nisi quod inventum
sit è lì ad ammonirci e confortarci) ed "ateo affascinato
dalla religione "che è u n a contraddizione in termini non potendovi essere
religione senza Dio, sia esso l'Ente Supremo o la Venus genetrix
sempre
maternamente occhieggiante nei recessi del pampsichismo meridionale, da
Bruno a Fortunato: ma il liberahsmo libertario e disperatamente individualistico gli è rimasto appiccicato come una connotazione indelebile ed "eroica"
nell'atto stesso che il "socratismo" avrebbe voluto aprirsi alla società (che
non è mai il prossimo) per raggrupparla, educarla e, inevitabilmente, illuminarla, il momento settecentesco che fa da affa ed omega in tutto il percorso
di Placanica, fino alla tragedia di piazza Mercato rivissuta in chiave che non
dispiacerebbe a Gerardo M a r a t t a anche senza che le labbra si dischiudano
spontaneamente alla preghiera, come avrebbe voluto Croce.
Quella piazza costituì a suo tempo uno scenario di socializzazione più
o m e n o ferocemente contestativa e polemica che, a detta del Nostro, non
c'è p i ù nel tempo nostro murato in casa dalla televisione: e questo, preso
del tutto a caso, è uno dei mille esempi di pericolosa generalizzazione che
incombono sull'angusta esperienza meridionale, per non dire italiana, dell'impenitente irriducibile individuo illuminato calabrese che è Augusto, la
piazza invece come mercato, e perciò sublimazione tangibile del commercio cittadino, per apprezzare la quale non occorre spingersi alla monumentalità di Carpi m a basta aggirarsi qui tra le nostre montagne, tanto simili e
tanto diverse, l ' a b b i a m o detto, rispetto a quelle calabresi, da Campobasso
all'Aquila, il borgo murattiano e la città trecentesca quali capisaldi di u n a
filosofia meridionale della città che non p u ò andare a nessun patto disattesa (ma il Nostro non ha occhi n e p p u r e per la Filadelfia dei Serrao che di
quella filosofia utopistica e massonica è la quintessenza ancor oggi godibile,
pur senza lasciarsi abbacinare dai l u m i ) .
Augusto Placanica ed io ci siamo trattati di rado, dopo quell'incontro
catanzarese ed un primo approccio fervido ed amichevole durato abbastanza a lungo, abbiamo seguito itinerari ed interessi diversi dopo l'originario comune appassionamento per i notai, abbiamo valutato diversamente
l'esperienza universitaria, ci siamo separati del tutto proprio quando, forse,
la sua splendida sensibilità e dottrina umanistica, con la frequentazione assidua ed accanita della classicità, avrebbe potuto nuovamente affratellarci.
Non a caso l'ultima lettera che ricevetti da lui conteneva l'invito ad
occuparmi della visita di Galanti in Abruzzo nell'ambito del g r a n d e progetto che egli conduceva avanti con tanto fervore e con così cospicui risultati: ed io declinai l'invito puramente e semplicemente deplorando in lui
(ne avevo avuto in tempi remoti confessioni toccanti che qui non vale
ricordare) quella mancanza di àoyakeia
che rende difficile ed a r d u o qualsiasi rapporto, quella fortitudo
consapevole, quella firmitas di propositi, che
non p u ò convivere con l'inquietudine esistenziale.
L'ultima volta che fummo insieme fu nel 1988, q u a n d o volle accompagnare Francesco Barra e m e che andavamo a d Ariano a ricordare il
quarto centenario della revindica in demanio di quella città (pessimo guidatore, ca va sans dire, irresoluto e temerario).
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nisi quod inventum sit è lì ad ammonirci e confortarci) ed "ateo