Breve storia della lingua
italiana
Lezione 2
L’italiano medievale
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
1
Temi della lezione
• L’italiano nell’Alto Medioevo (5°-10° secolo)
• La scuola siciliana (12°-13° secolo)
• Le Tre Corone della lingua italiana (14° secolo)
– Dante Alighieri
– Francesco Petrarca
– Giovanni Boccaccio
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
2
L’italiano nell’Alto Medioevo
• Opera naturale è ch'uom favella;
ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che v'abbella.
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXVI, vv. 130132)
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
3
L’italiano nell’Alto Medioevo
• L’impero romano cadde ufficialmente nel 476 quando Odoacre, capo
della tribù germanica degli Sciri, divenne Re d’Italia spodestando
l’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
4
L’italiano nell’Alto Medioevo
•
•
•
•
albergo da gotico heribergo
“luogo dove alloggia l’esercito”
(Dizionario Etimologico della
Lingua Italiana, 1, pag. 34);
elmo da gotico hilms “elmo”
(Dizionario Etimologico della
Lingua Italiana, 2, pag. 379);
guardare da francone wardōn
“osservare, stare in guardia”
(Dizionario Etimologico della
Lingua Italiana, 2, pag. 527-528);
guerra da francone werra
“mischia” (Dizionario Etimologico
della Lingua Italiana, 2, pag. 529530).
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
5
L’italiano nell’Alto Medioevo
• Il latino, nei territori conquistati, finisce per essere sempre meno
conosciuto.
• Il trapasso del latino nei diversi volgari si accelera.
• Si afferma una scripta latina rustica (per certi versi simile al
cosiddetto “latino maccheronico” usato scherzosamente a partire dal
basso medioevale), sistema scrittorio misto a prevalenza latina, e
una scriptae volgari, scritti ormai di base volgare con residue forme
latine dalla grafia instabile.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
6
L’italiano nell’Alto Medioevo
• Le scriptae volgari sono fortemente caratterizzate come prodotti
locali e si diffondono prima in Umbria, nel Veneto, in Campania, nel
Lazio (secoli VIII-X), poi via via nelle altre aree. In Toscana troviamo
testi mercantili scritti in volgare nei secoli XII-XIII.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
7
L’italiano nell’Alto Medioevo
• La più antica testimonianza di un testo in una varietà italiana è
l’Indovinello veronese (fine del secolo VIII inizio deI IX):
Se pareba boves, alba pratalia araba,
alba versorio teneba, et negro semen seminaba.
“Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati,
teneva un bianco aratro, e seminava nero seme.”
È una testimonianza autoreferenziale, vale a dire la descrizione
dell'atto dello scrivere da parte dello stesso amanuense.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
8
L’italiano nell’Alto Medioevo
• L’Iscrizione della Catacomba di Commodilla appartiene all’Italia
centrale (inizi del secolo IX)
Non dicere ille secrita a bboce “Non dire le (preghiere) segrete ad
alta voce”
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
9
L’italiano nell’Alto Medioevo
• I Placiti Campani (anche capuani, cassinesi) sono i documenti più
importanti perché attestano, per la prima volta, l’uso consapevole
del volgare in documenti ufficiali.
• Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le
possette parte Sancti Benedicti.
• "So che quelle terre, per quei confini di cui qui [= in questo
documento] si parla, trent’anni le possedette la parte [= il
Monastero] di San Benedetto."
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
10
La scuola siciliana
• Fra il 1220 e il 1250 nasce in Sicilia presso la corte dell’imperatore e
re d’Italia Federico II di Svevia (1194-1250) di una vera e propria
scuola poetica che si rifà ai Minnesänger tedeschi e ai trovatori
provenzali (Dolce stilnovo).
• Tra i poeti più importanti sono da ricordare Giacomo da Lentini
(1210-1260), considerato anche il caposcuola e largamente noto
perché a lui è attribuita l'invenzione della forma metrica del sonetto,
Pier della Vigna (nato a Capua nel 1190 e morto in Toscana nel
1249), Stefano Protonotaro e lo stesso Federico II.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
11
La scuola siciliana
• I poeti “siciliani” usarono, per i loro versi, un siciliano illustre e
raffinato, impreziosito da:
– latinismi (parole dotte, recuperate direttamente dai libri latini)
– provenzalismi (termini presi in prestito dai testi dei poeti
provenzali come per esempio molte parole che terminano in
-anza come ricordanza, rimembranza, speranza e così via.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
12
La scuola siciliana
Pir meu cori alligrari
di Stefano Protonotaro
Pir meu cori alligrari
chi multu longiamenti
senza alligranza e joi d'amuri è statu,
mi ritornu in cantari,
ca forsi levimenti
da dimuranza turnirìa
in usatu di lu troppu taciri;
e quandu l'omu à rasuni di diri,
ben di’ cantari e mustrari alligranza,
ca, senza dimustranza,
joi sirìa sempri di pocu valuri;
dunca ben di’ cantari onni amaduri.
Raffaele De Rosa
Per rallegrare il mio cuore,
rimasto molto a lungo
senz'allegria e senza gioia d'amore,
torno a cantare,
perché forse, a poco a poco,
l'indugio di tacere troppo si
trasformerebbe in abitudine;
e quando uno ha un motivo di parlare,
deve cantare e mostrare allegria,
perché, senza una manifestazione esterna,
la gioia sarebbe di poco peso;
sicché ogni amatore che si rispetti deve
certamente cantare.
Unitre Soletta 31.10.2014
13
La scuola siciliana
Io m’aggio posto in core a Dio servire
di Stefano Protonotaro
Io m’aggio posto in core a Dio servire,
com'io potesse gire in paradiso,
al santo loco, c’aggio audito dire,
o’ si mantien sollazzo, gioco e riso.
Sanza mia donna non vi voria gire,
quella c’a blonda testa e claro viso,
che sanza lei non poteria gaudere,
restando da la mia donna diviso.
Ma no lo dico a tale intendimento,
perch’io pecato ci volesse fare;
se non veder lo suo bel portamento
e lo bel viso e 'l morbido sguardare:
che 'l mi teria in gran consolamento,
veggendo la mia donna in ghiora stare.
Raffaele De Rosa
Io mi sono ripromesso di servire Dio,
in modo da poter andare in paradiso,
nel luogo santo che ho sentito
nominare, dove ci sono gioia, allegria e riso.
Non vorrei andarci senza la mia signora,
colei che ha i capelli biondi e il viso luminoso,
perché senza di lei non potrei essere felice,
restando lontano dalla mia signora.
Ma non lo dico con una simile intenzione,
cioè perché voglia peccare con lei,
ma solo per ammirare la sua bella figura,
e il bel viso e il tenero sguardo,
che mi sarebbe di molto conforto
vedendo io che la mia signora è in gloria.
Unitre Soletta 31.10.2014
14
La scuola siciliana
• In Toscana diversi «professionisti della scrittura» copiarono e
„tradussero“ in italiano le poesie dei siciliani.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
15
Le Tre corone della lingua italiana
• Dante Alighieri (Firenze 1265 – Ravenna 1321)
• Francesco Petrarca (Arezzo 1304 – Arqua Petrarca 1374)
• Giovanni Boccaccio (Firenze 1321 – Firenze 1375)
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
16
Dante Alighieri
• Il cosiddetto “padre della lingua italiana”.
• Sul piano teorico: verso la fine del 1302 e l’inizio del 1305, scrive
un trattato (in latino!) interamente dedicato all’uso del volgare
italiano, intitolato De vulgari eloquentia “L'arte di esprimersi in
volgare”.
• Sul piano pratico: scrive tra il 1307 e il 1321 la sua maggiore
opera, la Divina Commedia, in fiorentino.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
17
Dante Alighieri
• Il poema è diviso in tre parti, chiamate cantiche (Inferno, Purgatorio
e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne
l'Inferno, che contiene un ulteriore canto introduttivo).
• Il poeta narra di un viaggio immaginario attraverso i tre regni
ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità.
• La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba
cristiano è un culmine della visione medievale del mondo
sviluppatasi nella Chiesa cattolica.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
18
Dante Alighieri
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
19
Dante Alighieri
•
« Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinova la paura!
Tant'è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
tant'era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
•
Dante Alighieri, Inferno I, vv. 1-12 »
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
20
Dante Alighieri
• La Divina Commedia è un’opera caratterizzata da una straordinaria
molteplicità di contenuti e da una grande varietà di lingua e di stile.
• Con la Divina Commedia infonde dignità al volgare (il latino non è la
sola lingua di valore).
• Dante Alighieri utilizza per la sua opera il volgare fiorentino.
• Pur essendo scritta in una lingua colta, l’opera di Dante Alighieri
ebbe successo in tutta la Penisola.
• Alla fine del Trecento essa era conosciuta pressoché ovunque,
anche nei ceti popolari più bassi.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
21
Dante Alighieri
Inferno, Canto 28, versi 22-35:
Seminatori di discordie (Mamometto).
Chi poria mai pur con parole sciolte
dicer del sangue e de le piaghe a pieno
ch'i' ora vidi, per narrar più volte?
Ogne lingua per certo verria meno
per lo nostro sermone e per la mente
c'hanno a tante comprender poco seno.
Raffaele De Rosa
Chi potrebbe mai, in prosa, vale a
dire con parole sciolte da obblighi
metrici, raccontare bene del
sangue e delle ferite che io vidi in
questa circostanza, pur tentando
a più riprese di arricchire e
rendere sempre più efficace la
sua narrazione?
Ogni lingua verrebbe certamente
meno, perché sia la nostra lingua
sia la nostra mente non hanno
abbastanza capacità per poter
concepire ed esprimere tanto.
Unitre Soletta 31.10.2014
22
Dante Alighieri
Già veggia, per mezzul perdere o
lulla,
com'io vidi un, così non si
pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.
Già una botte, per aver perduto
un mezzullo o una lulla (due pezzi
che ne formano il fondo), non
appare così rotta e sfasciata,
come io vidi rotto e sfasciato un
tale dal mento fino all’ano, il posto
dove si scoreggia.
Tra le gambe pendevan le
minugia;
la corata pareva e ‘l tristo sacco
che merda fa di quel che si
trangugia.
Tra le gambe gli pendevano le
budella; si mostravano all'esterno
le interiora e lo stomaco, quel
sacco lurido che
trasforma in merda quello che si
butta giù.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
23
Dante Alighieri
Paradiso, Canto XXXI, versi 1-12, Il volo
degli angeli
In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa;
ma l’altra, che volando vede e canta
la gloria di colui che la 'nnamora
e la bonta che la fece cotanta,
si come schiera d'ape che s'infiora
una fiata e una si ritorna
là dove suo laboro s’insapora,
nel gran fior discendeva che s’addorna
di tante foglie, e quindi risaliva
là dove 'l süo amor sempre soggioma.”
Raffaele De Rosa
L’esercito dei santi che Gesù sposò
con il suo sacrificio mi si mostrava
nella forma di una candida rosa;
invece l’altro esercito, quello degli
angeli (che volando vedono e
cantano la gloria di colui per il quale
provano amore, cioè Dio, la cui bontà
rese la loro natura tanto grande),
scendeva nella rosa, il grande fiore che si
orna di tante foglie, e da li risaliva verso la
dimora di Dio, proprio come fa uno sciame
d’api, che una volta si immerge nel fiore e
un'altra ritorna nell'alveare, là dove il frutto
della sua fatica si insaporisce,
trasformandosi in dolce miele.
Unitre Soletta 31.10.2014
24
Dante Alighieri
• Inferno
Raffaele De Rosa
• Paradiso
Unitre Soletta 31.10.2014
25
Francesco Petrarca
• Francesco Petrarca persegue l'ideale di una lingua 'alta', raffinata,
elitaria ed è alla ricerca della lingua 'illustre', sia essa latino o
volgare.
• Anche egli, come Dante Alighieri, utilizza il fiorentino eliminandone
ogni elemento che ritiene 'basso'.
• È uno dei primi sostenitori due movimenti linguistici:
– la riscoperta della classicità latina
– la valorizzazione della lingua vernacolare poetica italiana
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
26
Francesco Petrarca
• L’opera principale di Francesco Petrarca è sicuramente il
Canzoniere (in latino Rerum vulgarium fragmenta «Frammenti di
cose volgari»). composto tra il 1366 e il 1374.
• Si tratta di una raccolta che comprende 366 (365, come i giorni
dell'anno, più uno introduttivo intitolato "Voi ch'ascoltate")
componimenti: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4
madrigali.
• L’opera è dedicata a Laura di Noves, una nobildonna italiana della
quale il poeta si è innamorato vanamente.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
27
Francesco Petrarca
• Nel Canzoniere viene raccontato in versi questo amore platonico.
• Si tratta quasi di un diario amoroso, che va dal sonetto iniziale, nel
quale si dichiara la vanità e l’inutilità delle passioni, che procurano
solo pentimento e vergogna, fino alla canzone finale alla Vergine, in
cui tutti i sentimenti umani e terreni si placano per sempre.
• Il lessico utilizzato nel Canzoniere è piuttosto ridotto rispetto alla
Divina Commedia, ca. 3275 parole in tutto.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
28
Francesco Petrarca
Canzone 2
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi,
che 'n mille dolci nodi gli avolgea,
e 'l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;
e ‘l viso di pietosi color' farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’ésca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di subito arsi?
Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d'angelica forma; et le parole
sonavan altro, che pur voce humana.
Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’ i’ vidi; et se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.
Raffaele De Rosa
I capelli biondi erano sparsi al vento,
che li avvolgeva in mille nodi dolci
e il seducente splendore di quegli occhi,
che ora si è offuscato, brillava oltremisura;
e mi sembrava che il viso di lei si tingesse di
atteggiamenti comprensivi,
ne so se questa mia impressione fosse vera o
falsa: io che avevo nel petto l'esca che
accende il fuoco della passione, c’è da
meravigliarsi se subito m’infiammai
d'amore?
Il suo incedere non era quello delle persone
mortali, ma quello degli spiriti angelici; e le sue
parole avevano un suono diverso da quello che
ha una voce soltanto umana: uno spirito celeste,
un sole splendente fu quello che vidi; e se anche
lei ora non fosse più come era allora, la ferita
non guarisce solo perché l'arco s'allenta (dopo il
lancio della freccia da cui la ferita stessa e stata
provocata).
Unitre Soletta 31.10.2014
29
Francesco Petrarca
• La lingua poetica petrarchesca resterà, per più di cinque secoli, un
modello imitato continuamente. Fino agli inizi del Novecento, con
poche eccezioni, le parole scelte dai poeti italiani per i loro versi
continueranno a essere, come quelle di Petrarca, vaghe, astratte,
lontane dalla realtà concreta e quotidiana. Ecco alcuni esempi:
– Parole tipicamente poetiche: alma (anima), augello (uccello),
core (cuore), laude (lode), move (muove), opra (opera), spirto
(spirito)
– Scelte grammaticali: amaro (amarono), temero (temettero),
avrìa (avrei), sarìa (sarei), quindi (di qui), fia (sarà), fora
(sarebbe), giuso (giù), nosco (con noi), sentiro (sentirano)
– Arcaismi: affetto (sentimento), cura (preoccupazione, affanno),
desio (desiderio), mirare (guardare), rimembranza (ricordo),
speme (speranza).
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
30
Giovanni Boccaccio
• Giovanni Boccaccio è il principale creatore della lingua italiana in
prosa usata in vari ambiti.
• La sua principale opera è il Decameron (greco antico δέκα, déka,
"dieci", ed ἡμερών, hēmeròn "giorni", con il significato di "[opera] di
dieci giorni")
• Si tratta di una raccolta di cento novelle scritta tra il 1351 e il 1354.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
31
Giovanni Boccaccio
• Il libro narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che
per quattordici giorni si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla
peste nera che in quel periodi imperversava nella città, e che a turno
si raccontano delle novelle (Il deca nel titolo allude ai dieci giorni
dedicati alle narrazioni, escludendo i quattro giorni dedicati al
riposo) di taglio spesso umoristico e con frequenti richiami
all'erotismo bucolico del tempo.
• Per quest'ultimo aspetto, il libro fu tacciato di immoralità o di
scandalo, e fu in molte epoche censurato.
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
32
Giovanni Boccaccio
• Esempio di prosa/lingua ricercata: “Dico adunque che già erano
gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero
pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di
Fiorenza, oltre a ogn'altra italica bellissima, pervenne la mortifera
pestilenza: la quale, per operazion de' corpi superiori o per le nostre
inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i
mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle
d'inumerabile quantità de' viventi avendo private, senza ristare d'un
luogo in uno altro continuandosi, verso l'Occidente miserabilmente
s'era ampliata.”(Decameron, Introduzione alla prima giornata).
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
33
Giovanni Boccaccio
Esempio di lingua poco ricercata che si avvicina molto al parlato
(Chichibio e la Gru):
«Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba».
Currado allora turbato disse: «Come diavol non hanno che una coscia
e una gamba? Non vid'io mai più gru che questa?»
«Assai bene potete, messer, vedere che ier sera vi dissi il vero, che le
gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle
che colà stanno».
(Decameron, VI, 4).
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 31.10.2014
34
Scarica

Breve storia della lingua italiana II