Testimonianza LA CARITA’ NON AVRA’ MAI FINE di Marika e Claudio 1a Lettura del giorno del nostro matrimonio: INNO ALLA CARITA’: 1 Corinti 13, 4-13 La carità è paziente, benigna, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Ci sentiamo privilegiati perché abbracciati/incontrati dalla grazia di Dio che ha pensato e voluto per noi un progetto di bene e di salvezza. Io e Marika ci siamo conosciuti circa 20 anni fa durante un campo-scuola con la parrocchia. Marika era animatrice di ragazzi adolescenti, in quel periodo stava lavorando ed ultimando gli studi all’università. Io portavo la mia testimonianza come ospite di una comunità per tossicodipendenti. Arrivavo da un vissuto fatto di fallimenti, falsità e sofferenze. Per più di 10 anni ho creduto che la vita si potesse affrontare solo attraverso amicizie basate su un reciproco tornaconto, che le difficoltà si potessero affrontare e superare solo attraverso l’uso e l’abuso di sostanze che non ti permettono di entrare a contatto con i tuoi sentimenti e i tuoi valori. Pensavo di non essere abbastanza forte per poter agire e pensare con la mia testa... erano solo fattori esterni, gli altri o addirittura la “roba” che mi permetteva di andare avanti. Le relazioni erano basate sull’apparenza, sulla disponibilità di soldi o sulle conoscenze che uno aveva o meno per procurasi la “roba”. Mentire, ingannare, rubare erano diventate le mie modalità per relazionarmi con gli altri. Avevo troncato qualsiasi possibilità di dialogo e confronto innanzitutto con i miei familiari e poi con le persone che mi stavano attorno. Sono arrivato al punto di convincermi che io stavo bene da solo... che illusione! Più mi chiudevo in me stesso e più sentivo forte la pressione delle persone che mi volevano bene: non riuscivo a procurarmi i soldi per mantenere il mio stile di vita, mi sentivo controllato in tutto ciò che facevo e fisicamente non riuscivo più a reggere lo stress di tutta la situazione. Nel dicembre del ‘90, dopo diversi ripensamenti, reticenze e perplessità, sono entrato in comunità. Anche se con parecchia diffidenza, ho iniziato a fare un percorso di conoscenza di me stesso e a recuperare i valori importanti per la vita. Il tutto è durato circa tre anni. Verso la fine di questo percorso ci siamo incontrati con Marika. Il tema di quel “famoso” campo-scuola, di cui si parlava all’inizio, era “fiducia e amicizia”... FIDUCIA. Questa parola, o meglio, questo atteggiamento del cuore è stato per noi fondamentale... fin da subito abbiamo sentito importante il poterci fidare non solo l’uno dell’altra, ma anche di qualcun altro che ci accompagnasse nel nostro stare insieme (cosa non sempre facile e scontata visti i nostri vissuti così diversi). La carità è paziente, benigna, non si adira, non cerca il proprio tornaconto, non si gonfia, sempre spera.... anche nei momenti più difficili, ma che fatica!!! A volte mi sembrava che tutto fosse vano, che non ci fosse nessuna possibilità per noi due di stare assieme. Spesso mi dicevo: siamo troppo diversi, mi sto solo illudendo, non ce la faremo mai. Ma ogni volta che ci incontravamo, c’era qualcosa che mi dava slancio e voglia di continuare. La cosa che mi sorprendeva di più era il fatto che Claudio era in profonda e costante ricerca di un senso vero e nuovo della vita, che, nella sua esperienza, avesse sempre percepito la presenza di un Amore grande che in tutte le sue vicende lo aveva assistito e aiutato, che si sentisse sorretto e sostenuto da una mano provvidente che gli aveva impedito di rimanere nel vortice della tossicodipendenza. Inoltre scorgevo in lui una bontà di fondo e una incredibile voglia di fare il bene, di fare il meglio per lui, per noi... e per gli altri. Pian piano abbiamo imparato a camminare insieme, ad accogliere le nostre storie così diverse, a dialogare, a vivere il rispetto, l’attesa e la pazienza (all’inizio era difficile anche solo andare a Messa insieme, Claudio mi aspettava fuori in macchina...) per crescere ed aver cura l’uno dell’altra. Il periodo di fidanzamento è stato la prima palestra non solo per conoscerci, ma soprattutto per vedere se i nostri progetti per il futuro potevano essere portati avanti insieme. Ci siamo sposati (in Chiesa) dopo tre anni, nella convinzione che la nostra era un’alleanza a tre: c’era un Dio Padre e Madre che ci aveva pensati assieme e che aveva su di noi un progetto “grande” di bene. Sentivamo, però, che da soli non ce l’avremmo mai fatta. Abbiamo, quindi, scelto di farci accompagnare da persone che potessero vegliare su di noi, dare sostegno e coraggio e/o pregare nei momenti belli o più difficili del nostro percorso. Contemporaneamente abbiamo cercato di approfondire il nostro cammino di fede. Sentivamo che questa dimensione diventava sempre più importante per noi, non solo perché ci apriva agli altri, ma soprattutto perché ci affacciava a nuove dimensioni: ci rendeva “sereni” perché ci sentivamo inclusi in un progetto/amore grande e, col tempo, sentivamo sempre più la presenza di Dio nella nostra storia. Inoltre ci forniva strumenti fondamentali per la nostra coppia quali il perdono (“70 volte 7”) e l’accoglienza (non solo delle nostre differenze individuali, ma anche delle nostre peculiarità di genere... io ho fatto un po’ di fatica a capire, specialmente i primi anni di matrimonio, che anche la diversità tra l’essere al maschile o al femminile non era affatto da sottovalutare). Dopo circa un paio d’anni è maturato il desiderio di avere un figlio. La nostra chiamata alla maternità e paternità è stata un po’ “diversa”... Avevamo dato per scontato che la nascita di un bambino fosse la naturale conseguenza del nostro amore. Dopo un periodo di ricerca di una gravidanza, ci siamo informati sulle varie possibilità che la scienza e la medicina ci mettevano a disposizione (volevamo avere le idee chiare e non dare nulla per scontato), ma alla fine ci sembrava che l’accoglienza di un figlio attraverso il percorso adottivo fosse la strada più giusta e la più coerente con i nostri valori. Dopo circa tre anni e mezzo, tra alti e bassi, gioie e speranze, sensi di colpa e delusioni varie, siamo andati a incontrare Diego in Colombia. E’ stata un’emozione grandissima ed indescrivibile. Diego da subito ha riempito le nostre vite di gioia e di vivacità. Accogliere questo bimbetto di soli 4 anni ha avuto un grandissimo impatto sui di noi... dall’oggi al domani ci siamo trovati con le nostre vite intrecciate per sempre... Il senso di pienezza e realizzazione provate con Diego hanno fatto maturare in noi la scelta per una seconda adozione e dopo circa un anno e mezzo siamo ripartiti con l’iter adottivo. L’attesa stavolta è stata un po’ più breve (quasi tre anni) e nell’agosto del 2009 siamo ritornati in Colombia per incontrare Maria Isabel. L’impatto con questa piccolina non è stato facile. Prima di partire sapevamo che c’erano alcuni problemi di ritardo dovuti essenzialmente al grave stato di abbandono e denutrizione in cui Maria Isabel era stata trovata. Sapevamo, però, che quasi tutti i bambini adottati presentano situazioni difficili, che gradualmente si risolvono in un ambiente stimolante e ricco di affetto e di serenità. Eravamo pertanto fiduciosi che anche la situazione di Mari si sarebbe risolta con un po’ di costanza e con tanto amore. Di solito le adozioni di bambini con problematiche gravi prevedono una richiesta chiara da parte dei genitori, in caso contrario i bambini in stato di adozione sono generalmente bambini sani o con diagnosi reversibili, pertanto eravamo abbastanza tranquilli che tutto sarebbe andato per il meglio... La situazione che ci siamo trovati davanti, invece, era ben più grave rispetto a tutte le nostre aspettative e quello che doveva essere un altro momento speciale della nostra famiglia, si è trasformato, per alcuni giorni, in un labirinto dal quale sembrava non ci fosse uscita. Un forte senso di smarrimento, sconforto, preoccupazione hanno invaso il nostro animo tanto da mettere in dubbio la nostra scelta e anche la fiducia in quel progetto che fino ad allora sembrava condurre la nostra famiglia. Per la prima volta ci siamo scontrati con la paura e l’incertezza di non essere in grado di affrontare una situazione. Questo ha segnato una svolta importante nelle nostre vite. La prima domenica dopo l’incontro con Mari siamo andati a Messa e la prima lettura proponeva il brano 1Re 19, 4-8 nel quale Elia “s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». 5Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». 6Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. 7Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». 8Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb”. Questo è stato il primo momento in cui ci siamo sentiti presi per mano, abbiamo capito in modo chiaro e forte quale fosse per noi la forza/l’energia a cui attingere per essere in grado di sostenere il peso di una tale situazione: l’Eucaristia... E’ stato con questo spirito che, nonostante ci fosse la possibilità di un ripensamento (ci è stato detto che non dovevamo affezionarci troppo a questa bambina, perché se non andava bene avrebbero potuto rimandarla indietro!), abbiamo accolto Maria Isabel e la nuova sfida. In quel periodo c’era la campagna elettorale di Obama e noi abbiamo preso in prestito il suo motto: Yes, we can! Questo era diventato il nostro saluto al mattino prima di partire con le varie attività e l’ultimo prima di andare a letto (anche perché ogni giorno si sommavano problematiche nuove sullo stato di salute di Mari). Nei due mesi trascorsi in Colombia abbiamo scoperto quanto il nostro legame di coppia si fosse rinsaldato e ci siamo resi conto che i valori abbracciati il giorno del nostro primo sì davanti all’altare, erano gli stessi che ci sostenevano nella nostra quotidianità. Abbiamo riletto sotto una nuova luce (ed ovviamente con una consapevolezza diversa) il brano del Vangelo scelto il giorno del nostro matrimonio (Mt 7, 24-25 «24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia»). In quei giorni abbiamo avuto molto tempo per dialogare e far memoria. Io ho riscoperto in Claudio il mio punto fisso, la persona che più di ogni altra mi dà sicurezza, mi conforta e mi supporta, che mi aiuta a scegliere il bene e che mi mette in giusta relazione col mondo, che mi accoglie per ciò che sono e con la quale mi sento davvero libera. Anche Diego è stato una grande scoperta per noi... uno dei primi giorni è venuto nel lettone e, vedendoci molto preoccupati, ci ha detto: “State tranquilli, mamma e papà, perché ci sono io che vi do una mano con Maria Isabel. Io sono il suo “fisico-terapista”!”. Abbiamo sentito la vicinanza di tanti amici che da casa si sono messi d’accordo nel chiamarci e farci sentire tutto il loro sostegno e il loro affetto (anche nella preghiera), dei nostri familiari che ci hanno dato l’appoggio necessario per portare avanti una situazione che inizialmente sembrava troppo grande per le nostre deboli spalle. Nel corso di quei due mesi di permanenza in Colombia, abbiamo continuato a partecipare alla messa domenicale e ad ogni appuntamento c’era una Parola giusta per noi. L’ultima domenica, prima di tornare a casa, la liturgia proponeva il brano del Vangelo in cui “36Gesù, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Mc 9, 36-37). Questo è stato per noi il mandato della nostra nuova missione: accogliere, attraverso Maria Isabel, quel Dio che si è fatto bambino per venire ad abitare in mezzo a noi. Dopo circa tre anni e mezzo da quando Mari è entrata nella nostra famiglia ci rendiamo conto che la grazia del Signore non ha mai smesso di riversarsi sulla nostra famiglia e che anzi la presenza di Mari ha aperto strade nuove (stiamo collaborando, ad esempio, con un gruppo di genitori ad un progetto di accoglienza ed integrazione dei bambini diversamente abili a scuola), ci ha aiutato a maturare soprattutto come coppia (si sono attenuati alcuni spigoli e rigidità dei nostri caratteri), a rivalutare sotto una luce diversa le scelte della nostra quotidianità (Claudio ha ridotto al minimo le ore di lavoro straordinario per poter stare più tempo coi bambini e per permettere anche a me di continuare col mio lavoro), a rivedere quali sono le cose importanti e le opportunità per la nostra famiglia, a provare stupore e meraviglia davanti al sacramento del nostro matrimonio. DIO NON TI DA LE PERSONE CHE VUOI; LUI TI DA LE PERSONE DI CUI HAI BISOGNO... PER AIUTARTI, PER FERIRTI, PER LASCIARTI, PER AMARTI E PER FARTI DIVENTARE LA PERSONA CHE ERI DESTINATA AD ESSERE...