New Orleans a un anno dall’uragano -1/77 – Antologia di articoli A un anno dall’uragano di New Orleans: Una antologia di articoli Nell’estate del 2005 il sommesso clamore dei notiziari che annunciavano gli spostamenti dell’uragano Katrina in avvicinamento alla Costa del Golfo, nei territori degli stati di Louisiana e Mississippi, sembrava la solita trovata giornalistica per riempire i titoli di qualcosa di diverso dai pettegolezzi da spiaggia. Fu una vera sorpresa per la maggior parte del mondo iniziare a vedere le immagini dei poveracci ammassati come bestie nello stadio, dei quartieri poveri devastati, dei primi morti. E poi, nei giorni successivi, leggere le storie da “disastro annunciato”, le polemiche sull’inefficienza nei soccorsi, e via via nelle settimane e nei mesi dipanarsi e articolarsi tutto il dibattito sulla ricostruzione, gli investimenti, gli aspetti sociali, i dubbi su un potenziale “sciacallaggio” ai danni di chi ha meno voce. La stampa, italiana e internazionale, ha dato grande rilevanza a tutti questi aspetti, e a molti altri, a partire dalla figuraccia dell’amministrazione federale, o ai collegamenti fra questo tangibilissimo esempio di intreccio problematico, e altre questioni spesso poco percepite, a partire dal riscaldamento globale. Sulle pagine di Eddyburg e eddyburg_Mall hanno trovato posto molti di questi articoli: sia quelli con più diretto riferimento alle questioni territoriali al centro della nostra attenzione, sia altri. È sembrato opportuno, vista la notevole mole (e articolazione nelle cartelle tematiche) del materiale, raccogliere il tutto in una “visita guidata”, che consenta a chi ha già letto di ritrovare qualche spunto, e a chi non ha letto di verificare se si è perso qualcosa. Vista la vastità dei temi, approcci, sfumature, l’ordine di presentazione scelto è semplicemente cronologico. Buona lettura (o rilettura). F.B. New Orleans a un anno dall’uragano -1/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -2/77 – Antologia di articoli George W. Bush, Priorità: salvare vite Il discorso del Presidente, George W. Bush, dopo la riunione di Gabinetto per i soccorsi alle zone colpite dall'Uragano Katrina, 31 agosto 2005. Il giudizio ai posteri, alla storia, e magari anche alla cronaca dei prossimi giorni (f.b.) Titolo originale (CNN): First priority is to save lives – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini WASHINGTON - il Presidente Bush ha parlato mercoledì alla Casa Bianca dopo un incontro col suo Gabinetto sul dopo Uragano Katrina. Quella che segue è una trascrizione del suo discorso: Ho appena ricevuto un aggiornamento dal Segretario Chertoff e dagli altri segretari di Gabinetto interessati, sugli ultimi sviluppi in Louisiana, Mississippi e Alabama. Mentre venivamo qui in aereo, oggi, ho chiesto al pilota di sorvolare la regione della Costa del Golfo per vedere direttamente effetti e dimensioni del disastro. La gran parte della città di New Orleans, Louisiana, è sommersa. Decine di migliaia di case e attività sono irrimediabilmente distrutte. Molta parte della costa del Mississippi è stata completamente distrutta. La città di Mobile è allagata. Siamo di fronte a uno dei più gravi disastri naturali della storia nazionale. Ed è per questo che ho convocato il Gabinetto. La popolazione delle regioni colpite si aspetta che il governo federale collabori con quelli statali e locali ad una risposta efficace. Ho nominato il Segretario per la Sicurezza Interna Mike Chertoff alla presidenza di una task force di gabinetto a coordinare tutto il nostro lavoro di assistenza da Washington. Il direttore della FEMA [ Federal Emergency Management Agency n.d.T.] Mike Brown è responsabile di tutte le azioni a livello federale e delle operazioni sul campo. Ho chiesto loro di lavorare in stretto contatto con i funzionari statali e locali, oltre che col settore privato, ad assicurare che ci sia un aiuto – non un intralcio – alle operazioni di soccorso. La ricostruzione richiederà un tempo lungo. Ci vorranno anni. I nostri sforzi si sono concentrati su tre priorità. La prima è salvare vite. Stiamo assistendo l’amministrazione locale di New Orleans nell’evacuazione di tutti i cittadini rimasti nella zona colpita. Voglio ringraziare lo Stato del Texas, in particolar modo la Harris County, la città di Houston e i funzionari dello Houston Astrodome, per aver offerto alloggio ai cittadini che si erano rifugiati nel Superdome in Louisiana. Sono già in viaggio gli autobus che porteranno queste persone da New Orleans a Houston. New Orleans a un anno dall’uragano -2/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -3/77 – Antologia di articoli La FEMA ha attivato più di cinquanta gruppi di assistenza medica in tutto il paese, per aiutare chi opera nelle aree colpite. Sempre la FEMA ha dispiegato più di 25 squadre urbane di ricerca e soccorso, con più di mille persone, per salvare quante più vite possibile. La Guardia Costiera degli Stati Uniti sta conducendo missioni di ricerca e soccorso. Lavorano insieme a funzionari e organizzazioni locali. La Guardia Costiera ha recuperato sinora circa 2.000 persone. Il Dipartimento della Difesa sta impegnando ampie forze nella regione. Esse comprendono la nave Bataan impegnata in missioni di ricerca e soccorso, otto squadre di pronto intervento, lo Iwo Jima Amphibious Readiness Group con attrezzature specifiche per calamità naturali, e la nave ospedale Comfort ad offrire assistenza medica. La Guardia Nazionale ha quasi 11.000 uomini allertati per assistere governatori e amministrazioni locali negli sforzi per i soccorsi e la sicurezza. La FEMA e il Corpo del Genio lavorano 24 ore su 24 con i funzionari della Louisiana per riparare i cedimenti negli argini, in modo tale da bloccare l’allagamento di New Orleans. La nostra seconda priorità è quella di assicurare adeguato cibo, acqua, alloggi e medicine per i sopravvissuti, i colpiti, gli evacuati. La FEMA sta trasferendo forniture e attrezzature verso le aree maggiormente colpite. Il Dipartimento dei Trasporti ha messo a disposizione più di 400 camion per muovere 1.000 carichi contenenti 5,4 milioni di pasti pronti da consumare, o MRE [ Meal Ready to Eat n.d.T.]; 13,4 milioni di litri d’acqua; 10.400 tende; 1,54 milioni di chili di ghiaccio; 144 generatori; 20 containers di materiali predisposti per l’emergenza; 135.000 coperte e 11.000 cuccette. E siamo solo all’inizio. Ora ci sono oltre 78.000 persone in rifugi temporanei. [Il Dipartimento della Salute e dei Servizi alla Persona] e i [Centers for Disease Control] collaborano con funzionari locali per individuare le strutture ospedaliere in modo da poterle sostenere, aiutare medici e infermieri ad offrire le cure necessarie. Si stanno distribuendo materiali sanitari, e si sta attuando un piano di salute pubblica per controllare malattie e altri problemi sanitari che dovessero emergere. La nostra terza priorità è quella di intervenire per una ripresa coordinata. Ci stiamo concentrando sul ripristino delle linee di corrente elettrica e delle comunicazioni, messe fuori gioco dalla tempesta. Ripareremo le strade principali, i ponti, e le altre essenziali strutture di trasporto il più rapidamente possibile. È molto, il lavoro che dovremo fare. Sorvolando la zona, ho visto molte grandi infrastrutture distrutte. Il loro ripristino, naturalmente, sarà una delle priorità chiave. New Orleans a un anno dall’uragano -3/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -4/77 – Antologia di articoli Il Dipartimento dell’Energia sta approvando prelievi dalla Riserva Strategica di Petrolio, per limitare i tagli alle forniture di greggio alle raffinerie. Molta della produzione di greggio è stata interrotta a causa della tempesta. Ho chiesto al Segretario [Samuel] Bodman di lavorare con le raffinerie, con chi ha necessità di greggio, per alleviare qualunque penuria attraverso i prelievi. L’Agenzia di Protezione dell’Ambiente ha emanato una deroga nazionale per rendere disponibili più benzina e gasolio in tutto il paese. Ciò aiuterà a contenere in qualche modo i prezzi dei carburanti, ma i cittadini devono comprendere che l’uragano ha scosso la capacità di produrre e distribuire la benzina. Stiamo anche sviluppando un piano generale per assistere rapidamente i cittadini sfollati. Comprenderà alloggi, istruzione, assistenza sanitaria e altre necessità di base. Ho istruito i componenti del mio Gabinetto perché collaborino con le popolazioni locali, i funzionari, a costruire una strategia coordinata di ricostruzione delle città colpite. E ci sarà molto da ricostruire. Non vi posso descrivere, quanto devastati fossero quei luoghi. Voglio ringraziare le città e gli stati confinanti che hanno accolto i vicini nel momento del bisogno. Molte persone hanno lasciato le aree colpite trovando rifugio presso amici o parenti. Vi sono riconoscente per questo. Voglio anche ringraziare la Croce Rossa Americana, e l’Esercito della Salvezza, e la Catholic Charities e tutti i membri delle altre associazioni di solidarietà. Credo che le persone colpite resteranno commosse quando sapranno quanti americani vogliono aiutarli. A questo stadio dello sforzo nei soccorsi, è importante per chi vuole dare contributi in denaro: versate i contributi a un ente di vostra scelta, ma accertatevi di indicare che sono per i soccorsi alle vittime dell’uragano. Potete chiamare lo 1-800-HELP-NOW o andare alla pagina web della Croce Rossa redcross.org. La Croce Rossa ha bisogno del vostro aiuto, e invito tutti i cittadini a contribuire. La popolazione della Costa del Golfo avrà bisogno dell’aiuto di tutto il paese per molto tempo. Sarà un percorso difficile. Le sfide che abbiamo di fronte sono senza precedenti. Ma non ci sono dubbi nella mia mente sul fatto che ci riusciremo. Ora, le giornate sembrano oscure per coloro che sono stati colpiti. Lo capisco. Ma confido che, col tempo, metterete di nuovo ordine nella vostra vita. Nuove città prospereranno. La grande New Orleans risorgerà. E l’America sarà più forte, per questo. La Nazione è con voi. Faremo tutto ciò che è in nostro potere per aiutarvi. Dio vi benedica. Grazie. New Orleans a un anno dall’uragano -4/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -5/77 – Antologia di articoli Aspettando un Leader Editoriale dal New York Times, 1 settembre 2005, a commento del primo discorso di George W. Bush dopo che l'uragano Katrina ha colpito New Orleans (f.b.) Titolo originale: Waiting for a Leader – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini George W. Bush ha pronunciato uno dei peggiori discorsi della sua vita ieri, e a maggior ragione visto il grado di tensione nazionale e il bisogno di parole rassicuranti e sagge. In quello che sembra essere un rituale per questa amministrazione, il presidente è comparso un giorno più tardi di quanto sarebbe stato necessario. Poi ha letto un testo di tipo più adeguato alla celebrazione dell’Arbor Day: una lunga lista della lavandaia, fatta di chili di ghiaccio, gruppi elettrogeni e coperte, consegnati alla Costa del Golfo disastrata. Ha ricordato ai cittadini che chiunque desidera essere d’aiuto può mandare soldi, ha sorriso, e poi ha promesso che tutto si risolverà, alla fine. Naturalmente noi ce la faremo, e la città di New Orleans deve rinascere. Ma guardando ieri alla televisione le immagini di un luogo abbandonato alla violenza dell’alluvione, degli incendi e dei saccheggi, era difficile non chiedersi come potrà finire tutto questo. Proprio adesso, ci sono centinaia di migliaia di sfollati americani che ci chiedono comprensione e aiuto. Ci sono migliaia di persone che devono essere soccorse, in situazioni di pericolo imminente. Si devono mettere sotto controllo i pericoli per la salute pubblica, a New Orleans e in tutto il Mississippi meridionale. Bisogna dare agli automobilisti certezza sulla disponibilità di carburante, e controllare la speculazione in un momento in cui la televisione mostra lunghe file ai distributori, e si parla di prezzi che in alcuni casi hanno raggiunto un dollaro al litro. Saranno necessari sacrifici, perché tutto ciò accada in modo ordinato ed efficiente. Ma questa amministrazione non ha mai chiesto sacrifici. E niente nella condotta del presidente ieri – tranquilla sino alla noncuranza – fa pensare che abbia compreso la profondità della crisi in corso. Se la nostra attenzione deve ora concentrarsi sugli immediati bisogni della Costa del Golfo, a livello nazionale dovremo presto anche chiederci perché gli argini di New Orleans si sono dimostrati inadeguati. La stampa, dai giornali locali al National Geographic si è scagliata contro il cattivo stato della tutela dalle inondazioni in questa amata città, che si trova sotto il livello del mare. Perché abbiamo consentito ai costruttori di distruggere le zone umide e le isole barriera litoranee, che avrebbero potuto tenere a distanza la forza dell’uragano? Perché il Congresso, prima di andare in vacanza, ha tagliato il bilancio per rimediare ad alcuni buchi nel sistema di protezione dalle alluvioni? New Orleans a un anno dall’uragano -5/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -6/77 – Antologia di articoli Sarebbe consolante pensare che, come ha allegramente annunciato Mr. Bush, l’America “diventerà più forte” dopo aver superato questa crisi. Questo tipo di soddisfazione non basta, specialmente se gli esperti sono nel giusto quando ci avvertono che il riscaldamento globale potrà aumentare la forza degli uragani in futuro. Ma, visto che l’attuale amministrazione non riconosce l’esistenza del riscaldamento globale, le probabilità di iniziativa appaiono minime. Mark Fischetti, Annegare New Orleans “Anche se devo prepararmi, non voglio nemmeno pensare alla perdita di vite umane che potrebbe causare un grosso uragano”. Così uno degli intervistati, in questo anticipatore articolo dallo Scientific American, ottobre 2001. (f.b.) Titolo originale: Drowning New Orleans – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini Un enorme uragano potrebbe seppellire New Orleans sotto sette metri d’acqua, uccidendo migliaia di persone. L’attività umana lungo il corso del Mississippi ha drammaticamente aumentato il rischio, e ora solo massicce opere di ingegneria nella Louisiana sud-orientale possono salvare la città. Le casse sono ammucchiate sin quasi al soffitto lungo le pareti della stanza senza finestre. Dentro, ci sono body bags, 10.000 in tutto. Se un grosso uragano che si muove lentamente attraversasse il Golfo del Messico lungo la traiettoria giusta, genererebbe un sollevamento del mare tale da annegare New Orleans sotto sette metri d’acqua. “Quando l’acqua defluirà” dice Walter Maestri, direttore responsabile per le emergenze locali, “prevediamo di trovare molti cadaveri”. Quello di New Orleans è un disastro che aspetta solo di accadere. La città si trova sotto il livello del mare, in una conca delimitata da argini che delimitano a nord il lago Pontchartrain e a sud e ovest il fiume Mississippi. A per via di una maledetta coincidenza di fattori, la città affonda sempre più, e il rischio di alluvioni aumenta sempre più anche per tempeste di entità minore. Le basse del Delta del Mississippi, che riparano la città del golfo, stanno rapidamente scomparendo. Fra un anno saranno spariti altri 65-80 chilometri quadrati di paludi costiere: la superficie di Manhattan. Ogni ora ne scompare un ettaro. E per ciascun ettaro che scompare si apre un sentiero più ampio perchè la tempesta si rovesci sul delta e dentro la conca, intrappolando un milione di abitanti, più un altro milione nei centri circostanti. Un’evacuazione di massa sarebbe impossibile, perché l’alluvione avrebbe tagliato le vie di fuga. Gli studiosi della Louisiana State University (L.S.U.), che hanno costruito modelli di centinaia di possibili percorsi dell’uragano su computer potentissimi, prevedono che potrebbero perdere la vita più di 100.000 persone. Quelle body bags non durerebbero molto. Se non bastasse il rischio per le vite umane, il potenziale allagamento di New Orleans a un anno dall’uragano -6/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -7/77 – Antologia di articoli New Orleans avrebbe gravi conseguenze sia economiche che ambientali. La costa della Louisiana produce un terzo del cibo nazionale di provenienza marina, un quinto del petrolio, e un quarto del gas naturale. Ospita il 40% delle zone umide costiere del paese, dove soggiorna d’inverno il 70% degli uccelli migratori acquatici. Le strutture portuali sul Mississippi da New Orleans a Baton Rouge costituiscono il più grosso complesso nazionale. E il delta alimenta un carattere unico della psicologia americana; è la sorgente primaria del jazz e del blues, fonte del Cajun e Creolo, e terra del Mardi Gras. Ma sino a questo momento, Washington ha respinto tutte le richieste di aiuti consistenti. Sistemare il delta servirebbe come valido test, per il paese e per il mondo. Le zone umide costiere stanno scomparendo lungo il margine occidentale, gli altri stati del Golfo, la Baia di San Francisco, l’estuario del Columbia, per ragioni molto simili a quelle della Louisiana. Alcune zone di Houston stanno affondando più rapidamente di New Orleans. I grandi delta del pianeta – da quello dell’Orinoco in Venezuela, al Nilo in Egitto, al Mekong in Vietnam – sono oggi nelle medesime condizioni in cui si trovava il Delta del Mississippi 100-200 anni fa. La lezione di New Orleans potrebbe contribuire a fissare linee guida per un insediamento più sicuro in queste zone, e si potrebbero esportare tecniche di ripristino in tutto il mondo. In Europa, i delta del Reno, del Rodano e del Po stanno perdendo superfici. E se i livelli del mare saliranno a causa del riscaldamento globale nel prossimo secolo, numerose città costiere di bassa quota come New York dovranno prendere misure di protezione simili a quelle che si propongono per la Louisiana. Vedere per Credere Shea Penland è tra le persone più adatte a spiegare il blues del delta. Ora geologo alla University of New Orleans, ha passato 16 anni alla L.S.U.; è consulente del Corpo del Genio, che realizza gli argini; partecipa ai gruppi di lavoro statali e federali che attuano i progetti di sistemazione della costa; lavora anche per l’industria del petrolio e del gas. La sua competenza migliore però è quella di conoscere chiunque nelle piccole cittadine del bayou, zolle di terra e strisce di palude su e giù per la costa sbriciolata: gente che vive il degrado ogni giorno. Penland, vestito in jeans e maglietta polo in una mattina di metà maggio, mi accoglie volentieri sul suo vecchio pickup Ford F150 rosso, per andare a esplorare cosa si sta divorando gli ottanta chilometri di paesaggio fradicio a sud di New Orleans. Il Mississippi ha costruito la pianura del delta che forma la Louisiana sud-orientale in secoli di sedimenti, depositati anno dopo anno nelle piene primaverili. Anche se poi sabbia e detriti si schiacciano sotto il proprio peso e affondano un po’, la prossima piena ricostruirà tutto. Ma a partire dal 1879, il Corpo del Genio, su mandato del Congresso, ha progressivamente allineato lungo il corso del fiume argini per prevenire i danni delle piene a città e industrie. Ora il fiume è imbrigliato dalla Louisiana settentrionale al Golfo, ed è impedito il deposito New Orleans a un anno dall’uragano -7/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -8/77 – Antologia di articoli dei sedimenti. Di conseguenza, la piana sprofonda sotto l’oceano invasore. Con le zone umide, sparisce la protezione di New Orleans dal mare. Un’onda da uragano potrebbe raggiungere altezze superiori ai sette metri, ma ogni sei chilometri di acquitrino possono assorbire acqua a sufficienza ad abbatterla di 35 cm. La pianura acquitrinosa attorno a New Orleans è ancora una spugna viva, una miscela in costante cambiamento di basse acque dolci, verdi erbe di palude e cipressi ricoperti da muschio spagnolo. Ma quando insieme a Penland raggiungiamo la metà strada verso la costa del golfo, la spugna ci appare seriamente strappata e allagata. Strade isolate su fondo di pietra passano davanti a case mobili ed ex bordelli, lungo zone un tempo bayou, e ora allagate; file di alberi spogli e morti; erbe marce e scure, specchi di acqua morta. Giù a Port Fourchon, dove l’acquitrino risicato infine cede il posto al mare aperto, subsidenza ed erosione appaiono aggressive. L’unica strada da’ accesso solo a un gruppo di desolati edifici di lamiera ondulata, dove convergono le condutture di petrolio e gas naturale da centinaia di pozzi al largo. Innumerevoli piattaforme intrecciano una cupa foresta d’acciaio che cresce dal mare. Per trasportare i materiali le compagnie petrolifere hanno dragato centinaia di chilometri di canali, navigabili e per il passaggio delle condutture, attraverso gli acquitrini della costa e dell’interno. Per ogni taglio si sposta terra, e il traffico di imbarcazioni e le maree erodono stabilmente le rive. La media delle spiagge USA si erode di circa settanta centimetri l’anno, dice Penland, ma qui a Port Fourchon si perdono 12-15 metri l’anno: il ritmo più veloce del paese. La rete dei canali da’ anche all’acqua salata un facile accesso agli acquitrini dell’interno, aumentandone la salinità e uccidendo erbe e vegetazione di sottobosco dalle radici. Non resta nessuna pianta a impedire che vento e acqua si portino via il sistema delle zone umide. In uno studio finanziato dalle imprese petrolifere, Penland ha documentato come è questo settore industriale ad aver causato un terzo della perdita di superfici del delta. La Scienza dell’Alligatore I fratelli Duet conoscono di prima mano i vari fattori che accelerano l’erosione dei terreni diversa subsidenza naturale. Toby e Danny, due dei collaboratori locali di Penland lungo la strada, vivono su un sistema galleggiante da 15 metri ancorato al centro di un sistema di acquitrini discontinuo da 35 chilometri quadrati, a circa 30 chilometri a nord-ovest di Port Fourchon. La famiglia ha preso in affitto i terreni dalle compagnie petrolifere, per caccia e pesca, 16 anni fa, quando c’era solo un po’ d’acqua. Ora ce n’è da un metro e mezzo a due e mezzo. Loro filtrano l’acqua piovana per bere, depurano i propri scarichi, catturano il cibo che mangiano, e si guadagnano da vivere ospitando gruppi di pescatori sportivi per battute di una settimana. Ci sono una dozzina di pozzi nello specchio dove Toby ci prende su con la barca. Mentre risaliamo il canale, dice, “Una volta riuscivo a sputare sul fango di tutte e due le rive. Adesso New Orleans a un anno dall’uragano -8/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -9/77 – Antologia di articoli da qui passano le grosse cisterne di petrolio”. Dentro la grande cabina aperta dell’imbarcazione, Danny aggiunge altre misurazioni: “Due anni fa abbiamo affondato nel fango un grosso palo di legno a cui legare la trappola per alligatori, sul fianco di un canale. Sono passato di là l’altro giorno, e la riva del canale si era scostata di quasi sei metri dal palo. Non che conti molto, ad ogni modo. Gli alligatori se ne sono andati. Acqua troppo salata”. Con la palude che scompare, l’unica difesa rimasta del delta sono alcune isole di barriera in disfacimento, che un secolo fa facevano parte della linea di costa. Il mattino successivo io e Penland viaggiamo per un’ora, fino al Louisiana Universities Marine Consortium, avamposto scientifico a Cocodrie, accampamento di studiosi e pescatori sul margine della costa. Da qui, usciamo in mare su una delle imbarcazioni grigie del consorzio. La barca taglia quello che sembra un mare un po’ mosso per 50 minuti, per raggiungere Isles Dernieres (“ le ultime isole” in francese). Ma le onde non sono mai superiori a due metri. L’ampia distesa di acque basse un tempo era ricca di erbe ondeggianti, interrotte a volte da canaletti serpeggianti pieni di gamberetti, molluschi, trote. Penland tocca terra nel fango della baia. Attraversiamo solo un’ottantina di metri di striscia di sabbia spoglia prima di raggiungere l’oceano. Su ogni lato vediamo a distanza emergere altre piccole strisce simili. Sono quello che resta, di quella che un tempo era una grossa e solida isola lussureggiante di mangrovie nere. “Rompeva le onde oceaniche, riduceva gli effetti delle tempeste e manteneva lontana l’acqua salata, così l’acquitrino qui dietro riusciva a prosperare” rimpiange Penland. Ora l’oceano incombe. Le isole barriera litoranee della Louisiana si stanno erodendo più velocemente che nel resto del paese. Milioni di tonnellate di sedimenti un tempo uscivano dalla bocca del Mississippi ogni anno, trascinate dalle correnti verso le isole, a ricostituire ciò che le maree avevano eroso. Ma, in parte a causa degli argini che impediscono al fiume negli ultimi chilometri di muoversi naturalmente, la bocca si è allargata a telescopio sul margine continentale. I sedimenti, semplicemente, cadono dal gradino subacqueo verso l’oceano profondo. Di ritorno a New Orleans il giorno successivo, appare evidente come altre attività umane abbiano peggiorato la situazione. Cliff Mugnier, geodesista alla L.S.U. che collabora a tempo parziale col Genio, ci spiega il perché dal terzo piano del quartier generale del Corpo, un edificio rettangolare di cemento piazzato sull’argine del Mississippi costruito e ricostruito dal Genio per 122 anni. Mugnier racconta che il terreno sotto il delta è fatto di strati di fango: una torba bagnata profonda centinaia di metri, costruita da secoli di piene. Quando il Genio arginò il fiume, città e industria bonificarono ampie superfici di acquitrino, che per decenni erano state considerate terre di nessuno. Fermare le piene ed eliminare l’acqua di superficie, ha consentito alle torbe meno profonde di seccarsi, restringersi e fare New Orleans a un anno dall’uragano -9/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -10/77 – Antologia di articoli subsidenza, accelerando la discesa della città sotto il livello del mare (un processo già in corso, dato che le torbe si restringono naturalmente). Ma non è tutto. Dato che la conca si fa più profonda, si allagherà durante le piogge. Allora il Genio, in collaborazione con il settore Acque e Fogne della città, ha iniziato a scavare una ragnatela di canali per raccogliere l’acqua piovana. L’unico modo di smaltirla era il lago Pontchartrain. Ma dato che il livello medio del lago è superiore di qualche decina di centimetri, si sono dovute costruire stazioni di pompaggio alle bocche dei canali per sollevare l’acqua fino al lago. Le pompe servono ad un’altra funzione critica. Dato che i canali sono, essenzialmente, fossi, raccolgono anche acque dai terreni umidi. Ma se sono a pieno carico, non possono raccogliere acqua durante un temporale. Così la città fa funzionare le pompe regolarmente per risucchiare le infiltrazioni dai canali, il che toglie altri liquidi al terreno, aumentando prosciugamento e subsidenza. “Stiamo aggravando il problema” dice Mugnier. E il genio sta costruendo altri canali, e ampliando le stazioni di pompaggio, perché più sprofonda la città, più si allaga. Nel frattempo, strade corsie e vicoli si affossano, e le case esplodono per rottura delle condotte di gas naturale. Mugnier è anche preoccupato per le parrocchie (enti locali che qui sostituiscono le contee) attorno alla città, che stanno scavando altri canali man mano diventano più popolate. A St. Charles, a ovest, dice “la superficie potrebbe essersi abbassata anche 4 metri”. Paura Gli uomini non possono fermare la subsidenza del Delta, e non possono abbattere gli argini per consentire al fiume di scorrere naturalmente ed esondare, dato che la regione è urbanizzata. L’unica soluzione realistica, su cui concordano la maggior parte di ingegneri e studiosi, è quella di ripristinare i grandi acquitrini così che riescano ad assorbire le maree, e ricollegare le isole barriera litoranee a spezzare le onde e proteggere le recuperate paludi dal mare. Sin dalla fine degli anni ’80 i senatori della Louisiana hanno presentato varie richieste al Congresso per finanziare grandi lavori di ripristino. Ma non sono stati sostenuti da un’azione unitaria. La L.S.U. aveva i suoi modelli idrografici, e il Genio ne aveva altri. Nonostante la concordia sulle soluzioni di massima, la concorrenza abbondava riguardo al tipo di progetti specifici più efficaci. Il Genio talvolta bollava gli appelli accademici contro il disastro a tentativi indiretti di ottenere più finanziamenti per la ricerca. L’accademia più volte ha risposto che l’unica soluzione del Genio per ogni problema sono le ruspe, i movimenti terra, rovesciare cemento senza alcuna razionalità scientifica. Intanto pescatori di ostriche e gamberetti lamentavano che sia i progetti degli accademici che dei genieri avrebbero distrutto le loro zone da pesca. Len Bahr, a capo del Coastal Activities Office del governatore, a Baton New Orleans a un anno dall’uragano -10/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -11/77 – Antologia di articoli Rouge, ha tentato di mettere tutti insieme. Vero appassionato della Louisiana meridionale, Bahr è sopravvissuto a tre governatori, ciascuno con orientamenti diversi. “Questo è un campo dove deve lavorare la scienza” dice. “Ci sono cinque uffici federali e sei agenzie statali con competenze su quanto accade nelle zone umide”. Per tutti gli anni ’90, racconta Bahr con frustrazione, “abbiamo avuto solo 40 milioni di dollari l’anno” dal Congresso, una goccia rispetto al secchio di cui abbiamo bisogno. Anche con le piccole opere e progetti resi possibili da questi finanziamenti, gli scienziati della Louisiana prevedono che entro il 2050 le coste dello stato perderanno altri 2.500 chilometri quadrati di paludi e acquitrini: la superficie dello stato del Rhode Island. Poi è arrivato l’uragano Georges nel settembre 1998. I forti venti hanno accumulato una massa d’acqua alta più di cinque metri, più le onde, che ha minacciato di rovesciarsi nel lago Pontchartrain e allagare New Orleans. Era proprio il mostro da cui mettevano in guardia i primi modelli della L.S.U., e puntava dritto sulla città. Per fortuna, un attimo prima che Georges mettesse piede a terra, ha rallentato e deviato di due gradi verso est. L’onda è stata abbattuta da improvvisi caotici venti. Un Grande Piano Scienziati, ingegneri e politici hanno smesso di azzuffarsi, hanno capito che tutto il delta si avvicinava al disastro, e Bahr sostiene che è stata la fifa a metterli d’accordo. Verso la fine del 1998 l’ufficio del governatore, il Dipartimento statale delle Risorse Naturali, l’Agenzia di Protezione Ambientale, il Corpo del Genio, il Fish and Wildlife Service, e le 20 amministrazioni di parrocchia della costa, hanno pubblicato il programma di ripristino delle sponde della Louisiana: Coast 2050. Ma nessuno dei gruppi coinvolti si riconosce interamente nel piano, e se si realizzassero tutti i progetti contenuti il cartellino del prezzo sarebbe di 14 miliardi. “Allora” chiedo, nella sala conferenze al nono piano degli uffici del governatore di Baton Rouge, “datemi la lista breve” dei progetti di Coast 2050 che farebbero la differenza. Ho di fronte Joe Suhayda, direttore alla L.S.U. del Louisiana Water Resources Research Institute, che ha ricostruito i modelli di numerosi eventi atmosferici, e conosce i rappresentanti principali del mondo della scienza, del Genio, dei responsabili per le mergenze cittadine; Vibhas Aravamuthan, che programma i computers della L.S.U. per i modelli; Len Bahr; e il suo vice, Paul Kemp. Tutti hanno partecipato alla redazione di Coast 2050. La primissima cosa in ordine di tempo e di importanza, concordano, è costruire derivazioni del fiume in alcuni punti chiave del Mississippi, per ripristinare le zone umide in via di sparizione. In ciascun punto, il Genio taglia un canale attraverso l’argine sul lato sud, con paratie di controllo che consentano all’acqua dolce e ai sedimenti sospesi di filtrare attraverso zone umide individuate sino al mare. L’acqua potrebbe distruggere le zone delle ostriche, ma se le localizzazioni vengono selezionate con cura, è possibile fare accordi coi proprietari. New Orleans a un anno dall’uragano -11/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -12/77 – Antologia di articoli Ogni ora la Louisiana perde un ettaro di superficie Il secondo passo: ricostruire le isole barriera meridionali, usando più di 500 milioni dimetri cubi di sabbia dalla vicina Ship Shoal. Poi, il Genio dovrebbe tagliare un canale attraverso lo stretto collo del delta, circa a metà. Le navi potrebbero entrare nel fiume da qui, accorciando il viaggio verso i porti dell’interno e risparmiando denaro. Si potrebbe così smettere di dragare la parte meridionale del fiume. La bocca si riempirebbe di sedimenti, iniziando a traboccare verso ovest, mandando sabbia e detriti dentro le correnti parallele alla costa, ad alimentare le isole barriera. Il progetto del canale potrebbe integrarsi in un più ampio piano statale per realizzare un nuovo Millennium Port. Offrirebbe più pescaggio di quello di New Orleans alle grandi navi porta- container. Poi c’è il suo canale principale, il Mississippi River Gulf Outlet (MRGO, pronuncia Mr. Go), che il genio ha dragato nei primi anni ‘60. Questa struttura si è deteriorata terribilmente – dai 150 metri di larghezza originaria agli oltre 600 oggi nei punti più larghi – e lascia entrare una corrente continua di acqua salata che ha ucciso la gran parte delle zone umide che un tempo proteggevano la parte orientale di New Orleans dalle tempeste oceaniche. Se si costruissero il canale o il Millennium Port, il genio potrebbe chiudere Mr. Go. Una crepa nell’armatura del delta, sono i varchi sul margine orientale del lago Pontchartrain dove si collega al golfo. La soluzione ovvia sarebbe quella di costruire delle dighe, come fa l’Olanda per regolare il flusso del Mare del Nord verso l’interno. Ma sarebbe troppo difficile da realizzare. “L’abbiamo proposto nel passato, ed è stato respinto” racconta Bahr. Il costi di realizzazione sarebbero estremamente elevati. L’elenco dei progetti più promettenti di Coast 2050 è solo l’immagine di un piccolo gruppo, naturalmente, ma anche altri importanti esperti concordato sui punti fondamentali. Ivor van Heerden, geologo vice direttore del Centro Uragani alla L.S.U., riconosce che “per riuscire, dobbiamo imitare la natura. Costruire deviazioni e ripristinare le isole barriera è quanto di più vicino si può fare”. Shea Penland in generale è d’accordo, anche se ricorda che il Mississippi potrebbe non portare sedimenti a sufficienza per alimentare tutte le diversioni. Gli sudi del Servizio Geologico condotti da Robert Meade mostrano che la quantità di materiale in sospensione è meno della metà di quanto non fosse prima del 1953, in gran parte deviato dalle dighe lungo il corso del fiume attraverso mezza America. Se non si agisce, un milione di persone potrebbe essere in trappola Per quanto riguarda il Genio, si potrebbe attuare tutto il piano Coast 2050. Il primo progetto realizzato è la diversione di Davis Pond, che dovrebbe diventare operativa alla fine di quest’anno. Il direttore del progetto Al Naomi, trentenne ingegnere del Genio Civile, e Bruce Baird, esperto di biologia e oceanografia, mi accompagnano al cantiere sull’argine meridionale del Mississippi, trenta chilometri a ovest di New Orleans. La New Orleans a un anno dall’uragano -12/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -13/77 – Antologia di articoli struttura ricorda una diga di modeste proporzioni, allineata all’argine. Paratie d’acciaio nella sezione centrale, ciascuna larga abbastanza da farci passare un autobus, si aprono e chiudono per regolare il flusso d’acqua. L’acqua sbocca verso un ampia distesa di ex palude che si estende a sud per un chilometro e mezzo, formando un basso fondale di fiume che si espande lentamente in un acquitrino senza margini. L’impianto devia circa 5.000 metri cubi d’acqua al secondo dal Mississippi, la cui portata totale dopo New Orleans va da meno di 90.000 mc/sec nei periodi di magra a oltre 500.000 durante le piene. Il prelievo dovrebbe consentire di conservare 13.500 ettari di zone umide, aree di allevamento ostriche e da pesca. Il Genio è piuttosto spavaldo riguardo a Davis Pond, per via del successo a Caernarvon, un piccolo impianto sperimentale di deviazione inaugurato nel 1991 vicino a Mr. Go. Al 1995 Caernarvon aveva ripristinato 164 ettari di acquitrino, aumentano i sedimenti e riducendo la salinità attraverso l’acqua dolce. Chi dovrebbe pagare? Il genio sta ingaggiando scienziati per progetti come quello di Davis Pond, un segnale che le varie parti in causa stanno cominciando a lavorare meglio insieme. A Bahr piacerebbe integrare scienza e ingegneria un po’ di più, richiedendo un esame scientifico indipendente dei progetti ingegneristici, prima dell’approvazione statale: necessaria perché il Congresso richiede che lo stato sostenga parte dei costi dei lavori. Se il congresso e il presidente Bush si trovassero di fronte ad una richiesta d’azione unificata, sembrerebbe ragionevole un via libera. Il restauro della costa della Louisiana proteggerebbe le industrie alimentari legate al mare, e le scorte di petrolio e gas naturale. Salverebbe anche le più importanti aree umide d’America, con una audace operazione ambientale. E se non si intraprendesse alcuna azione, il milione di abitanti fuori da New Orleans dovrebbe essere trasferito. L’altro milione dentro la città vivrebbe in fondo a un cratere che affonda, circondato da pareti sempre più alte, intrappolato in una città nello stadio terminale della malattia, dipendente da un continuo pompaggio per rimanere in vita. Finanziare la ricerca e le opere di cui c’è bisogno, farebbe anche scoprire metodi migliori per tutelare le zone umide del paese in via di estinzione, e insieme i delta in crisi del pianeta. Migliorerebbe la comprensione della natura e dei suoi fenomeni di lungo respiro da parte dell’umanità: e i rischi di interferire, anche quando lo si fa con buone intenzioni. Potrebbe aiutare i governi ad apprendere come ridurre al minimo i danni dall’aumento dei livelli del mare, dagli eventi atmosferici violenti, in un’epoca per cui lo U.S. National Oceanic and Atmospheric Administration prevede tempeste di forte intensità a causa del mutamento climatico. A Walter Maestri non piace questa prospettiva. Quando Allison, la prima tempesta tropicale della stagione degli uragani 2001, ha scaricato tredici centimetri di pioggia al giorno su New Orleans per una settimana in New Orleans a un anno dall’uragano -13/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -14/77 – Antologia di articoli giugno, sono andati quasi al massimo delle possibilità i sistemi di pompaggio. Maestri ha passato le notti nel suo bunker di comando a prova di alluvione costruito sottoterra per proteggerlo dalle raffiche di vento; da lì comunicava con la polizia, le squadre di emergenza, i pompieri e la Guardia Nazionale. Era solo pioggia, eppure metteva in allarme le squadre di intervento. “Qualunque grossa quantità d’acqua, qui è una minaccia pericolosa” dice. “Anche se devo prepararmi, non voglio nemmeno pensare alla perdita di vite umane che potrebbe causare un grosso uragano”. Maria Teresa Cometto, Il geofisico Jacobs: «Non ricostruite la città, fra 100 anni non ci sarà più» Previsioni nefaste; se gli uomini non cambiano qualcosa di sostanziale. Da il Corriere della sera del 1 settembre 2005 L'allarme lanciato dall'esperto di disastri naturali: più alti sono gli argini artificiali, più terribile sarà la prossima inondazione. Il livello dell'oceano continuerà a salire NEW YORK — New Orleans è destinata a morire. Fra 100 anni probabilmente non esisterà più e ricostruirla significa buttare miliardi di dollari in un buco nero. L'allarme viene da Klaus Jacob, scienziato geofisico dell'Earth Institute della Columbia University di New York, esperto di disastri naturali e del loro impatto sulle aree urbane. Era prevedibile quello che è successo? «E' stato un disastro annunciato. Gli esperti avevano messo in guardia da tempo circa i pericoli di quella zona, continuamente minacciata di allagamento dall'oceano, dal Mississippi e dal lago Pontchartrain». E allora come mai viene in mente di sviluppare una città così popolosa in un'area così vulnerabile? «Un fattore importante è la pressione degli interessi economici di breve termine: il petrolio, la pesca, il turismo. Ma Madre Natura non perdona. Se qualcosa si può imparare da questo disastro, è la necessità di valutare realmente nel lungo termine i rischi naturali». Ma non si tratta di minacce esistenti da sempre, da prima della nascita di New Orleans? «Sì, ma possono essere state peggiorate dal surriscaldamento della Terra. In origine, per i primi abitanti di New Orleans, ha avuto senso insediarsi in un posto dove la confluenza di fiumi e oceano forniva un ottimo accesso alle zone interne del Nord America. Dal punto di vista economico era un'opportunità molto importante». Che cosa è stato sbagliato? «All'inizio del Ventesimo secolo il Genio militare degli Stati Uniti costruì un intero sistema di argini e pompe per tenere il Mississippi artificialmente in un letto predefinito: una grave violazione del processo naturale delle piene del fiume, che servono proprio per fornire nuova terra agli argini e tenere su il suolo, almeno all'altezza del livello dell'oceano. Non potendo il Mississippi fare il suo lavoro naturale, la terra ha continuato a New Orleans a un anno dall’uragano -14/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -15/77 – Antologia di articoli sprofondare. E alla fine la natura ha ripreso il controllo della situazione». Come valuta il disastro? «Non è stato il peggiore scenario possibile. Se l'occhio dell'uragano avesse colpito la città più a Ovest, i venti dal mare avrebbero spinto le maree dentro la città in modo molto più violento e veloce». Che consigli può dare per la ricostruzione? «Come scienziato, il consiglio sarebbe non ricostruire New Orleans e i suoi sistemi di difesa, perché è solo una questione di tempo: più alti sono gli argini artificiali, più disastrosa sarà la prossima inondazione. Il direttore dei servizi geologici Usa ha detto ad una riunione: "Fra 100 anni New Orleans può non esistere più". Questa è la semplice verità. Certo, dal punto di vista sociale e politico è impossibile accettarla. E così si getteranno un sacco di soldi in un buco nero per ricostruire New Orleans. Del resto ci sono molti posti al mondo dove la gente vive in condizioni precarie: in Italia avete le cittadine attorno al Vesuvio, che un bel mattino si risveglierà e farà il suo dovere, incenerendo tutto». Non può essere raggiunto un compromesso fra verità scientifica e necessità socio-economiche? «A New Orleans può aver senso investire in una ricostruzione con un orizzonte temporale di 50-100 anni, consapevoli che non esiste alcuna muraglia forte abbastanza da respingere per sempre l'invasione delle acque. Il livello dell'oceano continuerà a salire». In che senso questa tendenza è peggiorata dal global warming? «Il surriscaldamento della Terra fa espandere la massa oceanica e dà più forza agli uragani. In futuro, secondo un'ipotesi, gli uragani potranno formarsi sempre più a Nord, arrivando a toccare New York. Tutto ciò che si sta costruendo a Ground Zero potrà essere allagato, con conseguenze catastrofiche». Sara Farolfi, Jeremy Rifkin: «L'avevamo detto, sarà sempre peggio» “Parla l'economista americano e guru dell'economia globale: gli effetti dell'uragano erano stati previsti, Bush ha nascosto la verità e non ha voluto far nulla per evitare tali catastrofi. Ora parliamo seriamente di ambiente”. Da il manifesto del 3 settembre 2005 «Gli Stati Uniti sono stati colpiti dall'effetto serra e non da un semplice uragano. In queste ore la Casa Bianca sta nascondendo all'opinione pubblica mondiale ciò che la comunità scientifica internazionale ha previsto da anni, cioè che il surriscaldamento del pianeta è dovuto allo scellerato modello di sviluppo neoliberista». Non ci sono giustificazioni per la tragedia di New Orleans, secondo Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on economic trends e guru dell'economia globale, ospite di riguardo ieri della platea di «Sbilanciamoci». «L'unica cosa positiva è che finalmente si apre uno spiraglio per discutere seriamente di sostenibilità ambientale». Bush è sotto l'attacco della stampa americana per la gestione New Orleans a un anno dall’uragano -15/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -16/77 – Antologia di articoli dell'«emergenza New Orleans»: gli aiuti sono lenti e, anche se da tempo si sapeva del pericolo, nulla è stato fatto. Nei 35 anni trascorsi a Washington, non ho mai visto un presidente gestire una crisi nazionale di tali dimensioni in questo modo. La cosa incredibile è che si ostina a non volere realizzare il problema. E mi lasci dire che il problema a New Orleans viene da lontano. Il fatto è che da anni tutti sapevano quello che sarebbe potuto accadere, dal governo federale alla città di New Orleans, e nessuno ha preso le misure necessarie. Anche ora, tutti si preoccupano della ricostruzione e nessuno pensa al fatto che potrebbe accadere di nuovo, con conseguenze sempre peggiori. Il vero nome di Katrina, e della maggior parte dei cicloni che hanno investito la costa del Golfo, è «global warming». Si parla di una sfortunata calamità naturale, e non si vuole riconoscere che questo è un prodotto dell'uomo. Si può anche costruire un muro di protezione per la costa del Golfo, e ci vorrebbero anni, ma non servirebbe a nulla di fronte a un'altra furia così devastante. Crede che, nella cattiva gestione della tragedia, c'entri anche il fatto che New Orleans è una «città di neri»? No, non credo. Quello che però il governo avrebbe dovuto sapere è che New Orleans è una città anche molto povera e che i poveri, bianchi o neri che siano, molto difficilmente avrebbero potuto trovare facilmente il modo di scappare o un posto dove rifugiarsi. Non è una questione di razza, ma una questione sociale. E mi riferisco anche alle persone con handicap, gli invalidi e gli anziani. Ma anche gli animali, che non vengono mai considerati nei piani di evacuazione. E' ora che iniziamo a preoccuparci del nostro mondo e il modo migliore di farlo è cominciare a occuparci della questione «effetto serra». Ben Bernanke, uno dei consiglieri economici di Bush, ha parlato nei giorni scorsi dell'uso di fonti di energia alternative come unico rimedio all'impennata dei prezzi del petrolio. Si è trattato di una presa d'atto tardiva o solo di un modo di prendere tempo? Katrina ha messo in allarme, e l'unico aspetto positivo è che ora, per la prima volta negli Usa, si apre uno spiraglio per ripensare alle fonti di energia rinnovabile. Ci vorranno almeno 25 anni, anche se si mobilitassero tutti i capitali finanziari del mondo, ma bisogna cominciare ora. Basta con il petrolio, bisogna cercare una strada alternativa alla produzione di energia. Il barile è sopra i 70 dollari, e sembra definitivamente tramontata l'era del «petrolio facile». Tre anni fa, in un libro, ho scritto che i prezzi del petrolio sarebbero saliti oltre i 50 dollari al barile. Superata la soglia dei 70, ora si va verso i 100 dollari. I prezzi sono destinati ad impennare e noi dovremo fronteggiare la possibilità di un rallentamento dell'economia mondiale. E anche quella di cataclismi geopolitici perché l'instabilità in Medio Oriente, in Venezuela e in Africa ad esempio, è un fatto evidente a tutti. Credo che, insieme all'11 settembre, questo sia uno dei momenti più drammatici che stiamo New Orleans a un anno dall’uragano -16/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -17/77 – Antologia di articoli vivendo, per gli effetti che avrà sulla nostra società. Ha parlato più volte dell'idrogeno come della fonte di energia rinnovabile da perseguire. Ma, a differenza del petrolio, l'idrogeno non è un bene naturale. E poi in America c'è il problema dei consumi record di carburante... L'idrogeno necessita di essere estratto da qualcos'altro. Si può estrarre dal petrolio, dal gas naturale, ma così si rimane sempre nel campo del petrolio. La cosa migliore sarebbe utilizzare fonti di energia rinnovabile, come quella solare, quella eolica o geotermica. Poi c'è il mercato: il 52% dei veicoli del mio paese sono Suv, e gli americani non possono permettersi che nessuno li compri. Sono le macchine a cui sono abituati e ora diventa difficile usarle per il prezzo della benzina, e anche venderle, perché nessuno le comprerebbe. Adesso stiamo imparando sulla nostra pelle tutto quello che non abbiamo fatto finora: non abbiamo risparmiato energia, non abbiamo usato energie rinnovabili, non abbiamo tassato la benzina, non abbiamo firmato gli accordi di Kyoto. Non abbiamo nessuno da incolpare. Noi siamo responsabili di New Orleans, e con noi la nostra classe politica. Eugenio Scalari, L’America che vive con l’Africa in casa “La verità è che gli imperi non sono compatibili con la democrazia”. Da la Repubblica del 4 settembre 2005 SAREBBE un grave errore e un’insopportabile manifestazione di faziosità prendere occasione dal disastro della Louisiana per dare sfogo a sentimenti antiamericani o anche a critiche settarie all’imprevidenza e alla disorganizzazione dell’amministrazione di George W. Bush. I devoti dell’infallibilità del presidente, più rumorosi in Italia che in qualunque altro paese d’Europa, tuonano da sei giorni contro quest’inesistente fiammata antiamericana della quale non v’è traccia alcuna. Tuonano contro un bersaglio che non c’è, ma quel cannoneggiamento ha tuttavia un senso: serve ad impedire una riflessione pacata su alcuni problemi di fondo che interessano non solo l’America, ma anche l’Europa e tutto il grande universo mentale che chiamiamo Occidente, cultura e politica liberal-democratica, solidarietà, eguaglianza degli individui e delle comunità di fronte alla legge, di fronte al mercato, di fronte al potere ovunque collocato e gestito. Serve anche, quel cannoneggiamento preventivo apparentemente privo di bersaglio, a "tentar di" evitare una domanda-chiave che domina dal 1989 il panorama internazionale e cioè la compatibilità di un Impero con il mondo del XXI secolo, con lo stato di diritto, con la globalità della tecnologia, con la convivenza sempre più difficile tra la ricchezza e la povertà. Eppure quella domanda si è posta e si ripropone con una forza pari all’uragano Katrina che ha seminato morte e rovine su tutta la costa New Orleans a un anno dall’uragano -17/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -18/77 – Antologia di articoli americana che si affaccia sul golfo del Messico. Questa catastrofe naturale, oltre a scoperchiare migliaia di case, ha messo sotto gli occhi dell’America e del mondo intero una realtà sociale di disuguaglianza estrema, di degrado estremo, di rabbia e frustrazione diffuse tra le moltitudini di colore degli Stati americani del sud e dei ghetti urbani del nord e dell’ovest. Ha messo in evidenza la fragilità profonda del paese-guida dell’Occidente e dei valori che vuole esportare e dei quali si ritiene depositario ma che risultano vistosamente traditi e assenti in casa propria ad un secolo e mezzo di distanza dalla guerra di secessione. Gli Stati Uniti d’America sono un grande e generoso paese verso il quale l’Europa ha debiti inestinguibili come altrettanto inestinguibili sono i debiti dell’America verso di noi. Sono, al tempo stesso, la più grande potenza economica, tecnologica e militare del mondo, almeno per ora e sicuramente per i prossimi cinquant’anni. L’impero americano, la "pax" americana, sono una comprensibile tentazione. Comprensibile quanto rovinosa. Almeno metà del popolo americano ne è perfettamente consapevole, ma il terrorismo internazionale con la sua criminale strategia l’ha resa impotente. Il terrorismo internazionale ha temuto che George W. Bush perdesse il potere, non ottenesse il suo secondo mandato. Il terrorismo internazionale vuole che l’America sia sedotta dal fantasma dell’Impero, dedichi ad esso tutta la sua attenzione, la sua strategia, le sue risorse, contrapponga il dio cristiano al dio dell’Islam, arruoli un esercito di colore contro promesse di cittadinanza e di benefici giudiziari. Questo vuole il terrorismo internazionale, per poter diffondere l’antiamericanismo in tutto il mondo povero, per sollevare le periferie povere del mondo contro il privilegio della ricchezza e del potere. L’uragano Katrina non è certo colpa di Bush, ma mette a nudo una realtà che conoscevamo sui libri e nei film ma non avevamo ancora mai visto in queste dimensioni con gli occhi impietosi della televisione. L’America salvò Berlino dal blocco sovietico attraverso il più gigantesco ponte aereo che in quarantott’ore e poi per alcuni mesi tenne in vita centinaia di migliaia di persone altrimenti isolate dal resto del mondo. L’America ha trasportato in poche settimane un’armata di centinaia di migliaia di soldati in Arabia per la prima guerra del Golfo. Altrettanto ha fatto undici anni dopo per l’invasione dell’Iraq. L’America nel 1969 portò la sua bandiera sulla luna. Ma sei giorni dopo la catastrofe di Katrina non è ancora riuscita a seppellire i morti di New Orleans, a domare i saccheggi, a sgombrare decine di migliaia di persone abbandonate in un’immensa palude, a far arrivare viveri e medicinali. Ancora ieri il sindaco della città imprecava, piangeva, implorava e bestemmiava di fronte alle telecamere denunciando il caos e l’abbandono. Metà della polizia urbana scomparsa, dileguata, liquefatta, niente autobus, niente soccorsi. «Requisite gli New Orleans a un anno dall’uragano -18/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -19/77 – Antologia di articoli autobus, mandatemi la Guardia Nazionale, se non l’avete mandatemi i caschi blu della fottuta Onu, mobilitate tutti gli elicotteri. Siamo sott’acqua da sei giorni, quanto ancora dobbiamo aspettare?». È un’invenzione dei giornali antiamericani? Delle tv antiamericane? Del New York Times, del Los Angeles Time, del Washington Post, di tutta la stampa americana convertita improvvisamente al partito antiamericano? Oppure il dio degli eserciti assiste solo i combattenti ma non i volontari della Protezione civile? *** La verità è che gli imperi non sono compatibili con la democrazia. Deformano la democrazia. Ne concedono il simulacro soltanto a chi faccia atto di sottomissione all’impero e debbono mantenere quel simulacro ponendovi a guardia eserciti permanenti e necessariamente mercenari. Considerando barbari i popoli che vivono fuori dai confini dell’impero e quelli che, dentro quei confini, non accettano i mores e non pagano il tributo dovuto al centro dell’impero. La storia è piena di esempi e non se ne conoscono eccezioni, da Cesare a Napoleone, passando per Filippo di Spagna, per la Compagnia delle Indie, per le colonie inglesi, olandesi, portoghesi, francesi, belghe, tedesche. Per l’impero ottomano. Per la dominazione russa sulle terre del Caucaso e dell’Asia centrale. Per l’impero asburgico. Roma non fa eccezione: dalla dinastia Giulio-Claudia fino agli Antonini la guerra ai confini e la repressione dentro i confini fu una costante che accompagnò l’espansione. Poi cominciò il declino. Erano tollerantissimi con gli altri culti, ma non con chi rifiutava il culto alla divinità dell’imperatore. La democrazia negli imperi, quelli antichi ma anche quelli moderni, è stata un lusso riservato ai cittadini di serie A. La libertà privata è stata ampia dentro i confini, ma quella politica è stata di fatto azzerata. Azzerato l’autogoverno. Imbrigliata l’opposizione. Bisogna dunque maneggiare con estrema cautela il concetto e la pratica dell’impero. Bisogna esser consapevoli che la disparità delle ricchezze inocula virus terribili, tra i quali predomina quello del fanatismo. Dal fanatismo al terrorismo il passo è brevissimo. Il nazionalismo militarista è sempre servito a esportare fuori dai confini i problemi che all’interno non si sapevano o non si volevano risolvere. Il nazionalismo militarista applicato su scala imperiale moltiplica all’ennesima potenza la gravità e l’insolubilità di quei problemi. Tutto ciò detto, oggi bisognerebbe che il mondo benestante desse una mano alla benestante America per aiutarla a ricostruire New Orleans. Perfino Fidel Castro si è quotato malgrado l’embargo che pesa su Cuba. Siamo tutti louisiani, non è vero? Ma risolvere il problema delle terribili diseguaglianze della società americana e soprattutto afro-americana non può essere certo compito dell’Europa. Gli amici dell’America possono soltanto segnalarne la gravità. L’America vive in tutti i sensi con l’Africa in casa. Ma non sembra che questa situazione rappresenti una priorità per la classe dirigente New Orleans a un anno dall’uragano -19/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -20/77 – Antologia di articoli americana. Questa trascuranza, essa sì, preoccupa fortemente i veri amici dell’America. Bennet Drake, La città del futuro (ricostruire New Orleans?) Idee radicali e ambiziose, per New Orleans distrutta dall'uragano. Boston Globe, 5 settembre 2005 (f.b.) Titolo originale: The city that will be – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini Trent’anni fa, nel loro libro Tremila anni di sviluppo urbano, gli storici Tertius Chandler e Gerald Fox avevano calcolato che, fra tutte le città alluvionate, bruciate, saccheggiate rase a terra da un terremoto, sepolte dalla lava, o in un modo o nell’altro distrutte – fra 1100 e 1800 in tutto il mondo – solo qualche decina era stata abbandonata per sempre. In altre parole, le città tendono ad essere ricostruite, sempre. Ci hanno assicurato che accadrà così anche per New Orleans. Abitanti e amministratori – e insieme a loro gli abitanti e amministratori di tutta la costa della Louisiana e del Mississippi – hanno promesso di tornare e ricostruire, e il governo federale ha promesso di sostenerli. “La grande città di New Orleans sarà di nuovo in piedi”, ha detto il presidente Bush mercoledì. “E l’America sarà più forte per questo”. Ma, dopo quello che si presenta come uno sforzo erculeo di pulizia, come apparirà New Orleans? Quanto assomiglierà a sé stessa prima del diluvio? La risposta facile è che, ora come ora, non lo sa nessuno. Con tutti concentrati sui soccorsi agli abitanti sfollati e per il ristabilimento di un minimo di ordine, con poche idee di cosa si troverà quando le acque defluiranno, e con la città che probabilmente resterà inabitabile per molti mesi a venire, è comprensibile che molti funzionari abbiano detto poco riguardo al futuro non immediato. Eppure, secondo Paul Farmer, direttore esecutivo della American Planning Association (APA), una volta che le persone ritornano nelle città devastate “c’è spesso una corsa alla ricostruzione troppo rapida”, senza tante discussioni su cosa esattamente vada costruito. E il dibattito, quando arriva, è aspro. “Ci sono miriadi di soggetti interessati, da abitanti e proprietari immobiliari, ad amministratori locali e statali, ad interessi economici vari” dice Jerold Kayden, co-presidente del Department of Urban Planning and Design alla Graduate School of Design di Harvard. Che tipo di piano generale emerge da questo intrico di interessi nessuno può immaginarlo, ma è possibile anche da ora avere un’idea delle possibilità. Il fatto che alcune di esse siano piuttosto radicali, serve solo a ricordare meglio – se ce ne fosse bisogno – la difficoltà di costruire una New Orleans più sicura. Anche se nessuno vuole parlare del caso di New Orleans in termini diversi New Orleans a un anno dall’uragano -20/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -21/77 – Antologia di articoli da quelli di una tragedia epica, architetti e urbanisti concordano sul fatto che, dal punto di vista storico, le devastazioni spesso hanno creato un varco alla possibilità di affrontare problemi strutturali profondi e antichi. Dopo il grande incendio di Chicago del 1871, per esempio, la città fu trasformata da un’edificazione prevalentemente in legno a una (molto meno infiammabile) in mattoni. “Ci fu un radicale mutamento culturale nella progettazione edilizia” sostiene James Schwab, ricercatore dell’APA specializzato in ricostruzione dopo eventi calamitosi, “una determinazione a far sì che, se non si vuole che le cose che non si desiderano accadano ancora, occorre un profondo mutamento nel modo di agire”. Nel caso di New Orleans, l’idea forse più provocatoria è che la città, o almeno parte della città, sia spostata verso una localizzazione meno precaria. Il portavoce della Camera Dennis Hastert ha provocato furori suggerendo, in un intervento su un giornale locale di Chicago, che non aveva senso spendere miliardi per ricostruire New Orleans ancora sotto il livello del mare, ma i pianificatori continuano a dire che è davvero qualcosa a cui val la pena di pensare. Per dirla con David Godschalk, professore emerito di pianificazione urbana e regionale alla University of North Carolina, “La domanda da un milione di dollari in questo caso, è se ricostruirla dove sta, oppure no. Il fatto è che in primo luogo lì non si sarebbe dovuto costruire niente, cosa ora piuttosto chiara”. Kayden crede che il muovere o meno la città dipenda in parte da quanto di essa resterà dopo l’alluvione: “Spero che ci sarà ancora parecchio tessuto urbano al suo posto, ma se non è così – se ci sarà una tabula rasa, se ci saranno enormi spazi inutilizzabili – allora cosa ci sarà da ricostruire? Perché farlo sotto il livello del mare?” I particolari di un progetto del genere sarebbero diabolicamente complessi, e solleverebbero questioni che vanno da quelle pratiche (dove la mettiamo?) ad un livello quasi filosofico (sarebbe ancora la stessa città?). Lawrence Vale, direttore del Department of Urban Studies and Planning al MIT, e tra i curatori del recente libro The Resilient City: How Modern Cities Recover from Disaster (Oxford), vede parecchie questioni di carattere economico e politico che renderebbero contraddittorio il dibattito sulla proposta. “Ho la sensazione che la quantità di persone che solleverebbe obiezioni, sarebbe direttamente proporzionale alla loro distanza da New Orleans” dice. “L’insieme delle quantità di investimenti finanziari già presenti in città, e di quelle di attaccamento emotivo al luogo, rende davvero molto difficile pensare di muovere la città”. Forse ancora più ambiziosa, la possibilità di spostare semplicemente il fiume. Per dirla con Godschalk “Potremmo pensare a riorientare il Mississippi, uno dei fattori che ha fatto precipitare la situazione”. Anche se suona fantastico, il fatto è che oggi il fiume scorre dentro a New Orleans grazie a un sistema assiduamente mantenuto di dighe a monte e argini. Il fiume ha cambiato percorso parecchie volte nella sua esistenza, ed è solo per via di un massiccio sforzo ingegneristico che non ha cambiato New Orleans a un anno dall’uragano -21/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -22/77 – Antologia di articoli direzione cinquant’anni fa, fissandosi all’attuale letto. Naturalmente, anche se un’opera del genere dovesse essere considerata fattibile, i costi finanziari e sociali sarebbero inimmaginabili e complessi. Ci sono interi insediamenti urbani e industriali cresciuti lungo il fiume. Godschalk ammette subito l’enormità dei processi di negoziazione necessari: “Che dovremo fare di tutte le proprietà, di singoli e imprese, padroni di casa e via dicendo? Come è possibile risarcire tutta questa gente?” Un’altra idea sul versante del fiume viene da un programma della Harvard Graduate School of Design coordinato da Joan Busquets, professore già impegnato nell’ufficio pianificazione di Barcellona negli anni di riorganizzazione della città per le Olimpiadi del 1988. Questa primavera, il gruppo di studenti di architettura di Busquets ha studiato modi per rivitalizzare New Orleans, che anche prima di Katrina era una città economicamente depressa. La soluzione trovata è stata di concentrare gli interventi sui docklands lungo il Mississippi. Guardando all’esempio di Rotterdam, altra città porto sotto il livello del mare (e in un paese che è stato in gran parte sottratto al mare), si è ipotizzato che New Orleans spostasse la gran parte delle proprie derelitte attività navali ai margini esterni della città, trasformando la zona – che comprende alcune delle località a livello più elevato – in un distretto commerciale e residenziale. Ora, dopo Katrina, sostiene Busquets, il nuovo intervento potrebbe assorbire molti degli abitanti delle zone più basse e vulnerabili, che potrebbero essere abbandonate a fungere da fascia di interposizione per gli allagamenti, ripristinando in parte la logica originaria dell’insediamento urbano. “Per decenni o secoli – spiega Busquets – la città ha scelto sempre i terreni più elevati da adibire a residenza. Quelli più bassi erano scarichi in caso di forti piogge”. Ci sono anche aggiustamenti con minori trasformazioni, che potrebbero aiutare in qualche modo. “Una delle cose che si usa spesso nei terreni alluvionali costieri è l’edificazione rialzata” dice Schwab. “Semplicemente, lasciare i piani bassi vuoti, così che l’acqua possa passare senza toccare le parti abitate”. In altre parole, si tratterebbe di alzare le abitazioni su palafitte. Si potrebbero usare materiali diversi. “Legno e intonaco non tengono bene” continua Schwab . “Il cemento lavora molto meglio”. Modifiche del genere trasformerebbero il carattere architettonico particolare della città, il suo famoso aspetto storico e l’atmosfera. Ma come dice Vale “una città sostenibile deve interagire non solo con la propria storia, ma anche con l’ambiente”. Il modo in cui New Orleans è stata costruita, dopo tutto, non solo ha mancato di proteggerla, ma potrebbe addirittura aver aumentato gli effetti dell’uragano Katrina. A partire dall’inizio del XX secolo, sottolineano gli urbanisti, il prosciugamento e bonifica delle aree umide per l’edificazione, e il fatto di impedire le regolari esondazioni del Mississippi con gli argini, New Orleans a un anno dall’uragano -22/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -23/77 – Antologia di articoli ha privato New Orleans delle difese naturali contro gli uragani. Gli acquitrini aiutano ad assorbire le onde di tempesta, le esondazioni distribuiscono la forza del fiume e lasciano sedimenti che contribuiscono a contrastare l’affondamento costante della città. (red.) Il rimpallo delle colpe Sintesi di fatti e opinioni, a una settimana dall'uragano Katrina. The Economist, 5 settembre 2005 (f.b.) Titolo originale: The blame game – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini L’evacuazione di New Orleans si sta avvicinando al completamento, martedì 5 settembre, sei giorni dopo la rottura degli argini della città bassa a causa dell’uragano Katrina. Uomini della Guardia Nazionale, truppe regolari e forze dei marshals federali – molte delle quali attivate la scorsa settimana dopo le critiche alla lentezza delle operazioni di soccorso – sono arrivate nelle zone più colpite e stanno conducendo ricerche casa per casa dei sopravvissuti. Alcuni residenti, comunque, insistono nel voler rimanere sulle loro proprietà. Con la maggior parte dei sopravvissuti soccorsa, ora il punto centrale si sposta verso i morti a causa della tempesta e dell’alluvione conseguente. Il calcolo ufficiale nei tre stati più colpiti – Louisiana, Mississippi e Alabama – resta ancora ad alcune centinaia. Ma il bilancio finale potrebbe essere di parecchie migliaia. Molti corpi sono affondati nell’acqua, che ancora copre quattro quinti di New Orleans. Ad alcuni soccorritori è stato detto di contrassegnare i corpi sommersi con una boa, e proseguire nelle operazioni. Potrebbero passare molti mesi prima che le acque defluiscano, e anche un anno prima che la città sia pronta ad accogliere chi se ne è andato. Forse 100.000 persone non hanno potuto o voluto lasciare New Orleans, una volta avvisate prima che Katrina colpisse. Decine di migliaia sono finite al rifugio ufficiale dello stadio Superdome, restandoci per giorni, e trasformandolo in un catino di caldo, puzzo e sofferenza. Non molto lontano, altre persone senza casa hanno trovato la strada del centro congressi, diventato rapidamente un secondo rifugio gigante. Entro il fine settimana, questi sfollati sono stati trasportati via in autobus. Circa 20 stati si sono offerti di ospitarli temporaneamente. Ma si sta già verificando tensione negli stati confinanti. In Texas, dove ora si trova la metà circa dei rifugiati da New Orleans, i funzionari dicono di aver difficoltà a reggere. Se il mondo è rimasto addolorato dalle devastazioni di Katrina, è stato poi scioccato dalla crisi di legge e ordine che ne è seguita. I saccheggiatori giravano liberamente per le strade rubando cibo e acqua per la disperazione, ma anche computers, articoli sportivi o armi, per vantaggio personale. Si è parlato di rapine di auto e aggressioni, e ci sono stati aspri scontri fra alcune bande e i pochi proprietari di case e negozi rimasti. New Orleans a un anno dall’uragano -23/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -24/77 – Antologia di articoli Alcuni hanno visto elementi razziali nella tensione sociale, dato che la maggior parte di chi è rimasto era povero, e nero. Anche se New Orleans è stata allagata martedì della scorsa settimana, si è dovuti arrivare a venerdì perché i soccorsi entrassero a regime, con l’arrivo di migliaia di uomini della Guardia Nazionale. Kathleen Blanco, governatore della Louisiana, ha ricordato che essi “sanno sparare per uccidere”, ed entro il fine settimana si era ripristinato l’ordine nella maggior parte della città. Ma tutto il personale addetto ai soccorsi è sottoposto ad una enorme pressione, con molti che lavorano 24 ore su 24; il New York Times cita Edwin Compass, sovrintendente di polizia a New Orleans, che avrebbe dichiarato che almeno 200 dei suoi 1.500 agenti avevano rifiutato di lavorare il sabato. Chi avrebbe dovuto pensarci? Anche se Katrina era una tempesta potente, la quantità di caos e sofferenza che si lascia alle spalle è comunque sorprendente. L’America ha già avuto a che fare con uragani feroci, e la vulnerabilità di New Orleans era ben nota. Così ora molti puntano il dito sia alla risposta di breve periodo che al fallimento delle politiche di lungo termine. Ray Nagin, sindaco di New Orleans, ha mostrato frustrazione crescente nel fine settimana, in particolare nei confronti del governo federale e delle sue conferenze stampa: “Stanno raccontando alla gente una fila di stronzate, divagano e la gente qui sta morendo ... Muovete le chiappe e facciamo qualcosa”. Un presidente George Bush teso ha criticato venerdì il lavoro dei soccorsi, definendolo “inaccettabile”, prima di prendere l’aereo verso la zona colpita a visitare i danni. Più tardi, ha ipotizzato che le amministrazioni locali avessero compiuto errori. Questo gli è valso la minaccia di un pugno sul naso da parte della senatrice della Louisiana Mary Landrieu. Molte delle difficoltà immediate sono comprensibili. Come sottolinea Michael Chertoff, segretario per la sicurezza interna, ci sono stati due disastri. I venti dell’uragano hanno colpito le abitazioni sulla costa del Golfo del Messico, e poco dopo le piogge hanno rotto gli argini, creando così una situazione “dinamica” mentre le autorità reagivano solo al primo problema. Chiudere un buco largo cento metri in un argine con l’acqua che ci passa attraverso è una sfida enorme, per gli ingegneri. Nondimeno, molti americani stanno dando la colpa all’uomo nel posto più alto. Bush avrebbe dovuto recarsi nella regione più in fretta, sostengono i critici (si prevede un secondo viaggio lunedì). Alcuni sostenitori di Bush sono preoccupati perché i problemi coi soccorsi potrebbero danneggiare il presidente in un momento in cui la sua popolarità è già bassa, per via dei problemi con l’Iraq: comunque un sondaggio del Washington Post/ABC, venerdì, ha rilevato che il paese è spaccato in due, col 46% a dire che Bush ha gestito bene la crisi, e il 47% che ha lavorato male. Alcuni incolpano Bush sulla base del fatto che sono alcune delle sue New Orleans a un anno dall’uragano -24/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -25/77 – Antologia di articoli decisioni di lungo periodo ad aver reso più difficile reagire al disastro. La guerra in Iraq, è stato notato, ha diminuito di un terzo la disponibilità di uomini della Guardia Nazionale in Louisiana, Mississippi e Alabama; molti di coloro che sono stanziati in Iraq sono addestrati agli interventi di emergenza. Altri accusano che la guerra ha ristretto il bilancio, causando un rinvio agli anni futuri dei progetti per migliorare gli argini: anche se non è chiaro, se questi progetti avrebbero potuto essere completati in tempo per fermare l’inondazione dopo Katrina. Anche se molti degli errori possono essere attribuiti all’amministrazione Bush, il motivo principale per gli effetti devastanti di Katrina può essere anche cercato in decisioni precedenti, come quella di Jean Baptiste le Moyne de Bienville del 1718, di collocare la città in una posizione tanto precaria, o nei più recenti “miglioramenti” alla navigazione marittima dell’area che hanno danneggiato le zone umide della Louisiana sudorientale. Per la gran parte del XX secolo il governo federale ha interferito col Mississippi, per la navigazione e – ironicamente – per prevenire le inondazioni. Per farlo ha distrutto ampie fasce di acquitrini costieri attorno a New Orleans: una cosa molto gradita ai costruttori di case, ma che ha sottratto alla città gran parte della protezione dalle alluvioni. Ora potrebbe aumentare il consenso per un piano multimiliardario di ripristino delle zone umide, anche se un progetto simile ha incontrato difficoltà in Florida. Ed è preoccupante, che milioni di americani abbiano scelto di vivere in zone rischiose per questo tipo di calamità. Anche se il Congresso ha autorizzato immediatamente un pacchetto da 10,5 miliardi per la ricostruzione, Denny Hastert, portavoce della House of Representatives, ha espresso un dubbio sull’opportunità di spendere grosse quantità di denaro per località esposte come New Orleans (anche se poi ha ritirato quanto detto). Resta comunque da fare una domanda importante, al governo federale e a quelli locali, sugli errori che hanno portato alle distruzioni e al caos di Katrina. Si è dimostrato un’altra volta che le decisioni prese senza dovuta attenzione alle conseguenze si pagano, prima o poi. Gary Strass, Ci sarà da ricostruire qualcosa di più importante degli edifici Ricostruzione di New Orleans e riflessioni un po' facilone sul "genius loci". USA Today, 5 settembre 2005 (f.b.) Titolo originale: More than buildings will have to be rebuilt– Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini “New Orleans ha come risorsa principale la sua tradizione e la sua storia” dice Ari Kelman, una storico che ci ha vissuto due anni e mezzo a fare ricerche per il suo libro del 2003, A River and Its City: The Nature of Landscape in New Orleans. “Questo è un colpo duro”. La gente di fuori conosce Big Easy per il jazz, il Quartiere Francese e la New Orleans a un anno dall’uragano -25/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -26/77 – Antologia di articoli più importante festa del Nord America per il Mardi Gras. Sotto questa fama festaiola, sta una città profondamente influenzata dal colonialismo francese e spagnolo, e dalla cultura afroamericana che si sono intrecciate a formare il tessuto sociale e la psicologia collettiva di New Orleans. ”È il posto più magico del mondo”, dice il nativo di New Orleans e guru delle diete Richard Simmons. Ma ora ci si chiede se questa magia non sia stata spazzata via per sempre. “È tanto radicata nella nostra cultura. Ma ora mi sembra che lo spirito si sia spezzato” racconta il dirigente della CNN Kim Bondy, nativo di New Orleans la cui casa di mattoni a due piani è rimasta gravemente danneggiata dall’alluvione. “La cosa che mi colpisce profondamente, è che queste sono cose che non possono essere ricostruite, non si possono recuperare”. New Orleans ha un’alta percentuale di residenti di lunga data, superiore a quella della maggior parte delle città degli USA. Migliaia sono dispersi, e si teme morti. Ci sono 350.000 abitazioni danneggiate o distrutte, altre migliaia gravemente colpite, proprietà e vite devastate. Nonostante le radici profonde, non è chiaro quanti degli sfollati decideranno di rendere permanente quell’esodo. “Non sono sicuro che la città possa tornare” dice il romanziere nativo della Louisiana James Lee Burke, che ritiene che l’alluvione abbia semplicemente accelerato le lenta spirale in discesa della città, che durava da decenni, di deterioramento sociale fra droghe illegali, criminalità e assenza del governo. Gli storici ricordano che New Orleans si è ripresa da tre epidemie a metà ‘800, quando morirono migliaia di persone, e dall’alluvione del Mississippi del 1927, che ne uccise centinaia. Ma la dimensione del colpo di Katrina non ha precedenti, e potrebbe cambiare per sempre l’immagine della città a gli occhi di residenti e turisti. ”New Orleans ha la fama di posto divertente” dice lo psicologo Robert Butterworth. “Le immagini di migliaia di persone in grande difficoltà, non aiutano in questo senso l’immagine della città”. Ma, come Simmons, altri esprimono speranza per una rinascita di New Orleans. Potrebbe anche rinascere più forte” pensa il commentatore politico James Carville, noto come il CajunInfuriato. “Non ci si dimentica come si suona il saxofono, o come si cucina, o si scrive. E nemmeno come ci si diverte. È tutto ancora qui. Disastri e calamità fanno parte della storia di New Orleans. Anche questo passerà”. New Orleans a un anno dall’uragano -26/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -27/77 – Antologia di articoli Patrick Doherty, Una Fenice che rinasce dal fango Una New Orleans anti-suburbana, comunità modello per gli USA "sostenibili" del nuovo millennio. Dal sito TomPaine Common Sense, 8 settembre 2005 (f.b.) Titolo originale: A Phoenix from the Mud – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini La cosa giusta sostenuta da David Brooks nel suo commento sul New York Times, “ Katrina’s Silver Lining” è che la devastazione di New Orleans offre un’occasione unica – a dire il vero, l’obbligo – di ricostruire questa città americana in modi che riducano la povertà urbana endemica. Ma, quando descrive come ciò debba essere fatto, Brooks rivela il suo vero scopo. Questo rappresentante dell’American Enterprise Institute non è tanto interessato a cambiare la vita della povera gente, quanto lo è a consolidare quei miasmi suburbani essenziali al potere politico conservatore in America. Come? Brooks vuole inserire le persone residenti a New Orleans colpite dalla povertà, e ora sfollate, in vari suburbi middle-class sparsi per il paese: “Nel mondo del post-Katrina, ciò significa dare alle persone che non desiderano tornare a New Orleans il modo di disperdersi in varie zone a ceto medio della nazione”. Ovviamente, questo vuol dire collocarli nei suburbi, dove il loro costo della vita schizzerà alle stelle. In primo luogo, avranno bisogno di automobili. Per comprarsele, e comprare la benzina, avranno bisogno di lavori che offrano di più di quelli per cui sono, presumibilmente, qualificati ora. Se trovano lavoro, magari da Wal-Mart, avranno bisogno di assistenza familiare perché i parenti non abitano più nello stesso quartiere, e magari nemmeno nello stato. Naturalmente saliranno anche i costi per la casa, a meno che queste persone vengano ricollocate dentro a ghetti urbani: vanificando così l’intero programma. Il fatto è, che la povera gente si muove verso i suburbi middle-class in tutti gli Stati Uniti, e la cosa non funziona. Man mano le giovani coppie agiate e i baby-boomers verso la pensione riscoprono la qualità dei quartieri ben progettati ad alta densità nei nostri centri urbani serviti da trasporti pubblici, essi spingono la popolazione più povera verso i suburbi di prima fascia. (Questo, a sua volta, spinge fuori la gente del cento medio, verso sobborghi più esterni, spesso nuovi, aumentando le distanze di pendolarismo, le tensioni nelle famiglie, quelle nei bilanci statali e negli ecosistemi locali). Questa dinamica, talvolta definita gentrification, altre volte rinnovo urbano, in effetti significa spostare povertà e criminalità verso i sobborghi, dove l’assenza di senso comunitario, di parentele, di connessione sociale, rende anche più difficile fronteggiarle. E, chiamatemi cinico, ma dubito fortemente che un programma di migrazione forzata imposto dal governo federale possa offrire occasioni e spazi tali da New Orleans a un anno dall’uragano -27/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -28/77 – Antologia di articoli garantire il successo di questo esperimento. C’è un metodo migliore, e più semplice da mettere in pratica. Invece di consolidare una sperimentazione che dura da cinquant’anni ed è fallita, col sobborgo a bassa densità, la ricostruzione della New Orleans metropolitana dovrebbe essere vista come l’occasione non solo per correggere i problemi causati dalla povertà umana e dalla vulnerabilità fisica della città, ma anche per segnare la strada a tutte le altre realtà metropolitane d’America. Ciò comporta integrare tre concetti all’interno di un piano di riorganizzazione regionale negoziato coi residenti di New Orleans. Il primo concetto è la smart growth. Il secondo è un tipo di insediamento basato sul trasporto collettivo. Il terzo è una produzione di energia diffusa nel territorio. Smart growth significa progettare insediamenti a densità più elevate, per abitanti a redditi misti in modo da rafforzare le famiglie, costruire un senso comunitario e collocare i servizi di necessità quotidiana ad una distanza da casa facilmente percorribile a piedi. Sta accadendo in tutti gli Stati Uniti. L’insediamento pensato per il trasporto collettivo si basa sull’idea che le nuove costruzioni, o le ricostruzioni, si debbano organizzare attorno a trasporti di massa energeticamente efficienti, che aumentano la mobilità metropolitana, riducendo il tempo trascorso in auto (e la correlata dipendenza dal petrolio). Integrare questi due concetti significa una rete di comunità sane, legate da reti di trasporto efficiente e a prezzi ragionevoli, incrementare l’attività commerciale, le possibilità e le scelte in tutta l’area metropolitana. L’ultima idea, della produzione energetica distribuita, è la più innovativa, ma al tempo stesso la più importante dal punto di vista strategico. La produzione energetica diffusa, l’uso di generatori locali più piccoli ad alta efficienza, è in contrasto con l’uso tradizionale di grossi generatori centralizzati, spesso inefficienti e inquinanti. Le tecnologie esistono, e molti edifici terziari nelle zone urbane, o fabbriche high-tech che hanno bisogno di energia altamente affidabile, li utilizzano. Addirittura, New York City ha deliberato che una certa percentuale dei nuovi impianti energetici debba essere distribuita, per ridurre il carico sui sistemi centralizzati man mano aumenta il consumo. L’effetto è di creare un sistema energetico metropolitano più solido, in grado di sostenere cadute locali in modo più efficiente, eliminando al contempo circa un terzo dell’inefficienza dovuta alle perdite durante la trasmissione. Coi prezzi energetici in salita e la minaccia certa di nuovi uragani, efficienza e affidabilità diventano essenziali. La partecipazione locale, sino al livello di quartiere, sarà un fattore critico di questo processo. La ricostruzione post-bellica nei Balcani (in gran parte ignorata nel caso dell’Iraq) ha insegnato nel modo più tragico che senza partecipazione sociale gli sforzi per la ripresa possono prendere direzioni orribilmente sbagliate. Fra le cosiddette “ charrette” sviluppate nei New Orleans a un anno dall’uragano -28/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -29/77 – Antologia di articoli processi di smart growth, e le metodologie di coinvolgimento comunitario delle agenzie umanitarie, i tre elementi per una New Orleans sostenibile possono essere plasmati su misura secondo bisogni, speranze e valori degli abitanti. All’interno di questo processo, il ruolo della politica locale, ora piuttosto scosso, si rafforzerebbe, e l’economia subirebbe un vero boom a causa del lavoro di ricostruzione. Tutto sommato, abbiamo le conoscenze, capacità e tecnologie per collaborare con gli abitanti di New Orleans a trasformare la città, da simbolo dell’America peggiore, a quanto l’America potrebbe diventare. O meglio, avrebbe bisogno di diventare. Quello che non possiamo fare, è di ricostruire semplicemente l’ingiustizia urbana, e il disagio suburbano. Jon E. Hilsenrath, Rimpicciolire New Orleans? Ricostruire New Orleans e paradossi dell’economia: ”Abbiamo obblighi nei confronti delle popolazioni, non dei luoghi”. Wall Street Journal, 15 settembre 2005 (f.b.) Titolo originale: Scaling Back New Orleans – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini Il portavoce Dennis Hastert ha imparato nel modo peggiore i pericoli che si corrono prendendo a calci una città quando è già a terra. Un quotidiano dell’Illinois riferisce che poco dopo l’uragano Katrina abbia detto come New Orleans “poteva essere spianata con le ruspe”, e gli oppositori l’hanno presto zittito con accuse di insensibilità e spietatezza. L’uragano ha mostrato chiaramente come New Orleans ospiti infrastrutture di trasporto ed energetiche vitali per l’economia nazionale. È città ricca di storia, con un ambiente culturale vivace (e festoso) che tutta la nazione tiene in alta considerazione. Ed è la casa di quasi 500.000 persone legate alla propria comunità. Tutti questi, sono argomenti decisivi per stimolare una grande sforzo affinché la città si riprenda velocemente. La storia dimostra, tra l’altro, che le città hanno la forza di reagire dopo le crisi (pensiamo al grande incendio di Chicago più di un secolo fa). Ma alcuni economisti iniziano a chiedersi se Mr. Hastert non abbia in qualche modo colto il segno, sull’essere cauti parlando della ricostruzione di New Orleans, per quanto rozzamente l’abbia espresso. Non sono solo gli svantaggi naturali della città (la cui gran parte sta sotto il livello del mare) a preoccupare gli studiosi. È anche il suo stato economico – povertà crescente, e un esodo di persone e imprese già prima che l’uragano colpisse – e la necessità di evitare nuovi incentivi che possano portare ad uno sviluppo non meno vulnerabile. ”Abbiamo degli obblighi nei confronti della popolazione, non dei luoghi” ha detto Edward Glaeser, professore di Harvard specializzato in economia urbana. “Calcolato quanto costerebbe pro-capite ricostruire New Orleans in tutta la sua gloria precedente, sarebbe molto meglio consegnare a parecchi dei residenti un assegno da 10.000 dollari e un biglietto d’autobus per Houston”. New Orleans a un anno dall’uragano -29/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -30/77 – Antologia di articoli Il paradosso del Buon Samaritano Gli economisti si misurano da anni coi modi di affrontare le conseguenze dei disastri naturali. Gary Becker, economista premio Nobel che insegna all’Università di Chicago, dice che i decisori politici devono prendere in considerazione quello che lui chiama il “paradosso del Buon Samaritano”. L’istinto di chiunque dopo una calamità naturale è quello di soccorrere le vittime. “È difficile per un paese stare lì seduto a guardare gente in condizioni miserabili dopo un disastro”, dice. “Non è auspicabile”. Ma gli aiuti, le promesse di ricostruzione, sono anche un incentivo perché le persone continuino a risiedere in località pericolose. Come Glaeser, anche Becker è favorevole agli aiuti. Ma anche a limitarne gli incentivi perversi. Becker sostiene che qualunque sforzo di ricostruzione dovrebbe essere gestito con mano amorosa ma ferma dal governo, ad esempio con rigidi vincoli urbanistici nelle aree a rischio di alluvione, e con altrettanto rigide norme sulle assicurazioni. E non si tratta del solo premio Nobel che sostiene la cautela nella ricostruzione di New Orleans. “La migliore politica è quella di non consentire la ricostruzione di New Orleans nelle zone dove è possibile l’allagamento” dice Edward Prescott, ricercatore alla Federal Reserve Bank di Minneapolis, famoso per aver utilizzato gli investimenti nelle pianure alluvionate come esempi di politiche di breve termine che invece innescano incentivi di lungo periodo. Richard Posner, giurista conservatore che condivide un sito web con Becker, propone che la città diventi qualcosa come la Williamsburg coloniale: un sito turistico a sé senza una vera città. Naturalmente, ci sono alte probabilità che la città venga comunque ricostruita. Oltre l’inerzia della decisione politica, i vari oppositori non possono non valutare le pressioni delle attività economiche al ritorno, dice Loren Scott, economista a Baton Rouge. Le imprese chimiche, i cantieri navali, le aziende energetiche, hanno enormi investimenti nell’area, privi di valore quando non operativi: “Torneranno molto velocemente” dice. Ma le persone potrebbero non farlo. Secondo i calcoli del censimento, la popolazione di New Orleans è diminuita del 4%, pari a 21.000 unità, fra il 2000 e il 2004, agli attuali 462.000 abitanti. Fra le città più popolose della nazione, l’unica con un declino più pronunciato in quell’arco di tempo è stata Detroit. Circa il 24% delle famiglie di New Orleans vivono al di sotto del livello di povertà secondo il Census Bureau, contro il 9% a livello nazionale. Fuga dalla Città Molti se ne sono andati nei suburbi in cerca di scuole migliori. Anche alcuni grossi investitori se ne sono andati. ExxonMobil, Shell e ChevronTexaco, per esempio, hanno eliminato o spostato centinaia di posti di lavoro verso Houston negli ultimi anni, proseguendo un esodo dalla città che dura da vent’anni. Risultato: anche se il settore energetico New Orleans a un anno dall’uragano -30/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -31/77 – Antologia di articoli sta attraversando una fase di boom, New Orleans non ne ha beneficiato gran che. Nel 2004, i livelli occupazionali nel settore privato in città erano ancora sotto a quelli del 1997. Mr. Glaeser sostiene che ci sono problemi di lungo periodo dietro le difficoltà pre-Katrina. Negli anni ’40 del XIX secolo New Orleans era una delle tre città più popolose, insieme a New York e Philadelphia. A quei tempi, il trasporto via acqua era il modo dominante di spostare persone e merci, e l’economia era in gran parte agricola. I collegamenti col Sud e col Mississippi facevano di New Orleans un polo fondamentale e integrale del commercio. Secondo Glaeser, l’ascesa dei trasporti ferroviari e automobilistici, insieme all’industrializzazione del secolo successivo, hanno cambiato tutto questo e innescato il lungo, lento declino della città. Quelle che oggi crescono più rapidamente, nota, sono posti come Las Vegas o Atlanta, organizzate sullo sprawl suburbano e non circondate dall’acqua. ”New Orleans è un luogo che ha raggiunto il proprio massimo livello economico negli USA 160 anni fa” dice Glaeser. “Certo ora non offriva un grande futuro, alla maggioranza dei propri abitanti”. C’è anche una questione di tempi. Solo due settimane dopo Katrina, città come Baton Rouge o Houston fremono di persone e imprese che tentano di continuare vita e lavoro. Quando il piano di ricostruzione per New Orleans sarà stato steso e attuato, probabilmente migliaia di persone si saranno già stabilite altrove. Come promemoria di quanto lungo – e dibattuto – possa diventare un processo di ricostruzione, resta ancora vuoto, quattro anni dopo l’attacco terroristico su New York dell’11 settembre, lo spazio che era il World Trade: una cicatrice di terreno inedificato. I questi primi giorni di crisi, Washington non sembra orientata verso la circospezione. Lo stanziamento di 62 miliardi per soccorrere le vittime è solo il primo passo di una spesa che potrebbe raggiungere i 200 miliardi. Ma prima di impegnare questi miliardi a rimediare alla tragedia urbana, questi economisti sostengono che i decisori politici dovrebbero pensare meglio alla condizione in cui era New Orleans, ed essere ben certi di non ricacciarcela. Mike Davis, I contractors della ricostruzione New Orleans: dopo la tempesta, l'assalto. Il manifesto, 2 ottobre 2005 (l.t.) La tempesta che ha distrutto New Orleans si è materializzata dai mari tropicali a 125 miglia a largo delle Bahamas. Inizialmente classificata come «depressione tropicale 12» il 23 agosto, rapidamente si è intensificata diventando «tempesta tropicale Katrina»: l'undicesimo uragano cui sia stato assegnato un nome in una delle stagioni più ricche di uragani della storia. Attraversando la Florida e raggiungendo il Golfo del Messico, dove ha vagato per quattro giorni, Katrina ha subito una trasformazione mostruosa e in gran parte inattesa. Distraendo grandi New Orleans a un anno dall’uragano -31/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -32/77 – Antologia di articoli quantitativi di energia dalle acque del Golfo, calde in modo abnorme (tre gradi centigradi sopra la temperatura media di agosto), Katrina è cresciuta improvvisamente diventando uno spaventoso uragano di classe 5, con venti a 290 km/h che alimentavano onde degne di uno tsunami, alte quasi dieci metri. (Come ha poi spiegato Nature, Katrina ha assorbito dal Golfo talmente tanto calore, che «dopo il suo passaggio la temperatura dell'acqua è scesa fortemente, scendendo in alcune regioni da 30 a 26 gradi centigradi»). La mattina di lunedì 29 agosto, quando ha raggiunto la terraferma presso la foce del fiume Mississippi a Plaquemines Parish, Louisiana, Katrina era scesa alla categoria 4 (venti a 210-249 km/h): una ben magra consolazione per gli impianti petroliferi, i bacini ittici e i villaggi cajun che si trovavano sul suo cammino. A Plaquemines, e poi ancora sulla Gulf Coast in Mississippi e Alabama, Katrina ha sconvolto i bayou (zone paludose, ndt) con rabbia irrefrenabile, lasciandosi alle spalle un paesaggio così devastato che pareva una Hiroshima immersa nell'acqua. Un calvario annunciato La morte di New Orleans, naturalmente, era stata predetta. Anzi, nessun disastro della storia americana era stato previsto in anticipo così accuratamente. Il segretario alla sicurezza interna Michael Chertoff ha poi dichiarato che «le dimensioni dell'uragano superavano qualunque cosa il suo Dipartimento potesse prevedere» ma questo, semplicemente, non è vero. Anche se sono stati sorpresi dall'improvvisa trasformazione di Katrina in un uragano gigantesco, gli scienziati avevano la cupa certezza di ciò che New Orleans poteva aspettarsi dall'arrivo di un grande uragano. «La cosa triste - ha detto un ricercatore dopo il passaggio di Katrina - è che l'avevamo previsto al 100%». Sin dalla brutta esperienza dell'uragano Betsy, una tempesta di categoria 2 che nel settembre 1965 inondò molte zone orientali di Orleans Parish, ora nuovamente sommerse da Katrina, la vulnerabilità di New Orleans alle onde create dagli uragani è stata ampiamente studiata e pubblicizzata. Nel 1998, dopo un incontro ravvicinato con l'uragano Georges, la ricerca si è intensificata. Un sofisticato studio computerizzato della Louisiana State University metteva in guardia sulla «virtuale distruzione» della città da parte di un uragano di categoria 4 che si fosse avvicinato da sud-ovest. Gli argini e le barriere di New Orleans sono progettati per resistere solo a un uragano di categoria 3, ma anche questa soglia di protezione si è rivelata illusoria nelle simulazioni al computer fatte lo scorso anno dal genio militare ( Army Corps of Engineers). La continua erosione delle isole della Louisiana meridionale, che costituiscono una barriera, e le paludi dei bayou, (una perdita annuale di fascia costiera stimata in 60-100 chilometri quadrati) fa aumentare l'altezza delle onde che spazzano New Orleans mentre la città stessa, insieme ai suoi argini, sta lentamente affondando. Il risultato è che anche New Orleans a un anno dall’uragano -32/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -33/77 – Antologia di articoli un uragano di categoria tre, pur muovendosi lentamente, oggi inonderebbe gran parte della città. L'amministrazione Bush ha reagito a queste previsioni respingendo le pressanti richieste di maggiore protezione dalle inondazioni: il fondamentale progetto Coast 2005 per recuperare zone paludose di protezione - il risultato di un decennio di ricerche e trattative - è stato accantonato e gli stanziamenti per gli argini, compreso il completamento dei baluardi intorno al Lago Pontchartrain, sono stati ripetutamente tagliati. In parte, questa scelta è stata una conseguenza delle nuove priorità di Washington che hanno compresso il budget del genio militare: un grosso taglio alle tasse per i ricchi, il finanziamento della guerra in Iraq e, ironicamente, i costi di Homeland Security, il Dipartimento per la sicurezza interna. Eppure, senza alcun dubbio, vi è anche un motivo sfacciatamente politico: New Orleans è una città solidamente democratica, è abitata in maggioranza da neri e i suoi elettori frequentemente decidono l'esito delle elezioni statali. Perché un'amministrazione così implacabilmente «di parte» dovrebbe ricompensare questa spina nel fianco autorizzando i 2,5 miliardi di dollari che, secondo le stime del genio militare, sarebbero necessari per costruire intorno a New Orleans un baluardo di protezione da un uragano di categoria 5? I vandali della protezione civile Oltre ad avere finanziato in modo insufficiente il ripristino della fascia costiera e l'edificazione degli argini, la Casa Bianca ha anche vandalizzato la Fema in modo irresponsabile. Sotto la direzione di James Lee Witt (che aveva il rango di membro del governo) la Fema era stata il fiore all'occhiello dell'amministrazione Clinton, guadagnandosi elogi bipartisan per l'efficienza dei suoi interventi di ricerca e soccorso, e per il pronto invio di aiuti federali dopo le inondazioni del fiume Mississippi nel 1993 e il terremoto di Los Angeles nel 1994. Quando però nel 2001 sono subentrati i repubblicani, l'agenzia è stata trattata alla stregua di un territorio nemico: il nuovo direttore Joe M. Allbaugh, ex manager della campagna di Bush, ha bollato l'assistenza nei disastri come un «programma assistenziale sovradimensionato» e ha chiesto agli americani di fare maggiore affidamento sull'Esercito della salvezza ed altri gruppi religiosi. Allbaugh ha puntualmente tagliato molti dei programmi principali che dovevano mitigare l'effetto delle inondazioni e degli uragani. Poi, nel 2003, si è dimesso per diventare un consulente pagato a peso d'oro dalle imprese che aspiravano ad avere contratti in Iraq. (Com'è nel suo stile, recentemente è riapparso in Louisiana come mediatore d'affari per le imprese che mirano ad aggiudicarsi i remunerativi appalti per la ricostruzione dopo il passaggio di Katrina.). Così c'era ogni ragione di preoccupazione, se non di panico, quando domenica 28 agosto Max Mayfield, il direttore del National Hurricane Center di Miami, ha avvertito in video-conferenza il presidente Bush New Orleans a un anno dall’uragano -33/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -34/77 – Antologia di articoli (ancora in vacanza in Texas) e i funzionari di Homeland Security che Katrina avrebbe devastato New Orleans. Eppure il direttore Brown, di fronte alla possibile morte di 100.000 persone, appariva tracotante: «siamo pronti. Ci siamo preparati a questo tipo di disastro per molti anni perché abbiamo sempre saputo di New Orleans...». Ma mentre le acque inghiottivano New Orleans e i suoi sobborghi, era difficile trovare qualcuno che rispondesse al telefono o che assumesse il comando delle operazioni di soccorso. «Un sindaco del mio distretto - ha detto al Wall Street Journal un furibondo deputato repubblicano - ha cercato di ottenere soccorsi per i suoi concittadini, che erano stati colpiti direttamente dall'uragano. Ha telefonato per chiedere aiuto, l'hanno lasciato in attesa per 45 minuti. Alla fine, un burocrate gli ha promesso che avrebbe scritto un promemoria per il suo superiore». Un sindaco fuori uso Anche il municipio di New Orleans avrebbe avuto bisogno dei soccorsi: l'unità di crisi al nono piano è stata fuori uso fin dalle prime fasi dell'emergenza perché non c'era il carburante diesel per il generatore autonomo. Per due giorni, il sindaco Nagin e i suoi collaboratori sono stati completamente tagliati fuori dal mondo esterno per il mancato funzionamento delle linee telefoniche terrestri e dei telefoni cellulari. Questo crollo dell'apparato di comando e controllo della città è sconcertante in considerazione dei 18 milioni di dollari in sovvenzioni federali che la città ha speso a partire dal 2002 in addestramento per affrontare esattamente contingenze di questo tipo. Ancor più misteriosa è stata la relazione tra Nagin e i suoi interlocutori statali e federali. Come il sindaco ha detto sinteticamente in seguito, il piano di emergenza cittadino era «far andare la popolazione in zone più elevate e farle inviare i soccorsi in elicottero dai federali e dallo stato», eppure il responsabile della sicurezza interna di Nagin, il colonnello Terry Ebbert, ha stupito i giornalisti ammettendo che non aveva «mai parlato con la Fema del piano di emergenza statale». In seguito Nagir ha cercato di giustificarsi dicendo che la Fema non aveva distribuito preventivamente aiuti. Com'è inevitabile, molti di coloro che sono stati abbandonati ad annegare nei loro quartieri interpreteranno la negligente incoscienza del municipio nel contesto delle aspre divisioni economiche e razziali che da lungo tempo fanno di New Orleans la città più tragica degli Stati uniti. Non è un segreto che le élite affaristiche di New Orleans e i loro alleati nel Municipio vorrebbero sospingere fuori della città i segmenti più poveri della popolazione, accusati dell'alto tasso di criminalità. Caseggiati adibiti storicamente ad alloggi popolari sono stati demoliti per fare spazio alle case di un ceto più abbiente e a un Wal-Mart. In altri insediamenti popolari, gli inquilini vengono regolarmente sfrattati per atti illeciti futili come la violazione del coprifuoco da parte dei loro figli. L'obiettivo finale sembra quello di trasformare New Orleans in un parco a New Orleans a un anno dall’uragano -34/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -35/77 – Antologia di articoli tema per turisti - una Las Vegas sul Mississippi - nascondendo la povertà cronica nei bayou, nelle aree per roulotte e nelle carceri fuori città. . Piccole pulizie etniche Non sorprende che alcuni sostenitori di una New Orleans più bianca e più sicura vedano in Katrina un piano divino. «Finalmente abbiamo fatto piazza pulita delle case popolari a New Orleans» ha confidato un influente repubblicano della Louisiana ai lobbisti di Washington. «Noi non potevamo farlo, ma Dio lo ha fatto». Similmente, il sindaco Nagin si è vantato delle sue strade vuote e dei suoi quartieri distrutti. «Questa città è per la prima volta libera dalle droghe e dalla violenza, e abbiamo intenzione di mantenerla così». La parziale pulizia etnica di New Orleans sarà un fatto compiuto, senza che le amministrazioni locali e quella federale debbano fare grossi sforzi per dare una casa a prezzi abbordabili alle decine di migliaia di inquilini poveri attualmente dispersi nei rifugi per profughi in tutto il paese. Già si discute sulla possibilità di trasformare alcuni dei quartieri più poveri che sorgono in basso, come Lower Ninth Ward, in bacini di ritenzione idrica per proteggere le zone più ricche della città. Come il Wall Street Journal ha giustamente sottolineato, «questo significherebbe impedire ad alcuni degli abitanti più poveri di New Orleans di fare ritorno nel loro quartiere». L'amministrazione Bush nel frattempo spera di trovare la propria resurrezione in una combinazione di rampante keynesismo fiscale e ingegneria sociale fondamentalista. Naturalmente, l'effetto immediato di Katrina sul Potomac è stato un calo talmente brusco della popolarità del presidente - e, parallelamente, dell'occupazione Usa in Iraq - che la stessa egemonia Repubblicana è improvvisamente apparsa in pericolo. Per la prima volta dagli scontri di Los Angeles del 1992, le questioni poste dai «vecchi Democratici» come la povertà, l'ingiustizia razziale e gli investimenti pubblici si sono momentaneamente imposte al dibattito pubblico, e il Wall Street Journal ha avvisato i repubblicani che devono «tornare all'offensiva politica e intellettuale» prima che qualche liberal alla Ted Kennedy possa riproporre un rimedio stile New Deal, come ad esempio una grossa agenzia federale per il controllo delle inondazioni o il ripristino della fascia costiera lungo la Gulf Coast. Su questa linea, la Heritage Foundation ha ospitato riunioni protrattesi fino a tarda sera in cui ideologi conservatori, quadri del Congresso e fantasmi del passato Repubblicano (come Edwin Meese, ex segretario alla giustizia di Nixon) hanno presentato una strategia per salvare Bush dalle conseguenze nefaste del calo di popolarità della Fema. Jackson Square a New Orleans, illuminata a giorno ma vuota, è diventata il fondale spettrale del discorso che il presidente ha tenuto il 15 dicembre sulla ricostruzione dopo l'uragano. È stata una performance straordinaria. Un laboratorio per il neoliberismo Con aria radiosa, Bush ha promesso ai due milioni di vittime di Katrina New Orleans a un anno dall’uragano -35/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -36/77 – Antologia di articoli che la Casa Bianca si accollerà gran parte delle spese per i danni, stimati in 200 miliardi di dollari: una spesa pubblica in disavanzo talmente alta che avrebbe fatto girare la testa persino a Keynes. (Il presidente sta ancora proponendo un altro grosso taglio delle tasse per i super-ricchi). Bush ha poi corteggiato la sua base politica con un elenco di riforme sociali cui i conservatori aspirano da tempo: buoni per la scuola e per la casa, l'assegnazione alle chiese di un ruolo centrale, una lotteria «per una casa in città», ampie agevolazioni fiscali alle imprese, la creazione di una Gulf Opportunity Zone, e la sospensione di fastidiose norme governative (come i minimi salariali nell'edilizia e le norme ambientali sulle trivellazioni off-shore). Per i conoscitori della «Bush-lingua», il discorso di Jackson Square è stato un momento di squisito déjà vu: promesse simili non erano forse state fatte sulle rive dell'Eufrate? Come ha cinicamente osservato Paul Krugman, la Casa Bianca, avendo tentato di fare dell'Iraq «un laboratorio per le politiche economiche conservatrici» e non essendoci riuscita, può ora fare i suoi esperimenti sui traumatizzati abitanti di Biloxi e di Ninth Ward. Il deputato Mike Pence, un leader del potente Republican Study Group - che ha contribuito a scrivere l'agenda del presidente per la ricostruzione - ha sottolineato che i Repubblicani faranno della devastazione causata dall'uragano un'utopia capitalistica. «Vogliamo fare della Gulf Coast un magnete per la libera impresa. L'ultima cosa che vogliamo, dove un tempo c'era New Orleans, è una città federale ». Significativamente, come ha scritto di recente il New York Times, attualmente il genio militare di New Orleans è guidato dallo stesso personaggio che in precedenza supervisionava i contratti in Iraq. Lower Ninth Ward potrebbe non esistere mai più, ma i proprietari dei bar e dei locali di strip-tease nel quartiere francese stanno già pregustando i guadagni che li attendono, quando i lavoratori della Halliburton, i mercenari della Blackwater e gli ingegneri della Bechtel lasceranno a Bourbon Street i loro stipendi federali. Come si dice nel Vieux Carré e alla Casa Bianca: laissez les bon temps roulez! Nicolai Ourussof, Ce la farà New Orleans, a sopravvivere alla propria rinascita? Contro l'idea di New Orleans ricostruita come "parco a tema" della città tradizionale. New York Times, 20 ottobre 2005 (f.b.) Titolo originale: Can New Orleans survive its rebirth? – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini NEW ORLEANS – L’ottimismo scarseggia da queste parti. E mentre la gente inizia a frugare nelle distruzioni lasciate dall’urgano Katrina, si insinua la sensazione che il colpo finale debba ancora arrivare, e che cancellerà irrevocabilmente il passato della città. Il primo segno premonitore è comparso quando il sindaco C. Ray Nagin ha annunciato che il modello per la rinascita sarebbe stato quello New Orleans a un anno dall’uragano -36/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -37/77 – Antologia di articoli dell’insediamento pseudo-suburbano chiamato River Garden, nel Lower Garden District. La sola idea ha allarmato i conservazionisti, che temono il rifacimento dei quartieri storici in forma di lottizzazioni senza carattere servite da negozi big-box. Più di recente, Nagin ha preso in considerazione la possibilità di sospendere le norme di tutela storica, per rendere New Orleans più invitante per i costruttori: evocando così la possibilità di devastazioni architettoniche e avidità senza limiti. Ma non sono solo politici e costruttori ad avere colpe, qui. Per decenni la mainstream architettonica ha accettato il presupposto che le città possano esistere in un punto fisso del tempo storico. Ne risulta una versione fiabesca della storia, le cui conseguenze potrebbero essere particolarmente gravi per New Orleans, che era già sulla buona strada per diventare un’immagine da cartoline del proprio passato anche prima che l’uragano colpisse. Ora, con la città nelle condizioni più vulnerabili, queste voci minacciano di sovrastare tutte le altre. Un dibattito sulla ricostruzione della Costa del Golfo tenuto di recente in Mississippi [vedi link su Eddyburg a pie’ di pagina n.d.T.] è stato dominato dai sostenitori del New Urbanism, che esprime una visione sentimentale e storicista del funzionamento delle città. Nel frattempo chi sostiene una lettura più complessa della storia urbana – ovvero che comprenda la realtà del XX e XXI secolo oltre al fascino di New Orleans del XIX – rischia di essere relegata ai margini. Il destino che minaccia la città si può verificare a River Garden, il modello futuro preferito dal sindaco. Poche settimane dopo la tempesta, ho attraversato la zona insieme a Wayne Troyer, architetto del luogo che si oppone alla visione del sindaco. Per suggerire alcune caratteristiche da quartiere tradizionale di New Orleans, qui le case sono progettate secondo una miscela di stili. C’è una fila di edifici a schiera su Laurel Street, con le ringhiere di ferro battuto che riprendono molto liberamente quelle del Quartiere Francese. Poco lontano, edifici bifamiliari un po’ più grandi sono modellati sui bungalows tradizionali, con tetti puntuti, portici poco profondi e finestre con persiane decorate a graziose tonalità di rosa, giallo, e azzurro. Si vedono tutti i segni caratteristici di una lottizzazione suburbana convenzionale. I fili del telefono sono invisibili, sepolti, e le case un po’ più distanti una dall’altra delle loro corrispondenti nella New Orleans vera, per lasciar spazio all’ingresso pavimentato per l’auto. La maggior distanza vorrebbe offrire privacy ma fa pensare invece a diffidenza; il percorso per l’auto tiene la gente lontana dalla strada, e coltiva il senso di isolamento. L’indizio più evidente del fatto che siamo entrati in un ambiente surreale, è la vista di carrelli della spesa vuoti in mezzo ai prati. Vengono dal vicino Wal-Mart, che ha da tempo rimpiazzato i negozi locali in tutti gli Stati Uniti. Al giorno d’oggi, gli ubiqui scatoloni e insegne bianco-blu di Wal-Mart rappresentano la nostra ritirata dentro a un mondo sigillato e omogeneizzato. New Orleans a un anno dall’uragano -37/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -38/77 – Antologia di articoli Quello che manca del tutto, da River Garden, sono naturalmente i dettagli sottili della vita quotidiana, che si costruiscono nei decenni, e che pure quel quartiere afferma di avere. A parere di Troyer, l’evidenza più visibile è tutto quel che rimane: cinque solidi edifici di mattoni, unica traccia del quartiere di case popolari St. Thomas Hope, costruito nei primi anni ‘40. Le forme semplici, sormontate da tetti in tegole piatte, rappresentano esattamente il tipo di edilizia pubblica disprezzato dai funzionari pubblici ai nostri giorni. Ma per Troyer e molti altri architetti della sua generazione, le semplici strutture a tre piani, attorno a una piccola core centrale, hanno dimensioni umane che le distinguono dai grossi interventi. Anche coi propri difetti, riflettono un patto sociale – la promessa di una casa decorosa a basso costo per ogni cittadino – infranto molto tempo fa, e che molto probabilmente non sarà certo ricomposto dalla gentrification urbana. E River Garden non rappresenta ancora lo scenario peggiore. Guidando lungo il canale industriale qualche giorno dopo, sono arrivato a Abundance Square, un quartiere residenziale per famiglie a redditi misti. Le strade nude del quartiere incrostate di fango sono fiancheggiate da abitazioni che vorrebbero evocare l’immagine di una comunità tradizionale. Ma qui, il risultato è una formula genericamente suburbana: case col medesimo aspetto a scatola, regolarmente separate dagli accessi per le auto, prati vuoti e un sistema di vie privatizzate. L’argomento a favore di quartieri del genere, naturalmente, sarebbe che New Orleans deve essere ricostruita in fretta, e la formula delle case standardizzate è meglio di niente. È l’argomento delle aspettative troppo modeste, che serve gli interessi dei costruttori e priva la città di tutta la sua vita. Il presupposto è che l’unica alternativa sarebbe quella di non far niente. Ma in realtà, il modo in cui gli architetti pensano alle città si è evoluto per un certo periodo di tempo; la questione è se la città voglia attingere alle risorse intellettuali che ha a disposizione. Stephanie Bruno, per esempio, dirige il progetto Comeback del Preservation Resource Center. Negli ultimi dieci anni il centro ha restaurato case di architettura vernacolare locale del XIX secolo dette shotgun e bungalows creoli nei quartieri più poveri della città. L’intero programma, rara miscela di conservazione e prospettiva sociale, era parte di una strategia più ampia per far risorgere le zone più povere. Legando continuità storica e orgoglio di appartenenza locale, dimostra che la rivitalizzazione urbana non può essere ridotta a formule ottuse. Appena a su della St. Claude Avenue, nella Ninth Ward,molte delle abitazioni restaurate appaiono relativamente intatte dalla strada, anche se sono fortemente danneggiate all’interno. Comunque, molte possono ancora essere salvate, dato che sono costruite in acero, un legno duro che di solito resta intatto anche dopo le inondazioni. Sarà un lavoro difficile, individuare cosa possa essere restaurato. New Orleans a un anno dall’uragano -38/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -39/77 – Antologia di articoli Richiederà il tipo di sostegno pubblico che è diventato una rarità, in un paese che tende a mettere sullo stesso piano interessi privati e benessere collettivo. Quello che la signora Bruno e altri temono di più, è che queste case siano semplicemente spazzate via con le ruspe, come espediente per far spazio a insediamenti di grossa scala come Abundance Square (dopotutto, perché costruire una casa o due quando si può spazzar via un intero quartiere, ricostruirlo, e ammassare profitti enormi?) Anche se si salveranno molte delle umili case shotgun della signora Bruno, i paesaggi urbani del XX secolo molto probabilmente troveranno pochi difensori. Realizzata nel catino a basso livello, la zona di Mid City simboleggia l’abbraccio della modernità. La sua mescolanza di bungalows in stile California case tardo-vittoriane, ora seriamente danneggiate, ha più elementi in comune con gli sterminati paesaggi di Los Angeles che con le immagini romantiche delle radici europee della città. E come tale, probabilmente sarà ignorata dai custodi locali del passato architettonico. Solo per ritenere, magari, che gli stili storici rigidamente compartimentati della città possano essere riproposti entro quartieri interamente ricostruiti, sostenendo così una versione del passato in forma di parco a tema. Senza dubbio grandi parti di New Orleans dovranno essere ricostruite dalle fondamenta. Ma i migliori architetti al lavoro, oggi, probabilmente guarderanno per ispirazione al cavernoso Superdome come alle spirali della Cattedrale di St. Louis. Perché comprendono come le innovazioni della città nel XX secolo – dai bungalows ai canali alle freeways – sono parte integrale della sua identità, tanto quanto l’architettura vernacolare del XIX. Questo ci lascia meglio attrezzati ad affrontare le questioni della New Orleans del XXI secolo. Passato e futuro devono imparare a vivere insieme. Mike Tidwell, Addio New Orleans. Smettiamola di fingere L'amministrazione Bush non ha finanziato il piano di ripristino ambientale della Costa del Golfo. New Orleans può solo aspettare il prossimo uragano, forse quello definitivo. Orion online, 2 dicembre 2005 Titolo originale: Good Bye, New Orleans. It’s time we stopped pretending – Traduzione di Fabrizio Bottini AL NOVANTESIMO GIORNO da quando Katrina ha colpito, è tempo di smetterla con lo stato nazionale di rimozione. In fondo il portavoce della Camera Dennis Hastert l’aveva detta giusta, anche se le sue motivazioni non erano certo impeccabili. Dobbiamo dichiarare partita persa a New Orleans non tanto perché la città non possa essere resa relativamente al sicuro dagli uragani. Questa è una cosa che si può fare. E non perché farlo costi più sforzi di quanto non sia utile. Non è così. Ma perché l’amministrazione Bush ha già dato a New Orleans un sommesso bacio della morte, ora che la vicenda è entrata in un nuovo ciclo. New Orleans a un anno dall’uragano -39/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -40/77 – Antologia di articoli In quanto persona che ha cara New Orleans e conosce molto del suo fascino, mi addolora incommensurabilmente dichiarare questa sconfitta. Non si tratta di un artificio retorico o di un’argomentazione provocatoria per provocare un dibattito di compromesso. Voglio dire esattamente questo: chiudere la città e sbarrare tutto quanto, prima che vadano perse altre migliaia di vite umane. Nelle settimane successive a Katrina, i media americani in qualche modo hanno ricostruito l’immagine di una catastrofe fatta di argini inefficienti e piani di evacuazione falliti. Questa comunicazione del “Cos’è andato storto?” ha comportato autopsie di tutte le dighe danneggiate, e una caccia alle streghe ai responsabili dei fiaschi organizzativi al Superdome e al Convention Center. Ma erano solo sintomi, per quanto orribili, di una malattia molto più estesa. Katrina ha distrutto Big Easy – e le Katrine del futuro faranno altrettanto – non a causa del fallimento dell’ingegneria, ma perché sono scomparsi milioni di ettari di isole costiere e zone umide in Louisiana nello scorso secolo, a causa delle interferenze umane. Terre che servivano da “paraurti di velocità”, a ridurre l’ascesa letale delle ondate negli scorsi uragani, rendendo abitabile New Orleans. Ma mentre incoraggiava i residenti a tornare a casa e dichiarava a beneficio del pubblico televisivo “faremo qualunque cosa sia necessaria” per salvare la città, il presidente all’inizio di questo mese ha formalmente rifiutato di fare l’unica cosa senza la quale New Orleans, semplicemente non può vivere: il ripristino della rete di barriere costiere e zone umide. Sono stati stanziati decine di miliardi di dollari per curare i sintomi – argini danneggiati, insufficienti finanziamenti all’emergenza, ponti e strade distrutti – ma quasi niente per la vera malattia, le terre scomparse, che hanno incanalato l’oceano verso la città. Nessuna quantità di argini o scorta di acqua minerale in bottiglia salverà mai New Orleans, fin quando non sarà ripristinata la barriera lungo la linea di costa dello stato. Solo da dopo la seconda guerra mondiale, fra New Orleans e il Golfo del Messico si è trasformata in acqua una superficie di terre delle dimensioni dello stato del Rhode Island, la maggior parte zone umide. E ogni ettaro di zona umida riduce di qualche centimetro l’altezza delle maree, disperdendo la forza delle tempeste. Detto semplicemente, se Katrina avesse colpito nel 1945 anziché nel 2005, la marea che ha raggiunto New Orleans sarebbe stata di 2-3 metri in meno di quanto avvenuto. Le zone umide e le isole-barriera erano create dal flusso di acque ricco di sedimenti che il Mississippi depositava da migliaia di anni. Ma i moderni argini hanno impedito il flusso naturale, e le zone umide private di sedimenti e nutrimento si sono erose, hanno subito “subsidenza”, e sono state spazzate via. Ogni dieci mesi, anche senza uragani, si trasforma in acqua un’area della Louisiana pari ala superficie di Manhattan. Sono venti ettari al giorno. Un campo da football ogni mezz’ora! New Orleans a un anno dall’uragano -40/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -41/77 – Antologia di articoli C’è un piano da 14 miliardi di dollari per intervenire su questo problema: un piano ampiamente giudicato tecnicamente valido e sostenuto dagli ambientalisti, dalle compagnie petrolifere e dagli operatori della pesca. È sul tavolo da anni ed è stato ripresentato con particolare urgenza dopo che Katrina ha colpito. Ma per ragioni difficili da sondare, quanto letali nei loro effetti, l’amministrazione ha girato le spalle a questo piano. Anziché investire l’equivalente di sei settimane delle spese in Iraq, o il costo del Big Dig di Boston [ un tunnel stradale n.d.T.], dobbiamo prepararci a pagare il prezzo inevitabile di un altro uragano da 200 miliardi di dollari, giusto dietro l’angolo, in Louisiana. Il grande progetto per cambiare tutto questo, comunemente conosciuto come piano Coast 2050, utilizza grosse condotte, pompe e canali organizzati chirurgicamente, per riorientare una grossa porzione dei sedimenti del fiume verso le aree di interposizione costiere senza toccare infrastrutture e insediamenti umani. Il programma ricostituirebbe centinaia di migliaia di ettari di zone umide nel corso del tempo, ripristinando alcune isole-barriera in soli 12 mesi (si calcola che i piani del governo di ricostruzione degli argini possano durare decenni). Tutti concordano sul fatto che il piano funzionerebbe. La National Academy of Sciences solo la scorsa settimana ha confermato la serietà del progetto, sollecitando un’azione urgente. Ma nel secondo e ultimo decreto di spesa per l’emergenza post-Katrina inviato al Congresso l’8 novembre, la Casa Bianca ha liquidato il piano di recupero, con un’incredibile proposta di 250 milioni, invece dei 14 miliardi richiesti. Come è possibile che questa amministrazione, che è stata colta totalmente impreparata dal primo Katrina, non veda le azione che sono ovviamente necessarie a prevenire il prossimo? La mia teoria è che Bush senta la parola “zone umide” e si ritragga in una cieca avversione ideologica per tutto ciò che suona “ambientalista”. Il che spiega forse come mai nei numerosi discorsi pronunciati durante i sei viaggi-immagine nel Golfo dopo Katrina, il Presidente non abbia menzionato neppure una volta in termini isole-barriera o zone umide. Non una volta. ”O non capiscono, o semplicemente non glie ne importa” dice Mark Davis, direttore della Coalition to Restore Coastal Louisiana. “Ma il risultato è lo stesso: altri disastri”. Quindi smettetela con le riparazioni, mettete via scope e seghe. Chiudete le poche attività che hanno riaperto. Lasciate gli argini come stanno e andatevene. Adesso. Tutti. È decisamente poco sicuro abitare lì. Incoraggiare le persone a tornare a New Orleans, come sta facendo Bush, senza finanziare l’unico piano che può salvare la città dal prossimo Big One, significa commettere un omicidio di massa. Se dopo tutte le sofferenze umane e i costi di questa ordalia nazionale, il governo federale non può impegnarsi a spendere l’equivalente del costo di un tunnel dall’aeroporto Logan al centro di Boston, siamo davvero finiti. New Orleans a un anno dall’uragano -41/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -42/77 – Antologia di articoli Chiunque non apprezzi questa notizia – coltivatori che esportano grano dal porto di New Orleans, abitanti del New England che scaldano le proprie case col gas naturale del Golfo, entusiasti della cultura che amano il gergo del French Quarter – può spedire commenti direttamente alla Casa Bianca. Ma non aspettatevi una risposta. Cristopher, Hawthorne, Nella corsa alla ricostruzione, una famiglia litigiosa Secondo il critico di architettura del Los Angeles Times (4 dicembre 2005) in urbanistica vale più la capacità organizzativa delle sole buone idee. Lo dimostra il successo del CNU nella ricostruzione post-Katrina Titolo originale: In the rush to rebuild, a house divided – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini HALEY BARBOUR, governatore del Mississippi, ex presidente del Comitato Nazionale Repubblicano e amico di lunga data di “W.”, scherza coi colleghi sul fatto che sino a poco tempo fa conosceva solo due parole di francese: bonbon e bourbon. Ora, racconta, ne ha imparata una terza: charrette, un termine usato da architetti e urbanisti per descrivere una riunione brainstorming nelle prime fasi di un progetto. Se sembra una parola piuttosto oscura da usare, per un governatore con poco dichiarato interesse verso l’architettura, è anche un’indicazione rivelatrice del modo in cui si sta conformando il processo di ricostruzione post-Katrina. Charrette è un termine gergale amato fra gli architetti legati al Congress for the New Urbanism. E il Congress for the New Urbanism, o CNU, è diventato, con sorprendente rapidità, il gruppo urbanistico di riferimento per i politici della Costa del Golfo. Nello stato di Barbour, i New Urbanists hanno dominato una charrette di una settimana tenuta in ottobre presso il casino Isle of Capri di Biloxi. Guidato dall’architetto di Miami e principale esponente del CNU Andrés Duany, il cosiddetto Mississippi Renewal Forum ha attirato architetti e urbanisti da tutto il paese fedeli alla causa del gruppo. Anche la governatrice della Louisiana Kathleen Babineaux Blanco ha iniziato ad appoggiarsi ai New Urbanists nelle consulenze per la ricostruzione. Questa settimana la neonata Louisiana Recovery Authority ha chiesto a Duany di organizzare una charrette che interessi tutto lo stato, e scelto l’architetto di Berkeley Peter Calthorpe, tra i fondatori del CNU, per sviluppare un piano regionale di lungo termine per le aree devastate dall’inondazione seguita all’uragano. Potreste pensare a questo punto che molti architetti e urbanisti americani siano rincuorati dalla notizia che questi governatori si siano rivolti a professionisti per consigli già in queste prime fasi del processo di ricostruzione. Ma vi sbagliereste. Oh, quanto vi sbagliereste. New Orleans a un anno dall’uragano -42/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -43/77 – Antologia di articoli L’idea che New Urbanists come Duany o Calthorpe possano collaborare a redigere i piani per una nuova Costa del Golfo ha riepito di orrore molti architetti e critici culturali con orientamento di sinistra: rivelando tra l’altro qualcosa sulle ambizioni e ansietà che caratterizzano la professione dell’architetto in questo paese. ”Fra i New Urbanists, Calthorpe si colloca fra i progressisti e pensanti” dice Reed Kroloff, decano della scuola di architettura alla Tulane University ed ex direttore di Architecture. Ma definisce l’incarico a Calthorpe in Louisiana “molto, molto deludente”, e “un segno che l’inera regione è stata consegnata al CNU”. La risposta da parte di altri architetti e critici è stata, per dirla in termini blandi, meno contenuta. Eric Owen Moss, direttore del Southern California Institute of Architecture, ha dichiarato in ottobre al Washington Post che i New Urbanists stavano trovando spazio sulla Costa del Golfo perché il loro programma richiama “un’immagina anacronistica di Mississippi che ammicca ai bei tempi andati del Vecchio Sud, lento equilibrato e arioso, dove ognuno conosceva il proprio ruolo”. Poi ci sono i commenti di Mike Davis, critico che getta benzina sul fuoco a dir poco. Definendo i New Urbanists un “culto architettonico” ha raccontato ai lettori di Mother Jones che durante il Mississippi Renewal Forum, “Duany ha suscitato un fervore revivalistico che deve essere piaciuto a Barbour e altri discendenti degli schiavisti”. I New Urbanists non si sono risparmiati nel rispondere al fuoco. In una lettra a Moss, Stefanos Polyzoides, architetto di Pasadena e altro fondatore del CNU (sembrano essercene dozzine), ha definito le affermazioni di Moss “offensive nel loro pregiudizio ... la sua idea del CNU è al massimo superficiale. E i suoi commenti suonano piuttosto vuoti, venendo dal direttore di una scuola di architettura”. Prosegue: “Se è tentato dall’idea di sostenere un dibattito più ampio su questo argomento, sarò lieto di farlo personalmente e/o di incaricare qualcuno di contattarla, quando e come preferisce”. Se tutto questo clamore è stato molto divertente per gli appassionati del pettegolezzo architettonico, solleva comunque due importanti questioni: cosa c’è nel New Urbanism che rende tanti architetti nervosi, quando non apoplettici? e come a fatto il CNU a riuscire a conquistarsi un caposaldo sulla spiaggia della Costa del Golfo tanto in fretta? La risposta alla seconda domanda, a ben vedere, aiuta a trovare anche quella alla prima. Concetti ampiamente adottati Il Congress for the New Urbanism, fondato nel 1993, promuove obiettivi che ogni architetto può sottoscrivere, almeno in teoria: mettere sotto controllo lo sprawl suburbano, collegare i nuovi insediamenti al trasporto collettivo di massa, rendere i quartieri più abitabili per i pedoni che per le automobili. Il movimento ha avuto sede per lungo tempo a San Francisco, e recentemente ha spostato il quartier generale a Chicago; il presidente e New Orleans a un anno dall’uragano -43/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -44/77 – Antologia di articoli responsabile operativo è John Norquist, già sindaco di Milwaukee dal 1988 al 2003. Se c’è una “bibbia” del movimento, si tratta di Suburban Nation, un libro di cinque anni fa scritto da Duany insieme alla moglie e socia di studio, Elizabeth Plater-Zyberk, e a Jeff Speck. Propone di equilibrare gli effetti malefici dello sprawl con insediamenti che mettano le case più vicine a uffici e trasporti pubblici. Auspica anche un’architettura che rispetti e anche faccia rivivere i suoi precedenti storici. Ed è qui il punto in cui le strade del CNU e dei suoi critici si dividono. I cattivi principali del libro sono gli architetti Modernisti: soprattutto Le Corbusier, che rifiutava i sistemi chiusi e lo squallore, per non parlare delle decorazioni, delle città del XIX secolo (in realtà la sigla CNU è un sarcastico omaggio allo strumento di diffusione culturale del Movimento Moderno, i Congres Internationaux D'architecture Moderne, fondati da Le Corbusier e altri nel 1928). In una serie di manifesti pubblicati negli anni ’20 e ’30 egli celebrava l’avvento dell’auto privata come della forza che avrebbe liberato l’urbanistica. Auspicava anche la realizzazione di torri residenziali sviluppate in altezza, che i leaders del CNU affermano aver condotto ai disastrosi progetti modernisti di housing realizzati negli USA e in Europa negli anni ’50 e ‘60. Un’accusa rinnovata quest’autunno quando i grandi guru di pensiero cercavano una spiegazione alla violenza che ha percorso le città francesi. All’inizio di Suburban Nation, dedicando a Le Corbusier un tipo di critica già proposta in modo molto più convincente ed elegante da Jane Jacobs 40 anni prima, Duany e i suoi coautori usano una citazione particolarmente provocatoria dal manifesto del 1935, Ville Radieuse: ” Le città saranno parte della campagna; abiterò a cinquanta chilometri dal mio ufficio in una direzione, sotto un albero di pino; la mia segretaria abiterà pure a cinquanta chilometri, nell’altra direzione, sotto un altro pino. Avremo entrambi la nostra automobile. Consumeremo pneumatici, superfici stradali, olio e benzina” Gli architetti e accademici dei circoli d’avanguardia, la maggior parte dei quali resta leale ai principi modernisti, hanno denunciato per anni che sotto l’amore dei New Urbanists per gli steccati di legno, i dondoli sotto il portico e i tetti a falde, stesse un’idea di nuova edilizia che deforma l’eredità del movimento moderno, ed è troppo amichevole nei confronti dei costruttori. E in verità, Moss dice di essere rimasto un po’ sorpreso per il clamore provocato dai suoi commenti sulla charrette in Mississippi, perché le sue critiche del New Urbanism sono piuttosto note. Come ha detto Kroloff al NPR in settembre, i New Urbanists “credono che nella tradizione urbanistica USA del XIX secolo stiano la maggior parte, se non tutte, le risposte alla pianificazione del XXI”. A New Orleans, ha aggiunto, il risultato potrebbe essere il tentativo di “ricreare la città natale New Orleans a un anno dall’uragano -44/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -45/77 – Antologia di articoli di nostra nonna, per nessun altro motivo se non che gli americani sono inebetiti dallo storicismo. Amano lo storicismo. Se lasciamo che accada a New Orleans, avremo una versione Disney-ficata, da cartone animato” della città. Tutto quello che si deve fare per capire il livello di questa preoccupazione, è guardare ai risultati nella manciata di insediamenti residenziali realizzati secondo la filosofia New Urbanist. Se si chiede a Leland Speed, operatore immobiliare a capo della Mississippi Development Authority che ha invitato gli esponenti CNU alla riunione di Biloxi, quali complessi New Urbanist veda come modelli per la ricostruzione in Mississippi e New Orleans, vi farà due nomi: New Town a St. Charles, quartiere suburbano fuori St. Louis, e Baldwin Park, Florida. Entrambi soffrono di un esageratamente preziosa progettazione similstorica (la prima immagine che appare sul sito web di New Town a St. Charles è di tre ragazzini angelici che pescano insieme all’estremità di un molo). L’effetto generale è l’america dell’era Eisenhower patinatamente immaginata da Ralph Lauren. Forme architettoniche nostalgiche a parte, non è chiaro come questo tipo di insediamenti aiuti a contenere lo sprawl o a interrompere la storia d’amore tra gli americani e l’auto privata. Costruire quartieri adatti ai pedoni e al trasporto pubblico richiede significativi e dolorosi mutamenti nelle nostre priorità culturali. Ma i progetti New Urbanist non chiedono alcun sacrificio ai loro potenziali acquirenti di case. Quello che entrambi propongono, invece, è l’idea – un’idea che il consumatore americano trova irresistibile – secondo la quale possiamo far tornare indietro l’orologio sino a una cultura di maggiori legami e vicinato, senza rinunciare al garage per tre auto e ad altri lussi poco amici dell’ambiente a cui ci siamo abituati. Anche Barbour può ragionevolmente essere accusato di usare le idee New Urbanist per lanciare un messaggio profondamente ambiguo su come ricostruire il Mississippi. Nell’introduzione al rapporto redatto dagli animatori del Mississippi Renewal Forum, Barbour afferma che lui e altri rappresentanti dello stato “sono obbligati a ricostruire secondo modi tradizionali”. Ma ha anche favorito l’approvazione di una nuova legge statale che consente ai casino che ora occupano le imbarcazioni lungo la riva del Mississippi di spostarsi in sedi più grandi, permanenti, e lucrative sulla terraferma. E non c’è niente di tradizionale in questa azione: c’è stata anche una significativa opposizione fra esponenti religiosi e politici conservatori. È proprio questo tentativo – di stendere una patina di tradizionalismo sopra politiche direttamente a favore delle imprese – che apre i New Urbanists alla spesso emersa critica: letteralmente, essi sono consapevoli complici della cospirazione per uno sviluppo mangiatutto assai meno illuminato di quanto afferma di essere. New Orleans a un anno dall’uragano -45/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -46/77 – Antologia di articoli Un profilo in rapida ascesa Il dibattito sulla crescente influenza dei New Urbanists nell’opera di ricostruzione del dopo Katrina, e il modo in cui ha cominciato a rimbalzare dalla Costa del Golfo a Washington, D.C., sino alla California meridionale, ha ampi sviluppi per l’architettura contemporanea. Arriva in un momento in cui gli architetti all’ultimo grido come Rem Koolhaas o Zaha Hadid godono di un livello di celebrità e riconoscimento pubblico senza precedenti, e pure non sono riusciti ad esercitare alcuna influenza a livello governativo: in particolare in America, nell’ambiente suburbano, coi grossi costruttori. Contemporaneamente i New Urbanists sono stati più abili a diventare i benvenuti a Main Street e nei corridoi del potere: anche se la loro fama, in particolare fra i colleghi architetti giovani e urbani, è precipitata. Nessun gruppo di interesse nel campo dell’architettura attira più critiche del CNU. Ma i suoi principali esponenti sono sempre più in grado di scrollarsi di dosso questo peso, perché hanno preso la decisione calcolata secondo cui tra le persone a cui val la pena far cambiare idea non figurano le élites dell’architettura. ”Il New Urbanism è un approccio multidisciplinare che ha a che fare con l’urbanistica, la gestione delle risorse, i problemi di uso del suolo” racconta Calthorpe. “Quindi il fatto di avere o meno i critici dell’architettura dalla nostra parte, non importa molto”. Resta da vedere, naturalmente, quanta influenza concreta – oltre che retorica – avranno i nuovi urbanisti nella Costa del Golfo. Una possibilità piuttosto realistica, con la quale il CNU non si è confrontato in alcun modo direttamente, è che costruttori e politici utilizzino semplicemente la blandizie del linguaggio new urbanist a giustificare una nuova edificazione senz’anima. E pure, la velocità e disciplina con cui è stata organizzata la charrette in Mississippi offre un caso studio su come architetti e urbanisti possano far sentire le proprie idee al potere: e dovrebbe servire da lezione a chi ha criticato con tanta veemenza le priorità del gruppo. Gli esponenti locali del CNU del Sud, in particolare l’architetto del Mississippi Michael Barranco, sapevano che Speed aveva letto e ammirato Suburban Nation. Barranco ha chiamato Speed meno di due settimane dopo l’uraganooffrendo di organizzare una charrette gestita da architetti e urbanisti CNU. Speed ha accettato immediatamente, raccomandando a sua vaolta i metodo charrette a Jim Barksdale, nativo del Mississippi ed ex CEO Netscape incaricato da Barbour a sopraintendere la ricostruzione nello stato. ”Non avevo mai sentito parlare del New Urbanism” dice Barksdale. “Ma mi fido di Leland. Gli ho detto, ‘Voi ragazzi conoscete queste cose meglio di me. Organizzatevi’. Va ricordato che si tratta solo di uno dei comitati tematici che stiamo tentando di istituire”. New Orleans a un anno dall’uragano -46/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -47/77 – Antologia di articoli Il 20 settembre, Barbour e Barksdale annunciano che il Mississippi Renewal Forum avrà luogo dall’11 al 18 ottobre. Il giorno dopo, Duany invia una dettagliata e-mail ai partecipanti alla charrette, caratterizzata da un tono marziale e che recita all’Oggetto: “ Katrina Notice 8G: General Explanation”. ”La charrette richiederà un’enorme abilità, pazienza, adattabilità” scrive. “Riceverete e stretto giro istruzioni individuali. Per favore controllate spesso la e-mail la prossima settimana, e rispondete in modo efficiente. ... Metteremo a disposizione di tutti materiali da lavoro, carta, tavoli, luci, prolunghe, stampanti. Dovrete comunque portarvi matite, righelli, macchine fotografiche e computers”. Continua: “Sarà un compito difficile ma ci stiamo inconsapevolmente preparando a un’eventualità del genere da molti anni. John Norquist, io e molti altri siamo incredibilmente stimolati dalla prospettiva di essere utili in questo modo. È confortante sapere che nessuna altra organizzazione o singolo studio è neppure lontanamente in grado di farlo”. Qalunque cosa si pensi del programma CNU o dei progetti realizzati sotto questa bandiera, non si può non restare colpiti dalla forza organizzativa dispiegata nel riversarsi entro la breccia urbanistica della Costa del Golfo. Più di ogni altra cosa, questo ricorda il modo in cui gli attivisti Repubblicani hanno surclassato quelli Democratici in alcuni stati chiave delle elezioni presidenziali nel 2004. La charrette di Biloxi, in altre parole, può diventare l’Ohio della élite architettonica: l’occasione in cui guardare impotenti i propri oppositori ideologici prevalere non attraverso ragionamenti e alta teoria o progetti ispirati, ma con una migliore disciplina e organizzazione. E in questo caso non c’è bisogno di ricontare i voti. Philip Langdon, I Nuovi Urbanisti si preparano ad affrontare il piano di ricostruzione della Costa del Golfo La "lobby" del New Urbanism, e qualche buona intenzione, nella ricostruzione post-Katrina. New Urban News, ottobre-novembre 2005 (f.b.) Titolo originale: New urbanists prepare to tackle Gulf Coast reconstruction plan – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini La devastazione inflitta dall’uragano Katrina alla Louisiana, Mississippi, e Alabama lo scorso agosto ha stimolato il più ampio impegno mai intrapreso dai Nuovi Urbanisti nel campo della pianificazione. Circa 100 fra architetti, urbanisti, esperti di trasporti e altre competenze, da tutti gli Stati Uniti si incontreranno dall’11 al 18 ottobre per contribuire all’enorme sforzo per la ricostruzione di almeno nove delle città costiere colpite dello stato, tra le quali Gulfport, Biloxi, e Pascagoula. Gli studi coinvolti lavoreranno per una quota ridotta della tariffa professionale abituale, e collaboreranno con architetti e urbanisti locali, come ha dichiarato l’architetto-urbanista di Miami Andres Duany, che coordina il New Orleans a un anno dall’uragano -47/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -48/77 – Antologia di articoli programma per conto del Congress for the New Urbanism. Il Governatore Haley Barbour ha incontrato Duany il 12 settembre, e il 20 dello stesso mese ha autorizzato i gruppi di lavoro a collaborare con le città maggiormente colpite lungo i quasi 200 chilometri di costa del Golfo in Mississippi. “È importante sottolineare che metodi di lavoro e progetto verranno resi disponibili agli interessati, ma non imposti”, ha dichiarato il presidente del CNU John Norquist in una lettera al governatore. “Sta a ciascuna comunità decidere cosa fare”. Norquist affiancherà Duany nella guida della iniziativa del CNU. Indipendentemente dall’impegno del Congress for the New Urbanism, lo studio Dover, Kohl & Partners ha rapidamente completato i progetti per un nuovo insediamento di tipo new urbanist su 800 ettari vicino a Bay St. Louis, Mississippi, appena a est del confine con la Louisiana. In giugno, Dover Kohl, insieme a Zimmerman/Volk Associates, Gibbs Planning Group, e Hall Planning & Engineering, aveva sviluppato una charrette di nove giorni per il progetto di “un technology village, un centro urbano, e nove quartieri” nell’insediamento ancora senza nome, dice Milt Rhodes, direttore per il progetto di Dover Kohl. Dopo l’uragano, è diventato presto chiaro che il piano della Dover Kohl – il primo intervento a est dello Stennis Space Center della NASA – avrebbe dovuto essere incrementato, e i ritmi di realizzazione accelerati. Con circa 7.000 alloggi danneggiati nell’area regionale di Bay St. Louis, di cui forse 3.000 impossibili da recuperare, il nuovo centro dovrà probabilmente trovare posto per un rapido accesso di sfollati. Alcune famiglie troveranno residenza permanente, altre probabilmente occuperanno alloggi temporanei offerti dalla Federal Emergency Management Agency (FEMA). Le abitazioni provvisorie potranno anche essere camper o roulottes. I costruttori, un’impresa familiare chiamata Stennis Technology Park Inc., hanno chiesto alla Dover Kohl di terminare il piano generale e un documento di norme form-based [ le linee guida alla progettazione new urbanism n.d.T.] il più rapidamente possibile. “Il nostro codice si basa su tipi edilizi che dervano da uno studio compiuto nel mese di giugno su Biloxi, Gulfport, Pass Christian, e New Orleans” dice Rhodes. Localizzato in un’area della Hancock County non inclusa in alcuna circoscrizione municipale, il progetto può ospitare 3.500 o più case, oltre ad un contingente molto superiore di alloggi aggregati: townhouse, duplex, triplex, ecc.: più di quanti anticipati prima dell’uragano Katrina. “Abbiamo fatto ripetutamente presente al costruttore che non esiste un numero massimo di lotti” che debba essere specificato nel piano. Agiunge poi “Mi aspetto che [la preparazione dell’area, strade e servizi] parta molto rapidamente”. A New Orleans, che ha subito il peggiore disastro che mai abbia colpito una città USA, le zone alluvionate comprendono anche New Desire HOPE New Orleans a un anno dall’uragano -48/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -49/77 – Antologia di articoli VI, un nuovo quartiere a nord est del French Quarter. La Urban Design Associates ha redatto il piano generale di New Desire, e per più di tre anni lo studio Torti Gallas & Partners ha progettato gli edifici e diretto i lavori di costruzione. Torti Gallas si è sforzata di progettare gli alloggi – in massima parte case abbinate a coppie – secondo modi tradizionali, e il risultato ora è che alcune di esse ricordano gli stretti edifici detti “ shotgun” per cui New Orleans è famosa. “Stiamo ancora aspettando di conoscere il destino di quella parte di città” dice Loreen Arnold, architetto responsabile del progetto per la Torti Gallas. Gli argini hanno ceduto su due lati dell’insediamento, e l’acqua è salita di due metri e mezzo sopra le fondamenta dei 107 che erano stati completati e occupati. L’alluvione ha anche inondato il lotto finale del progetto, 318 abitazioni terminate al 40%. “È desolante vedere il lavoro di tre anni disfatto in un giorno, specialmente alla luce di quanto sia difficile riuscire e costruire case economiche in genere” si lamenta Arnold. Mentre New Urban News andava in stampa, alcune parti di New Orleans erano ancora sommerse, e alcune persone apparentemente informate temevano che i suoli della città fossero tanto contaminati dalle fognature, prodotti chimici e metalli pesanti che sarebbe stato difficile rendere sicura la residenza umana stabile per un certo periodo di tempo. Si è anche detto che, visto l’alto costo di bonifica dei suoli, poteva anche aver senso realizzare una città nuova fuori da New Orleans e lasciare che molti evacuati vivessero lì: anche se molte più persone insistevano che una città tanto amata come New Orleans dovesse essere recuperata. Al momento della stampa, New Urban News non era a conoscenza di alcun impegno concreto, e sicuramente non di new urbanists, per la ricostruzione di New Orleans LA “MEGA-CHARRETTE” IN MISSISSIPPI Se paragonato alle altre regioni degli USA, il Sud è particolarmente ricettivo rispetto al New Urbanism. Di conseguenza, dopo pochi giorni dal colpo di Katrina, nuovi urbanisti come Nathan Norris in Alabama hanno iniziato a proporre di costruire un impegno del movimento, perché le competenze urbanistiche fossero massicciamente orientate alla sfida della ricostruzione. Sulla lista di discussione NewUrb, Norris, collaboratore di PlaceMakers, ha scritto, “Capiamo le correlazioni fra trasporti, pianificazione regionale, quartieri, politiche energetiche ... abbiamo tra noi gente che può mettere in collegamento i singoli aspetti”. Ha concluso “Qui, nella terra degli uragani, è difficile trovare oppositori alle nostre idee”. Duany è diventato il leader naturale di questo impegno, assistito da Steve Mouzon di PlaceMaker, che ha già collaborato a parecchie charrettes [ laboratorio collettivo di progettazione n.d.T.] tenute dallo studio Duany Plater-Zyberk & Co. (DPZ), come quella per il progetto di Lost Rabbit nella Madison County, Mississippi. “Il governatore Barbour ha visto i progetti di DPZ [per Lost Rabbit] ed è rimasto colpito” dice Mouzon. “A quanto pare New Orleans a un anno dall’uragano -49/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -50/77 – Antologia di articoli Barbour apprezza ciò che ha visto del New Urbanism, e ha fiducia nel lavoro che si potrebbe fare lungo tutta la costa dello stato”. La DPZ ha anche lavorato su due progetti in Louisiana, il complesso residenziale Naval a Belle Chasse, e un piano per il centro di Baton Rouge, oltre a cinque insediamenti a Greenfield in Alabama. Anche con tempi limitati, Duany aveva il vantaggio di poter scegliere in fretta i partecipanti, cosa che sarebbe stata difficile per una organizzazione come il Congress for the New Urbanism. È stato stabilito che nessuno studio avrebbe potuto mandare più di tre rappresentanti, a quella che è stata chiamata la “ mega-charrette” del Mississippi. I nuovi urbanisti sembrano aver sostenitori in entrambi i partiti. Ann Daigle, urbanista originaria della Louisiana, dice che il senatore democratico Mary Landrieu della Louisiana “è una fervente sostenitrice della Smart Growth e del movimento nuovi urbanisti”. Barbour è ex presidente del Comitato Nazionale repubblicano. Ma parecchie delle decisioni verranno prese a livello di città e contea, dove sono stati consentiti nel passato parecchi insediamenti convenzionali di tipo diffuso. Norquist coordinerà i rapporti con le varie amministrazioni, Duany con gli studi professionali per il CNU, e Michael Barranco con quelli locali del Mississippi. Un gruppo coordinato da Mouzon rivolgterà l’attenzione a problemi architettonici come l’altezza degli edifici da terra (tre metri o più, come sarà necessario in alcune zone), o sulla necessità di evitare ambienti urbani ostili ai pedoni. Agli architetti sarà anche chiesto di riprogettare le case mobili, quelle componibili della FEMA, e di scegliere prodotti fra quelli offerti a livello nazionale. Ci saranno gruppi di lavoro sui trasporti, le infrastrutture, il verde, questioni sociali e ambientali, e altri aspetti della ricostruzione. “La costa del Mississippi è stata completamente devastata” ha scritto Duany in una e-mail ai partecipanti. “Gli edifici non ci sono più, ma il terreno è asciutto e le infrastrutture a posto”. La regione costiera, ha aggiunto, “quindi sarà la prima su cui intervenire”. “Ci saranno poi altre charrettes per i centri dell’interno del Mississippi, forse anche Baton Rouge, e magari pure New Orleans”. LAVORARE PER IL FUTURO A ciascuno dei centri verrà assegnato un gruppo di lavoro di esperti new urbanists e altrettanti professionisti locali. Duany dice che i nuovi urbanisti “lavoreranno a tariffa ridotta”, una piccola parte di quella abituale degli studi. “È necessario distinguersi dai soliti arraffoni, che poi danneggiano se stessi” ha aggiunto. La charrette avrà luogo in una struttura centrale, probabilmente il Casino Hotel di Biloxi. I partecipanti alterneranno giornate di incontri centralizzati ad altre di visita ai centri colpiti, dove si incontreranno gli abitanti e si osserverà la situazione. Duany ha posto l’accento sul fatto che oltre a coinvolgere le amministrazioni locali, si dovrà far partecipare alla charrette anche “ogni tipo di interesse”, dai New Orleans a un anno dall’uragano -50/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -51/77 – Antologia di articoli poveri ai proprietari di casino. Dopo che i partecipanti esterni alla charrette saranno ripartiti, il 18 ottobre, uno studio assumerà la guida per il completamento del lavoro, entro tre settimane. Tutte le operazioni successive saranno svolte dai gruppi locali che hanno lavorato coi new urbanists. Se alcuni tra questi ultimi desiderano continuare la collaborazione, possono stipulare contratti di collaborazione con le amministrazioni locali. “Non c’è il rischio di produrre qualcosa di standardizzato” nota Duany. Presumibilmente, i piano saranno parecchio diversi da una città all’altra. Jim Barksdale, uomo d’affari e filantropo nominato dal governatore Barbour a capo della commissione statale per la ripresa, e Leland Speed, direttore della Mississippi Development Authority, rappresenteranno il governo. Hank Dittmar rappresenterà la Foundation for the Built Environment del Principe di Galles. Oltre alla charrette del Congress for the New Urbanism, la Knight Foundation di Miami si è rivolta a Charles Bohl, direttore dello Knight Program in Community Building all’Università di Miami, per un progetto di aiuto alla ricostruzione a Biloxi. Inoltre, Norquist ha dichiarato che ci sarebbero risorse per tenere un Consiglio del CNU e New Orleans, forse addirittura entro ottobre. Una iniziativa del genere senza dubbio porterebbe un numero consistente di new urbanists in città, e potrebbe influenzare i modi in cui New Orleans prepara la propria rinascita, ha concluso il presidente CNU. Ari Kelman, All'ombra del disastro Questione sociale e questione ambientale, nella ricostruzione di New Orleans, non sono contrapposte, ma complementari. The Nation, 2 gennaio 2006 (f.b.) Titolo originale: In the Shadow of Disaster – Traduzione di Fabrizio Bottini L’inondazione è stata vorace: ha inghiottito interi quartieri e messo fine a centinaia di vite. Ma gli argini danneggiati sono stati riparati. Si ergono ancora fra New Orleans e la catastrofe, tenendo sotto controllo il Mississippi e il lago Pontchartrain. Anche il vecchio sistema di drenaggio, è ancora in piedi. Ogni goccia d’acqua che cade in città, ogni lacrima versata, alla fine scorre via attraverso i canali sin quando viene pompa al di sopra degli argini dentro il lago. Questo è il modo in cui è stata congegnata New Orleans: controllare le acque ribelli, marcare il confine tra la città e ciò che la circonda. È stata una battaglia persa. Eppure, per quanto suoni particolarmente strano dopo l’uragano Katrina, tutto lo sviluppo della città si basa sull’idea che la natura la favorisce. Dalla fondazione di New Orleans alla bocca del Mississippi nel 1718, la città ha investito sulla geografia per costruire la propria grandezza. Molto prima che le tecnologie potessero superare i capricci della geografia, i suoi cantori affermavano che avrebbe regnato New Orleans a un anno dall’uragano -51/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -52/77 – Antologia di articoli su un impero commerciale. Ma l’ambiente locale ha raramente collaborato a queste visioni imperiali. Lago e fiume incombono sulla città. La maggior parte di New Orleans giace sotto il livello del mare, e non ha drenaggio naturale. Le epidemie fioriscono, nel delta fumante. Gli studiosi definiscono questo uno scollamento fra “sito” – lo spazio reale occupato dalla città – e “situazione” – i vantaggi relativi di un’area urbana su altre. New Orleans, col suo accesso al fiume e al golfo, gode di una situazione quasi perfetta. Ma ha un sito quasi perfettamente orribile. Il geografo Peirce Lewis la riassume così: New Orleans è “impossibile” e pure “inevitabile”. Intende dire che se la situazione di una città è sufficientemente buona, la gente migliorerà il sito: non importa quanto costa. Gli abitanti di New Orleans storicamente hanno fatto ciò segregando gli spazi: in un primo tempo non da punto di vista socioeconomico o razziale, ma da quello ambientale. A New Orleans ci sono spazi per la natura: al di fuori degli argini o nei canali che si dipartono dalla città. E ci sono spazi per le attività umane: dentro la città. La gente qui, la natura lì. L’idea è semplice, la realizzazione impossibile. Per adesso, l’acqua in città sembra di nuovo sotto controllo, tornata nei posti dove la gente la vuole: nelle docce per grattar via lo sporco che attacca, nel caffè nero, e confinata dietro gli argini. Ma c’è ancora pericolo. Di fronte alla sfida della ricostruzione, New Orleans sembra bloccata nel fango: non semplicemente impantanata in quello che incrosta la città, ma anche intrappolata da secoli di errori di strategia, specialmente quello di fantasticare sulla separazione da quanto la circonda. Questa idea è stata tanto distruttiva quanto la peggiore alluvione, e altrettanto difficile da evitare. I responsabili della ricostruzione di New Orleans sembrano incantati da questo miraggio. Partecipano alle varie commissioni – quella dei sindaco Ray Nagin e del governatore Kathleen Blanco – che hanno compiti sovrapposti e dubbia autorità. Ma nonostante le rivalità, le commissioni sono d’accordo almeno su un punto: la priorità assoluta sono gli argini. Scott Cowen, preside della Tulane University e componente della commissione di Nagin, ritiene che senza migliori argini altre proposte – “un’istruzione pubblica di livello mondiale” case migliori, un rilucidato “ambiente culturale” cittadino – saranno senza senso. Andy Kopplin, direttore esecutivo del gruppo del governatore, concorda: “Dobbiamo per prima cosa ricostruire gli argini, così che le persone si sentano al sicuro”. A chiunque abbia familiarità con la storia ecologica della città, questo suona come una ricetta per nuovi disastri. Sin dall’inizio, gli abitanti di New Orleans hanno innalzato argini. I progetto si sono accelerati dopo che un’inondazione del 1849 aveva lasciata inzuppata la città per mesi. Le autorità federali, allarmate dall’inattività del porto più importante del paese, sostennero due studi sul fiume. Il primo auspicava un controllo delle acque su vari fronti: argini, scolmatori e “riserve”, ovvero distese di aree umide ad agire come spugne. Il secondo, New Orleans a un anno dall’uragano -52/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -53/77 – Antologia di articoli steso da un futuro capo del Genio Militare, era più gradito in un’epoca in cui le zone umide venivano considerate discariche. Iniziò così una strategia nota come “solo argini”. Entro il 1900 New Orleans aveva argini più alti della case vicine. Fiume e lago erano scomparsi dietro a montagne in miniatura. Solo un problema: non funzionava. Il fiume divenne più pericoloso, e New Orleans meno sicura. Con l’acqua intrappolata dagli argini, il Mississippi saliva più in alto che mai. Ma non lo si poteva dire agli abitanti di New Orleans. Nemmeno l’enorme inondazione del 1927 gli fece cambiare completamente idea. Quell’anno la città fece saltare con la dinamite un argine venti chilometri a valle della corrente, facendo calare il fiume ingorgato e distruggendo le frazioni di Plaquemines e St. Bernard. La città si era comprata la salvezza sacrificando i suoi vicini più poveri (un evento che ha alimentato voci nella zona della Ninth Ward, dove alcuni abitanti ed evacuati credono che l’argine di fronte al loro distretto sia stato distrutto dopo Katrina per proteggere zone bianche più ricche). Eppure, gli argini sono ancora cresciuti dopo il 1927, nonostante le inchieste federali dove i conservazionisti testimoniarono che la diminuzione delle zone umide aveva esasperato gli effetti del disastro. Il Genio Militare rifiutava ancora di aggiungere le aree umide al proprio arsenale. Invece, costruì per New Orleans uno scolmatore per deviare parte del fiume nel lago Pontchartrain: e per tutti gli anni ’50 continuò a sollevare gli argini. Contemporaneamente, la città si lanciò in una sbornia edilizia favorita dal sistema di drenaggio realizzato all’inizio del ventesimo secolo. Per 200 anni New Orleans era stata intrappolata: una città lunga e magra su una stretta striscia di terreno relativamente alto sul fiume. Il Mississippi su un lato, e un’area umida di cipressi, la “ backswamp” sull’altro. Ma dopo il 1900, la città iniziò a bonificare terreni e a espandersi su zone più basse. Entro gli anni ’60 la backswamp era stata sostituita da quartiere Lakefront, dalla Lower Ninth Ward e da altri insediamenti. I limiti ecologici avevano ancora ceduto di fronte all’ambizione di una città prigioniera della propria situazione. Con gli argini torreggianti e le aree umide sparite, la segregazione dei paesaggi sembrava completa. Dividere spazi generava altri due prodotti collaterali. Primo, altra segregazione: stavolta razziale e socioeconomica. Prima degli anni ’50 New Orleans era una città mista. Ricchi, poveri, bianchi e non-bianchi, erano tutti vicini. Non era per scelta, ma per necessità; con l’edificazione confinate nelle zone più elevate vicino al fiume, non c’era spazio per chiudersi dentro énclaves di segregazione sociale. Ma quando i costruttori iniziarono a realizzare lottizzazioni di casette sui terreni prosciugati, in città e nei suburbi, gli abitanti di New Orleans si stratificarono, coi più poveri e di colore spesso concentrati nelle zone basse, e i bianchi agiati ad occupare tipicamente le aree più elevate, o i “borghi”. Seconda conseguenza: il controllo della natura divenne più difficile. Le New Orleans a un anno dall’uragano -53/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -54/77 – Antologia di articoli paludi scomparivano, sia a causa delle bonifiche urbane, sia perché gli argini facevano diminuire le aree umide impedendo alle acque la ricarica dell’ecosistema. Le ricerche petrolifere causavano l’erosione delle coste, che si mangiava migliaia di ettari di aree paludose. Ogni metro in più di altezza degli argini, rendeva più difficile pompare l’acqua fuori dalla città. Alla fine, New Orleans iniziò a sprofondare quando le sue fondamenta d’acqua furono rimpiazzate da terreni bonificati spugnosi che si compattavano sotto il peso della città. L’anello di retroazione urbanoambientale replicava i medesimi problemi che gli abitanti di New Orleans avevano tentato di allontanare con la tecnica dalla città per secoli. In questa situazione, atterra Katrina. L’ondata di tempesta è troppo per gli argini. L’acqua ne scavalca qualcuno; altri crollano. Le pompe non riescono a mantenere il ritmo, e New Orleans si riempie d’acqua. Soprattutto poveri, gente di colore, malati e anziani, sono lasciati indietro. Molti muoiono, sulle terre basse. La Brookings Institution riporta che 38 su 49 dei quartieri più poveri nell’area metropolitana di New Orleans si sono allagati. Nella città vera e propria, l’80% dei quartieri allagati sono a maggioranza non-bianca. La segregazione – ambientale, socioeconomica e razziale – produce sofferenza segregata. Ora, è prevedibile la richiesta di migliorare gli argini. Joe Canizaro della commissione del sindaco si preoccupa perché nessuno ritornerà finché non si “sentirà al sicuro”. Ha ragione. Ma cosa succede se ci si sente al sicuro e non lo si è? Prima di Katrina, l’amnesia dei disastri e la loro negazione ha consentito alla gente di ignorare il pericolo. Gli eventi del passato, dice l’ingegnere Robert Bea dell’Università di Berkeley, sono stati “campanelli d’allarme, ma New Orleans ha continuato a spegnere la suoneria”. Ora la città deve ripensare al governo delle acque. Come la maggior parte degli ingegneri, Bea è sicuro che si possano realizzare argini che sopportino una tempesta di Classe 5. “È solo un problema di volontà politica e finanziamenti” dice. Ma i finanziamenti non sono spiccioli; il progetto richiede miliardi. Nessuno sa da dove potrebbe venire quel denaro. Anche se il Presidente Bush ha promesso che il governo federale pagherà le riparazioni degli argini, non ha fatto la medesima promessa per quanto riguarda i loro miglioramenti. E se si trovano i soldi, la volontà politica deve durare per quindici anni, il tempo necessario per costruire argini con uno standard di Classe 5. E anche se alla fine si costruiranno, non funzioneranno, da soli; gli ingegneri dovranno imparare a collaborare con una particolare ecologia urbana anziché tentare di dominarla. “Le zone umide devono essere una parte della soluzione” dice Bea. Se non si reintroducono gli acquitrini, le ondate di tempesta supereranno anche i migliori argini. E se gli oceani continuano a salire e New Orleans a sprofondare, la città annegherà di nuovo. Craig Colten, geografo alla Louisiana State University, concorda. Insiste sul fatto che le zone basse della città non vengano ricostruite. La sua New Orleans a un anno dall’uragano -54/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -55/77 – Antologia di articoli proposta è molto discussa, coi residenti allontanati che invocano il proprio “diritto al ritorno”, e la maggior parte dei membri dei comitati per la ricostruzione riluttanti a reintegrare le zone umide in città, dopo che il sindaco Nagin è rimasto scottato per aver suggerito che si potesse non ricostruire la zona Ninth Ward. Ma Colten crede ancora che si possa far filtrare un po’ di backswamp dentro a determinate zone basse. Un metodo equo, ritiene, sarebbe quello di “prendere superfici da molti quartieri – Lakefront, Ninth Ward, Gentilly – e ricollocare ricchi, poveri, ceto medio, in zone più dense su terreni elevati”. La “Nuova Nuova Orleans” di Colten così assomiglierebbe a quella vecchia, dell’epoca prima della scomparsa degli acquitrini. Eliminerebbe anche le lotte su quali quartieri abbandonare. Danielle Taylor, decana di discipline umanistiche alla Dillard University, è sicura che il risultato di queste lotte sarà a favore dei potenti. Restituire aree urbane all’acquitrino, sostiene, distruggerà il tessuto urbano, facendo a pezzi le comunità che hanno reso la città quello che è. Riecheggia il punto di vista degli abitanti della Ninth Ward, i quali pensano che le élites urbane abbiano visto le onde della tempesta come le prime di un processo di rinnovo urbano. Senza case popolari, la ristrutturazione non lascerà spazio ai poveri e alla gente di colore, dice la Taylor. New Orleans diventerà un centro commerciale sterilizzato – e bianco – col Quartiere Francese a fare da anchor. Colten simpatizza con questo punto di vista, ma dice che consentire alla gente di tornare nelle zone basse sarebbe “irresponsabile”. Quello che è certo, è che gli spazi segregati non hanno funzionato. Come dimostra Katrina, è impossibile separare le questioni ambientali e sociali in questa città. New Orleans non è solo un artefatto umano. E naturalmente non è nemmeno del tutto naturale. È entrambe le cose: una rete di umano e non umano mescolati, che dondola sul limite natura/cultura. La città si deve ricostruire su fondamenta più solide: la comprensione del fatto che non lasciar spazio alla natura è sia controproducente che improbabile da realizzare. Un approccio nuovo potrebbe produrre spazi urbani sostenibili e giustizia ambientale. Ma ciò richiede scelte drastiche, poco probabili da parte delle commissioni. È triste, ma New Orleans sembra destinata a ritrovarsi dove è sempre stata: sulla strada del pericolo. New Orleans a un anno dall’uragano -55/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -56/77 – Antologia di articoli Adam Nossiter, Un piano "statalista" per New Orleans Da un deputato repubblicano , un disegno di legge che sembra fare a pugni col liberismo di partito. Ma Bush "comprende". The New York Times, 5 gennaio 2006 (f.b.) Titolo originale: A Big Government Fix-It Plan for New Orleans – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini BATON ROUGE, Louisiana – Nel panorama di vuoto politico del postKatrina, punteggiato dalle macerie di varie proposte, ricette che si sgretolano e iniziative alluvionate, un oscuro e molto conservatore membro del Congresso è entrato in campo con una soluzione finale decisamente statalista. Il deputato Richard H. Baker, repubblicano eletto nei collegi suburbani di Baton Rouge, che deride i democratici perché non sufficientemente favorevoli al libero mercato, è l’improbabile campione di un piano di edilizia residenziale d’emergenza che farebbe dell’amministrazione federale il principale proprietario immobiliare di New Orleans: almeno per un po’. Baker ha proposto che la Louisiana Recovery Corporation stanzi ben 80 miliardi per estinguere mutui, ripristinare le opere pubbliche, acquisire enormi pezzi devastati di città, ripulire il tutto e rivenderlo ai costruttori. Desperatamente alla ricerca di un intervento di grande scala all’enorme problema immobiliare della regione, rappresentanti politici e operatori economici della Louisiana di tutte le gradazioni – neri e bianchi, repubblicani e democratici – hanno adottato questo poco conosciuto uomo del Congresso e il suo grandioso progetto, definendolo un passaggio cruciale. Anche se la Casa Bianca deve ancora firmare, ci sono già segnali che alcuni alti esponenti del Congresso siano interessati a sostenerlo; Baker ha detto che i funzionari dell’amministrazione non l’hanno comunque respinto. L’approvazione del disegno sta diventando sempre più importante per la Louisiana visto che lo stato ha perso la contesa col maggior peso politico del Mississippi lo scorso mese, quando il Congresso ha votato un pacchetto da 29 miliardi di dollari per la regione degli stati del Golfo. Lo stanziamento da’ al Mississippi circa cinque volte tanto per famiglia in aiuti all’abitazione di quanto non riceva la Louisiana: a riprova del peso del governatore Haley Barbour del Mississippi, ex presidente del Comitato Nazionale Repubblicano, e del Senatore Thad Cochran, che presiede lo Appropriations Committee. I rappresentanti della Louisiana affermano di essere stati obbligati a votare a favore, perché altrimenti avrebbero potuto anche non ricevere alcun aiuto. Ma ora si concentrano anche con più intensità sul piano di acquisizione di Baker; molti economisti qui sostengono che non ci sono alternative, per i proprietari che non riescono a pagare le ipoteche sulle proprietà devastate. New Orleans a un anno dall’uragano -56/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -57/77 – Antologia di articoli ”È probabilmente una delle ultime speranze per chi ha avuto la casa allagata e non era coperto da un’assicurazione” sostiene Loren C. Scott, economista emerito alla Louisiana State University. “Senza questo tipo di sostegno, ci sarebbe un numero notevole di persone che potrebbero semplicemente affondare”. James A. Richardson, direttore del Public Administration Institute alla stessa università, dice “È l’ultima scommessa possibile, per certi versi”. L’oppositore politico a Baker nella delegazione della Louisiana al Congresso, William J. Jefferson, democratico di New Orleans, sostiene che l’approvazione del disegno è importante. ”Senza – dice – i proprietari hanno poche possibilità di recuperare il valore che hanno perso”. Secondo il piano, la Louisiana Recovery Corporation entrerebbe in campo ad evitare inadempienze, in modo simile a quanto fatto dalla Resolution Trust Corporation attivata dal Congresso nel 1989 col settore del risparmio e prestiti. Si offrirebbe di rilevare dai proprietari, a non meno del 60% del valore prima dell’uragano Katrina. Agli erogatori del prestito sarebbe offerto sino al 60% di quanto loro dovuto. Per finanziare la spesa, il governo emetterebbe obbligazioni legate in parte alle vendite di terreni ai costruttori. I proprietari non dovrebbero necessariamente vendere, ma chi lo fa avrebbe un’opzione a ricomprare dall’ente. L’ente federale non avrebbe nulla a che vedere con gli interventi urbanistici sui terreni; questo spetterebbe alle amministrazioni locali e ai costruttori. Per passare, la proposta richiederà alla fine il sostegno della Casa Bianca. E i segnali, secondo questo solido repubblicano che vanta un sostegno quasi totale dai gruppi conservatori, sono stati vari. Il Presidente Bush, nel corso di un viaggio in auto insieme a Baker lo scorso settembre “ha capito”, come insiste Baker in un’intervista dal suo ufficio, nella città che rappresenta in modo discreto da due decenni a Washington. “È stato molto aperto a riguardo. Mi ha detto, ' lavoraci su e vai da Hubbard' “ ovvero il massimo consigliere economico di Bush, Allan B. Hubbard. Quando il Congresso stava per riunirsi lo scorso mese, col piano in sospeso, Baker ha ricevuto una domenica mattina la visita di Donald E. Powell, vicerè del Presidente per la ricostruzione della Costa del Golfo. Baker racconta che Powell era “più a suo agio” con la proposta ma ancora non del tutto convinto dopo un’ora di discussione. Il disegno fu respinto, nonostante le manovre riuscite per compattare la variegata rappresentanza della Louisiana a sostegno e gli appelli del mondo economico. Eppure, fra promesse dei senatori di riprendere rapidamente il progetto quando il Congresso si riunirà, e segnali che la Casa Bianca non ha voltato le spalle, il prudente Baker pensa che le sue chances siano migliori che mai. New Orleans a un anno dall’uragano -57/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -58/77 – Antologia di articoli Sean Reilly, membro della Louisiana Recovery Authority, afferma che Powell gli ha riferito come la Casa Bianca fosse “entrata” nel concetto ma avesse bisogno di riguardare un po’ l’idea. ”Ci siamo andati molto vicino” dice Walter Isaacson, vicepresidente della Louisiana Recovery Authority, istituita dal governatore per sovrintendere la ricostruzione. I massimi consiglieri della Casa Bianca “fondamentalmente apprezzano il principio” sostiene. E hanno fatto promessa di “collaborare con voi, e metterlo nella corsia preferenziale” per le udienze a Senate Banking, Housing and Urban Affairs Committee, continua Isaacson. I colleghi conservatori di Baker, dentro e fuori il Congresso, si preoccupano delle dimensioni enormi dell’intervento proposto. All’interno dello House Financial Services Committee, parecchi membri hanno tentato di limitare spesa e durata del provvedimento, o di mirare ad una gestione in pareggio. “È irresponsabile per il Congresso firmare un assegno in bianco, pescando dai contribuenti americani, guidati dalla sola immaginazione dei politici” ha dichiarato il deputato Jeb Hensarling, repubblicano del Texas. “Dobbiamo assicurarci che non venga chiesto di pagare di nuovo, fra due o tre anni, per la stessa calamità” Ai suoi critici Baker risponde: “Se non questo, che altro? Le risposte non sono valide”. Un realistico volo di primo impatto sui quartieri devastati di New Orleans l’ha convinto che soluzioni ordinarie non funzionerebbero. Qui c’era un problema che superava le possibilità dell’impresa privata. “In questo caso, è saltato tutto” dice Baker. “Eliminazione totale. Così ha pensato che ciò richiedesse un rimedio senza precedenti. Se non lo facciamo, cosa sarà della regione fra due anni?”. Tranquillo, bene educato e con l’aria da chierichetto da figlio di un pastore, Baker ha trascorso anni misurandosi con gli arcani della regolamentazione dei servizi finanziari. Con la calma di un uomo abituato a riunirsi coi banchieri per ragionare sui documenti di bilancio, espone tutto: decine di migliaia di proprietari di casa esposti, che devono milioni di pagamenti ipotecari su proprietà di dubbio valore, a vari istituti di prestito. Sforzo pieno di paradossi, il suo. Baker ha dedicato gran parte della sua carriera al Congresso tentando di imbrigliare i giganti semipubblici Fannie Mae e Freddie Mac, affermando che hanno troppo potere. Ora, “favorevole come sono al libero mercato” dice, vuole che il governo agisca in modo che non ha precedenti. Un’altra stranezza di Baker è la sua quasi invisibilità, anche nel suo collegio, al punto che “la maggior parte delle persone a Baton Rouge non lo riconoscerebbero” sostiene Wayne Parent, professore di scienze politiche alla Louisiana State University. In uno stato che da’ un cento valore alla visibilità dei suoi politici “Non si sente molto parlare di lui” dice Parent. E pure, Baker è improvvisamente balzato all’avanguardia della New Orleans a un anno dall’uragano -58/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -59/77 – Antologia di articoli classe politica della Louisiana, evidentemente povera di idee. È stato eletto in un collegio suburbano principalmente bianco, una zone relativamente ricca per gli standards della Louisiana, storicamente ostile a quella che fu la grande città dell’est. Ma la sua iniziativa potrebbe risultare di grande beneficio soprattutto agli afroamericani di New Orleans. In parlamento, la sua proposta è stata adottata dei liberals – “Credo sia una buona idea” ha detto il deputato Barney Frank, democratico del Massachusetts – e schivata da molti conservatori. La proposta è valida “quanto il modo in cui la si usa” dice Isaacson. “La mia sensazione è che possa rappresentare una verifica di quanto è sincera l’amministrazione quando afferma di volere un attento e intelligente sforzo di ricostruzione”. (red.) Il piano: a New Orleans si potrà ricostruire. Dappertutto Fanno sul serio? Presentate oggi le attese raccomandazioni municipali per il piano generale. Associated Press/CNN, 11 gennaio 2006 (f.b.) Titolo originale: Plan: All New Orleans could be rebuilt – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini Mentre gli uffici compongono un piano per la rinascita di New Orleans, una commissione nominata dal sindaco Ray Nagin doveva esporre entro mercoledì le raccomandazioni per dare agli abitanti il potere di decidere quale forma avranno i loro quartieri. La “ Bring New Orleans Back Commission” spera così di formare un quadro più chiaro di quali aree saranno ricostruite entro la fine dell’anno. Le raccomandazioni, che potrebbero essere inerite nel piano generale di ricostruzione, probabilmente susciteranno fuoco e fiamme da parte degli urbanisti, che affermano come molte parti della città non siano sicure da inondazioni future. La realizzazione di argini in grado di sostenere una tempesta di Classe 3, insieme alla creazione di una Reconstruction Corporation finanziata dal governo per rilevare immobili e terreni, sono elementi essenziali per i piani della Commissione, a parere dei membri del comitato urbanistico. Doug Meffert, co-presidente del subcomitato per la sostenibilità, dice che sarà anche essenziale acquisire le case dai proprietari a ragionevoli prezzi di mercato. Il subcomitato raccomanderà che la costituenda agenzia acquisisca le proprietà a prezzo pieno, togliendo solo la quota coperta dalle assicurazioni. ”Se non siamo in grado di acquisire gli immobili, sarà difficile ridisegnare la città” osserva Meffert. Aggiunge che se il futuro della città devastata dovesse essere lasciato alle forze di mercato, New Orleans finirebbe in una “riedificazione a chiazze, con gli abitanti furiosi”. I membri della commissione sono stati invitati a pensare in grande immaginando scenari, con poco riguardo per il cartellino del prezzo. A quello si penserà poi, quando New Orleans e le altre parti della Costa del New Orleans a un anno dall’uragano -59/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -60/77 – Antologia di articoli Golfo si lanceranno sui 29 miliardi di dollari di aiuti federali per la ripresa e la ricostruzione. Alcune idee audaci fra quelle esaminate prevedono il ripristino di un jazz district sparito da tempo, la costruzione di una rete di piste ciclabili e ferrovie locali per pendolari, l’organizzazione di un sistema scolastico d’avanguardia. Ci sono anche raccomandazioni per incentivi fiscali ad attirare nuove attività, e mantenere quelle che già ci sono. Un’altra idea è quella di usare i crediti fiscali per ricreare Storyville, il quartiere a luci rosse gestito dalla municipalità restato attivo per vent’anni, e chiuso nel 1971. Più tardi, fu raso al suolo. L’idea non è quella di far rivivere il mercato del sesso, ma di recuperare l’eredità musicale di quel distretto. Molti pionieri del – fra loro Jelly Roll Morton, King Oliver e Manuel Perez – suonavano nei bordelli di quel quartiere. Si aspetta che la commissione proponga un rilancio del sistema di scuole pubbliche della città, malato di bassi livelli didattici, strutture cadenti, alto turnover e corruzione. Le raccomandazioni sono per dare alle scuole maggiore autonomia, ridurre la burocrazia, creare più scuole pilota e offrire ai genitori più alternative per dove mandare i figli, ha detto il commissario Scott Cowen. Le preoccupazioni dei quartieri Ma la raccomandazione secondo cui tutte le zone della città – anche la Lower Ninth Ward, quella più duramente colpita e a stragrande maggioranza nera – dovrebbero aver la possibilità di ricostruire, probabilmente sarà la più controversa. Lo Urban Land Institute ha causato tensioni lo scorso anno pubblicando un rapporto che consigliava caldamente alla città di concentrare le proprie risorse per la ricostruzione sulle zone non colpite dall’alluvione. L’istituto avvertiva che se New Orleans avesse tentato di ricostruire ogni cosa, la città sarebbe stata condannata a una ripresa lenta e discontinua. Questa raccomandazione ha provocato indignazione fra molti abitanti di New Orleans, tra cui l’ex sindaco Marc Morial, ora presidente della National Urban League. Ha affermato che i gruppi per i diritti civili si sarebbero opposti a qualunque piano di ricostruzione che cancellasse quartieri dove le famiglie hanno vissuto per generazioni. Si esprimeva anche la preoccupazione che alcune delle aree colpite fossero trasformate in zone umide o spazi aperti. I sette comitati che compongono la commissione pubblicheranno ciascuno un rapporto, e tutti verranno consegnati al sindaco Nagin entro il 20 gennaio. Il sindaco può accettare o respingere qualunque raccomandazione, con decisioni che possono durare settimane. New Orleans a un anno dall’uragano -60/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -61/77 – Antologia di articoli La forma finale del piano sarà determinata in gran parte dalle decisioni del Congresso e del Presidente Bush, che tengono i cordoni della borsa. Adam Nossiter, Ricostruire New Orleans. Una pratica per volta Chi ha avuto più del 50% di danni è in zona a rischio, e deve rispettare alcune regole per la ricostruzione. Così il comune sta rivedendo tutte le pratiche, al 49%, 48% ... ecc. The New York Times, 5 febbraio 2006 (f.b.) Titolo originale: Rebuilding New Orleans, One Appeal at a Time – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini NEW ORLEANS, 4 febbraio – Ogni giorno la fila si snoda lungo uno spartano corridoio qui all’ottavo piano del Municipio, con centinaia di persone che stringono un pezzo di carta con scritta una fatale percentuale, che potrebbe obbligarli ad abbandonare la propria casa. Quella cifra è sempre superiore a 50, e ciò significa che la casa era tanto danneggiata dall’alluvione dell’uragano Katrina – più di metà rovinata – che deve essere demolita, ameno che il proprietario possa spendere le decine di migliaia di dollari necessari a sollevarla qualche metro sopra il terreno, e sopra il livello di qualunque futura inondazione. Ma c’è un modo per uscirne, ed è il motivo per cui tante persone fanno la fila ogni giorno, trasformando collettivamente questa città a pezzi. “Quello che dovete fare è rivolgervi a un ispettore edilizio, per far abbassare la percentuale sotto il 50” spiega un impiegato comunale alla folla. Ed è esattamente quello che succede alla fine della fila, in una grande sala aperta giù in fondo, in quasi il 90 per cento dei casi, raccontano i funzionari di New Orleans. Accettando tanto spesso queste richieste – più di 6.000 negli scorsi mesi – i funzionari comunali essenzialmente stanno consentendo una ricostruzione a caso in tutta la città, minando alla base l’idea della commissione nominata dal sindaco C. Ray Nagin per la ricostruzione, di non rilasciare permessi di ricostruzione nelle zone colpite per molti mesi, finché non fosse possibile redigere un piano più accurato. Quel piano, già accolto da una diffusa opposizione, compreso il sindaco, ora è sostanzialmente morto. Casa per casa, nei quartieri devastati di tutta la città, i proprietari tornano coi loro nuovi permessi di costruzione rivisti e ricostruiscono New Orleans. Si rilasciano 500 permessi del genere ogni giorno, dice Greg Meffert, funzionario comunale incaricato per la ricostruzione. E non c’è nessun criterio particolare riguardo a chi ottiene un permesso, o considerazioni sulla possibilità del quartiere di contenere tanti abitanti quanti prima. Un ispettore edilizio della città, Devra Goldstein, ha definito le procedure dell’ottavo piano “davvero un salto nel buio, caotiche, Selvaggio West, prendetevi quel che volete”. Quello che accade a quel piano, dice, rappresenta “un intero progetto del tutto casuale”. New Orleans a un anno dall’uragano -61/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -62/77 – Antologia di articoli Rappresenta anche la testimonianza del pervicace desiderio di molti abitanti di New Orleans di ritornare a casa, non importa con quali incertezze. ”Ci hanno detto, che controllando meglio ci sono possibilità di avere una valutazione di danni abbassata sotto il 50%, così potremo iniziare a ricostruire” dice George Aguillard, 65 anni, scaricatore di porto in pensione, mentre aspetta pazientemente tra la folla composta in gran parte da afroamericani al municipio. ”Alla mia età, non si può ricominciare di nuovo una nuova casa” racconta il signor Aguillard, che abita nel quartiere allagato di Pontchartrain Park. La sua valutazione di danno è stata del 52,13%. Ma ci può essere un alto prezzo da pagare per questa elasticità dell’amministrazione nel lasciare che tanta gente rientri nelle zone alluvionate senza dover sopraelevare le proprie case. I responsabili delle assicurazioni federali antialluvione sostengono che questa pratica viola la procedura, che stabilisce come regola quel 50% per orientare verso un’edilizia sicura nelle zone a rischio. La gran parte delle città l’hanno adottata come criterio minimo, dicono i funzionari della Federal Emergency Management Agency, che gestisce il programma. In cambio dei forti sussidi per l’assicurazione degli abitanti, il programma prevede che le città impongano un’edificazione in grado di resistere agli allagamenti. Alcune municipalità che violavano queste regole sono state escluse dai programmi assicurativi, mettendo a grave rischio migliaia di residenti. ”Si devono fermare, assolutamente”, dice J. Robert Hunter, ex capo del programma assicurativo federale per le alluvioni e ora direttore per il settore alla Consumer Federation of America. “Si può falsificare” sostiene. “Capisco queste persone. Ma non si può dire: va bene, sei povero, quindi puoi costruire in un posto pericoloso dove ci può essere un’alluvione, e dove puoi rimanere ucciso”. Aggiunge “Non si può distruggere il programma assicurativo per ottenere un obiettivo di breve termine”. Un altro ex direttore delle assicurazioni federali antialluvione, George K. Bernstein, è egualmente critico, e sostiene che la pratica di ridurre la percentuale di danno è “solo uno scippo ai contribuenti”. ”Se New Orleans sta falsificando le rilevazioni dei danni per consentire una ricostruzione inadeguata, deve essere buttata fuori dal programma” dice. I funzionari della FEMA sostengono di osservare da vicino il caso di New Orleans ma di giudicare che la città stia rispettando le regole. ”So che stanno gestendo queste pratiche” dice Michael Buckley, vicedirettore per la riduzione degli impatti alla FEMA. “Non lo chiamerei un modo per modificare le regole”. Buckley dice di “non essere a conoscenza” di un processo di riduzione su grande scala delle valutazioni New Orleans a un anno dall’uragano -62/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -63/77 – Antologia di articoli di danno. Ma su all’ottavo piano, le revisioni al ribasso si concludono in pochi minuti. “È stato tutto molto semplice” racconta Charles Harris, vicesceriffo che ha avuto un metro e mezzo d’acqua nella sua casa nella zona orientale di New Orleans, e la cui percentuale di danni è stata portata al 47% dal 52% che era. “Sono stati davvero collaborativi. Credevo dovesse essere una cosa più combattiva. Ero pronto a mettermi in guardia. Non è stato niente del genere”. Kevin François, manutentore di apparecchi ad aria condizionata con l’abitazione classificata al 52% di danni, dice “È stato fondamentalmente un entrare e uscire”. Lui, è uscito dal municipio con una cifra di parecchi punti inferiore al 50. Meffert, il funzionario municipale, dice che le prime valutazioni qualche volta contengono degli errori. I proprietari devono giustificare qualunque modifica di queste quote, sostiene, e mettere a disposizione i particolari dei progetti di ricostruzione. “Quello che cambia il punteggio è: ‘Farò in questo modo’” dice. Ma qualcuno se ne va dal municipio ancora di umore pugnace, nonostante l’accoglienza amichevole. “Non gli ho lasciato scelta” racconta fiera Florestine Jalvia, che ha fatto ribassare la propria valutazione fino al 47% di danni, dal 52,5%. Un atteggiamento più rigido sulla ricostruzione probabilmente avrebbe innescato il medesimo tipo di reazione dell’ora defunta idea della moratoria di quattro mesi. “Credo che la città stia cercando di evitare un grosso conflitto coi cittadini” dice la signora Goldstein, ispettrice edilizia. Fuori, nei quartieri che si erano allagati, c’è un’attività febbrile, intermittente. Quelli che stanno lavorando duro escludono nettamente l’idea di aspettare finché sarà chiaro quali aree avranno la possibilità di ripresa. ”Beh, io non li ascolto” dice Kristopher Winder, mentre finisce di sventrare la casa di sua madre nel quartiere di Gentilly. L’ha ridotta alla sola struttura portante. Più giù lungo la stessa via, cartelli di fronte alle case lanciano messaggi di sfida: “ Stiamo ricostruendo, e non cercate di fermarci!” recita uno, e “ Non c’è nessun altro posto come casa tua”, un altro. ”Ci ho pensato, quando hanno detto quella cosa dei quattro mesi, e ho pensato che fosse pazzesco” dice il signor Winder. “Ero furioso. Non aveva senso”. ”Sto lavorando su questa casa” racconta. “Sarà di nuovo in piedi e funzionante in tre o quattro mesi”. New Orleans a un anno dall’uragano -63/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -64/77 – Antologia di articoli Bill Sasser, Come chiudere fuori dalla porta i poveri di New Orleans Migliaia di sfollati dalle case popolari di New Orleans dopo Katrina aspettano da mesi e mesi di sapere se e quando potranno mai rivedere le proprie case. C'è un progetto per tagliarli fuori dalla città? Salon, 13 giugno 2006 Titolo originale: Locking out New Orleans' poor – Scelto e tradotto per eddyburg_Mall da Fabrizio Bottini NEW ORLEANS – Seduti sotto uno striscione fatto in casa, “ Survivors Village” steso fra due pali della luce, gli ex abitanti delle case pubbliche di New Orleans hanno promesso di star qui accampati sullo spartitraffico di fronte al complesso abbandonato di St. Bernard finché i funzionari dello U.S. Department of Housing and Urban Development non metteranno a disposizione un piano di ripristino dei loro appartamenti. Mentre gli avvocati che rappresentano gli inquilini sgombrati tenteranno di muovere una causa per discriminazione di classe contro lo HUD fra qualche giorno, i manifestanti, che hanno piantato le loro tende sotto il sole cocente del primo fine settimana di giugno, dicono che intendono abbattere la recinzione eretta dal governo il 4 luglio, per iniziare da soli le riparazioni se gli uffici responsabili non risponderanno. “Nessuno vuole rovinarsi l’esistenza andando in prigione o facendosi del male, ma il 4 luglio per noi significa agire o morire” dichiara Endesha Juakali, attivista ed ex abitante del St. Bernard che gestiva un centro comunitario e day care nel quartiere. “Questa gente ha dei contratti, ed è stata sgombrata illegalmente dalla propria casa. Entreremo, siamo pronti a dozzine di arresti, non torneremo indietro”. Gli ex inquilini avevano minacciato di abbattere la recinzione il fine settimana precedente, provocando una dichiarazione pubblica da parte del segretario HUD Alphonso Jackson perché non infrangessero la legge o si esponessero ai pericoli negli appartamenti dell’edificio danneggiati dall’uragano. Il sostegno FEMA per l’abitazione su cui si sono appoggiati molti inquilini evacuate per pagare gli affitti in altre città, scade il 30 giugno. I funzionari HUD sostengono che gli ex abitanti delle case pubbliche di New Orleans hanno diritto ai propri programmi per continuare a ricevere aiuti. “Quello che sembrano non capire, è che la gente vuole tornare a casa a New Orleans”, dice Juakali. “Non vogliono firmare un contratto a Houston o in un altro posto”. Dieci mesi dopo Katrina, almeno l’80% delle abitazioni pubbliche di New Orleans resta chiuso. Sei su dieci dei più grossi quartieri popolari della città hanno gli ingressi sbarrati, e gli stri sono in vari stadi di riparazione. Meno di 1.000 delle 5.100 famiglie che abitavano nelle case più vecchie prima della tempesta, sono tornate, secondo la Housing Authority di New Orleans. La HANO, come è normalmente conosciuta, è sotto il controllo diretto dello HUD da quando è entrata nei programmi federali nel 2002. New Orleans a un anno dall’uragano -64/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -65/77 – Antologia di articoli Jackson ha annunciate lo scorso mese che lo HUD investirà 154 milioni di dollari nella ricostruzione di abitazioni pubbliche a New Orleans, e che collaborerà con l’amministrazione cittadina per riportare a casa gli sfollati. Ma i critici sostengono che si vede cattiva gestione e abbandono, a ripetere la disastrosa risposta del governo nei primi giorni dopo la catastrofe. Alcuni temono che funzionari governativi e uomini d’affari stiano silenziosamente progettando la demolizione dei vecchi complessi e la privatizzazione delle case pubbliche. Ex inquilini e attivisti affermano che molti appartamenti con pochi danni potrebbero essere riparati rapidamente, come nel caso del secondo e terzo piano nel complesso St. Bernard. Con più di 3.000 persone che ci abitavano prima dell’uragano, il St. Bernard era il principale quartiere di case popolari della città. “Alfonso Jackson non dice la verità quando afferma che c’è piombo in questi appartamenti” dice Walter Smith, impiegato trentenne della HANO licenziato da settembre. “Ero uno dei primi ispettori, e non ci sono vernici al piombo in questi edifici. Per quanto riguarda la muffa, è quello che succede se c’è un allagamento e non si ripuliscono gli appartamenti per nove mesi. Ma la muffa è sempre stato un problema al St. Bernard anche prima di Katrina. La gente ha imparato a viverci insieme”. Gli avvocati che rappresentano gli inquilini sgombrati pensano di istruire una causa per discriminazione di classe contro lo HUD e l’ufficio case popolari, affermando che entrambi hanno mancato alle proprie responsabilità, di rispondere alle gravi carenze abitative in città, e aiutare gli I residenti a tornare. “Gran parte delle persone a cui non è stato concesso di tornare sono titolari di contratti, ed esistono leggi federali che regolano in quali circostanze lo HUD può togliere la gente dalle proprie case e mantenerla fuori”, spiega Bill Quigley, direttore della public law clinic alla Loyola University e uno degli avvocati che lavorano alla causa. “Anche se il ruolo di HUD è quello di dare casa alle persone, dopo Katrina hanno agito in modo da tenerle fuori. La HANO ha licenziato una enorme parte del personale di manutenzione e si è concentrata sul recintare il complessi”. Segnate per anni da criminalità e droga, e un tempo luogo di intensi programmi comunitari, le case pubbliche di New Orleans erano piuttosto lontane dall’essere l’abitazione per i poveri della città. Comunque gli attivisti e gli ex inquilini considerano che le barriere erette attorno alle St. Bernard e ad altri complessi a partire da marzo sono un chiaro segnale del fatto che le agenzie non hanno alcun progetto di riaprirli. “Quello a cui stiamo assistendo è una spinta alla privatizzazione delle case per i redditi bassi di New Orleans, usando Katrina come scusa e River Garden come modello”, dice Jay Arena, attivista per la casa. River Garden, un intervento di riurbanizzazione per redditi misti iniziato alla fine degli anni ‘90, ha sostituito alle 1.500 abitazioni dell’ex complesso popolare di St. Thomas olter 1.600 appartamenti. Alla fine, solo 120 sono New Orleans a un anno dall’uragano -65/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -66/77 – Antologia di articoli stati classificati case pubbliche, e solo il 40% sinora sono state occupate da inquilini a basso reddito. Sia il segretario Jackson che il sindaco Ray Nagin hanno esaltato River Garden come modello per la ricostruzione delle case pubbliche di New Orleans. “HANO e HUD stanno giocando al rinvio con gli inquilini sfollati” continua Arena, “nella speranza che più tempo si aspetta a riaprire, meno inquilini si ripresenteranno”. I funzionari HUD sostengono che siano problemi sanitari e di sicurezza a impedire l’accesso a St. Bernard. “Nostra prima preoccupazione è sempre la salute dei nostri inquilini, e gli studi ambientali hanno rilevato la presenza di muffa nel 90% delle case pubbliche danneggiate di New Orleans” dichiara Donna White, portavoce per gli affari pubblici dello HUD a Washington. “Abbiamo anche dei problemi con la condizione dei quartieri in cui si trovano i complessi. La gente deve avere a disposizione negozi, scuole e trasporti pubblici, e molti di questi servizi non sono ancora ripristinati”. Attivisti per la casa ed ex dipendenti HANO rispondono che lo HUD sta esagerando i problemi di sicurezza. Marty Rowland, ingegnere civile che persta servizio volontario con un gruppo locale per la casa, afferma di aver condotto un’analisi informale su cinque edifici del St. Bernard lo scorso inverno, rilevando che se se i primi piani si erano allagati, gran parte di quelli superiori sembravano poco danneggiati dall’acqua. “L’acqua è entrata, ma non più che in zone come Gentilly dove gli edifici sono stati ripuliti e sono in via di rinnovo” dice Rowland. “Se si riallaccia l’elettricità, le persone possono rientrare a tempi brevi a quei piani”. Sia che abitino in alloggi temporanei a New Orleans o che si spostino qui in auto da altre città come Baton Rogue, Houston e Atlanta, gli ex inquilini si sono organizzati nelle settimane recenti per fare pressione sugli uffici responsabili cittadini e federali. “Sono tornata a New Orleans perché è qui che voglio stare, ma la HANO non ce ne dà la possibilità” racconta Stephanie Mingo, ex abitante delle St. Bernard tornata da Houston la scorsa settimana. Mingo ha perso la madre durante Katrina e si è salvata insieme a due figlie e un nipote galleggiando aggrappata un frigorifero fino al vicino sovrappasso della Interstate 10. Dall’ultimo fine settimana sta accampata sullo spartitraffico di fronte al complesso. “I miei figli sono in tensione, io sono in tensione” dice la Mingo. “I nostri giovani vengono uccisi a Houston. I nostri anziani si ammalano e muoiono. Sono partita giovedì, e non ho intenzione di tornare in quel posto. Ci siamo offerti di entrare in questi appartamenti e ripulirli da soli, ma non vogliono ascoltarci”. Decine di migliaia di evacuati sono stati spostati in abitazioni temporanee a Houston lo scorso settembre. Coi mesi che passano, raccontano di sentirsi poco accettati come gente da fuori, e di trovare più problemi con la criminalità di quanto non accadesse a New Orleans. New Orleans a un anno dall’uragano -66/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -67/77 – Antologia di articoli Con l’atmosfera di una festa di ritorno, griglie di barbecue fumanti e musica battente dagli stereo portatili, la protesta alle St. Bernard ha attirato alcune decine di ex inquilini e centinaia di sostenitori, come il deputato William J. Jefferson, il cui collegio comprende la 7th Ward. “Avete tutti il diritto di tornare” ha dichiarato Jefferson alla folla, chiedendo ai responsabili di riaprire appena possibile glia appartamenti non allagati (Jefferson è attualmente indagato in un processo federale per corruzione di rilevanza nazionale). “Non ci può essere un settore turistico senza lavoratori, qui, e la gente che ora è fuori città e vuole tornare ha fatto funzionare questo posto per anni”. Secondo i responsabili dell’agenzia, prima di Katrina nelle case pubbliche abitavano 49.000 persone, 20.000 nei più vecchi complessi a grandi edifici come St. Bernard, e 29.000 nelle case d’affitto Section 8, pure devastate dalla tempesta. La HANO ha smantellato le case pubbliche tradizionali per oltre un decennio prima dell’uragano, attraverso il programma Hope VI dell’epoca Clinton, che favorisce i buoni casa e gli interventi per redditi misti. Tormentata per anni da problemi di cattiva gestione la HANO è stata assorbita nel 2002 da un gruppo di riorganizzazione dello HUD, che prima di Katrina aveva dato buona prova secondo molti osservatori nella riforma di un’agenzia considerata una delle peggiori del paese. Ma dopo l’uragano la HANO è stata aspramente criticata per la gestione e il trattamento degli ex inquilini. Gli abitanti evacuati in abitazioni temporanee sparse i tutto il paese hanno ricevuto comunicazione da parte delle autorità lo scorso autunno, di aver tempo sino al 31 dicembre per rimuovere dagli appartamenti le loro cose, altrimenti sarebbero state messe per strada, la scadenza è poi stata spostata al 15 gennaio, e successivamente eliminata. Anche se non è stato fatto nulla per ripulire o drenare gli edifici allagati, le autorità hanno speso centinaia di migliaia di dollari per realizzare le recinzioni e sbarrare le porte con lastre d’acciaio a sigillare i complessi: e questo soltanto dopo che per mesi centinaia di case erano state saccheggiate e derubate. Nel frattempo, i gruppi di sostegno hanno fatto causa alla HANO per aver affittato appartamenti delle River Garden a 35 propri dipendenti e 11 poliziotti di New Orleans, nonostante la lunga lista d’attesa per le abitazioni pubbliche. Nel dopo Katrina alcuni rappresentanti in Louisiana hanno fatto alcune sconvolgentemente chiare dichiarazioni. “Alla fine abbiamo ripulito le case pubbliche di New Orleans. Noi non riuscivamo a farlo, ci ha pensato Dio”, come recita sul Wall Street Journal dello scorso settembre una dichiarazione del deputato Richard H. Baker, Repubblicano di Baton Rouge. L’ex presidente del Consiglio municipale di New Orleans Peggy Wilson, candidata nelle recenti elezioni a sindaco, ha dichiarato che la città deve tener fuori “ruffiani” e “regine dell’assistenza pubblica”, mentre l’attuale presidente, Oliver Thomas, afroamericano, dice che le case pubbliche sono per chi lavora, non per chi “guarda le soap opera”. New Orleans a un anno dall’uragano -67/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -68/77 – Antologia di articoli Thomas, che più tardi si è scusato della propria dichiarazione, ha proposto di monitorare gli inquilini che rientrano riguardo a curriculum lavorativo e disponibilità. “Dobbiamo costruire una comunità di lavoratori in grado di badare a sé stessa” ha dichiarato Thomas agli evacuati di New Orleans a Houston in marzo. “Usciamo da tre generazioni di povertà con la gente che non si aspettava di migliorare. Se ce la possibilità di farlo e farlo meglio, lo faremo”. I critici, a New Orleans e in tutto il paese, hanno definito quello delle case popolari un esperimento fallito, che ha fomentato l’uso di droga, criminalità e povertà. Eppure, prima di Katrina, la criminalità nei quartieri popolari di New Orleans era bassa se paragonata a quella dei decenni precedenti. I dati del censimento 2000 mostrano che la maggioranza degli abitanti delle case pubbliche lavora. L’occupazione fra i residenti delle St. Bernard era del 60%, mentre nella città complessivamente percepisce un salario o ha un reddito da occupazione il 73% (gli abitanti delle case popolari comprendono anche molti bambini e inquilini oltre l’età pensionabile). “Non sto dicendo che le case popolari sono la cosa migliore del mondo, o che le rivogliamo esattamente come erano, ma questa città è affamata di qualunque tipo di abitazione ora, abbiamo bisogno di riavere la massima quantità di alloggi il più presto possibile” afferma Laura Tuggle, avocato di interesse pubblico che lavora sulle questioni della casa alla New Orleans Legal Assistance. Cita una recente chiamata da parte del direttore del personale dello Harrah's Casino. “Hanno dipendenti che abitavano nelle case pubbliche e li rivogliono, ma non sanno dove abitare ora”. Dopo mesi di esilio gli ex abitanti sono più che mai ansiosi di tornare e stanno assumendo un atteggiamento sempre più contrapposto rispetto alla HANO. Durante una protesta alle St. Bernard in aprile, numerosi funzionari HANO e una decina di poliziotti hanno assistito alla scena di un gruppo di abitanti e attivisti che apriva con la forza un passaggio nella recinzione di sicurezza, rientrando brevemente all’interno del complesso. Gloria Irving, 70 anni, nonna relegata a Houston, ha guidato i dimostratori sulla sua sedia a rotelle oltre lo schieramento di polizia e guardie HANO. Non sono stati effettuati fermi. Più tardi, lo scorso mese, il segretario HUD Jackson ha sostituito il gruppo di partecipazione federale HANO. Alla prima riunione del comitato in maggio , Donald Babers, funzionario HUD di carriera consigliere per gli aiuti, e William Thorson, nuovo responsabile federale, hanno tenuto la prima ora e mezzo di assemblea pubblica dopo essere stati chiamati a gran voce dagli abitanti delle case popolari. Una scena simile si è ripetuta alla recente riunione del comitato cittadino per la casa, dove gli inquilini hanno chiesto di sapere quando HANO e HUD presenteranno un calendario di riapertura delle case come le St. Bernard. I rappresentanti della agenzie hanno sostenuto di aver bisogno di altri 12-18 mesi per le verifiche e la redazione di un piano. Ma gli attivisti credono che lo HUD un piano l’abbia già, e che rifiuti di renderlo pubblico. Alla medesima riunione New Orleans a un anno dall’uragano -68/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -69/77 – Antologia di articoli del consiglio cittadino, I responsabili per la casa hanno annunciato che stavano per presentare 11 richieste di crediti fiscali destinati ai bassi redditi alla Louisiana Housing Financing Agency per la ricostruzione di case pubbliche. “Se si va dalle agenzie statali a chiedere crediti fiscali del valore di milioni di dollari, ci deve già essere un piano per cosa farne” ha commentato la Tuggle. “Per come la vedo io, il Segretario Jackson sembra prendere tutte le decisioni su New Orleans, mentre al pubblico qui non viene spiegato molto”. L’avvocatessa Tuggle, che segue da vicino le questioni delle case, afferma di ritenere che ci sia in vista “qualche intervento di ricostruzione piuttosto grosso”. Se la ricostruzione può richiedere decenni, il vecchi complessi – alcuni dei quali come il St. Bernard, sono stati realizzati come progetti WPA [ Works Progress Administration] fra la fine degli anni ’30 e i primi ’40 – erano il fulcro sociale dei propri quartieri, e l’unico tipo di casa che molti abitanti di New Orleans avessero mai conosciuto. “Sono qui, oggi, perché la mia famiglia ci viveva. Siamo nati e cresciuti in questo posto” dice Kenneth Simms, 34 anni, ex inquilino delle St. Bernard venuto a New Orleans da Baton Rogue. “Mia sorella maggiore viveva lì, l’altra sorella là in fondo, mio fratello maggiore lì, e le zie sul retro. Ci sono centinaia e centinaia di persone che conosciamo e a cui vogliamo bene, e anche loro vogliono tornare a lavorare. Che dobbiamo fare?”. Jualaki, che gestiva il centro comunitario, dice di aspettarsi il ritorno di parecchi ex abitanti sfollati in città quest’estate. Si è associato ad alcuni pastori del luogo per realizzare abitazioni temporanee nelle chiese ripulite. “Prepariamo rifugi per la gente. Sono persone che abitavano a New Orleans con redditi minimi e non sono riuscite a tornare” dice Juakali, che abita in un trailer FEMA parcheggiato di fronte alla propria casa danneggiata dall’uragano, sulla strada davanti alle St. Bernard. “Ne aspettiamo centinaia, se non migliaia, che inizieranno a tornare a casa. Cosa dobbiamo farne? La città non ha un progetto. Lo stato non ha un progetto. Le autorità federali non hanno un progetto”. New Orleans a un anno dall’uragano -69/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -70/77 – Antologia di articoli Michael Kunzelman, I “Katrina Cottage” danno una possibilità a chi abita ancora nelle case mobili Nuove, economiche, molto piccole, ma "case" e non "rifugi", per aspettare 10-15 anni la ricostruzione. Notizia Associated Press dallo Atlanta Journal Constitution, 9 luglio 2006 Titolo originale: 'Katrina Cottages' give trailer dwellers option – Scelto e tradotto per eddyburg_Mall da Fabrizio Bottini Ocean Springs, Mississippi – L’uragano Katrina ha dato vita a una vera e propria industria del cottage, rivolta alle decine di migliaia di famiglie ancora stipate nelle case mobili del governo a dieci mesi dalla tempesta. Squadre di architetti e costruttori fanno a gara per progettare, realizzare e vendere prodotto come il “ Katrina Cottage” e il “ Coastal Cabana” etichettati come comodi, durevoli e alternative economiche alle precarie case mobili fornite dalla Federal Emergency Management Agency. Il Congresso si è unito agli sforzi lo scorso mese, destinando 400 milioni a un programma pilota che potrebbe spostare migliaia di occupanti dei rimorchi FEMA dentro ai cottages. Mississippi e Louisiana stanno predisponendo dei piani di attuazione del programma pilota, ma c’è il settore privato che non aspetta che si muova il governo. Alcuni imprenditori stanno già accettando ordinazioni dagli abitanti della Costa del Golfo che non vedono l’ora di buttare alle ortiche le case mobili FEMA. “Siamo tutti stanche di abitare in spazi piccoli” dice l’architetto di Ocean Springs Bruce Tolar, che si è associato al settore edilizia della catena Lowe per realizzare un lotto dimostrativo di circa 20 cottage Katrina nella sua cittadina natale devastata della tempesta. La Lowe's Cos. Inc. fa dono del materiale per costruire uno dei cottage di Tolar. Il primo “ Katrina Cottage” progettato dall’architetto di New York Marianne Cusato, ha fatto colpo al debutto del prototipo in gennaio a una mostra di settore in Florida. Sei mesi dopo, Cusato è in trattative con Lowe's per predisporre un “ kit” di tutti i materiali necessari ai costruttori per assemblare il cottage Katrina nel luogo prescelto. “L’unica differenza fra questa casa e una normale abitazione sono le dimensioni” dice. “Si rivolge a un mercato che non esiste. Se si vuole qualcosa così piccolo, ora, ci sono solo le case mobili”. Il prototipo di Cusato è meno di 30 mq – un po’ più ampio di un trailer FEMA – ed è dotato di una veranda, tetto metallico e sostegni in cemento, progettato per sopportare venti fino 200 kmh. All’interno, un soggiorno, cucina, bagno, e stanza da letto con letti gemelli e sgabuzzino. Una botola nella stanza da letto porta a una zona deposito aggiuntiva fra il soffitto e il tetto. La Cusato ha lavorato sul prototipo e ha progettato un cottage da 45 mq che aggiunge una seconda stanza da letto, e spazio per la lavatrice e asciugatore. C’è anche uno schema per un “ New Orleans Cottage” da 40 New Orleans a un anno dall’uragano -70/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -71/77 – Antologia di articoli mq con cornicioni e tettoie che riprendono l’architettura tipica della città. “Quello che stiamo cercando di fare è costruire bene e per il futuro” dice. “É quello che vuole la gente nelle proprie città”. Il prezzo del prototipo era stato calcolato in 35.000-45.000 dollari, escluse spese per le fondamenta e la consegna. Cusato dice che non sono ancora stati fissati i prezzi per i nuovi modelli più grandi. Il primo cottage, ora sistemato in un lotto disponibile a Ocean Springs, attira un flusso costante di curiosi che gli girano attorno e sbirciano dalle finestre. “Potrei abitarci” si è detto il consulente finanziario Marty Wagoner, dopo aver visto il prototipo. Wagoner, sua moglie Lisa, e i loro figli gemelli di 6 anni, abitano in una casa in affitto al centro di Ocean Springs da quando Katrina ha distrutto la loro casa sulla spiaggia. La coppia ha commissionato a Tolar, l’architetto del posto, di realizzare un cottage da 65 mq col pavimento di quercia rossa recuperate dalla loro vecchia casa. “Questa è la cosa davvero magnifica: si possono personalizzare” dice Wagoner, che calcola gli costerà circa 1.000 dollari al metro quadrato. Trasferirsi in un cottage consentirà alla famiglia anche di abitare sulla proprietà mentre si costruisce una nuova casa. “É piccolo, ma è come una vera casa” commenta. Il Katrina Cottage è il prodotto di un raduno di architetti dell’ottobre 2005 a Biloxi organizzato da Andres Duany, professionista di Miami e figura di spicco del movimento “New Urbanist”, arginare lo sprawl e creare città compatte e utilizzabili a piedi. Duany, che ha sfidato Cusato e altri architetti a disegnare alternative ai rimorchi della FEMA, aveva pure schizzato un suo progetto di Katrina Cottage, modello da circa 65 mq che ha reso pubblico a Chalmette, Louisiana, in marzo. Sia Mississippi che Louisiana hanno adottato i cottage, ma i particolari del programma pilota governativo non sono chiari. Il Congresso non ha specificato quale tipo di alternativa alle case mobili della FEMA debba essere finanziata, e non è chiaro se i due stati divideranno i fondi federali. Gavin Smith, direttore dello Haley Barbour's Office of Recovery & Renewal del governo del Mississippi, dice che lo stato ha 45 giorni per presentare alla FEMA le proposte di sostituzione coi “ Mississippi cottages”. “Le famiglie non devono vivere fino a cinque o anche dieci anni in un rimorchio mentre si ricostruisce la costa” dice Smith. “Nono solo [i cottage] saranno più durevoli, ma sostituiranno anche gli stili architettonici delle case che abbiamo perso”. Anche il sindaco di Ocean Springs Connie Moran ha fatto pressioni sulla FEMA per adottare le alternative ai trailers, ma l’agenzia ha sollevato una legge federale che le proibisce di offrire alle vittime di calamità qualunque New Orleans a un anno dall’uragano -71/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -72/77 – Antologia di articoli tipo di abitazione permanente. “Non siamo interessati a creare nuovi campi di case mobili” dice la Moran. “Vogliamo realizzare quartieri di cottage dove le architetture assomigliano al vernacular della costa”. Il Katrina Cottage ha già la concorrenza del Coastal Cabana, una casa prefabbricata da 29 mq proposta dalla Hurricane Homes Inc. di Pascagoula. Ha una veranda, una stanza pranzo/soggiorno, bagno e stanza da letto, sgabuzzino e possibilità di spazio lavatrice-asciugatrice. Katrina Vanden Heuvel, La battaglia per la ricostruzione Un anno dopo l'uragano a New Orleans, i giochi sporchi della politica e la lotta delle associazioni, degli abitanti, del volontariato. The Nation, 29 agosto 2006 Titolo originale: The Battle over Reconstruction – Scelto e tradotto per eddyburg_Mall da Fabrizio Bottini Charles Jackson, coordinatore per la comunicazione alla Association of Community Organizations for Reform Now (ACORN), la scorsa settimana era ansioso, mentre si avvicinava l’anniversario di oggi dell’uragano Katrina. La municipalità aveva dichiarato che quel giorno avrebbe requisito qualunque casa non fosse stata ripulita o recuperate, per venderle e/o demolirle: senza nemmeno avvertire gli ex abitanti. “Stiamo cercando di prolungare la scadenza fino a novembre” dice Jackson. “Perché colpire la gente con un altro atto di devastazione, per l’anniversario? Non c’è un po’ di compassione?”. Ma la compassione scarseggia come l’acqua pulita nel quartiere della Lower 9th Ward nell’ultimo anno. ACORN aveva 9.000 famiglie iscritte a New Orleans quando ha colpito Katrina, e dopo un anno 7.500 non sono ancora ritornate. Sembrava che potessero non aver nessuna casa a cui tornare. Ad ogni modo, la giornata di ieri ha segnato una piccola vittoria per ACORN. Il consiglio municipale di New Orleans ha modificato l’ordinanza di requisizione in modo che gli abitanti le cui case sono inserite negli elenchi di intervento ACORN (o di altri 15 gruppi) verranno considerate in regola coi criteri stabiliti (si noti che la municipalità non mette a disposizione nessun finanziamento alle Associazioni, per questo compito vitale). Per le abitazioni non ancora comprese negli elenchi di intervento, la città tenterà di contattare i proprietari due volte nel giro di 60 giorni, prima di requisire la proprietà. Jackson dice che ACORN non ha ottenuto tutto quello che voleva e questo è un compromesso, ma almeno per ora si sono fermate le ruspe. “Abbiamo già combattuto perché si arrivasse a rinviare rispetto alla data dell’anniversario, così che agli abitanti del Lower 9th e agli anziani fossero evitati gravi disagi” dice Jackson. “Ma cosa ne sarà di New Orleans East e di altre parti della città? Ci sono interi quartieri, con migliaia di abitazioni, dove siamo riusciti a far tornare una sola famiglia. La gente a basso New Orleans a un anno dall’uragano -72/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -73/77 – Antologia di articoli reddito non può nemmeno permettersi il costo del viaggio per tornare qui. Adesso almeno abbiamo ottenuto un po’ di tutela in più per le famiglie in difficoltà con le quali stiamo lavorando”. Il lavoro di tutela dei proprietari, inquilini e quartieri è cominciato immediatamente dopo il disastro, quando il sindaco Ray Nagin ha annunciate che il comune avrebbe demolito circa 50.000 abitazioni a seguito dell’alluvione. In dicembre, la città doveva demolire le prime 2.500, quando ACORN ha ottenuto un accordo per notificare ai proprietari e dar loro l’opportunità di presentare ricorso prima dell’esecuzione. Lo stesso mese, ACORN ha lanciato il suo Home Clean-Out Demonstration Program per gestire l’opera che il governo continua a non fare. Le squadre dell’associazione hanno ripulito le macerie, sgorgato gli interni delle case, scrostato il fango e riparato i tetti senza alcuna richiesta di denaro (la spesa per abitazione di ACORN è in media di 2.500 dollari). Senza questo intervento, molte delle case si sarebbero deteriorate oltre ogni possibilità di ripristino. Cosa che, forse, è esattamente il risultato su cui contano alcune élites di potere della città. Al primo agosto, le squadre ACORN avevano ripulito e sgorgato 1.450 abitazioni. Ce ne sono almeno altre 1.000 in lista d’attesa. Hanno collaborato al progetto oltre 5.000 volontari, come studenti nelle vacanze brevi primaverili, e lavoratori della AFL-CIO, o dalla Canadian Autoworkers Union. “Al massimo dei lavori ripulivamo centinaia di case la settimana” racconta Jackson. “Adesso siamo scesi a circa 20-30. I volontari non possono permettersi i prezzi alle stelle degli alberghi, e la FEMA a luglio ha chiuso Camp Algiers”. Camp Algiers ospitava i volontari in città per aiutare negli sforzi di ripulitura r ricostruzione, dunque si trattava di una risorsa vitale per gruppi come ACORN, Catholic Charities, Common Ground, o Habitat for Humanity. Ma un taglio nei finanziamenti ha fatto chiudere il campo. “Speriamo comunque che con l’anniversario, e il documentario di Spike Lee, la gente riprenda l’impegno a venire qui, sostenere il nostro lavoro finanziariamente, fare quello che si può per aiutare la ripresa di New Orleans” prosegue Jackson. Oltre al lavoro di ripulitura, ACORN si è conquistato un posto al tavolo di decisione dei progetti a lungo termine. Non sorprende che, in un primo tempo, le famiglie a reddito medio-basso fossero escluse da questo processo. La commissione presieduta dal sindaco, Bring New Orleans Back Commission, aveva proposto di orientare le risorse in primo luogo verso le zone che avevano subito poco o nessun danno dall’alluvione. Altri quartieri, da gennaio a maggio, dovevano “dimostrare la propria validità”. Jimmy Reiss, membro della Commissione, ha dato voce ai peggiori incubi della ACORN quando ha detto: “Chi vuole ricostruire la città la vuol vedere New Orleans a un anno dall’uragano -73/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -74/77 – Antologia di articoli rifatta in modo completamente diverso, dal punto di vista demografico, geografico, politico”. L’associazione non è stata ad aspettare alte cattive notizie. Si è invece incontrata coi consulenti urbanistici di Cornell University, Pratt Institute, e Louisiana State University a chiedere informazioni sul processo di ricostruzione. Ha anche tenuto assemblee con gli abitanti sfollati nelle città dove si trovano al momento. Questo sforzo comune ha prodotto progetti dettagliati per I quartieri di Lower 9th Ward e New Orleans East. Il 21 luglio ACORN Housing è stata riconosciuta come una delle 16 strutture “ufficiali” per i programmi urbanistici di New Orleans. Proporrà progetti di quartiere al sindaco e al consiglio municipale, e – dopo l’approvazione – entrerà a far parte dello Unified New Orleans Plan, che orienta le risorse per la ricostruzione, oltre a fungere da prospettiva di lungo periodo per la città. Jackson sostiene che si tratta di una grande vittoria: “Significa che viene ascoltata la voce della gente”. Ed era ora. Seconndo lo Institute for Southern Studies, al 30 giugno era tornato solo il 37% della popolazione pre-tempesta (460.000 abitanti) di New Orleans; non si sono distribuiti fondi federali per ricostruire abitazioni: zero; e il tasso di suicidi in città è aumentato del 300% dall’uragano. “Siamo decisi a restare qui finché il lavoro non sarà finito” dice Jackson. “Ma vogliamo anche parlare del fatto che, un anno dopo, le cose qui non vanno bene”. Le piccole vittorie di ACORN e dei suoi alleati sono state difficili da conseguire. Come scrive Chris Kromm in questo numero di The Nation, “Chiedete agli attivisti del Golfo cosa ci vuole per cambiare le sorti della regione, e molti vi risponderanno con l’idea che il movimento per Katrina deve diventare nazionale, magari internazionale”. Riguardo alla prospettiva internazionale, lo Institute for Southern Studies indica come gli studiosi di diritto ritengano che nel caso di Katrina siano stati violati 16 dei 30 principi delle Nazioni Unite riguardo alla gestione del problema “Sfollati all’interno del Paese”. Per contribuire ad assicurare che le sofferenze delle vittime di Katrina non vengano aggravate da avidità e opportunismo, c’è qualcosa che potete fare: contribuire finanziariamente o Adottare una Casa; fare volontariato con lo Home Clean-out Demonstration Program; o contattare il vostro deputato federale attraverso la linea diretta della ACORN Legislation Action allo 800-643-9557. Un anno dopo la prima devastazione, entrate a far parte del movimento che chiede di cominciare la ricostruzione di New Orleans secondo i nostri migliori principi democratici. New Orleans a un anno dall’uragano -74/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -75/77 – Antologia di articoli Nicolaus Mills, Storia di due uragani: Galveston e New Orleans Un paragone fra lo sforzo nei soccorsi e per la ricostruzione di un secolo fa, e quanto accade ora. Che cosa è cambiato? Dissent, estate 2006 Titolo originale: A Tale of Two Hurricanes: Galveston and New Orleans – Scelto e tradotto per eddyburg_Mall da Fabrizio Bottini Quando pensiamo a New Orleans e alla ricostruzione dopo l’uragano Katrina, I paragoni che vengono in mente più spesso sono Chicago dopo l’incendio del 1871 o San Francisco dopo il terremoto del 1906. La rinascita come una Fenice dalle sue ceneri di queste due città appare come una lezione su come ricostruire dopo un disastro. Ma dato che la ripresa di New Orleans tarda, e i suoi poveri sparsi per il paese faticano a radicarsi altrove, c’è una terza città – Galveston, Texas – che dovremmo considerare se pensiamo alla New Orleans del postKatrina. Al contrario di Chicago e San Francisco, Galveston offre una vicenda ammonitrice, che indica come la ripresa da un disastro possa diventare, anche con le migliori intenzioni, avere obiettivi limitati ed escludere, anziché aprire, delle occasioni. La storia del disastro di Galveston comincia l’8 settembre del 1900, quando la città viene colpita da un uragano di classe 4, che provoca circa 6.000 vittime, un sesto degli abitanti; distrutte 3.600 abitazioni; 30 milioni di dollari di danni. É il peggior disastro naturale della storia americana. L’opera di soccorso per Galveston parte immediatamente’s relief effort started immediately. Domenica 9 settembre, il giorno dopo l’uragano, il sindaco Walter C. Jones nomina un Central Relief Committee, composto dai cittadini più in vista di Galveston, che si fanno carico di ciascuna delle dodici circoscrizioni in cui è divisa la città. Due giorni dopo, il sindaco confisca tutte le provviste alimentari per assicurare che vengano vendute e distribuite a prezzi ragionevoli. Non esiste comunque alcun modo in cui la città possa gestirsi da sola a lungo, e presto arrivano gli aiuti. Dalla vicina Houston, il vapore Lawrence porta parecchie tonnellate di provviste e 500.000 litri d’acqua potabile. Contemporaneamente, sotto il commando del Brigadiere Generale Thomas Scurry, arrivano duecento miliziani della Guardia Volontaria del Texas, che mettono fine ai casi sparsi di saccheggio che si erano verificati. La settimana successiva, la fondatrice e presidente della Croce Rossa americana Clara Barton, diventata famosa durante la Guerra Civile, assume l’incarico di quello che, all’età di 78 anni, sarà il suo più importante impegno di soccorso. Il denaro non è un problema. Le donazioni arrivano da tutto il paese. Lo stato di New York manda 94.000 dollari. Un bazaar al Waldorf-Astoria ne raccoglie 50.000. L’imprenditore di giornali William Randolph Hearst ne manda altri 50.000. Per mesi le ferrovie offrono trasporti gratuiti verso qualunque località del paese alle vittime dell’uragano, e c’è abbondanza di lavoro disponibile da ovunque. Galveston paga da 1,50 a 2 dollari al giorno, più vitto e alloggio. New Orleans a un anno dall’uragano -75/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -76/77 – Antologia di articoli Quello che segue, è un successo nei soccorsi. In novembre, la Croce Rossa lascia Galveston, soddisfatta dell’opera compiuta, e nel febbraio 1901, il Central Relief Committee chiude le proprie attività. La città ora ha di fronte il problema, più difficile e di lungo termine, del come ricostruire. Costruita su un’isola sul Golfo del Messico, Galveston ha due principali problemi del tipo di quelli di New Orleans: come tenere fuori le acque circostanti nella prospettiva di future uragani, e cosa fare dei propri edifici costruiti più in basso, più vulnerabili agli allagamenti. Con l’aiuto del parlamento del Texas, che consente alla città di emettere 2 milioni di dollari in obbligazioni al 5% e di non pagare una serie di tasse statali, viene trovata una risposta tecnica ad entrambe le questioni. Nel settembre 1902, dopo un’approvazione a soverchiante maggioranza per emettere obbligazioni, la municipalità autorizza J.M. O’Rourke & Company a erigere una massiccia barriera verso il mare. I lavori iniziano un mese dopo, e nel febbraio 1904, dopo 471 giorni di costruzione, con pause solo le domeniche, il progetto è portato a termine. Galveston ora è protetta da una parete verso il mare di cemento e pietra lunga cinque chilometri e mezzo, che si eleva di oltre cinque metri rispetto al livello della bassa marea, e pesa sessanta tonnellate per metro lineare. Con miglioramenti e aggiunte, la muraglia sul mare ha aiutato Galveston a sopravvivere ai numerosi uragani, compreso Carla nel 1961 e Alicia nel 1983, che l’hanno incontrata sulla loro strada dopo il 1900. Per la parete sono stati necessari 5.200 carichi di granito a pezzi, 1.800 di sabbia, 1.600 di palificazioni. Ma sollevare gli edifici di Galveston fino ad un livello di sicurezza poneva una sfida anche maggiore. Per alcuni c’era la necessità di quattro metri in più per proteggerli dalle inondazioni, e anche coi singoli proprietari a pagare per sollevare le proprie case, la spesa era enorme. Si dovette scavare un canale attraverso il centro della città per far operare in modo efficiente le enormi draghe portate allo scopo; e per adeguarsi al nuovo livello si dovevano rifare tutte le strade di Galveston. Tutte le reti municipali, dai binari del tram ai tubi dell’acqua, furono sollevate prima degli edifici. Il lavoro iniziò nel 1904 e non fu terminato sino al 1910. Nel frattempo vennero sollevate 2.156 strutture, compresa la chiesa cattolica di St. Patrick con le sue tremila tonnellate, e fu sostituito ogni albero o cespuglio di Galveston. Alla fine, la città stava più in alto di quanto non fosse mai avvenuto, con 7,6 milioni di metri cubi di terra in più di quanti non ne avesse nel 1901. Quello che la ricostruzione non riuscì a fare, fu restituire il futuro che la città sembrava avere nel 1900. Al volgere del secolo, Galveston era il principale porto cotoniero e il terzo in assoluto per traffico di tutta l’America. C’erano 45 linee di vapori che facevano capo alla città. Aveva consolati di sedici paesi, ed era stata etichettata “New York del Golfo” dal New York Herald. Le lussuose magioni su Broadway, la via principale di New Orleans a un anno dall’uragano -76/77 – Antologia di articoli New Orleans a un anno dall’uragano -77/77 – Antologia di articoli Galveston, erano una vivida testimonianza della sua ricchezza. Dopo l’uragano, si trattava di una città segnata. Quattro mesi dopo, fu scoperto il petrolio a Spindletop, vicino a Beaumont, Texas, e Houston, centro ferroviario più vicino al petrolio e più al sicuro dagli uragani di Galveston, iniziò in fretta a prosperare. Si dragò la palude di Buffalo per lasciar entrare le navi a pescaggio profondo al porto, mentre Galveston smetteva di essere la città del futuro della Costa del Golfo in Texas. Si assestò invece su un periodo di crescita lenta ma costante, come centro bancario e medico. Come ha osservato Erick Larson in Isaac’s Storm, il suo best-seller del 1999 che racconta l’uragano, “ Su Galveston scese il silenzio. La popolazione smise di crescere. Arrivarono tutti i problemi della vita urbana moderna, ma nessuna delle sue intensità e stimoli. Diventò la spiaggia di Houston”. C’É UN FATO DEL GENERE in serbo per New Orleans? Si trasformerà in una versione più piccola, più turistica di sé stessa, come conseguenza dell’uragano Katrina? Oppure nella nuova New Orleans ci sarà spazio per la diversità storica della vecchia New Orleans? La risposta non è chiara, la posta in gioco invece è chiarissima. Se la città sarà ricostruita secondo le medesime linee di quando è stata evacuata, resterà a rischio una zona come la Lower Ninth Ward, che nel 2005 era al 96% nera, al 34% povera, con un tasso di disoccupazione del 13%. Per far ritornare la famiglie nella Lower Ninth, i governi federale e statale dovrebbero fare la cosa più costosa: o realizzare nuovi argini che proteggano le aree più vulnerabili di New Orleans dalle alluvioni, oppure costruire in modo massiccio abitazioni per una popolazione a redditi misti nelle zone più alte della città. In un’epoca in cui i progressisti stanno discutendo del modo migliore di trarre il meglio da una brutta situazione assegnando alla diaspora da New Orleans di che vivere per due anni, e dimenticandosi di ripristinare la città nella sua condizione pre-Katrina, nessuna di queste soluzioni può contare su un vasto sostegno pubblico. Dunque, New Orleans è diventato un caso rivelatore sul futuro delle politiche ecologiche negli Stati Uniti. Nel momento in cui entriamo in un periodo di forte riscaldamento globale, livelli del mare crescenti, aumentata probabilità di catastrofi naturali, sarebbero necessari più interventi pubblici su larga scala per conservare il paese così come lo conosciamo. E, sempre più spesso, le soluzioni più umane che ci si presentano saranno le più costose. New Orleans a un anno dall’uragano -77/77 – Antologia di articoli