Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
anno 17 | numero 2 | 19 gennaio 2011 |  2,00
Milano è felice
EDITORIALE
TEMPI CON L’OSSERVATORE ROMANO
Diffondiamo ragioni e verità del Papa
per servire il bene del popolo tutto
Q
uando un paio d’anni fa ci fu offerta l’opportunità di presentarci e scam-
biare due parole con Benedetto XVI, non avremmo mai immaginato
che a partire dal numero che hai per le mani, caro lettore, Tempi e L’Osservatore Romano avrebbero camminato insieme. E invece è successo. D’ora
in avanti, sia gli abbonati sia gli acquirenti in edicola riceveranno i due giornali in abbinata e senza costi aggiuntivi. Come è nato e quale sia lo scopo del
sodalizio è presto detto. In occasione del 150esimo anniversario dalla fondazione dell’Osservatore Romano volevamo fare un regalo al Santo Padre. Di
qui la nostra proposta di sostenere la conoscenza del suo magistero anche attraverso la diffusione dell’edizione del giornale vaticano che cura la pubblicazione degli interventi svolti dal Pontefice nel corso della settimana. Il direttore Giovanni Maria Vian e l’editore della testata d’Oltretevere hanno subito
aderito volentieri all’iniziativa. E così, eccoci al primo numero di una collaborazione molto gratificante per noi che da 15 anni tentiamo una presenza
da semplici cristiani nel mondo della comunicazione. Dopo di che, le ragioni
stringenti che ci armano di fiducia e responsabilità sono le seguenti.
1. Davanti alle drammatiche sfide dell’attualità, proprio della diffusione
e conoscenza di parole piene di ragione e amanti della verità si sente la mancanza. Trovarsi nelle condizioni di aiutare a conoscere ragioni e verità proposte dal Papa, è un modo molto elementare ma concreto di servire il bene del
popolo tutto, di qualunque colore e religione sia, vicino o lontano che sia.
2. Per quanto ci riguarda, la nostra storia e linea politica-editoriale sono
note e trasparenti a tutti. Non abbiamo altro senso di esistere che l’ideale per
cui facciamo un giornale e abbiamo una simpatia totale per qualsiasi ricerca
della verità, da qualunque parte essa provenga. Per parlare concretamente:
da Comunione e Liberazione, che è l’origine educativa della nostra passione,
a Giuliano Ferrara, amico di rara intelligenza e il contrario del “Giornalista
Collettivo”, impariamo che nulla di ciò che è umano ci è estraneo.
3. D’altronde: se non per dato statistico, ma per considerazione di cui essi godono agli occhi dei potenti e delle folle, i cristiani sono oggi minoranza.
Tanto in Occidente, quanto nel resto del mondo. Un mondo in cui, anche tra
cristiani, sembra si faccia a gara per allontanare dallo spazio pubblico la sfida
che Cristo porta alla ragione prima ancora che alla fede degli uomini.
4. Ma ecco, infine, la strepitosa sintesi di tutto ciò che vorremmo servire in
questo passaggio della nostra impresa: è contenuta in un passo del recente libro-intervista al Papa, dove Benedetto XVI dice: «Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il Cristianesimo dà gioia, allarga
gli orizzonti. In definitiva un’esistenza vissuta sempre e soltanto “contro” sarebbe insopportabile. Ma allo stesso tempo il Vangelo si trova in opposizione a
costellazioni potenti… Sopportare attacchi ed opporre resistenza quindi è un
elemento ineliminabile: è una resistenza, però, tesa a mettere in luce ciò che
vi è di positivo». Come ci ha sempre insegnato don Luigi Giussani, la critica non
consiste nell’abbattere ciò che non vale,
ma nel riconoscere ciò che vale anche
in mezzo alla melma. «Vagliate tutto e
trattenete il valore» ingiungeva Paolo ai
primi cristiani. Cioè, rincarava Giussani, «trattenete la bellezza». Per tutto
questo cominciamo il nuovo anno
con rinnovato entusiasmo.
FOGLIETTO
Sacrosanta banalità.
Il meglio è nemico del
bene. Essere riformisti
in Italia significa anche
ricordare proverbi ritriti
C
itare proverbi spesso produce un effetto d’insopportabile
banalità, più o meno come un
editoriale di Giovanni Sartori: appare
un modo stucchevole di ragionare, un
darsi arie mentre si riscopre per la millesima volta l’acqua calda. Eppure talvolta la saggezza popolare accumulata
in certe “frasi fatte” diventa strumento
prezioso per orientarsi in momenti
difficili. Si prenda il detto “il meglio è
nemico del bene”: in questa considerazione è contenuta una verità non solo
profonda, ma anche particolarmente
attuale e utile nella complicata fase
della vita nazionale che stiamo vivendo. Quelli che vogliono una purezza
liberistica nelle relazioni industriali appellandosi a Sergio Marchionne (che in
realtà non di rivoluzioni si occupa bensì
di produrre auto), quelli che vogliono
subito detassazioni per le famiglie non
curandosi dei conti dello Stato, quelli
che chiedono federalismi perfetti in cui
siano già definiti tutti i nuovi ruoli per i
Comuni, e così via, vorrebbero apparire
come i veri innovatori e sono invece
della razza dei gattopardi, cioè di coloro che auspicano che tutto cambi per
non cambiare niente. È più che mai il
tempo di essere riformisti, di cogliere i processi
concreti e possibili
della nostra realtà
nazionale, di far
crescere il cambiamento sulle
gambe di soggetti capaci di
supportarlo. È più
che mai il tempo di
sconfiggere quel radicalismo che, dall’opposizione ai Filippo
Turati e Giovanni
Giolitti, ha tante
volte messo in mora chi
voleva davvero migliorare l’Italia.
Lodovico Festa
|
| 19 gennaio 2011 |
5
SOMMARIO
agenda 2011
Meglio non andare a votare, meglio cercare un’intesa coi partiti e
non solo con singoli deputati, meglio allargare i cordoni della borsa.
Il governatore Formigoni chiede al governo un cambio di strategia
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anno 17 | numero 2 | 19 gennaio 2011 |  2,00
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La mossa
Milano è felice
per far politica senza vivacchiare
10
Conversazioni d’inizio anno
per scoprire una città più
forte degli happy hour e dei
profeti di sventura
| 19 gennaio 2011 |
11
Il contratto che chiede
meno assenze e più flessibilità
ltre quattromila assunzioni (4.600 per
l’esattezza) e aumento retributivo
per i lavoratori di Pomigliano d’Arco.
700 milioni di euro di investimento da parte della nuova società che gestirà il sito produttivo. Statuto dei lavoratori e, quindi, rappresentanti sindacali aziendali per i sindacati che hanno firmato l’accordo. Ci chiediamo allora quale sia il problema che ha agitato le associazioni sindacali nell’anno appena concluso e che persiste in questo inizio
d’anno. Abbiamo girato la domanda al senatore democratico Pietro Ichino, ordinario di
Diritto del lavoro all’Università degli Studi
di Milano nonché esperto di relazioni industriali, cercando di sintetizzare e meglio
comprendere questa difficile annata. Difficile per il perdurare della crisi economica
che ha indebolito imprese e lavoratori. Difficile perché, come ogni crisi, sta rompendo degli equilibri consolidati, in particolare
nell’ambito delle relazioni industriali. Vero
è che, negli ultimi due anni, i contratti collettivi sono stati tutti rinnovati con la firma
di tutte e tre le sigle sindacali – Cgil, Cisl e
Uil – ad eccezione del contratto dei metalmeccanici che non ha riportato la firma della Fiom-Cgil. Vero è che quest’intesa sembra
un rinvio dei problemi, così come in molti
casi uno strumento di rinvio dei problemi è
stato l’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Problemi che si manifesteranno prepotentemente all’esaurimento di tali strumenti. E la vertenza Fiat, a Mirafiori e a Pomigliano d’Arco, sembra un anticipo di quel
che accadrà: una rottura degli equilibri delle relazioni industriali sedimentati in quasi
quarant’anni; un caso, quello della Fiat, che
ha reso evidente l’enorme distanza che esiste tra le confederazioni sindacali e i lavoratori che sono chiamati, attraverso l’utilizzo
del referendum, ad essere protagonisti del
loro futuro senza delegarlo semplicemente
ai rappresentanti sindacali; un caso, quello
Fiat, che ha reso evidente anche il problema
di rappresentanza all’interno della Confindustria e la necessità, quindi, che il cambiamento delle relazioni industriali sia seguito
da un cambiamento all’interno dei sistemi
di rappresentanza dei sindacati dei lavoratori e di quelli dei datori di lavoro.
ni sindacali e, quindi, modificare anche i
loro strumenti di azione?
tata dal ministro Sacconi alle parti sociali l’11 novembre scorso?
Sì, nel senso che dicevo ora, cioè del
potenziamento dei servizi per la negoziazione della scommessa comune tra imprese e lavoratori sui piani industriali innovativi, che richiedono contratti aziendali che si
discostino dai contratti nazionali di settore,
su organizzazione del lavoro, inquadramento professionale, struttura della retribuzione, tempi di lavoro e molto altro ancora.
Sicuramente condivisibile è l’idea di un
testo unico semplificato della legislazione
del lavoro, che il ministro ha raccolto dal
disegno di legge n. 1873 menzionato prima.
Però mi sembra davvero troppo generico e
affrettato il contenuto del progetto ministeriale: come è pensabile che il contenuto di una riforma dell’intero ordinamento
del lavoro sia sufficientemente delineata in
due sole cartelle? Quel testo ha più l’aria di
una dichiarazione di intenti che di un vero
disegno di legge.
il referendum
sui nuovi
contratti
per gli addetti
degli stabilimenti
Fiat di Mirafiori
si tiene il 13
e il 14 gennaio
nella revisione delle relazioni impresalavoratore come quella di cui si parla,
come valuta il Codice della partecipazione dei lavoratori ai risultati di impresa presentato dal ministro del Lavoro?
Senatore, il caso Pomigliano rompe equilibri consolidati. Quali potrebbero essere
le conseguenze dell’isolamento della Cgil
da un lato e di Confindustria dall’altro?
È una raccolta di documentazione su
questa materia che può essere utile. Ma mi
sembra sbagliato l’intendimento esplicitato dal ministro nel pubblicarlo: cioè quello di evitare qualsiasi intervento legislativo
in materia. È giusto ribadire il principio che
qualsiasi forma di sperimentazione deve
nascere da un contratto aziendale; ma se
si vuol davvero promuovere la sperimentazione di alcune forme di partecipazione dei
lavoratori nell’impresa alcuni aggiustamenti legislativi sono necessari. Per esempio, in
materia di partecipazione dei lavoratori al
consiglio di sorveglianza, nelle società per
ritiene che Cgil e Confindustria debbaazioni che optano per la governance duale;
no rivedere il loro approccio alle relaziooppure in materia fiscale, in
«Per confederazioni sindacali e imprenditoriali riferimento alle forme di partecipazione agli utili o di azionac’è la prospettiva di una riduzione
riato dei lavoratori.
Non parlerei di “isolamento” di Confindustria né della Cgil. A rischiare l’isolamento, semmai, è la Fiom. Per Cgil, Confindustria, e in generale tutte le grandi confederazioni sindacali e imprenditoriali, vedo semmai la prospettiva di una riduzione del ruolo degli apparati centrali nazionali, a vantaggio degli apparati periferici: questi ultimi saranno quelli più sollecitati, nell’auspicabile fase di sviluppo della contrattazione
aziendale sui piani industriali innovativi.
del ruolo degli apparati centrali nazionali,
a vantaggio degli apparati periferici»
presentato un progetto per la riforma
dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, prevedendo una tutela solo
obbligatoria e non più reale in caso di
licenziamento per motivi economici o
organizzativi. Come ha accolto la sinistra più resistente al riformismo questa
sua proposta?
foto: aP/laPresse
O
Un cambiamento sul modello di quello che fiat auspica
per Mirafiori (e su cui gli operai sono stati chiamati al voto
il 13 e 14 gennaio) è realtà da gennaio negli stabilimenti
di Pomigliano D’arco, con il contratto collettivo fabbrica
italia Pomigliano. il contratto prevede l’aumento dellla
paga base in media di 80 euro, a cui si aggiungono 20-30
euro mensili per tutti; per il lavoro notturno sono previste
maggiorazioni fino all’85 per cento e quindi per i turnisti
si potrà arrivare ad avere 250-300 euro al mese in più in
busta paga. Gli scatti di anzianità ripartiranno da zero e
l’equivalente di quelli maturati sarà assorbito nel superminimo. l’orario di lavoro passa dalle 40 ore settimanali su
5 giorni a 40 ore su 6 giorni. Da 10 turni settimanali, due
al giorno, si passa a 18, cioè 3 al giorno. le pause passano
da 40 a 30 minuti. lo straordinario passa dalle 40 ore
alle 120 all’anno senza contrattazione. È previsto un meccanismo per combattere le assenze brevi e ripetute prima
o dopo i giorni di ferie o di riposo. inoltre si semplifica
l’inquadramento professionale passando da 7 a 5 gruppi
professionali con fasce intermedie all’interno dei gruppi.
infine sono ammessi in azienda solo i rappresentanti dei
sindacati che hanno firmato l’accordo.
Pietro ichino
è senatore
del Partito
democratico e
ordinario di Diritto
del lavoro alla
Statale di Milano
Lei è un esponente della
sinistra riformista e ha
Il progetto, che si è concretizzato in due
disegni di legge (uno – il ddl n. 1481/2009 –
per la sperimentazione; l’altro – il n. 1873
– per la riforma di carattere generale della
materia) è stato firmato con me da altri 54
senatori, più della metà del Gruppo democratico al Senato. Inoltre esso ha avuto un
avallo pieno e convinto dai leader delle
due minoranze interne al Partito democratico, Walter Veltroni e Ignazio Marino. Già
questo mi sembra un risultato molto lusinghiero. Poi, il 10 novembre scorso, il Senato ha approvato a larghissima maggioranza (solo 26 voti contrari o di astensione), col
voto favorevole di tutta l’opposizione, una
mozione di Francesco Rutelli che impegna
il governo a promuovere il varo di un Codice del lavoro semplificato redatto sulla base
del disegno di legge n. 1873, oltre che di
eventuali altri (che però attualmente non
ci sono): questo significa che quel progetto
oggi, pur con tutti i distinguo che si sentono fare a destra e a sinistra, è di fatto al centro dell’agenda politica.
A proposito di riforma dello Statuto dei
lavoratori, ritiene che vi siano punti condivisibili in questa bozza di ddl delega al
governo sullo Statuto dei Lavori presen-
Premesso che il mercato del lavoro è in
continua evoluzione, cosa manca alla riforma per dirsi compiuta?
Manca una riforma della disciplina del
rapporto di lavoro che tenda al superamento del dualismo del mercato del lavoro, tra
protetti e non protetti. Difetta gravemente l’efficienza dei servizi di informazione,
orientamento, formazione e riqualificazione professionale. Il sistema del sostegno del
reddito a chi perde il posto di lavoro manca
del requisito dell’universalità – intere grandi categorie di lavoratori ne sono escluse –
e in esso è totalmente ineffettivo il principio della condizionalità: cioè il principio per cui il sostegno può essere erogato
soltanto a chi sia realmente disponibile a
partecipare attivamente a tutte le attività ragionevolmente necessarie per trovare
una nuova occupazione; oltre che disponibile per l’occupazione stessa, ovviamente.
Luigi Degan
Giuseppe Sabella
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| 19 gennaio 2011 |
Foglietto
Lodovico Festa.................................. 5
Non sono d’accordo
Oscar Giannino.................................. 9
Il diavolo della Tasmania
Renato Farina................................. 25
Intellettuale cura te stesso
Giorgio Israel ................................... 31
Se ti dimentico
Gerusalemme
Yasha Reibman
Recensire Ratzinger
Bruno Mastroianni...............33
Mamma Oca
Annalena Valenti .................... 53
Presa d’aria
Paolo Togni ..........................................54
Post Apocalypto
Aldo Trento ........................................ 60
Sport über alles
Fred Perri................................................. 62
Diario
Marina Corradi ............................66
INTERNI
Le nOvItà per gLI OperaI
Per il senatore democratico ichino l’accordo
su Pomigliano deve essere un modello.
«È auspicabile che si sviluppi sempre di più
la contrattazione aziendale su piani industriali
innovativi. Solo la fiom rischia l’isolamento»
| 19 gennaio 2011 |
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l’italia e la fabbrica/1
L’anno di una
scommessa
sul lavoro
16
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Agenda 2011. La mossa del governatore
Dalle intese alla borsa, la strategia di Roberto Formigoni
per ritornare a far politica «e non ridurre l’azione a una
operazione di ragioneria», e l’assioma “federalista” di Zaia
Emanuele Boffi, Caterina Giojelli .............................................................................................................................................10
16
interni
| 19 gennaio 2011 |
LA SETTIMANA
17
Lavoro. Un nuovo inizio in fabbrica
Il senatore Pietro Ichino sul nuovo modello Pomigliano,
il peccato senza tempo del militante cigiellino .....................................16
Aborto. Ma che ne sanno i giudici?
Per i medici le linee bocciate dal Tar sono necessarie
Benedetta Frigerio.......................................................................................................................................................................................... 21
RUBRICHE
Per piacere .............................................. 53
Green Estate ........................................54
Mobilità 2000.................................. 57
La rosa dei Tempi .....................58
Lettere al direttore ................ 62
Taz&Bao..................................................... 64
26
esteri
come pecore tra i lupi
ESTERI
Per padre Greish, della
Chiesa melchita del Cairo,
gli uomini della Fratellanza
vogliono «un paese
politicamente islamico, e per
noi cristiani ci sarebbe meno
spazio. Basta vedere il piano
per escluderci dalle
candidature alla presidenza»
grammato e perpetrato per minare la plurisecolare convivenza tra musulmani e cristiani, componenti storiche di quel paese».
Forse ha contato qualcosa che il giorno
prima un comunicato ufficiale dei Fratelli
Musulmani egiziani, dei quali l’Ucoii è la
gemmazione italiana, avesse condannato
con dure parole il misfatto: «La Fratellanza
– si legge nel comunicato egiziano – condanna nei più duri termini possibili questo esempio di cinico e insensibile disprezzo dei terroristi per la vita umana. Sottolinea che nulla giustifica il terrorismo, che è
un’aggressione ai valori islamici che proibiscono qualunque atto di violenza, senza distinzioni di lingua, cultura o religione». Il testo non manca di alludere a inadempienze da parte del governo di Hosni
Mubarak: «L’attacco è giunto dopo che il
ministero degli Interni egiziano aveva promesso di aumentare la sicurezza presso i
siti cristiani, dopo che al Qaeda in Iraq aveva rivolto minacce ai cristiani egiziani. La
Fraternità fa appello alle autorità perché si
diano una mossa e si assumano le proprie
responsabilità nel garantire la necessaria
sicurezza presso tutti i luoghi di culto».
Gli anni
Settanta
dell’Egitto
| 19 gennaio 2011 |
P
er i cristiani dell’iraq o della Nigeria
massacrati non avevano mai speso
una parola pubblica, nemmeno
dopo la strage di Baghdad del 31 ottobre.
Per i cristiani copti di Alessandria, invece,
i musulmani italiani dell’Ucoii sono scesi
in campo per esprimere «orrore e dolore»
Caos in egitto dopo
l’attacco ai cristiani.
A lato, il leader dei
Fratelli Musulmani
Mohammed Badle
e affermare solennemente che
«nessuna fede, credenza o ideologia potrà mai essere invocata per giustificare o anche solo
spiegare le motivazioni aberranti che hanno condotto ad un atto tanto
efferato che in tutta evidenza è stato pro-
Foto: ap/lapresse
la strage dei cristiani ha dato spago
alle rivendicazioni antigovernative e islamiste
dei Fratelli musulmani. ora il rischio è che
il paese si rifugi nella stessa cultura fanatica
che alimenta la follia suicida dei kamikaze
26
Fuori dalle stanze del potere
L’attentato di Alessandria mira a destabilizzare l’Egitto, ma il suo effetto politico
immediato è di indebolire l’immagine del
governo e di promuovere le ragioni dei Fratelli Musulmani, che da sempre denunciano l’inettitudine dell’esecutivo in carica e
promettono maggiore sicurezza per tutti
se fosse loro concessa la chance di governare il paese. Tanto più all’indomani di una
tornata elettorale manipolata dall’establishment, che ha deciso di cancellare la presenza dei Fratelli Musulmani dal parlamento dove fino a ieri occupavano il 20 per cento dei seggi. Su questo punto concordano
due osservatori interni come padre Samir
Khalil Samir, gesuita docente universitario a Beirut e in Italia, e padre Rafiq Greish,
responsabile per le comunicazioni sociali della Chiesa melchita al Cairo. «I Fratelli
Musulmani non hanno compiuto o ispirato
l’attentato, ma ne sono i beneficiari politici, perché ora possono puntare il dito contro l’inettitudine del governo e lamentare
di non poter fare nulla per colpa del pote-
|
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| 19 gennaio 2011 |
27
Egitto. Nel nome dei kamikaze
Un paese a rischio estremismo dopo l’attentato
di Alessandria che ha promosso le rivendicazioni
antigovernative e islamiste dei Fratelli Musulmani.
Intanto, la condanna degli egiziani corre su facebook
Rodolfo Casadei, Valentina Colombo .............................................................................................................. 26
34
CULTURA
IL ROMANZO È COME UN RING
Io faccio
a cazzotti
con gli angeli
«La narrativa riguarda tutto ciò che è umano
e noi siamo polvere, dunque se disdegnate
d’impolverarvi, non dovreste tentar di scrivere
narrativa». Ecco il manifesto inedito di Flannery
O’Connor. L’Incarnazione contro lo spiritualismo
S
In questa foto, Flannery O’Connor.
Nella pagina accanto, una foto scattata
nella tenuta di Milledgeville
34
| 19 gennaio 2011 |
see, ha generato i Southerners, cioè scrittori quali Erskine Caldwell, Carson McCullers, Tennessee Williams, William Faulkner.
Morì per un tumore nel 1964, a soli trentanove anni, a Milledgeville, dove aveva trascorso gran parte della sua vita di convalescente, essendo stata colpita in giovane età
dal lupus eritematosus, ereditato dal padre,
che di questa malattia pure morì. Nella sua
breve vita scrisse ventisette racconti e due
romanzi: La saggezza nel sangue (Wise Blood) del 1952, da cui John Huston nel 1979
trasse il divertente e terribile film omonimo, e Il cielo è dei violenti (The Violent Bear
It Away) del 1960. All’opera narrativa vanno
aggiunte le lettere e le prose occasionali di
Mystery and Manners. La sua opera dunque
non è immensa, ma è bastata a farla diventare una scrittrice di culto. Molti i riconoscimenti ricevuti in vita: tre borse di studio rispettivamente dalla prestigiosa Kenyon Review, dal National Institute of Arts
and Letters e dalla Ford Foundation. Vinse
tre volte l’O’Henry Awards e ricevette due
econdo Attilio Bertolucci dopo
Hemingway, Faulkner e Fitzgerald
l’America non aveva avuto autori
veramente importanti. Tuttavia, dopo aver
letto i testi della O’Connor, si disse «folgorato». Si può restare folgorati leggendo un
libro se è scritto da un autore che sente, a
sua volta, la scrittura come una folgorazione, una vocazione bruciante. I testi raccolti nel volume, tutti ancora inediti in italiano, costruiscono un percorso che illustra meglio questa “vocazione” e il suo possibile effetto folgorante sul lettore. Mary Flannery O’Connor Alle cose «bisogna dar corpo, creare
nasce il 25 marzo del 1925 a
Savannah, in Georgia, quella un mondo dotato di peso e di spessore».
terra degli Stati Uniti d’America «Mostri queste cose e non avrà bisogno di
che, con la parte Est del Tennes- dirle», consiglia in una lettera a Ben Griffith
Flannery O’Connor. Il volto incompiuto
L’ode alla polvere della ragazza che faceva a cazzotti
con gli angeli. Stralci inediti da una nuova antologia.... 34
Milano. Dialoghi sulla città che ride
Le voci e i luoghi di una città che si scopre contenta
Chiara Sirianni, Laura Borselli ..........................................................................................................................................38
Non sento le Voci
Sono cattolica
I peccati più gravi? Sentimentalismo e pornografia.
Ma per l’arte, non per la morale. «E se mi chiedono
cosa mi ispira, la mia tendenza è di diventare
mortalmente stupida e rispondere “Scrivo e basta”»
Foto: Getty, Antonio Spadaro
Esce in questi giorni nelle librerie, per la
collana Bur “I libri della speranza”, Il volto incompiuto, antologia di saggi e missive di Flannery O’Connor finora inediti nel
nostro paese. Pubblichiamo stralci dell’introduzione di Antonio Spadaro, uno dei
massimi esperti italiani della scrittrice statunitense e curatore del volume, e di seguito una selezione di lettere.
di Antonio Spadaro
CULTURA
lauree ad honorem. Nel 1988 la
un’abitudine, come un modo abituale di
sua opera narrativa e una seleguardare le cose». È la materia e la concrezione di quella epistolare e sagtezza della vita che danno realtà al mistero
gistica è stata pubblicata nella
del nostro essere nel mondo.
prestigiosa collana della LibraAl diavolo i simboli
ry of America. Oltre ai grandi del passato, questo onore
Da qui ecco il compito che la scrittrice ricofino a quel momento era stato
nosce a se stessa: concepire l’infinita trama
riservato solamente a William
del finito, nella sua assoluta contingenza e
«Il fondamento morale della Poesia è il
Faulkner. Le sue poche pagine
nella sua precisione: «Il fondamento morale
dunque l’hanno fatta apprezza- nominare in maniera accurata le cose di
della Poesia è il nominare in maniera accure come un’icona, un “mostro Dio», «rendere giustizia all’universo visibile»
rata le cose di Dio», «rendere quanta più giusacro”, un modello. Del resto, perché «è un riflesso di quello invisibile»
stizia possibile all’universo visibile» perché
che cosa c’è di comune tra Bruesso «è un riflesso di quello invisibile». Dio è
ce Springsteen e Nick Cave, registi quali re»: scrivere narrativa non è questione di un dato dell’esperienza, non un’intuizione
John Huston e Quentin Tarantino, scritto- «dire» cose, ma di farle «vedere» al letto- della mente o dello spirito: nello splendido
ri quali Raymond Carver, Elizabeth Bishop re, di mostrarle: «Mostri queste cose e non racconto The Turkey (Il tacchino), è addirite l’australiano Tim Winton o tra i nostri avrà bisogno di dirle (show these things tura rappresentato da un tacchino a cui un
Luca Doninelli e Carola Susani? Nulla, for- and you don’t have to say them)», consiglia undicenne sta dando la caccia, mentre nel
se. Tranne Flannery O’Connor, letta, amata, in una lettera a Ben Griffith, che gli aveva racconto A View of the Woods (La veduta
inviato un racconto in lettura. Personaggi del bosco) Cristo è reso in figura dal bosco,
rappresentata o imitata da tutti loro.
e avvenimenti hanno un aspetto che col- in cui i «pini, visti di fianco avevano l’aria
Il duello di Giacobbe
pisce la percezione, sono incarnati e mate- di camminare sull’acqua». Per la O’Connor
All’interno di una lettera del 17 gennaio riali: «Il mondo dello scrittore di narrativa non è il materiale a spiritualizzarsi, ma lo
1956 la scrittrice si descrive efficacemente è colmo di materia», mentre spesso si cre- spirituale a materializzarsi, secondo il prinin un ricordo biografico dagli echi biblici: de che siano le emozioni tumultuose o le cipio dell’Incarnazione. E ciò fa a pugni con
«Ho fatto i primi sei anni di scuola dalle suo- idee grandiose a fare un racconto. Nient’af- ogni forma di psicologizzazione o mera
re. (…) Fra gli otto e i dodici anni avevo l’abi- fatto. Con i concetti astratti e i presupposti simbolizzazione. Una volta la scrittrice si
tudine di chiudermi ogni tanto a chiave in teorici non si fanno storie: la caratteristica trovò a cena da Mary McCarthy, altra nota
una stanza e facendo una faccia feroce (e cat- principale, e più evidente, della narrativa penna dei suoi anni, che le disse di considetiva), vorticavo torno torno coi pugni serra- «è quella d’affrontare la realtà tramite ciò rare l’Eucarestia solamente come un «simti scazzottando l’angelo. Si trattava dell’an- che si può vedere, sentire, odorare, gustare, bolo». La risposta della O’Connor fu netta:
gelo custode del quale, secondo le suore, tut- toccare. È questa una cosa che non si può «Beh, se è un simbolo, che vada al diavolo
ti eravamo provvisti. Non ti mollava un atti- imparare solo con la testa; va appresa come (Well, if it’s a symbol, to hell with it)».
mo. Lo disprezzavo da morire. Sono convinta di avergli addirittura mollato un calcioLE LETTERE MAI USCITE IN ITALIA
ne finendo lunga distesa». Flannery O’Connor rimase una bambina che scazzottava l’angelo custode (socking the angel) che
però non la mollava un attimo. Ce lo conferma un suo saggio, frutto di una conferenza
tenuta alcuni mesi prima della morte, nel
quale sostiene che lo scrittore deve lottare
«come Giacobbe con l’angelo. (…) La stesura di un romanzo degno di questo nome è
una sorta di duello personale (a kind of personal encounter)». Il testo funziona se è attiva questa lotta, che la O’Connor nomina in
vari modi: wrestle, encounter, fino al termine socking, proprio dello slang.
Leggere la O’Connor significa entrare
nel ring delle sue pagine. Da dove nascono
le sue storie? Che cosa le rende così intense? La sua scrittura è molto legata al reale,
mentre è del tutto disinteressata ai labirintrovata dopo mezz’ora a pagina 9 che dorti della psicologia: «La narrativa riguarda di Flannery O’Connor
miva profondamente. (…) Spero vi sia arritutto ciò che è umano e noi siamo polvere,
vata la ricetta dei sottaceti. Regina non ne
A Sally e Robert Fitzgerald
dunque se disdegnate d’impolverarvi, non
aveva mai fatti, ma ha trovato la ricetta in
Martedì (metà settembre 1951)
dovreste tentar di scrivere narrativa». Da
Allego l’Opus Naseosus n. 1. Quando è un vecchio libro di cucina molto sporco,
qui un prezioso avvertimento: non è possi- arrivato dattilografato l’ho dovuto leggere quindi dovrebbe andar bene…
bile suscitare emozione con testi che trasu- di nuovo ed è stato come passare la giornadano emozione né suscitare pensieri riem- ta a ingoiare una vecchia coperta. Mi semAd A. 20 ottobre 1955
piendo le pagine di considerazioni e rifles- bra davvero tedioso, ma sempre meglio
Nella tua immaginazione vado di male
sioni. A queste cose «bisogna dar corpo, cre- di prima. Mia madre ha detto che voleva in peggio – prima una fascista e ora Cupiare un mondo dotato di peso e di spesso- rileggerlo, così se l’è portato dietro e l’ho do. (…) Non ho assistito alla conferenza
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L’ITALIA
CHELAVORA
L’ITALIA CHE LAvORA
La vetrina
diventa un set
Dalla progettazione di scenografie per musical
all’arredo di un negozio il passo è davvero breve.
La New Crazy Color, azienda di visual marketing,
non dà nulla per scontato e i particolari sono
curati nel dettaglio per esaltare i brand del lusso
S
ognare di fronte alle vetrine dei negozi, immaginare di aggiungere al
proprio armadio capi di alta moda
dai prezzi proibitivi, rimanere con il naso
incollato alla vetrina di un negozio, totalmente affascinati non solo dai prodotti
ma anche dalla loro posizione perfetta nel
contesto in cui sono esposti. Dove nulla è
casuale, tutto è uno spettacolo di esaltazione della merce, sia un’automobile o un
cappotto, che allo stesso tempo può diventare una bandiera della marca. La vetrina
è anche più importante della disposizione interna dello stesso emporio. È il mezzo
in grado di catturare l’attenzione del passante e sottrarlo alla frenesia dei suoi passi e convincerlo a entrare in negozio. È una
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vera e propria arte, in cui tanto vale il messaggio che vuol far passare il negoziante
quanto il prodotto offerto.
E spesso quando si tratta di eccellenza,
si parla di made in Italy, quello che Roberto Casanova e Roberto Iannaccone stanno esportando in tutto il mondo, con la
loro New Crazy Color, un’azienda di visual
marketing. Un’avventura inaspettata per
due amici che sono nati progettando scenografie di musical, sono passati per gli
studi Mediaset e sono finiti ad arredare le
vetrine dei negozi firmati in tutto il mondo. Un portfolio incredibile, che va da Prada a Tom Ford, da Hermes a Ermenegildo
Zegna, da Chicco a Sky. «L’aspetto più interessante nel nostro campo – spiega a Tempi
Roberto Iannaccone – è stato l’ampliamento del nostro mercato in Cina, attraverso clienti come Dolce&Gabbana, Moschino e Bottega Veneta. Si tratta di un paese
in cui le vie del lusso aumentano di giorno in giorno così come crescono i milionari. Perciò, occorrevano vetrine all’altezza della richiesta, e non trovando risposta
alle loro esigenze, gli stilisti che aprivano
showroom chiamavano noi italiani. Possiamo affermare che, allo stato attuale, la
Cina rappresenta il 60 per cento dei nostri
introiti, il 30 è per l’Europa e il 10 per
l’America, continente in cui purtroppo i
consumi si sono di molto arrestati. Di conseguenza anche il settore del visual marketing ha subìto un brusco rallentamento.
Grazie al successo che stiamo avendo sulle
strade cinesi, abbiamo ottenuto il premio
Best Italian Luxury 2010. Uno dei ricordi
più belli della nostra carriera».
Un lavoro non banale, dove bisogna stare attenti alle molte incognite. Prima di
tutto occorre capire i bisogni del cliente, le
sue intenzioni e soprattutto qual è l’essen-
Asinistra,l’ingressodella
sedediNewCrazyColor
aMonza.
Inalto,Iannaccone
eCasanovadurante
lapremiazione
perl’eccellenza
delmercatodellussolo
scorsosettembre
aShanghai.
Nellealtrefoto,vetrine
firmatedaNewCrazyColor
za del prodotto che viene offerto.
Poi bisogna pensare a un’idea di allestimento scenico che va fatta su una superficie relativamente piccola come può essere una vetrina. Il tutto senza dimenticare che il tempo corre veloce e le esigenze
e gli interessi della gente cambiano. Quindi in al massimo due mesi bisogna essere
pronti per la consegna. Tempi fondamentali che vanno assolutamente rispettati, a
maggior ragione quando le vetrine vengono studiate per delle occasioni particolari
come quelle per il periodo natalizio, dove
arrivare in ritardo rispetto alla concorrenza significherebbe sballare la vendita di un
intero marchio.
La New Crazy Color propone anche progetti davvero complessi e per realizzare i
loro “set” utilizza materiali molto innovativi. È stato così per due monomarca di Prada, aperti a Beverly Hills e a Tokyo dove è
stato utilizzato un tipo particolare di spugna per rivestire tutte le pareti delle vetrine. Un progetto ambizioso e allo stesso
tempo che ha reso entusiasti i committen-
entra al New Crazy Color è come se si trovasse a passeggiare in via Montenapoleone
in centro a Milano. Sono affiancate l’una
all’altra e in scala 1:1 gran parte delle vetrine che abbiamo realizzato. In questo modo
ci si può fare un’idea di quello che siamo
in grado di fare. Non ci spaventano le sfide
e i progetti insoliti che ci vengono richiesti. Neppure se si tratta di quello a cui stiamo lavorando adesso, una vetrina di Miss
Sixty in cui 150 occhi in plastica si girano
a seconda dei movimenti del cliente. Un
altro grande successo che ci ha regalato
molta soddisfazione è stato quando abbiamo realizzato un auto in fibra di vetro.
Senza motore naturalmente. Ogni compoti, così tanto che la Fondazione Prada ha nente era fornito da un’azienda differenvoluto pubblicare un libro per spiegare i te leader nel proprio settore. La Kenwood
dettagli del progetto e mostrare attraverso ad esempio ci ha fornito gli amplificatori dell’autoradio. Un progetto costato 150
immagini la realizzazione.
mila euro che per la sua unicità è stato
In sede come in Montenapoleone
ripreso dai maggiori quotidiani del settore
«Il nostro prossimo esperimento di visual automobilistico e non, e perfino dalla Cnn.
marketing – continua il creativo – si terrà Il video dimostratitvo, caricato su Youtua Dusseldorf, il prossimo febbraio, duran- be nel 2007, è stato uno dei più visti e lo è
te la fiera esclusiva del settore, l’Euroshop. ancora. In questo modo i marchi che hanLì allestiremo una parete di tre metri dove no partecipato al realizzazione continuano
esporremo tutti i tipi di materiale che a usufruire della pubblicità».
abbiamo utilizzato. In questo modo i visiIn via di sviluppo anche un progetto
tatori che si fermeranno allo stand potran- fatto in collaborazione con la Confartigiano farsi un’idea di quello che noi riuscia- nato, per difendere il ruolo dei piccoli artimo a costruire e realizzare per rendere più giani lombardi, e che verrà inaugurato il
attrattiva una vetrina. Questo è lo stesso prossimo 15 gennaio. «Il mestiere dell’arconcetto che utilizziamo nella sede princi- tigiano è importante anche per noi, visto
pale dell’azienda che si trova a Monza. Chi che senza un buon modellista non riusciamo a fare una buon alle«Noncispaventanolesfideeiprogettiinsoliti stimento. È anche grazie a
loro che i nostri clienti in
checivengonorichiesti.Neppuresesitratta Cina preferiscono scegliere
direalizzare150occhiinplasticacheseguono il made in Italy».
ElisabettaLongo
continuamentetuttiimovimentideiclienti»
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Classe creativa. E il sogno diventò impresa
Progettavano scenografie di musical, sono finiti ad
arredare le vetrine dei negozi firmati in tutto il mondo.
Da Prada a Tom Ford, da Chicco a Sky, storia di due
amici e di un’azienda chiamata New Crazy Color
Elisabetta Longo ................................................................................................................................................................................................ 50
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 17 – N. 2 dal 13 al 17 gennaio 2011
COPERTINA DI Francesco Camagna
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L’OBIETTORE
I sIndaCaTI aLLa pROva maRChIOnnE
Solidarietà a Susanna Camusso
Le riforme non si fanno a colpi di spada
di Oscar Giannino
E
sprimo irritualmente tutta la
mia solidarietà e sostegno
a Susanna Camusso, leader
nOn sOnO
della Cgil. È stato ed è evidente a
d’aCCORdO
chiunque sia dotato di un minimo
di spirito di osservazione e di capacità di apprezzamento delle sfumature di cui è fatto il linguaggio
pubblico e quello sindacale, che la
segretaria generale della Cgil non
condivide la scelta della Fiom di
non firmare l’intesa a Mirafiori, e
di erigere le barricate chiedendo ai
lavoratori di votare no come se si trattasse di opporsi al
regime di Mussolini, rivisitato in chiave cilena per effetto dell’odiato amerikano Markionne. La Camusso ha
detto, senza timore di esporsi a critiche, che l’accordo
era meglio firmarlo, come del resto la pensa la minoranza in Fiom guidata da Durante – un terzo del comitato centrale – perché altrimenti il
rischio è che i lavoratori si facciano
due conti, su chi non solo difende
lo stabilimento ma soprattutto porta nelle loro tasche aumenti salariali fino a 3.700 euro lordi l’anno.
Foto: AP/LaPresse
Una responsabilità storica
In più, è inevitabile che in caso di
vittoria dei no e di smantellamento
di Mirafiori ricadrebbe sulla FiomCgil, la responsabilità storica della
fine di un pezzo essenziale e pluricentenario della storia industriale
italiana. E non è piaciuto alla Camusso neanche che Landini, il segretario della Fiom, abbia ritenuto
giusto e opportuno rivolgersi direttamente al Pd e a
Bersani, chiedendogli di sciogliere le riserve, superare
le divisioni che anche in campo democratico sono state evidenti, e pronunciare un giudizio netto prima del
voto allo stabilimento di Mirafiori.
È ovvio che la Fiom mira in questo modo a scavalcare la Cgil come interlocutore diretto della sinistra,
sposando la linea antagonista e di fatto riassestando
il partito su una linea vendolian-rifondazionista-movimentista invece che sulla scelta socialdemocratica che
ha spinto il segretario Bersani a lanciare un’offerta di
La Fiom mira a scavalcare la Cgil come interlocutore
diretto della sinistra, di fatto riassestando il partito
su una linea vendolian-movimentista invece
che sulla scelta socialdemocratica di Bersani
alleanza a Casini. Come si fa, da persone ragionevoli e
davanti a tutto questo po’ po’ di sgambetti e decisioni
avventate e toni ultimativi a fronte di enormi rischi, a
non esprimere comprensione e solidarietà a Susanna
Camusso, che a poche settimane dalla sua ascesa al timone della confederazione si è dovuta pure leggere interviste di vecchi esponenti Fiom impregnate di maschilismo, visto che gli argomenti erano non solo che
lei in fabbrica non c’è mai stata ma che soprattutto anche da giovane quadro non ha mai brillato per giudizio
proprio ma solo perché andava a ricasco di qualche leader maschio?
In ballo c’è la modernizzazione
Può essere deluso della Camusso solo chi immagina
che la storia delle grandi organizzazioni proceda per
svolte a colpi di spada. È vero che a volte – rarissimamente – capita. Ogni tanto c’è un Tony Blair che abolisce la clausola del vecchio partito laburista che dava
la maggioranza dei delegati in congresso alle vecchie
Trade Unions, aprendo la sinistra alla società civile e al
mercato. Ma capita appunto rarissimamente, perché
di solito un leader di grande organizzazione – soprattutto sindacale – deve essere capace di andare avanti
senza perdersi per strada quasi nessuno.
La Fiom in Cgil è portatrice indefessa da molti anni di una linea che nella confederazione è minoritaria,
ma che tra i meccanici è rocciosamente chiusa a modifiche. Questo spiega perché, delle decine di contratti di
categoria firmati dopo l’accordo interconfederale in cui
Confindustria due anni fa decise di uscire dall’attesa
messianica della Cgil nutrita da Luca Cordero di Montezemolo, per imboccare insieme a Cisl e Uil la strada delle decisioni a maggioranza e delle deroghe contrattuali
e dei contratti aziendali – tutte le premesse per Pomigliano e Mirafiori, fatte da Confindustria all’inizio contro la Fiat che restava sulla linea montezemoliana – di
quelle decine e decine di contratti dicevo in tutti i settori sono stati firmati anche dalle federazioni di categoria
della Cgil, mentre solo sui meccanici non è avvenuto.
Come non era avvenuto nei due contratti precedenti,
visto che la Fiom è da 10 anni che non firma contratti e
li contesta a suon di scioperi, per poi invocarli contraddittoriamente come una trincea di libertà. Esattamente come la Cgil respinse l’accordo del 1993 sulla rappresentanza, che invece oggi - abrogato a maggioranza a
Mirafiori – invoca come fosse la Costituzione.
Perché Susanna Camusso possa col tempo tentare
di riaprire la Fiom al riformismo superando l’antagonismo, bisogna che a Mirafiori vincano i sì. Ci sono tante altre ragioni prioritarie, visto che a nessuno che sia
sensato può convenire che Fiat salga al 51 per cento di
Chrysler senza manifattura in Italia. Ma il sì a Mirafiori
serve anche alla Camusso. E insieme a lei a tutti coloro
che preferiscono un sindacato e una sinistra riformisti,
per far crescere meglio il paese.
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Meglio non andare a votare, meglio cercare un’intesa coi partiti e
non solo con singoli deputati, meglio allargare i cordoni della borsa.
Il governatore Formigoni chiede al governo un cambio di strategia
La mossa
per far politica senza vivacchiare
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agenda 2011
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di Emanuele Boffi
F
uturo del governo, la bocciatura del
Tar dell’atto di indirizzo lombardo
sulla 194, la strage dei cristiani copti in Egitto. Il 2011 del governatore Roberto Formigoni si apre su questioni che chiamano in causa la sua identità di «cattolico
impegnato in politica», così come ama definire il suo impegno nell’agone pubblico.
Presidente, partiamo dalla situazione
politica italiana. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha dichiarato che
«la crisi non è finita. Siamo come in un
videogame, spuntano sempre nuovi mostri». In sostanza ha fatto intendere che
non allenterà i lacci della borsa e pare
che la vicenda non piaccia molto al premier Silvio Berlusconi, che forse vorrebbe dare avvio a una fase politica nuova.
È giusto che un governo tenga i conti in
ordine. Ma governare non significa ridurre
l’azione a un’operazione di pura ragioneria. Finora è stato corretto essere rigorosi,
ma ora è il momento di dare un po’ di slancio al paese. Dire sempre “no”, non è sempre la scelta più assennata. Credo, quindi, che sia giusta l’intuizione del presidente del Consiglio che vuole iniziare a dire
anche qualche “sì”. D’altronde è sotto gli
occhi di tutti che ci sono nel nostro paese
categorie di persone che fanno più fatica:
penso alle famiglie, agli artigiani, ai piccoli imprenditori.
Ma quanto può durare ancora l’esecutivo? Si susseguono annunci di passaggi di
singoli parlamentari nella fila della maggioranza, ma si fatica a comprendere se,
al di là dei numeri, si possa scommettere
su un’effettiva solidità del centrodestra.
La premessa necessaria da fare è che,
in un momento economico delicato come
quello che stiamo attraversando, ciò che
dobbiamo scongiurare è la caduta dell’esecutivo e un periodo di campagna elettorale. Detto questo, iniziano tre settimane
decisive. Bisogna lavorare per allargare la
maggioranza, non solo e non tanto a singoli deputati, ma ad altri partiti. Occorre
stipulare degli accordi con le formazioni
a noi più vicine. È quel che il Popolo della libertà ha proposto; è un’apertura che
abbiamo fatto. Dobbiamo essere disposti
ad allargare il programma di governo e
anche ad approvare misure economiche
che ci permettano di raggiungere questo
risultato. Dobbiamo fare di tutto perché
questo avvenga fissando come data ultima
per questo tentativo la fine del mese. Se a
inizio febbraio potremo contare in parlamento solo su una maggioranza risicata di
tre voti, la scelta del voto sarà inevitabile.
E la Lega Nord non è un intoppo a questa
strategia?
Finora la Lega è stata un alleato fedele. La tenuta dell’alleanza è un fatto da
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agenda 2011 PRIMALINEA
chE cRIsI cI AsPEttA?
PESSIMISMO
Per Tremonti «è un videogame
dove spuntano nuovi mostri»
Il 2011 sarà come il terribile
2010? Il ministro dell’economia
giulio Tremonti vede nero e, a
inizio anno, ha dichiarato che «la
crisi non è finita. Siamo come in
un videogame, spuntano sempre
nuovi mostri».
OTTIMISMO
Per Berlusconi “non è finita
ma qualcosa si sta muovendo”
Il premier Silvio Berlusconi ha
dichiarato il suo ottimismo,
ribadendo che se è vero che la
crisi non è finita è anche vero che
“qualcosa si muove”: «Me lo dicono molti imprenditori e lo vedo
dalle aziende del mio gruppo».
che abbiamo fatto in Lombardia non è stato “stravolgere la 194”, ma è sempre stato
darne una correttissima interpretazione.
Non lo afferma solo il cattolico Formigoni,
lo sostengono tanti medici pro choice della Mangiagalli – cito, su tutti, la dottoressa Alessandra Kustermann – che hanno firmato quel protocollo. Quindi le dichiarazioni di Marino e dei radicali sono semplicemente assurde.
Per il Tar è «del tutto illogico permettere
che possa essere disciplinato differentemente sul territorio nazionale l’accesso
alle prestazioni».
Il Tar ha preso una cantonata. Mi chiedo, poi, come mai i tanti Tar d’Italia siano
stati così silenti quando nel paese è arrivata la pillola Ru486 e – questo sì in spregio
alla 194 – essa è stata somministrata al di
fuori delle mura ospedaliere.
Ora cosa cambierà in Lombardia?
Nulla. Tutto rimarrà come prima nei
nostri ospedali. Cambierà qualcosa invece
in Italia. Con il ministro Maurizio Sacconi
e il sottosegretario Eugenia Roccella rilanceremo la sfida per fare firmare un’intesa in tutte le regioni affinché non si possa
abortire oltre le 22 settimane e i tre giorni.
I “governatori rossi” accetteranno?
Foto: www.formigoni.it, aP/LaPresse
Sopra il ministro
dell’Economia Giulio
Tremonti. A sinistra,
il governatore Roberto
Formigoni indica
la mastodontica
scritta (400 metri
quadrati) che ha
fatto esporre per
un mese sul Pirellone,
la sede della Regione
Lombardia da lui
guidata per ricordare
le stragi dei
cristiani nel mondo
cui non possiamo prescindere. Certo, se
l’obiettivo è cercare di allargare la maggioranza, chiedere in continuazione il voto
non aiuta.
Il Tar di Milano ha bocciato l’atto di indirizzo della Regione Lombardia in materia di aborto terapeutico (vedi servizio
a pagina 21). Lei ha fatto notare che la
vostra indicazione è in pieno accordo
con la legge 194 che impone il soccorso
del nascituro. E che quell’indicazione del
2008, avvallando comportamenti già
diffusamente messi in pratica in molti ospedali (in Mangiagalli a Milano, ad
esempio, già dal 2004), fissa un limite
oggi accettato dalla comunità scientifica e medica, anche pro-aborto. Eppure il
senatore Ignazio Marino e i radicali hanno esultato perché «così si è fermato chi
voleva stravolgere la 194».
Già, Marino e i radicali! E poi sarebbero
loro i progressisti! La legge 194 è del 1978.
In questi trentatré anni il mondo è cambiato non una, ma mille volte. Eppure loro
continuano a tenere la testa sotto la sabbia. Questo loro atteggiamento dimostra
che hanno paura perché si sono resi conto che l’opinione pubblica su alcune questioni come l’aborto è cambiata. Non credo che la 194 sia una buona legge, ma quel
Dovranno dircelo guardandoci in faccia. Ricorderò loro che questi sono risultati
attestati dalla scienza. Voglio proprio vedere come faranno a negarlo.
Per un mese ha fatto esporre su palazzo Pirelli una scritta di 400 metri quadrati: «Salviamo la vita dei cristiani in
Iraq e nel mondo». Si era all’indomani
dell’uccisione di 52 fedeli dentro alla
cattedrale siro-cattolica di Baghdad e
oggi, a poche settimane dallo sterminio
dei 22 credenti copti in Egitto, quel manifesto torna d’attualità.
Questa è una persecuzione che ogni
uomo di buona volontà dovrebbe avvertire
come una tragedia. La tragedia di migliaia di cristiani che sono perseguitati in tutto il mondo a causa della loro fede. Non
bisogna stancarsi di chiedere alle autorità
internazionali di intervenire per difendere
uno dei diritti fondamentali della persona.
Da questo punto di vista, il nostro governo
si sta dimostrando assai sensibile alla questione, grazie al buon lavoro del ministro
Franco Frattini, anche se, purtroppo, tutti
constatiamo la scarsissima attenzione da
parte dell’Unione Europea.
Vecchia questione: l’Europa non è mai
stata in prima fila nella difesa dell’identità cristiana.
Vero, ma questo, se possibile, è un caso
ancor più grave. Non stiamo
parlando di simboli, ma del«Finora è stato corretto essere rigorosi, ma
la vita quotidiana di persone
dire sempre “no” non è la scelta più assennata. concrete. Purtroppo l’EuroCredo sia giusta l’intuizione di Berlusconi
pa ha ancora una volta scelto la politica dello struzzo.
che vuole iniziare a dire anche qualche “sì”»
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Federalismo.
O sarà l’alluvione
R
esta solo da capire se i voti ci sono: il
Cavaliere dice di sì e il senatùr assicura di credergli. Vedremo chi ha
più dimestichezza col pallottoliere. Intanto la Lega Nord tira dritto nella sua strategia comunicativa e di governo. Federalismo municipale entro gennaio o dritti alle urne in primavera, come ha ribadito il ministro Roberto Calderoli al Sole 24
Ore: «Non è un ultimatum ma o il decreto passa nella settimana che va dal 17 al
23 gennaio oppure non ci sono santi». E
se l’Udc – che pure ha già votato contro
il federalismo, contro il pacchetto Maroni, contro le quote latte e non molla sul
quoziente familiare – questa volta si dice
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pronto al confronto, per molti esponenti di Futuro e libertà il sostegno al federalismo è condizionato dalle tattiche di
giornata. Pier Ferdinando Casini gioca da
una posizione di forza: è sempre stato coerentemente all’opposizione, sul federalismo ha votato contro. Ogni sua apertura
(come quella sulla proposta di “pacificazione per l’Italia”) è una concessione che
può far pesare nella trattativa. Ma per i
finiani? Sono i loro tentennamenti, così
come le quotidiane punzecchiature, a fare
andare di traverso il prosecco delle feste
al presidente Luca Zaia, che – stando a un
recente sondaggio – è il governatore più
apprezzato dagli abitanti del suo territorio. Per l’enfant prodige della Lega, assurto a governatore del Veneto incassando le
preferenze di più di un milione e mezzo
di cittadini c’è un solo scenario possibile e
auspicabile: «Spero che si votino i decreti
sul federalismo e che questo paese si doti
di una riforma importante a livello istituzionale e costituzionale. Sono esattamente le promesse e gli impegni che ci siamo
presi con gli italiani. Punto».
temete le imboscate dei finiani?
Io rispetto le letture di chiunque, ma
vi ricordo che se siamo qui a fare la conta tutti i giorni è grazie a questi signori.
Che sono in Parlamento per rappresentare degli elettori che li hanno votati per
governare, non per mandare a
«siamo qui a fare la conta per i signori di Fli. casa un governo.
che sono in parlamento per rappresentare
degli elettori che li han votati per governare,
non per mandare a casa un governo»
Qualunque cosa accada vale
ancora la sua richiesta di un
“federalismo a geometria
variabile”, in un certo senso
Foto: AP/LaPresse
il presidente veneto leghista luca zaia
agenda 2011 PRIMALINEA
«È illogico che ogni territorio disciplini
una materia che coinvolge valori essenziali quali “vita e salute”»: lo ha detto
il Tar bocciando le linee guida del governatore lombardo Roberto Formigoni
sulla legge 194.
A sinistra e sotto, immagini dell’alluvione che ha colpito il Veneto a inizio
novembre. Sopra, il governatore del Veneto il leghista Luca Zaia.
Sotto, a sinistra, il Capo dello Stato Giorgio Napolitano secondo cui,
dice Zaia, «il federalismo non è più una scelta, ma una necessità»
In generale si dice che le sentenze dei
tribunali non si discutono ma si applicano. Tuttavia mi chiedo: i cittadini non
delegano forse le istituzioni a rappresentarli? Non vi è forse una sola legge che
per sua natura esige un consenso unanime, ossia il patto sociale, legittimato dalla volontà generale che dirige tutti verso il bene comune? Io non voglio neanche entrare in merito al tema dell’aborto
e delle convinzioni del governatore lombardo o di una partita che condivido pienamente, io difendo il principio: Formigoni è stato eletto e rappresenta democraticamente la volontà del suo popolo e non
capisco per quale motivo qualcuno debba scardinare questo presupposto. Si trattasse di aborto, di bollo auto,
di una legge sugli spazzacamini: uno viene eletto per governare, non per trovarsi sempre
sub judice. O no?
Di fatto, però, ancora una
volta le sentenze dei giudici hanno sostituito le scelte
della politica. Quello della
giustizia resta in definitiva
un problema solo del premier Silvio Berlusconi, e
dei suoi veri o presunti guai
giudiziari o ha dimensioni
più ampie secondo lei?
anticipato negli interventi per rilanciare il territorio dopo l’alluvione? Il Veneto è pronto al federalismo e deve poter
partire prima degli altri?
Assolutamente sì. Quella di un Veneto autonomo in un’Italia federale è una
questione genetica, iscritta in ogni filamento del nostro dna. In Veneto sette persone su dieci parlano e pensano in veneto. In Veneto tutti noi siamo consapevoli
di lasciare a Roma sette miliardi di euro
di tasse all’anno. In Veneto abbiamo la
coscienza che la grande sfida per la nostra
regione e per tutto il paese passa attraverso la riforma federalista.
Foto: aP/LaPresse
Il Veneto vive anche l’emergenza lavoro:
meno di un anno fa ci sono stati venti
suicidi tra gli imprenditori e si contavano
107 mila disoccupati...
E lei lo sa quanti sono oggi? Centotrentamila. Cioè sono aumentati. E stiamo parlando della regione che insieme
alla Lombardia rappresenta la locomotiva di questo paese: pensare che le locomotive siano lasciate senza carburante mi fa
sinceramente ridere. Vogliamo ripartire?
Abbiamo il coraggio allora di avviare la
stagione delle riforme, di avviare il fede-
ralismo solidale. Il che significa puntare
alla sussidiarietà, non a sostenere gli sprechi dei nostri conterranei. Perché è difficile spiegare a un veneto che ci sono regioni
come la Sicilia che hanno 27 mila guardie
forestali, quando il resto d’Italia ne conta
6 mila, o come la Calabria, che conta sette ospedali per 200 posti letto e che l’unica cosa che sa fare è esportare malati. Lo
ripeto: siamo per un federalismo rispettoso fino in fondo dei dettami della solidarietà (in Veneto una persona su cinque
fa volontariato), ma che abbia tra i suoi
postulati il richiamo a una nuova responsabilità. Come ha detto anche il Capo dello Stato, il federalismo non è più una scelta, è una necessità.
Non faccio parte della schiera di coloro che parlano sempre male della magistratura. Dico semplicemente però che se
tutti noi non facciamo un passo indietro –
tutti: politica, magistratura, mass media e
non ultimo i cittadini –, se non accettiamo
di sostituire all’odio e all’acredine il buon
senso che costruisce, questo paese andrà a
rotoli. In fretta.
A proposito di scempi… la sera della vigilia di Natale alcuni banditi hanno fatto
irruzione nella sua abitazione a Refrontolo. Ha avuto un presentimento diverso
dal tentativo di furto? Qualche parentela
con gli atti intimidatori che si sono svolti
due giorni dopo a Gemonio?
Sarò sincero: non so. Certo è che i filmati registrati all’insaputa degli intrusi
Credo che lavoratori e cittadini debba- danno una bella idea di che tipo di perno beneficiare tutti della par condicio e al sonaggi circolino in Italia: quattro incapdi sopra del Po, dati Banca d’Italia, vivere pucciati con tanto di guanti tutti intenti a commettere una vera e propria devacosta almeno il 18 per cento in più.
stazione più che un tentativo
di furto, dato che da casa mia
«A Natale quattro uomini incappucciati mi
non manca uno spillo. Danni
hanno devastato casa. Un atto intimidatorio? che mi costeranno ugualmenCerto non un furto. Dal mio appartamento
te una marea di soldi.
non manca nemmeno uno spillo»
Caterina Giojelli
Come quella dei contratti territoriali?
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15
interni
l’italia e la fabbrica/1
L’anno di una
scommessa
sul lavoro
Pietro Ichino
è senatore
del Partito
democratico e
ordinario di Diritto
del lavoro alla
Statale di Milano
Per il senatore democratico Ichino l’accordo
su Pomigliano deve essere un modello.
«È auspicabile che si sviluppi sempre di più
la contrattazione aziendale su piani industriali
innovativi. Solo la Fiom rischia l’isolamento»
O
(4.600 per
l’esattezza) e aumento retributivo
per i lavoratori di Pomigliano d’Arco.
700 milioni di euro di investimento da parte della nuova società che gestirà il sito produttivo. Statuto dei lavoratori e, quindi, rappresentanti sindacali aziendali per i sindacati che hanno firmato l’accordo. Ci chiediamo allora quale sia il problema che ha agitato le associazioni sindacali nell’anno appena concluso e che persiste in questo inizio
d’anno. Abbiamo girato la domanda al senatore democratico Pietro Ichino, ordinario di
Diritto del lavoro all’Università degli Studi
di Milano nonché esperto di relazioni industriali, cercando di sintetizzare e meglio
comprendere questa difficile annata. Difficile per il perdurare della crisi economica
che ha indebolito imprese e lavoratori. Difficile perché, come ogni crisi, sta rompendo degli equilibri consolidati, in particolare
nell’ambito delle relazioni industriali. Vero
è che, negli ultimi due anni, i contratti collettivi sono stati tutti rinnovati con la firma
di tutte e tre le sigle sindacali – Cgil, Cisl e
Uil – ad eccezione del contratto dei metalmeccanici che non ha riportato la firma della Fiom-Cgil. Vero è che quest’intesa sembra
un rinvio dei problemi, così come in molti
casi uno strumento di rinvio dei problemi è
stato l’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Problemi che si manifesteranno prepotentemente all’esaurimento di tali strumenti. E la vertenza Fiat, a Mirafiori e a Pomigliano d’Arco, sembra un anticipo di quel
che accadrà: una rottura degli equilibri delle relazioni industriali sedimentati in quasi
16
ltre quattromila assunzioni
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quarant’anni; un caso, quello della Fiat, che
ha reso evidente l’enorme distanza che esiste tra le confederazioni sindacali e i lavoratori che sono chiamati, attraverso l’utilizzo
del referendum, ad essere protagonisti del
loro futuro senza delegarlo semplicemente
ai rappresentanti sindacali; un caso, quello
Fiat, che ha reso evidente anche il problema
di rappresentanza all’interno della Confindustria e la necessità, quindi, che il cambiamento delle relazioni industriali sia seguito
da un cambiamento all’interno dei sistemi
di rappresentanza dei sindacati dei lavoratori e di quelli dei datori di lavoro.
Senatore, il caso Pomigliano rompe equilibri consolidati. Quali potrebbero essere
le conseguenze dell’isolamento della Cgil
da un lato e di Confindustria dall’altro?
ni sindacali e, quindi, modificare anche i
loro strumenti di azione?
Sì, nel senso che dicevo ora, cioè del
potenziamento dei servizi per la negoziazione della scommessa comune tra imprese e lavoratori sui piani industriali innovativi, che richiedono contratti aziendali che si
discostino dai contratti nazionali di settore,
su organizzazione del lavoro, inquadramento professionale, struttura della retribuzione, tempi di lavoro e molto altro ancora.
Nella revisione delle relazioni impresalavoratore come quella di cui si parla,
come valuta il Codice della partecipazione dei lavoratori ai risultati di impresa presentato dal ministro del Lavoro?
È una raccolta di documentazione su
questa materia che può essere utile. Ma mi
Non parlerei di “isolamento” di Confin- sembra sbagliato l’intendimento esplicitadustria né della Cgil. A rischiare l’isolamen- to dal ministro nel pubblicarlo: cioè quelto, semmai, è la Fiom. Per Cgil, Confindu- lo di evitare qualsiasi intervento legislativo
stria, e in generale tutte le grandi confedera- in materia. È giusto ribadire il principio che
zioni sindacali e imprenditoriali, vedo sem- qualsiasi forma di sperimentazione deve
mai la prospettiva di una riduzione del ruo- nascere da un contratto aziendale; ma se
lo degli apparati centrali nazionali, a van- si vuol davvero promuovere la sperimentataggio degli apparati periferici: questi ulti- zione di alcune forme di partecipazione dei
mi saranno quelli più sollecitati, nell’auspi- lavoratori nell’impresa alcuni aggiustamencabile fase di sviluppo della contrattazione ti legislativi sono necessari. Per esempio, in
materia di partecipazione dei lavoratori al
aziendale sui piani industriali innovativi.
consiglio di sorveglianza, nelle società per
Ritiene che Cgil e Confindustria debbaazioni che optano per la governance duano rivedere il loro approccio alle relaziole; oppure in materia fisca«Per confederazioni sindacali e imprenditoriali le, in riferimento alle forme
di partecipazione agli utili o
c’è la prospettiva di una riduzione
di azionariato dei lavoratori.
del ruolo degli apparati centrali nazionali,
a vantaggio degli apparati periferici»
Lei è un esponente della
sinistra riformista e ha
le novItà per glI operaI
Il contratto che chiede
meno assenze e più flessibilità
Un cambiamento sul modello di quello che Fiat auspica
per Mirafiori (e su cui gli operai sono stati chiamati al voto
il 13 e 14 gennaio) è realtà da gennaio negli stabilimenti
di Pomigliano D’Arco, con il Contratto collettivo Fabbrica
Italia Pomigliano. Il contratto prevede l’aumento dellla
paga base in media di 80 euro, a cui si aggiungono 20-30
euro mensili per tutti; per il lavoro notturno sono previste
maggiorazioni fino all’85 per cento e quindi per i turnisti
si potrà arrivare ad avere 250-300 euro al mese in più in
busta paga. Gli scatti di anzianità ripartiranno da zero e
l’equivalente di quelli maturati sarà assorbito nel superminimo. L’orario di lavoro passa dalle 40 ore settimanali su
5 giorni a 40 ore su 6 giorni. Da 10 turni settimanali, due
al giorno, si passa a 18, cioè 3 al giorno. Le pause passano
da 40 a 30 minuti. Lo straordinario passa dalle 40 ore
alle 120 all’anno senza contrattazione. È previsto un meccanismo per combattere le assenze brevi e ripetute prima
o dopo i giorni di ferie o di riposo. Inoltre si semplifica
l’inquadramento professionale passando da 7 a 5 gruppi
professionali con fasce intermedie all’interno dei gruppi.
Infine sono ammessi in azienda solo i rappresentanti dei
sindacati che hanno firmato l’accordo.
tata dal ministro Sacconi alle parti sociali l’11 novembre scorso?
Il referendum
sui nuovi
contratti
per gli addetti
degli stabilimenti
Fiat di Mirafiori
si tiene il 13
e il 14 gennaio
Foto: AP/LaPresse
presentato un progetto per la riforma
dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, prevedendo una tutela solo
obbligatoria e non più reale in caso di
licenziamento per motivi economici o
organizzativi. Come ha accolto la sinistra più resistente al riformismo questa
sua proposta?
Il progetto, che si è concretizzato in due
disegni di legge (uno – il ddl n. 1481/2009 –
per la sperimentazione; l’altro – il n. 1873
– per la riforma di carattere generale della
materia) è stato firmato con me da altri 54
senatori, più della metà del Gruppo democratico al Senato. Inoltre esso ha avuto un
avallo pieno e convinto dai leader delle
due minoranze interne al Partito democratico, Walter Veltroni e Ignazio Marino. Già
questo mi sembra un risultato molto lusinghiero. Poi, il 10 novembre scorso, il Senato ha approvato a larghissima maggioranza (solo 26 voti contrari o di astensione), col
voto favorevole di tutta l’opposizione, una
mozione di Francesco Rutelli che impegna
il governo a promuovere il varo di un Codice del lavoro semplificato redatto sulla base
del disegno di legge n. 1873, oltre che di
eventuali altri (che però attualmente non
ci sono): questo significa che quel progetto
oggi, pur con tutti i distinguo che si sentono fare a destra e a sinistra, è di fatto al centro dell’agenda politica.
A proposito di riforma dello Statuto dei
lavoratori, ritiene che vi siano punti condivisibili in questa bozza di ddl delega al
governo sullo Statuto dei Lavori presen-
Sicuramente condivisibile è l’idea di un
testo unico semplificato della legislazione
del lavoro, che il ministro ha raccolto dal
disegno di legge n. 1873 menzionato prima.
Però mi sembra davvero troppo generico e
affrettato il contenuto del progetto ministeriale: come è pensabile che il contenuto di una riforma dell’intero ordinamento
del lavoro sia sufficientemente delineata in
due sole cartelle? Quel testo ha più l’aria di
una dichiarazione di intenti che di un vero
disegno di legge.
Premesso che il mercato del lavoro è in
continua evoluzione, cosa manca alla riforma per dirsi compiuta?
Manca una riforma della disciplina del
rapporto di lavoro che tenda al superamento del dualismo del mercato del lavoro, tra
protetti e non protetti. Difetta gravemente l’efficienza dei servizi di informazione,
orientamento, formazione e riqualificazione professionale. Il sistema del sostegno del
reddito a chi perde il posto di lavoro manca
del requisito dell’universalità – intere grandi categorie di lavoratori ne sono escluse –
e in esso è totalmente ineffettivo il principio della condizionalità: cioè il principio per cui il sostegno può essere erogato
soltanto a chi sia realmente disponibile a
partecipare attivamente a tutte le attività ragionevolmente necessarie per trovare
una nuova occupazione; oltre che disponibile per l’occupazione stessa, ovviamente.
Luigi Degan
Giuseppe Sabella
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17
intErni l’italia e la fabbrica/2
Compagni,
il tempo è scaduto
E
ra il luogo ideale, quello dove il conflitto di classe poteva esprimere le sue
potenzialità. Quando ho varcato per
la prima volta i cancelli di una fabbrica,
avevo poco più di vent’anni. Non mi sembrava neppure il caso di cercare un lavoro
consono al mio diploma: ragioniere. No. Il
manifatturiero, era davvero il luogo ideale
dove esprimere il mio protagonismo antagonista. Avevo ben in mente le formule marxiane, il conflitto come pratica dell’agire.
I padroni da un parte e i lavoratori dall’altra. Soggetti complementari, mai assimilabili, inconciliabili per natura. L’ambiente aiutava molto l’immaginazione. Avevo
scelto un’azienda tessile, telai e torcitoi che
funzionavano notte e giorno, un ciclo continuo che non risparmiava neppure i giorni di festa. A completare l’opera, una struttura societaria aziendale, che oggi farebbe
impallidire Marchionne. Gente di destra,
tenace, poco incline alla concertazione. Erano gli inizi degli anni Novanta e già allora
per stare al passo con le produzioni d’oltreoceano era necessario ottimizzare i tempi.
Sull’altra sponda il sindacato, i rappresen-
18
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tati dei lavoratori e le assemblee. In mezzo
le persone in carne ed ossa, uomini e donne che non badavano ai sabati e alle domeniche o ai vincoli del contratto. «Questa è la
base ideale dove far attecchire le coscienze»
pensavo ad alta voce nella pausa mensa. Mai
perso uno sciopero o un picchetto, anche se
non ho mai ceduto alle lusinghe degli apparati sindacali. Io stavo a sinistra, perché in
fin dei conti «le organizzazioni dei lavoratori, non facevano altro che partecipare alla
regolazione dello sfruttamento secondo le
regole di mercato».
Parlavamo bene noi comunisti, la nostra
spinta ideale aveva una purezza cristallina,
il nostro “fare” nulla a che fare con il gioco delle parti. Ci siamo accorti con il tempo, che le nostre ore di sciopero servivano
a qualche dirigente provinciale per rivendicare risultati, in verità tutt’altro che esaltanti. Noi ci credevamo, leggevamo le teorie
di Georges Sorel e pensavamo allo sciopero
generale rivoluzionario, alla scalata al cielo.
Eravamo già fuori tempo massimo. Sarebbe
bastato guardare quei lavoratori al nostro
fianco, per comprendere che la realtà era
cosa diversa dai nostri pensieri. In verità
eravamo troppo occupati a seguire i dibattiti del comitato centrale, i comizi dei nuovi guru della sinistra, le pagine de Il Manifesto. Eravamo anche in grado di mettere in
difficoltà dialettica i “padroni” e quello era
un esercizio di stile che sembrava davvero
appagare la nostra pretesa. Sostenevamo il
sindacato ad insistere, a costringere l’azienda a venire a patti, a scendere a compromessi con il proletariato. Termine desueto che
usavamo ad ogni piè sospinto.
Ma chi erano i proletari? Quelli che chiamavamo i “servi dei padroni” o chi teorizzava l’appartenenza di classe? Oggi vien da
sorridere, ma forse noi che tentavamo di
egemonizzare la fabbrica eravamo gli unici
borghesi presenti in quel luogo. Più di cento
dipendenti, quattro impiegati e un padrone che lavorava anche il giorno di Natale.
Non c’erano proposte che potevano ricevere un “sì”, gli accordi interni ci sembravano
un trucco per fregare le maestranze. Eppure i proletari, cioè quelli veri che lavoravano per mantenere le loro famiglie, già in
quegli anni sembravano guardare altrove.
Foto: AP/LaPresse, Sintesi
Il sacro fuoco di formare le coscienze degli operai, la militanza cigiellina
e poi il lento accorgersi che la realtà va da un’altra parta. «E forse noi
con la nostra lotta di classe eravamo gli unici borghesi in quell’azienda»
chI rAppreseNtA dAvvero le tute blu?
A forza di fare i duri e puri noi
della Fiom ci siamo screditati
Foto: AP/LaPresse, Sintesi
Nel quadro sindacale la Fiom ha sempre rappresentato più
una quarta Confederazione che una federazione di categoria.
Sempre con uno sguardo benevolo, però, da parte della Cgil,
anche quando i metalmeccanici si smarcavano dalla linea,
attribuendosi il ruolo di primi della classe. È però nella seconda
metà degli anni Novanta che è iniziata una sua deriva anomala,
verso una linea rivendicativa sempre più massimalista e tesa a
sconfinare ampiamente in un ruolo politico diretto. Il preteso
primato della Fiom nella rappresentanza, così come quello Cgil,
si basa su una serie di scatole cinesi, di matrioske. Fiom e Cgil
hanno la maggioranza relativa su ogni singolo sindacato, a volte
su Cisl e Uil, ma non su Cisl, Uil, Ugl, Fismic, Cobas e autonomi.
Inoltre, tutti insieme, non rappresentano la maggioranza dei
lavoratori. Eppure in atto c’è sempre un procedimento perverso.
Si sa che la rappresentanza erga omnes è incostituzionale, ma
i custodi della Costituzione vegliano con un solo occhio: quello
sinistro, in tutti i sensi del termine. Ciò non impedisce agli iscritti
alla Fiom di beneficiare delle migliori condizioni dei Ccnl e degli
accordi che non firmano. Peraltro mai nessuna delle controparti
ha invocato la clausola della decadenza del diritto alla nomina di
rappresentanti, dopo due Contratti collettivi non firmati. Tutto
ciò dà una rendita di posizione incredibili a Fiom e Cgil che non si
sporcano mai le mani con una firma ma restano arroccate sulla
protesta continua, l’aggregazione di tutti gli scontenti. Questo
accade sul grande palcoscenico della politica sindacale. Fuori dei
riflettori, c’è un popolo di lavoratori che tutele proprio non ne ha
e conosce miglioramenti solo in occasione di contratti o accordi
nazionali. Quando si va alla conta con un referendum nazionale,
questa è la maggioranza silenziosa che vince. Quando in ballo c’è
la salsiccia, non si scherza: con le filosofie politiche non si mangia. Ora può essere che con Marchionne la Fiom stia inseguendo
almeno il punto della bandiera. Ma sarebbero solo emuli di Pirro.
Bruno Crespi
dirigente Fiom-Cgil Lombardia in pensione
Gli straordinari che noi volevamo boicottare perché falsavano le coscienze, erano una
manna per quelle persone. I temi che oggi
scaldano il dibattito imposto da Marchionne, non sono null’altro che gli stessi punti che la piccola e media impresa chiedeva
di discutere già vent’anni fa. Nuove regole
per le pause, l’assenteismo, i turni di lavoro
ed un modello innovativo di relazioni industriali al passo con i tempi. Il nostro “no”
era puro, quello di chi trattava nelle sedi del
potere sindacale molto meno.
Abbiamo faticato a capirlo persino nel
2003 quando abbiamo sostenuto il referendum proposto da Rifondazione Comunista,
per estendere l’articolo 18 alle aziende con
meno di sedici dipendenti. Ci dicevano che
era una questione di democrazia, il sindacato neppure un anno prima aveva portato
in piazza tre milioni di persone per opporsi alla proposta di Berlusconi di sospendere
in via sperimentale il suddetto articolo, ma
Cofferati rispose picche alla chiamata alle
armi di Bertinotti. Siamo stati i servi sciocchi di un potere che già in tempi non sospetti aveva perso il legame con il suo popolo.
Sopra,
da sinistra,
Luigi Angeletti
(segretario
della Uil),
Susanna
Camusso
(Cgil), Raffaele
Bonanni (Cisl)
ed Emma
Marcegaglia
(presidente di
Confindustria)
Iscritti alla Cgil che votavano Lega e Forza
Italia. Se oggi Marchionne usa la mannaia
per introdurre una nuova pratica di relazioni industriali, lo si deve ad un ritardo spaventoso, colpevole e anacronistico, condotto dal maggiore sindacato italiano per almeno quattro decenni. Sarebbe bastato osservare la realtà, uscire dalla nostra pretesa per
comprendere che chi volevamo rappresentare chiedeva cose diverse dai nostri slogan.
I nostri slogan, le loro buste paga
Il concetto di classe prevedeva una difesa coatta e indiscutibile dei suoi appartenenti, così abbiam finito per difendere gli
assenteisti, chi rallentava il lavoro, talvolta
anche chi cercava di boicottarlo. Noi eravamo puri, ma chi guidava le fila ha il potere di veto per costruire la propria posizione. Così abbiamo perso gli operai: semplicemente operando su un piano differente da quello del quotidiano. Quando mi è
stato chiesto di diventare rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza, ho assunto
l’impegno con la volontà di colui che vuole scardinare il sistema, ma lì, sporcando-
mi le mani assieme all’imprenditore, ho
compreso che nulla è più vero e concreto
della realtà. Nessun “padrone” vuole perdere un operaio per produrre un “pezzo” in
più, nessun infortunio giova alla fabbrica.
D’improvviso mi sono ritrovato nella stessa
situazione dell’imprenditore, lì accanto a
lui per produrre negli operai una coscienza
della sicurezza condivisa. Una condizione
che mi ha costretto ad entrare nel merito di
regole e codicilli fuori dal tempo. Lontani
dalla realtà produttiva, ma soprattutto da
quegli uomini e quelle donne per cui erano
stati scritti. Dov’era il nemico? Chi incarnava il male? Quel “padrone” che rivendicava un’appartenenza “repubblichina” ma si
comportava come un padre, o negli ingranaggi distorti del contratto nazionale e dei
suoi “pasdaran” cigiellini?
Così mentre i racconti del Novecento
sbiadivano, il mondo dell’impresa è stato
invaso dagli speculatori, dai faccendieri della finanza, da chi davvero non ha mai toccato con mano la realtà della produzione.
E lì dove il sindacato avrebbe dovuto esser
presente, il deserto aveva già invaso ogni
pertugio possibile. Non è un caso che oggi
per protestare sia diventato necessario salire sui tetti, fare uno show ad uso e consumo delle televisioni. Rimane un sistema
bloccato, preda di regole e pratiche ferme
ad un’epoca lontana. Checché se ne dica, ci
sono ancora gli operai, sono sopravvissuti
al crollo del socialismo reale, alla fine della
sinistra italiana, alla funzione minoritaria
del sindacato confederale e persino all’apertura dei mercati mondiali. Quale ruolo può
avere oggi il sindacato? Non serve un soggetto acquiescente o prono, ma persone
che sappiano guardare lontano. La nostra
manodopera rimane un’elite qualitativamente alta, qualificata, il valore aggiunto
che può consentire al nostro paese di accettare la sfida della globalizzazione. Questo è
oggi il terreno su quale il sindacato dovrebbe giocarsi la sfida, anche in competizione con Marchionne. È finito il tempo delle
astrazioni, del potere di veto. Questa è l’ultima fermata, anche per la Cgil.
Fabio Cavallari
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| 19 gennaio 2011 |
19
non solo pro life interni
«non ci servono
giudici in corsia»
Il Tar ha “bocciato” le linee guida lombarde
sull’aborto terapeutico, ma i medici (obiettori
e non) le giudicano necessarie. Ecco perché
Foto: AP/LaPresse
e
ra il gennaio 2008 quando la Slog
(Società lombarda di ginecologia e
ostetricia) composta da medici obiettori e non, decideva all’unanimità che
l’aborto terapeutico non potesse essere
effettuato oltre la ventiduesima settimana e
tre giorni di gestazione. Un limite stabilito,
spiega il neonatologo e scrittore Carlo Bellieni, perché le possibilità di sopravvivenza
del feto dopo un’interruzione di gravidanza
alla ventiduesima settimana «sono normalmente del 10 per cento (in Giappone addirittura del 25), ma salgono al 25 alla ventitreesima e al 50 alla ventiquattresima. I progressi medici hanno reso possibile la sopravvivenza di feti anche molto prematuri». Ora,
a più di due anni dall’approvazione, quelle
Carlo) avevano approvato le linee guida nel
2008. Linee guida che, secondo il Tribunale amministrativo regionale, sarebbero «illegittime» in quanto in contrasto con la legge 194 sulla interruzione di gravidanza. In
linee guida volute dalla Regione sono state effetti la 194 non fissa limiti per l’aborto
“bocciate” dal Tar che si è pronunciato sul terapeutico (quello cioè che si verifica dopo
ricorso presentato da otto iscritti alla Cgil: i primi 90 giorni di gestazione e in caso di
Augusto Colombo, Mauro Alberto Busca- grave pericolo per la salute donna), di soliglia, Fiammetta Santini, Maria Luisa Como, to, tuttavia, è la pratica clinica che porta i
Tiziana Vai, Sonia Ribera, Loredana Frat- medici a non praticare interruzioni di gratini ed Erminia Maria Giagnoni. Da nota- vidanza entro la 24esima settimana. Il motire che tre dei ricorrenti (Colombo, Como vo? È presto detto: i feti rischiano di nascee Buscaglia, i primi due medici della clini- re vivi, cosa che la 194 vieta poiché proibica Mangiagalli e il terzo dell’ospedale San sce l’interruzione di gravidanza quando esista la possibilità di «vita autonoma del feto».
A ricorrere al Tribunale amministrativo
Cosa succede dunque negli
regionale sono stati sette iscritti alla Cgil.
ospedali lombardi? «Succede
Tre di loro (due dottori della Mangiagalli
semplicemente quello che avviee uno del San Carlo) avevano approvato
ne, di comune accordo profesnel 2008 il documento voluto dalla Regione sionale, nel resto dell’Italia».
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interni non solo pro life
A parlare è Enrico Ferrazi, presidente della Slog e medico non obiettore, che non si
capacita della sentenza. «Che ne sanno i giudici?», sbotta. A farsi insegnare il mestiere
dalle toghe non ci sta neanche Alessandra
Kustermann, medico della Mangiagalli e
con una lunga militanza abortista alle spalle. «Le linee guida – spiega a Tempi – sono
perfettamente in linea con la 194, che all’articolo 7 vieta l’aborto nel caso in cui il feto
abbia possibilità di vita autonoma. Le nostre
neonatologie sono piene di bimbi nati dopo
22 o 23 settimane. Cosa vogliono i giudici? Che facciamo nascere questi bambini e
li lasciamo morire o, peggio, che li lasciamo vivere autonomamente con gravi danni
perché nati prematuri?». Nella clinica Mangiagalli, assicura la dottoressa, «continueremo secondo il buon senso: a rianimare
alla ventiduesima, cioè a non fare aborti a
meno che il feto sia già morto o vi sia pericolo di vita per la madre, così come dice la
legge 194 e non i giudici del Tar che vogliono stravolgerla». Walter Tarantini, ginecologo romagnolo, pratica aborti dal 1978
(anno di approvazione della legge 194) per
«sconfiggere la piaga di quello clandestino.
Eppure oggi mi sto accorgendo che questa
legge non tutela né le madri né i bambini e
non sarà mai applicata la sua parte positiva, quella che prevede la tutela della vita e
della maternità». Tarantini non usa mezzi
termini per condannare l’ingerenza di giudici che «non sanno nulla di quanto accade negli ospedali e che, chissà come mai, si
muovono sempre quando c’è aria di elezioni». Gioia, neonatologa milanese che prefe-
risce rimanere anonima, racconta piuttosto di un vero e proprio far west precedente all’adozione delle linee guida, che «schifava anche gli abortisti. Ricordo ostetriche
che mi raccontavano di bimbi lasciati in
ginecologia sotto teli verdi che sgambettavano per anche dodici ore di fila prima di
morire. Poi con le linee guida le cose sono
cambiate. Se alla ventiduesima settimana
il feto nasce vivo lo si porta in neonatologi, dove gli si dà una chance. Al momento abbiamo ricoverati due gemelli di ventidue e tre bimbi di ventitré settimane».
Allargare i margini dell’aborto – conclude
– sarebbe «una barbarie».
D’accordo con lei Leandro Aletti, ginecologo obiettore e primario all’ospedale di
Melzo, che ricorda quando le neonatologie
non accettavano i bimbi vivi perché abortiti tardivamente: «Anni fa accadde che uno
fosse rimasto vivo. Non ho potuto far altro
che prenderlo, battezzarlo con il mio nome,
metterlo in una culla e passare, di tanto in
tanto, a bagnargli le labbra. È morto dopo
due giorni, sarebbe bastata una ventilazione e oggi sarebbe sano. Ora, grazie alle linee
guida, queste cose non accadono più. E di
questo medici e infermieri son contenti. I
magistrati fanno quello che gli pare, solo
per motivi ideologici: è chiaro che vogliono
allargare le possibilità dell’aborto. Questo è
ingiusto, perché ormai anche gli abortisti
sono nauseati da una pratica che si prefiggeva di salvaguardare la donna e il bambino».
E che invece, conclude l’abortista Tarantini,
«favorisce e banalizza una prassi mortifera».
Benedetta Frigerio
parla il sottosegretario alla salute
La salute prima
delle ideologie
Eugenia Roccella: «Servono indicazioni a
livello nazionale, ma senza toccare la 194.
Altrimenti l’aborto diverrebbe fatto privato»
R
egolamentare l’aborto terapeutico
senza toccare la 194. Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute,
non ha dubbi che questo debba essere un
obiettivo del governo. E che quanto deciso dal Tar della Lombardia sia in contrasto
non con generiche istanze pro life, ma con
la miglior pratica medica.
Sottosegretario Roccella, secondo il Tar
lombardo la vita autonoma del feto non
22
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avrebbe termini prevedibili e dipenderebbe dal singolo caso, perciò fissare
a ventidue settimane il termine in cui
l’aborto è permesso, come fanno le linee
guida dalla Lombardia, sarebbe illegittimo. Che ne pensa?
Il Tar sbaglia. Infatti il termine a ventidue settimane non è, come dicono, stabilito dal governatore Formigoni. Le linee guida registrano solo un’autoregolamenta-
zione dei singoli ospedali italiani. Soprattutto dei non obiettori, perché sono loro
ad avere il problema di come rispettare
la 194 che all’articolo 7 vieta l’aborto se
il feto ha possibilità di vita autonoma. È
saggio, peraltro, che il termine sia fissato
da linee guida e non dalla legge nazionale. Perché con lo sviluppo di nuove tecniche, come ad esempio quella del cosiddetto utero artificiale, l’età di sopravvivenza
potrebbe abbassarsi ulteriormente.
Molti ginecologi, anche non obiettori,
osservano che il feto ha ormai quasi
sempre vita autonoma alla ventiduesima settimana. Secondo molti medici
i giudici del Tar si sono espressi senza
tenere conto di quella che è la pratica
medica. Cosa ne pensa?
Gli avvocati che hanno sollevato il
caso sono tutti molto ben schierati ideologicamente. Uno è Vittorio Angiolini, lo
stesso che si era già appellato al Tar lombardo, contro il governatore Formigoni,
in difesa di Beppino Englaro. I nomi degli
altri sono quelli che appaiono in tutti i ricorsi atti a scardinare la legge sulla fecondazione assistita. I ricorrenti, poi,
Sopra, Eugenia Roccella.
In alto, una raccolta firme per la legge
sull’aborto negli anni Settanta.
Nelle altre foto, recenti manifestazioni
in Italia a favore della 194
appartengono tutti a un sindacato le cui
posizioni in materia bioetica sono note (la
Cgil, ndr). Inoltre, il fatto che la sentenza
sia uscita proprio ora che tira aria di elezioni, mi pare il tentativo di un manipolo
di giacobini di far passare a colpi di sentenze, ciò che non si ottiene con il consenso pubblico.
Foto: AP/LaPresse
La legge 194, lo sostengono anche molti
abortisti, dovrebbe alleviare la sofferenza della donna. Di fatto, però, non è
così. Viene rispettata solo la parte favorevole all’aborto, mentre la parte atta
a eliminarne le cause è continuamente
disattesa. Non sarebbe giusto, a 32 anni
dalla legge, avere il coraggio di modificarla in senso restrittivo?
Se oggi tocchiamo la legge è finita.
In Parlamento si alzerebbero gli steccati ideologici. Allora quello che propongo
è altro. Io chiederò alle Regioni che venga fatto un accordo generale con lo Stato simile alle linee guida lombarde, che
fissano a ventidue settimane la possibilità dell’aborto terapeutico. Significherebbe, come è giusto, mettere per iscritto
una prassi già in atto e su cui sia la comu-
vano più di fare aborti e hanno preferito privatizzarlo. Perfino un medico come
Silvio Viale, che ha introdotto la pillola
abortiva in Italia, ha ammesso che a nessuno piace praticare l’aborto. Scardinare
la legge sull’aborto, in concomitanza con
l’introduzione della Ru486, in Francia ha
portato a un’impennata degli
aborti, mentre in Italia i nume«In Francia hanno scardinato la legge
ri sono ancora fra i più bassi.
sull’Igv e introdotto la Ru486 e c’è stata
Perciò difendere la legge resta
un’impennata degli aborti. In Italia
il meno peggio. Il rischio è che
i numeri sono ancora fra i più bassi, perciò si modifichi la 194 privatizzando l’aborto e quindi rendendifendere la 194 resta il meno peggio»
dola peggiore. Con questo non
voglio dire che molti abortisti
nità scientifica sia quella medica si trovasi sono ricreduti e bandirebbero o restrinno d’accordo.
gerebbero l’aborto, ma ripeto, il ParlaI medici si sentono sempre più costretti
mento è un’altra cosa e quel che è accadua rispettare norme inutili e ingerenti.
to in Francia mi fa riflettere: mi sembra
Non è questo il momento per un dialogo
più il tentativo di scaricarsi di un peso.
che superi gli steccati ideologici e che
permetta di riflettere nuovamente sul
tema dell’aborto?
Sono sicura, e ne ho il sentore ormai
da parecchio, che anche gli abortisti non
ne possono più di praticare interruzioni
volontarie di gravidanza. A nessuno piace
uccidere. Tanto che ormai chi li pratica lo
fa o per motivi di antica militanza o per
ottenere dei contratti dagli ospedali che
vogliono garantire l’accesso all’aborto. Ma
ho paura che se si toccasse la legge accadrebbe quanto successo in Francia: hanno
introdotto la pillola abortiva Ru486, proprio perché i medici abortisti non ne pote-
Ma perché non parlarne? Discuterne in
Lombardia ha fatto accettare linee guida positive anche a noti abortisti.
Forse perché il compito spetta innanzitutto alla società. Se partisse un movimento dal basso sarebbe un vero guadagno e
noi ne prenderemmo atto. Penso che il dialogo debba partire dalla società e che alla
politica spetti legiferare su quanto nasce
da questa. Perciò, in questo caso, vogliamo rendere norma generale le linee guida lombarde, perché nascono dal basso
e dall’accordo di tutta comunità medicoscientifica italiana.
[bf]
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DENTRO
IL PALAZZO
DOPO IL TE DEUM ALTRI MASSACRI
Il sangue dei martiri
non nega il futuro ma lo svela
di Renato Farina
N
Foto: AP/LaPresse
on riesco a capacitarmene. Ho intonato su Tempi il “Te Deum”, e in particolare il
versetto che ha benedetto il 2010: «Ti loda il candido esercito dei martiri». Un
IL DIAVOLO
istante dopo averlo fatto, Dio consente che un’altra schiera di innocenti sia asDELLA
TASMANIA
sassinata nella cattedrale copta di Alessandria d’Egitto. Spumeggia il sangue dei fratelli nostri sul volto del Cristo affrescato sulla parete della chiesa. È chiaro: è sangue
suo. Dio consente che si ripeta il sacrificio degli agnelli. Non è mistica, ma descrizione dei fatti. Bontà e terribilità di Dio sono connotati della misericordia.
Non è che questo tranquillizzi. La nostra è una pace accidentata, inquieta. Per un
momento ho pensato, ripensando alla pagina ancora fresca del Diavolo della Tasmania: è brutto essere profeti di sventura. Ma io non mi sento profeta di sventura. Di
orrore, di sangue, sì; ma di sventura, no. La sventura è etimologicamente negazione del futuro, e dunque del destino. Qui accade il contrario. L’inermità
di chi viene ucciso in odio a Cristo (è esattamente così) è puro Cielo, pu- Il governo si impegna, ma oggi
ro Regno, terra perfetta narrata dal Discorso della Montagna e presente la libertà religiosa è considerata
oggi tra noi. Questo non è che frena la necessità di combattere. Né elimisolo un optional da far valere
na le colpe della politica e degli Stati, e anche dell’opinione pubblica italiana ed europea, preoccupata di tutelare il proprio orto, dimenticando nel terzo mondo e non il perno
che l’orto degno dell’Occidente è solo l’infinito. Mi viene in mente un te- stesso dei diritti umani
sto di Lattanzio, acquistato da liceale, con la copertina grigia della Bur:
Così morirono i persecutori. Mi basta che intanto non ammazzino più, o almeno si
faccia il possibile. E non lo si fa. Il nostro governo si impegna al massimo. Ma resta la
constatazione che la libertà religiosa è considerata un optional da far valere nel terzo mondo e non, invece, il perno stesso dei diritti umani, senza cui non esiste proprio la libertà. Non “là” ma qui da noi. I “nostri” giornali, tutti tranne Tempi e Avvenire, non vedono la centralità rispetto al panorama mondiale. C’è la gabbietta in
basso alla prima pagina se va bene, per il cattolico che si lamenta.
Chi insiste su questa struttura portante della convivenza ponendola al cuore della politica e della cultura? Ora è trattata come appendice per discussioni tra cattolici di seconda fila, salvo entrare di peso per un attimo sul ring del dibattito quando
accadono fatti clamorosi o c’è bisogno di agganciare voti in parrocchia. Basta così
con questo nanismo programmatico. C’è in ballo ben altro. A proposito di persecuzione dei cristiani, c’è il brano di un’intervista a don Luigi Giussani del 1993 che è
profezia: e non è sventura.
Giussani: «Scorgo i segni di questa persecuzione». (…) Concludendo: guerra? «Pa- 22 cristiani sono morti il 31 dicembre
ce! Pace! Nella tormenta, anche nella guerra, ma la pace. Chi ha avuto la grazia di scorso nell’attentato kamikaze
la cattedrale copta
partecipare dell’esperienza cristiana lo sa bene. Non esiste nulla di paragonabile a contro
di Alessandria d’Egitto
questa amicizia nel destino. Non ci fa paura nulla. Nemmeno la crisi della Chiesa. Il
cardinale Giacomo Biffi mi raccontava una sua scoperta che non mi ha trovato – devo dirlo – impreparato. E cioè che il cristianesimo non è una religione ma un evento: incarnazione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. E Biffi diceva: un evento non
può andare in crisi: c’è. E questo fatto, vorrei dire, ci obbliga a essere magnanimi.
Kafka dice nel suo Diario: “Anche se la salvezza non viene, voglio però esserne degno a ogni momento”. Un santo dice così. Siamo stati scelti solo per questo, per la
missione. Che questa salvezza, che è la persona di Cristo, possa essere incontrata».
Le chiedo: quale compito? «Testimoniare Cristo. Testimoniarlo adoperando gli arnesi della propria professione. Fosse quella di essere ammalati, incurabili, in un letto».
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esteri
come pecore tra i lupi
Gli anni
Settanta
dell’Egitto
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P
er i cristiani dell’iraq
o della Nigeria
massacrati non avevano mai speso
una parola pubblica, nemmeno
dopo la strage di Baghdad del 31 ottobre.
Per i cristiani copti di Alessandria, invece,
i musulmani italiani dell’Ucoii sono scesi
in campo per esprimere «orrore e dolore»
Foto: ap/lapresse
la strage dei cristiani ha dato spago
alle rivendicazioni antigovernative e islamiste
dei Fratelli musulmani. ora il rischio è che
il paese si rifugi nella stessa cultura fanatica
che alimenta la follia suicida dei kamikaze
Per padre Greish, della
Chiesa melchita del Cairo,
gli uomini della Fratellanza
vogliono «un paese
politicamente islamico, e per
noi cristiani ci sarebbe meno
spazio. Basta vedere il piano
per escluderci dalle
candidature alla presidenza»
Foto: AP/LaPresse
grammato e perpetrato per minare la plurisecolare convivenza tra musulmani e cristiani, componenti storiche di quel paese».
Forse ha contato qualcosa che il giorno
prima un comunicato ufficiale dei Fratelli
Musulmani egiziani, dei quali l’Ucoii è la
gemmazione italiana, avesse condannato
con dure parole il misfatto: «La Fratellanza
– si legge nel comunicato egiziano – condanna nei più duri termini possibili questo esempio di cinico e insensibile disprezzo dei terroristi per la vita umana. Sottolinea che nulla giustifica il terrorismo, che è
un’aggressione ai valori islamici che proibiscono qualunque atto di violenza, senza distinzioni di lingua, cultura o religione». Il testo non manca di alludere a inadempienze da parte del governo di Hosni
Mubarak: «L’attacco è giunto dopo che il
ministero degli Interni egiziano aveva promesso di aumentare la sicurezza presso i
siti cristiani, dopo che al Qaeda in Iraq aveva rivolto minacce ai cristiani egiziani. La
Fraternità fa appello alle autorità perché si
diano una mossa e si assumano le proprie
responsabilità nel garantire la necessaria
sicurezza presso tutti i luoghi di culto».
Caos in Egitto dopo
l’attacco ai cristiani.
A lato, il leader dei
Fratelli Musulmani
Mohammed Badle
e affermare solennemente che
«nessuna fede, credenza o ideologia potrà mai essere invocata per giustificare o anche solo
spiegare le motivazioni aberranti che hanno condotto ad un atto tanto
efferato che in tutta evidenza è stato pro-
Fuori dalle stanze del potere
L’attentato di Alessandria mira a destabilizzare l’Egitto, ma il suo effetto politico
immediato è di indebolire l’immagine del
governo e di promuovere le ragioni dei Fratelli Musulmani, che da sempre denunciano l’inettitudine dell’esecutivo in carica e
promettono maggiore sicurezza per tutti
se fosse loro concessa la chance di governare il paese. Tanto più all’indomani di una
tornata elettorale manipolata dall’establishment, che ha deciso di cancellare la presenza dei Fratelli Musulmani dal parlamento dove fino a ieri occupavano il 20 per cento dei seggi. Su questo punto concordano
due osservatori interni come padre Samir
Khalil Samir, gesuita docente universitario a Beirut e in Italia, e padre Rafiq Greish,
responsabile per le comunicazioni sociali della Chiesa melchita al Cairo. «I Fratelli
Musulmani non hanno compiuto o ispirato
l’attentato, ma ne sono i beneficiari politici, perché ora possono puntare il dito contro l’inettitudine del governo e lamentare
di non poter fare nulla per colpa del pote|
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esteri come pecore tra i lupi
La pista straniera di Mubarak
Una pista evocata dallo stesso presidente
Mubarak e presente anche nel documento dell’Ucoii («Siamo certi che mandanti ed esecutori vadano ricercati al di fuori dei confini di quel paese, tra chi ha interesse alla sua destabilizzazione, attuando
una strategia della tensione che implementi un aberrante ciclo di vendette»). Ma che
secondo i Fratelli Musulmani porta a un
indirizzo ben preciso: in un’intervista ad
al Jazeera Mohamed Morsy, addetto stampa dell’organizzazione, ha affermato che
quando ci si chiede a chi giovi la destabilizzazione del paese, non si deve dimenticare che gli auspici israeliani per un Egitto stabile e capace di leadership nella regione non sono genuini. Padre Samir non si
stupisce: «Ho cercato di partecipare a un
forum sulla strage di Alessandria sulle
pagine web di al Mesreyya, che è un giornale di orientamento moderato: tutti quelli che intervenivano accusavano gli americani e il Mossad di essere gli autori occulti
dell’attacco, alcuni addirittura incolpavano i copti stessi, che avrebbero organizzato
questa sanguinosa montatura per far fare
brutta figura ai musulmani. Nel mio intervento ho premesso che in materia di religione ci deve essere piena libertà, ognuno
deve poter scegliere la fede che preferisce e
se vuole anche cambiarla: il mio testo è stato pubblicato senza questa parte».
«Dell’attentato nell’immediato si avvantaggiano politicamente i Fratelli Musulmani, che tuttavia non sono i colpevoli della
strage. Ma sia ben chiaro: nessun cristiano crede alle loro promesse di maggiore
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sicurezza e rispetto dei diritti se andassero
al potere», sottolinea padre Greish. «Loro
sono interessati a fare dell’Egitto un paese politicamente islamico, e per noi cristiani ci sarebbe meno spazio. Basta vedere le
loro dichiarazioni contro la possibilità che
copti o donne siano candidati alle elezioni presidenziali». D’altra parte il sacerdote
egiziano non crede a una strategia politica
punitiva verso gli stati mediorientali poco
collaborativi nella difesa della libertà religiosa, come alcuni propongono in Euro-
pa: «Finirebbe come al solito, e cioè che i
piatti rotti li pagheranno i più poveri. Bisogna semplicemente insistere che il governo attui le riforme di cui da tanti anni si
le reazioni di un popolo ferito
La rabbia e la fede
su Facebook
Doveva essere il tempo dei brindisi telematici
e invece le bacheche sono state listate a lutto.
la paura e la speranza viste dal social network
priverà della gioia del Messia e noi festeggeremo la nascita del Messia alla faccia dei
terroristi. Celebrate il Messia perché Lui è
a notizia della orribile, e purtroppo
ennesima, strage di copti ad Alessan- la nostra salvezza, salvezza e gioia alla facdria d’Egitto mi è arrivata proprio tra- cia dei terroristi, festeggiate, uscite di casa e
mite uno strumento che spesso ho giudica- seminate la gioia del Messia rispondendo a
to inutile e superficiale: Facebook. A Capo- chi ha seminato l’odio davanti alla Chiesa».
La memoria è tornata all’anno scorso,
danno si mandano gli auguri di gioia e serenità e anche io mi stavo accingendo a scri- alla strage del Natale copto a Naga Hammavere sulla bacheca di un amico. Sameh Nas- di. Le parole di Sameh mi colpivano per la
siem Gayed è un gioioso ventottenne che, loro rabbia, subito placata da un’immencinque anni fa, è stato mio studente per sa fede. Nessuna accusa ai musulmani, ma
due giorni nell’ambito di un master di for- solo ai terroristi. E proprio le parole “termazione euro mediterraneo organizzato roristi”, “terrorismo” hanno iniziato a difdalla Fondazione per la Sussidiarietà. È cop- fondersi in tutti i profili dei miei amici di
to di Alessandria. Da quando ci siamo cono- Facebook egiziani, copti e musulmani, cresciuti ogni tanto ci scambiamo notizie sul denti e non, intellettuali e persone comusuo paese e soprattutto sulla condizione dei ni. Nel giro di poche ore tutte le fotografie
cristiani in seno a una maggioranza islami- dei loro profili su Facebook sono state sostica. Le notizie non sono mai confortanti, ma tuite da un’immagine su fondo nero recanil primo gennaio scorso dalle sue parole ho te, in bianco, una croce e una mezzaluna e
dovuto apprendere l’inimmaginabile tra- la scritta: “Sono un egiziano contro il tergedia. Sameh scriveva in dialetto egiziano: rorismo”. Scorrendo le bacheche dei miei
«La prima cosa che tutti noi dovremmo fare amici, scambiandomi alcuni messaggi priè festeggiare perché lo sporco terrorista ha vati con loro ho subito avuto il polso delfatto esplodere la sua bomba presso la Chie- la situazione, dell’immensa rabbia diffusa
sa dei Santi per diffondere la tristezza e la a tutti i livelli. Come quella della scrittripaura nei nostri cuori per toglierci la voglia ce Mansoura Ezz Eldine. Poco più che trendi gioire per farci soffrire, ma nessuno ci tenne, musulmana, residente al Cairo. Ho
appena terminato di tradurre in italiano il suo romanzo
«Giovedì una compagna di mia figlia
Oltre il paradiso. Proprio su
le ha detto: “Ho paura di andare in chiesa”.
Facebook è nata tra noi una
la profezia si è avverata. Hanno messo a
vera amicizia. Il primo mesferro e fuoco una nazione che non meritano»
saggio sulla strage di Man-
di Valentina Colombo*
L
Foto: ap/lapresse
re che ha deciso di tagliarli fuori», spiega
padre Samir. «Però portano delle responsabilità indirette: i giovani kamikaze che si
fanno esplodere sono il prodotto di un clima culturale, di un lavaggio del cervello
condotto attraverso insegnamenti islamici
tradizionalisti che alimentano il fanatismo
finalizzato a dar vita a un progetto politico
islamico. I Fratelli Musulmani sono responsabili di questo clima, di questa cultura
ormai egemone». È più o meno la stessa critica che ha formulato il direttore del quotidiano egiziano Rose al Youssef in un’intervista alla tv al Arabiya, nella quale sottolinea che la Fratellanza ha alimentato in tutti questi anni il clima di tensione fra musulmani e copti ad Alessandria, con sermoni
del venerdì e manifestazioni di strada nelle quali si accusavano i cristiani di aver fatto scomparire le due famose donne mogli
di sacerdoti che avrebbero deciso di convertirsi all’islam, pretesto addotto da al Qaeda per dare la caccia ai cristiani in tutto il
Medio Oriente. La Fratellanza respinge l’accusa e punta il dito contro le forze esterne
al paese che avrebbero cospirato per compiere l’attentato.
del codice di famiglia che metta
al riparo i cristiani da giudici che
vorrebbero applicare a noi la sharia. Nel frattempo non ci sarà nessuna guerra di religione: dopo l’attentato di Alessandria le tensioni,
che esistevano già da tanto tempo,
si aggraveranno, ma non si arriverà al punto di non ritorno: la maggioranza
delle persone in Egitto non è estremista e
vuole vivere in pace». Nel frattempo sul sito
internet egiziano dei Fratelli Musulmani è
Al messaggio di cordoglio
di Benedetto XVI per i copti
ha risposto piccato lo sceicco
di al Azhar Al Tayeb, il quale
ha poi precisato al Corriere che
si aspetta un segnale del Papa
per ristabilire la fiducia.
A lato, il papa copto Shenouda
parla, caldeggiate anche dagli Stati Uniti e dall’Europa: una revisione dell’ostruzionistica legge che regola la costruzione e il restauro delle chiese e una riforma
apparsa una notizia secondo cui nei giorni precedenti l’attentato sarebbero passate per Alessandria 350 persone di origine
israeliana. L’allusione è evidente. L’Egitto
di oggi assomiglia all’Italia degli anni Settanta: anche qui c’è qualcuno che non vuole riconoscere che i terroristi appartengono al suo album di famiglia e condividono
la sua ideologia, e ne parla in un modo che
assomiglia a quello in cui da noi si esecravano le “sedicenti Brigate Rosse”.
Rodolfo Casadei
Foto: AP/LaPresse
A lato, disordini ad Alessandria.
Sopra, il profilo Facebook in cui
Maryam Fekry, 22 anni, ringrazia
Dio per il 2010 che sta per volgere
al termine. Poco dopo resterà
uccisa nell’eccidio dei kamikaze
soura è il link a un “j’accuse” pubblicato
sul sito inglese del quotidiano egiziano al
Ahram in cui si legge: «Sono andato in giro,
vi ho sentiti parlare negli uffici, nei club,
alle cene ufficiali: “Ai copti bisogna dare
una lezione”, “i copti sono sempre più arroganti”, “i copti mantengono segrete le conversioni dei musulmani” oppure “i copti
impediscono alle donne cristiane di convertirsi all’islam, le rapiscono e le rinchiudono
nei monasteri”. Vi accuso tutti, perché nella vostra cecità bigotta non riuscite a vedere la violenza che voi esercitate sul senso
comune logico e semplice».
Mansoura, che pure è una penna straordinaria, non riesce a trovare parole proprie per descrivere quel che sente. Reagisce veementemente invece un suo collega
che oggi vive in Kuwait. È Ibrahim Farghali, quarantatré anni, autore tra l’altro di
uno straordinario romanzo I sorrisi dei
santi, purtroppo non tradotto in italiano,
che tratta proprio della questione copta.
Ibrahim scrive sulla sua bacheca: «Non posso credere alle notizie… provo a descrivere
gli autori del fatto… vili? Codardi? Cretini?
Figli di puttana? Non so… il più bel commento di oggi è quello di Sayyid Mahmud…
tutti i cristiani e i musulmani in chiesa il
7 gennaio». Il commento cui fa riferimento Ibrahim dice: «Dio mio, Ibrahim… giovedì una compagna di scuola di mia figlia le
ha detto: “Ho paura di andare a pregare in
chiesa”. E la profezia si è avverata. Questi
hanno messo a ferro e fuoco una nazione
che non meritano».
C’è anche chi punta dritto l’indice sul
governo. È il caso del giornalista copto che
vive a Londra Adel Darwish che sulla propria bacheca commenta: «È plausibile che
il servizio di sicurezza egiziano sappia chi
sono gli estremisti islamici e chi muove le
fila di ogni movimento radicale dei Fratelli
musulmani. Ogni volta che sfidano il regime (come nelle ultime elezioni farsa boicottate dalla maggioranza e dalla classe politica) non hanno alcun problema ad arrestarli, ma li lasciano liberamente attaccare i cristiani». D’altronde non dimentichiamo che proprio per compiacere i Fratelli
musulmani l’articolo due della Costituzione egiziana, che prevede che la sharia sia
la fonte esclusiva della legislazione e quindi prevede che i cristiani siano dei cittadini
di seconda categoria, è considerato intoccabile. Non poteva tacere Khaled Alberry,
ex affiliato della Gamaat al-islamiya, autore di un meraviglioso libricino La vita è più
bella del paradiso (edito in Italia da Bompiani), attualmente giornalista per la Bbc
araba. Conosce il terrorismo e l’estremismo islamico dall’interno. È un pentito che
non tace. Sulla sua bacheca scrive: «Ancora
per quanto accuseremo mani esterne per
nascondere i nostri difetti!». Ha ragione.
Nello stesso istante su Facebook c’era già
chi incolpava gli ebrei dell’accaduto.
Il 2 gennaio sui giornali ecco un’altra
notizia proveniente dal social network.
Maryam Fekry, Mariouma per gli amici,
22 anni, vittima dell’eccidio, che prima
di uscire di casa scriveva: «Il 2010 è finito. Questo anno finito contiene i migliori ricordi della mia vita, in questo anno
sono davvero stata felice. Spero che il 2011
sia ancora meglio. Ho tanti desideri per il
2011, ti prego Dio stammi vicino e aiutami a fare che diventino veri». I suoi sogni
non si sono avverati o forse come direbbe Sameh si è avverato il sogno della gioia eterna. Quel che mi auguro con tutti gli
amici egiziani è che si avveri, anche se ci
spero davvero poco, il sogno dell’intellettuale egiziano Hesham al Toukhy che anni
fa scriveva: «Sogno che un giorno finisca
ogni genere di segregazione, che si fermi
ogni genere di oppressione, che tutti gli
egiziani siano uguali e che la religione sia
di Dio e l’Egitto degli egiziani».
*docente di Geopolitica del mondo islamico
all’Università Europea di Roma
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PANE AL PANE
QUEGLI STUDENTI IN PIAZZA A ROMA
L’errore è credere che il voto di chi
protesta vale più di quello degli altri
di Giorgio Israel
G
li studenti delle tre università di roma sono circa 220 mila. Se si fa la tara
degli studenti dei licei che si sono mobilitati e di altre categorie di giova- INTELLETTUALE
CURA
ni, anche provenienti da città lontane, alle manifestazioni romane conTESTESSO
tro la riforma Gelmini non ha partecipato più del 5 per cento degli studenti
universitari. E quanti di costoro erano davvero consapevoli dei contenuti della riforma universitaria o invece erano mobilitati per ragioni puramente politiche? Di certo ne erano poco consapevoli gli studenti liceali, che hanno occupato, tenuto assemblee e gruppi di “studio”, alternati da proiezioni di film su
Che Guevara, sotto l’influsso di docenti “militanti” che hanno colto l’occasione
per seminare le loro nostalgie comuniste. Ma anche all’università erano più le
aule occupate da proiezioni di film, danze techno, gruppi musicali e “giocolerie” che non da assemblee. Giornali e televisioni hanno gareggiato nel parlare “degli” studenti (e
non “di” studenti) e addirittura “dei” giovani: è stata una manifestazione di umiliante servilismo
e di sconcertante superficialità. Commentatori e “intelletChissà chi sono gli apprendisti stregoni
tuali” in cerca di popolarità si sono sbracciati nell’imbastire claudicanti analisi sulla frattura generazionale, sui
che trasmettono agli adolescenti il mito di
destini dei nostri figli, dando per scontato che i manifeChe Guevara, di cui altrimenti ignorerebbero
stanti coincidessero con la gioventù nazionale, e che i rail nome, e trasformano le loro “autogestioni”
gazzi intervistati in televisione rappresentassero idee unain scuole di indottrinamento ideologico
nimemente condivise e un’opposizione assolutamente
compatta alla riforma Gelmini. “Delegazioni” di studenti sono state ricevute da dirigenti di partiti politici, persino in Quirinale e trattate come rappresentanze del mondo universitario e addirittura del mondo giovanile. “Delegati” da chi, quando e come? “Rappresentanti” di chi e in base a quale diritto titolati a esprimere un’opposizione in nome
del mondo studentesco e addirittura “dei” giovani? In un paese che ha conosciuto le degenerazioni del Sessantotto fino all’autonomia degli anni Settanta – che vide il sequestro violento delle università da parte di un’infima minoranza – è inconcepibile che si ripeta l’errore di dar credito solo a chi strilla in piazza e di concedergli una patente di rappresentatività,
in barba ai più elementari princìpi della democrazia.
In un contesto di articoli giovanilisti, il Corriere della Sera ha pubblicato un editoriale di Mario Monti che contrapponeva i segnali positivi rappresentati dalle riforme Gelmini
e Marchionne all’illusionismo di Berlusconi che riesce ancora a far credere a molti italiani
che esista un pericolo comunista. Chissà chi sono gli apprendisti stregoni che trasmettono
a degli adolescenti il mito di un Che Guevara di cui altrimenti ignorerebbero persino il nome, e trasformano le loro ingenue “autogestioni” in scuole di indottrinamento ideologico.
E davvero qualcuno può seriamente pensare che la riforma Gelmini sia un’operazione condotta contro, o quantomeno a dispetto del governo Berlusconi? Gli epigoni del comunismo
esistono, eccome, e sono ben rappresentati dai suddetti apprendisti stregoni, e da una parte consistente della sinistra sindacale e politica. Quantomeno il vecchio Partito comunista
presessantottino aveva il buon senso di ammonire che spesso «a piazze piene corrispondono urne vuote». È un buon senso che manca agli adulatori “dei giovani”, che li identificano
con una minoranza strumentalizzata per difendere interessi di conservazione. Esistono decine di migliaia di giovani laureati che attendono con ansia di poter accedere all’insegnamento ma non manifestano, e quindi non esistono. Che tragedia ricadere nell’errore di credere che il voto di chi scende in piazza valga venti volte di più di quello degli altri.
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PLAUSI
E BOTTE
UN MATRIMONIO CHE OLTREPASSA I CONFINI
Questa sposa porta in dote
la speranza del Medio Oriente
di Yasha Reibman
Foto: AP/LaPresse
L
a foto di una sposa vestita di bianco circondata da
SE TI
amici, parenti e dai soldaDIMENTICO
GERUSALEMME
ti delle Nazioni Unite, pubblicata su Haaretz, uno dei principali giornali israeliani, racconta una storia di anormale quotidianità.
Il luogo è il confine tra Israele e la Siria. La donna
è una drusa che sta per sposarsi con un altro druso. Lei ha passaporto israeliano, lui siriano. Il loro progetto è vivere insieme in Israele. C’è qualcosa di strano se si considera che Israele e Siria sono
tuttora in guerra.
Ci sbaglieremmo se pensassimo che si tratti
di un segnale significativo di una prossima pace
tra Damasco e lo Stato ebraico.
Nella foto,
Forse alla pace si arriverà, ma
una sposa siriana
oltrepassa
la foto di questi sposini non
la frontiera per
svela in realtà alcuna novità,
convolare a nozze
ma racconta una storia comcon il fidanzato
residente nel
plessa e semplice allo stesso
Golan israeliano
tempo. I drusi vivono da sempre a cavallo tra Siria, Libano e Israele (quando si parla di Israele è difficile usare la parola
sempre). Sono fedeli al paese nel quale abitano,
spesso servono nei rispettivi eserciti. In Israele
i soldati drusi sono molto rispettati, vengono
considerati valorosi e generosi.
Nelle guerre in questi decenni, sebbene
l’obiettivo fosse la distruzione di Israele, risulta
siano stati fatti degli accordi tra gli eserciti contrapposti per evitare che gli scontri arrivassero
nelle zone abitate dai drusi.
La loro religione è tuttora avvolta nel mistero, ma quel che risulta ancor più inspiegabile
è la capacità che hanno avuto di cavalcare quasi mille anni di storia senza essere sterminati.
Un tempo potenziale vaso di coccio tra islamici e cristiani, oggi in mezzo a uno dei confini
più caldi, i drusi, che per la loro storia non possono certo essere tacciati di codardia, sono riusciti a restare uniti e liberi nonostante un’entità nazionale drusa non esista e non sia mai stata
richiesta. Hanno superato il secolo dei nazionalismi senza ubriacature e la foto di un loro matrimonio rappresenta se non una notizia almeno una speranza per il nuovo anno.
NON BASTANO LE LEGGI
Solo la ricerca
di Dio ci può salvare
di Bruno Mastroianni
L
a religione c’entra con le guerre quanto la biologia con il razzismo e le differenze culturali
con le lotte tra popoli confinanti. Cioè niente.
RECENSIRE
Sarebbe veramente interessante poter mettere in fiRATZINGER
la tutti gli scritti, i discorsi e i messaggi di Benedetto
XVI (anche prima di essere Papa) in cui si parla del rapporto tra religione, pace e prosperità. Si scoprirebbe che il tasto su cui Ratzinger
insiste è sempre lo stesso: solo l’autentica ricerca della verità (che è
un sinonimo di autentica religione) è la garanzia che l’uomo non vada dietro se stesso e le sue piccolezze. Solo la ricerca di Dio salva l’uomo dall’egoismo, dalle parzialità, dal disinteresse. Non se la prendano gli atei dichiarati e gli agnostici sofisticati: se si smette di cercare
qualcosa che va oltre la limitata prospettiva umana è facile cadere
in un vicolo cieco. Hai voglia poi a produrre risoluzioni dell’Onu, regolamenti, provvedimenti, leggi e tutto il resto. Non basteranno mai
per motivare un solo uomo a prendersi sulle spalle il destino dei propri simili. Nel discorso alla Curia il 20 dicembre scorso il Papa è tornato a citare Newman che, convertendosi, capì «che Dio e l’anima,
l’essere se stesso dell’uomo a livello spirituale, costituiscono ciò che
è veramente reale, ciò che conta. Sono molto più reali degli oggetti
afferrabili». Proprio in questi tempi in cui vediamo cristiani che sono disposti a rischiare la vita per andare a Messa, forse anche a noi
distratti e pasciuti occidentali sta tornando la voglia di rimettere al
primo posto ciò che avevamo lasciato in fondo.
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CULTURA
IL ROMANZO È COME UN RING
Io faccio
a cazzotti
con gli angeli
«La narrativa riguarda tutto ciò che è umano
e noi siamo polvere, dunque se disdegnate
d’impolverarvi, non dovreste tentar di scrivere
narrativa». Ecco il manifesto inedito di Flannery
O’Connor. L’Incarnazione contro lo spiritualismo
di Antonio Spadaro
S
In questa foto, Flannery O’Connor.
Nella pagina accanto, una foto scattata
nella tenuta di Milledgeville
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see, ha generato i Southerners, cioè scrittori quali Erskine Caldwell, Carson McCullers, Tennessee Williams, William Faulkner.
Morì per un tumore nel 1964, a soli trentanove anni, a Milledgeville, dove aveva trascorso gran parte della sua vita di convalescente, essendo stata colpita in giovane età
dal lupus eritematosus, ereditato dal padre,
che di questa malattia pure morì. Nella sua
breve vita scrisse ventisette racconti e due
romanzi: La saggezza nel sangue (Wise Blood) del 1952, da cui John Huston nel 1979
trasse il divertente e terribile film omonimo, e Il cielo è dei violenti (The Violent Bear
It Away) del 1960. All’opera narrativa vanno
aggiunte le lettere e le prose occasionali di
Mystery and Manners. La sua opera dunque
non è immensa, ma è bastata a farla diventare una scrittrice di culto. Molti i riconoscimenti ricevuti in vita: tre borse di studio rispettivamente dalla prestigiosa Kenyon Review, dal National Institute of Arts
and Letters e dalla Ford Foundation. Vinse
tre volte l’O’Henry Awards e ricevette due
Attilio Bertolucci dopo
Hemingway, Faulkner e Fitzgerald
l’America non aveva avuto autori
veramente importanti. Tuttavia, dopo aver
letto i testi della O’Connor, si disse «folgorato». Si può restare folgorati leggendo un
libro se è scritto da un autore che sente, a
sua volta, la scrittura come una folgorazione, una vocazione bruciante. I testi raccolti nel volume, tutti ancora inediti in italiano, costruiscono un percorso che illustra meglio questa “vocazione” e il suo possibile effetto folgorante sul lettore. Mary Flannery O’Connor Alle cose «bisogna dar corpo, creare
nasce il 25 marzo del 1925 a
Savannah, in Georgia, quella un mondo dotato di peso e di spessore».
terra degli Stati Uniti d’America «Mostri queste cose e non avrà bisogno di
che, con la parte Est del Tennes- dirle», consiglia in una lettera a Ben Griffith
econdo
Foto: Getty, Antonio Spadaro
Esce in questi giorni nelle librerie, per la
collana Bur “I libri della speranza”, Il volto incompiuto, antologia di saggi e missive di Flannery O’Connor finora inediti nel
nostro paese. Pubblichiamo stralci dell’introduzione di Antonio Spadaro, uno dei
massimi esperti italiani della scrittrice statunitense e curatore del volume, e di seguito una selezione di lettere.
lauree ad honorem. Nel 1988 la
un’abitudine, come un modo abituale di
sua opera narrativa e una seleguardare le cose». È la materia e la concrezione di quella epistolare e sagtezza della vita che danno realtà al mistero
gistica è stata pubblicata nella
del nostro essere nel mondo.
prestigiosa collana della LibraAl diavolo i simboli
ry of America. Oltre ai grandi del passato, questo onore
Da qui ecco il compito che la scrittrice ricofino a quel momento era stato
nosce a se stessa: concepire l’infinita trama
riservato solamente a William
del finito, nella sua assoluta contingenza e
«Il fondamento morale della Poesia è il
Faulkner. Le sue poche pagine
nella sua precisione: «Il fondamento morale
dunque l’hanno fatta apprezza- nominare in maniera accurata le cose di
della Poesia è il nominare in maniera accure come un’icona, un “mostro Dio», «rendere giustizia all’universo visibile»
rata le cose di Dio», «rendere quanta più giusacro”, un modello. Del resto, perché «è un riflesso di quello invisibile»
stizia possibile all’universo visibile» perché
che cosa c’è di comune tra Bruesso «è un riflesso di quello invisibile». Dio è
ce Springsteen e Nick Cave, registi quali re»: scrivere narrativa non è questione di un dato dell’esperienza, non un’intuizione
John Huston e Quentin Tarantino, scritto- «dire» cose, ma di farle «vedere» al letto- della mente o dello spirito: nello splendido
ri quali Raymond Carver, Elizabeth Bishop re, di mostrarle: «Mostri queste cose e non racconto The Turkey (Il tacchino), è addirite l’australiano Tim Winton o tra i nostri avrà bisogno di dirle (show these things tura rappresentato da un tacchino a cui un
Luca Doninelli e Carola Susani? Nulla, for- and you don’t have to say them)», consiglia undicenne sta dando la caccia, mentre nel
se. Tranne Flannery O’Connor, letta, amata, in una lettera a Ben Griffith, che gli aveva racconto A View of the Woods (La veduta
inviato un racconto in lettura. Personaggi del bosco) Cristo è reso in figura dal bosco,
rappresentata o imitata da tutti loro.
e avvenimenti hanno un aspetto che col- in cui i «pini, visti di fianco avevano l’aria
Il duello di Giacobbe
pisce la percezione, sono incarnati e mate- di camminare sull’acqua». Per la O’Connor
All’interno di una lettera del 17 gennaio riali: «Il mondo dello scrittore di narrativa non è il materiale a spiritualizzarsi, ma lo
1956 la scrittrice si descrive efficacemente è colmo di materia», mentre spesso si cre- spirituale a materializzarsi, secondo il prinin un ricordo biografico dagli echi biblici: de che siano le emozioni tumultuose o le cipio dell’Incarnazione. E ciò fa a pugni con
«Ho fatto i primi sei anni di scuola dalle suo- idee grandiose a fare un racconto. Nient’af- ogni forma di psicologizzazione o mera
re. (…) Fra gli otto e i dodici anni avevo l’abi- fatto. Con i concetti astratti e i presupposti simbolizzazione. Una volta la scrittrice si
tudine di chiudermi ogni tanto a chiave in teorici non si fanno storie: la caratteristica trovò a cena da Mary McCarthy, altra nota
una stanza e facendo una faccia feroce (e cat- principale, e più evidente, della narrativa penna dei suoi anni, che le disse di considetiva), vorticavo torno torno coi pugni serra- «è quella d’affrontare la realtà tramite ciò rare l’Eucarestia solamente come un «simti scazzottando l’angelo. Si trattava dell’an- che si può vedere, sentire, odorare, gustare, bolo». La risposta della O’Connor fu netta:
gelo custode del quale, secondo le suore, tut- toccare. È questa una cosa che non si può «Beh, se è un simbolo, che vada al diavolo
ti eravamo provvisti. Non ti mollava un atti- imparare solo con la testa; va appresa come (Well, if it’s a symbol, to hell with it)».
mo. Lo disprezzavo da morire. Sono convinta di avergli addirittura mollato un calcioLE LETTERE MAI USCITE IN ITALIA
ne finendo lunga distesa». Flannery O’Connor rimase una bambina che scazzottava l’angelo custode (socking the angel) che
però non la mollava un attimo. Ce lo conferma un suo saggio, frutto di una conferenza
tenuta alcuni mesi prima della morte, nel
quale sostiene che lo scrittore deve lottare
«come Giacobbe con l’angelo. (…) La stesura di un romanzo degno di questo nome è
una sorta di duello personale (a kind of personal encounter)». Il testo funziona se è attiva questa lotta, che la O’Connor nomina in
vari modi: wrestle, encounter, fino al termine socking, proprio dello slang.
Leggere la O’Connor significa entrare
nel ring delle sue pagine. Da dove nascono
le sue storie? Che cosa le rende così intense? La sua scrittura è molto legata al reale,
mentre è del tutto disinteressata ai labirintrovata dopo mezz’ora a pagina 9 che dorti della psicologia: «La narrativa riguarda di Flannery O’Connor
miva profondamente. (…) Spero vi sia arritutto ciò che è umano e noi siamo polvere,
vata la ricetta dei sottaceti. Regina non ne
A Sally e Robert Fitzgerald
dunque se disdegnate d’impolverarvi, non
aveva mai fatti, ma ha trovato la ricetta in
Martedì (metà settembre 1951)
dovreste tentar di scrivere narrativa». Da
Allego l’Opus Naseosus n. 1. Quando è un vecchio libro di cucina molto sporco,
qui un prezioso avvertimento: non è possi- arrivato dattilografato l’ho dovuto leggere quindi dovrebbe andar bene…
bile suscitare emozione con testi che trasu- di nuovo ed è stato come passare la giornadano emozione né suscitare pensieri riem- ta a ingoiare una vecchia coperta. Mi semAd A. 20 ottobre 1955
piendo le pagine di considerazioni e rifles- bra davvero tedioso, ma sempre meglio
Nella tua immaginazione vado di male
sioni. A queste cose «bisogna dar corpo, cre- di prima. Mia madre ha detto che voleva in peggio – prima una fascista e ora Cupiare un mondo dotato di peso e di spesso- rileggerlo, così se l’è portato dietro e l’ho do. (…) Non ho assistito alla conferenza
Non sento le Voci
Sono cattolica
Foto: Getty, Antonio Spadaro
I peccati più gravi? Sentimentalismo e pornografia.
Ma per l’arte, non per la morale. «E se mi chiedono
cosa mi ispira, la mia tendenza è di diventare
mortalmente stupida e rispondere “Scrivo e basta”»
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CULTURA IL ROMANZO È COME UN RING
A John Lynch 6 novembre 1955
Le sono davvero grata per avermi mandato la copia della recensione e sono stata
molto sorpresa e lieta che una rivista cattolica la volesse e l’avesse affidata a una persona intelligente. Il silenzio della critica
cattolica è spesso preferibile alla sua attenzione. Guardo sempre le riviste cattoliche
che legge mia madre, per vedere se è stato
recensito il mio libro, e quando scopro che
non lo è stato, recito una preghiera di ringraziamento.
Non dovrebbe essere così ma lo è, e
per me, il lato ironico della mia silenziosa
accoglienza da parte dei cattolici è il fatto
che scrivo come scrivo perché e solo per36
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A Padre J. H. McCown 9 maggio 1956
(…) Dopo aver letto quanto potevo sopportare [di un libro da lui inviato], ho deciso che visto che potrei avere occasione di
incontrare [l’autrice] sarebbe meglio non
aver letto i suoi libri. (…) Concordo con i
figli di lei… [Il suo libro] è solo propaganda
e il fatto che sia propaganda a favore degli
angeli è ancora peggio. (…)
Ad A. 6 ottobre 1956
(…) Ieri Regina, N. e io siamo andati
a un’asta di bovini vicino a Dublino. R. è
di casa a queste aste ma per me era la prima volta. Io e N. sembravamo una versione
bianca dei Gold Dust Twins tutti e due con
Qui sopra, altri due particolari della tenuta
di Milledgeville, dove Flannery O’Connor
trascorse gran parte della sua convalescenza
e morì a causa del lupus ereditato dal padre
le stampelle, e i presenti ci hanno squadrato a lungo. Le vacche erano un affare e Regina ne ha comprate dieci. (…) Una delle vacche più tristi che io abbia mai visto è entrata nell’arena e hanno provato a cominciare con una base d’asta di cinquanta dollari, ma nessuno ha fatto l’offerta. Qualcuno alla fine ha detto $35 e alla fine, persuadendoli che potevano farci di più macellandola, il banditore è riuscito ad arrivare a $41. Quindi è stata venduta per $41
e hanno provato a farla uscire dall’arena.
Ogni volta arrivava al cancello e si rifiutava di andare oltre. Alla fine si è sentita una
voce possente biascicare dai palchi «Non è
soddisfatta di quanto è costata». Finalmente sono riusciti a farla uscire. Dopo questo
episodio ho intenzione di andare a tutte le
aste. N. ci ha intrattenuti sulla via del ritorno con dei racconti sull’aia, il più impressionante è stato quello di un maiale che
aveva i vermi in testa. A tavola un giorno
ci ha detto che la SOLA cosa da fare con un
cane costipato è fargli un clistere. L’espressione di mia madre mi è sembrata molto strana nei minuti successivi. Se verrai a
stare da noi per un fine settimana, sfogge-
Foto: Library of Congress, Washington, D.C.; Antonio Spadaro
di Russell Kirk perché era di lun. anziché ché sono cattolica. Credo che se non fossab. come pensavo; comunque, io e lui era- si cattolica, non avrei ragione di scrivere,
vamo in visita dalle stesse persone nel fine nessuna ragione di vedere, nessuna ragiosettimana, quindi l’ho visto in abbondan- ne di provare orrore, o di provare piacere
za. Ha circa 37 anni, sembra Humpty Dum- in nulla. Sono nata cattolica, ho frequenpty (integro) sempre col sigaro e (all’aper- tato scuole cattoliche durante l’infanzia,
to) con un cappello a forma di cupola. Non e non ho mai lasciato, né ho mai voluto
è un gran conversatore, come me, e quelle lasciare la Chiesa. Non ho mai percepito
volte che rimanevamo da soli i nostri ten- l’essere cattolica come un limite alla libertativi di fare conversazione erano come lo tà dello scrittore, piuttosto l’opposto. Mrs
sforzo di due nani di abbattere una sequo- Tate mi ha detto che dopo essere diventaia. Comunque, a un certo punto ci siamo ta cattolica, sentiva per la prima volta di
lanciati nella seguente raffica di battute poter usare gli occhi e accettare ciò che
severe e ben riuscite.
vedeva, non doveva creare un nuovo uniIO: Ho letto che il vecchio William verso per ogni libro, ma poteva prendeHeard Kilpatrick è morto da poco. Anche re quello che trovava. Io stessa credo che
John Dewey è morto, giusto?
essere cattolica mi abbia risparmiato un
KIRK: Sì, grazie a Dio. Ha
paio di migliaia di anni per
avuto quel che si meritava. Ah
imparare a scrivere. (…)
IN USCITA
ah.
IO: Spero che ci siano bamA Padre J. H. McCown
bini che gli gattonano sopra.
6 febbraio 1956
KIRK: Sì, spero che sia in
(…) Ho scritto a Padre Garcompagnia di bimbi non batdiner, ma dopo aver visto la
tezzati.
recensione del libro di MichelIO: No, sarebbero troppo
felder, temo di essermi espresinnocenti.
sa male. (…) Tuttavia, mi semKIRK: Giusto. Ah ah. In combra che non si debba per forpagnia di bimbi battezzati.
za fare affidamento sulla virIO: Già.
tù della prudenza per evitare
(…) L’affare del sonno framla pornografia nei propri scritmentato è interessante, ma l’afti, ma che si debba fare affidaIL VOLTO
fare del sonno è sempre intemento prima di tutto sulla virINCOMPIUTO
ressante. Una volta ne ho fattù dell’arte. La pornografia e
Autore F. O’Connor
to quasi del tutto a meno per
il sentimentalismo e qualsiaEditore
Bur
parecchie settimane. Avevo la Pagine
si altro eccesso sono tutti pec180
Prezzo
9 euro
febbre alta e prendevo grosse
cati contro la forma, e credo
dosi di cortisone, che ti impediche dovrebbero essere trattasce di dormire. Ero affamata di sonno. Da ti come peccati contro l’arte, e non come
allora penso al sonno come collegato meta- peccati contro la moralità. (…)
foricamente con la madre di Dio. Hopkins
ha detto che lei è l’aria che respiriamo, ma
A J. F. Powers 19 aprile 1956
io la riconosco più nel dono del sonno. Per
Questa è una recensione [di The Presenme la vita senza di lei equivarrebbe a una ce of Grace] da un posto fuori dal mondo
vita senza sonno, e come ha tenuto dentro ed è cosa fuori dal mondo per me inviarla
di sé Cristo per un po’, mi sembra che per ma vorrei sapesse che ammiro le sue storie
un po’ dentro di sé tenga anche noi men- più di tutte le altre che conosco nonostantre dormiamo, così che possiamo risve- te il gatto che, se le mie preghiere sono stagliarci in pace. (…)
te ascoltate, è già stato messo sotto.
IL DIRETTORE DELLA COLLANA
In quelle pagine c’è la fede
di “una stirpe invincibile”
Foto: Library of Congress, Washington, D.C.; Antonio Spadaro
La collana “I libri della speranza” che ho la
ventura di dirigere per Rizzoli è fatta di libri come stracci
nel vento, come segnali per i viandanti, come taccuini di
mappe. La storia che ho scritto in romanzo di Hermann
il rattratto, la storia dell’incontro del grande re barbaro
Attila con papa Leone, e insieme ad altri titoli, ora le
lettere di Flannery O’Connor, sono segnali nella nebbia del
presente per chi vuole custodire la virtù della speranza. Libri che possono nutrire la stirpe dei cristiani. Questo della
grande scrittrice americana, curato da due dei suoi massimi intenditori e traduttori (A. Spadaro e E. Buia), si unisce
a quello che in Rizzoli nella collana dello “spirito cristiano”
curai anni fa: la splendida e magnetica raccolta di racconti La schiena di Parker. Libri che contribuiscono non solo a
far conoscere meglio uno dei tesori della letteratura americana, ma sono il “diario di una esponente di punta del
cattolicesimo nella modernità”. Quella modernità che vediamo aver dapprima messo in discussione la fede come
esperienza di uomini liberi e intelligenti attraverso le tante
contestazioni di tipo filosofico e estetico e ora attaccarci
anche con azioni politiche e violente come il terrorismo.
In Flannery O’Connor vediamo in azione i criteri di una
fede che determina nel mondo l’esistenza di una stirpe
invincibile (come recita il Christe cunctorum). Una stirpe
a cui è estraneo qualsiasi scontro di civiltà. Infatti, non ci
interessa difendere una civiltà, ma l’esistenza di un popolo
che attraversa e segna tante diverse civiltà. Che si tratti
degli Stati Uniti del Sud negli anni Cinquanta, dell’Italia
del Duemila o del martoriato Oriente dove i nostri fratelli
sono vittime di attentati, la speranza nostra è costruttiva.
Di opere d’arte, incontri, tentativi di umanizzazione.
Davide Rondoni
rò N. a tavola. Suppongo che il gioco d’azzardo non sia una virtù ma lo sembra quasi, in una società in cui c’è un rispetto esagerato per i soldi. Parte del Purgatorio deve
consistere nella consapevolezza di quanto poco ci voglia a trasformare un vizio in
virtù. Ma suppongo che il Signore ci perdonerà per la preparazione inadeguata. Una
cosa che mi piace nella trattazione di Tate
su [Hart] Crane è la dichiarazione che Dio
non ha disprezzato le circostanze. Questo
si applicherebbe al fatto che sebbene l’atto possa non essere stato buono, del bene è
scaturito da esso… La Comunione dei Santi ha qualcosa a che fare con il fatto che i
fardelli che portiamo a causa di qualcun
altro, li possiamo anche portare per qualcun altro. Lettera interrotta per ingresso di
Genitrice con tuo messaggio e biscotti. (…)
‘‘
Ad A. 29 novembre 1956
(…) Dovrò provare a fare qualcosa per
quella conferenza affinché sia chiaro che
parlo nell’interesse dell’esperienza, quando dico che lo scrittore ne prende le distanze, ma come ho già detto, a questo punto sono totalmente stufa di questo tema e
dubito a ogni modo che le ragazzine presteranno attenzione. Quando B. L. ha parlato là, non ha parlato di scrittura ma
di Donne – «dobbiamo essere fidanzate,
mogli & madri migliori» ecc… ecc… e quando ha parlato al Ga. Writers, a quanto ho
sentito, ha parlato de «Le lotte e la solitudine dello scrittore» e stando a [un ascoltatore] è stata straordinaria e ha fatto venire
le lacrime agli occhi. Mi viene sempre da
vomitare quando sento parlare della «Solitudine dell’Artista». (…)
Guardo sempre le riviste cattoliche che
legge mia madre, per vedere se è stato recensito
il mio libro, e quando scopro che non lo è stato,
recito una preghiera di ringraziamento
’’
Ad A. 11 dicembre 1956
(…) Sto scrivendo al mio agente per mettergli fretta e vendere tutti i miei racconti
come commedie musicali. In giro ci sono
abbastanza ballerini di tip tap per tutti
quanti i racconti, e c’è sempre Elvis Presley.
A Maryat Lee 24 febbraio 1957
(…) Sono rimasta sbalordita quando mi
hai chiesto come o dove trovo il mio materiale. A Emory avevano una lista di domande alle quali dovevo rispondere e la prima
era: Trae spunto dall’immaginazione o dalle
proprie esperienze? La mia tendenza in queste occasioni è sempre di diventare mortalmente stupida e rispondere «Scrivo e basta».
(…) Vorrei tanto avere delle Voci, o almeno
voci distinte. Ho qualcosa che si avvicina a
un cronico ringhio borbottante come se sotto casa ci fossero i gatti in amore, ma nessuna Voce chiara da anni. (…) A Emory hanno dato una piccola cena prima del mio
discorso… Un uomo ha detto «Sto lavorando
con un gruppo sui rapporti interpersonali».
Qualcuno ha chiesto cosa fossero i rapporti
interpersonali e uno degli scrittori ha risposto, «Intende i negri e i bianchi».
n
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culturA che aria tira nella metropoli
Guarda
Milano
che sorride
«A
Napoli si passeggia, a MilaNo si
corre sempre. Anche se si è
in orario. È l’atmosfera del
luogo che induce all’impegno». Per l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, Milano
è soprattutto questo. Operosità. «Noi siamo così, il detto tradizionale “Te lavuret
semper” è fortemente legato al “Epür sèm
mai cuntènt”. La cifra della nostra comunità cittadina da sempre è il dinamismo,
la curiosità e anche l’insoddisfazione di
sé, che porta all’impegno e alla crescita
incessante». Poi c’è la generosità. Il cœür in
man. «Anche se qualcuno può criticare certi atteggiamenti di aree della nostra società, non c’è nessuna città in Italia che abbia
un tasso tanto alto di accoglienza per gli
stranieri: offre risorse e possibilità di lavoro come nessun’altra, e i non milanesi
sono l’altissima maggioranza. Si diventa
milanesi perché si accettano le regole del
luogo, non perché si è nati a Milano».
Malgrado la crisi, la maggioranza dei
milanesi e dei lombardi in genere si dichiara, contro-tendenza, pienamente appagata. A registrare il dato è un’indagine della Camera di Commercio di Milano su dati
Istat, sulla base di un sondaggio realizzato
tra imprenditori e lavoratori milanesi nel
2010. Se in Italia i soddisfatti della situa-
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zione economica nel corso dell’anno appena concluso sono meno
della metà (46,9 per cento), nel
caso della Lombardia si assestano
ben sopra il 50 per cento. I lombardi sono, in media, più soddisfatti degli italiani anche per quanto
riguarda il tempo libero, la salute, e le relazioni sia amicali che
familiari. Più di 2 persone su 3 (il
68,4 per cento) sono felici di vivere
a Milano, in particolare gli under
40. I dati, insomma, raccontano
una città inaspettata, forse anche
rispetto al resto dell’Italia, di sicuro rispetto allo stereotipo che sotto
la Madonnina immagina solo nebbia e nevrosi. Milano vitale, produttiva e capace di rispondere alle
esigenze dei più giovani? Anche.
Nel cuore e nel giudizio di chi la
abita, la città si rivela negli aspetti inconsueti, è protagonista di un
affresco lucido e impietoso, è guardata con
distacco da chi la vive come ospite al lavoro, amata senza riserve da chi ci è nato o
semplicemente ha deciso di appartenerle.
Don Gino Rigoldi, prete di frontiera,
cappellano del carcere minorile di Milano, fondatore di Comunità Nuova, non si
stupisce: «La tentazione comune è quella
di dire: “Milano felice? Ma quando mai”.
Invece è una città piena di tensione positiva, di aspettativa, di ottimismo. Inquieta, in perenne ricerca. C’è voglia di serenità, persino di religione. Qualche giorno
fa ho partecipato a un incontro sulla figu-
Foto: AP/LaPresse
Sbaraglia gli stereotipi nebbiosi e si scopre
contenta. Diario di una conversazione
d’inizio anno con politici e imprenditori, preti
e intellettuali. Per scoprire una città più forte
degli happy hour e dei profeti di sventura
sime potenzialità, una città che in questo
momento ha tirato dentro le unghie, spero
in attesa di poterle tirare fuori». Philippe
Daverio racconta di essere arrivato a Milano nel 1968, per frequentare l’Università
Bocconi. Il giornalista e critico d’arte francese, naturalizzato italiano, ha oggi uno
sguardo più disincantato: «Vedo più ristoranti rispetto a vent’anni fa, e dei milanesi più isterici. Basta pensare all’aggressività automobilistica: l’odio per chi non parte
non appena scatta il verde, le reazioni esagitate. Milano rimane la città che offre le
migliori opportunità, per quanto riguarda
la sfera lavorativa come quella del tempo
libero. Non offre un destino, forse. E non
offre la morbidezza che oggi solo la vita
di provincia può dare. È una città che ha
assunto il piglio metropolitano duro, adatta a chi ha voglia di competere: una piccola grande metropoli, con tutto ciò che ne
consegue, compresa la frantumazione della società unica. Ma nell’Italia di oggi, è
l’unica metropoli esistente».
Foto: AP/LaPresse
Sopra, da sinistra a destra, Luca Doninelli,
scrittore; Filippo Astone, giornalista;
Carlo Masseroli, assessore all’urbanistica;
Antonio Intiglietta, imprenditore; Gad
Lerner, giornalista e Gabriele Albertini, ex
sindaco di Milano oggi europarlamentare.
Sotto, da sinistra a destra, don Gino Rigoldi,
fondatore di Comunità Nuova; don Antonio
Mazzi, fondatore di Exodus; Philippe
Daverio, critico d’arte e Mario Furlan,
fondatore dell’associazione di aiuto
ai senza tetto City Angels
ra di Cristo, e c’era gente fin sulle scale...
È una città che trabocca di desiderio, che
purtroppo spesso rimane inespresso, ma
che comunque c’è». Don Antonio Mazzi,
vulcanico sacerdote fondatore delle comunità Exodus (che da 25 anni svolge attività
di recupero per tossicodipendenti): «Non
avrei mai potuto realizzare in altre città
quello che ho fatto e sto facendo qui. È una
città che premia chi rischia, in qualsiasi campo. Credo che la parola “sicurezza”
sia diventata una sorta di trincea mentale, che ha addormentato tutta una serie di
impulsi. Ma è ancora una città con grandis-
Il cuore e le gru
Per Carlo Masseroli, assessore allo Sviluppo del Territorio nato a Milano nel 1967,
il simbolo della città sono le gru, i cantieri. «Il piano di sviluppo che abbiamo predisposto si chiama “Milano per scelta”, perché è impostato sull’individuazione dei
fattori che portano le persone a scegliere
la città della Madonnina per investire nel
proprio futuro, per far crescere i figli: case
a prezzi accessibili, verde, infrastrutture e
mobilità, valorizzazione del privato sociale. Girando per i quartieri mi sono reso
conto che le zone periferiche sono molto vivaci, dense di esperienze positive, di
associazioni di volontariato, e anche di piccole realtà che si ingegnano inventandosi
nuovi lavori. C’è anche chi si lamenta, certo. È vero che tutto è migliorabile, ma gli
aspetti problematici trovano risposta nello
sviluppo della città e nelle “presenze buone” presenti». Un esempio? «Nel mio quartiere – riprende l’assessore – ci sono venti
bambini cinesi, che ogni pomeriggio vanno in oratorio a fare il doposcuola. Queste
cose non nascono certo per una strategia
dell’amministrazione, ma costituiscono il
vero valore aggiunto della città».
Il giornalista Gad Lerner è cresciuto a
Milano, poi si è allontanato a più riprese,
l’ultima volta per dieci anni, tornando nel
2002 ma senza ritrovare il senso di mescolanza provato in gioventù. «Ho avvertito il
deteriorarsi di un senso di comunità milanese complessiva, che si è frantumata in
tante isole che non comunicano l’una con
l’altra. Credo sia andato perduto un senso
di relazione: ciascuno si accontenta di restare chiuso nella propria comunità di appartenenza. Non parliamo poi della distanza
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cultura che aria tira nella metropoli
l’inferno dell’aperitivo e gli angeli
Filippo Astone, oggi penna de Il Mondo,
è nato a Torino: «Fin da ragazzino avevo
il sogno di fare il giornalista. Quando mi
sono trasferito a Milano, a 22 anni, ho trovato un mondo di quotidiani, settimanali, mensili che mi hanno permesso – pur
facendo una fatica pazzesca – di mantenermi anche all’Università. Milano dà delle
chances impensabili per chi vive altrove, ma
l’essere un luogo di lavoro rende i rapporti
umani molto più difficili. Mi sembra che la
gente non investa emotivamente su Milano,
che aspetti solo di sentirsi “libera” per andare altrove». Poi ci sono i riti collettivi, come
l’aperitivo: «Lo odio con tutte le mie forze.
Ore in piedi, stanchi morti, ad accaparrarsi un pezzo di salame o di formaggio di pessima qualità, sentendosi “fighi” perché si
sfoggia la cravatta alla moda o si fa la battuta che fa sorridere la gnocca di turno. Ma
in realtà con i compagni di aperitivo non si
scambia niente, si frequentano persone di
cui si ignora tutto».
Mario Furlan, giornalista e fondatore
dei City Angels, è di origine veneta e ha vissuto fino ai 18 anni ad Albissola, in Liguria.
«Sono arrivato a Milano dopo la maturità. E, nonostante le mie perplessità, subito
mi sono trovato bene. Perché Milano è una
città accogliente, la città più accogliente e
meno razzista d’Italia: aperta, globale. Ho
fatto presto più amicizie di quante non ne
avessi fatte nel corso degli anni in Ligu40
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ria. E dopo pochi mesi ho capito che il mio esempio, pochissimi vogliono fare volontafuturo sarebbe stato qui, a Milano, la città riato: chiedono soldi. A Genova e Bologna
più europea d’Italia. Se i City Angels non buttano tutto in politica, è difficile trovafossero partiti qui ormai 17 anni fa, forse re amministratori che non tendono ad etinon sarebbero mai diventati un fenomeno chettarti. A Roma si parla di più e si combinazionale. Siamo presenti in tutta Italia, na di meno, è tutto più lento e farraginoso.
ma solo a Milano vedo una partecipazio- Milano invece è una città poco ideologica e
ne così massiccia di cittadini nel raccogliere i nostri «se i City angels non fossero partiti qui ormai
appelli per portarci mate- 17 anni fa, forse non sarebbero mai diventati
riale per i senzatetto. In
altre città facciamo più fati- un fenomeno nazionale. Qui si fa tanto
ca a radicarci. A Napoli, ad volontariato senza buttarla in politica»
il museo a un mese dall’inaugurazione
la luce sul secolo
della grandezza
Boccioni, martini, Fontana e molti altri affollano
lo spazio che celebra il fecondo novecento
ambrosiano. appuntamento sotto le guglie
Foto: Gianni congiu
enorme che si è creata tra la Milano del
centro, del benessere, e la milano delle periferie, della fatica. A un certo punto abbiamo
teorizzato che il lusso avrebbe fatto da traino favorendo una vita migliore anche per
gli umili, accettando questa nuova dimensione come inevitabile: la parola ugualitarismo è diventata tossica, maledetta, soggetta a riprovazione pubblica». Antonio Intiglietta, fondatore e ad di Ge.Fi (Gestione Fiere) è un imprenditore nato a Brindisi e trapiantato a Milano. Per lui Milano è un tessuto di personaggi, di volti, di storie. «Non
riuscirei a pensarmi senza. Per me Milano è
l’Università Cattolica, in cui ho vissuto con
alcuni amici un orizzonte della vita che non
era ridotto a bieco perseguimento di piccoli
obiettivi, ma di un desiderio grande. C’è un
incontro in particolare che caratterizza il
mio rapporto con Milano: una chiacchierata, nata casualmente, con Giovanni Testori.
Un uomo che ha permesso a tanti di noi di
crescere nelle loro capacità culturali. Avevamo letto un suo articolo, sulla prima pagina del Corriere della Sera, l’abbiamo cercato
e da quell’incontro è nato un fiume di umanità e di esperienze, che hanno generato
uomini, opere, cultura. Milano ha un cuore
che pulsa attraverso i suoi maestri di umanità. E pulsa con un orizzonte largo, con un
respiro internazionale».
molto concreta. La sua generosità si coniuga con la sua voglia di fare».
Per Luca Doninelli, scrittore milanese, uno dei motivi di infelicità delle città
che noi chiamiamo post-moderne sta in
una enorme frammentazione, non tanto
sociale quanto degli scopi. «È difficile che
nelle grosse città di quest’epoca ci sia “la
gente” letterariamente intesa, vale a dire
persone che si mescolano, che si incontrano per strada e si mettono a chiacchierare. Ognuno ha i suoi percorsi, ognuno nel
suo tunnel personale, ci incrociamo senza
incontrarci. C’è felicità là dove c’è mescolanza. E Milano è piena di sacche di resistenza, piene di vita. Nei mercati rionali,
nei bar tabacchi. Anche la bieca borghesia milanese, di cui ci siamo ormai stufati, che si incontra a Santa Margherita Ligure, è ancora molto aperta e vivace. Milano è zeppa di luoghi nascosti: passi per
caso nel Parco Sud, e scopri una cascina in
cui tre suore aiutano i bambini rom a studiare, in mezzo al verde». La felicità nasce
anche attorno a un bisogno: «Quando tu
diventi partecipe della mia vita, e io della
L’ultimo piano del Museo del Novecento
(aperto dal 6 dicembre in piazza Duomo),
è dominato dal neon progettato da Lucio
Fontana per la Triennale del 1952.
Qui sopra, le code all’ingresso durante le feste.
Nelle altre immagini, gli interni del Museo
Foto: Gianni Congiu
M
ilano è felice perché ha il museo
che attendeva da vent’anni. Da
tanto la città aspettava di poter
celebrare il secolo che l’ha vista giocare un
ruolo da protagonista nel panorama artistico mondiale. Questo è l’ardito compito
che spetta al Museo del Novecento, aperto il 6 dicembre dopo tre anni di cantiere.
Il primo mese di apertura gratuita (esteso
fino al 28 febbraio grazie al contributo di
Bank of America Merrill Lynch) ha visto 168
mila persone varcare le soglie dell’Arengario, con una media di 5.800 ingressi al giorno e punte di 8.200 nelle giornate del 26 e
27 dicembre. Se le cose continuassero così (e
c’è da augurarselo) il Museo diventerebbe il
museo d’arte moderna più visitato d’Italia.
Certamente la perenne coda fuori dall’Arengario crea curiosità. È un po’ come acca-
de per i locali di tendenza: la coda chiama
coda. Ma non c’è solo questo. Chi esce dal
museo ha voglia di parlarne e di solito ne
parla bene. E in effetti ci sono diversi passaggi indimenticabili in questo spazio che
raccoglie 350 dei 4 mila pezzi posseduti dalle raccolte civiche e frutto della solida tradizione del collezionismo milanese.
La prima è certamente la più completa collezione di opere di Umberto Boccioni che si possa vedere in Italia e nel mondo.
Boccioni ne esce per quel che è davvero: un
grande artista, oltre che un moderno senza
tempo. Guardate la Signora Virginia (1905)
ritratto matronale di donna con il cagnolino: la tecnica è ancora divisionista (come
quella del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo che apre l’esposizione a metà della rampa elicoidale di ingresso progettata da Italo
tua. I guai non ce li toglie nessuno, ma la
possibilità che si possa mettere in comune
un po’ di più le proprie biografie, Milano
la offre ogni giorno. Se si vive la città con
curiosità e stupore ce ne si accorge. Nonostante lo “spezzettamento” che caratterizza tutte le metropoli, rimane questa tendenza. È in questa resistenza che pervade
i quartieri, una resistenza di matrice cattolica, laicizzata, che porta in sè la memoria
di una città attenta, accogliente, distinta,
che io vedo l’essenza di questa città».
Chiara Sirianni
Rota), ma la mano è quella di un fuoriclasse che nel giro di poco più di sedici anni
reinventa completamente la sua opera, fino
ad arrivare a un capolavoro assoluto come
Forme uniche della continuità nello spazio (1913). I bambini che scorazzano per il
museo la paragonano ai robot che accatastano nei loro passeggini, ma quella figura
in bronzo si può vedere, oltre che a Milano,
anche al MoMa di New York. L’altro gigante è Arturo Martini, forse il più importante scultore italiano del secolo scorso. Almeno due le opere da brividi: La sete (1931)
e L’Annunciazione (1927). In quest’ultima
l’angelo è catturato mentre scende in picchiata con una mano sul ventre della Vergine e l’altra che tocca terra, ad indicare
come in quel punto, per la prima volta nella storia, cielo e terra si toccano in un inimmaginato miracolo.
C’è tanta bellezza che sta stretta, in questo spazio ricco di capolavori e anche di scelte discutibili. Una su tutte la collocazione in
sale spesso strette di un numero eccessivo
di opere o qualche grossolanità nell’allestimento (bruttine quelle targhette delle opere che sembrano adatte più a una fermata
dell’Atm che non a un museo nella capitale
mondiale del design). Il disagio, ai limiti della sopportabilità nei giorni delle feste, scompare all’ultimo piano. A Lucio Fontana che
ha scardinato lo spazio squarciando la tela
(Attesa, 1958) il Museo del Novecento dedica
un respiro mai visto nei piani precedenti. E
non è solo una questione di metri quadrati. Sulle opere vegliano un soffitto realizzato dal maestro per un hotel dell’Isola d’Elba
e qui arditamente ricollocato e il neon progettato per la Triennale del 1952. E poi New
York, tre lastre di rame che Fontana trancia e graffia, per fare il verso alle mille luci
e nevrosi della Grande Mela e che qui dialogano con la placida tensione all’eterno delle guglie gotiche del Duomo che si affacciano dalla vetrata. Quassù Milano si accorge
di quanto sia bella, distrattamente riscopre
i suoi tratti antichi e moderni, dalla civetteria di un ghirigoro di luce al neon alla marmorea eleganza di una cattedrale.
Laura Borselli
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CULTURA GIUSTIZIA DA PRIMA PAGINA
Chiacchiere
distintivo
e bloc notes
Un testimone diretto svela l’intreccio perverso
fra procure e redazioni che ha trasformato
la lotta alla mafia in un terreno ostile alla
verità ma funzionale alla «costruzione di miti
e carriere». I casi Falcone, Mori e Contrada
G
iovanni Falcone, Bruno Contrada,
Mario Mori. Tre personaggi diversi,
tre protagonisti di Giustizia assistita, saggio postumo di Piero Milio, che di
Contrada e Mori è stato avvocato difensore, mentre di Falcone fu amico. Milio è stato in Sicilia anche uno dei primi avvocati di
parte civile delle famiglie vittime di mafia e
del Comune di Palermo negli storici maxi
processi. In queste vesti, è diventato memoria storica di vicende del palazzo di giustizia di Palermo (quel “palazzo dei veleni” in
fondo rimasto tale fino a oggi) che hanno
segnato tutta Italia. Era un attento osservatore, Milio, che con arguzia annotava mentalmente i fatti, scavando sotto le accuse
e le polemiche giornalistiche. Ora le sue
annotazioni sono diventate un libro, che
però lui purtroppo non è riuscito a vedere sugli scaffali delle librerie (è deceduto
nel giugno scorso). Giustizia assistita: tra le
vicende umane e giudiziarie, tra i numerosi
documenti citati, gli stralci di giornale e le
testimonianze, è lei la vera protagonista del
libro. Assistita, ma da chi? Nei tre casi, ben
diversi tra loro, emergono alcuni denominatori comuni. Elementi che – pare suggerire Milio – a ben vedere non accomunano
solo le storie in questione, ma riguardano la
pratica complessiva della giustizia in Italia.
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La prima vicenda è quella di Falcone.
Milio ricostruisce la professionalità del
magistrato, acquisita in anni di lavoro scrupoloso e silenzioso, dietro le quinte, come
giudice istruttore, un lavoro che solo alla
fine culminò nei maxi processi. Ne è esempio il caso del pentito Giuseppe Pellegriti
che accusò Salvo Lima (leader degli andreottiani in Sicilia, ndr) di essere il mandante dell’omicidio del presidente della Regione, Piersanti Mattarella: titoloni da collezionare ce ne sarebbero stati eccome, ma Falcone preferì cercare riscontri, non ne trovò,
ed emise allora un provvedimento di custodia cautelare per il pentito. Con queste premesse, si può facilmente intuire ciò che
avvenne. «L’occasione per l’ennesimo attac-
co a Falcone arrivò puntuale sotto forma di
altra polemica, lanciata questa volta dagli
schermi televisivi di Samarcanda (condotta
da Michele Santoro, ndr); Leoluca Orlando
(oggi Idv, ndr) insieme ad altri accuserà Falcone di tenere nei cassetti le prove dei delitti politici». Succedeva nel 1989, di lì a poco
la candidatura del magistrato al Csm fu
bocciata dai colleghi per la prima volta (la
seconda nel ’92). A Falcone fu impedito così
di dirigere la superprocura antimafia che
aveva ideato, sia per combattere in modo
più agile le mafie, sia per superare anche i
personalismi nella conduzione delle indagini. Milio riporta gli attacchi delle toghe rosse di Magistratura democratica a Falcone,
tra il ’91 e il ’92: accuse di «una ristrutturazione neoautoritaria», perché «la polverizzazione delle competenze tra le procure impedisce uno dei compiti essenziali del pubblico ministero, la direzione effettiva delle
indagini. La situazione è resa ancor più grave dalla creazione tra le forze di polizia di
organismi centrali ed interprovinciali». Ieri
come oggi. Contesti diversi, uguali barricate di fronte alle novità, viste come minacce
al potere delle toghe. Milio riporta anche gli
attacchi di Repubblica e dell’Unità, nonché
dell’allora Pds. Di chi, insomma, oggi si professa di ben altra fede: «L’infame strage sta-
Dall’UnitàalPds,tutti
attaccavanoloscrupoloso
Falcone.«L’infamestrage
stanòlafolladegliavvoltoi»,
scrivel’avvocatoPieroMilio.
«Improvvisamentesiscoprì
cheFalconemaiavevaavuto
nemici,masoloamicifidati»
e ad aprire le danze dei sospetti. Quelle ricostruzioni furono smentite in aula con documenti che provavano che i carabinieri del
Ros nel ’93 avevano agito in pieno accordo
con l’allora procuratore capo di Palermo,
Giancarlo Caselli. Con il suo beneplacito
avevano rinviato la perquisizione per indagare anche sull’entourage che aveva favorito la latitanza del “capo dei capi”. Infatti nel
2006 Mori e Ultimo sono stati assolti «perché il fatto non costituisce reato». Ma se in
procura esistevano carteggi con il Ros sulla
ritardata perquisizione e un diario in cui si
parlava esplicitamente dei sospetti sui due
ufficiali, perché per anni l’indagine è rimasta “contro ignoti”? A causa di tale scelta,
fino al 2004 né Mori né Ultimo hanno potuto difendersi, mentre contro di loro si scatenava anche un violento processo mediatico.
MEMORIE
Foto: AGF, AP/LaPresse
GIUSTIZIA
ASSISTITA
Autore
P. Milio
Editore
Koinè
Pagine
223
Prezzo
14 euro
Nellefotopiccole,
letrevittimeillustri
digiustiziaassistita
secondoPieroMilio.
Quisopra,Bruno
ContradaeMario
Mori;asinistra
GiovanniFalcone
(inalto,lasuaauto
dilaniatadalle
bombedellamafia)
nò la folla degli avvoltoi», scrive l’avvocato.
«Improvvisamente si scoprì che il dott. Falcone mai aveva avuto nemici, né avversari,
ma solo amici fidati, affettuosi».
Anche con la storia di Contrada il libro
di Milio tocca alcuni punti dolenti della giustizia, come per esempio l’uso delle dichiarazioni dei pentiti anche a prescindere dalla loro provabilità. Ma è la vicenda giudiziaria del generale dei carabinieri Mori ad alzare il livello della riflessione. Mori e il capita-
no “Ultimo”, che arrestarono Totò Riina nel
gennaio del ’93, furono accusati di favoreggiamento alla mafia perché non perquisirono immediatamente il covo del boss. Tre i
fatti che caratterizzano questo caso di “giustizia assistita”. Primo fatto: Mori e Ultimo
seppero ufficialmente di essere indagati nel
2004, ma si indagava su di loro almeno dal
’98. Solo che la procura di Palermo aveva
iscritto l’indagine contro “ignoti”. Secondo
fatto: “ignoti” i carabinieri indagati in realtà non lo erano affatto in procura, dove tutti
conoscevano bene gli autori del blitz. Il processo inoltre si basò soprattutto su un diario
(rimasto “anonimo” fino al 2005, quando
fu riconosciuto in aula dal suo stesso autore, il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Aliquò) che “rivelava” retroscena, perplessità, dubbi e mal di pancia che seguirono l’arresto di Riina, spingendo già nel febbraio del ’93 la procura a “riscrivere” i fatti
Quelle anticipazioni di Repubblica
Ecco il terzo aspetto significativo della vicenda. Il 15 gennaio ’94, un anno dopo l’arresto
di Riina, quattro prima dell’apertura delle
indagini e dieci prima della notifica ai carabinieri del Ros, Attilio Bolzoni su Repubblica anticipò alcuni sospetti: «E Caselli scrisse al Generale. Quel covo di Riina vietato ai
giudici per 18 giorni». La notizia, falsa per
quanto riguardava il covo vietato, si basava
su una cosa vera, i famosi carteggi tra Ros
e procura. Ma come li aveva avuti Bolzoni?
E perché la procura negò a Mori il diritto
alla difesa ma non bloccò la fuga di notizie?
Oggi a Palermo la storia si ripete. Nel 2008
si è aperto un nuovo processo contro Mori
(indagini avviate nel 2001 su dichiarazioni
di Michele Riccio, clamorosamente smentite in aula) e nel 2010, a procedimento in
corso, la stampa ha riportato la notizia di
nuove imputazioni per il generale, dopo le
dichiarazioni di Massimo Ciancimino.
Nella ricostruzione di Milio, le storie di
Falcone, Mori e Contrada sono casi clamorosi di una giustizia che assiste politica e mass
media e da questi è assistita. Scrive nell’introduzione al libro il penalista Michele
Costa, figlio di Gaetano, procuratore ucciso
dalla mafia nell’80: tanta produzione editoriale sulla mafia, spesso improvvisata, «cela
il perverso intento di sostenere tesi accusatorie senza curarsi della loro conferma giudiziaria o, peggio ancora, la stessa è strumentale alla costruzione di miti e di carriere». Miti e carriere di giornalisti e non solo.
ChiaraRizzo
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CULTURA TEMPO LIBERO
Sedetevi in poltrona e ordinate i vostri popcorn.
Gli ingredienti del 2011 saranno commedia
italiana e produzioni hollywoodiane dai budget
stellari. Senza dimenticare le ultime avventure
del pirata Jack Sparrow e del mago Harry Potter
I
gli ultimi faticosi respiri e finalmente le prime pellicole del 2011 fanno il loro
ingresso in sala. Scorgendo i primi titoli in
programmazione è facile comprendere la
tendenza cinematografica per questo anno
appena iniziato. Due in particolare i film
appena usciti che hanno già guadagnato il
favore del pubblico e promettono scintille
al botteghino: Che bella giornata, secondo
lungometraggio di Checco Zalone e Hereafter, il nuovo lavoro/capolavoro dell’ottantenne regista Clint Eastwood.
Ritorno alla commedia italiana e colonne del cinema hollywoodiano che firmano
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cinepanettoni stanno esalando
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produzioni dai budget stellari, ecco i due
ingredienti principali della prossima stagione cinematografica, a cui si uniscono le
dozzine di sequel a cui assisteremo da questo inverno in poi.
Il comico Checco Zalone ha fatto da
coraggioso apripista e, allontanato il pericolo di partecipare alla consueta battaglia
a colpi di record infranti al box office, tipica delle mediocri pellicole natalizie, si è
presentato al pubblico nel primo week-end
di programmazione del nuovo anno. Che
bella giornata è un film fresco, dalla risata facile, con un protagonista mutuato dal
mezzo televisivo amatissimo dal pubblico
italiano, che si affolla davanti alle sale per
concedersi 95 minuti di risate a cuor leggero. Ma il film del comico di Zelig è solo il
primo di una lunga lista di produzioni italiane, perlopiù commedie, di questo 2011.
C’è grande attesa anche per Qualunquemente, il nuovo film di Antonio Albanese che il prossimo 21 gennaio ci presenta il suo personaggio cult Cetto La Qualunque che, dopo un esilio forzato all’estero,
torna in Italia con famiglia al seguito e si
butta in politica.
A San Valentino, come da tradizione, è il turno della commedia romantica, prima con Fausto Brizzi e il suo Femmine contro maschi, proseguimento ideale del precedente Maschi contro femmine
con il cast formato, tra gli altri, da Claudio
Bisio, Luciana Littizzetto ed Emilio Solfrizzi, e poi con l’attesissimo Manuale d’amore 3, prodotto collaudato di Giovanni Veronesi che nel terzo capitolo vanta la presenza della star mondiale Robert De Niro, professore di mezz’età che s’innamora perdu-
Foto: ©Disney Enterprises
Una bussola
nella giungla
del cinema
IFILMDANONPERDERE
Dodicimesiinsala
Il 2011 è partito bene per
Checco Zalone che con
il suo Che bella giornata
(sotto) ha incassato 7
milioni di euro nei primi due
giorni di programmazione.
Il cinema italiano prova
ancora a far ridere con
Antonio Albanese (sotto,
al centro) e accarezza il
poliziesco con le storie del
bandito Vallanzasca (sotto,
a destra). Tra primavera ed
estate arrivano nelle sale le
ultime avventure de I Pirati
dei Caraibi (18 maggio,
da Sean Penn nei panni di una
rockstar ormai lontana dal palcoscenico che decide di dare la
caccia all’ufficiale delle SS che
torturò il padre.
Da Cinecittà a Hollywood le
novità si fanno ancor più interessanti. Dopo il grande Clint
Eastwood, che ha lasciato tutti
a bocca aperta con il suo Hereafter, film che indaga il confine tra reale e sovrannaturale
con un grande Matt Damon nei panni di
un sensitivo, il 2011 vedrà il ritorno di belle storie confezionate da grandi registi. In
primis Terrence Malick, il maestro eremita di capolavori come La sottile linea rossa, che dopo sei anni di silenzio gira The
Tree of Life, una storia intimista ambientata nel Midwest degli anni 50 con protagonisti Sean Penn e Brad Pitt.
Foto: ©Disney Enterprises
Illeitmotivdelnuovo
annosarannoisequel
dellesaghepiùamate:
c’ègrandeattesa
perBreakingDawn,
quartoeultimo
episodiodell’epopea
vampirescaformato
teenager
tamente di Monica Bellucci. Accanto all’invasione di commedie che promette incassi record, altri grandi autori italiani si
fanno spazio prepotentemente. Il prossimo 21 gennaio, dopo le aspre polemiche
nel corso della sua presentazione all’ultima Mostra del cinema di Venezia, torna Michele Placido con Vallanzasca – Gli
angeli del male. Kim Rossi Stuart interpreta il terribile Renato Vallanzasca, che negli
anni 70 terrorizzò Milano assieme alla sua
banda. A cinque anni di distanza da Il caimano, rivedremo in cabina di regia anche
Nanni Moretti che in primavera presenta
il suo Habemus Papam, storia di un neoeletto Papa che a seguito di una crisi vuole rifiutare l’incarico che gli è stato appena assegnato.
Accanto a Placido e Moretti un altro
autore italiano, definitivamente consacrato con il suo ultimo lavoro, Il Divo. Paolo
Sorrentino si ripropone al pubblico con
This Must Be the Place, questa volta dirigendo un cast internazionale capitanato
L’invasione dei nani blu
Torna il visionario David Cronenberg, con
il drammatico A Dangerous Method, che
racconta il tentativo di cura della giovane
Sabina da parte del discepolo di Freud Carl
Jung, che finirà per innamorarsene.
E poi ancora Tim Burton, Woody Allen,
Darren Aronofsky, Robert Rodríguez con il
sanguinolento Machete e soprattutto i fratelli Coen che vedremo a febbraio con il
bellissimo remake di Il Grinta, che ha conquistato il pubblico americano e ha estasiato la critica portando “il regista a due
teste” all’ultima e definitiva consacrazione.
nella pagina accanto) e
quelle di Harry Potter (13
luglio, sopra a destra). Si
tengano forte i più piccini:
ad agosto torna Saetta
McQueen (sopra, a sinistra).
Ma il leitmotiv del nuovo anno saranno i sequel delle saghe più amate, dalla
seconda e ultima parte di Harry Potter e i
doni della morte, che chiude il cerchio delle avventure del maghetto più famoso del
cinema, al quarto episodio de I Pirati dei
Caraibi - Oltre i confini del mare, con l’indissolubile Jack Sparrow interpretato da
Johnny Depp, questa volta affiancato da
una splendida Penélope Cruz nelle vesti
della figlia del temutissimo pirata Barbanera per cui Jack perderà la testa.
C’è attesa tra gli adolescenti di tutto il mondo per Breaking Dawn, quarto
e ultimo episodio (a meno di colpi di scena) dell’epopea vampiresca formato teenager che ha lanciato Robert Pattinson e
Kristen Stewart nell’olimpo dei giovani
divi. L’elenco si fa davvero lunghissimo, e
abbraccia tutti i generi, dalla fantascienza
ai film d’animazione, dalle pellicole drammatiche alle commedie. Ogni spettatore
avrà diritto al suo sequel preferito: Cars 2,
Kung Fu Panda 2, Transformers 3, Una notte da leoni 2, Vi presento i nostri, The Dark
Knight Rises, seguito de Il cavaliere Oscuro
di Christopher Nolan, Sherlock Holmes 2,
Fast and Furious 5, solo per citarne alcuni.
Ci aspetta un anno cinematografico
davvero eccezionale, ricco di qualità, sorprese, blockbuster sbanca botteghino e
qualche operazione dal tono nostalgico da
non credere. Qualche indizio? Ci sarà presto un’invasione di nanetti blu dal cappello bianco, rigorosamente in 3D.
PaolaD’Antuono
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cultura spendere e spandere
Tenetevi
i vostri saldi
(per ora)
L’orgoglio di clienti abituali, i ribassi sottobanco
e poi l’interregno degli outlet. Ultrasnob o
ultrapop che siano, ci sono un sacco di motivi
per dirsi insensibili agli sconti. Almeno finché
quella sciarpa non scenderà al 70 per cento
T
roppo presto al Sud, troppo tardi al
Nord, illecitamente sottobanco un
po’ dappertutto. Sono stati giorni
roventi di discussioni come si conviene alle
questioni che hanno rilevanza nazionale,
ma ora ci siamo. I saldi sono iniziati e qualunque polemica è alle spalle, dimenticata
e giustamente sepolta da ribassi orgiastici anche quando non sensazionali. Meno
venti, trenta, quaranta, cinquanta per cento. Se uno straccetto da 200 euro ne costa
improvvisamente 150 la spesa è legittimata e il senso di colpa della compratrice
compulsiva magicamente travolto, annientato, sconfitto. Inutile spiegare ai maschi
eterosessuali come si possano considerare
“risparmi” delle spese del genere. I saldi ci
danno alla testa non perché convengono
ma perché esistono, lo sconto effettivo è un
dettaglio di cui curarsi appena. Quel che
conta è aver l’impressione di essere arrivati per primi, di essersi accaparrati l’occasione che altri non avranno. Dev’essere
questo che le associazioni dei consumatori non capiscono quando ogni anno ci mettono in guardia dalle truffe. Non devono
mai essere stati innamorati dei brutti ceffi,
quelli dell’associazione consumatori, non
sanno che laddove loro usano la ragione e
la calcolatrice noi abusiamo di passione e
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Il 6 gennaio sono iniziati
i saldi a Roma, Milano,
Venezia, Firenze, Torino
e Genova. Secondo
la Confcommercio
nella stagione la spesa
media per famiglia
sarà di 415 euro
follia. Non sanno, dunque, che noi inconsciamente desideriamo di essere ingannate
pur di avere quel vestito che ci siamo messe
in testa dall’inizio della stagione.
Eppure, paradosso ultrasnob del consumismo che Tempi si pregia di svelare
per voi quest’anno, i saldi sono in un certo
senso inutili, buoni forse per qualche poveraccio in cerca di un mocassino Hogan a
metà prezzo e ansioso di farsi immortalare dai fotografi reclutati per documenta-
re il grande inizio dei saldi nelle vie delle griffe. I veri cultori della moda i saldi li
snobbano, aborrono il volgo in coda per
ottenere risparmio, pretendono che la loro
costanza di compratori di tutto l’anno venga ben distinta dal portafoglio di coloro
che lo aprono solo a fine stagione.
L’indignazione di chi invoca una democraticità della svendita fa francamente
sorridere. Ogni cliente abituale, anche e
soprattutto dei negozi di provincia (veri
templi del lusso dove si viene coccolate come si deve e riconosciute) riceve una
cartolina (generalmente in carta riciclata)
ben prima che si ufficializzi la stagione dei
ribassi e le gabbie si aprano al popolo. Con
quei gentili cartoncini i negozi invitano le
loro clienti più affezionate ai “pre saldi”,
generosa concessione di coloro che tengono le chiavi dei forzieri che tengono chiusi
i nostri sogni più glamour. In quelle occasioni la merce non è accatastata, i negozi non perdono la dignità, le commesse in
total black non sono schierate davanti agli
scaffali a difendere la merce da orde di predatrici, ma attente alle esigenze delle clienti, le quali ovviamente devono avere l’aria
di essere lì per caso e non certo attratte dalle promesse di sconti riservati.
L’altro elemento che rende paradossalmente inutili i saldi è di segno egualmente fondamentalista anche se opposto. E
cioè estremamente popolare anziché estre-
mamente snob. Che bisogno avete dei saldi dei negozi del centro quando la penisola pullula di outlet? Che bisogno c’è di
prendere la macchina e dannarsi per un
parcheggio in centro, quando a due passi
dall’uscita autostradale ci sono regni fatati dove i capi (spesso della stagione scorsa)
vengono svenduti, le strade sono pulite, i
parcheggi facili e i principi azzurri scorazzano felici per i prati? Voi guardate la gente in fila in via Montenapoleone e in via
Condotti e vi domandate come mai non
sia arrivata anche lì la lieta novella. Tra un
Fidenza Vilage e un Serravalle Scrivia potevano trovare il doppio delle cose con metà
della fatica. Fate una gita familiare nei
templi dello shopping fuori porta. Prendetevi un week-end libero; solo voi, lui e
il consumismo. Aldo Cazzullo vi userà per
un’analisi sociologica spietata, ma cos’è
il pubblico ludibrio di fronte alle scarpe
del desiderio a metà prezzo? Senza contare che la stagione dei saldi arriva pure
negli outlet, mandando in sollucchero con
l’orgasmico (anche se spesso inafferrabile)
concetto di sconto sullo sconto.
Li abbiamo snobbati, abbiamo detto in
lungo e in largo perché non ci addentreremo in quella babilonia. E ne siamo fermamente convinte. Faremo giusto un saltino a vedere di quanto è scontata quella
sciarpa di cachemire adocchiata a inizio
stagione. Adesso che Berlusconi ci ha svelato che i
I saldi danno alla testa non perché
comunisti vestono cachemiconvengono ma perché esistono, lo sconto
re vogliamo forse perdere
effettivo è un dettaglio. Quel che conta è
l’occasione di mimetizzarci
[lb]
aver l’impressione di essere arrivati per primi come si conviene?
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Tempi regala
il libro del Papa
AbbonAti A tempi
o rinnova il tuo abbonamento
entro il 15 gennaio 2011
RiceveRAi in RegAlo
Luce del mondo
il libro-intervista di Benedetto XVI con Peter Seewald
AbbonAmento A tempi + Luce deL mondo 60 euro
L’ITALIA
CHE LAVORA
La vetrina
diventa un set
Dalla progettazione di scenografie per musical
all’arredo di un negozio il passo è davvero breve.
La New Crazy Color, azienda di visual marketing,
non dà nulla per scontato e i particolari sono
curati nel dettaglio per esaltare i brand del lusso
S
ognare di fronte alle vetrine dei nego-
zi, immaginare di aggiungere al
proprio armadio capi di alta moda
dai prezzi proibitivi, rimanere con il naso
incollato alla vetrina di un negozio, totalmente affascinati non solo dai prodotti
ma anche dalla loro posizione perfetta nel
contesto in cui sono esposti. Dove nulla è
casuale, tutto è uno spettacolo di esaltazione della merce, sia un’automobile o un
cappotto, che allo stesso tempo può diventare una bandiera della marca. La vetrina
è anche più importante della disposizione interna dello stesso emporio. È il mezzo
in grado di catturare l’attenzione del passante e sottrarlo alla frenesia dei suoi passi e convincerlo a entrare in negozio. È una
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vera e propria arte, in cui tanto vale il messaggio che vuol far passare il negoziante
quanto il prodotto offerto.
E spesso quando si tratta di eccellenza,
si parla di made in Italy, quello che Roberto Casanova e Roberto Iannaccone stanno esportando in tutto il mondo, con la
loro New Crazy Color, un’azienda di visual
marketing. Un’avventura inaspettata per
due amici che sono nati progettando scenografie di musical, sono passati per gli
studi Mediaset e sono finiti ad arredare le
vetrine dei negozi firmati in tutto il mondo. Un portfolio incredibile, che va da Prada a Tom Ford, da Hermes a Ermenegildo
Zegna, da Chicco a Sky. «L’aspetto più interessante nel nostro campo – spiega a Tempi
Roberto Iannaccone – è stato l’ampliamento del nostro mercato in Cina, attraverso clienti come Dolce&Gabbana, Moschino e Bottega Veneta. Si tratta di un paese
in cui le vie del lusso aumentano di giorno in giorno così come crescono i milionari. Perciò, occorrevano vetrine all’altezza della richiesta, e non trovando risposta
alle loro esigenze, gli stilisti che aprivano
showroom chiamavano noi italiani. Possiamo affermare che, allo stato attuale, la
Cina rappresenta il 60 per cento dei nostri
introiti, il 30 è per l’Europa e il 10 per
l’America, continente in cui purtroppo i
consumi si sono di molto arrestati. Di conseguenza anche il settore del visual marketing ha subìto un brusco rallentamento.
Grazie al successo che stiamo avendo sulle
strade cinesi, abbiamo ottenuto il premio
Best Italian Luxury 2010. Uno dei ricordi
più belli della nostra carriera».
Un lavoro non banale, dove bisogna stare attenti alle molte incognite. Prima di
tutto occorre capire i bisogni del cliente, le
sue intenzioni e soprattutto qual è l’essen-
A sinistra, l’ingresso della
sede di New Crazy Color
a Monza.
In alto, Iannaccone
e Casanova durante
la premiazione
per l’eccellenza
del mercato del lusso lo
scorso settembre
a Shanghai.
Nelle altre foto, vetrine
firmate da New Crazy Color
za del prodotto che viene offerto.
Poi bisogna pensare a un’idea di allestimento scenico che va fatta su una superficie relativamente piccola come può essere una vetrina. Il tutto senza dimenticare che il tempo corre veloce e le esigenze
e gli interessi della gente cambiano. Quindi in al massimo due mesi bisogna essere
pronti per la consegna. Tempi fondamentali che vanno assolutamente rispettati, a
maggior ragione quando le vetrine vengono studiate per delle occasioni particolari
come quelle per il periodo natalizio, dove
arrivare in ritardo rispetto alla concorrenza significherebbe sballare la vendita di un
intero marchio.
La New Crazy Color propone anche progetti davvero complessi e per realizzare i
loro “set” utilizza materiali molto innovativi. È stato così per due monomarca di Prada, aperti a Beverly Hills e a Tokyo dove è
stato utilizzato un tipo particolare di spugna per rivestire tutte le pareti delle vetrine. Un progetto ambizioso e allo stesso
tempo che ha reso entusiasti i committen-
entra al New Crazy Color è come se si trovasse a passeggiare in via Montenapoleone
in centro a Milano. Sono affiancate l’una
all’altra e in scala 1:1 gran parte delle vetrine che abbiamo realizzato. In questo modo
ci si può fare un’idea di quello che siamo
in grado di fare. Non ci spaventano le sfide
e i progetti insoliti che ci vengono richiesti. Neppure se si tratta di quello a cui stiamo lavorando adesso, una vetrina di Miss
Sixty in cui 150 occhi in plastica si girano
a seconda dei movimenti del cliente. Un
altro grande successo che ci ha regalato
molta soddisfazione è stato quando abbiamo realizzato un auto in fibra di vetro.
Senza motore naturalmente. Ogni compoti, così tanto che la Fondazione Prada ha nente era fornito da un’azienda differenvoluto pubblicare un libro per spiegare i te leader nel proprio settore. La Kenwood
dettagli del progetto e mostrare attraverso ad esempio ci ha fornito gli amplificatori dell’autoradio. Un progetto costato 150
immagini la realizzazione.
mila euro che per la sua unicità è stato
In sede come in Montenapoleone
ripreso dai maggiori quotidiani del settore
«Il nostro prossimo esperimento di visual automobilistico e non, e perfino dalla Cnn.
marketing – continua il creativo – si terrà Il video dimostratitvo, caricato su Youtua Dusseldorf, il prossimo febbraio, duran- be nel 2007, è stato uno dei più visti e lo è
te la fiera esclusiva del settore, l’Euroshop. ancora. In questo modo i marchi che hanLì allestiremo una parete di tre metri dove no partecipato al realizzazione continuano
esporremo tutti i tipi di materiale che a usufruire della pubblicità».
abbiamo utilizzato. In questo modo i visiIn via di sviluppo anche un progetto
tatori che si fermeranno allo stand potran- fatto in collaborazione con la Confartigiano farsi un’idea di quello che noi riuscia- nato, per difendere il ruolo dei piccoli artimo a costruire e realizzare per rendere più giani lombardi, e che verrà inaugurato il
attrattiva una vetrina. Questo è lo stesso prossimo 15 gennaio. «Il mestiere dell’arconcetto che utilizziamo nella sede princi- tigiano è importante anche per noi, visto
pale dell’azienda che si trova a Monza. Chi che senza un buon modellista non riusciamo a fare una buon alle«Non ci spaventano le sfide e i progetti insoliti stimento. È anche grazie a
loro che i nostri clienti in
che ci vengono richiesti. Neppure se si tratta
Cina preferiscono scegliere
di realizzare 150 occhi in plastica che seguono il made in Italy».
Elisabetta Longo
continuamente tutti i movimenti dei clienti»
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PER PIACERE
LA RICETTA
per 4 persone
Zuppa di cipolle
650 g di cipolle, 50 g
di burro, un litro di brodo di carne, 2 cucchiai
di farina setacciata, 90
g di croste di Parmigiano reggiano Dop, 120 g
di Parmigiano reggiano
Dop grattugiato, 8 fette di pane bianco raffermo, sale.
IL RAPPORTO OSSERVATORIO PER IL TURISMO MONTANO
Neve e benessere last minute
Q
uest’anno si è affermata la tendenza
a prenotare sotto data anche il prodotto sci. L’Osservatorio per il turismo montano, promosso da Skipass,
mette in evidenza l’emergere di una polarizzazione tra viaggi a basso
costo e ricerca del lusso. Si evidenzia inoltre che il turista arriva a sacrificare
la scelta della destinazione se nel frattempo emerge un’offerta più conveniente. Questo comportamento viene definito sostituibilità. Per rispondere a queste tendenze le strutture ricettive puntano sulla pratica di uno sconto commercialmente allettante piuttosto che su una riduzione di prezzo spalmata
su tutti i periodi e su tutti i target. Altra caratteristica della stagione invernale
2010/11 è l’equilibrio sempre più stabile tra il valore del divertimento e quello della pratica sportiva. La scelta di una meta piuttosto che un’altra è indissolubilmente legata a tutti e due gli attrattori che si equivalgono come appeal.
Proprio per questo si è registrato un forte aumento delle proposte che abbinano lo sci al benessere. La spesa media per una vacanza neve è di 1.400 euro alla settimana. Il pacchetto all inclusive comprende soggiorno, skipass, servizi
per le famiglie e, spesso, l’utilizzo delle aree wellness dei resort. Walter Abbondanti
HUMUS IN FABULA
LA SPESA ECOLOGICA
Il caro ritorno della
sportina della nonna
«L’era del sacchetto di plastica
per la spesa, inquinante e non sostenibile, si è finalmente conclusa», «dopo 50 anni si prendono
la rivincita quegli strumenti utilizzati dalle nonne come le sporte in tela, i carrelli della spesa, le
retine che hanno tutte il pregio
di poter essere riutilizzate infinite volte a beneficio dell’ambiente
e del portafogli»: così il Wwf ha
salutato il divieto – in vigore dal
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1° gennaio 2011 – di commercializzare sacchetti di plastica e, in
generale, non biodegradabili. Impegnato da anni nella promozione di iniziative alternative – come la borsa cabas milleusi, nata
nel 2009 da una partnership con
Auchan e distribuita in 52 ipermercati della catena, progetto
che ha fatto risparmiare all’ambiente un totale di 1.458 tonnellate di plastica –, il Wwf ha
fatto di “riutilizzabile” un concetto-chiave della sua filosofia ecologista e della rivoluzione di plastica, iniziata dal sacchetto nel
1957 negli Stati Uniti, una stagione da archiviare. Tuttavia resta ancora qualche perplessità
dei consumatori circa i paventa-
Tagliare le cipolle a fettine sottilissime e farle stufare in un recipiente coperto per 20 minuti
con il burro e un pizzico di sale.
Aggiungere ora i due
cucchiai di farina, mescolare e quando questa inizia ad attaccare
aggiungere il brodo bollente. Coprire di nuovo e cuocere per altri 40
minuti.
Pulire le croste, tagliarle a cubetti e aggiungerle alla zuppa.
Distribuire sul fondo
di ogni ciotola una fetta di pane, una spolverata di formaggio e poi
la zuppa. Terminare con
un’altra fetta di pane e
dell’altro formaggio.
Fare colorire il tutto in
forno con la funzione
grill per 10-12 minuti.
Virginia Portioli
spilucchino.blogspot.com
ti benefici in materia di portafoglio: basta un giro di spesa e si
scopre che per coprire i costi del
sacchetto biodegradabile – doppi rispetto alla tradizionale busta inquinante distribuita gratis
da pizzaioli, salumieri ecc prima
dell’ecorivoluzione – i gestori dei
piccoli alimentari fanno pagare la
differenza al cliente con rincari in
scontrino dai 10 ai 20 centesimi.
E nei supermercati della grande
distribuzione regna l’incertezza:
in attesa di conoscere il destino
dei sacchetti trasparenti per la la
frutta e la verdura, fino a completo smaltimento (dead line il
30 aprile) le buste in plastica sono gratuite, ma le alternative a
base di mais, patate, grano e altri
cereali costano dai 5 ai 15 centesimi in più del sacchetto tradizionale e manifestano pochissima
resistenza al peso della spesa, costringendo il cliente all’acquisto
di un numero maggiore di ecoshopper. L’alternativa? Dove presente si può ricorrere alla busta
in materiali ecocompatibili: circa un euro a “sporta”, una bella
sommetta per le spese delle famiglie del sabato mattina.
STILI DI VITA
AL PALAZZO DELL’ARENgARIO
1
In visita con tutta
la carovana di figli
IL PRODOTTO
Parmigiano
reggiano Dop
di Annalena Valenti
È tra i formaggi più blasonati e
noti della nostra cultura gastronomica, ricco di storia e tradizione. La sua fama lo rende anche
tra i più imitati nel mondo e il lavoro di controllo e salvaguardia
esercitato dal Consorzio di Tutela è senza tregua. La pasta è tipicamente granulosa, con frattura a scaglie, colore paglierino,
aroma e gusto fragranti e delicati, tendenti a caratterizzarsi
nel corso della stagionatura che,
da un minimo di 12, può superare i 30 mesi. Servono più di 16 litri di latte pregiato per ottenere
1 kg di cacio dall’elevato valore
nutrizionale: altamente digeribile, ricco di calcio, fosforo, vitamine e proteine facilmente assimilabili dall’organismo. Ridotta la
percentuale di grassi, tra le più
basse nei formaggi.
Lorenzo Ranieri
C
IL VINO
È uno dei pochi vini italiani prodotti con uva Semillon, vitigno
bordolese a bacca che non viene
prodotto tutte le annate, ma solo quando viene attaccato da una
muffa nobile che ne appassisce l’uva. Raccolta con
passaggi giornalieri in vigna, scegliendo non i grappoli ma gli acini più maturi.
Il Buca delle Canne 2005
prodotto da la Stoppa si presenta con note
di agrumi e zafferano e
buona acidità. Abbinamenti con fegato grasso, formaggi stagionati
e anche con dolci di noci
e mandorle.
Carlo Cattaneo
IN BOCCA ALL’ESPERTO
RISTORANTE SAMBUCO
Il pesce è davvero
più fresco che al mare
Ormai è una leggenda: a Milano,
dicono, il pesce è più fresco che
in riva al mare. Certo, non sempre è vero, ed è fin troppo facile scoprirlo. Però ci sono posti
ove questo vecchio adagio sembra appropriatissimo. È il caso
del Sambuco, un locale incastonato nel magnifico Hotel Hermitage, nel pieno del quartiere cinese. Niente cibo orientale qui:
al suo posto, una cucina di pe-
Rubrica in collaborazione con il ministero delle Politiche agricole
Buca delle Canne
2005 azienda Stoppa
osa vi è rimasto
più
impresso
del nuovo muMAMMA
seo del Novecento di
OCA
Milano? Salire la spirale di luce azzurra che
collega i piani, curvare in salita e vedere il Duomo da lì. Ad E. il primo quadro
che si incontra Quarto stato di Pelizza
da Volpedo, perché i lavoratori della
prima fila sembra che escano dal quadro, è l’unico realista e sembra il più
difficile da fare. Alla Gi., 6 anni, è piaciuta la scultura Bambina che gioca di
Bergonzoni perché assomiglia alla sua
amica. È vero, abbiamo detto tutti. Ci
sono piaciute di più le sculture di Martini, alla Gl. e alla T. La convalescente,
così “morbida” anche se di pietra tutta
scolpita in un pezzo solo, a me I morti
di Bligny trasalirebbero, di pietra forte
e potente. Ci è rimasta impressa la scultura di Boccioni che pare si muova anche se è di bronzo Forme uniche nella
continuità dello spazio. Alla M. un’opera che si chiama Lineare variabile trasparente di Varisco, perché puoi spostare i bastoncini, puoi creare tu. Entrare
nella stanza di specchi anche se abbiamo scoperto subito l’uscita, salire con
le scale mobili, e vedere fuori dalle
grandi finestre. Vedere il Duomo all’altezza delle sue vetrate, vederlo all’altezza delle sue guglie dall’ultimo piano del Palazzo Reale, vederlo riflesso
nelle vetrate insieme al neon di Fontana. Questo museo è proprio bello tutto.
mammaoca.wordpress.com
sce d’ascendenza squisitamente adriatica. I signori Maccanti vengono da Porto Garibaldi
(in provincia di Ferrara), e hanno portato a Milano, ormai da
quasi vent’anni, le delizie del loro
mare, maritandole a tradizioni
mediterranee e siciliane, ma non
solo. Così, ecco la sostanziosa
brandade di baccalà in cialda di
Parmigiano con polenta fritta, o
l’insalata tiepida di farro, fagiolini all’occhio e gamberi, per antipasto. Di primo, sublime e semplicissima calamarata (formato
di pasta corta e larga, tipo grandi mezzemaniche, della tradizione di Gragnano) coi moscardini, o un perfetto risotto al nero
di seppia, o ancora i maccheron-
cini al ferretto con gamberi, cipollotto dolce e verde di porro.
Per pietanza, un fritto misto che
molti intenditori indicano come
uno dei migliori d’Italia, oppure il magnifico, grandioso roastbeef di tonno rosso con sesamo
bianco e nero. Chiusa col gelato alla crema e al caramello, o
col biancomangiare. La cantina
è adeguata, la spesa pure: circa
90 – 100 euro a testa.
Tommaso Farina
Per informazioni
ilsambuco.it
Via Messina, 18 – Milano
Tel. 0233610333
Chiuso domenica e sabato
a pranzo.
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GREEN ESTATE
PROPOSITI DI INIzIO ANNO
Mettiamo in agenda la libertà
che in questo periodo si formulino i buoni propositi per l’anno appena iniziato, e forse qualcuno aspetterebbe che comunicassi anche i
PRESA
miei; ma parlare agli altri di me senza che il loro interesse sia staD’ARIA
to manifestato mi sembra cosa inutile e noiosa, e quindi vi dirò
non quello che io mi impegno a fare, ma qualcosa che spero avvenga nel mondo in questo duemilaundecimo anno dalla nascita di
Nostro Signore che è appena iniziato. Se non vi interessa, passate
pure oltre: non me ne offenderò.
Primo: vorrei che fosse garantita a tutti la libertà, effettiva, piena, completa e incondizionata. Mai come in questo periodo tanti
uomini sono stati tanto liberi, ma non potremo dichiararci soddisfatti finché ad un solo nostro fratello sarà impedito di professare la sua religione, di dire quello che pensa, di scegliere la strada della sua vita e seguirla secondo volontà e capacità. E purtroppo ancora oggi a molti nostri fratelli ciò
viene impedito con la violenza fisica o morale. Non possiamo accettarlo, né possiamo accettare di attendere passivamente che la situazione migliori; dobbiamo tutti operare per raggiungere l’obiettivo; il nostro impegno in questo senso è essenziale. La libertà non può vivere senza verità, e che tutti possano dire e dicano il vero è
un’altra cosa che spero si verifichi in quest’anno. La prima verità è chiamare le cose col loro nome, e applicare ad ogni fatto la giusta definizione; così spero che nel
2011 i furti vengano chiamati furti, le prepotenze prepotenze, e ai
Spero che nel 2011 le cose vengano
comportamenti che derivano da
chiamate con il loro nome, i furti
vengano chiamati furti, le prepotenze disordini morali vengano applicate le definizioni appropriate. Spero
prepotenze, e ai comportamenti che
che l’immoralità e l’omosessualità
derivano da disordini morali vengano vengano classificate col loro nome
di comportamenti contro la natuapplicate le definizioni corrette
ra sociale o individuale dell’uomo,
e per tali vengano condannati. Sia sempre il nostro linguaggio “sì, sì” e “no, no”, chiaro, veritiero, senza ipocrisie. Ma libertà e verità, senza la carità necessaria ad illuminarle e a renderle efficaci per il migliore destino dell’uomo, non sono in grado di garantirci il necessario equilibrio dei rapporti; e così il terzo dono che mi aspetto dal
nuovo anno è che la carità sia diffusa tra tutti gli uomini, non solo in quanto accettata, ma come pratica effettiva e concreta, come attuazione dell’attenzione sollecita e dell’amore fattivo e operante che dobbiamo a tutti i nostri simili, e specialmente agli ultimi tra loro. Libertà, verità e carità: sono le regole primarie della nostra
convivenza; quelle che vorrei vedere attuate nel duemilaundecimo anno del Signore.
[email protected]
abitudine buonista, e un po’ stucchevole,
AMICI MIEI
LIBRI/1
Il dono di un bimbo
vissuto due ore
Lettere nell’attesa, di Karen Santorum (Marietti 1820, 125 pagine, 12 euro), raccoglie gli scritti
della moglie dell’allora senatore americano Rik Santorum al figlio in grembo. Poco dopo l’inizio della gravidanza Karen scopre
la malformazione del piccolo. Iniziano incessanti richieste di preghiere. L’America segue l’evento
mentre il Senato discute la legge
sull’aborto a gravidanza inoltra-
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Hereafter,
di Clint Eastwood
La sceneggiatura
che dice troppo
di Paolo Togni
È
CINEMA
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ta, giustificato con casi estremi
come quello di Karen, che invece porta a termine la gestazione e dà alla luce un figlio che vivrà due ore. Perché lui, si chiede
Karen? La donna non risponde,
ma sa che non avrebbe rinunciato a cullarlo anche per poco. Poi,
precisamente a un anno dal lutto,
il Senato vieta l’aborto a nascita parziale e lei scrive così: «Credo non sia una coincidenza che
sia capitato contemporaneamente al dibattito sull’aborto che il
papà ha guidato». Un libro che
ogni madre dovrebbe conoscere.
Che, come scrive madre Teresa di
Calcutta nella prefazione firmata
per l’edizione americana, ricorda
l’amore di Dio. Che dimostra che
Un dono che è anche una
condanna: essere in contatto con l’aldilà.
Prima o poi doveva succedere. Non tutte le ciambelle riescono col buco. Anche
i santi sbagliano. Non era
in forma, è stata una piccola battuta d’arresto. Non
si trovano le parole, ma il
campione mondiale dei pesi massimi cinematografici; l’unico regista che è invecchiato bene; l’unico che
lotta ancora contro il lato
oscuro della forza, l’amato
Clint di Gran Torino, e Million Dollar Baby e Mystic
River, e Un mondo per-
HOME VIDEO
Qualcosa di speciale,
di Brandon Camp
Un vero pastrocchio
Lui tiene corsi su come elaborare il lutto, lei è una fiorista.
Si incontrano.
È la brutta copia di Tra le nuvole anche se il solito titolo idiota richiama un film con
Jack Nicholson. Là si aveva a
che fare con la perdita del lavoro qui con la perdita della
persona cara. Ma è un pastrocchio: è scritto male e diretto
peggio (i flashback sono terribili), con due buoni attori (la
Aniston e Eckhart) sprecati alle prese con un film che non sa
che strada prendere.
ogni vita, anche la più apparentemente inutile, ha un senso nella
[bf]
storia umana.
Cavallari, nel libro Enrico Zanotti. La politica che lascia il segno
(Itaca, 12 euro, 152 pagine).
LIBRI/2
MOSTRA
La vita piena
di Enrico Zanotti
Micalessin, Biloslavo e
gli occhi della guerra
Anche il dolore per la mancanza
di una persona scomparsa diventa fecondo quando genera del bene. È il caso del ricordo di Enrico
Zanotti, scomparso nel 2001, vivo ancora oggi nella Fondazione a
lui intitolata, una struttura a Ferrara in cui si offre aiuto ai giovani
che studiano e in generale ai processi educativi della città. A raccontare la vita piena di questo avvocato e politico locale è Fabio
Gli orfani e i bambini soldato, la
vita nelle trincee, le battaglie, la
lenta ricostruzione. Sono alcune
delle immagini immortalate dalle macchine fotografiche di Gian
Micalessin e Fausto Biloslavo: dal
Vietnam all’Afghanistan, dalla
Cambogia ai Balcani. La mostra è
aperta fino al 20 gennaio, presso
la Parrocchia di S. Maria Maggiore, Trieste, tutti i giorni dalle 16
alle 19. Ingresso libero.
AllAtriennAlediMilAno
fetto e basta perché poi
ci mettiamo a piangere,
ha sbroccato. Gli è venuto
fuori un film medio e non
il solito capolavoro. Forse
per una sceneggiatura che
dice troppo (Dickens, citato più e più volte) e suggerisce poco, forse perché il
tema dell’aldilà non è proprio nelle corde del nostro
eroe, fatto sta che Hereafter ha più ombre che lu-
ci. Ha una bella intuizione
(che l’aldilà c’entra con l’aldiqua), tratteggia con profondità i personaggi dei
due gemellini, ma il resto
(in primis il personaggio di
Matt Damon) rimane al di
sotto delle attese.
vistidaSimoneFortunato
visti
da Simone Fortunato
F
Tanto di cappello a un
dettaglio senza tempo
Sopra, il regista
Sopra,ilregista
Clint
Clinteastwood
eastwood
A
pre i battenti il prossimo 18 gennaio, accogliendoci in un universo allo stesso tempo divertente e poetico, la belArte
la mostra che la Triennale di Milano dedica
edintorni
al rapporto tra il mondo cinematografico e il
piu caratteristico degli accessori moda di ogni tempo: il cappello. Originale e ironica al tempo stesso, la retrospettiva accoglie
immediatamente il visitatore all’interno di un grande cilindro
multimediale che fa da filo conduttore dell’intera esposizione e
ci racconta il modo in cui il cinema si è appropriato dell’accessorio del cappello per rendere piu forte la caratterizzazione dei
personaggi da parte degli interpreti. Tra le diverse sezioni della mostra, spicca quella dedicata alla storica maison Borsalino,
i cui cappelli, scelti da molti registi come vere e proprie icone,
hanno coronato le teste di attori come Alain Delon e Jean-Paul
Belmondo. In contemporanea all’evento è bandito un concorso
per filmaker e videomaker under 35 che destina un premio di 5
mila euro al miglior cortometraggio che verrà presentato entro
il 12 febbraio 2011. La mostra resterà aperta fino al 20 marzo.
MariapiaBruno
© Photomovie Collection
COMUNICANDO
l’iSolAeilFenoMeno
La Formentera
che non c’è
Gossip aperitivi e borse griffate.
È questa la Formentera più conosciuta in Italia, ma – forse – anche la meno autentica. Lo ha raccontato Stefania Campanella,
romana, pubblicitaria, già autrice
de La Donna Ideale (un piccolo
saggio sulle donne tifose) in un libro uscito la scorsa estate e dedicato proprio all’isola delle Baleari. Formentera non esiste (questo
il titolo del volume) è una passeg-
giata immaginaria tra spiagge,
dune e boschi, in cui si incontrano
personaggi, artisti, curiosità, leggende e storie che svelano un’isola inedita. Perché il mare brilla?
Qual è il piatto tipico dell’isola?
Come mai nel 1700 c’erano solo
cinquanta abitanti? Chi è la strega che viveva alla Mola? Cosa ci
facevano da queste parti i Pink
Floyd negli anni Sessanta? A queste domande risponde Stefania
Campanella in un libro prezioso
anche per i 10 scatti di fotografi
professionisti abbinati a dieci poesie ispirate all’isola. Ma perché
il titolo Formentera non esiste?
«Perché – spiega l’autrice – ognuno ha la sua Formentera. Perché
qui il tempo si ferma e perché è
impossibile credere che in un luogo così piccolo, ci siano così tante
storie da raccontare».
In Italia il libro si può acquistare sul blogformenteranonesiste.
com, dove Stefania Campanella continua ad aggiornare i connotati della “sua” isola. C’è anche
un gruppo su Facebook, dedicato a chiunque abbia foto o video
dell’isola che non c’è… Formentera non esiste rappresenta un piccolo caso editoriale che, attraverso l’autopromozione e grazie a
internet e ai social network, ha riunito in una community centinaia
di persone, “stregate” dalla magia dell’isola, vendendo più di mille copie in soli quattro mesi.
GiovanniParapini
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DI NESTORE MOROSINI
MOBILITÀ 2000
SI RINNOVA IL FUORISTRADA DELLA HYUNDAI
Santa Fe con nuovi motori
e tanti accessori
S
Fe è un nome che evoca antichi percorsi western e un moderno fuoristrada, della Hyundai, che
ne prende il nome. Santa Fe, trazione a
due e a quattro ruote motrici, è stato rimodernato, è stato aggiornato nei contenuti e nelle motorizzazioni. I propulsori
sono tutti Euro 5, con potenze fra 150 e
197 cavalli. Ampia dotazione di accessori,
sicurezza ai massimi livelli.
Per il 2011 Hyundai Santa Fe si propone con tre motori (tutti Euro 5, come
detto), due tipi di trazione e due livelli di
allestimento. I motori di Santa Fe 2011
sono divisi fra un benzina e due diesel.
Il primo è un quattro cilindri 16 valvole,
2.400 cc da 174 cavalli. Per quanto riguarda i diesel, sono due le possibili scelte: un
2 litri CRDi con turbocompressore a geometria variabile e capace di 150 cavalli; e
un 2.200 cc, sempre CRDi e sempre con
turbocompressore a geometria variabile,
con potenza di 197 cavalli.
Il modello più potente si caratterizza, oltre che per essere disponibile solo
nell’allestimento 4WD, anche per una dotazione di accessori ampia e articolata. Inanta
L’elegante silhouette
della Hyundai Santa Fe.
Nei particolari: parte
della strumentazione
con collegamento
del cellulare
fatti, oltre a includere cerchi in lega, cruise control, interni in pelle, sedile di guida
regolabile elettricamente e riscaldato, la
Style prevede navigatore satellitare, sistema bluetooth e telecamera posteriore per
le manovre di parcheggio.
In ogni caso, anche nella versione meno accessoriata, la Hyundai Santa Fe si
tratta bene: c’è tutta l’elettronica utile
a migliorare la sicurezza di guida (Abs +
Ebd, Tcs + Esp) e a preservare l’incolumità
dei passeggeri (sei airbag e poggiatesta anteriori anti-colpo di frusta). Non mancano
le piccole comodità che migliorano la qualità di vita a bordo: i comandi al volante
della radio, gli specchietti esterni elettrici richiudibili, il climatizzatore automatico bi-zona con sistema ionizzante e i sensori di parcheggio.
Prezzi da 27.490 a 34.290 euro. Optional: cambio automatico, tetto apribile.
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LA ROSA DEI TEMPI
DOVE TIRA IL VENTO
Come si veste D’Alema a Sankt Moritz
A
Durante il suo show televisivo Kalispera Alfonso Signorini, direttore di Chi, mostra a Silvio Berlusconi, in collegamento telefonico, una foto di Massimo D’Alema a passeggio per Sankt Moritz,
amena località dell’Engadina meta di vacanze per gente di un certo livello. Presidente, e questo secondo lei sarebbe un comunista?,
chiede più o meno Signorini al premier. «Non è un cachemire che
può cambiare il cervello e
il cuore della gente», dice
DECATHLON Indignato dal vile attacco, D’AleBerlusconi alludendo alma ha replicato sul Riformista che lui a Sankt
lo sciarpino sfoggiato da
Moritz ci è andato solo «in gita», alloggiando lì
D’Alema sulle nevi della
vicino, che «la sciarpa non era di cachemiSvizzera. Infatti i comunire», che «il giaccone è un vecchio giaccosti sono comunisti anche
ne» e soprattutto che «le scarpe le ho
se si travestono da fighetcomprate da Decathlon, pagandole
ti: non a caso, dice Silvio,
ventinove euro». Forse non sarà
io per loro sarò sempre
il modo migliore per dare un
«un ostacolo da eliminare
taglio alle minchionate. Ma
per arrivare al potere».
almeno ora è chiaro che i
comunisti sono sempre i
soliti pezzenti.
B
GL
I
B
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NTO
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CUCINA
Luca Zaia pizzicato al ristorante cinese
Alcuni ristoratori padovani hanno inviato una lettera di protesta al Mattino di Padova e al governatore leghista del Veneto Luca Zaia perché proprio quest’ultimo,
che si vanta di essere il paladino dell’italica tipicità e qualità, si è fatto fotografare a Capodanno in un ristorante cinese di Preganziol da 10 euri a pasto. «Con perplessità e discutibilità abbiamo mal digerito la foto che ritrae Zaia con l’amico
Marco Hu Lishuang nella serata di Capodanno al ristorante Wok-sushi. Con quale
soddisfazione il governatore si batte
MENÙ Anche noi, come i ristoratori padovain difesa dei saporiti
ni, ci siamo armati di una certa «perplessità
prodotti veneti?».
e discutibilità» e ora siamo in grado di fornirvi qualcosa di veramente mal digeribile. Ecco
le offerte per le festività propinate ai clienti
del risorante Wok-sushi di Preganziol. Menù
“Involtini primavera”: 10 euro. Menù “Dragon
Balls”: 12 euro. Menù “Bambini (specialità comunista)”: 15 euro. Menù “Gatto che sa di cane”: 18 euro. Menù “Pinna di squalo in salsa di
operaio da sottoscala”: 20 euro. Infine, il colpo più raffinato: le scarpe di D’Alema a soli
29 euro il paio. Praticamente regalate.
Oggi è nuvolo, pioveranno uccelli
Ha scatenato grande subbuglio nel mondo della scienza l’intensificarsi nelle ultime settimane di casi di rovescio di animali morti. Proprio così: piovono bestie. A
Ozark, Arkansas, alla fine di dicembre sono stati trovati ben 10 mila pesci tamburo stecchiti. Ma sono le ormai frequenti piogge di uccelli a destare preoccupazione.
In diverse località americane sono piovuti merli dalle ali
rosse. In Svezia i corvi,
nel North Carolina i pelPANICO Le interpretazioni date a questa scialicani, alla Decathlon le
gura sono le più varie, dalle teorie che tirano in
scarpe di D’Alema da 29
causa il solito riscaldamento globale agli appaseuro, in Italia le tortore
sionati di esoterismo che non esitano a parlare di
e in Messico i simpatici
inizio dell’Apocalisse. Quanto a noi, non ci sbilantordi dal petto giallo. E in
ciamo. Però diciamo che non sono da trascurare
Cile purtroppo non è stagli effetti del fenomeno sul turismo, per esempio.
ta risparmiata un’abbonDa quando piazza San Marco non ha più i tradidante precipitazione nezionali piccioni, che sono piovuti morti in una reanche alla berta grigia.
mota città del Perù, la città di Venezia si è dovuta organizzare. Ora importa cacchette dal Sud
America e le spara sui turisti coi cannoni.
TE
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M
PO
RA
L
I
nell’Anti Monopoly
vince il più comunista
Ricalcando le fortune del Monopoli,
il celebre gioco da tavolo in cui chi
più s’arrabatta come palazzinaro
più vince, ora è in commercio l’Anti Monopoly. In questa versione, ci
si divide tra capitalisti e competitori: i primi devono fare valanghe di
soldi, come al solito, i secondi, invece, hanno come obiettivo quello di
arrivare ad una situazione di libero mercato in cui sono date
uguali possibilità di vittoria ai buoni competitori e ai cattivi monopolisti. Il gioco
costa solo 30
euro.
GIO
C
lezione Cercando su internet notizie su questo gioco
ci siamo imbattuti in un forum nel quale un utente raccontava di averlo acquistato. Il nostro spiegava che, al
di là della novità, «è difficile,
davvero molto difficile, che i
competitori possano battere
i monopolisti». Insomma, come nella vita, anche nei giochi, quelli della cricca battono quelli equo solidali. Una
lezione di vita per voi, amici
comunisti. Se avete in tasca
trenta euro, non sprecateli per cambiare il mondo con
l’Anti Monopoly. Fatevi un
paio di scarponcini nuovi.
HI
Arriva nightrunner, eroe musulmano
FU M ETTI
La Dc Comics ha affiancato a Batman un nuovo supereroe francese. Trattasi
di Nightrunner, identità segreta di Bilal Asselah, 22enne originario di Clichysous-Bois, paese nella periferia parigina dove nel 2005 scoppiarono gravi disordini. Sebbene negli scontri con la polizia Bilal abbia perso un suo amico,
grazie all’intervento della devota madre musulmana, egli decide di dedicarsi alla causa del bene. La scelsuper Dopo la Francia, Dc Comics lanta della Dc Comics di invencerà sul mercato italiano Moustacheman,
tarsi un supereroe islamico ha
il super eroe vestito come un manichino
suscitato molte polemiche nedella Decathlon. I suoi nemici sono il Caigli Stati Uniti.
mano degli Abissi, X-Minzo, Tremon Thor
e l’energumeno tascabile Brunetman.
Moustacheman sarà aiutato da Bersanflash, Dipietrhulk e l’affascinante Wonderbindi. Nella vita reale Moustacheman
non si cambia d’abiti per coprire la sua
identità segreta, ma indossa ancora il suo
costume da supereroe. Gli basta calzare
un paio di scarpe da 29 euro per sembrare un barbone comunista qualsiasi.
Teschio con diamanti,
idea nuova per Hirst
TE
R
A
imperdibile
godibile
inutile
fetido
L’artista britannico Damien Hirst, diventato celebre grazie alle sue mortifere installazioni di animali imbalsamati sotto formaldeide che tanto
hanno irritato gli animalisti, ne ha
combinata un’altra delle sue. Ha preparato per la Gagosian Gallery di
Hong Kong un’opera intitolata For
Heaven’s Sake, riproduzione in platino del cranio di un
neonato di quattorBis Hirst aveva già fatto un teschio ricoperto di diamanti.
dici giorni tempestaEra di un adulto anziché di un bebé, contava 8.600 diamanto da più di ottomila
ti anziché 8.128 e si chiamava Per amor di Dio anziché Per
diamanti. Idea che ha
amor del Cielo. Prezzo: 50 milioni di sterline, ovvero 60 miscatenato l’ira di varie
lioni di euri (cioè più di 4 milioni di scarpe di D’Alema). Coassociazioni di mammunque Hirst si è difeso dicendo che il teschio del neoname, indignate per la
to rappresenta la purezza e che i diamanti simboleggiano
provocazione antifigli.
le cose eterne, anche se è vero che «hanno un lato oscuro».
Già, oscuro come il motivo che spinge un uomo a lavorare
quando potrebbe campare felice imbalsamando teschi.
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UN ALTRO MONDO
è POSSIBILE
UN NATALE DAVVERO SPECIALE
«Grazie a voi
ho imparato ad
amare mio figlio»
di Aldo Trento
A
ll’improvviso un fratello sacerdote,
mentre pranzavamo con i malati della
Casa Divina Providencia “San Riccardo
Pampuri” e con alcuni bambini della Casita de
Belén, il 25 dicembre, mi ha domandato quale fosse stato il Natale migliore che avessi vissuto. Da più di sei anni sto condividendo il giorno di Natale con i malati, gli anziani, i bambini
abbandonati e pieni di problemi che vivono con
me. Ma quello di quest’anno è stato speciale
perché ho sentito ancora una volta la compagnia di Gesù che stava accanto a me e a quanti
mi circondano, ho visto ancora una volta la misericordia e la provvidenza divina fattesi carne,
presenti oggi nelle opere, nelle meraviglie che
compiono tra di noi.
E non mi riferisco soltanto alle due opere che
abbiamo inaugurato la vigilia di Natale: la casa numero 3 di Belén e la Casa di Accoglienza “Chiquitunga” per le ragazze incinte, vittime
di violenze, ma anche allo stesso pranzo di Natale, che abbiamo condiviso con le persone più
povere, nel salone multifunzionale della nostra
clinica. Prima della conclusione del pasto, a base di molte squisitezze italiane, il sacerdote Julián de la Morena, che era a tavola con noi, ha
chiesto ai presenti una testimonianza sull’avvenimento che aveva cambiato la loro vita.
POST
APOCALYPTO
A destra,
Bramantino,
Fuga in Egitto
(1510), Santuario
della Madonna
del sasso,
Orselina (Ch)
«Mi sono sentita voluta bene»
La prima a parlare è stata una signora che sta
con noi insieme con il figlioletto e fa parte della nostra famiglia.
«Padre, nella mia vita, fin dall’infanzia, ho conosciuto la violenza. I miei genitori mi hanno
abbandonato a Clorinda. A dieci anni sono stata violentata. Ho chiesto aiuto alla nonna, che
viveva nell’interno del Paraguay. Mi ha accolto, ma il suo convivente ha approfittato di me
molte volte. Ho provato a far capire a mia nonna quello che stava succedendo, ma come risposta alle mie richieste di aiuto lei mi picchiava. E così sono scappata. Ero un’adolescente,
completamente traumatizzata e sola. Fino a
qualche anno fa ho vissuto per strada, facendo
di tutto. Ho avuto una figlia e una mia parente,
con la scusa che ero un’irresponsabile, l’ha fatta adottare. E di lei non ho più saputo nulla. Il
tempo passava, vivevo tra una violenza e l’altra. Un giorno ho incontrato un uomo da cui ho
avuto un bambino, che mi ha picchiato e mal-
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trattato finché non ho avuto il coraggio di denunciarlo. Traumatizzata come sono e piena di
rabbia nel cuore per le violenze patite, all’inizio non volevo far nascere il figlio che portavo
in grembo. Avere un figlio, per giunta maschio,
avrebbe significato scaricare su di lui tutta la
rabbia che avevo dentro. Alla fine ho accettato
di partorire quella creatura. Ma già al momento della sua nascita ho scaricato tutta la mia
paura su di lui. Non gli ho mai dato un bacio, e
quando piangeva lo picchiavo. Mi faceva male vedermi ridotta così, come una “bestia”, ma
non riuscivo a vedere quel bimbo come un dono, lo consideravo un castigo. In lui vedevo tutti gli uomini che avevano abusato di me, e non
riuscivo a togliermi dalla testa un simile tormento. Per un po’ di tempo ho vissuto nella casa dei genitori di quest’uomo, poi tutto è diventato insopportabile e da quel momento ho
cominciato a girare di casa in casa e per stra-
È una sfida per noi borghesi,
pensare che la bellezza
della vita consiste
nella sua drammaticità.
Accettarla significa
domandarsi continuamente
il perché della realtà
da, con questo bambino che mi causava soltanto malessere. Un giorno, disperata, avevo deciso di abbandonare mio figlio alla parrocchia di
San Rafael. Lì, i padri mi hanno ricevuto affettuosamente. Ho raccontato la mia situazione e
poi ho lasciato mio figlio. Sono tornata di nuovo per strada, chiedendo ovunque aiuto, un lavoro onesto. Poco dopo ho cominciato a sentirmi male non solo moralmente, ma anche
fisicamente. In quel momento mi sono ricor-
data di mio figlio, e di dove si trovava. Così ho
deciso di andare a trovarlo e di chiedere aiuto alla Fundación San Rafael. Sono stata ricevuta con tanto affetto e sistemata in una delle
case di accoglienza che ci sono. È stato difficile adattarmi: rispettare un orario, lavorare,
stare con i bambini. Inoltre non riuscivo assolutamente ad accettare mio figlio: rappresentava un pretesto per scaricare la rabbia per i
danni che avevo subito nella vita. E in tutta risposta i padri di San Rafael mi hanno messo a
dormire con lui. Il tempo passava, e sentendomi accolta e amata, è cominciata a nascere in
me una speranza, una possibilità di redenzione.
Ne ho fatta di strada per arrivare alla gioia che
provo oggi. E così sarà sicuramente anche per
mio figlio, che nel cuore porta tutto quello che
ha sofferto a causa mia. Ricordo ancora quanto tempo c’è voluto prima che accettasse che
qualcuno lo baciasse. E non solo: se qualcuno si
avvicinava per prenderlo in braccio scappava
come un gatto. Non sopportava che qualcuno
gli dimostrasse un minimo di affetto. Era il triste frutto del mio rapporto con lui.
Poi è accaduto il miracolo. Una domenica di
qualche mese fa, quando mi hanno battezzata e mi hanno dato la prima Comunione. Ricordo ancora con commozione che alla fine della liturgia del battesimo il sacerdote ha chiesto
a mio figlio di darmi un bacio, ma lui non gli ha
dato retta. E allora i presenti, come si fa ai matrimoni, hanno cominciato a dire a gran voce:
“bacio, bacio, bacio…”. Per il bambino è stata
una sorpresa sentire un invito simile a una litania. Così è sbucato da dietro la pianeta del sacerdote e con un salto si è lanciato su di me
che, sorpresa, ho sentito sulla guancia sinistra
il calore di un bacio umano e insieme divino.
Pochi secondi, e il bambino è tornato a nascondersi dietro il sacerdote. Ma il miracolo era accaduto. Un altro invito da parte dei presenti,
questa volta rivolto a me. Ancora commossa per la sorpresa, ho chiamato mio figlio perché volevo baciarlo. Gli amici hanno insistito e
dopo una breve resistenza il piccolo era nelle
mie braccia. Questa volta non si trattava di un
semplice bacio, ma di qualcosa di più profondo.
Da quel momento, per la prima volta, ho provato il desiderio di amare mio figlio».
Tutti, anche quelli che conoscevano già questa storia, avevamo le lacrime agli occhi. Era
evidente che abitando nella casa degli “amici
di Gesù” il suo Dna era cambiato. Nell’orizzon-
te della sua vita non c’era più violenza come
forma di autocoscienza, non c’era disprezzo e
mancanza di autostima, ma coscienza della tenerezza e della misericordia. Ancora una volta
ci siamo resi conto della verità di quanto scriveva Cesare Pavese: «Qualsiasi forma di violenza nasce dalla mancanza di tenerezza».
Senza tenerezza qualsiasi relazione umana diventa possibile. Normalmente la diamo per scontata, ma di fatto non lo è, nemmeno quella della
madre per suo figlio. Invece, tutto diventa possibile quando qualcuno scopre di essere amato da
un Tu, un Tu umano che è il riflesso di quel Tu
divino che ci domina e ci crea in ogni momento.
La scienza non può spiegarlo
Né la psicologia, né la psichiatria possono pretendere di spiegare questo incontro con qualcuno che vive stando sempre di fronte al Mistero che ci fa e che in ogni momento cambia
la vita. A questa donna è toccato lo stesso incontro che hanno fatto Zaccheo, l’adultera, la
samaritana. Uno sguardo pieno di tenerezza da
parte di Cristo oggi, perché se Cristo non fosse contemporaneo, con i tratti degli “amici di
Gesù”, sarebbe impossibile un cambiamento a
180 gradi dopo decenni di violenza e miseria,
così come sarebbe stato impensabile che un
bambino provasse la gioia e l’affetto che manifesta in questi momenti della sua vita.
Un Natale, ancora una volta, in cui i reietti dal
mondo, seduti alla tavola degli “amici di Gesù”,
hanno provato il calore umano che nasce da
Cristo. È una sfida continua per noi borghesi,
abituati a dare tutto per scontato, pensare che
la bellezza della vita consiste nella sua drammaticità. Accettare questa sfida significa anche domandarsi costantemente il perché delle
cose, il perché della realtà. Anche un’altra signora seduta al tavolo con noi, analfabeta, con
un cancro sulla guancia, non solo ci guardava
con la tenerezza di chi ha vissuto fra dolore e
tormento, ma il suo volto esprimeva una gioia,
forse fino ad allora sconosciuta, dovuta al fatto che si sentiva accolta e amata. Immaginate
che cosa significa per un povero, per me, per i
miei amici, trovarsi a pranzo il giorno di Natale
in un salone con aria condizionata, con persone diverse, qualcuna proveniente anche da altri paesi, ma dove il clima di Betlemme era vivo
e presente carnalmente in quei fragili volti che
lasciavano trasparire la sua Presenza.
[email protected]
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LETTERE
ALDIRETTORE
Te Deum per Kaci, laico
algerino e cigiellino
invitato qui per un caffè
V
olevo ringraziare per il numero di Tempi “Te deum”.
Tra l’altro è stato con piacere che ho trovato l’articolo sulle Monache Romite Ambrosiane della Bernaga di Perego. Una mia nipote, di cui io sono padrino, è da
20 anni monaca in quel convento. La scritta “Dio mi basta”
che sovrasta il portone di entrata, la prima volta che l’ho vista è stata come un macigno che schiacciava me e tutte le
mie pretese. Allora mia nipote era per così dire un po’ birichina, come tutti i giovani adolescenti, e la sua scelta che ha colto tutti di sorpresa, spiazzando anche
i suoi genitori, mi ha costretto a guardarmi allo specchio e a riconsiderare di
nuovo il mio modo di essere. Con il silenzio, la preghiera e l’allegria con cui
ci accoglie quando andiamo a trovarla
ci testimonia di aver saputo riconoscere Ciò che era il meglio per lei. Questo è
un segno di speranza per tutti noi. Con
affetto, grazie per il vostro lavoro.
CarloMicheli via internet
2
Che meraviglia il Te Deum! In 66 pagine c’è tanta vita, tanta bellezza, la conferma che si può vivere così, ovvero in
modo umano e lieto. Non siamo affatto una minoranza che si piange addosso, che assiste sgomenta alla distruzione del “Tempio”! Eppure intorno a
noi e forse anche fra noi c’è il cinismo,
il “pensiero” unico e codardo, la rincorsa al consenso della “opinione pubblica”. Non mancano nemmeno i “nemici” che sorgono dall’interno della stessa
Chiesa, come ci ha ricordato il Santo
Padre. Ma dall’INCONTRO sono scaturiti, e non mancano di stupire il nostro
quotidiano, i testimoni, questa gente af-
fascinante che dal male cava il bene e
vede trasformata la vita in virtù del sì
alla proposta di Cristo. «Cose dell’altro
mondo, in questo mondo»: è l’espressione entusiasta per tutto quello che ci accade e che pronuncia sempre un mio
amico prete. Ecco, sono felice e grato
di tutto questo e volevo farvelo sapere.
MaurizioRizzolo Correggio (Re)
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Te Deum Laudamus. Grazie Signore,
per Tempi, faro luminoso nella notte, rifugio caldo nelle intemperie, porto sicuro nella tempesta, locanda accogliente nel cammino del viandante. Te Deum
Laudamus. Grazie Signore, per Fred
Perri, di cui io sono molto peggiore. È
un bene che su Tempi scriva lui anziché io. Grazie Signore, per Oscar Giannino, che illumina con semplicità e perizia materie spesso tanto ostiche.
Grazie Signore, per Renato Farina, uomo e professionista meraviglioso. Grazie Signore, per padre Aldo Trento, che
ci insegna a vedere la luce di Cristo attraverso le creature più care a Te, i malati, i sofferenti, gli ultimi che saranno
i primi. Grazie Signore, per Pippo Corigliano, che smonta i miti illuministi e
ci insegna a preferire il Paradiso, con il
disarmante sorriso di coloro che hanno un po’ più di confidenza con Te. Grazie Signore, per Marina Corradi, che ci
porta con grazia nell’intimo dell’animo
umano, che ci fa leggere Tempi d’un fiato per arrivare all’ultima pagina, dove
incontriamo la poesia, la profondità e la
bellezza, in una parola Dio, anche nelle
piccole cose quotidiane. Grazie Signore
per tutti gli altri professionisti che scrivono per Tempi e che non ho nominato
ma che stimo, apprezzo e saluto non di
meno, messaggeri di verità, testimoni di
un giornalismo ormai unico. Grazie Signore, per la redazione di Tempi, e per
RINOGAETANOAVEVAPREVISTO(QUASI)TUTTO
G
| 19 gennaio 2011 |
Ti ringrazio Signore per mio marito,
che mi ha amato da subito, che rallegra, assieme alle nostre bimbe, ogni minuto della vita e mi ha obbligato a leggere Il cavallo rosso e Tempi, non un
settimanale ma… un corso di esercizi spirituali, in cui tutti gli eventi sono
guardati attraverso la luce della spe
ranza che salva. Grazie!
DanielaGalante Imperia
2
Vi ringrazio per il bellissimo regalo che
ci avete fatto dedicando tutta la rivista
al Te Deum. Ho letto tutti gli articoli, ho
sorriso, ho pianto, ho meditato, non c’è
n’è stato uno che non mi abbia colpito.
Terrò questo numero per poterlo andare a rileggere ogni volta che sarò colpita da dubbi, tristezza, delusione, sofferenza, gioia, bellezza, felicità.
ValeriaPaladino Milano
2
Le scrivo per esprimere vivo apprezzamento per il n. 52 di Tempi. Al resoconto arido e scontato degli avvenimenti accaduti nel 2010, presente in tutti i
giornali e che lascia il tempo che trova,
Tempi sostituisce esperienze di vita che
aiutano il lettore a guardarsi dentro e a
rinvenire situazioni o aspetti a cui non
aveva pensato o su cui non aveva riflettuto. Che sia l’esperienza eccezionale di
di FredPerri
Nel mese in cui non succede nulla
Fred Perri azzarda un pronostico
ennaio è il più flaccido dei mesi. Non è l’inverno
pieno di speranze e di attese natalizie di dicembre, non è l’inverno con lo slancio verso la primavera di febbraio. Non è né carne, né pesce. La festa
è finita, lu santu è stato più o meno gabbato e cosa resta? Resta la sensazione che non è successo niente e
tutto è come prima, tutto come in una canzone di Ri-
62
2
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no Gaetano, che se n’è andato troppo presto ma aveva
capito l’andazzo.
Berlusconi ce l’ha con D’Alema in cachemire (poveraccio, neanche due passi a St. Moritz può farsi); Napolitano non sopporta chi non capisce il senso del tricolore e l’Unità d’Italia; Fini minaccia querele; Marchionne
aspetta il referendum di Mirafiori; George Clooney quel-
Foto: AP/LaPresse
SPORT
UBER
ALLES
tutte le altre persone che rendono possibile a noi, con il loro incessante lavoro,
leggere questa perla rara. Grazie Signore, per Tempi che ci donerà l’Osservatore Romano, portandoci ancora più vicini
alla nostra Madre Chiesa. Grazie Signore, per Tempi che si fa baluardo e cammina al fianco del nostro Santo Padre
Benedetto XVI, “luce del mondo”.
LucaLaganà Roma
[email protected]
padre Trento o quella apparentemente
più semplice (ma in realtà sempre profonda) ad essere descritta non ha importanza; la sollecitazione è sempre a
guardare la realtà in modo non banale
e valorizzare l’umano che c’è. Grazie per
questo modo vero di fare informazione.
MariaLaura FraternaliUrbino
Tuttobello,grazie.Masulnumero
dacollezionehogiustoquestaerrata
corrigedatramandare:ritoccando
unamiarispostaaunlettore,ilnostroimpeccabilecorrettoredibozze
hatrasformatoinordinario“genio
delmale”einstraordinario“divino”
unmioordinario“idivino”(militante
Idv,nondevotoaZeus)eunostraordinario“geniodelmare”(pesciolino,
nonBelzebù),riferitialloscrivente
dipietristaeaicomplessipensieridel
nototronistagiudiziariostrasburgheseLuigiDeMagistris.Cenescusiamoconilettorieconitronisti.
2
Foto: AP/LaPresse
Bene, Amicone, la lettura delle lettere
di don Angelo Busetto, di don Gianmario Galmozzi, di Giuseppe P. e di Checco, oltre alla mia esperienza personale,
mi ha confermato una cosa di cui io, come molti altri, credo, ero già convinto, e
cioè che in Cl vi siano tante brave persone, tanti cristiani che vivono la loro fede in modo profondo e autentico e per
i quali, mi creda, provo sincera simpatia ed ammirazione. Sennonché lei prende queste lettere e, in buona sostanza, le
sbatte sotto il naso di Ferruccio Pinotti per dirgli: “Ecco, caro Pinotti, questa è
‘la lobby di Dio’”. Con questa operazione
forse lei riuscirà a tranquillizzare i suoi
lettori sul fatto che il libro di Pinotti non
sia altro che 480 pagine di falsità e farneticazioni del solito comunista di turno.
Personalmente ritengo che usare spre-
giudicatamente le parole e le testimonianze di alcune brave persone come si
fa col tappeto per nascondere la polvere
(che c’è, eccome!) dia la cifra di uno stile di comportamento, diciamo, inelegante oltreché, mi permetta, assai ingenuo.
MauroCosta,liberalevia internet
Perdoni,maiononhomaiparlato
dellibrodiPinotticonl’ineleganzadi
cuiparlalei.Untipodilettoreche,se
nonsbaglio,continuaacompulsarciunpo’colmaldipancia,unpo’con
l’occhiodell’inquisitore.Midispiace.
2
Vorrei dire quanto mi è stato sempre
antipatico. Ma ho visto il suo intervento
su Rai Tre il 7 gennaio, debbo dire che
ha colto nel segno come Guillaume Tell.
Bravissimo. Questa finezza dell’analisi
istantanea fa di un uomo il leader! Sono algerino di 52 anni, laico ma con una
famiglia cristiana-italiana. Mi trovo assolutamente d’accordo al punto di dire, per estinzione del ragionamento, che
l’Italia e l’Europa pagano oggi per errori del passato. Per il fatto di non avere cercato di portare la cultura liberale
ma anche cristiana nel Nord Africa, patria di sant’Agostino e di sette vescovi,
il messaggio più universale e propedeutico alla cultura liberale. Prima da noi in
Algeria. La Francia non ha cercato di liberare le menti, anzi ha usato l’islamismo come mezzo di controllo sociale
con il ricorso all’Apartheid: per i cristiani la libertà per i musulmani le moschee
per garantirsi contro l’uguaglianza. Oggi gli immigrati rappresentano un pericolo per i governi feudali del Nord Africa. Pericolo che ai loro occhi si chiama
libertà. Per ovviare a eventuali contagi ecco le moschee. Se non ci fosse veramente un obiettivo politico dietro, come fare passare la richiesta di luoghi di
Avviso ai lettori
A partire da questo numero, Tempi uscirà in edicola in tutta Italia il venerdì. A Milano e Roma, invece,
il settimanale continuerà a uscire il giovedì.
Avviso ai lettori
che si sono abbonati
al Meeting di Rimini 2010
Buonocarburante
In questi giorni riceverete a casa vostra la tessera
“You & Eni”. Con la tessera recatevi a un distributore
Eni/Agip e chiedete un telecontrollo. Questa operazione
accrediterà 2.500 punti sulla vostra tessera, che possono essere subito convertiti in 30 euro di carburante.
culto come prima necessità prima dello stesso lavoro, motivazione primaria dell’immigrato? Quando fui dirigente della Cgil di Bergamo, nel mio rifiuto
di considerare le moschee e le richieste
religiose come bisogno primario dell’immigrato, sono stato visto come filo-Lega. La sinistra soffiando sul fuoco farà
come Nerone veramente. Oggi serve la
coralità attorno ai problemi della crisi e
non ai falsi bisogni. A questo ritmo credo che dovrò veramente cercarmi un
altro paese d’accoglienza – anche perché tempo fa ho ricevuto una condanna
a morte. Che peccato che la gente come lei non riesca a sfondare in politica.
Perché la laicità senza alterità cristiana porta al mercato selvaggio mentre
la cristiani-religiosità in genere sotto ricatto porta al nichilismo! Buon anno.
Kacivia internet
IllettoresiriferisceaunnostrointerventoadAgorà.BeneKaci,leimi
stasimpaticoemipiacerebbeconoscerla.Perchénonpassaaprendere
uncaffèdanoi?Grazie.
lo del Sudan; Elisabetta Canalis che George Clooney la
sposi; in Tunisia e in Algeria c’è la guerra del pane; in
Afghanistan e in Iraq c’è la guerra e basta; un settantenne ha ucciso tre persone per gelosia; Checco Zalone incassa più di Avatar; Cavani è megli ’e Pelè; Gianni Morandi presenta il Festival (perché Sanremo è Sanremo);
Tremonti presenta un conto salato; le assicurazioni delle auto in Italia sono le più care d’Europa (mortacci loro); si discute sulle bestemmie al Grande fratello; c’è chi
guarda il Grande fratello.
A questo punto vi aspettereste «ma il cielo è sempre
più blu». Quasi. Il campionato è sempre più nerazzurro. Lo dico? Lo dico: lo scudetto lo vince di nuovo l’Inter.
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| 19 gennaio 2011 |
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tAz&bAo
L’apparenza
non inganna
«La verità è che c’è stato un periodo tra i teologi
dei primi secoli in cui si pensò che la bellezza fosse
inganno demoniaco e invece la Chiesa cattolica rifiutò
questa punitiva impostazione. Stabilì che se Dio decise
di incarnarsi uomo, s’incarnò nella bellezza. È questo
che rende meravigliosa la nostra religione romano-cattolica.
Sa cosa penso? O si è atei o si è romano-cattolici.
Tutto il resto è… come si dice? Tutto il resto è noia»
Antonio Paolucci direttore dei Musei vaticani
intervistato da L’espresso, 6 gennaio 2011
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| Foto: Giuditta e Oloferne (Particolare), Caravaggio 1597-1600, Galleria nazionale di arte antica, Roma
GLI ULTIMI
SARANNO I PRIMI
cOME SE qUELL’ANTIcA chIESA bIzANTINA ASPETTASSE TE
Straordinaria Bisanzio, dove Cristo
trae quei due vecchi dall’abisso
di Marina corradi
P
eriferia nord di istanbul, dove le case si fanno scalcinate e povere - lucenti occhi
di gatti a ogni angolo, tra i cassonetti dei rifiuti. Il tassista fatica, nel dedalo
di viuzze, a trovare san Salvatore in Chora. L’antichissima chiesa bizantina,
moschea dopo la conquista islamica, ora è un museo. I restauri hanno rimosso la
calce con cui i musulmani cancellarono, come in tutte le chiese di Istanbul, i mosaici e gli affreschi cristiani. E a san Salvatore – fondata nel V secolo, poi rifugio dei
monaci peregrini in Oriente – il visitatore alza gli occhi e incontra le straordinarie
immagini delle parabole, della dormizione della Madonna, del Giudizio. Inaspettatamente, nella megalopoli di 12 milioni di uomini costantemente percorsa dalle
preghiere gravi e dolenti che si allargano dai minareti, fra queste mura ti imbatti
nel volto dolce del Cristo bizantino: occhi profondi e misericordiosi, che sembrano
guardarti. Resti a contemplare le immagini lassù nell’abside, nella cupola, con la testa all’indietro, finché il collo duole. La “Anastasis”: dove Cristo nel giorno della resurrezione della carne afferra Adamo ed
E la sua espressione, da condottiero che dice: Eva dai sepolcri in cui giacciono, e li riporta alla luce. Formidabile sequenza di
andiamo, è tempo di uscire dalle tenebre.
dettagli su cui gli occhi si fermano, seAdamo ed Eva, stanchi di millenni di fatica e
dotti. La forza, intanto: il piglio vigoroso
di male, quasi recalcitranti all’urto della luce, del Figlio, piantato sulle gambe larghe,
come chi debba reggere un poderoso
all’ordine perentorio della resurrezione
sforzo. E la sua espressione, qui determinata, da condottiero che inciti: andiamo, è tempo di uscire dalle tenebre. Adamo
e Eva, vecchi, stanchi di millenni di fatica e di male, strappati al loro sonno, quasi recalcitranti all’urto della luce, all’ordine perentorio della resurrezione. (Come il
Lazzaro di Caravaggio, come lui a forza sottratto da Cristo alla morte). Ma, le mani
di questo Cristo in battaglia stringono con determinazione incontrastabile le vecchie mani di Adamo ed Eva; li trascinano, così come noi strapperemmo dal fuoco,
o da un abisso, qualcuno di molto amato. Cadono, sotto ai piedi dei risorti, lucchetti e chiavistelli, in una pioggia di corrotta ferraglia: spezzate le catene dell’inferno,
nell’ultimo giorno – quando il tempo, scrisse Paolo, «ha ammainato le sue vele».
Straordinaria Bisanzio, pensi, e straordinari monaci, in lotta contro gli iconoclasti; proprio qui a san Salvatore, nell’ottavo secolo, un covo di resistenti, tenaci
nel voler vedere, e rappresentare, e mostrare il volto di Cristo. Cristo: “chora ton
zonton”, leggi, scritto in greco su un mosaico; Cristo, dimora dei viventi. (E, sotto alla Madonna: Maria, “chora tou achoretou”, Maria, dimora dell’Incontenibile:
splendente immagine di san Cirillo di Alessandria).
Allora “chora”, capisci con un sussulto di affetti,
non vuol dire solo, come dicono le guide turistiche,
chiesa di campagna, “fuori dalle mura”. Una più antica memoria è incisa qui dentro: Cristo è “chora”,
Cristo è la dimora degli uomini. Quel viso cancellato e ritrovato, restituito dai secoli, misteriosamente
salvo tra centinaia di chiese annichilite. Quegli occhi misericordiosi che, nella foresta anonima della
megalopoli straniera, sembrano guardare te – come
se ti conoscessero da sempre.
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| 19 gennaio 2011 |
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DIARIO
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