Rivista scientifica bimestrale di Diritto Processuale Civile ISSN 2281-8693 Pubblicazione del 19.12.2013 La Nuova Procedura Civile, 1, 2014 Comitato scientifico: Elisabetta BERTACCHINI (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) Giuseppe BUFFONE (Magistrato) - Paolo CENDON (Professore ordinario di diritto privato) - Gianmarco CESARI (Avvocato cassazionista dell’associazione Familiari e Vittime della strada, titolare dello Studio legale Cesari in Roma) - Bona CIACCIA (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Leonardo CIRCELLI (Magistrato, segreteria del Consiglio Superiore della Magistratura) - Vittorio CORASANITI (Magistrato) - Francesco ELEFANTE (Magistrato) - Annamaria FASANO (Magistrato, Ufficio massimario presso la Suprema Corte di Cassazione) - Cosimo FERRI (Magistrato, Sottosegretario di Stato alla Giustizia) - Eugenio FORGILLO (Presidente di Tribunale) – Mariacarla GIORGETTI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Giusi IANNI (Magistrato) - Francesco LUPIA (Magistrato) - Giuseppe MARSEGLIA (Magistrato) - Piero SANDULLI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Stefano SCHIRO’ (Consigliere della Suprema Corte di Cassazione) - Bruno SPAGNA MUSSO (Consigliere della Suprema Corte di Cassazione) - Paolo SPAZIANI (Magistrato) - Antonio VALITUTTI (Consigliere della Suprema Corte di Cassazione) - Alessio ZACCARIA (Professore ordinario di diritto privato). Nullità della C.T.U.: ecco quando e come. La nullità della consulenza tecnica d'ufficio - ivi compresa quella dovuta all'eventuale allargamento dell'indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente - ha carattere relativo e deve, pertanto, essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata. Corte di Appello de L'Aquila, sentenza del 17.5.2013 …omissis… L'appello principale merita parziale accoglimento. Invero, con il primo motivo di impugnazione l'appellante chiede dichiararsi la nullità della CTU espletata in primo grado in quanto il consulente tecnico d'ufficio si è avvalso di un collaboratore senza la previa autorizzazione del Giudice. Inoltre, a causa del contenzioso sorto tra l'attrice ed il CTU in relazione all'importo del compenso liquidato dal Giudice, il consulente tecnico d'ufficio si sarebbe dovuto astenere e doveva essere, comunque, sostituito. Il CTU, poi, non avrebbe risposto ai quesiti postigli dal Giudice. Tale motivo è infondato. Anzitutto, si rileva che all'udienza del 21-9-2004, immediatamente successiva al deposito della relazione scritta del CTU, il difensore dell'attrice si riportato alle note scritte depositate il 15-9-2004, nelle quali però non si fa riferimento né alla mancata autorizzazione del Giudice alla nomina di un collaboratore dell'ausiliario, né alla mancata astensione del CTU. Tali dedotti vizi, quindi, sono stati sanati dalla mancata tempestiva deduzione del difensore dell'attrice. Per la Suprema Corte, infatti, la nullità della consulenza tecnica d'ufficio - ivi compresa quella dovuta all'eventuale allargamento dell'indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente - ha carattere relativo e deve, pertanto, essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata (Cass.Civ., 31 gennaio 2013, n. 2251; Cass.Civ., 24 gennaio 2013, n. 1744). Tra l'altro nelle note scritte il difensore della F. si è doluto dell'omessa risposta del CTU ai quesiti del Giudice e di uno sconfinamento dell'ausiliario in valutazioni arbitrarie. Dalla lettura della CTU, invece, risulta che il consulente si è scrupolosamente attenuto ai quesiti formulati dal Giudice, senza sconfinare in valutazioni giuridiche. Con riferimento alla nomina del collaboratore del CTU, emerge dagli atti che il Giudice ha rilasciato l'autorizzazione con Provv. del 9 dicembre 2003. Peraltro, in tema di consulenza tecnica, eventuali irritualità dell'espletamento (nella specie la partecipazione a un sopralluogo, senza autorizzazione, in luogo del consulente d'ufficio, di un suo collaboratore) ne determinano la nullità solo ove procurino una violazione in concreto del diritto di difesa, con la conseguenza che è onere del ricorrente specificare quali lesioni di tale diritto siano conseguite alla denunciata irregolarità (Cass.Civ., 8 giugno 2007, n. 13428). Nella specie, alcuna concreta violazione del diritto di difesa è stata allegata dal difensore della F.. Inoltre, deve osservarsi che l'appellante si è limitata ad allegare la sussistenza di una asserita ipotesi di dovere di astensione del CTU, senza però aver chiesto nei termini di legge la ricusazione dello stesso. La causa d'incompatibilità del consulente d'ufficio, fondata sulla nomina del medesimo ausiliare in primo e secondo grado, non può essere fatta valere in sede di giudizio di legittimità se non sia stata tempestivamente denunciata con richiesta di ricusazione formulata ai sensi dell'art. 192 cod. proc. civ. Tale formale istanza non è equiparabile alla richiesta di revoca e sostituzione del consulente per motivi di opportunità, ancorché formulata, con generico richiamo all'art. 51 cod. proc.civ., nel corso del giudizio di secondo grado, e l'ordinanza di rigetto non è, conseguentemente, censurabile con ricorso per cassazione per vizio di motivazione (Cass.Civ., 31 marzo 2009, n. 7770). Tra l'altro, l'impugnato del decreto di liquidazione del compenso al CTU ad opera di una delle parti non costituisce certo una ipotesi di obbligo di astensione del consulente. Il Giudice, nel provvedimento di liquidazione, con cui ha leggermente diminuito l'importo del compenso spettante al CTU, ha respinto tutte le doglianze avanzate in ordine alla condotta dell'ausiliario del Giudice. Per la Suprema Corte, poi, la mancata proposizione dell'istanza di ricusazione del consulente tecnico d'ufficio nel termine di cui all'art. 192 cod.proc.civ., preclude definitivamente la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità, con la conseguenza che la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo, non rilevando che il consulente tecnico d'ufficio non abbia osservato l'eventuale obbligo di astensione (Cass.Civ., 25 maggio 2009, n. 12004). Con il secondo motivo di impugnazione l'appellante contesta la prima decisione in quanto il Giudice, dopo il deposito della relazione a chiarimenti, non ha concesso un termine per il deposito di note critiche nei confronti di tale elaborato. Tale motivo è infondato, non essendosi verificata alcuna violazione del diritto di difesa, sia perchè l'appellante non ha neppure allegato quale danno in concreto abbia subito a causa della fissazione della udienza di precisazione delle conclusioni, sia perchè l'attrice ha avuto la possibilità di illustrare le proprie difese nell'ambito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica di primo grado, sia perchè la relazione a chiarimenti era stata depositata il 29-3-2005, quindi tre mesi prima dell'udienza del 5-7-2005, nel corso della quale è stato chiesto il termine per il deposito di note critiche. La difesa dell'attrice ha, quindi, avuto a disposizione tutto il tempo necessario per lo studio dell'elaborato e per predisporre adeguate difese tecniche. Con il terzo motivo di impugnazione l'appellante contesta la sentenza di primo grado, in quanto il Giudice ha pronunciato ultra petita in violazione dell'art. 112 c.p.c. (principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato), avendo applicato alla fattispecie il principio della accessione invertita di cui all'art. 938 c.c., in assenza di specifica domanda di parte. Inoltre, l'art. 938 c.c. fa riferimento alla costruzione di un edificio, ossia di una struttura muraria complessa, non essendo applicabile ad opere diverse. Non essendo applicabili né l'art. 938 c.c. né l'art. 936 c.c., l'appellante avrebbe quindi diritto all'arretramento della costruzione ed al rispetto delle distanze violate. Tale motivo è fondato per entrambi gli aspetti sottolineati dall'appellante. Invero, l'art. 938 cod. civ. dà luogo non ad una mera difesa, ne' ad una eccezione, ma ad una vera e propria domanda intesa a conseguire un provvedimento giudiziale costitutivo del diritto di proprietà a favore del costruttore coevamente estintivo del diritto del proprietario del suolo, la quale è soggetta ai limiti ed alle preclusioni di cui agli artt. 183, 184 cod. proc. civ., ne' può essere proposta per la prima volta in appello sussistendo il divieto di cui all'art. 345 cod. proc. civ. (Cass. Civ., 17 giugno 1994, n. 5868; Cass.Civ., 22 febbraio 2011, n. 4286). Nel caso in esame nessuna parte aveva invocato il principio di cui all'art. 938 c.c., né quello di cui all'art. 936 comma 4 c.p.c. Inoltre, l'art. 938 cod. civ., il quale, in deroga al principio generale sull'acquisto della proprietà per accessione, di cui ai precedenti artt. 934 e ss., prevede, in caso di occupazione di porzione del fondo contiguo con una costruzione, l'attribuzione al costruttore della proprietà dell'opera realizzata e del suolo (cosiddetta accessione invertita), si riferisce esclusivamente alla costruzione di un edificio, cioè di una struttura muraria complessa idonea alla permanenza nel suo interno di persone e di cose, non potendo, quindi, essere invocato con riguardo ad opere diverse, quali un muro di contenimento o di divisione (Cass.Civ., 14 dicembre 2012, n. 23018). Nella specie, dalla CTU emerge che trattavasi di un pavimento in massetto e non di un edificio (cfr. p. 6 della relazione scritta: "di qui per il restante tratto di ml. 5.00 circa, il muretto di confine, alla data del sopralluogo, non era esistente, mentre, sulla fascia di larghezza di cm. 10, di proprietà F.R., vi era un pavimento di massetto in cls..."; cfr. p. 8 "l'opera edilizia realizzata dai sigg. D. e S. non invade la proprietà attrice, a meno della superficie posta dietro la tettoia, lunga circa 5.00 metri e larga 10 cm. su cui la parte convenuta ha realizzato massetto in cls, che viene computata in una superfìcie pari a mq. 0,50 (5,00 X 0,10); tale superficie computata è quella che, virtualmente fuoriesce a favore della proprietà F. dalla linea ideale del confine di proprietà verificato con gli allineamenti di cui al frazionamento del geom. D.G."). Con il quarto motivo di impugnazione l'appellante si duole della erronea valutazione delle risultanze probatorie in quanto, in realtà, la costruzione dei convenuti non è aderente al muro divisorio, né è stata realizzata sul muro divisorio in appoggio, ma costituisce uno sconfinamento ed una occupazione del muro divisorio sì da farlo diventare un corpo di fabbrica. Tale motivo è infondato. Infatti, emerge chiaramente dalle fotografie in atti e dalla CTU, ivi compresi i chiarimenti, che la costruzione dei convenuti è stata realizzata in aderenza al muro divisorio ai sensi dell'art. 877 c.c.. Per il CTU "il confine ...è costituito da un muretto di cinta in comune realizzato in blocchi di cls on sovrastante mensola di marmo. Tale manufatto è stato realizzato in virtù di concessione edilizia rilasciata in data 7-11-1985 al sig. D.A. e S.P....la disposizione del muro è perfettamente a confine tra le due proprietà. Proseguendo nella direzione di sviluppo del muro di cinta, dopo una lunghezza di 16 ml., si incontrano le due realizzazioni edilizie...il muretto di cinta...quindi, si interrompe in prossimità della struttura di D. e S....il muretto sudddescritto...è perfettamente in asse con il confine tra le due proprietà....l'opera edilizia realizzata dai signori D. e S. non invade la proprietà attrice, a meno della superficie...lunga circa 5,00 metri e larga cm. 10". Per la Suprema Corte, infatti, affinché si verifichi l'ipotesi di costruzione in aderenza è necessario che la nuova opera e quella preesistente combacino perfettamente da uno dei lati, in modo che non rimanga tra i due muri, nemmeno per un breve tratto o ad intervalli, uno spazio vuoto, ancorché totalmente chiuso, che lasci scoperte, sia pure in parte, le relative facciate. - nella specie la S.C., nel cassare la decisione della corte di merito che aveva ritenuto colmabili le intercapedini esistenti tra gli edifici delle parti, ha escluso che le dimensioni delle medesime - che presentavano distacchi da un minimo di 20 ad un massimo di 88 cm. - consentissero di applicare il principio giurisprudenziale che estende il concetto di costruzione in aderenza a quelle costruzioni, le cui pareti presentano intercapedini di minime dimensioni - (Cass.Civ., 5 ottobre 2009, n. 21227). Deve essere rigettato l'appello incidentale. Infatti, solo in sede di gravame gli appellati hanno chiesto l'applicazione dell'art. 936 comma 4, allegando la loro buona fede, in modo da evitare la condanna alla rimozione del massetto che invade la proprietà attorea. Trattasi, quindi, di domanda nuova, inammissibile in sede di gravame ai sensi dell'art. 345 c.p.c.. Invero, non può ammettersi in appello la deduzione di una nuova causa petendi che, basata su presupposti di fatto o situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, implichi un mutamento sostanziale dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, dia una diversa fisionomia giuridica all'azione (ancorchè tendente al medesimo risultato), introduca un nuovo tema d'indagine - nella specie, alla domanda diretta ad ottenere l'equivalente della area occupata in buona fede dal costruttore limitrofo (art. 936 cod civ) era stata in appello sostituita una domanda diretta al risarcimento del danno per inadempienza alla prestazione convenuta di pagare un dato prezzo -(Cass.Civ., 17 marzo 1970, n. 709; Cass.Civ., 18 luglio 1957, n. 2990). Peraltro, non sussiste neppure la buona fede degli appellati, in quanto da tutti i documenti in loro possesso emergeva inequivocabilmente l'esistenza di una chiara linea di confine (cfr. CTU "la disposizione del muro è perfettamente a confine tra le due proprietà"). La buona fede del terzo, costruttore su suolo altrui, prevista dal quarto comma dell'art. 936 cod. civ. come ostativa allo "ius tollendi" del proprietario di esso, non si riferisce all'esecuzione delle opere, e cioè non consiste nel convincimento - da presumere - di tale terzo di aver agito sciente domino, ma deve fondarsi sulla convinzione del medesimo terzo - che deve provarla in base a circostanze obbiettive di esser proprietario anche del suolo sul quale ha costruito (Cass.Civ., 7 maggio 1997, n. 3971). In ossequio al principio della soccombenza i due terzi delle spese del doppio grado di giudizio vanno poste a carico dei convenuti, appellanti in via incidentale, e si liquidano come da dispositivo, mentre il residuo terzo va interamente compensato, in quanto la domanda attorea è stata accolta solo in parte. Le spese della CTU e dei chiarimenti vanno poste in via definitiva per 1/3 a carico della attrice e per 2/3 a carico dei convenuti. p.q.m. La Corte di Appello di L'Aquila, definitivamente pronunciando in contraddittorio delle parti costituite sull'appello proposto da F.R. nei confronti di D.A. e S.P., avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Chieti in data 27-9-2007, nonché sull'appello incidentale proposto da D.A. e S.P., ogni diversa e contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. In parziale accoglimento dell'appello principale ed in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Chieti in data 279-2007, accerta che i convenuti si sono appropriati della superficie di mq. 0,5, come da CTU depositata l'1-9-2004 e dai chiarimenti resi dall'ausiliario del Giudice in data 29-3-2005, con condanna dei convenuti alla rimozione del massetto in calcestruzzo ed all'arretramento dello stesso in base alla normative vigente in materia di distanze. 2. Rigetta l'appello incidentale. 3. Condanna i convenuti a rimborsare in favore di F.R. i due terzi delle spese del doppio grado di giudizio, facendo delle stesse liquidazione, per tale misura, in complessivi Euro 2.000,00, oltre accessori di legge, per il giudizio di primo grado, e, sempre per tale misura, in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori di legge, per il giudizio di secondo grado. Compensa tra le parti il residuo terzo. 4. Pone le spese della CTU e dei chiarimenti, in via definitiva, a carico dei convenuti per la misura di 2/3 ed a carico dell'attrice nella misura di 1/3. Così deciso in L'Aquila, nella Camera di Consiglio del 23 aprile 2013. Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2013.