PRESENTAZIONE
DEL NUOVO STEMMA E GONFALONE
DEL COMUNE DI ANOIA
ATTI DEL CONVEGNO
Sala Consiliare del Municipio di Anoia
Sabato 19 marzo 2005 – ore 10.00
a cura di
Giovanni Quaranta
Interventi:
Totò Dromì
Assessore alla Cultura del Comune di Anoia .
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Pag.
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curatore del libro “Il Nuovo Stemma del Comune di Anoia” .
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Alessandro Demarzo
Sindaco di Anoia
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Giovanni Russo
Deputato di Storia Patria per la Calabria
Giovanni Quaranta
Prof. Rocco Liberti
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Presidente della Deputazione di Storia Patria per la Calabria
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Deputato di Storia Patria per la Calabria
P. Rocco Benvenuto o.m.
Storico dell’Ordine dei Minimi
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Prof. Giuseppe Caridi
Ulteriori notizie e documenti post-convegno (G. Quaranta)
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Appendice documentaria:
Manifesto del convegno .
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Rassegna fotografica
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Decreto di concessione dello stemma
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Totò Dromì
Assessore alla Cultura del Comune di Anoia
Mi fa tanto piacere vedere la presenza dei ragazzi a questa manifestazione.
Questi sono momenti di crescita per il Comune, e i ragazzi, in particolare, li
ricorderanno come momenti belli, culturali.
E a proposito di cultura, ancora prima di dare l’avvio ai lavori di presentazione del nuovo gonfalone comunale, io, quale Assessore alla Cultura di questo Comune ci tengo a rimarcare come questa Amministrazione Comunale è
sempre stata vicina ed è stata mecenate di qualsiasi cosa avesse una matrice
culturale.
Questo forse è l’ultimo atto di questa Amministrazione e mi auguro che le
quelle che verranno continuino su questa strada. È importante fare le strade, è importante fare le piazze, è importante adoperarsi per il sociale, ma è
molto importante la cultura, soprattutto per i giovani, per quei giovani che
saranno la società del domani. E se la società del domani è fondata sulla cultura, ha senza dubbio fondamenta molto ma molto solide.
Stiamo qui a presentare il nuovo gonfalone col nuovo stemma del Comune
di Anoia.
Io per questo devo ringraziare il carissimo Giovanni Quaranta, che a tal
proposito è stato da me corteggiato da anni, per portare avanti questo lavoro
che oggi grazie a lui si è realizzato, e noi abbiamo il nostro vero gonfalone
che è il segno, la “carta d’identità” del Comune.
Non mi dilungo, perché ci sono illustri oratori che dovranno fare i loro interventi.
Ci tengo tanto a ringraziarVi per la cortese presenza, e passo la parola al
Sindaco Alessandro Demarzo.
Grazie.
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Alessandro Demarzo
Sindaco di Anoia
Un buongiorno a tutti e un benvenuto ai nostri ospiti, veramente illustri,
che ci onorano con la loro presenza in questa giornata festosa.
Permettetemi, innanzi tutto, di porgere un saluto al Prof. Caridi che ho
avuto l’onore di conoscere tantissimi anni fa all’Università di Messina come
docente. È un grandissimo piacere averlo qui accanto a me, ed è un grandissimo privilegio soprattutto oggi che presiede il massimo consesso degli storici
della nostra Calabria.
Ringrazio tutti Voi, ringrazio i ragazzi delle scuole ed i loro docenti che
hanno accolto l’invito di presenziare a questo incontro per la presentazione
del nuovo stemma del Comune di Anoia. C’è il nuovo gonfalone già predisposto, ma non possiamo parlare di “nuovo gonfalone” finché non ci sarà
l’ufficialità dell’approvazione da parte delle Istituzioni preposte, anche se ufficiosamente ci è stato comunicato che il decreto di concessione è stato già
firmato dal Presidente della Repubblica il 5 febbraio u.s.
Avremmo voluto fare qualcosa di diverso, per dare ancora maggior risalto
all’evento - magari con la presenza di S.E. il Prefetto di Reggio Calabria -, ma
tenuto conto del periodo elettorale in corso non abbiamo voluto fare particolari festeggiamenti come si richiedeva per il nuovo gonfalone. Si spera subito
dopo le elezioni, di poter celebrare come è giusto ed inaugurare ufficialmente
il nuovo gonfalone.
Non sta a me presentare quella che è la storia dello stemma e della nostra
comunità, perché lo faranno gli illustri oratori che parleranno dopo di me.
È mia intenzione, doverosa, da parte di Sindaco, a nome di tutta la cittadinanza, ringraziare il nostro concittadino Rag. Giovanni Quaranta per il lavoro
della ricerca che ha portato all’approvazione dello stemma. E concludo dicendo di essere orgoglioso di avere un concittadino come Giovanni Quaranta.
Grazie.
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Giovanni Russo
Deputato di Storia Patria per la Calabria
L’araldica, disciplina che tratta gli stemmi, sia dal punto di vista storico
che delle regole, benché oggi non abbia più l’importanza ed il concetto che
aveva nel medio evo e, per questo, non negletta e tanto meno disprezzata, è
un fenomeno della storia europea che è ancora molto in uso dopo oltre ottocento anni dalla sua istituzione.
Originariamente fu un mezzo di identificazione per le classi guerriere. Infatti, quando i popoli muovevano in battaglia, vi era l’esigenza che le parti
contendenti si distinguessero le une dalle altre e che le schiere si raccogliessero sotto un’insegna che poi era il distintivo del gruppo o della fazione.
Araldo era colui che, tra i tanti compiti, aveva l’ufficio di riconoscere le
armi dei cavalieri che partecipavano ai tornei ed alle giostre, dal momento
che la faccia del partecipante veniva celata dal suo elmo. Per estensione, nel
medio evo, furono detti “stemmi” gli scudi portati nei tornei.
Va ribadito, però, che il “vexillum” o “signum” è molto più antico. Si usava
sia presso i greci e i romani e sia presso i popoli dell’alto medio evo. Esso costituiva il simbolo che riassumeva in sè ogni significato civile, militare e religioso della comunità che se ne fregiava.
Gli stemmi comunali nacquero non appena le comunità poterono fregiarsi
del titolo di comune.
Quando, col secolo XI, le comunità si resero a poco a poco indipendenti di
fatto, se non di diritto, dall’autorità dei vescovi e dell’imperatore, per divenire
liberi Comuni, assunsero uno stemma. Ben diverso fu per i comuni rurali,
quasi sempre privi di una giurisdizione propria, per cui l’assunzione dello
stemma avvenne molto più tardi.
L’apposizione di una forma di stemma cominciò ad essere usata anche con
sigilli che servivano ad autenticare documenti, e la pratica di usare simboli
araldici come riconoscimento, presto di diffuse tra i cittadini, governi municipali, corporazioni di artigiani e la stessa Chiesa.
Il gonfalone divenne anche il simbolo delle città e dei comuni intesi come
organizzazione politica e militare.
Non mancarono, perciò, suscettibilità che portarono a conseguenti drastiche decisioni, specie nel caso di Carlo I° d’Angiò che, per impedire frodi in
7
danno del regio onore o forse per togliere alle Università quel “segno”, equivalente ad un indizio di autonomia, “il 6 maggio del 1279, - come afferma il
Faraglia1 - comandò che tutte le università, città, terre, castella, casali e ville
mandassero i suggelli municipali ai giustizieri delle provincie per essere disfatti, ed ordinò invece, che gli atti pubblici e privati dovessero essere sottoscritti
dai giudici, notai e testimoni”.
Avvenne anche questo per Anoia che, nella seconda metà del XIII secolo,
era una realtà esistente e già costituita?
Questo non lo sappiamo, come non sappiamo quale o se vi fosse, in quel
momento, la raffigurazione dell’eventuale stemma universitario della Baronia
di Anoia che, nel corso dei vari secoli, vide un susseguirsi di feudatari, per lo
più di antico e nobile casato, che non mancarono di fregiarsi della propria
arma, forse imposta anche alla stessa Università ed ai suoi casali di Susanoia, Maropati e Tritanti.
Una Baronia ben attestata, quella di Anoia, che, nel 1456, figurò nei documenti contributivi per il “foculeri de Natale” col Regio Tesoriere del Ducato
di Calabria in Cosenza, con ventuno ducati, tre tarì e grana dieci.2
Il sopra citato raggruppamento di piccoli paesi, più tardi3, cioè nel 1532,
venne tassato per 177 fuochi; nel 1545 per 202; nel 1561 per 250; ed, infine, nel 1595 per 370.
Una baronia, quindi, sempre più in crescita ed ove la presenza di nuove
istituzioni religiose, ha contribuito al suo sviluppo.
Impossibile, quindi, che non abbia avuto un suo particolare segno, un sigillo, un emblema o uno stemma come dir si voglia.
Eventuali ed ipotetici stemmi antichi di Anoia andrebbero ricercati, oltre
che nelle fonti archivistiche locali (Archivio Comunale - che andrebbe riordinato con una certa urgenza-, e vari Archivi di Stato) anche in quello di Napoli, ove andrebbero compulsati, oltre ai fondi delle varie famiglie private,
particolarmente, i vari “Stati discussi”, le carte feudali segnalate dalla Mazzoleni4 che vanno dal 1546 al 1696, i Regi Assensi per la vendita di Anoia tra
il 1623 e 1720, le “Voci di Vettovaglie”, i “Catasti Onciari” con i relativi riveli
(5 volumi complessivi per Anoia), ove, senza meno, potrebbe figurare qualche
minima carta con l’apposizione del sigillo comunale.
Delle signorie feudali, (in comune con San Giorgio o autonome) vanno ricordate quelle di : Ruggero de Nao (1270) e della figlia Giovanna (1278), del
giudice Aldobrandino de Acquerolo da Firenze (questi, nel 1283 e non nel
1282, fu, oltre che possessore del casale di Anoia, anche titolare di un provvedimento contro l’Università di S. Giorgio per la custodia, a lui affidata, di
quel castello5); del milite Ludovico Mojuli (1314), segnalato dal Valensise6; di
1
NUNZIO FEDERICO FARAGLIA : Il Comune nell’Italia Meridionale : 1100-1806. Napoli, 1883, pp. 46; 281.
2
FONTI ARAGONESI, a cura degli Archivisti Napoletani, v. 5°. Napoli 1967, p. 176, n. 35.
L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Tomo 1°, Bologna 1969, (Rist. anastatica
dell’ed. di Napoli 1797), alla voce Anoia.
3
4 J.MAZZOLENI, Fonti per la Calabria nel Viceregno esistenti nell’Archivio di Stato di Napoli : 1503-1734. Napoli
1968, pp. 103; 184.
5“Iudici Aldebrandino de Aquerolo de Florentia familiari, possidenti casale Anogii in pertinentiis Sancti Georgii, proviso
contra universitatem dicte terre Sancti Georgii, pro custodia dicti Castri”. Cfr.: I REGISTRI DELLA CANCELLERIA
ANGIOINA, vol. XXVI (1282-1283). Napoli 1979, p. 200. Per il Pellicano Castagna, la data di tale provvedimento è
quella del 1282. Cfr. M. Pellicano Castagna, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, vol. 1° (A-CAR).
Chiaravalle Centrale 1984, p. 113. La data giusta, crediamo, possa considerarsi quella del 1283, corrispondente
all’ex registro CXII studiato dal De Lellis. L’Aldobrandino, figurerà anche Signore di Polistena.
8
Antonio Caracciolo (1371); di Carlo Trotta (1393); ancora dei vari Caracciolo
(1404 -1547); dei Ruffo (1548-1636) ed, infine, dei Paravagna (dal 1636 fino
all’eversione della feudalità)7.
Sotto quest’ultima signoria, e precisamente durante il dominio di Giacomo
Paravagna, da Filippo 4°, con privilegio del 31 ottobre 1664, esecutorio il 10
giugno 1665, venne concesso il titolo di Marchesato di Anoia8.
Nelle fonti locali finora esplorate, rimane traccia solo di una serie di sigilli
con l’unica figura di S. Francesco di Paola.
Sarà stato questo lo stemma scelto dall’Università di Anoia col preciso riferimento alla tradizione storica del Convento che, sotto il titolo del taumaturgo paolano, sorse intorno al 1593?
Che l’Università di Anoia volle quel convento, lo chiarisce l’iscrizione riportata dal Roberti9 che inizia proprio con “ANOYARUM UNIVERSITATE EXPOSTULANTE” (fondato ad istanza dell’Università di Anoia), mentre fu dotato da
Maria Ruffo, principessa di Scilla10, che, fin dal 1588, aveva preso possesso
della Baronia di Anoia.
La “Terra” di Anoia, come si potrà anche rilevare dall’apprezzo del 1646
pubblicato da Caridi11, infatti, era governata da un sindaco e da due eletti
che venivano confermati dall’utile Signore, in pubblico parlamento, mentre,
in ognuno dei suoi casali di Susanoia, Maropati e Tritanti amministravano
solamente due eletti.
Due poteri, quello universitario e quello feudale, per certi aspetti ed in più
occasioni, in simbiosi, per altri versi, il primo dipendente dal secondo.
Non va scartata l’ipotesi che, ab antiquo, cioè anteriormente alla nascita
del convento di San Francesco, lo stemma potesse essere raffigurato, come
avvenne in tantissimi altri centri, con l’immagine del Santo Patrono che, nel
caso di Anoia, fu ed è ancora San Nicola. A lui, infatti, è dedicata l’omonima
chiesa e parrocchia, attestate12 a datare dal 1540, pur se, nella stessa realtà
urbana, insisteva la Chiesa o Abbazia dei SS. Quaranta Martiri che, probabilente, all’origine, potrebbe essere stata, come sostiene il Minuto13, solamente
un Metochion dell’antico monastero sotto lo stesso titolo che appartenne a
Seminara. Di detta chiesa anoiana si conserva traccia sia nella Platea dei SS.
Stefano e Brunone del 1533-1536)14 che nel già citato apprezzo15 del 1646.
D. VALENSISE, Dell’origine e vicende di S. Giorgio Morgeto, Reggio Emilia 1882, p. 25: “Ludovicus Mojuli miles
habet vassallos angarios et perangarios in Casalibus Anogi et Sancti Georgi de Calabria (Reg.1314, f. 288).
6
7 M. PELLICANO CASTAGNA, La Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, v. 1° (A-CAR), Chiaravalle Centrale, 1984, pp. 113-118; P. BELLANTONE, Anoia il feudo e i feudatari (1270-1806) in CALABRIA SCONOSCIUTA,
Anno XXIII (Gennaio- Marzo 2000), pp. 67-69.
8
M. PELLICANO CASTAGNA, Le ultime intestazioni feudali in Calabria. Chiaravalle Centrale 1978, p.110.
9
G.M. ROBERTI, Disegno storico dell’Ordine dè Minimi, v. 3° (1700-1800), Roma 1922, p. 165.
10
G. CARIDI, I Ruffo di Calabria, Reggio Calabria 1999, p. 189.
G. CARIDI, Popolazione e territorio nella Calabria moderna. Reggio Calabria, 1994, pp. 87-113, in Appendice :
Apprezzo di Nicotera, Calanna, Anoia e relativi casali (Badia, Comerconi, Preitoni, Caroniti, Laganadi, S. Alessio, S.
Stefano, Susanoia, Maropati e Tritanti) nel 1646 (Biblioteca Nazionale di Napoli, MS. XIV. D.4., ff. 1r-44r.
11
12
F. RUSSO, Regesto Vaticano per la Calabria, vol. 4°, Roma 1978, p. 39, doc. n. 18186; p. 41, doc. n. 18205.
D. MINUTO, Nota sui monasteri greci nell’odierna piana di Gioia Tauro fino al secolo XV, in CALABRIA CRISTIANA : Società religione cultura nel territorio della Diocesi di Oppido Mamertina, Tomo I°, Soveria Mannelli 1999, pp.
445-446.
13
14
LA PLATEA DEL MONASTERO DEI SS. STEFANO E BRUNONE, a cura di Lucia Longo. Cosenza 1996, p. 158.
15
G. CARIDI, Popolazione...cit., p. 109.
9
Ma dello stemma antico, cioè di quello precedente al terremoto del 1783,
non essendovi una ben più minima traccia, resta una semplice congettura
che solo ulteriori documenti d’archivio potrebbero chiarire.
Circa l’uso dello stemma, Giovanni Quaranta, benemerito curatore del lavoro che oggi si presenta, propone una serie di documenti rintracciati
nell’Archivio Storico Diocesano di Mileto e nella Sezione di Archivio di Stato
di Palmi.
Un’opportuna notizia del 1788 va considerata, prima di tutto, quella che il
prof. Antonio Piromalli indicò nel riferire di un’istanza prodotta dal Sindaco
di Maropati per sollecitare l’interessamento del Sovrano a pro della ricostruzione di quel paese dopo il terremoto del 1783 : L’istanza - così il Piromalli16
- è interessante anche perchè in calce ha il sigillo rotondo delle due università
- fino oggi sconosciuto - che reca il rilievo di S. Francesco di Paola e l’iscrizione
“Charitas”. E per due Università si deve intendere Anoia e Maropati che, in
passato, come abbiamo visto, hanno avuto una storia quasi comune. Quindi,
ancora nel 1788, hanno utilizzato uno stesso sigillo per gli atti ufficiali.
L’amico Pasquale Bellantone, ci ha fornito fotostatica della copia di tale atto
concesso al Sindaco Guglielmo Lacquaniti nel 1980, allorquando si iniziò a
parlare del cambiamento dello stemma comunale. Lo stesso Bellantone ci ha
concesso ancora una fotostatica di un uleriore documento, del 1788, da lui
rintracciato presso l’Archivio di Stato di Catanzaro e relativo ad una nuova lettera del Sindaco e dell’arciprete di Maropati per una nuova sepoltura. In tale
atto, roborato anche dal solito sigillo, è collazionata una dichiarazione del notaio Pasquale Nicoletta di Anoia che, oltre a fare riferimento alle autorità religiose e militari di Maropati e suo Stato d’Anoia, da lui ben conosciute, attesta:
“come ancor m’è cog[ni]to il suggello dell’Università mede.[si]ma in questa supplica apposto”. È evidente, a questo punto, quale fosse lo stemma di Anoia e
Maropati in quel momento.
I documenti presentati, inoltre, da Giovanni Quaranta, che datano a partire dal 1784, e che vanno fino al 1816, attestano, in maniera chiara, quale
fosse il sigillo “adottato” dal Comune di Anoia in quell’epoca, cioè quello con
l’immagine di San Francesco di Paola e con il motto “CHARITAS”.
Detto sigillo, a nostro avviso, sembrerebbe essere appartenuto più al convento che all’Università; tuttavia, l’uso, da parte di quest’ultima, potrebbe
essere giustificato col fatto che il terremoto di qualche anno prima aveva disperso tutto.
I Comuni, come gli studiosi qui presenti sanno bene, quasi sempre, hanno
contornato la raffigurazione centrale dello stemma con la scritta: “Università
di...” o “Municipalità di...”. La legislazione ottocentesca circa gli stemmi fu la
seguente:
Con decreto del 17 maggio 1809, Napoleone stabilì che le città, le corporazioni e certe associazioni civili potessero chiedere autorizzazione per stemmi,
previa domanda col progetto, indirizzata all’Arcicancelliere, Presidente del
Consiglio del Sigillo. Se approvata, veniva emessa lettera patente di concessione17.
16
A. PIROMALLI, Maropati : Storia di un feudo e di una usurpazione. Cosenza 1978, p. 84.
G. C. BASCAPÈ- M. DEL PIAZZO, Insegne e simboli. Araldica Pubblica e privata medievale e moderna. Roma,
1983, p. 851.
17
10
Nel 1818, il Ministero della Cancelleria Generale ordinò la collezione degli
stemmi dei Comuni. Tale collezione, che si conservava presso il Grande Archivio di Napoli e composta da n. 20 volumi, secondo la segnalazione del
Trinchera18, fu bruciata, con molti altri documenti, dall’esercito tedesco, il
30 Settembre 1943, nella villa Montesano presso S. Paolo Belsito (NA)19.
Ancora con decreto del 2 luglio 1896, veniva approvato il regolamento della Consulta Araldica ove si stabilì che fosse creato un “Libro Araldico degli
Enti Morali” nel quale si dovevano registrare tutti gli stemmi delle Province e
dei Comuni, sia concessi che riconosciuti.
“Molti Comuni che non avevano un proprio stemma, fecero uso dello
stemma dello Stato, cosa che si vietò con ulteriore regio decreto del 13 aprile
1905. La stessa Consulta Araldica, passata nel 1923 a far parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, constatato che persisteva l’abuso da parte
dei Comuni a servirsi dello stemma dello Stato, ordinò ai predetti di invitare
gli Enti inadempienti a chiedere il riconoscimento degli stemmi dei quali risultassero le prove del legittimo possesso, o la concessione di stemmi nuovi”20.
Di certo, Anoia disattese tali normative o fece orecchie da mercante alle
varie sollecitazioni, se è vero, come è vero, che nelle manifestazioni ufficiali di
questo secolo, venne rappresentato dalla sola bandiera italiana e, solo negli
anni ’70 del secolo ormai trascorso, proprio perchè privo di un minimo segno
che facesse contraddistinguere il Comune, ad iniziativa del sindaco Ferdinando Arcà, si attrezzò di un proprio stemma con relativo gonfalone.
Tale stemma, però, anche se ufficiale perchè concesso con Decreto del
Presidente della Repubblica del 27 luglio 1972, va considerato decisamente
senza alcun requisito di storicità.
Non è un simbolo popolare che raccoglie e rappresenta un momento tradizionale o un legame forte della popolazione e neppure da spiegazione del nome
del santo raffigurato, ma è semplicemente un'espressione grafica fatta, su delega, da tecnici preposti, ed elaborata sulla base di generiche regole fisse.
“Nella composizione dello stemma di un Comune - così recita una buona
regola araldica- è norma costante dell'archivio di indagare innanzitutto nella
storia della località per trarne quei fatti salienti che possano costituire una
pezza giustificativa dell'arma atta a caratterizzare gli avvenimenti e, allorché
essi mancano, si ricorre all'etimologia del nome del Comune, a quelle denominazioni feudali che possono aver lasciato qualche traccia dei possedimenti, infine alla posizione geografica del luogo, alle sue precipue e particolari
tradizioni agricole ed industriali".
Ecco, allora, il valore della scelta odierna dell’Amministrazione Comunale
di Anoia di ritornare ad un antico stemma che, pur restando nelle “figure
ideali ed agiologiche”, va considerato quale rapporto antico-moderno tendente a sottolineare come le più profonde trasformazioni custodiscano mo18
FRANCISCO TRINCHERA, Degli archivi napoletani. Napoli 1872, p. 352.
COMMISSIONE ALLEATA: Sottocommissione per i monumenti, belle arti e archivi. Rapporto finale
sugli archivi. Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1946, pp. 76-81. Alla p. 76 : “Elenco dei documenti
dell’Archivio di Stato di Napoli bruciati dai tedeschi il 30 settembre 1943 nella Villa Montesano presso S.
Paolo Belsito - Raccolta degli stemmi dei Comuni (Vol. 19). Il Trinchera, come abbiano visto, ne indicava
20.
19
R. BISIGNANI, Gli emblemi araldici del Comune di S. Donato Ninea, in Gazzettino del Crati, n. 1 del 15 gennaio
1988, p. 3.
20
11
menti di continuità che contribuiscono a convalidare ciò che parrebbe appartenere solo al passato.
Uno stemma, insomma, che, derivato dalle vicende storiche e fissato dalla
tradizione, vuole documentare e suscitare l’interesse per il passato.
L’opuscolo edito dall’Amministrazione Comunale di Anoia e curato da Giovanni Quaranta, non vuole avere la pretesa di aver esaurito l’argomento, ma
offre, comunque, un saggio, quasi in forma di guida, corredato da notizie relative al nuovo stemma e gonfalone, al culto del taumaturgo paolano, ai cenni storico-geografici della cittadina, nonchè alle Amministrazioni Comunali e
Commissari Prefettizi che si sono succeduti dal dopoguerra fino ad oggi, con
un interessante corredo fotografico. Sarebbe opportuno curare, anche per i
secoli passati, un elenco dei Sindaci. A tal proposito, non va dimenticata la
segnalazione di Franz von Lobstein21 che, degli antichi Sindaci di Anoia, ricorda : Stefano Galati (1708), Natale Seminara (1757), D. Filippo Di Marzio
(1788) ed il Dr. Fisico Annunciato Nicoletta (1793).
Complimenti al curatore Giovanni Quaranta per questo suo nuovo lavoro
ed un augurio alla comunità di Anoia che, da quest’oggi, potrà essere orgogliosa di riappropriarsi e di fregiarsi di uno stemma che reca l’immagine del
Santo più popolare del nostro Meridione.
21
F.V. LOBSTEIN, Settecento calabrese ed altri scritti, v. 2°. Napoli 1977, p. 108.
12
Giovanni Quaranta
Curatore del libro “Il Nuovo Stemma del Comune di Anoia”
Il cambio dello stemma del nostro Comune, che oggi abbiamo il piacere di
presentare alla cittadinanza, costituisce sicuramente la “pietra d’angolo” per
la ricostruzione della storia civica del nostro paese.
Si è più volte detto che lo stemma che il Comune ha utilizzato per oltre un
trentennio non aveva alcun legame con il passato della nostra piccola comunità e che quindi era necessario procedere alla sua sostituzione con uno che
avesse una valenza storica. Oggi, che si è giunti all’approvazione di quello
nuovo “storicamente ed ampiamente documentato” e raffigurante San Francesco di Paola, ritengo che sia stata definitivamente sanata tale anomalia.
La questione del cambio dello stemma è stato oggetto di innumerevoli discussioni tra il sottoscritto e l’amico Rag. Pasquale Bellantone, il quale, come
il compianto prof. Antonio Piromalli,22 aveva avuto modo di trovare questo
antico sigillo che l’Università di Anoja, prima, ed il Comune, poi, avevano utilizzato nel corso dei secoli passati.
Sin dall’agosto del 2000 ho cercato, nel mio piccolo, in archivi pubblici ed
ecclesiastici con l’intento di verificare l’esistenza, oltre del sigillo già conosciuto, anche di eventuali altri stemmi diversi da questo che potevano essere
stati utilizzati dal Comune o dall’Università.
Fu allora che mi recai all’Archivio di Stato di Reggio Calabria, dove fui accolto dalla dott.ssa Maria Stella Zema, la quale mi spegò delle difficoltà di
una ricerca del genere e mi confessò che anche Lei stava facendo da anni
una ricerca simile per il suo comune, Melito Porto Salvo, senza però aver
avuto fino ad allora risultati positivi. Sui molti documenti consultati, riguardanti le materie più disparate, gli unici sigilli utilizzati dal Comune di
Anoia che sono riuscito a rintracciare erano quelli standard con lo stemma
regio personalizzati con il nome del Comune.
Nel dicembre dello stesso anno, però, presso la Sezione di Archivio di Stato
di Palmi, ho avuto la gioia - insieme a mio cugino Giuseppe Sarleti - di ritrovare una serie di certificati catastali allegati ad altrettanti atti notarili rogati
dal regio notaio Pasquale Nicoletta di Anoja recanti il timbro usato dal nostro
22
A. PIROMALLI, Maropati…, pag. 84.
13
Comune con l’immagine di San Francesco di Paola tra due croci il tutto racchiuso dalla scritta CHARITAS ANOJA.23 Nell’occasione trovammo anche lo
stemma utilizzato dal Comune di Maropati, peraltro diverso da quello attuale, il quale raffigurava l’immagine di San Giorgio e che il sottoscritto ha personalmente portato a conoscenza del Sindaco di quel comune in carica in
quel periodo.
Il passo successivo, fu quello di preparare un primo progetto grafico che
pensammo di pubblicare in internet, incominciando così a far conoscere sia
il sigillo che il progetto del cambio dello stemma e del gonfalone.
I documenti ritrovati a Palmi, tutti del 1816, andavano ad ampliare il periodo di utilizzo dello stemma già conosciuto. In seguito, ne venivano rinvenuti altri presso l’Archivio Storico Diocesano di Mileto, sempre completi dello
stesso sigillo, avendo modo di riscontrare che gli stessi recavano delle date
ancora più antiche.24
Questa è la premessa a quello che è stato, poi, l’iter per l’approvazione da
parte delle Autorità competenti del nuovo stemma che riproduce in modo fedele quello già utilizzato dal nostro Comune nei secoli passati.
È doveroso da parte mia, a questo punto, fare una breve cronistoria dei
vari momenti del percorso che ha portato all’approvazione del nuovo stemma, e che ha visto il sottoscritto pertecipare in prima persona, sempre e comunque con il solo spirito di servizio alla Comunità alla quale mi sento fiero
di appartenere.
Il 29 maggio 2003 ho personalmente contattato l’Associazione Araldica
Genealogica Italiana di Roma, per chiedere informazioni sui tempi e sui costi
previsti per la pratica necessaria al cambio dello stemma, segnalando quanto
già pubblicato su AnoiaOnline.it.
Il 31 maggio 2003 il Dott. Di Bona, dell’Associazione Araldica, dava riscontro al mio messaggio, segnalandomi delle anomalie che dal punto di vista araldico ne avrebbero impedito l’approvazione.
Immediatamente ho messo a conoscenza il Sindaco dell’effettiva possibilità
di procedere al cambio dello stemma, e lo stesso si è dimostrato immediatamente disponibile.
Il 1° giugno 2003 ho scritto all’AAGI di aver trasmesso al Sindaco i messaggi precedenti, ed ho inviato l’immagine del sigillo con due nuovi bozzetti.
Il 31 marzo 2004, dopo vari contatti telefonici, l’AAGI invia formale preventivo al Comune e ne trasmette copia al sottoscritto.
Lo stesso giorno ho provveduto ad inviare un’altra bozza dello stemma e
le copie dei sigilli rinvenuti a Mileto.
Il 2 aprile 2004 l’AAGI mi conferma che lo stemma così come riprodotto in
linea di massima va bene e mi richiede le note storiche, che ho provveduto
ad inviare lo stesso giorno.
L’ 8 aprile 2004 mi è stato comunicato che, per un errore tecnico, il messaggio era arrivato privo di allegato e quindi il 10 aprile ho rispedito il tutto.
Il 10 maggio 2004 mi è stato comunicato che le notizie storiche trasmesse erano più che sufficienti.
23
SEZIONE D’ARCHIVIO DI STATO DI PALMI (=SASP), Libro del prot. di nr. Pasquale Nicoletta, Anoia, a. 1816.
ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI MILETO (=ASDM), Cart. Anoia, Acta Saecularizazionis; ASDM, Fondo Parrocchie, Busta Anoia.
24
14
Il 9 giugno 2004 il Comune con determinazione n.66 approvava il preventivo per le spese necessarie all’espletamento della pratica.
Il 12 ottobre 2004 il Consiglio Comunale di Anoia, con delibera n. 44,
approvava di fare domanda al Capo dello Stato perché venisse concesso al
nostro Comune di variare lo stemma già approvato con quello nuovo raffigurante San Francesco di Paola.
Il 20 ottobre 2004 il Sindaco fa domanda al sig. Presidente della Repubblica Italiana ed al sig. Presidente del Consiglio dei Ministri affinchè sia concesso il prescritto decreto.
L’ 8 novembre 2004 l’Ufficio Onorificienze e Araldica della Presidenza del
Consiglio dei Ministri trasmette al nostro Comune, per la richiesta approvazione, la blasonatura dello stemma e del gonfalone.
Il 5 febbraio 2005 il Capo dello Stato ha firmato il decreto di concessione
del nuovo stemma e del nuovo gonfalone del Comune di Anoia, e lo stesso è
stato registrato qualche giorno fa presso l’Archivio Centrale dello Stato in
Roma e siamo in attesa di riceverlo tra qualche giorno.
In questo susseguirsi di date e di eventi, non vi ho elencato le decine di telefonate che sia io che il Sindaco abbiamo fatto all’Associazione Araldica, alla
Presidenza del Consiglio, al Quirinale, all’Archivio Centrale dello Stato ed alla
Prefettura di Reggio Calabria.
Tutto ciò si riporta non per quello che potrebbe apparire come uno stupido
sentimento di vanagloria, ma per dimostrare che il cammino che ci ha portato ad avere un nuovo stemma parte da lontano ed ha richiesto un impegno
costante di tantissimi anni.
Qualcuno si domanderà, visto che si è parlato dalla possibile origine del
sigillo, come mai ad un certo punto se ne perdono le tracce.
Vi debbo segnalare, a questo riguardo, un’ulteriore notizia che non è stata
riportata nella pubblicazione che vi è stata consegnata, che avevo ritrovato
presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria proprio nell’agosto del 2000 e alla quale, purtroppo, allora non avevo dato grande importanza, ma che alla
luce delle attuali conoscenze potrebbe attestare appunto la possibile data di
cessazione dell’utilizzo di quel sigillo.
Presso quell’Archivio si conserva una lettera del Sottointendente di Palmi
indirizzata all’Intendente della Provincia di Reggio, datata 8 marzo 1834, con
la quale si chiede di approvare il conto di spesa di carlini 15 con il quale il
Decurionato di Anoja doveva soddisfare l’incisore Don Emanuele Savoja, “il
quale ha prestato l’opera sua con tutta precisione essendosi il suggello in parola intieramente rinnovato”. Specificando che il suggello del Comune di Anoja
“si era consumato in modo da non potersene fare uso”.25
Anoia, ed il suo Comune, da ora in avanti, saranno rappresentati da questo stemma che ironia della storia è stato approvato nella ricorrenza di quel
“grande flagello” che il 5 febbraio del 1783 fece crollare il convento di Anoia
dei frati minimi che da allora veniva soppresso. Il 5 febbraio del 2005 è stato
firmato il decreto che concede al nostro Comune di variare il proprio stemma
adottandone il nuovo, la cui descrizione araldica è la seguente:
“d'argento, alla effigie di San Francesco di Paola, in maestà, con il viso e le mani di carnagione, barbuto di argento, aureolato d’oro, vestito
25
ARCHIVIO DI STATO DI REGGIO CALABRIA (=ASRC), Inv. 3, busta 5, n.151.
15
con il saio di marrone al naturale, la testa coperta dal cappuccio dello
stesso, cinto con il cingolo di argento, il petto ornato dalla rotella d’oro,
raggiante dello stesso, caricata dalla parola, in lettere maiuscole di nero
in tre righe, CHA RI TAS, il Santo tenente con entrambe le mani il bordone di nero, posto in banda alzata, il Santo e il bordone sostenuti dalla
pianura di verde, il Santo accompagnato da due croci latine trifogliate, di
azzurro, una a destra, l’altra a sinistra, propinque alla pianura. Sotto lo
scudo, su lista bifida e svolazzante di argento, la parola, in lettere maiuscole di nero CHARITAS. Ornamenti esteriori da Comune”, mentre per
quanto attiene al gonfalone si specifica che il colore del drappo è azzurro.
Permettetemi, a conclusione, di esprimere il mio personale ringraziamento:
y Al Sindaco e all’intera Amministrazione Comunale di Anoia, che con la
decisione di cambiare lo stemma civico hanno dimostrato ancora una volta
la loro sensibilità verso il recupero della storia cittadina.
y Ai signori relatori, ai quali esprimo tutta la mia stima per quello che
hanno fatto e continuano a fare nel campo della cultura e che ringrazio veramente di cuore per averci onorato con la loro qualificante presenza:
- al Prof. Caridi che ho incontrato per la prima volta in una fresca serata
ad Anoia Superiore quando insieme al Prof. Pasquino Crupi mi spronarono a
continuare il mio lavoro di ricerca sulla storia locale;
- al Prof. Liberti, che ho imparato a conoscere attraverso i suoi scritti, e
che ha trattato diverse volte argomenti legati ad Anoia;
- a Padre Rocco, uomo di chiesa e di cultura, che ho avuto modo di conoscere diversi anni fa a Paola quando io, Salvatore Ciurleo, Franco e Michele
Paviglianiti ci siamo recati in quel convento con la speranza di poterlo incontrare;
- a Giovanni Russo, che tutti Voi conoscete, perché molto impegnato in
campo culturale e molto legato al nostro paese; il quale mi onora di una fraterna amicizia.
Concludo esprimendo la mia soddisfazione per aver contribuito, per quel
che ho potuto, mi si permetta di dirlo in modo disinteressato, a far sì che il
nostro Comune potesse avere un gonfalone ed uno stemma veramente rappresentativi della storia del nostro paese.
Ringrazio tutti Voi che avete avuto la pazienza di ascoltarmi.
Evviva Anoia, Evviva San Francesco di Paola!
Grazie!
16
Prof. Rocco Liberti
Deputato di Storia Patria per la Calabria
In quella ch’era allora conosciuta come la Piana di Terranova ed oggi è
detta di Gioia l’ordine dei frati minimi, volgarmente meglio conosciuti come
paolotti, fece le prime mosse circa mezzo secolo dopo la morte del grande
taumaturgo calabrese Francesco da Paola. Era il 1550 quando si avviarono i
lavori a Borrello per la costruzione di un apposito convento ed il 1555 quando l’istituzione principiò il suo iter.
Proprio dopo Borrello, al tempo ancora una delle entità abitative più in vista nel territorio, un cenobio di minimi venne fondato ad Anoia Inferiore. Era
il 1593. Fu esso del pari consacrato a S. Francesco di Paola. Non a S. Maria
della Grazia, come pretende il Fiore.26 A Santa Maria era invece intitolata la
chiesa annessa. A questa prima scarna notizia offertaci dallo scrittore cropanese segue quanto si rileva nel libro del protocollo di un notaio rogante proprio alla fine del ‘500, il polistenese Quinzio Ascoli, che non si mostra davvero avaro di notizie. Figura in una prima scheda del 25 gennaio 1598 che la
costruzione del convento era stata avviata quattro anni prima su un terreno
coltivato a gelsi di proprietà di mastro Gio. Leonardo Curatula, il quale, in
seguito all’apprezzamento ufficializzato da alcuni esperti, ne aveva ricavato
45 ducati. In quell’occasione l’anoiese, ricevendo la somma pattuita dal rev.
fra Francesco da Oppido, in atto correttore dell’edificando monastero, veniva
a restituire allo stesso 5 ducati in beneficio dell’istituzione e della sua anima.
In altro atto rogato nel medesimo giorno il Curatula, qualificato oriundo dello
Juso anoij, si comportava parimenti ed al frate, che gli aveva consegnato 15
ducati per l’acquisto di altro fondo necessario pur esso all’erezione del convento, ne veniva a rimborsare 3 con identica finalità. In un terzo documento
similmente approntato sono attori il Curatula predetto ed il di lui congiunto
d. Giuseppe Galati. Quest’ultimo, quale affittuario di un appezzamento venduto al convento unitamente al Curatula e situato entro il luogo dell’Abazia
dei SS. 40 Martiri, pretendeva la quarta parte dell’intero importo perché, diceva, così voleva un’antichissima usanza. A conoscenza di tal privilegio, il
Curatula, pur di tacitare l’esoso parente, rinunziò in suo favore ad un annuo
G. FIORE, Della Calabria illustrata, Napoli l69l., p. 424; G.M. ROBERTI, Disegno storico dell’Ordine dei Minimi,
Tip. Poliglotta, vol. III, Roma 1922, 159.
26
17
censo di 7 carlini su 7 ducati a lui dovuto dagli eredi del defunto Marino
Fassari per causa di vendita di un sito denominato Fili.27
Come per varie altre realtà, anche per Anoia esiste una compiuta relazione
sul convento paolotto stimolata dalla nota costituzione innocenziana del
1650. Di seguito quanto emerge dall’interessante documento datato al 10
febbraio dello stesso anno e recante le firme del correttore Michele Valenzisi
e di altri due frati, Paulo Tropepi e Gio. Battista Chizzoniti, tutti del luogo:
Il Monasterio di Santo Francesco de Paola dell’Ordine de Minimi stà situato
nella Terra d’Anoya Diocese di Mileto nel principio dell’habitatione di detta
Terra in Piazza publica annesso ed essa habitatione per non esser Terra murata con muraglia intorno.
Detto monasterio fù fondato, et eretto l’Anno 1582 - col Consenso, et Autorità di Mons.r Vescovo di Mileto Gio: Maria d’Alessandro dalla Università di detta Terra, e suoi Casali et hebbe assignamento dalla medesima Università, e
Casali docati cinquanta annui in perpetuum di moneta di questo Regno di Napoli per la fabrica et alimenti delli frati d’esso Convento, ed assignamento senza nessuno obligho …
Il documento prosegue con notizie sulla chiesa, intitolata, come si legge, a
S. Maria della Grazia e dotata di un campanile e 7 altari e su quanto atteneva al fabbricato claustrale. Constava in atto questo di un dormitorio con 7
camere, una dispensa, un magazzino ed altre stanze adibite ad ulteriori servizi, ma si era già dato luogo alla costruzione di altro dormitorio distinto in 5
stanze, di cui solo una appena completata. Al disotto di esso agivano già la
cucina, il refettorio ed ulteriori locali adibiti ad altri usi.
Non si conosceva all’epoca di quanti frati fosse composta la famiglia dei
minimi, anche perché il numero di essi aveva subìto alternativamente continue variazioni. Comunque, sin da quando si erano allocati per disposizione
del provinciale p. Stefano da Francica, i residenti avevano oscillato tra gli 8 e
i 12. In quel 1650 abitavano nel convento 5 sacerdoti e 2 laici professi. Tra i
primi ben 4 erano della stessa Anoia e cioè il padre correttore Michele Valensisi e i pp. Gio: Batta Chizoniti, Paulo Tropepi e Matteo Porcino. Dei due laici
uno era pure di Anoia, Marco Nicoletta.28
Come si vede, esiste ampia discordanza tra le fonti circa la data della fondazione ed erezione del convento anoiese. Quale delle due officiate risponde
al vero? Certamente, l’atto notarile, ch’è abbastanza chiaro nei dettagli riferiti alla costruzione del manufatto. In subordine si potrebbe, forse, congetturare ch’esso, fondato o richiesto nel 1582, sia stato edificato effettivamente a
partire dal 1593.
La relazione del 1650 evidenzia al gran completo le annuali entrate ed
uscite dell’istituzione, che non è qui il caso di elencare. Piuttosto, riferiamo
sommariamente circa le sostanze con le quali se ne assicurava il mantenimento.
Quali beni immobili la lista comprende il feudo fra Cola in territorio di Terranova, 30 tumolate trà rustici, et Inculti, e Domestici, seù aratorij dato in locazione. Un affitto di terra in zona di Ferolito recava 5 tumoli di germano,
mentre altra presso Melicucco di un tum. e 1/4, con produzione di un tum. e
27
28
SASP, Libro del prot. di nr. Quinzio Ascoli, Polistena, a. 1598, ff. 162-164.
ARCHIVIO SEGRETO VATICANO (=ASV), S. C. Stat. Regul. Relationes 33, f. 459.
18
1/2 di germano. Da alcune vigne si ottenevano 3 salme di vino, ma, tolte le
spese, non resta lucro, nè sopravvanzo, per cui detto veniva lasciato per
commodo. Quanto a case il convento possedeva all’epoca 3 terranee ad
Anoia, altra a Ferolito e 2 ancora a Plaisano. Altri beni consistevano in 2
giardini con gelsi, olivi ed alberi fruttiferi vari, e un bue e 2 vacche acquistate
per servire al convento, ma che non avevano ancora prodotto alcun utile. Gli
altri redditi del cenobio si qualificavano come segue: legati del fu principe di
Scilla per vitto, e vestito delli fratri, con esborso di 30 duc., 20 dalla Corte di
Anoia ed il resto dalla duchessa d’Atri. Quest’ultima da più tempo, ormai
non versava quanto dovuto; censi a minuto da vari cittadini in legati, donazioni e censi annui; elemosina certa; elemosina della Pertola, et ogn’altra fertile, et Infertile; elemosina della cappella del SS.mo Rosario della stessa chiesa
paolotta con peso della celebrazione di una messa cantata in ogni prima domenica di mese e di una processione con litania all’altare medesimo. Alle entrate si dava allora in totale un valore di circa 340 ducati.
In quanto alle uscite, queste riguardavano la celebrazione di messe perpetue, una al giorno oltre la conventuale; censi perpetui passivi pagabili in vari
luoghi ed a persone diverse; contributo al padre provinciale, al capitolo e per
la visita come di consueto; fabbrica ed alimenti sopra un donativo fatto
dall’università; costruzione di due camere nel Capitolo dei Dormitori già iniziate; restauro locali (a questo punto una nota c’informa di una fabrica, seù
nuova struttura da farse secondo il disegno, per la quale ci si augurava il
completamento entro un termine di 50 anni); cera, olio, vino e quant’altro
necessario alla sacrestia; vitto di 7 tra padri e frati; medici, medicine, barbiere e lavandaia; viatici; biancherie, vasi ed altro. Fatte le debite operazioni e
stabilita un’uscita di circa 202 ducati, i relatori evidenziavano a Roma un
conto attivo di 22 duc., ma officiavano che, nel caso di un superamento
dell’esito, a volte vi potevano intervenire dei benefattori e alle volte li P.P., e
frati se rilasciano del vestiario solito, purchè il Convento non resti in debito.29
La relazione esperita dai frati si posiziona quasi in contemporanea con altra precedente di alcuni anni inclusa in un apprezzo relativo ai possessi dei
Ruffo nella Piana. Nel 1646 il tavolario napoletano Onofrio Tango, nella parte
comprendente i beni della baronia di Anoia, venne naturalmente ad occuparsi anche del cenobio paolotto, ma sbagliando anche lui il titolo della chiesa, che, come il Fiore, assegnò a S. Francesco. Egli, però, dovendo riferire sul
valore del manufatto e su quanto vi si conteneva, riportò altri interessanti
particolari sullo stesso. La chiesa appariva ad una sola navata e con ingresso
laterale. In capo stava l’altare maggiore, nella cui custodia era riposto il Santissimo e al disopra campeggiava una pittura antica, che dovremmo considerare vetusta di almeno mezzo secolo e che raffigurava S. Maria della Grazia.
Dietro l’altare era situato il coro ed a mano destra il pulpito. Quindi, ci si avvedeva di altro altare dominato da un Crocefisso. Appresso si sviluppavano
due cappelle. In una prima era appesa l’immagine dello Spirito Santo,
nell’altra si offriva un San Francesco di Paola de relievo con guarnimenti di
legname indorato e tutta una serie di miracoli compiuti dallo stesso. Ancora
ulteriori due cappelle dedicate rispettivamente alla Madonna del Rosario ed
alla Madonna del Carmine. Nella prima v’era un’icona grande con
29
Ivi, ff. 459-460v.
19
tutt’intorno la rappresentazione dei vari misteri. Nella seconda, uno ius patronato di Marcello Boccafurno, soltanto l’icona in riferimento. Completava il
tutto un campanile, dal quale effondevano il suono due sacri bronzi. Nel
tempio svolgevano i sacri riti un correttore, quattro padri sacerdoti e sei laici,
che si servivano di quanto loro necessitava e, cioè, calici, incensiere, navetta
e croce d’argento, stendardo bianco. Quest’ultimo forse apparteneva alla
confraternita del S. Rosario, che officiava anch’essa nel luogo. In convento si
entrava per una portaria, che dava in uno spazioso cortile. A pianterreno era
dato rilevare le officine, al piano superiore i dormitori e le celle. I frati conducevano la loro vita avvalendosi di intrate, et carità.30
I marchesi Paravagna, feudatari di Anoia dal 1646, si resero subito benemeriti dell’istituzione ed i padri capitolari riuniti nel 1667 a Marsiglia non esitarono a concedere a d. Giacomo e consorte il titolo di fondatori. Ne fu motivo l’aver essi fatto costruire a proprie spese un’ampia e ben ornata cappella
nella chiesa del convento.31
Sono considerati gloria del cenobio anoiese il frate laico Marco di Anoia ed
i padri Domenico Giacalà, Gregorio da Anoia e Antonio senior da Anoia. Fra
Marco, sempre intento alla preghiera ed alla meditazione, non si allontanò
mai dal retto sentiero della perfezione religiosa e, in presenza di alcuni fratelli e secolari, predisse il momento del proprio transito. Gli altri si distinsero,
invece, oltre che per la buona condotta, per la grande dottrina, di cui erano
forniti, riuscendo particolarmente esperti in filosofia e teologìa. Il Giacalà
progredì nelle discipline scolastiche e sostenne il peso di lettore di teologìa
non solo nella provincia di Calabria Ultra, ma per molti anni anche a Napoli,
nel convento di S. Luigi.32 Gli atti notarili evidenziano la presenza nel cenobio quali correttori di altri validi anoiesi, p. Tommaso nel 1691 e 1706 e p.
Giuseppe Cordiano nel 1716. Nel 1655 si segnalava anche la presenza de
padri Gio. Battista d’Anoia e Marco, entrambi anoiesi.33 Da documenti vaticani ricaviamo ancora che nel 1637 si concedeva da parte del papa al paolotto Gio. Francesco Barone di Anoia di accedere agli ordini sacri extra tempora.34 Nel 1684 altro minimo anoiese, fra Michelangelo, risiedeva nella casa
che i paolotti avevano a Bagnara.35 Potrebbe essere lo stesso che Michele
d’Anoia, nel 1726 incarica quale definitore.36
Il 5 febbraio 1783 un vero cataclisma si abbattè sulle strutture della Piana
e in esso incappò certamente anche il convento paolotto di Anoia. Fatto si è
che in successione non siamo gratificati di alcuna notizia. In un stima che se
ne fece nel 1784, il convento, che avrebbe dato ricetto a ben 16 frati, risultava quinto tra quelli ubicati nella Piana per numero di fondi, 20, seguendo in
ordine gli altri di Seminara, Oppido, Borrello e Rosarno, ma quarto per
quanto concerneva l’estensione, valutata in 200 tomolate, con un valore di
duc. 170,75, che si qualifica del pari in quinta posizione. Lo stesso vantava
30
G. CARIDI, Popolazione e territorio nella Calabria moderna, Laruffa Editore, Reggio Calabria 1994, pp. 108-109.
31
ROBERTI, Disegno…,p. 165.
32
Ivi, pp. 165-166.
SASP, Libri del prot. dei notai Giovanni Francesco Buccafurri, Polistena a. 1655; Antonino Clemente, Seminara, aa.
1691 et 1706; Carlo Calogero, Seminara a. 1751; Francesco Calfapietra, Radicena a. 1716.
33
34
F. RUSSO, Regesto Vaticano per la Calabria, VI, Roma l982, p. 396.
35
SASP, Libro del prot. di nr. Antonino Vallona, Palmi, a. 1684.
36
RUSSO, Regesto… , X, Roma 1990, p. 340.
20
ancora 64 censi perpetui in danaro per un importo di duc. 98,67, attestandosi al secondo posto dopo Polistena e 33 censi bollari per un totale di duc.
54,16, nel qual caso appariva secondo dietro Sinopoli. Per quanto riguardava
poi i censi in grano era l’unico ad evidenziarne in n. 10 per duc. 20,86.37
L’ultima nota, ma sui beni dell’istituzione, la ricaviamo ancora una volta
da un atto notarile. Il 13 maggio 1796, per effetto di un ordine reale, p.
Francesco Antonio Ionadi si ebbe da d. Michele Valenzisi la consegna di tutte
le rendite, e residui spettanti al Convento de’ Minimi di S. Francesco della Terra di Anoja Inferiore, con impegno a migliorarli e custodirli, e sopportare tutti
quei pesi, e conditioni che a S. M. (D. G.) fosse piaciuto di imporgli. Da ciò ne
derivò, anche a seguito di precisa richiesta del visitatore generale della provincia, marchese di Fuscaldo, l’assicurazione che quegli avrebbe versato al
regio tesoriere di Monteleone nel susseguente mese di agosto la somma di 50
ducati.38
Come si può facilmente notare, sappiamo tutto sulla fondazione e consistenza del cenobio paolotto di Anoia, ma nulla sulla vita spirituale condotta
dai frati, sui loro rapporti con la comunità ecclesiastica diocesana e con la
stessa popolazione. Su tutto ciò i documenti finora hanno taciuto. Un solo
caso ci permette di riferire sul comportamento non certo adamantino
all’interno dello stesso dei residenti pochi anni prima della fine per effetto del
noto sisma.
Il 30 novembre 1777, nel convento di Anoia, il padre lettore giubilato fra
Gregorio Rosèa, affidava ad un notaio, alla presenza del mag. Antonio Cordiano ed altri testi, delle memorie sul contegno tenuto da alcuni confratelli, i
quali, a suo dire, non dovevano certo brillare per le proprie virtù. Il primo nel
mirino era il vicario provinciale p. Luigi Scannapieco. Costui, nel settembre
precedente, mentre il dichiarante si trovava nel convento di Pizzo in occasione dello svolgimento del capitolo provinciale, ebbe a scontrarsi con lui ed altro padre lettore, Antonio Grande. Sera del giorno 6, venerdì, ad ore 3 della
notte, i due, che andavano accompagnandosi, stavano passando dal dormitorio, quando vennero ad imbattersi nello Scannapieco. Questi, tutto superbo, d'un tratto li apostrofò in modo davvero poco consono alla dignità del
luogo e delle persone. Stessero attenti a considerare bene le cose - profferì altrimenti avrebbe fatto vedere loro di che pasta era fatto e quale significato
rivestisse la carica di superiore e, quindi, che lui era il provinciale e tanto
bastava. La cosa non finì qui. Dallo stesso Grande e da altro lettore, p. Giuseppe Mangiaruga, entrambi presenti al fatto, p. Gregorio venne poi a sapere
che il susseguente sabato mattina, durante la processione del capitolo davanti all'altare maggiore, quegli si ripetè avvertendo minacciosamente ch'era
deciso a spedire in Pantaleria (Pantelleria) tutti coloro che avrebbero osato
contrastarlo.
Peraltro, il Rosèa era già al corrente di un mercato intercorso tra detto e p.
Francesco Pittura, correttore del convento di Oppido. Ad agosto del 1769
quest'ultimo si trovò a passare da Seminara, dove incontrò quegli, allora di
stanza ivi. Stimando che fosse di passaggio per Palmi, onde andare ad assistere alla festa della Madonna della Lettera, il Rosèa lo esternò al Pittura, ma
A. PLACANICA, I redditi di conventi e monasteri in Calabria alla fine del Settecento, "Rivista Storica Calabrese", N.
S., a. IX-1988, nn. 1-4 – Quadro analitico delle rendite – II.
37
38
SASP, Libro del prot. di nr. Teodosio Violi, Lubrichi, a. 1796.
21
ebbe in risposta che si recava a far visita allo Scannapieco per aver lumi su
come votare per la fazzione del nuovo Provinciale e che, se avesse preteso il
voto, avrebbe dovuto in cambio confermarlo vicario di Oppido. Così, infatti,
accadde ed ognuno alla fine si ebbe quanto era nei propri voti.
22
P. Rocco Benvenuto o.m.
Storico dell’Ordine dei Minimi
Quando si interviene alla fine di una proficua giornata di lavori, come
quella odierna, vi sono dei vantaggi ma pure degli svantaggi: vantaggi perché
si può tenere conto dei contributi precedenti, svantaggi perché la pazienza
dell’uditorio, di fronte alla mole di dati che questa mattina sono stati forniti,
sta per giungere a saturazione. Per questa ragione, cercherò di sviluppare
rapidamente due punti: dapprima tenterò di presentare San Francesco sotto
una dimensione poco nota, successivamente focalizzerò l’attenzione sul motto “Charitas” che è riportato peculiarmente due volte sul vostro stemma.
Preliminarmente vorrei esprimere il mio personale compiacimento
all’Amministrazione Comunale perché, a quanto mi consta, questo è il secondo stemma in Calabria che riproduce l’effige del Patrono della Regione. Il
primo comune ad averlo raffigurato è stato quello di Paola, ove ha avuto i natali, che lo ha introdotto nei primi decenni del ‘900. Sull’antico stemma, infatti, vi era un pavone la cui presenza è attestata già nella prima metà del
XVI sec. La sostituzione avvenne gradualmente. Nel corso del secolo scorso,
dapprima furono rappresentati ambedue, il Santo nel campo soprastante e
l’uccello in quello sottostante. In seguito, all’indomani del secondo conflitto
mondiale, il volatile è stato rimpiazzato da S. Francesco effigiato da vecchio,
con le mani congiunte, il bastone poggiato a sinistra e gli occhi rivolti in alto
a destra.
Ambedue gli stemmi si caratterizzano perché in quello di Paola il Santo è a
mezzo busto, mentre in questo di Anoia è a figura intera. Ovviamente, questa
non è l’unica differenza. Da una veloce analisi araldica, risalta subito agli occhi che in questo di Anoia S. Francesco è in maestà cinto con il cingolo,
mentre in quello di Paola è di profilo fissante la parola “CHA RI TAS” caricata
su tre righe. Nel primo le mani tengono il bastone, mentre nel secondo sono
preganti. Oltre al fatto che uno è col capo coperto e l’altro scoperto, va poi evidenziato che in questo di Anoia, sotto lo scudo, compare il motto “CHARITAS”, elemento questo che non ha precedenti. Tutte queste mirate e appropriate scelte impreziosiscono la deliberazione fatta da questa Amministrazione che, nell’adottarla, ha potuto contare sul forte e plurisecolare radicamen-
23
to che S. Francesco ha in questo territorio, da lui attraversato nel 1480
quando si recò in Sicilia per aprirvi l’eremo di Milazzo.
Questa mattina, venendo per la prima volta ad Anoia, sono stato favorevolmente impressionato dal sito ove fu costruito il nostro convento, la cui individuazione non fu certo casuale. Il prof. Liberti, nella sua relazione, ha ricostruito il patrimonio fondiario ed immobiliare che assicurava il sostentamento ai frati, ma l’Ordine prima di impiantarsi, così come avvenuto nelle altre fondazioni, conduceva uno studio preliminare, illuminante per comprendere le ragioni che soggiacciono all’ubicazione dell’edificio claustrale. Un
primo criterio che qui si vede rispettato è costituito dalla vicinanza agli altri
conventi dei Minimi, grazie alla quale il Correttore Provinciale, che dimorava
nell’attuale Lamezia Terme, cioè a Sambiase, poteva nell’arco di una giornata
spostarsi da una casa all’altra. Una seconda caratteristica di questo insediamento è costituita dalla prossimità alla costa tirrenica, distante in linea
d’aria una decina di chilometri. Com’è noto, i Minimi, oltre ai tre classici voti
di povertà, obbedienza e castità, ne emette un quarto, quello della Quaresima perpetua, per cui diventa fondamentale per i frati potersi rifornire di pesce fresco, specie durante il periodo invernale.
La presentazione del nuovo stemma cittadino avviene in una particolare
congiuntura. Da una parte essa costituisce uno degli atti finali di questa
Amministrazione, avviata verso la scadenza naturale, e suggella la lunga attività posta in essere dal Sindaco a servizio di questa comunità; dall’altra, si
tiene a ridosso dell’apertura delle celebrazioni per il V centenario della morte
del Santo, che ricorrerà il 2 aprile del 2007.
Tale contesto fa sì che l’iniziativa di riscoprire e riproporre l’antico stemma
di Anoia si collochi, a giusto titolo, all’interno delle manifestazioni preparatorie al cinquecentesimo anniversario del pio transito di S. Francesco e, conseguentemente, l’incontro odierno costituisca una favorevole occasione per approfondire la conoscenza su Colui che, d’ora innanzi, apparirà sul gonfalone
cittadino ed in tutti gli atti amministrativi.
Sino al 1963, l’immagine predominante di San Francesco di Paola (14161507) era quella di un santo che aveva operato tanti miracoli. È un dato assolutamente vero, inoppugnabile, tant’è che nella Chiesa è uno dei quattro
santi che gode dello specifico titolo di taumaturgo. Unitamente a questo aspetto ve ne sono, però, altri non meno importanti, che mettono in risalto la
sua attualità ed importanza e che, inopinatamente, ancora sfuggono alla
gran parte dei Calabresi. Basti pensare, per fare qualche esemplificazione,
all’apporto dato dall’Eremita alla costruzione della civiltà europea oppure alle
sue prese di posizione di fronte alla problematica dei Musulmani in Italia.
Oggi, grazie a capillari indagini archivistiche, si sono potute recuperare diverse fonti, in parte sconosciute ma talvolta pure trascurate dalle precedenti
generazioni, che ci consentono di conoscere meglio il ruolo svolto da questo
romito nella Chiesa e nella società del suo tempo e mostrano i lati deboli di
quel clichè che presentava prevalentemente Francesco Martolilla come il
“monaco” chiuso nella sua grotta. Da questa nuova documentazione emerge
un’altra persona che, in un momento di passaggio epocale tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’epoca moderna, ha avuto l’intuito e la tenacia per attuare
quella che storiograficamente viene definita come la “Riforma Cattolica”.
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Nei primi decenni del sec. XV la Chiesa attraversava un periodo di forte lacerazione, originata dallo scisma apertosi all’indomani del ritorno del papa a
Roma, dopo che, dal 1309 al 1378, si era trasferito ad Avignone. Per far
comprendere quali conseguenze provocò e quanto fu profonda questa divisione, è sufficiente ricordare che vi furono ordini religiosi che furono spaccati
in due, ognuno dei quali aveva al vertice un superiore generale. Per effetto di
ciò, non solo vi erano due “obbedienze”, ma si arrivò ad essere divisi anche
sul piano cultuale. Tra i Domenicani, per citare un caso emblematico, i frati
rimasti fedeli al papa di Roma veneravano San Domenico che era il fondatore, mentre quelli di obbedienza avignonese avevano come patrono l’angelico
dottore S. Tommaso d’Aquino.
In un momento di grande incertezza, San Francesco ebbe l’intuizione,
frutto di esperienze personali e di un lungo solitario discernimento, che per
riportare l’unità nella Chiesa la via maestra da percorrere era quella di ripristinare l’osservanza ritornando all’antica disciplina. A questo proposito occorre tener presente che la Calabria, pur essendo ai margini di quelli che
sono i momenti focali della storia, è stata sempre una terra che ha avuto
uomini capaci di elaborare progetti di autentica riforma. Quest’anno stiamo
celebrando il millenario della morte di San Nilo da Rossano, mentre nel
2002 abbiamo ricordato il IX centenario della morte di Gioacchino da Fiore
padre dei Florensi. All’epoca di S. Francesco vi furono anche altri riformatori. Il pensiero va subito al movimento di osservanza degli Agostiniani avviato da Francesco Marino da Zumpano (1455-1519), al quale ben presto si affiancherà la congregazione di S. Maria di Colloreto, fondata da Bernardo
Milizia da Rogliano (1519-1602). La Calabria, sotto questo profilo, può andar fiera di essere stata un fecondo laboratorio di riforme nel solco della
tradizione.
San Francesco, unitamente a questa capacità di proporre l’antica disciplina, si è trovato, suo malgrado, a svolgere un’importante azione diplomatica,
pur avendo scelto la via dell’eremo e senza aver mai varcato la soglia di qualche università o accademia. Per aver un’idea al riguardo, si può ricordare
che, di recente, sono state rinvenute negli archivi francesi alcune cedole dalle quali risulta che l’Eremita riceveva annualmente uno stipendio come consulente del re Carlo VIII. Sono noti i problemi connessi alla discesa nel 1495
del monarca francese nel Regno di Napoli, giustificata dalla volontà di realizzare quella testa di ponte che avrebbe consentito la riconquista di Gerusalemme alla cristianità. Mentre con una rapidità impressionante Carlo VIII
procedeva nelle sue conquiste, San Francesco risiedeva a Tours, nella corte
più potente del momento, dove da tempo, per conto della S. Sede, svolgeva
una discreta, ma proficua opera di diplomatica. È, ormai, assodato il suo intervento nella stipula del trattato di Barcellona (19 gennaio 1493) che riportò
la pace tra Francia e Spagna. Non meno significativo è poi il fatto che,
vent’anni prima che esplodesse la riforma luterana, l’Imperatore chiamò i
frati dell’Eremita calabrese per avviare la riforma in Germania.
Un ulteriore elemento di riflessione è offerto da Erasmo da Rotterdam che,
nell’Elogio della pazzia, menziona il vitto quaresimale dei Minimi, da lui praticato a Parigi durante il periodo in cui frequentò il famoso collegio universitario di Montaigu. All’epoca era diretto da Giovanni Standonck (1450-1504)
che, inizialmente, avversò la proposta penitenziale dell’Eremita calabrese. In
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seguito, quando ebbe modo di conoscerla, ne divenne un forte sostenitore, al
punto che la introdusse nel suo collegio facendola divenire una regola di vita
per i suoi studenti.
Come si può osservare, il progetto riformistico di S. Francesco prende lentamente corpo all’interno della Chiesa. Perciò non desta meraviglia se la S.
Sede, quando deve avviare l’evangelizzazione del Nuovo Mondo, affida tale
compito allo spagnolo P. Bernardo Boyl, che era uno dei più stretti collaboratori dell’Eremita. In meno di un quarto di secolo di presenza del Fondatore in
Francia (1483-1507), la piccola congregazione eremitica sorta in Calabria si
era evoluta in un Ordine religioso che, oltre ad impiantarsi in Europa, aveva
concretamente avviato quell’autoriforma della Chiesa più invocata che perseguita.
La recente storiografia - e così mi avvio all’altro punto di questa comunicazione - ha ormai appurato che la canonizzazione di Francesco Martolilla
non è dipesa tanto dagli esiti delle deposizioni processuali, quanto, piuttosto,
da una nuova fase nei rapporti diplomatici tra la S. Sede e la Francia. Difatti,
non è certo occasionale la circostanza che, dopo sei anni di pontificato, quella del Santo calabrese fu la prima canonizzazione fatta da Leone X.
Ogni qual volta un santo o una santa è elevata agli onori degli altari, viene
realizzata un’immagine, oggetto poi di culto, dotata di un motto. Il maestro
delle cerimonie, Paride de Grassi, si pose il problema: quale parola poteva
esprimere al meglio l’opera e la figura di San Francesco di Paola? Indubbiamente, uno dei tratti salienti della sua esistenza era stato il suo stile eremitico. Al tempo stesso, però, sia in vita che ora da morto, il Signore aveva operato diversi miracoli per sua intercessione. Inoltre, era stato un fondatore e,
ripristinando l’antica disciplina penitenziale, aveva contribuito alla riforma
della Chiesa. Quale concetto poteva sinteticamente esprimere tutte queste
caratteristiche se non la “Charitas” ove convergono sia l’amore verso Dio che
verso il prossimo?
Questo motto, tuttavia, da solo non riusciva a rendere a pieno come
l’Eremita aveva conosciuto la missione alla quale il Signore lo chiamava. Di
qui la scelta degli artisti di affidare la consegna di questo programma di vita,
la “Charitas”, non tanto al suo ideatore materiale, il cerimoniere Paride de
Grassi, ma ad un messaggero divino, ovvero all’arcangelo San Michele. Pur
trattandosi di un avvenimento mai avvenuto, attraverso questa icona, che da
allora in poi sarà sempre presente in tutti i cicli pittorici sul Santo, era chiaramente spiegato e giustificato il rapporto di Dio con S. Francesco e viceversa.
Se in entrambi gli stemmi compare la scritta “Charitas”, in quello di Paola in alto a sinistra ed in questo di Anoia sul cappuccio caricata su una rotella d’oro, solo in quest’ultimo è ripetuta anche nel motto, sicché in modo
conciso e chiaro viene subito presentato qual è l’essenza del messaggio di
S. Francesco.
La presentazione del nuovo stemma, oltre a consentire di riappropriarsi di
questa figura, diventa dunque un’opportunità per conoscere di più la “Charitas” di S. Francesco e, soprattutto, per farla conoscere ancora di più.
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Prof. Giuseppe Caridi
Presidente della Deputazione di Storia Patria per la Calabria
Vi ringrazio per questo invito che mi dà l’occasione di ritornare dopo dieci
anni ad Anoia. Si può dire che, dal punto di vista delle iniziative culturali, ho
avuto la fortunata occasione di tenere a battesimo il vostro sindaco Sandro
Demarzo, che come lui ha detto ho conosciuto a Messina in anni lontani. Nel
1986, abbiamo presentato in questa cittadina della Piana, insieme con il
prof. Crupi, il mio volume sui Ruffo di Calabria, dove uno spazio abbastanza
importante si dava anche alle vicende di Anoia, essendo stata essa, come è
stato già ricordato, feudo dei Ruffo per circa un secolo. Paolo, conte di Sinopoli, che nel 1533 aveva acquistato Scilla – su cui i Ruffo avrebbero poi ottenuto il titolo di principi –, nel 1548 comprò dai Caracciolo (che erano in gravi
difficoltà economiche) il feudo o baronia di Anoia. Questo feudo costò poco
meno di quello di Scilla, a dimostrazione che in quel particolare momento
storico l’importanza economica di Anoia era vicina a quella di Scilla.
I Ruffo avrebbero mantenuto per circa un secolo il possesso di Anoia. A
metà Seicento, anche questa famiglia, come gran parte della feudalità meridionale, attraversò una crisi che più tardi sarebbe tuttavia riuscita a superare. Per fare fronte ai numerosi creditori, i Ruffo furono però costretta a vendere, tre feudi: le baronie di Nicotera, di Calanna e di Anoia. Per potere stabilire il prezzo di vendita, venne inviato da Napoli, come si soleva fare allora,
un «tavolario», cioè una sorta di agrimensore, perché procedesse alla descrizione del territorio e valutasse quanto era la somma che si poteva richiedere
come base d’asta dal Sacro Regio Consiglio (che era, nel caso specifico, una
specie di curatore fallimentare) perché poi con il denaro recuperato si potessero soddisfare i creditori. Fu in quella circostanza, nel 1646, (e non, come
più volte è stato ripetuto, nel 1636 perché ancora in quell’anno i Paravagna
non l’avevano acquistata definitivamente) che i genovesi Paravagna fecero
l’offerta maggiore e per 40.000 ducati riuscirono a ottenere il feudo d’Anoia.
Nel 1646 abbiamo pertanto, da parte del regio tavolario, una descrizione
dettagliata della baronia di Anoia, divisa in quattro frazioni: il centro principale, che era la sede dell’università (cioè del comune di quel tempo) amministrata da un sindaco e due eletti (che sarebbero una sorta di assessori attuali), Susanoja, rappresentata da due eletti, Maropati, anch’essa con due eletti,
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e Tritanti, che era un villaggio molto piccolo, abitato da sole 15 famiglie. Il
numero complessivo delle famiglie della baronia era di 370; poco più della
metà di esse si trovavano ad Anoia, 80 vivevano a Susanoja e il resto a Maropati e Tritanti.
Durante la baronia dei Ruffo si verificò ad Anoia una crescita demografica
abbastanza atipica nel contesto generale calabrese. È stato ricordato
dall’amico Giovanni Russo – al quale faccio i complimenti per la sua accurata ricerca, così come agli altri oratori, padre Rocco Benvenuto, il Rag. Giovanni Quaranta, (che ricordo di aver conosciuto dieci anni fa, quando aveva
iniziato questo lavoro), l’amico Rocco Liberti e sono onorato, come responsabile della Deputazione di Storia Patria per la Calabria di avere tutti questi
amici all’interno della nostra associazione – che nel Cinquecento vi fu ad Anoia un trend ascendente dal punto di vista demografico. Nel 1595 infatti si
salì a 370 famiglie dalle 177 quali erano state censite 63 anni prima, nel
1532. Questo è tuttavia un dato normale, nel senso che il Cinquecento fu un
secolo di complessiva forte crescita demografica per la Calabria e per l’intero
Mezzogiorno. Il dato che desta meraviglia è quello del secolo successivo. Il
Seicento rappresentò infatti generalmente per il Mezzogiorno un secolo di
crisi e la popolazione della Calabria diminuì di circa il 25%. Invece, stranamente, nella Baronia di Anoia da 370 famiglie del 1595 si passò nel 1669
(anno del censimento di quel secolo di cui si ha notizia) a 434 e, quindi, nel
primo settantennio del secolo XVII, non solo gli abitanti non diminuirono ma
addirittura aumentarono, per stabilizzarsi poi su questo livello fino ai primi
decenni del secolo seguente, come risulta dalla numerazione fiscale del
1732. 434 famiglie significava, secondo i calcoli dei demografi, circa 2.000
individui.
Nel corso del Settecento, la popolazione di Anoia continuò a crescere, ma a
questo punto avvenne lo sdoppiamento, probabilmente in coincidenza del
conseguimento da parte dei Paravagna del titolo di principi di Maropati, che
incominciò a seguire, sotto il profilo amministrativo, una strada diversa da
quella di Anoia e ad avere una università autonoma, con un proprio sindaco.
Alla fine del Settecento, la popolazione complessiva dell’ex baronia appare
comunque aumentata, superando i 3.000 abitanti. Nel secolo successivo,
Anoia, come è noto, avrebbe cambiato più volte denominazione. Elevata nel
1811 a comune del circondario di Galatro con la denominazione di “Anoia Inferiore ed Anoia Superiore”, si sarebbe chiamata solo “Anoia Superiore” dal
1816 al 1861, e poi, con l’Unità d’Italia avrebbe definitivamente assunto il
nome attuale.
Del convento di San Francesco da Paola e del suo stretto legame con la
comunità di Anoia ha trattato ottimamente l’amico Rocco Benvenuto. Noi,
come Deputazione di Storia Patria per la Calabria, abbiamo il compito istituzionale di dare un parere per quanto riguarda l’intitolazione delle vie e
delle piazze della regione. Il gonfalone non rientra nelle nostre competenze
toponomastiche, però, nel momento in cui si dovesse avanzare la proposta
di intitolare una via o una piazza cittadina a San Francesco da Paola, daremmo certamente parere favorevole. La Deputazione invita infatti sempre a
conferire una caratterizzazione storica alle iniziative toponomastiche, come
efficace strumento di recupero della memoria collettiva. Da quanto è stato
detto dal Rag. Quaranta e da quanto ho potuto desumere (perché purtroppo
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l’ho avuto solo stamattina) dal suo prezioso volumetto, ci sono dei riscontri
storici inoppugnabili che portano a dedicare al santo paolano il gonfalone
comunale. Avrebbe dovuto pertanto piuttosto destare meraviglia l’improvvisa
comparsa del precedente stemma39, e non la decisione del comune – e magari fossero anche gli altri comuni calabresi così sensibili a questa ricerca
dell’identità storica – di riappropriarsi delle proprie radici dotandosi di uno
stemma che abbia un significato storico. Bisogna, quindi, plaudire, (e come
Deputazione di Storia Patria lo facciamo disinteressatamente), a questa iniziativa del comune di Anoia.
A questa manifestazione che conclude il ciclo di amministrazione comunale dell’amico Sandro Demarzo è perciò un piacere essere presente. Egli lascia, tra l’altro, al comune di Anoia questo stemma, che ha documentati riscontri storici, e speriamo che i suoi successori ne sappiano fare buon uso.
Grazie.
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Il vecchio stemma.
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Ulteriori notizie e documenti post-convegno
di Giovanni Quaranta
Dopo un anno e mezzo circa dal convegno nel quale si è ampiamente ed
esaurientemente discusso dell’antico stemma di Anoia e del significato della
riscoperta e del ripristino da parte del Comune, si ritiene opportuno procedere alla pubblicazione degli atti di quella memorabile giornata onde tramandarne ai posteri quanto è stato detto dai relatori ed, anche, per fornire ulteriori notizie e documenti a quanti siano interessati allo studio della storia.
Come si sa con il trascorrere del tempo si affievoliscono i ricordi e molte
volte si cancella la memoria, e questo vale anche per le notizie di carattere
storico. Al pari, spesso, ulteriori notizie ed ulteriori scoperte archivistiche costringono a riscrivere intere pagine di storia alla luce delle nuove conoscenze
documentali.
Anche sull’utilizzo dello stemma con San Francesco di Paola da parte
dell’Università di Anoia è opportuno fare alcune precisazioni alla luce delle
nuove conoscenze archivistiche intervenute in questo anno e mezzo.
L’ipotesi che da più parti era stata fatta, alla luce dei riscontri documentali fino ad allora conosciuti, era quella che il sigillo con l’immagine del Santo
paolano fosse stato “adottato” dall’Università dopo il terremoto del 5 febbraio
1783 che distrusse l’antico convento dei frati minimi di Anoia e che, quindi,
lo stesso doveva essere l’antico bollo del convento.
Ulteriori documenti da noi ritrovati presso gli archivi (dopo la presentazione del gonfalone) fanno cadere senza tema di smentita queste ipotesi.
Un certificato rilasciato dai regimentari dell’Università di Anoja in riferimento ad una partita intestata al Beneficio dei SS. Quaranta del luogo, firmato dal sindaco d. Domenico Valensise, dall’eletto Francesco Cujuli e dal
cancelliere Pietro Talaja, “robborata col solito universal sugello” (apposto a
secco) è datato 24 dicembre 178240, quindi più di un mese prima del terremoto suddetto. Inoltre, è da aggiungere che ulteriore documentazione in nostro possesso riferita all’amministrazione del convento paolotto di Anoia, naturalmente nel periodo precedente il terremoto del 1783, risulta sprovvista di
qualsiasi tipo di bollo.
Se si tiene conto, ancora, che il convento di Anoia fu fondato
dall’Università stessa, non è da escludere che la raffigurazione di San Francesco di Paola sullo stemma universitario possa essere collegato ad una
probabile nomina del Santo Padre a compatrono di Anoia. Non si dispera
con il tempo, e con l’aiuto di San Francesco, di poter ritrovare anche il documento che attesti tale ipotesi.
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ARCHIVIO DI STATO DI CATANZARO, Fondo Cassa Sacra, Segreteria Ecclesiastica, b. 78 fasc. 1365.
30
Il documento rinvenuto presso l’Archivio di Stato di Catanzaro
Giorno 21 maggio 2006 S.E. il Prefetto di Reggio Calabria – Dott. Giovanni
D’Onofrio – ha presenziato alla cerimonia di ufficializzazione del nuovo
stemma e gonfalone del Comune di Anoia. Dopo il saluto del sindaco Dott.
Antonio Napoli, hanno relazionato Giovanni Russo e Giovanni Quaranta. Il
Rev. don Francesco De Felice ha quindi impartito la benedizione al nuovo
gonfalone del comune raffigurante il nuovo stemma.
31
Dopo aver ripristinato “le antiche insegne”, l’Amministrazione comunale di
Anoia ha deciso di proporre l’intitolazione del palazzo municipale al Patriarca
della Calabria. Il Consiglio Comunale, nella seduta dell’8 giugno 2006, ha
approvato all’unanimità tale proposta e pertanto il municipio di Anoia ha assunto la denominazione ufficiale di «Palazzo San Francesco di Paola»41.
«Palazzo San Francesco di Paola»
sede del Municipio di Anoia (RC)
Delibera del Consiglio Comunale di Anoia n.15 del 8 giugno 2006. Erano presenti: Dott. Antonio Napoli (sindaco),
Alessandro Demarzo, Vincenzo Bitonti, Giuseppe Fuda, Giuseppe Marafioti, Antonio Salvatore Bruzzese, Antonio
De Felice, Vincenzo Cotroneo, Michelina Barilaro e Massimo Ceruso.
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APPENDICE
Il manifesto del convegno
35
Il tavolo dei convegnisti
Un’immagine del pubblico
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39
Stampato in proprio
nel mese di agosto 2006
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PRESENTAZIONE DEL NUOVO STEMMA E