EDUCARE ALL’AMORE ESIGENTE UNA SFIDA PER LA FAMIGLIA E LA VITA CONSACRATA Vita consacrata La sfida dell'amore esigente ___________________________________ I.
Nicla Spezzati Sottosegretario CIVCSVA EDUCARE: INIZIARE AL MISTERO DELL’AMORE L’educabilità umana è un mistero immenso: è il mistero della possibilità quasi illimitata di perfezione; esprime la potenzialità di somiglianza ad un Modello altissimo, di tensione all’assimilazione a Dio. Include, però, anche la terribile possibilità di mancare il bersaglio. La VC potrebbe ritrovarsi a vivere secondo concetti e idee, senza che il processo di educazione/formazione abbia una vitalità efficace, o peggio senza che esso sia stato mai avviato all’interno della persona. Si può verificare un pauroso spreco di umanità. I.1 Introdurre al mistero dello spirito L’introduzione allo spirito pone e presuppone la sinergia delle migliori dimensioni umane in cui in modo più evidente scintilla lo spirito. In noi vivono dei mondi in movimento, potenze interiori che vanno guidate. a) Un primo universo di vita è quello dello spirito e del suo vivere reale. La prima sfida dell’amore è il risvegliarsi dello spirito nel singolo e l’incontro con lo spirituale che è nell’altro (Ebner, Parola e amore. Dal Diario 1916‐17, 1983). Si raggiunge la vetta dell’umano e ci si introduce all’amore, vivendo spiritualmente (uno spirito tocca un altro spirito) nel quotidiano e con movimenti ordinari. Nella vita quotidiana la nostra libertà interiore trova il suo luogo nello spirito e nella relazione allo spirituale (la reciprocità). b) Un secondo universo di vita si può individuare nel diventare quello che si è. Modellarsi sulle convinzioni che si vogliono professare. Quest’opera di formazione si compie nella relazionalità. La persona consacrata dovrebbe avvertire sé e gli altri come materiale pregiato, da cui si può fare un’opera d’arte. Appassionarsi in tale impresa al fine di cooperare a rialzare il prezzo dell’umano, quel prezzo che da Nicla Spezzati, VC, la sfida dell’amore esigente, USMI‐CEI, 24 ottobre 2013 1 tante parti (e la VC non è estranea a questa svendita dell’umano) si tende a ribassare. Rendere ragione all’amore è aiutarsi a portare a compimento in noi e negli la somiglianza all’immagine divina. c) Il terzo universo di vita è l’evento di grazia in cui incontriamo il tu. Esso si verifica quale coronamento di un lavorio paziente e severo. Il tu viene sempre per grazia (M. Buber, Io e tu in il principio dialogico e altri saggi, Milano1993). Quanto abbiamo da riflettere in rapporto alle nostre incursioni così poco rispettose nel tu degli altri, sia nella nostra vita in comunità che nella nostra vita di missione. In questo terzo universo dello spirito la persona si staglia incomparabile nella luce dell’amore e ogni singola persona reclama una originalità sua propria. Dalla sinergia di questi tre universi dello spirito partono le esigenze dell’amore nel Mistero di Cristo: − tensione verso Dio, − decisione e impegno a divenire ciò che si è − incontro spirituale con il tu ‐ con il prossimo: incontro che diventa sorgente perenne di energia. I.2 Progredire nell’esigenza dell’amore: in tensione verso la nuova creatura a)
Integrare direzione e energia. “Et ipse Jesus faciem suam firmavit ut iret in Jerusalem” Lc 9,51 Le decisioni rappresentano il cuore di un’esistenza a tal punto che si può affermare: io sono le mie decisioni. La capacità di compiere al momento giusto decisioni giuste e portarle avanti in modo giusto definisce la maturità umana di una persona. Non nasciamo completi, ma diveniamo e prendiamo forma proprio attraverso l’assunzione di scelte nei confronti del mondo interiore e delle provocazioni dall’esterno. Attraverso la decisione la persona umana si erge ad di sopra del flusso delle esperienze interne e delle provocazioni esterne e esprime la propria unicità, il senso che vuol dare alla sua vita. b)
La somma libertà di decidere Se è vero che è un rischio decidere, rischi ancor più grande è non assumere la responsabilità di decidere. Chi si sottrae a questo compito, si sottrae a una condizione necessaria e indispensabile dell’esistenza: essere se stessi. Molte delle frustrazioni della persona nascono proprio dal fatto che rinuncia a questo compito, si consegna alle situazioni, agli altri, in modo acritico, passivo, esprimendo lo smarrimento della propria individualità in una fusione regressiva e annullante. Nicla Spezzati, VC, la sfida dell’amore esigente, USMI‐CEI, 24 ottobre 2013 2 Chi decide si differenzia, dice di esistere. Si arriva ad una decisione in molti modi: all’improvviso, in modo progressivo, in modo discontinuo. Al di là dei ritmi esterni, ogni decisione ha bisogno di molto tempo e avviene seguendo specifiche fasi. Dice un proverbio: il tempo distrugge le cose costruite senza tempo! Anche le scelte improvvise, folgorazioni, intuizioni, richedono in realtà tempi lunghi per l’assimilazione e l’approfondimento. Questo è il fondamento della fedeltà. Orientamento, approfondimento, coraggio e paura sono le fasi di una decisione, ma è l’assimilazione di una decisione la dinamica più lenta e faticosa. Quanto più una decisione viene assimilata tanto più si evolve, diventa orientamento e spinta ad ulteriori decisioni in modo creativo e fedele. Maturità è proprio prendere la forma che è data da una decisione di fondo. Tagore diceva: ogni persona dovrebbe avere in dotazione un cammello per attraversare i necessari deserti dell’esistenza. c)
Accettare la possibilità paziente di sbagliare In ogni scelta è necessario includere un margine d’errore. Non si sceglie Dio per Dio o il partner per il partner. Ogni scelta risulta da un insieme, a volte da un groviglio di motivazioni. Non è possibile decidere in un modo “purificato”, né per un solo motivo. Iniziare con il piede sbagliato è il modo migliore per iniziare. Allora si tratta di pensare alla decisione come un evento in continua evoluzione, come un progetto che vuole tempo per inverarsi. Ecco perché si dice che non scegli una volta per tutte, ma ogni giorno scegli di nuovo la scelta madre, per renderla più solida o per demolirla! Scegliere anche nella crisi. Geremia inizia la sua preghiera nella crisi: “Tu mi hai sedotto e io mi sono lasciato sedurre… sei stato per me un torrente ingannatore “Cosa mi aspettavo? Perché me lo aspettavo? O anche Cosa si aspettano gli altri da me ? Perché lo aspettano… Ma è sempre importante ricordare che ad un certo punto del nostro crescere la persona umana si realizza se si consegna all’altro, alla società, alla comunità, al servizio. Consegnarsi significa sperimentare che il vertice di un cammino di maturazione sta nell’aprirsi all’altro. Questa è la scelta dell’amore esigente, o dell’esigenza dell’amore. Si tratta di un itinerario che innanzitutto ci chiede il coraggio di assumere il rischio della solitudine, della responsabilità, dell’unicità. Quando ciascuno ha accettato il proprio ineliminabile limite e ha raggiunto il senso della propria integrità ed autonomia, deve ancora decidersi per perdersi nell’altro. Deve trovare qualcuno o qualcosa per cui e a cui consegnarsi. Questa è la risposta alla sfida dell’amore. Nicla Spezzati, VC, la sfida dell’amore esigente, USMI‐CEI, 24 ottobre 2013 3 Vorrei affidarvi per riflettere ulteriormente un polittico il cui tema è la casa come luogo storico di vita concreta. Vita consacrata come casa. II.
VIVERE LA VC COME LUOGO DELL’AMORE II.1. Vita consacrata come luogo Una indicazione preziosa dal Messaggio del Sinodo per la nuova evangelizzazione, al numero 7 fa entrare sorprendentemente in scena, ponendoli a specchio, due “luoghi” (così sono definiti) in cui il Vangelo si manifesta, prende corpo, si dona: la vita nella famiglia e la vita consacrata. La vita familiare è definita come il luogo in cui il Vangelo entra nella quotidianità e mostra la sua capacità di trasfigurarne il vissuto nell’orizzonte dell’amore.1 Se la vita familiare è il “luogo primo” di esperienza ordinaria del Vangelo, il secondo è quel luogo complementare che mostra in anticipo il compimento del cammino della vita e “relativizza” (rende relative alla comunione finale con Dio) tutte le esperienze umane, anche quelle più riuscite (“segno di un mondo futuro che relativizza ogni bene di questo mondo”, dice il testo). Questa entrata inedita, pone la sfida del Vangelo (annuncio, testimonianza etc.) dentro la vita nella sua concretezza, prima di ogni sua specificazione ministeriale. Ci sono dunque due “luoghi naturali” del Vangelo: famiglia e vita consacrata. Sono i due luoghi “forma”.2 Non si parla di sfida, ma di “luogo”. E mi piace riflettere con voi su questa parola. La vecchia parola greca physis (luogo) significa "essere" e "luce", ossia uno stato in cui l'essere, si esprime e si illumina. Se non accade questa conversione dell'uomo nell'esser­ci (Da­sein), ossia nell’essere in un luogo, l'uomo non saprà mai della verità dell'essere e resta, per dirlo con le parole di Aristotele e Heidegger, cieco dell'essere. La nostra verità personale di donne e uomini alla sequela,pertanto, si svela nei luoghi del quotidiano. Come direbbe papa Francesco è nei luoghi del quotidiano che si rende visibile “si illumina” la nostra vita e la nostra testimonianza. Si può ripartire anche da qui, per pensare la VC. Nicla Spezzati, VC, la sfida dell’amore esigente, USMI‐CEI, 24 ottobre 2013 4 II.2. Lo stile vissuto nel luogo In questa feconda prospettiva proviamo ora a precisare in quale senso la vita religiosa possa essere luogo di educazione all’amore esigente. Ogni persona ha uno stile, ogni casa ha uno stile. Indico alcuni tratti che ci possono specificare, per essere “luogo” di educazione all’amore. a) Casa che custodisce l’attesa Diventiamo “luogo” quando assicuriamo per noi e a favore di tutti lo spazio della cura di Dio. Custodiamo un’assenza, perché impediamo che tutto il tempo sia pieno di cose, di attività, di parole. Proteggiamo lo spazio vuoto, incavo, dell’attesa. Nelle comunità religiose è sempre avvento, attesa di colui che continuamente ci viene incontro. L’immagine delle lampade accese è adeguata. Siamo luoghi di Vangelo, per noi e per tutti, quando siamo donne e uomini di desiderio. Il termine desiderio, secondo Galimberti, viene dal De bello gallico. I desiderantes erano i soldati che stavano sotto le stelle ad aspettare quelli che, dopo aver combattuto durante il giorno, non erano ancora tornati. La radice è sidera, stelle. Da qui il significato del verbo desiderare: stare sotto le stelle ed attendere. Il desiderio è l’attesa di un incontro, di un ricongiungimento, di una relazione. Ecco perché è essenziale che i nostri ritmi di vita, gli ambienti delle nostre comunità, tutte le nostre attività diventino spazi di custodia di una assenza. b) Casa in cui si vive la differenza evangelica Questa seconda dimensione riguarda la possibilità di sperimentare e di far sperimentare nella vita religiosa la differenza cristiana. Lo stile del Vangelo è uno stile umano e sobrio: si manifesta durante l’attesa che Dio riempie la nostra vita e che lui solo è all’altezza del nostro desiderio. Anche il celibato per il Regno e l’obbedienza mostrano la differenza cristiana. Questo è un segno quanto mai eloquente in un mondo che torna a cercare ciò che è essenziale. Va nella linea di quella “ecologia della persona” di cui ha parlato il Papa Benedetto XVI.2 Non possono essere le cose a dare senso alla nostra vita. c) Casa che accoglie la fragilità Il terzo tratto riguarda la fraternità. Noi diventiamo luogo di educazione nuova se mostriamo che sappiamo vivere insieme, cioè se già da ora mostriamo quello che sarà il mondo nel sogno di Dio, un mondo di figli e fratelli. In questo senso la vita di fraternità custodisce una promessa. Il convivere nella vita religiosa non è per scelta, ma per chiamata. Veniamo da storie diverse, da formazioni e sensibilità diverse, abbiamo caratteri diversi, siamo tutti segnati da limiti, difetti, piccole manie. Siamo semplicemente umani. La composizione ormai internazionale delle nostre comunità aumenta la Nicla Spezzati, VC, la sfida dell’amore esigente, USMI‐CEI, 24 ottobre 2013 5 posta in gioco. La perfezione delle relazioni non sarà mai raggiunta nelle nostre comunità, ma questa è la ferita da accogliere, il luogo pasquale della testimonianza. Siamo chiamati non a testimoniare l’armonia prima del peccato originale, ma la convivenza dentro i limiti, le differenze, le fragilità, le povertà individuali e collettive. Le nostre comunità, sempre più multietniche, sono un formidabile laboratorio di questa fraternità della differenza. Non siamo chiamati a mostrare comunità ideali, ma comunità umane, luoghi di accoglienza e rielaborazione dei limiti. È così che si è profeti nella storia. Nell’Enciclica Deus Caritas est, si riferisce la speranza alla virtù del patire (amore patiens) e le attribuisce la capacità di vedere il compimento escatologico oltre ogni caducità e debolezza: “La speranza si articola appunto nella virtù della pazienza, che non viene meno nel bene neanche di fronte all’apparente insuccesso, ed in quella dell’umiltà, che accetta il mistero di Dio e si fida di Lui anche nell’oscurità” (Idem, ivi, 39). d) Casa come grembo di gioia La gioia non è ornamento inutile, ma esigenza a fondamento della vita umana. A cosa tendono l’uomo e la donna, nell’affanno di ogni giorno, se non a giungere e a dimorare nella gioia con la totalità dell’essere? Il Salmo 16 evoca tale stato permanente in cui la creatura trova beatitudine già qui e ora, partecipando alla Beatitudine increata: « il Signore è alla mia destra, io non sarò affatto inquieto. Perciò il mio cuore si rallegra, l’anima mia esulta; anche la mia carne dimorerà al sicuro» (ivi 8‐9). Gesù promette la gioia come dono di una presenza: «Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa» (Gv 15, 10‐11), mentre Paolo ne fa un ottativo cristiano: «Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi» (Fil 4, 4). Maria di Nazareth, familiare di Dio, diventa icona femminile della gioia, mentre canta «Il mio spirito esulta in Dio mio salvatore» (Lc 1, 47). La Chiesa assicura: «Il primato di Dio è per l'esistenza umana pienezza di significato e di gioia, perché l'uomo è fatto per Dio ed è inquieto finché in Lui non trova pace» (Vita Consecrata 27). Quanta e quale gioia abita la nostra vita di donne alla sequela di Cristo? In quale misura il nostro spirito si esercita nella gioia e la sperimenta? In quale modalità, nei luoghi della vita fraterna e missionaria, vive le declinazioni della gioia: allegria, felicità, contentezza, gaiezza, giocondità, letizia, festosità, esultanza? Ci sono mille motivi per permanere nella gioia. Forse la nostra memoria è corta e la nostra esperienza è fiacca nel ricercare le “terre della gioia” nelle quali gustare il riflesso di Dio: “Mi rallegri Signore con le tue meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani. Come sono grandi le tue opere, Signore!” (Sl 92). Nicla Spezzati, VC, la sfida dell’amore esigente, USMI‐CEI, 24 ottobre 2013 6 C’è un’opera di Henri Matisse (1905) in cui l’artista esprime la gioia come pienezza dell’umano. In “Le bonheur de vivre”, Matisse rincorre l'attimo eterno ed il vortice della vita e della leggerezza, esemplificati dalla danza primitiva, per giungere alla significazione della creazione come esplosione di gioia. Anche l’inaugurazione dell’era messianica avviene nel segno della gioia come vitalità riacquistata nel corpo e nello spirito: «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,3). Quanta gioia vive ed esprime la vita consacrata, gustando la bellezza e il mistero dell’umano, donna e uomo, nei luoghi quotidiani della fraternità e della solidarietà? 3 In che modo la gioia sfida la vita consacrata? Nella fede. Nella verità dell’incontro umano e divino. La fede personale in un Dio che salva riempie di gioia ‐ “Io gioirò nel Signore, esulterò in Dio mio Salvatore”(Ab 3,18) ‐, mentre l’ascolto della parola di Dio diventa luce che porta frutti di gioia, pur nelle notti che, frequenti, abbuiano il sole: “Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia più che in ogni altro bene. Mia eredità per sempre i tuoi comandamenti, sono essi la gioia del mio cuore”(Sl 119). La gioia misura la nostra verità: essa scaturisce laddove avvertiamo di essere amate in pienezza e sperimentiamo la potenza dell’ amore che guarisce e rigenera: “Egli perdona tutte le tue colpe. Come dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe” (Sl 103).4 La vita consacrata definita “evangelica vivendi forma” ci chiede di vivere, semplicemente, secondo il Vangelo. Ossia di vivere secondo la “buona novella”, una notizia di gioia: siamo credenti nella Risurrezione! Siamo chiamate alla diaconia della gioia. Mi viene in mente Cana di Galilea. Da una casa dove c’è amore, da una famiglia che inizia scommettendo sull’amore e sulla fedeltà viene la vera forza miracolosa per cambiare la vita: è questo il messaggio che viene da Cana di Galilea. Perché l’amore è la sola forza capace di riempire di miracoli la terra e la casa, capace del miracolo di cambiare la vita. Gesù non inizia dal tempio, ma da una festa. La festa è come una cattedrale, un tempio eretto, non nello spazio ma nel tempo, nello scorrere dei giorni, nel quotidiano. La vera storia viene scritta lì, nell’intimo delle case. I segreti legislatori del mondo sono uomini e donne che vivono l’amore, che trasmettono vita; sono loro la lieta notizia, portano il Vangelo della vita. Maria è presente a Cana perché lei stessa è il luogo germinale di una nuova umanità, la «stanza nuziale» dove si abbracciano, dove si amano l'uomo e il suo Dio. “C'è davvero una grande urgenza che la vita consacrata si mostri sempre più piena di gioia e di Spirito Santo” (Giovanni Paolo II, Messaggio Iª Giornata Vita Consacrata, 1997, 6 gennaio). Ognuno ha un dono proprio, unico, irriducibile, ed è lo spazio della sua gioia. L’esigenza dell’amore nella VC si misura dalla gioia che illumina il nostro volto. Nicla Spezzati, VC, la sfida dell’amore esigente, USMI‐CEI, 24 ottobre 2013 7 NOTE 1
Questo avviene certo, dice il testo, attraverso gesti tipicamente cristiani (segni della fede, prime verità, preghiera), ma soprattutto attraverso l’esperienza dell’amore dato e ricevuto. 2 Essi sono reciprocamente significativi, in quanto indicano l’uno all’altro che il Vangelo è per questa vita (la famiglia) e che questa vita è destinata al suo compimento, non è chiusa dentro gli orizzonti della figura di questo mondo (vita consacrata). È importante che famiglia e vita consacrata siano definiti “luoghi” di sperienza. Prima di essere luoghi in cui “se ne parla”, sono luoghi “in cui si vive” la grazia del Vangelo con due sottolineature complementari e inscindibili: venire al mondo dentro una famiglia che lo vive; avere il dono della testimonianza di altre persone e “famiglie religiose” che ne segnalano il compimento, non fuori i limiti della storia, ma all’interno di essi. 3 Nell’Antico Testamento si gioisce e si esulta nel Dio presente fra gli uomini: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio” (Is 61,10); “Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento” (Sl 4,8); “Acclamate al Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a Lui con esultanza” (Sl 100,2). Il popolo di Israele gioisce per l’Alleanza, per la quale diventa il popolo eletto che con gioia percepisce Dio come il suo Dio (cf Dt 7,68; Lv 26,11‐13): “O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco” (Sl 63,2). Gioisce perché abbracciato da un amore eterno ( cf Ger 31,3), amore forte come la morte (cf Ct 8,6), amore tenerissimo di (cf Is 49,15). Dalla ricerca di Dio e dalla sua presenza nasce la gioia: “Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano” (Sl 40,17), mentre il Signore chiede: “Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza” (Ne 8,10). Nella Bibbia la gioia, in tutte le sue accezioni, diventa un paradigma del divino: annuncia la presenza sovrabbondante di Dio fra il suo popolo, la sua opera di salvezza, attraverso l’incarnazione e l’obbedienza filiale di Gesù Cristo. Il termine “gioia” appare 225 volte nell’Antico Testamento e 72 volte nel Nuovo Testamento. 4 “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia. Lavami e sarò più bianco della neve. Fammi sentire gioia e letizia, esulteranno le ossa che hai spezzato. Rendimi la gioia di essere salvato” (Sl 51). L’esultanza è la cifra della nostra fede; il riconoscimento di una presenza che ci abita e ci dà vita:“Dio della mia gioia e del mio giubilo” (Sl 43,4). Da tale presenza è motivata la nostra lode “Con voci di gioia ti loderà la mia bocca. Esulto di gioia all’ombra delle tue ali” (Sl 63,68) e il vigore della nostra speranza: “Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sl 16,11). Nicla Spezzati, VC, la sfida dell’amore esigente, USMI‐CEI, 24 ottobre 2013 8 
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Suor Nicla Spezzati