserva alla base del camino gotico qualche traccia di decorazione di scuola
veneta della fine del ‘400. Il Pichini (1946) ricordava la casa “...si vedono dipinte svariate decorazioni, specialmente
nelle pareti del camino che, come uso antico, sporge fuori del muro. In due tratti del medesimo bene delimitati è
visibile in basso una specie di vassoio con fiori e foglie contornati da decorazioni, e più in alto altro floreale ancor
più ricco e vivace, pure contornato da decorazioni”. Questo palazzo, pur conservando integra la sua architettura, è
l’esempio di come in appena cinquant’anni sia andato perso un importante affresco sopravvissuto per secoli.
Qualche palazzo più in là, in direzione della Torre delle Campane, si è in presenza di un altro esempio della
perdita, negli ultimi decenni, d'importanti testimonianze artistiche. La piccola casa Paluan, ben poco ha conservato
della decorazione che interessava tutta la facciata. Oggi l’unica cosa leggibile è un delizioso cinquecentesco fregio
sottogronda con motivi floreali in pessimo stato di conservazione. E’ andata completamente perduta una
decorazione, di un gusto straordinario, con i delfini, i putti che si rincorrono tra le foglie d'acanto.
Lì accanto, casa Gobbato presenta un elemento caratteristico comune a molte facciate noalesi: vi si
mescolano tematiche religiose e sacre. Le ragioni di tale compresenza sono certamente da ricercare nel fatto che
Noale non ha mai avuto una classe nobile sino al 1465, quando le famiglie più ricche delle aristocrazie notarile,
agraria e commerciale si sono, di fatto, impadronite del Consiglio Comunale limitando il numero dei consiglieri.
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Tracce della cultura di provenienza popolare permeata di forte religiosità sono rimaste sino a tutto il
‘500, come manifestazioni di rappresentanza del proprio stato sociale, nelle decorazioni delle facciate e in
minor misura degli interni. Osservando la facciata sulla destra, troviamo entro una nicchia dipinta a finti
marmi, l’immagine della Madonna dei Battuti, con quattro piccoli angeli che le reggono la corona e il manto
aperto per accogliere i fedeli e a sinistra un Ruggero, con la spada sguainata, a cavallo di un mostro alato
con le zampe ad artiglio d’aquila che si precipita a salvare una straordinaria figura nuda su uno sfondo
roccioso, Angelica. Il dipinto nella sua integrità doveva essere di buona qualità, ma purtroppo soprattutto
l’inserimento del parapetto del poggiolo è stato dissacratore.
Un palazzetto delizioso dal punto di vista tipologico è casa Lamberti ora Soffia risalente alla fine del
‘400, inizio del ‘500. Scialbati gli affreschi, manomessa l’originale struttura delle finestre per le quali era stata
pensata la decorazione a fresco, fortunatamente il restauro ha rivelato la presenza di pezzi di figure in chiave
dell’arco, di fregi nei sott’archi, di elementi decorativi, quali due aquile, un sole o simbolo dello Spirito
Santo, un testo sacro, eleganti teste di leone, nastri, forse qualche traccia di paesaggio, vegetali, frutta, figure
di sante inginocchiate, un santo monaco, il grande elegante stemma della famiglia con i leoni rampanti del
quale solo la metà di sinistra è conservata3; tutti elementi che ci presentano il palazzetto come un piccolo
gioiello, sia dal punto di vista decorativo, sia architettonico. All’interno si caratterizza per la presenza di fregi
nelle stanze, anche qui di buona qualità, con i leoni in posizione araldica opposti al vassoio di frutta.
Al lato opposto della strada, vi è un palazzetto padronale, ora canonica, con sulla facciata,
immediatamente sotto il tetto, un fregio di scuola veneta del ‘500. La decorazione alterna con eleganza
corolle di fiori stilizzate a piccole figure. All’interno della canonica, al piano terra, c’è una mediocre
Madonna cinquecentesca, mentre, fra le teste delle travi, sono rappresentati stemmi araldici e curiosi
scongiuri “noxia pello “(allontano le sventure) ripetuti con ossessione. I soffitti di legno, decorati con vivace
cromia, purtroppo sono stati in gran parte rifatti in occasione del recente restauro.
In Contrà della Sorgata, nel Palazzo Sorgato, ora Rigo, si possono ammirare delle pregevoli
decorazioni, fra le quali spicca un fregio di un ritmo e di un'eleganza straordinaria, con teste di leone, sirene
con la coda bifida e putti che giocano con le foglie di acanto, opera di una mano sicuramente felice che
ricorda palazzo Soffia.
Ci sono poi delle scoperte d'opere eccezionali in piccoli edifici anonimi. Troviamo accanto al
municipio, in Casa Scanferlato, delle decorazioni non ancora restaurate, assai vivaci e con una cromatica che
sicuramente c'induce a ritenerli di livello superiore.
In una casa anonima di proprietà Carraro, alla quale si accede da corte della Bova, è stato individuato
un fregio sempre del ‘400, di buon livello qualitativo, che sembra sostenere ghirlande con fiori e nastri.
Chi avrebbe immaginato che un palazzotto anonimo, dall’architettura insignificante, soggetto a
scempi architettonici anche recenti, quale casa Adami, ora Carraro, sita in Via Tempesta, nel borgo
medievale per
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Treviso, si potessero trovare delle decorazioni di una raffinatezza eccezionale sulla scia della tradizione
quattrocentesca? Una piccola stanza è decorata da una serie di medaglioni dalle profilature elegantissime e
raffinate, ai quali sottostanno dei vasi ricolmi di fiori, una fontana con putto in una delineazione formale d'alta
qualità. All’interno dei medaglioni incorniciati da ghirlande, non solo profili umani, ma anche la presenza d'animali
e sulle pareti la finzione di tessuti stampati aiutano a creare l’effetto di sfondamento oltre che di decorazione e
modificazione dell’architettura interna. L’eleganza delle figure ottenute con un unico segno, la felice elaborazione
artistica ci portano verso un pittore di gran qualità. Sarebbe interessante riuscire ad individuare i proprietari ed i
personaggi ritratti nelle immagini che non sono per nulla formali e che inducano a pensare ad un dittico per
nozze.
Non sappiamo cosa ci riveleranno i prossimi anni, siamo però certi che l’identità più autentica di Noale con tutta
la sua bellezza non sia ancora emersa.
.
1
L. Pichini Ricordi Storici di Noale delle sue Chiese e della Madonna delle Grazie. Noale 1946. Tipografia Luigi Guin.
L, Comacchio L’Ospedale di Noale nella sua storia - vol. II I Battuti e la Madonna. Vedelago (TV) 1953. Tipografia “Aer”.
2 M A. Chiari Moretto Wiel Pittura Murale Esterna nel Veneto - Venezia e Provincia. Giunta Regionale del Veneto e Ghedina-Tassotti
Editori. 1991.
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3
Messere Aliprando Lamberti, cittadino veneziano, era così legato alla sua casa a più piani, con orto forno e pozzo da voler
essere sepolto a Noale, nella chiesa dell’Assunta delle monache della Misericordia, dove vi aveva fatto costruire l’altare della
Beata Maria Vergine, ora del Rosario.
Comacchio Il Monastero Benedettino di S. Maria della Misericordia di Noale. Pag. 87. 1956. Vedelago Tipografia “Aer”
A. Bellavitis Noale Struttura sociale e regime fondiario di una podesteria della prima metà del secolo XVI. Pag.72. 1994 Fondazione
Benetton Studi Ricerche / Canova Editrice Treviso
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I MATERIALI CERAMICI DEI SECOLI XV – XVI
RINVENUTI A NOALE
dI Francesco Cozza
"Il restauro di ogni facciata è un evento culturale", così giustamente lo considera Andrea Fattori nel suo
contestuale intervento, ma si può aggiungere che non dovrebbe essere solo un " maquillage di facciata", per nobilitare
l'edificio ed abbellire la piazza o via sulle quali è prospiciente, bensì " l'evento culturale" dovrebbe essere più profondo
e partire dalle fondamenta.
Esiste, infatti, una evidente sproporzione tra il numero di case antiche presenti nel centro storico di Noale e la
quantità, assai ridotta, delle suppellettili domestiche, in particolare fittili, rinvenute durante i lavori edilizi.
Sicuramente gli interventi di restauro, fino ad ora eseguiti, non sono stati accompagnati da una appropriata
indagine archeologica del sottosuolo che, in queste occasioni, quasi sempre viene manomesso.
Se si considera che ogni casa aveva nel suo ambito, in genere sotto la cucina, un immondezzaio domestico cioè una struttura muraria voltata e interrata dove finivano attraverso un condotto in muratura conformato a scivolo,
assieme ai resti di pasto e ad altri tipi di materiali, le suppellettili domestiche, che per l'imperizia degli addetti alla cucina
e per il tramontare delle mode venivano eliminate - possiamo affermare senza dubbio che la "potenzialità
archeologica” relativamente al ritrovamento di manufatti ceramici legati alla vita domestica quotidiana rinascimentale e
oltre, è elevata.
Certamente per la verifica di queste potenzialità è necessario, per il futuro, una più ampia e fattiva
collaborazione tra gli Enti preposti alla tutela e alla ricerca culturale ed i privati proprietari, col tramite anche di sensibili
professionisti. Ed è proprio per la sensibile attenzione data, da qualche "addetto ai lavori", ad apparenti insignificanti
cocci colorati, che è stato possibile il recupero degli oggetti che qui si vengono a presentare.
Tra i vari frammenti fittili, recuperati anche dagli amici della Associazione Archeologica "Cultura avventura
Noale", si è potuto identificare un manico di olla - caratteristica forma chiusa dal corpo globoso con collo e bocca
stretti che per lo stato di conservazione della vetrina e dell'impasto è da ritenere uno scarto di cottura. Questo coccio è
quindi una importante testimonianza della possibile attività produttiva vascolare locale già a partire dall'inizio del '300.
A questo secolo appartengono pure i frammenti ceramici caratterizzati da un impasto grezzo e privi di rivestimento, le
cui forme ricavate si identificano con i noti secchielli a due anse sopraelevate, tipici recipienti domestici da fuoco che
spesso conservano sulla superficie esterna tracce di affumicatura o di incrostazioni carboniose
La maggior parte degli esemplari ritrovati è ascrivibile al periodo compreso tra la seconda metà del XV secolo e
la prima metà del successivo. Ricorrente è il motivo delle "mele" rappresentate in gruppi di tre su steli nascenti da un
unico cespo oppure a quattro esemplari affiancati ai lati di una doppia losanga. Questi ornati a "melagrane" ed a
"losanghe" venivano incisi sulle ceramiche domestiche per i loro significati terapeutici e propiziatori; le prime, infatti,
erano considerate - come è testimoniato dalle descrizioni dei tacuina sanitatis - un buon correttivo della tosse o se si
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trattava di melagrane agre - granata acetosa – benefiche per il fegato, mentre la figura geometrica della losanga
tagliata in croce, che unisce un simbolo pagano con uno cristiano, aveva la funzione di scongiuro; la troviamo ad
esempio ripetuta, sia pur in maniera corriva, negli spazi vuoti tra i bracci di una stella quadripunte che decora il cavetto
di una scodella.
E' interessante notare la presenza del motivo delle "tre mele" sulle decorazioni ad affresco riemerse
recentemente sulle facciata di Palazzo Tebaldi, dove appare inserito in composizioni vegeto-floreali.
In altri ornati vegeto-floreali troviamo evidenziata - come appare in un grande catino carenato della seconda
metà del '400 - la foglia di pioppo posta entro una sequenza di altre foglie lobate, probabilmente a testimonianza della
grande importanza che aveva il pioppo, per l'economia agricola dell'epoca, nell'ambito della nostra pianura veneta. Un
altro ornato floreale rappresenta, sia pur in modo schematico, un grande fiore dal bottone centrale reso a reticolo e dai
petali alternati a lunghi sèpali, che trova puntuale riscontro in un medaglione di Casa Adami (cfr. articolo di A. Fattori).
Il gruppo delle ceramiche con rappresentazioni umane si presenta con esemplari dalle forme anche elaborate e
insolite, ornate da decori semplici o compositi. L'oggetto più antico è da collocare sulla metà dell'arco cronologico del
XV secolo: si tratta di un piatto scodellato sul cui cavetto è riprodotta a mezzo busto, su sfondo puntinato, una figura
femminile dalla cui bocca fuoriesce un fiore elaborato significante vigore; l'ornato di completamento - presente anche
sulla superficie esterna - propone un elaborato motivo vegetale a foglie lobate e accartocciate, reso ancor più evidente
dall'impiego del "fondo ribassato". E' questa una tecnica usata, specialmente nella seconda metà del XV secolo, per
mettere maggiormente in risalto l'ornato e per dare all'insieme della composizione una profondità di campo e quasi una
consistenza plastica.
Una seconda raffigurazione antropomorfa è sviluppata su un grande piatto la cui forma plastica resa a
baccellature radiali, decorate a foglie, vuole imitare analoghe forme metalliche, sul cui medaglione centrale è incisa di
profilo una mezza figura femminile, alla quale fa da sfondo la siepe di graticcio, un albero fronzuto e la puntinatura. Lo
steccato a graticcio rappresenta il medievale hortus conclusus, ben rappresentato nelle miniature e raffigurazioni
dell'epoca, mentre il racemo fogliato si paragona all'albero del bene, cioè della vita.
Questi oggetti fittili, particolarmente curati sia nella forma che nel decoro, sono i cosiddetti gameli o ceramiche
amatorie, cioè oggetti che venivano donati alla persona amata in occasione del fidanzamento e di altre ricorrenze.
Usanza, quella di ritrarre busti virili e muliebri ed anche figure animali, che a Noale è ben testimoniata nelle
decorazioni parietali rinvenute in una stanza di casa Adami (cfr. descrizione di Fattori, cit.).
Poco frequente e per questo più apprezzabile è il boccale trilobato che configura a bassorilievo sul suo corpo
una testa di giovane Bacco alato, ottenuta mediante pressione delle dita sulla parete interna quando l'impasto argilloso
era ancora fresco; analoghe forme plastiche fanno parte della collezione Conton, ora conservata alla Ca' d'Oro di
Venezia, e
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provengono da siti veneziani. Ma è questo un modo particolare di conformare il boccale presente anche
nella produzione della maiolica rinascimentale.
Il gamelio poteva riportare sulla sua superficie decorata anche raffigurazioni zoomorfe, il cui significato
poteva essere un riferimento per la persona che lo riceveva. E' il caso della scodella frammentaria sul cui cavetto è
inciso, entro l'hortus conclusus, un animale accucciato che, se si identifica come un cane, significa fedeltà. Questo
esemplare di ceramica graffita rinascimentale è collocabile cronologicamente verso la fine del '400.
Sul cavetto di due forme aperte, una scodella ed un catino carenato, è presente la figura di un pesce che,
oltre al ben noto simbolo cristiano, è anche simbolo di vita e di fecondità in riferimento alla sua capacità
riproduttiva e quindi anch'esso da mettere in relazione con le ceramiche amatorie; sono queste due ceramiche
prodotte tra l'ultimo quarto del XV secolo ed il primo del XVI.
D'esecuzione accurata e dai toni cromatici intensi, in verde-ramina e giallo-ferraccia, sono altre due
scodelle aventi lo stesso ornato di completamento, disposto sotto l'orlo e raffigurante il motivo del meandro
triangolare. I due soggetti principali, un nastro intrecciato ed un nastro a girandola, possono rappresentare
simbolicamente l'unione amorosa e sociale; essi sono prodotti da porre a cavallo tra il '400 ed il '500.
Sul cavetto di una scodella frammentaria, che si differenzia dalle precedenti per il bordo piatto ingrossato
e per il piede a disco concavo, è rimasto uno stemma sagomato a scudo ovale e posto su uno sfondo a graticcio.
L'arma non identificata potrebbe essere veritiera e appartenere ad una nobile famiglia noalese del primo
Cinquecento.
Tra i materiali recuperati ci sono inoltre altre varie suppellettili domestiche fittili, che per l'assenza di
decori pittorici e di ornati graffiti sono da considerare di uso comune lungo tutto l’arco cronologico del XVI
secolo e anche oltre.
I materiali sino ad ora recuperati a Noale - avvicinabili sul piano stilistico e tecnologico alle produzioni
veneziana e padovana - pur non essendo numerosi costituiscono la testimonianza materiale degli oggetti in uso
nelle mense dell'epoca e ci permettono anche di cogliere alcuni particolari aspetti di vita sociale degli abitanti di
Noale dei secoli XV-XVI.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
AA.VV., La città nella città. Un intervento di archeologia urbana in Concordia Sagittaria. Mostra di materiali romani e rinascimentali dallo scavo di
piazza della Cattedrale, cat. mostra, Portogruaro 1989.
AA.VV., La ceramica nel Veneto. La terraferma dal XIII al XVIII secolo, Verona 1990.
L. CONTON, Le antiche ceramiche veneziane scoperte nella laguna, Venezia 1940.
F. COZZA, La produzione ceramica veneta dal basso medioevo al rinascimento, Padova 1989.
A. MOSCHETTI, Della ceramica graffita padovana dal sec. XIV al XVII, in "Padova", anno I n.s., 1931.
M. MUNARINI, Ceramiche rinascimentali dei Musei Civici di Padova, Padova 1993.
G.B. SIVIERO, Ceramica dal XIII al XVII secolo da collezioni pubbliche e private in Este, cat. mostra, Galliera Veneta 1975.
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Testi
NOALE HA UN CUORE ANTICO
DI FRANCO POSOCCO
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I TEMPESTA
DI MARIA PIA BARZAN
15
IL RESTAURO DELLA ROCCA DEI TEMPESTA TRA CONSERVAZIONE E MANUTENZIONE
DI GIUSEPPE RALLO
29
NOALE, CITTÀ M RATA DEI TEMPESTA
DI ANDREA FATTORI
39
NOALE RACCONTA IL SUO PASSATO
DI ANDREA FATTORI
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I MATERIALI CERANIICI DEI SECOLI XV - XVI RINVENUTI A NOALE
DI FRANCESCO COZZA
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Immagini
PARTICOLARE DEL CAMINO DELLA CASA DI RIPOSO
TORRE DELL'OROLOGIO: NEL MEDIOEVO TREVISANA, LAPIDE SEPOLCRALE DI NICOLÒ TEMPESTA
TORRE DELL'OROLOGIO: NEL MEDIOEVO TREVISANA, STEMMA DEI CONTARTNI
TORRE DELL'OROLOGIO: NEL MEDIOEVO TREVISANA, NOTTURNO CON LUNA PIENA
ROCCA, TORRE DI LEVANTE A MEZZOGIORNO
ROCCA, MATTINO
ROCCA, INTERNO DEL MASTIO
ROCCA, TORRE DI PONENTE DA NORD
ROCCA, TORRE DI LEVANTE DAGLI SPALTI
ROCCA, TORRE DI PONENTE – PRIGIONI
ROCCA, TORRE DI PONENTE - PORTA DI UNA CELLA CARCERARIA
ROCCA, TORRE DI PONENTE - PORTA DELLA CELLA DETTA LA CHIARA
ROCCA, PORTA DI COLLEGAMENTO AL CASTELLO VISTA DALL'INTERNO DELLA ROCCA
ROCCA, CORTINA MURARIA DI LEVANTE
ROCCA AL TRAMONTO
TRAMONTO
ROCCA, CORTINA MURARIA DI PONENTE
ROCCA, TORRE DI LEVANTE AL TRAMONTO
ROCCA, TORRE SUD
ROCCA, TORRE SUD - LUCE MATTUTINA
ROCCA, VEDUTA AUTUNNALE
ROCCA, CAMINO
ROCCA, INTERNI
ROCCA, CORTINA MURARIA DI LEVANTE, DECORAZIONE DEL '500
PONTE DI COLLEGAMENTO ALLA ROCCA
PORTA DELL'OROLOGIO: NEL MEDIOEVO TREVISANA, PARTICOLARE
PALAZZO ORA BORGHESAN, CAMINO GOTICO
TORRE DELL'OROLOGIO: NEL MEDIOEVO TREVISANA, RESTI DEL MURO DI CINTA
TORRE DELLE CAMPANE: NEL MEDIOEVO PER VICENZA, PARTICOLARE
TORRE DELLE CAMPANE: NEL MEDIOEVO PER VICENZA, STEMMA DELLA FAMIGLIA MALIPIERO
PORTICO DI PIAZZA CASTELLO
LAPIDE UN TEMPO SUL PONTE DELLE BECCARIE
STEMMA DELLA FAMIGLIA SORGATA
PARTICOLARE DELLA COLONNA DELLA PACE DI PAOLO PINO VENEZIANO
CASA ORA PALUAN, PARTICOLARE
PALAZZO ORA MARTINI
PALAZZO LAMBERTI ORA SOFFIA
PORTA DELLE CAMPANE: NEL MEDIOEVO PER VICENZA
PALAZZO NEGRO ORA SEDE DELL'UFFICIO TECNICO COMUNALE, DECORAZIONI DEL '400
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ESEMPIO DI DECOMZIONE DI ARTE SACRA
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CASA DEI BATTUTI
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CASA ORA CARRARO,CAMERA NUZIALE
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PALAZZO ORA RIGO, FREGIO
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PALAZZO ORA EX POSTE, DECORAZIONE DEL '400
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PALAZZO ORA BANCA POPOLARE DI NOVARA, DECORAZIONI DEL '400
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PALAZZO ORA CAMPIGOTTO, DECORAZIONI DEL '500
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PALAZZO ORA CAMPIGOTTO, DECORAZIONI DEL '500
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PALAZZO ORA BANCA POPOLARE DI NOVARA, SOFFITTO
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PALAZZO ORA CASA CANONICA, SCONGIURO
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CASA ORA LICORI, SOFFITTO DEL '400
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CASA ORA MASCARUCCI, PARTICOLARE
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CERAMICHE MEDIEVALI E RINASCIMENTALI RINVENUTE IN NOALE
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TRAMONTO
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TORRI DEL CASTELLO ALL'ALBA
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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI OTTOBRE 1998
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ROTARY CLUB DEI TEMPESTA NOALE