Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr settimanale diretto da luigi amicone anno 17 | numero 2 | 19 gennaio 2011 | 2,00 Milano è felice EDITORIALE TEMPI CON L’OSSERVATORE ROMANO Diffondiamo ragioni e verità del Papa per servire il bene del popolo tutto Q uando un paio d’anni fa ci fu offerta l’opportunità di presentarci e scam- biare due parole con Benedetto XVI, non avremmo mai immaginato che a partire dal numero che hai per le mani, caro lettore, Tempi e L’Osservatore Romano avrebbero camminato insieme. E invece è successo. D’ora in avanti, sia gli abbonati sia gli acquirenti in edicola riceveranno i due giornali in abbinata e senza costi aggiuntivi. Come è nato e quale sia lo scopo del sodalizio è presto detto. In occasione del 150esimo anniversario dalla fondazione dell’Osservatore Romano volevamo fare un regalo al Santo Padre. Di qui la nostra proposta di sostenere la conoscenza del suo magistero anche attraverso la diffusione dell’edizione del giornale vaticano che cura la pubblicazione degli interventi svolti dal Pontefice nel corso della settimana. Il direttore Giovanni Maria Vian e l’editore della testata d’Oltretevere hanno subito aderito volentieri all’iniziativa. E così, eccoci al primo numero di una collaborazione molto gratificante per noi che da 15 anni tentiamo una presenza da semplici cristiani nel mondo della comunicazione. Dopo di che, le ragioni stringenti che ci armano di fiducia e responsabilità sono le seguenti. 1. Davanti alle drammatiche sfide dell’attualità, proprio della diffusione e conoscenza di parole piene di ragione e amanti della verità si sente la mancanza. Trovarsi nelle condizioni di aiutare a conoscere ragioni e verità proposte dal Papa, è un modo molto elementare ma concreto di servire il bene del popolo tutto, di qualunque colore e religione sia, vicino o lontano che sia. 2. Per quanto ci riguarda, la nostra storia e linea politica-editoriale sono note e trasparenti a tutti. Non abbiamo altro senso di esistere che l’ideale per cui facciamo un giornale e abbiamo una simpatia totale per qualsiasi ricerca della verità, da qualunque parte essa provenga. Per parlare concretamente: da Comunione e Liberazione, che è l’origine educativa della nostra passione, a Giuliano Ferrara, amico di rara intelligenza e il contrario del “Giornalista Collettivo”, impariamo che nulla di ciò che è umano ci è estraneo. 3. D’altronde: se non per dato statistico, ma per considerazione di cui essi godono agli occhi dei potenti e delle folle, i cristiani sono oggi minoranza. Tanto in Occidente, quanto nel resto del mondo. Un mondo in cui, anche tra cristiani, sembra si faccia a gara per allontanare dallo spazio pubblico la sfida che Cristo porta alla ragione prima ancora che alla fede degli uomini. 4. Ma ecco, infine, la strepitosa sintesi di tutto ciò che vorremmo servire in questo passaggio della nostra impresa: è contenuta in un passo del recente libro-intervista al Papa, dove Benedetto XVI dice: «Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il Cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un’esistenza vissuta sempre e soltanto “contro” sarebbe insopportabile. Ma allo stesso tempo il Vangelo si trova in opposizione a costellazioni potenti… Sopportare attacchi ed opporre resistenza quindi è un elemento ineliminabile: è una resistenza, però, tesa a mettere in luce ciò che vi è di positivo». Come ci ha sempre insegnato don Luigi Giussani, la critica non consiste nell’abbattere ciò che non vale, ma nel riconoscere ciò che vale anche in mezzo alla melma. «Vagliate tutto e trattenete il valore» ingiungeva Paolo ai primi cristiani. Cioè, rincarava Giussani, «trattenete la bellezza». Per tutto questo cominciamo il nuovo anno con rinnovato entusiasmo. FOGLIETTO Sacrosanta banalità. Il meglio è nemico del bene. Essere riformisti in Italia significa anche ricordare proverbi ritriti C itare proverbi spesso produce un effetto d’insopportabile banalità, più o meno come un editoriale di Giovanni Sartori: appare un modo stucchevole di ragionare, un darsi arie mentre si riscopre per la millesima volta l’acqua calda. Eppure talvolta la saggezza popolare accumulata in certe “frasi fatte” diventa strumento prezioso per orientarsi in momenti difficili. Si prenda il detto “il meglio è nemico del bene”: in questa considerazione è contenuta una verità non solo profonda, ma anche particolarmente attuale e utile nella complicata fase della vita nazionale che stiamo vivendo. Quelli che vogliono una purezza liberistica nelle relazioni industriali appellandosi a Sergio Marchionne (che in realtà non di rivoluzioni si occupa bensì di produrre auto), quelli che vogliono subito detassazioni per le famiglie non curandosi dei conti dello Stato, quelli che chiedono federalismi perfetti in cui siano già definiti tutti i nuovi ruoli per i Comuni, e così via, vorrebbero apparire come i veri innovatori e sono invece della razza dei gattopardi, cioè di coloro che auspicano che tutto cambi per non cambiare niente. È più che mai il tempo di essere riformisti, di cogliere i processi concreti e possibili della nostra realtà nazionale, di far crescere il cambiamento sulle gambe di soggetti capaci di supportarlo. È più che mai il tempo di sconfiggere quel radicalismo che, dall’opposizione ai Filippo Turati e Giovanni Giolitti, ha tante volte messo in mora chi voleva davvero migliorare l’Italia. Lodovico Festa | | 19 gennaio 2011 | 5 SOMMARIO agenda 2011 Meglio non andare a votare, meglio cercare un’intesa coi partiti e non solo con singoli deputati, meglio allargare i cordoni della borsa. Il governatore Formigoni chiede al governo un cambio di strategia 38 anno 17 | numero 2 | 19 gennaio 2011 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr settimanale diretto da luigi amicone La mossa Milano è felice per far politica senza vivacchiare 10 Conversazioni d’inizio anno per scoprire una città più forte degli happy hour e dei profeti di sventura | 19 gennaio 2011 | 11 Il contratto che chiede meno assenze e più flessibilità ltre quattromila assunzioni (4.600 per l’esattezza) e aumento retributivo per i lavoratori di Pomigliano d’Arco. 700 milioni di euro di investimento da parte della nuova società che gestirà il sito produttivo. Statuto dei lavoratori e, quindi, rappresentanti sindacali aziendali per i sindacati che hanno firmato l’accordo. Ci chiediamo allora quale sia il problema che ha agitato le associazioni sindacali nell’anno appena concluso e che persiste in questo inizio d’anno. Abbiamo girato la domanda al senatore democratico Pietro Ichino, ordinario di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Milano nonché esperto di relazioni industriali, cercando di sintetizzare e meglio comprendere questa difficile annata. Difficile per il perdurare della crisi economica che ha indebolito imprese e lavoratori. Difficile perché, come ogni crisi, sta rompendo degli equilibri consolidati, in particolare nell’ambito delle relazioni industriali. Vero è che, negli ultimi due anni, i contratti collettivi sono stati tutti rinnovati con la firma di tutte e tre le sigle sindacali – Cgil, Cisl e Uil – ad eccezione del contratto dei metalmeccanici che non ha riportato la firma della Fiom-Cgil. Vero è che quest’intesa sembra un rinvio dei problemi, così come in molti casi uno strumento di rinvio dei problemi è stato l’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Problemi che si manifesteranno prepotentemente all’esaurimento di tali strumenti. E la vertenza Fiat, a Mirafiori e a Pomigliano d’Arco, sembra un anticipo di quel che accadrà: una rottura degli equilibri delle relazioni industriali sedimentati in quasi quarant’anni; un caso, quello della Fiat, che ha reso evidente l’enorme distanza che esiste tra le confederazioni sindacali e i lavoratori che sono chiamati, attraverso l’utilizzo del referendum, ad essere protagonisti del loro futuro senza delegarlo semplicemente ai rappresentanti sindacali; un caso, quello Fiat, che ha reso evidente anche il problema di rappresentanza all’interno della Confindustria e la necessità, quindi, che il cambiamento delle relazioni industriali sia seguito da un cambiamento all’interno dei sistemi di rappresentanza dei sindacati dei lavoratori e di quelli dei datori di lavoro. ni sindacali e, quindi, modificare anche i loro strumenti di azione? tata dal ministro Sacconi alle parti sociali l’11 novembre scorso? Sì, nel senso che dicevo ora, cioè del potenziamento dei servizi per la negoziazione della scommessa comune tra imprese e lavoratori sui piani industriali innovativi, che richiedono contratti aziendali che si discostino dai contratti nazionali di settore, su organizzazione del lavoro, inquadramento professionale, struttura della retribuzione, tempi di lavoro e molto altro ancora. Sicuramente condivisibile è l’idea di un testo unico semplificato della legislazione del lavoro, che il ministro ha raccolto dal disegno di legge n. 1873 menzionato prima. Però mi sembra davvero troppo generico e affrettato il contenuto del progetto ministeriale: come è pensabile che il contenuto di una riforma dell’intero ordinamento del lavoro sia sufficientemente delineata in due sole cartelle? Quel testo ha più l’aria di una dichiarazione di intenti che di un vero disegno di legge. il referendum sui nuovi contratti per gli addetti degli stabilimenti Fiat di Mirafiori si tiene il 13 e il 14 gennaio nella revisione delle relazioni impresalavoratore come quella di cui si parla, come valuta il Codice della partecipazione dei lavoratori ai risultati di impresa presentato dal ministro del Lavoro? Senatore, il caso Pomigliano rompe equilibri consolidati. Quali potrebbero essere le conseguenze dell’isolamento della Cgil da un lato e di Confindustria dall’altro? È una raccolta di documentazione su questa materia che può essere utile. Ma mi sembra sbagliato l’intendimento esplicitato dal ministro nel pubblicarlo: cioè quello di evitare qualsiasi intervento legislativo in materia. È giusto ribadire il principio che qualsiasi forma di sperimentazione deve nascere da un contratto aziendale; ma se si vuol davvero promuovere la sperimentazione di alcune forme di partecipazione dei lavoratori nell’impresa alcuni aggiustamenti legislativi sono necessari. Per esempio, in materia di partecipazione dei lavoratori al consiglio di sorveglianza, nelle società per ritiene che Cgil e Confindustria debbaazioni che optano per la governance duale; no rivedere il loro approccio alle relaziooppure in materia fiscale, in «Per confederazioni sindacali e imprenditoriali riferimento alle forme di partecipazione agli utili o di azionac’è la prospettiva di una riduzione riato dei lavoratori. Non parlerei di “isolamento” di Confindustria né della Cgil. A rischiare l’isolamento, semmai, è la Fiom. Per Cgil, Confindustria, e in generale tutte le grandi confederazioni sindacali e imprenditoriali, vedo semmai la prospettiva di una riduzione del ruolo degli apparati centrali nazionali, a vantaggio degli apparati periferici: questi ultimi saranno quelli più sollecitati, nell’auspicabile fase di sviluppo della contrattazione aziendale sui piani industriali innovativi. del ruolo degli apparati centrali nazionali, a vantaggio degli apparati periferici» presentato un progetto per la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, prevedendo una tutela solo obbligatoria e non più reale in caso di licenziamento per motivi economici o organizzativi. Come ha accolto la sinistra più resistente al riformismo questa sua proposta? foto: aP/laPresse O Un cambiamento sul modello di quello che fiat auspica per Mirafiori (e su cui gli operai sono stati chiamati al voto il 13 e 14 gennaio) è realtà da gennaio negli stabilimenti di Pomigliano D’arco, con il contratto collettivo fabbrica italia Pomigliano. il contratto prevede l’aumento dellla paga base in media di 80 euro, a cui si aggiungono 20-30 euro mensili per tutti; per il lavoro notturno sono previste maggiorazioni fino all’85 per cento e quindi per i turnisti si potrà arrivare ad avere 250-300 euro al mese in più in busta paga. Gli scatti di anzianità ripartiranno da zero e l’equivalente di quelli maturati sarà assorbito nel superminimo. l’orario di lavoro passa dalle 40 ore settimanali su 5 giorni a 40 ore su 6 giorni. Da 10 turni settimanali, due al giorno, si passa a 18, cioè 3 al giorno. le pause passano da 40 a 30 minuti. lo straordinario passa dalle 40 ore alle 120 all’anno senza contrattazione. È previsto un meccanismo per combattere le assenze brevi e ripetute prima o dopo i giorni di ferie o di riposo. inoltre si semplifica l’inquadramento professionale passando da 7 a 5 gruppi professionali con fasce intermedie all’interno dei gruppi. infine sono ammessi in azienda solo i rappresentanti dei sindacati che hanno firmato l’accordo. Pietro ichino è senatore del Partito democratico e ordinario di Diritto del lavoro alla Statale di Milano Lei è un esponente della sinistra riformista e ha Il progetto, che si è concretizzato in due disegni di legge (uno – il ddl n. 1481/2009 – per la sperimentazione; l’altro – il n. 1873 – per la riforma di carattere generale della materia) è stato firmato con me da altri 54 senatori, più della metà del Gruppo democratico al Senato. Inoltre esso ha avuto un avallo pieno e convinto dai leader delle due minoranze interne al Partito democratico, Walter Veltroni e Ignazio Marino. Già questo mi sembra un risultato molto lusinghiero. Poi, il 10 novembre scorso, il Senato ha approvato a larghissima maggioranza (solo 26 voti contrari o di astensione), col voto favorevole di tutta l’opposizione, una mozione di Francesco Rutelli che impegna il governo a promuovere il varo di un Codice del lavoro semplificato redatto sulla base del disegno di legge n. 1873, oltre che di eventuali altri (che però attualmente non ci sono): questo significa che quel progetto oggi, pur con tutti i distinguo che si sentono fare a destra e a sinistra, è di fatto al centro dell’agenda politica. A proposito di riforma dello Statuto dei lavoratori, ritiene che vi siano punti condivisibili in questa bozza di ddl delega al governo sullo Statuto dei Lavori presen- Premesso che il mercato del lavoro è in continua evoluzione, cosa manca alla riforma per dirsi compiuta? Manca una riforma della disciplina del rapporto di lavoro che tenda al superamento del dualismo del mercato del lavoro, tra protetti e non protetti. Difetta gravemente l’efficienza dei servizi di informazione, orientamento, formazione e riqualificazione professionale. Il sistema del sostegno del reddito a chi perde il posto di lavoro manca del requisito dell’universalità – intere grandi categorie di lavoratori ne sono escluse – e in esso è totalmente ineffettivo il principio della condizionalità: cioè il principio per cui il sostegno può essere erogato soltanto a chi sia realmente disponibile a partecipare attivamente a tutte le attività ragionevolmente necessarie per trovare una nuova occupazione; oltre che disponibile per l’occupazione stessa, ovviamente. Luigi Degan Giuseppe Sabella | | | 19 gennaio 2011 | Foglietto Lodovico Festa.................................. 5 Non sono d’accordo Oscar Giannino.................................. 9 Il diavolo della Tasmania Renato Farina................................. 25 Intellettuale cura te stesso Giorgio Israel ................................... 31 Se ti dimentico Gerusalemme Yasha Reibman Recensire Ratzinger Bruno Mastroianni...............33 Mamma Oca Annalena Valenti .................... 53 Presa d’aria Paolo Togni ..........................................54 Post Apocalypto Aldo Trento ........................................ 60 Sport über alles Fred Perri................................................. 62 Diario Marina Corradi ............................66 INTERNI Le nOvItà per gLI OperaI Per il senatore democratico ichino l’accordo su Pomigliano deve essere un modello. «È auspicabile che si sviluppi sempre di più la contrattazione aziendale su piani industriali innovativi. Solo la fiom rischia l’isolamento» | 19 gennaio 2011 | | l’italia e la fabbrica/1 L’anno di una scommessa sul lavoro 16 | Agenda 2011. La mossa del governatore Dalle intese alla borsa, la strategia di Roberto Formigoni per ritornare a far politica «e non ridurre l’azione a una operazione di ragioneria», e l’assioma “federalista” di Zaia Emanuele Boffi, Caterina Giojelli .............................................................................................................................................10 16 interni | 19 gennaio 2011 | LA SETTIMANA 17 Lavoro. Un nuovo inizio in fabbrica Il senatore Pietro Ichino sul nuovo modello Pomigliano, il peccato senza tempo del militante cigiellino .....................................16 Aborto. Ma che ne sanno i giudici? Per i medici le linee bocciate dal Tar sono necessarie Benedetta Frigerio.......................................................................................................................................................................................... 21 RUBRICHE Per piacere .............................................. 53 Green Estate ........................................54 Mobilità 2000.................................. 57 La rosa dei Tempi .....................58 Lettere al direttore ................ 62 Taz&Bao..................................................... 64 26 esteri come pecore tra i lupi ESTERI Per padre Greish, della Chiesa melchita del Cairo, gli uomini della Fratellanza vogliono «un paese politicamente islamico, e per noi cristiani ci sarebbe meno spazio. Basta vedere il piano per escluderci dalle candidature alla presidenza» grammato e perpetrato per minare la plurisecolare convivenza tra musulmani e cristiani, componenti storiche di quel paese». Forse ha contato qualcosa che il giorno prima un comunicato ufficiale dei Fratelli Musulmani egiziani, dei quali l’Ucoii è la gemmazione italiana, avesse condannato con dure parole il misfatto: «La Fratellanza – si legge nel comunicato egiziano – condanna nei più duri termini possibili questo esempio di cinico e insensibile disprezzo dei terroristi per la vita umana. Sottolinea che nulla giustifica il terrorismo, che è un’aggressione ai valori islamici che proibiscono qualunque atto di violenza, senza distinzioni di lingua, cultura o religione». Il testo non manca di alludere a inadempienze da parte del governo di Hosni Mubarak: «L’attacco è giunto dopo che il ministero degli Interni egiziano aveva promesso di aumentare la sicurezza presso i siti cristiani, dopo che al Qaeda in Iraq aveva rivolto minacce ai cristiani egiziani. La Fraternità fa appello alle autorità perché si diano una mossa e si assumano le proprie responsabilità nel garantire la necessaria sicurezza presso tutti i luoghi di culto». Gli anni Settanta dell’Egitto | 19 gennaio 2011 | P er i cristiani dell’iraq o della Nigeria massacrati non avevano mai speso una parola pubblica, nemmeno dopo la strage di Baghdad del 31 ottobre. Per i cristiani copti di Alessandria, invece, i musulmani italiani dell’Ucoii sono scesi in campo per esprimere «orrore e dolore» Caos in egitto dopo l’attacco ai cristiani. A lato, il leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Badle e affermare solennemente che «nessuna fede, credenza o ideologia potrà mai essere invocata per giustificare o anche solo spiegare le motivazioni aberranti che hanno condotto ad un atto tanto efferato che in tutta evidenza è stato pro- Foto: ap/lapresse la strage dei cristiani ha dato spago alle rivendicazioni antigovernative e islamiste dei Fratelli musulmani. ora il rischio è che il paese si rifugi nella stessa cultura fanatica che alimenta la follia suicida dei kamikaze 26 Fuori dalle stanze del potere L’attentato di Alessandria mira a destabilizzare l’Egitto, ma il suo effetto politico immediato è di indebolire l’immagine del governo e di promuovere le ragioni dei Fratelli Musulmani, che da sempre denunciano l’inettitudine dell’esecutivo in carica e promettono maggiore sicurezza per tutti se fosse loro concessa la chance di governare il paese. Tanto più all’indomani di una tornata elettorale manipolata dall’establishment, che ha deciso di cancellare la presenza dei Fratelli Musulmani dal parlamento dove fino a ieri occupavano il 20 per cento dei seggi. Su questo punto concordano due osservatori interni come padre Samir Khalil Samir, gesuita docente universitario a Beirut e in Italia, e padre Rafiq Greish, responsabile per le comunicazioni sociali della Chiesa melchita al Cairo. «I Fratelli Musulmani non hanno compiuto o ispirato l’attentato, ma ne sono i beneficiari politici, perché ora possono puntare il dito contro l’inettitudine del governo e lamentare di non poter fare nulla per colpa del pote- | | | 19 gennaio 2011 | 27 Egitto. Nel nome dei kamikaze Un paese a rischio estremismo dopo l’attentato di Alessandria che ha promosso le rivendicazioni antigovernative e islamiste dei Fratelli Musulmani. Intanto, la condanna degli egiziani corre su facebook Rodolfo Casadei, Valentina Colombo .............................................................................................................. 26 34 CULTURA IL ROMANZO È COME UN RING Io faccio a cazzotti con gli angeli «La narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo polvere, dunque se disdegnate d’impolverarvi, non dovreste tentar di scrivere narrativa». Ecco il manifesto inedito di Flannery O’Connor. L’Incarnazione contro lo spiritualismo S In questa foto, Flannery O’Connor. Nella pagina accanto, una foto scattata nella tenuta di Milledgeville 34 | 19 gennaio 2011 | see, ha generato i Southerners, cioè scrittori quali Erskine Caldwell, Carson McCullers, Tennessee Williams, William Faulkner. Morì per un tumore nel 1964, a soli trentanove anni, a Milledgeville, dove aveva trascorso gran parte della sua vita di convalescente, essendo stata colpita in giovane età dal lupus eritematosus, ereditato dal padre, che di questa malattia pure morì. Nella sua breve vita scrisse ventisette racconti e due romanzi: La saggezza nel sangue (Wise Blood) del 1952, da cui John Huston nel 1979 trasse il divertente e terribile film omonimo, e Il cielo è dei violenti (The Violent Bear It Away) del 1960. All’opera narrativa vanno aggiunte le lettere e le prose occasionali di Mystery and Manners. La sua opera dunque non è immensa, ma è bastata a farla diventare una scrittrice di culto. Molti i riconoscimenti ricevuti in vita: tre borse di studio rispettivamente dalla prestigiosa Kenyon Review, dal National Institute of Arts and Letters e dalla Ford Foundation. Vinse tre volte l’O’Henry Awards e ricevette due econdo Attilio Bertolucci dopo Hemingway, Faulkner e Fitzgerald l’America non aveva avuto autori veramente importanti. Tuttavia, dopo aver letto i testi della O’Connor, si disse «folgorato». Si può restare folgorati leggendo un libro se è scritto da un autore che sente, a sua volta, la scrittura come una folgorazione, una vocazione bruciante. I testi raccolti nel volume, tutti ancora inediti in italiano, costruiscono un percorso che illustra meglio questa “vocazione” e il suo possibile effetto folgorante sul lettore. Mary Flannery O’Connor Alle cose «bisogna dar corpo, creare nasce il 25 marzo del 1925 a Savannah, in Georgia, quella un mondo dotato di peso e di spessore». terra degli Stati Uniti d’America «Mostri queste cose e non avrà bisogno di che, con la parte Est del Tennes- dirle», consiglia in una lettera a Ben Griffith Flannery O’Connor. Il volto incompiuto L’ode alla polvere della ragazza che faceva a cazzotti con gli angeli. Stralci inediti da una nuova antologia.... 34 Milano. Dialoghi sulla città che ride Le voci e i luoghi di una città che si scopre contenta Chiara Sirianni, Laura Borselli ..........................................................................................................................................38 Non sento le Voci Sono cattolica I peccati più gravi? Sentimentalismo e pornografia. Ma per l’arte, non per la morale. «E se mi chiedono cosa mi ispira, la mia tendenza è di diventare mortalmente stupida e rispondere “Scrivo e basta”» Foto: Getty, Antonio Spadaro Esce in questi giorni nelle librerie, per la collana Bur “I libri della speranza”, Il volto incompiuto, antologia di saggi e missive di Flannery O’Connor finora inediti nel nostro paese. Pubblichiamo stralci dell’introduzione di Antonio Spadaro, uno dei massimi esperti italiani della scrittrice statunitense e curatore del volume, e di seguito una selezione di lettere. di Antonio Spadaro CULTURA lauree ad honorem. Nel 1988 la un’abitudine, come un modo abituale di sua opera narrativa e una seleguardare le cose». È la materia e la concrezione di quella epistolare e sagtezza della vita che danno realtà al mistero gistica è stata pubblicata nella del nostro essere nel mondo. prestigiosa collana della LibraAl diavolo i simboli ry of America. Oltre ai grandi del passato, questo onore Da qui ecco il compito che la scrittrice ricofino a quel momento era stato nosce a se stessa: concepire l’infinita trama riservato solamente a William del finito, nella sua assoluta contingenza e «Il fondamento morale della Poesia è il Faulkner. Le sue poche pagine nella sua precisione: «Il fondamento morale dunque l’hanno fatta apprezza- nominare in maniera accurata le cose di della Poesia è il nominare in maniera accure come un’icona, un “mostro Dio», «rendere giustizia all’universo visibile» rata le cose di Dio», «rendere quanta più giusacro”, un modello. Del resto, perché «è un riflesso di quello invisibile» stizia possibile all’universo visibile» perché che cosa c’è di comune tra Bruesso «è un riflesso di quello invisibile». Dio è ce Springsteen e Nick Cave, registi quali re»: scrivere narrativa non è questione di un dato dell’esperienza, non un’intuizione John Huston e Quentin Tarantino, scritto- «dire» cose, ma di farle «vedere» al letto- della mente o dello spirito: nello splendido ri quali Raymond Carver, Elizabeth Bishop re, di mostrarle: «Mostri queste cose e non racconto The Turkey (Il tacchino), è addirite l’australiano Tim Winton o tra i nostri avrà bisogno di dirle (show these things tura rappresentato da un tacchino a cui un Luca Doninelli e Carola Susani? Nulla, for- and you don’t have to say them)», consiglia undicenne sta dando la caccia, mentre nel se. Tranne Flannery O’Connor, letta, amata, in una lettera a Ben Griffith, che gli aveva racconto A View of the Woods (La veduta inviato un racconto in lettura. Personaggi del bosco) Cristo è reso in figura dal bosco, rappresentata o imitata da tutti loro. e avvenimenti hanno un aspetto che col- in cui i «pini, visti di fianco avevano l’aria Il duello di Giacobbe pisce la percezione, sono incarnati e mate- di camminare sull’acqua». Per la O’Connor All’interno di una lettera del 17 gennaio riali: «Il mondo dello scrittore di narrativa non è il materiale a spiritualizzarsi, ma lo 1956 la scrittrice si descrive efficacemente è colmo di materia», mentre spesso si cre- spirituale a materializzarsi, secondo il prinin un ricordo biografico dagli echi biblici: de che siano le emozioni tumultuose o le cipio dell’Incarnazione. E ciò fa a pugni con «Ho fatto i primi sei anni di scuola dalle suo- idee grandiose a fare un racconto. Nient’af- ogni forma di psicologizzazione o mera re. (…) Fra gli otto e i dodici anni avevo l’abi- fatto. Con i concetti astratti e i presupposti simbolizzazione. Una volta la scrittrice si tudine di chiudermi ogni tanto a chiave in teorici non si fanno storie: la caratteristica trovò a cena da Mary McCarthy, altra nota una stanza e facendo una faccia feroce (e cat- principale, e più evidente, della narrativa penna dei suoi anni, che le disse di considetiva), vorticavo torno torno coi pugni serra- «è quella d’affrontare la realtà tramite ciò rare l’Eucarestia solamente come un «simti scazzottando l’angelo. Si trattava dell’an- che si può vedere, sentire, odorare, gustare, bolo». La risposta della O’Connor fu netta: gelo custode del quale, secondo le suore, tut- toccare. È questa una cosa che non si può «Beh, se è un simbolo, che vada al diavolo ti eravamo provvisti. Non ti mollava un atti- imparare solo con la testa; va appresa come (Well, if it’s a symbol, to hell with it)». mo. Lo disprezzavo da morire. Sono convinta di avergli addirittura mollato un calcioLE LETTERE MAI USCITE IN ITALIA ne finendo lunga distesa». Flannery O’Connor rimase una bambina che scazzottava l’angelo custode (socking the angel) che però non la mollava un attimo. Ce lo conferma un suo saggio, frutto di una conferenza tenuta alcuni mesi prima della morte, nel quale sostiene che lo scrittore deve lottare «come Giacobbe con l’angelo. (…) La stesura di un romanzo degno di questo nome è una sorta di duello personale (a kind of personal encounter)». Il testo funziona se è attiva questa lotta, che la O’Connor nomina in vari modi: wrestle, encounter, fino al termine socking, proprio dello slang. Leggere la O’Connor significa entrare nel ring delle sue pagine. Da dove nascono le sue storie? Che cosa le rende così intense? La sua scrittura è molto legata al reale, mentre è del tutto disinteressata ai labirintrovata dopo mezz’ora a pagina 9 che dorti della psicologia: «La narrativa riguarda di Flannery O’Connor miva profondamente. (…) Spero vi sia arritutto ciò che è umano e noi siamo polvere, vata la ricetta dei sottaceti. Regina non ne A Sally e Robert Fitzgerald dunque se disdegnate d’impolverarvi, non aveva mai fatti, ma ha trovato la ricetta in Martedì (metà settembre 1951) dovreste tentar di scrivere narrativa». Da Allego l’Opus Naseosus n. 1. Quando è un vecchio libro di cucina molto sporco, qui un prezioso avvertimento: non è possi- arrivato dattilografato l’ho dovuto leggere quindi dovrebbe andar bene… bile suscitare emozione con testi che trasu- di nuovo ed è stato come passare la giornadano emozione né suscitare pensieri riem- ta a ingoiare una vecchia coperta. Mi semAd A. 20 ottobre 1955 piendo le pagine di considerazioni e rifles- bra davvero tedioso, ma sempre meglio Nella tua immaginazione vado di male sioni. A queste cose «bisogna dar corpo, cre- di prima. Mia madre ha detto che voleva in peggio – prima una fascista e ora Cupiare un mondo dotato di peso e di spesso- rileggerlo, così se l’è portato dietro e l’ho do. (…) Non ho assistito alla conferenza | | | 19 gennaio 2011 | 35 50 L’ITALIA CHELAVORA L’ITALIA CHE LAvORA La vetrina diventa un set Dalla progettazione di scenografie per musical all’arredo di un negozio il passo è davvero breve. La New Crazy Color, azienda di visual marketing, non dà nulla per scontato e i particolari sono curati nel dettaglio per esaltare i brand del lusso S ognare di fronte alle vetrine dei negozi, immaginare di aggiungere al proprio armadio capi di alta moda dai prezzi proibitivi, rimanere con il naso incollato alla vetrina di un negozio, totalmente affascinati non solo dai prodotti ma anche dalla loro posizione perfetta nel contesto in cui sono esposti. Dove nulla è casuale, tutto è uno spettacolo di esaltazione della merce, sia un’automobile o un cappotto, che allo stesso tempo può diventare una bandiera della marca. La vetrina è anche più importante della disposizione interna dello stesso emporio. È il mezzo in grado di catturare l’attenzione del passante e sottrarlo alla frenesia dei suoi passi e convincerlo a entrare in negozio. È una 50 | 19 gennaio 2011 | | vera e propria arte, in cui tanto vale il messaggio che vuol far passare il negoziante quanto il prodotto offerto. E spesso quando si tratta di eccellenza, si parla di made in Italy, quello che Roberto Casanova e Roberto Iannaccone stanno esportando in tutto il mondo, con la loro New Crazy Color, un’azienda di visual marketing. Un’avventura inaspettata per due amici che sono nati progettando scenografie di musical, sono passati per gli studi Mediaset e sono finiti ad arredare le vetrine dei negozi firmati in tutto il mondo. Un portfolio incredibile, che va da Prada a Tom Ford, da Hermes a Ermenegildo Zegna, da Chicco a Sky. «L’aspetto più interessante nel nostro campo – spiega a Tempi Roberto Iannaccone – è stato l’ampliamento del nostro mercato in Cina, attraverso clienti come Dolce&Gabbana, Moschino e Bottega Veneta. Si tratta di un paese in cui le vie del lusso aumentano di giorno in giorno così come crescono i milionari. Perciò, occorrevano vetrine all’altezza della richiesta, e non trovando risposta alle loro esigenze, gli stilisti che aprivano showroom chiamavano noi italiani. Possiamo affermare che, allo stato attuale, la Cina rappresenta il 60 per cento dei nostri introiti, il 30 è per l’Europa e il 10 per l’America, continente in cui purtroppo i consumi si sono di molto arrestati. Di conseguenza anche il settore del visual marketing ha subìto un brusco rallentamento. Grazie al successo che stiamo avendo sulle strade cinesi, abbiamo ottenuto il premio Best Italian Luxury 2010. Uno dei ricordi più belli della nostra carriera». Un lavoro non banale, dove bisogna stare attenti alle molte incognite. Prima di tutto occorre capire i bisogni del cliente, le sue intenzioni e soprattutto qual è l’essen- Asinistra,l’ingressodella sedediNewCrazyColor aMonza. Inalto,Iannaccone eCasanovadurante lapremiazione perl’eccellenza delmercatodellussolo scorsosettembre aShanghai. Nellealtrefoto,vetrine firmatedaNewCrazyColor za del prodotto che viene offerto. Poi bisogna pensare a un’idea di allestimento scenico che va fatta su una superficie relativamente piccola come può essere una vetrina. Il tutto senza dimenticare che il tempo corre veloce e le esigenze e gli interessi della gente cambiano. Quindi in al massimo due mesi bisogna essere pronti per la consegna. Tempi fondamentali che vanno assolutamente rispettati, a maggior ragione quando le vetrine vengono studiate per delle occasioni particolari come quelle per il periodo natalizio, dove arrivare in ritardo rispetto alla concorrenza significherebbe sballare la vendita di un intero marchio. La New Crazy Color propone anche progetti davvero complessi e per realizzare i loro “set” utilizza materiali molto innovativi. È stato così per due monomarca di Prada, aperti a Beverly Hills e a Tokyo dove è stato utilizzato un tipo particolare di spugna per rivestire tutte le pareti delle vetrine. Un progetto ambizioso e allo stesso tempo che ha reso entusiasti i committen- entra al New Crazy Color è come se si trovasse a passeggiare in via Montenapoleone in centro a Milano. Sono affiancate l’una all’altra e in scala 1:1 gran parte delle vetrine che abbiamo realizzato. In questo modo ci si può fare un’idea di quello che siamo in grado di fare. Non ci spaventano le sfide e i progetti insoliti che ci vengono richiesti. Neppure se si tratta di quello a cui stiamo lavorando adesso, una vetrina di Miss Sixty in cui 150 occhi in plastica si girano a seconda dei movimenti del cliente. Un altro grande successo che ci ha regalato molta soddisfazione è stato quando abbiamo realizzato un auto in fibra di vetro. Senza motore naturalmente. Ogni compoti, così tanto che la Fondazione Prada ha nente era fornito da un’azienda differenvoluto pubblicare un libro per spiegare i te leader nel proprio settore. La Kenwood dettagli del progetto e mostrare attraverso ad esempio ci ha fornito gli amplificatori dell’autoradio. Un progetto costato 150 immagini la realizzazione. mila euro che per la sua unicità è stato In sede come in Montenapoleone ripreso dai maggiori quotidiani del settore «Il nostro prossimo esperimento di visual automobilistico e non, e perfino dalla Cnn. marketing – continua il creativo – si terrà Il video dimostratitvo, caricato su Youtua Dusseldorf, il prossimo febbraio, duran- be nel 2007, è stato uno dei più visti e lo è te la fiera esclusiva del settore, l’Euroshop. ancora. In questo modo i marchi che hanLì allestiremo una parete di tre metri dove no partecipato al realizzazione continuano esporremo tutti i tipi di materiale che a usufruire della pubblicità». abbiamo utilizzato. In questo modo i visiIn via di sviluppo anche un progetto tatori che si fermeranno allo stand potran- fatto in collaborazione con la Confartigiano farsi un’idea di quello che noi riuscia- nato, per difendere il ruolo dei piccoli artimo a costruire e realizzare per rendere più giani lombardi, e che verrà inaugurato il attrattiva una vetrina. Questo è lo stesso prossimo 15 gennaio. «Il mestiere dell’arconcetto che utilizziamo nella sede princi- tigiano è importante anche per noi, visto pale dell’azienda che si trova a Monza. Chi che senza un buon modellista non riusciamo a fare una buon alle«Noncispaventanolesfideeiprogettiinsoliti stimento. È anche grazie a loro che i nostri clienti in checivengonorichiesti.Neppuresesitratta Cina preferiscono scegliere direalizzare150occhiinplasticacheseguono il made in Italy». ElisabettaLongo continuamentetuttiimovimentideiclienti» | | 19 gennaio 2011 | 51 Classe creativa. E il sogno diventò impresa Progettavano scenografie di musical, sono finiti ad arredare le vetrine dei negozi firmati in tutto il mondo. Da Prada a Tom Ford, da Chicco a Sky, storia di due amici e di un’azienda chiamata New Crazy Color Elisabetta Longo ................................................................................................................................................................................................ 50 Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 17 – N. 2 dal 13 al 17 gennaio 2011 COPERTINA DI Francesco Camagna (foto: Getty images) DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Emanuele Boffi, Laura Borselli, Mariapia Bruno, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Benedetta Frigerio, Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Elisabetta Longo, Pietro Piccinini, Chiara Rizzo, Chiara Sirianni SEGRETERIA DI REDAZIONE: Elisabetta Iuliano DIRETTORE EDITORIALE: Samuele Sanvito PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Mondadori Printing S.p.A., via Mondadori 15, Verona DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, tel. 02/31923730, fax 02/34538074, [email protected] EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 RESPONSABILE COMMERCIALE: Fabrizio De Luigi GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione, 4 20154 Milano. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico di Tempi Società Cooperativa verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali). L’OBIETTORE I sIndaCaTI aLLa pROva maRChIOnnE Solidarietà a Susanna Camusso Le riforme non si fanno a colpi di spada di Oscar Giannino E sprimo irritualmente tutta la mia solidarietà e sostegno a Susanna Camusso, leader nOn sOnO della Cgil. È stato ed è evidente a d’aCCORdO chiunque sia dotato di un minimo di spirito di osservazione e di capacità di apprezzamento delle sfumature di cui è fatto il linguaggio pubblico e quello sindacale, che la segretaria generale della Cgil non condivide la scelta della Fiom di non firmare l’intesa a Mirafiori, e di erigere le barricate chiedendo ai lavoratori di votare no come se si trattasse di opporsi al regime di Mussolini, rivisitato in chiave cilena per effetto dell’odiato amerikano Markionne. La Camusso ha detto, senza timore di esporsi a critiche, che l’accordo era meglio firmarlo, come del resto la pensa la minoranza in Fiom guidata da Durante – un terzo del comitato centrale – perché altrimenti il rischio è che i lavoratori si facciano due conti, su chi non solo difende lo stabilimento ma soprattutto porta nelle loro tasche aumenti salariali fino a 3.700 euro lordi l’anno. Foto: AP/LaPresse Una responsabilità storica In più, è inevitabile che in caso di vittoria dei no e di smantellamento di Mirafiori ricadrebbe sulla FiomCgil, la responsabilità storica della fine di un pezzo essenziale e pluricentenario della storia industriale italiana. E non è piaciuto alla Camusso neanche che Landini, il segretario della Fiom, abbia ritenuto giusto e opportuno rivolgersi direttamente al Pd e a Bersani, chiedendogli di sciogliere le riserve, superare le divisioni che anche in campo democratico sono state evidenti, e pronunciare un giudizio netto prima del voto allo stabilimento di Mirafiori. È ovvio che la Fiom mira in questo modo a scavalcare la Cgil come interlocutore diretto della sinistra, sposando la linea antagonista e di fatto riassestando il partito su una linea vendolian-rifondazionista-movimentista invece che sulla scelta socialdemocratica che ha spinto il segretario Bersani a lanciare un’offerta di La Fiom mira a scavalcare la Cgil come interlocutore diretto della sinistra, di fatto riassestando il partito su una linea vendolian-movimentista invece che sulla scelta socialdemocratica di Bersani alleanza a Casini. Come si fa, da persone ragionevoli e davanti a tutto questo po’ po’ di sgambetti e decisioni avventate e toni ultimativi a fronte di enormi rischi, a non esprimere comprensione e solidarietà a Susanna Camusso, che a poche settimane dalla sua ascesa al timone della confederazione si è dovuta pure leggere interviste di vecchi esponenti Fiom impregnate di maschilismo, visto che gli argomenti erano non solo che lei in fabbrica non c’è mai stata ma che soprattutto anche da giovane quadro non ha mai brillato per giudizio proprio ma solo perché andava a ricasco di qualche leader maschio? In ballo c’è la modernizzazione Può essere deluso della Camusso solo chi immagina che la storia delle grandi organizzazioni proceda per svolte a colpi di spada. È vero che a volte – rarissimamente – capita. Ogni tanto c’è un Tony Blair che abolisce la clausola del vecchio partito laburista che dava la maggioranza dei delegati in congresso alle vecchie Trade Unions, aprendo la sinistra alla società civile e al mercato. Ma capita appunto rarissimamente, perché di solito un leader di grande organizzazione – soprattutto sindacale – deve essere capace di andare avanti senza perdersi per strada quasi nessuno. La Fiom in Cgil è portatrice indefessa da molti anni di una linea che nella confederazione è minoritaria, ma che tra i meccanici è rocciosamente chiusa a modifiche. Questo spiega perché, delle decine di contratti di categoria firmati dopo l’accordo interconfederale in cui Confindustria due anni fa decise di uscire dall’attesa messianica della Cgil nutrita da Luca Cordero di Montezemolo, per imboccare insieme a Cisl e Uil la strada delle decisioni a maggioranza e delle deroghe contrattuali e dei contratti aziendali – tutte le premesse per Pomigliano e Mirafiori, fatte da Confindustria all’inizio contro la Fiat che restava sulla linea montezemoliana – di quelle decine e decine di contratti dicevo in tutti i settori sono stati firmati anche dalle federazioni di categoria della Cgil, mentre solo sui meccanici non è avvenuto. Come non era avvenuto nei due contratti precedenti, visto che la Fiom è da 10 anni che non firma contratti e li contesta a suon di scioperi, per poi invocarli contraddittoriamente come una trincea di libertà. Esattamente come la Cgil respinse l’accordo del 1993 sulla rappresentanza, che invece oggi - abrogato a maggioranza a Mirafiori – invoca come fosse la Costituzione. Perché Susanna Camusso possa col tempo tentare di riaprire la Fiom al riformismo superando l’antagonismo, bisogna che a Mirafiori vincano i sì. Ci sono tante altre ragioni prioritarie, visto che a nessuno che sia sensato può convenire che Fiat salga al 51 per cento di Chrysler senza manifattura in Italia. Ma il sì a Mirafiori serve anche alla Camusso. E insieme a lei a tutti coloro che preferiscono un sindacato e una sinistra riformisti, per far crescere meglio il paese. | | 19 gennaio 2011 | 9 Meglio non andare a votare, meglio cercare un’intesa coi partiti e non solo con singoli deputati, meglio allargare i cordoni della borsa. Il governatore Formigoni chiede al governo un cambio di strategia La mossa per far politica senza vivacchiare 10 | 19 gennaio 2011 | | agenda 2011 | | 19 gennaio 2011 | 11 di Emanuele Boffi F uturo del governo, la bocciatura del Tar dell’atto di indirizzo lombardo sulla 194, la strage dei cristiani copti in Egitto. Il 2011 del governatore Roberto Formigoni si apre su questioni che chiamano in causa la sua identità di «cattolico impegnato in politica», così come ama definire il suo impegno nell’agone pubblico. Presidente, partiamo dalla situazione politica italiana. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha dichiarato che «la crisi non è finita. Siamo come in un videogame, spuntano sempre nuovi mostri». In sostanza ha fatto intendere che non allenterà i lacci della borsa e pare che la vicenda non piaccia molto al premier Silvio Berlusconi, che forse vorrebbe dare avvio a una fase politica nuova. È giusto che un governo tenga i conti in ordine. Ma governare non significa ridurre l’azione a un’operazione di pura ragioneria. Finora è stato corretto essere rigorosi, ma ora è il momento di dare un po’ di slancio al paese. Dire sempre “no”, non è sempre la scelta più assennata. Credo, quindi, che sia giusta l’intuizione del presidente del Consiglio che vuole iniziare a dire anche qualche “sì”. D’altronde è sotto gli occhi di tutti che ci sono nel nostro paese categorie di persone che fanno più fatica: penso alle famiglie, agli artigiani, ai piccoli imprenditori. Ma quanto può durare ancora l’esecutivo? Si susseguono annunci di passaggi di singoli parlamentari nella fila della maggioranza, ma si fatica a comprendere se, al di là dei numeri, si possa scommettere su un’effettiva solidità del centrodestra. La premessa necessaria da fare è che, in un momento economico delicato come quello che stiamo attraversando, ciò che dobbiamo scongiurare è la caduta dell’esecutivo e un periodo di campagna elettorale. Detto questo, iniziano tre settimane decisive. Bisogna lavorare per allargare la maggioranza, non solo e non tanto a singoli deputati, ma ad altri partiti. Occorre stipulare degli accordi con le formazioni a noi più vicine. È quel che il Popolo della libertà ha proposto; è un’apertura che abbiamo fatto. Dobbiamo essere disposti ad allargare il programma di governo e anche ad approvare misure economiche che ci permettano di raggiungere questo risultato. Dobbiamo fare di tutto perché questo avvenga fissando come data ultima per questo tentativo la fine del mese. Se a inizio febbraio potremo contare in parlamento solo su una maggioranza risicata di tre voti, la scelta del voto sarà inevitabile. E la Lega Nord non è un intoppo a questa strategia? Finora la Lega è stata un alleato fedele. La tenuta dell’alleanza è un fatto da 12 | 19 gennaio 2011 | | agenda 2011 PRIMALINEA chE cRIsI cI AsPEttA? PESSIMISMO Per Tremonti «è un videogame dove spuntano nuovi mostri» Il 2011 sarà come il terribile 2010? Il ministro dell’economia giulio Tremonti vede nero e, a inizio anno, ha dichiarato che «la crisi non è finita. Siamo come in un videogame, spuntano sempre nuovi mostri». OTTIMISMO Per Berlusconi “non è finita ma qualcosa si sta muovendo” Il premier Silvio Berlusconi ha dichiarato il suo ottimismo, ribadendo che se è vero che la crisi non è finita è anche vero che “qualcosa si muove”: «Me lo dicono molti imprenditori e lo vedo dalle aziende del mio gruppo». che abbiamo fatto in Lombardia non è stato “stravolgere la 194”, ma è sempre stato darne una correttissima interpretazione. Non lo afferma solo il cattolico Formigoni, lo sostengono tanti medici pro choice della Mangiagalli – cito, su tutti, la dottoressa Alessandra Kustermann – che hanno firmato quel protocollo. Quindi le dichiarazioni di Marino e dei radicali sono semplicemente assurde. Per il Tar è «del tutto illogico permettere che possa essere disciplinato differentemente sul territorio nazionale l’accesso alle prestazioni». Il Tar ha preso una cantonata. Mi chiedo, poi, come mai i tanti Tar d’Italia siano stati così silenti quando nel paese è arrivata la pillola Ru486 e – questo sì in spregio alla 194 – essa è stata somministrata al di fuori delle mura ospedaliere. Ora cosa cambierà in Lombardia? Nulla. Tutto rimarrà come prima nei nostri ospedali. Cambierà qualcosa invece in Italia. Con il ministro Maurizio Sacconi e il sottosegretario Eugenia Roccella rilanceremo la sfida per fare firmare un’intesa in tutte le regioni affinché non si possa abortire oltre le 22 settimane e i tre giorni. I “governatori rossi” accetteranno? Foto: www.formigoni.it, aP/LaPresse Sopra il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. A sinistra, il governatore Roberto Formigoni indica la mastodontica scritta (400 metri quadrati) che ha fatto esporre per un mese sul Pirellone, la sede della Regione Lombardia da lui guidata per ricordare le stragi dei cristiani nel mondo cui non possiamo prescindere. Certo, se l’obiettivo è cercare di allargare la maggioranza, chiedere in continuazione il voto non aiuta. Il Tar di Milano ha bocciato l’atto di indirizzo della Regione Lombardia in materia di aborto terapeutico (vedi servizio a pagina 21). Lei ha fatto notare che la vostra indicazione è in pieno accordo con la legge 194 che impone il soccorso del nascituro. E che quell’indicazione del 2008, avvallando comportamenti già diffusamente messi in pratica in molti ospedali (in Mangiagalli a Milano, ad esempio, già dal 2004), fissa un limite oggi accettato dalla comunità scientifica e medica, anche pro-aborto. Eppure il senatore Ignazio Marino e i radicali hanno esultato perché «così si è fermato chi voleva stravolgere la 194». Già, Marino e i radicali! E poi sarebbero loro i progressisti! La legge 194 è del 1978. In questi trentatré anni il mondo è cambiato non una, ma mille volte. Eppure loro continuano a tenere la testa sotto la sabbia. Questo loro atteggiamento dimostra che hanno paura perché si sono resi conto che l’opinione pubblica su alcune questioni come l’aborto è cambiata. Non credo che la 194 sia una buona legge, ma quel Dovranno dircelo guardandoci in faccia. Ricorderò loro che questi sono risultati attestati dalla scienza. Voglio proprio vedere come faranno a negarlo. Per un mese ha fatto esporre su palazzo Pirelli una scritta di 400 metri quadrati: «Salviamo la vita dei cristiani in Iraq e nel mondo». Si era all’indomani dell’uccisione di 52 fedeli dentro alla cattedrale siro-cattolica di Baghdad e oggi, a poche settimane dallo sterminio dei 22 credenti copti in Egitto, quel manifesto torna d’attualità. Questa è una persecuzione che ogni uomo di buona volontà dovrebbe avvertire come una tragedia. La tragedia di migliaia di cristiani che sono perseguitati in tutto il mondo a causa della loro fede. Non bisogna stancarsi di chiedere alle autorità internazionali di intervenire per difendere uno dei diritti fondamentali della persona. Da questo punto di vista, il nostro governo si sta dimostrando assai sensibile alla questione, grazie al buon lavoro del ministro Franco Frattini, anche se, purtroppo, tutti constatiamo la scarsissima attenzione da parte dell’Unione Europea. Vecchia questione: l’Europa non è mai stata in prima fila nella difesa dell’identità cristiana. Vero, ma questo, se possibile, è un caso ancor più grave. Non stiamo parlando di simboli, ma del«Finora è stato corretto essere rigorosi, ma la vita quotidiana di persone dire sempre “no” non è la scelta più assennata. concrete. Purtroppo l’EuroCredo sia giusta l’intuizione di Berlusconi pa ha ancora una volta scelto la politica dello struzzo. che vuole iniziare a dire anche qualche “sì”» | | 19 gennaio 2011 | 13 Federalismo. O sarà l’alluvione R esta solo da capire se i voti ci sono: il Cavaliere dice di sì e il senatùr assicura di credergli. Vedremo chi ha più dimestichezza col pallottoliere. Intanto la Lega Nord tira dritto nella sua strategia comunicativa e di governo. Federalismo municipale entro gennaio o dritti alle urne in primavera, come ha ribadito il ministro Roberto Calderoli al Sole 24 Ore: «Non è un ultimatum ma o il decreto passa nella settimana che va dal 17 al 23 gennaio oppure non ci sono santi». E se l’Udc – che pure ha già votato contro il federalismo, contro il pacchetto Maroni, contro le quote latte e non molla sul quoziente familiare – questa volta si dice 14 | 19 gennaio 2011 | | pronto al confronto, per molti esponenti di Futuro e libertà il sostegno al federalismo è condizionato dalle tattiche di giornata. Pier Ferdinando Casini gioca da una posizione di forza: è sempre stato coerentemente all’opposizione, sul federalismo ha votato contro. Ogni sua apertura (come quella sulla proposta di “pacificazione per l’Italia”) è una concessione che può far pesare nella trattativa. Ma per i finiani? Sono i loro tentennamenti, così come le quotidiane punzecchiature, a fare andare di traverso il prosecco delle feste al presidente Luca Zaia, che – stando a un recente sondaggio – è il governatore più apprezzato dagli abitanti del suo territorio. Per l’enfant prodige della Lega, assurto a governatore del Veneto incassando le preferenze di più di un milione e mezzo di cittadini c’è un solo scenario possibile e auspicabile: «Spero che si votino i decreti sul federalismo e che questo paese si doti di una riforma importante a livello istituzionale e costituzionale. Sono esattamente le promesse e gli impegni che ci siamo presi con gli italiani. Punto». temete le imboscate dei finiani? Io rispetto le letture di chiunque, ma vi ricordo che se siamo qui a fare la conta tutti i giorni è grazie a questi signori. Che sono in Parlamento per rappresentare degli elettori che li hanno votati per governare, non per mandare a «siamo qui a fare la conta per i signori di Fli. casa un governo. che sono in parlamento per rappresentare degli elettori che li han votati per governare, non per mandare a casa un governo» Qualunque cosa accada vale ancora la sua richiesta di un “federalismo a geometria variabile”, in un certo senso Foto: AP/LaPresse il presidente veneto leghista luca zaia agenda 2011 PRIMALINEA «È illogico che ogni territorio disciplini una materia che coinvolge valori essenziali quali “vita e salute”»: lo ha detto il Tar bocciando le linee guida del governatore lombardo Roberto Formigoni sulla legge 194. A sinistra e sotto, immagini dell’alluvione che ha colpito il Veneto a inizio novembre. Sopra, il governatore del Veneto il leghista Luca Zaia. Sotto, a sinistra, il Capo dello Stato Giorgio Napolitano secondo cui, dice Zaia, «il federalismo non è più una scelta, ma una necessità» In generale si dice che le sentenze dei tribunali non si discutono ma si applicano. Tuttavia mi chiedo: i cittadini non delegano forse le istituzioni a rappresentarli? Non vi è forse una sola legge che per sua natura esige un consenso unanime, ossia il patto sociale, legittimato dalla volontà generale che dirige tutti verso il bene comune? Io non voglio neanche entrare in merito al tema dell’aborto e delle convinzioni del governatore lombardo o di una partita che condivido pienamente, io difendo il principio: Formigoni è stato eletto e rappresenta democraticamente la volontà del suo popolo e non capisco per quale motivo qualcuno debba scardinare questo presupposto. Si trattasse di aborto, di bollo auto, di una legge sugli spazzacamini: uno viene eletto per governare, non per trovarsi sempre sub judice. O no? Di fatto, però, ancora una volta le sentenze dei giudici hanno sostituito le scelte della politica. Quello della giustizia resta in definitiva un problema solo del premier Silvio Berlusconi, e dei suoi veri o presunti guai giudiziari o ha dimensioni più ampie secondo lei? anticipato negli interventi per rilanciare il territorio dopo l’alluvione? Il Veneto è pronto al federalismo e deve poter partire prima degli altri? Assolutamente sì. Quella di un Veneto autonomo in un’Italia federale è una questione genetica, iscritta in ogni filamento del nostro dna. In Veneto sette persone su dieci parlano e pensano in veneto. In Veneto tutti noi siamo consapevoli di lasciare a Roma sette miliardi di euro di tasse all’anno. In Veneto abbiamo la coscienza che la grande sfida per la nostra regione e per tutto il paese passa attraverso la riforma federalista. Foto: aP/LaPresse Il Veneto vive anche l’emergenza lavoro: meno di un anno fa ci sono stati venti suicidi tra gli imprenditori e si contavano 107 mila disoccupati... E lei lo sa quanti sono oggi? Centotrentamila. Cioè sono aumentati. E stiamo parlando della regione che insieme alla Lombardia rappresenta la locomotiva di questo paese: pensare che le locomotive siano lasciate senza carburante mi fa sinceramente ridere. Vogliamo ripartire? Abbiamo il coraggio allora di avviare la stagione delle riforme, di avviare il fede- ralismo solidale. Il che significa puntare alla sussidiarietà, non a sostenere gli sprechi dei nostri conterranei. Perché è difficile spiegare a un veneto che ci sono regioni come la Sicilia che hanno 27 mila guardie forestali, quando il resto d’Italia ne conta 6 mila, o come la Calabria, che conta sette ospedali per 200 posti letto e che l’unica cosa che sa fare è esportare malati. Lo ripeto: siamo per un federalismo rispettoso fino in fondo dei dettami della solidarietà (in Veneto una persona su cinque fa volontariato), ma che abbia tra i suoi postulati il richiamo a una nuova responsabilità. Come ha detto anche il Capo dello Stato, il federalismo non è più una scelta, è una necessità. Non faccio parte della schiera di coloro che parlano sempre male della magistratura. Dico semplicemente però che se tutti noi non facciamo un passo indietro – tutti: politica, magistratura, mass media e non ultimo i cittadini –, se non accettiamo di sostituire all’odio e all’acredine il buon senso che costruisce, questo paese andrà a rotoli. In fretta. A proposito di scempi… la sera della vigilia di Natale alcuni banditi hanno fatto irruzione nella sua abitazione a Refrontolo. Ha avuto un presentimento diverso dal tentativo di furto? Qualche parentela con gli atti intimidatori che si sono svolti due giorni dopo a Gemonio? Sarò sincero: non so. Certo è che i filmati registrati all’insaputa degli intrusi Credo che lavoratori e cittadini debba- danno una bella idea di che tipo di perno beneficiare tutti della par condicio e al sonaggi circolino in Italia: quattro incapdi sopra del Po, dati Banca d’Italia, vivere pucciati con tanto di guanti tutti intenti a commettere una vera e propria devacosta almeno il 18 per cento in più. stazione più che un tentativo di furto, dato che da casa mia «A Natale quattro uomini incappucciati mi non manca uno spillo. Danni hanno devastato casa. Un atto intimidatorio? che mi costeranno ugualmenCerto non un furto. Dal mio appartamento te una marea di soldi. non manca nemmeno uno spillo» Caterina Giojelli Come quella dei contratti territoriali? | | 19 gennaio 2011 | 15 interni l’italia e la fabbrica/1 L’anno di una scommessa sul lavoro Pietro Ichino è senatore del Partito democratico e ordinario di Diritto del lavoro alla Statale di Milano Per il senatore democratico Ichino l’accordo su Pomigliano deve essere un modello. «È auspicabile che si sviluppi sempre di più la contrattazione aziendale su piani industriali innovativi. Solo la Fiom rischia l’isolamento» O (4.600 per l’esattezza) e aumento retributivo per i lavoratori di Pomigliano d’Arco. 700 milioni di euro di investimento da parte della nuova società che gestirà il sito produttivo. Statuto dei lavoratori e, quindi, rappresentanti sindacali aziendali per i sindacati che hanno firmato l’accordo. Ci chiediamo allora quale sia il problema che ha agitato le associazioni sindacali nell’anno appena concluso e che persiste in questo inizio d’anno. Abbiamo girato la domanda al senatore democratico Pietro Ichino, ordinario di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Milano nonché esperto di relazioni industriali, cercando di sintetizzare e meglio comprendere questa difficile annata. Difficile per il perdurare della crisi economica che ha indebolito imprese e lavoratori. Difficile perché, come ogni crisi, sta rompendo degli equilibri consolidati, in particolare nell’ambito delle relazioni industriali. Vero è che, negli ultimi due anni, i contratti collettivi sono stati tutti rinnovati con la firma di tutte e tre le sigle sindacali – Cgil, Cisl e Uil – ad eccezione del contratto dei metalmeccanici che non ha riportato la firma della Fiom-Cgil. Vero è che quest’intesa sembra un rinvio dei problemi, così come in molti casi uno strumento di rinvio dei problemi è stato l’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Problemi che si manifesteranno prepotentemente all’esaurimento di tali strumenti. E la vertenza Fiat, a Mirafiori e a Pomigliano d’Arco, sembra un anticipo di quel che accadrà: una rottura degli equilibri delle relazioni industriali sedimentati in quasi 16 ltre quattromila assunzioni | 19 gennaio 2011 | | quarant’anni; un caso, quello della Fiat, che ha reso evidente l’enorme distanza che esiste tra le confederazioni sindacali e i lavoratori che sono chiamati, attraverso l’utilizzo del referendum, ad essere protagonisti del loro futuro senza delegarlo semplicemente ai rappresentanti sindacali; un caso, quello Fiat, che ha reso evidente anche il problema di rappresentanza all’interno della Confindustria e la necessità, quindi, che il cambiamento delle relazioni industriali sia seguito da un cambiamento all’interno dei sistemi di rappresentanza dei sindacati dei lavoratori e di quelli dei datori di lavoro. Senatore, il caso Pomigliano rompe equilibri consolidati. Quali potrebbero essere le conseguenze dell’isolamento della Cgil da un lato e di Confindustria dall’altro? ni sindacali e, quindi, modificare anche i loro strumenti di azione? Sì, nel senso che dicevo ora, cioè del potenziamento dei servizi per la negoziazione della scommessa comune tra imprese e lavoratori sui piani industriali innovativi, che richiedono contratti aziendali che si discostino dai contratti nazionali di settore, su organizzazione del lavoro, inquadramento professionale, struttura della retribuzione, tempi di lavoro e molto altro ancora. Nella revisione delle relazioni impresalavoratore come quella di cui si parla, come valuta il Codice della partecipazione dei lavoratori ai risultati di impresa presentato dal ministro del Lavoro? È una raccolta di documentazione su questa materia che può essere utile. Ma mi Non parlerei di “isolamento” di Confin- sembra sbagliato l’intendimento esplicitadustria né della Cgil. A rischiare l’isolamen- to dal ministro nel pubblicarlo: cioè quelto, semmai, è la Fiom. Per Cgil, Confindu- lo di evitare qualsiasi intervento legislativo stria, e in generale tutte le grandi confedera- in materia. È giusto ribadire il principio che zioni sindacali e imprenditoriali, vedo sem- qualsiasi forma di sperimentazione deve mai la prospettiva di una riduzione del ruo- nascere da un contratto aziendale; ma se lo degli apparati centrali nazionali, a van- si vuol davvero promuovere la sperimentataggio degli apparati periferici: questi ulti- zione di alcune forme di partecipazione dei mi saranno quelli più sollecitati, nell’auspi- lavoratori nell’impresa alcuni aggiustamencabile fase di sviluppo della contrattazione ti legislativi sono necessari. Per esempio, in materia di partecipazione dei lavoratori al aziendale sui piani industriali innovativi. consiglio di sorveglianza, nelle società per Ritiene che Cgil e Confindustria debbaazioni che optano per la governance duano rivedere il loro approccio alle relaziole; oppure in materia fisca«Per confederazioni sindacali e imprenditoriali le, in riferimento alle forme di partecipazione agli utili o c’è la prospettiva di una riduzione di azionariato dei lavoratori. del ruolo degli apparati centrali nazionali, a vantaggio degli apparati periferici» Lei è un esponente della sinistra riformista e ha le novItà per glI operaI Il contratto che chiede meno assenze e più flessibilità Un cambiamento sul modello di quello che Fiat auspica per Mirafiori (e su cui gli operai sono stati chiamati al voto il 13 e 14 gennaio) è realtà da gennaio negli stabilimenti di Pomigliano D’Arco, con il Contratto collettivo Fabbrica Italia Pomigliano. Il contratto prevede l’aumento dellla paga base in media di 80 euro, a cui si aggiungono 20-30 euro mensili per tutti; per il lavoro notturno sono previste maggiorazioni fino all’85 per cento e quindi per i turnisti si potrà arrivare ad avere 250-300 euro al mese in più in busta paga. Gli scatti di anzianità ripartiranno da zero e l’equivalente di quelli maturati sarà assorbito nel superminimo. L’orario di lavoro passa dalle 40 ore settimanali su 5 giorni a 40 ore su 6 giorni. Da 10 turni settimanali, due al giorno, si passa a 18, cioè 3 al giorno. Le pause passano da 40 a 30 minuti. Lo straordinario passa dalle 40 ore alle 120 all’anno senza contrattazione. È previsto un meccanismo per combattere le assenze brevi e ripetute prima o dopo i giorni di ferie o di riposo. Inoltre si semplifica l’inquadramento professionale passando da 7 a 5 gruppi professionali con fasce intermedie all’interno dei gruppi. Infine sono ammessi in azienda solo i rappresentanti dei sindacati che hanno firmato l’accordo. tata dal ministro Sacconi alle parti sociali l’11 novembre scorso? Il referendum sui nuovi contratti per gli addetti degli stabilimenti Fiat di Mirafiori si tiene il 13 e il 14 gennaio Foto: AP/LaPresse presentato un progetto per la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, prevedendo una tutela solo obbligatoria e non più reale in caso di licenziamento per motivi economici o organizzativi. Come ha accolto la sinistra più resistente al riformismo questa sua proposta? Il progetto, che si è concretizzato in due disegni di legge (uno – il ddl n. 1481/2009 – per la sperimentazione; l’altro – il n. 1873 – per la riforma di carattere generale della materia) è stato firmato con me da altri 54 senatori, più della metà del Gruppo democratico al Senato. Inoltre esso ha avuto un avallo pieno e convinto dai leader delle due minoranze interne al Partito democratico, Walter Veltroni e Ignazio Marino. Già questo mi sembra un risultato molto lusinghiero. Poi, il 10 novembre scorso, il Senato ha approvato a larghissima maggioranza (solo 26 voti contrari o di astensione), col voto favorevole di tutta l’opposizione, una mozione di Francesco Rutelli che impegna il governo a promuovere il varo di un Codice del lavoro semplificato redatto sulla base del disegno di legge n. 1873, oltre che di eventuali altri (che però attualmente non ci sono): questo significa che quel progetto oggi, pur con tutti i distinguo che si sentono fare a destra e a sinistra, è di fatto al centro dell’agenda politica. A proposito di riforma dello Statuto dei lavoratori, ritiene che vi siano punti condivisibili in questa bozza di ddl delega al governo sullo Statuto dei Lavori presen- Sicuramente condivisibile è l’idea di un testo unico semplificato della legislazione del lavoro, che il ministro ha raccolto dal disegno di legge n. 1873 menzionato prima. Però mi sembra davvero troppo generico e affrettato il contenuto del progetto ministeriale: come è pensabile che il contenuto di una riforma dell’intero ordinamento del lavoro sia sufficientemente delineata in due sole cartelle? Quel testo ha più l’aria di una dichiarazione di intenti che di un vero disegno di legge. Premesso che il mercato del lavoro è in continua evoluzione, cosa manca alla riforma per dirsi compiuta? Manca una riforma della disciplina del rapporto di lavoro che tenda al superamento del dualismo del mercato del lavoro, tra protetti e non protetti. Difetta gravemente l’efficienza dei servizi di informazione, orientamento, formazione e riqualificazione professionale. Il sistema del sostegno del reddito a chi perde il posto di lavoro manca del requisito dell’universalità – intere grandi categorie di lavoratori ne sono escluse – e in esso è totalmente ineffettivo il principio della condizionalità: cioè il principio per cui il sostegno può essere erogato soltanto a chi sia realmente disponibile a partecipare attivamente a tutte le attività ragionevolmente necessarie per trovare una nuova occupazione; oltre che disponibile per l’occupazione stessa, ovviamente. Luigi Degan Giuseppe Sabella | | 19 gennaio 2011 | 17 intErni l’italia e la fabbrica/2 Compagni, il tempo è scaduto E ra il luogo ideale, quello dove il conflitto di classe poteva esprimere le sue potenzialità. Quando ho varcato per la prima volta i cancelli di una fabbrica, avevo poco più di vent’anni. Non mi sembrava neppure il caso di cercare un lavoro consono al mio diploma: ragioniere. No. Il manifatturiero, era davvero il luogo ideale dove esprimere il mio protagonismo antagonista. Avevo ben in mente le formule marxiane, il conflitto come pratica dell’agire. I padroni da un parte e i lavoratori dall’altra. Soggetti complementari, mai assimilabili, inconciliabili per natura. L’ambiente aiutava molto l’immaginazione. Avevo scelto un’azienda tessile, telai e torcitoi che funzionavano notte e giorno, un ciclo continuo che non risparmiava neppure i giorni di festa. A completare l’opera, una struttura societaria aziendale, che oggi farebbe impallidire Marchionne. Gente di destra, tenace, poco incline alla concertazione. Erano gli inizi degli anni Novanta e già allora per stare al passo con le produzioni d’oltreoceano era necessario ottimizzare i tempi. Sull’altra sponda il sindacato, i rappresen- 18 | 19 gennaio 2011 | | tati dei lavoratori e le assemblee. In mezzo le persone in carne ed ossa, uomini e donne che non badavano ai sabati e alle domeniche o ai vincoli del contratto. «Questa è la base ideale dove far attecchire le coscienze» pensavo ad alta voce nella pausa mensa. Mai perso uno sciopero o un picchetto, anche se non ho mai ceduto alle lusinghe degli apparati sindacali. Io stavo a sinistra, perché in fin dei conti «le organizzazioni dei lavoratori, non facevano altro che partecipare alla regolazione dello sfruttamento secondo le regole di mercato». Parlavamo bene noi comunisti, la nostra spinta ideale aveva una purezza cristallina, il nostro “fare” nulla a che fare con il gioco delle parti. Ci siamo accorti con il tempo, che le nostre ore di sciopero servivano a qualche dirigente provinciale per rivendicare risultati, in verità tutt’altro che esaltanti. Noi ci credevamo, leggevamo le teorie di Georges Sorel e pensavamo allo sciopero generale rivoluzionario, alla scalata al cielo. Eravamo già fuori tempo massimo. Sarebbe bastato guardare quei lavoratori al nostro fianco, per comprendere che la realtà era cosa diversa dai nostri pensieri. In verità eravamo troppo occupati a seguire i dibattiti del comitato centrale, i comizi dei nuovi guru della sinistra, le pagine de Il Manifesto. Eravamo anche in grado di mettere in difficoltà dialettica i “padroni” e quello era un esercizio di stile che sembrava davvero appagare la nostra pretesa. Sostenevamo il sindacato ad insistere, a costringere l’azienda a venire a patti, a scendere a compromessi con il proletariato. Termine desueto che usavamo ad ogni piè sospinto. Ma chi erano i proletari? Quelli che chiamavamo i “servi dei padroni” o chi teorizzava l’appartenenza di classe? Oggi vien da sorridere, ma forse noi che tentavamo di egemonizzare la fabbrica eravamo gli unici borghesi presenti in quel luogo. Più di cento dipendenti, quattro impiegati e un padrone che lavorava anche il giorno di Natale. Non c’erano proposte che potevano ricevere un “sì”, gli accordi interni ci sembravano un trucco per fregare le maestranze. Eppure i proletari, cioè quelli veri che lavoravano per mantenere le loro famiglie, già in quegli anni sembravano guardare altrove. Foto: AP/LaPresse, Sintesi Il sacro fuoco di formare le coscienze degli operai, la militanza cigiellina e poi il lento accorgersi che la realtà va da un’altra parta. «E forse noi con la nostra lotta di classe eravamo gli unici borghesi in quell’azienda» chI rAppreseNtA dAvvero le tute blu? A forza di fare i duri e puri noi della Fiom ci siamo screditati Foto: AP/LaPresse, Sintesi Nel quadro sindacale la Fiom ha sempre rappresentato più una quarta Confederazione che una federazione di categoria. Sempre con uno sguardo benevolo, però, da parte della Cgil, anche quando i metalmeccanici si smarcavano dalla linea, attribuendosi il ruolo di primi della classe. È però nella seconda metà degli anni Novanta che è iniziata una sua deriva anomala, verso una linea rivendicativa sempre più massimalista e tesa a sconfinare ampiamente in un ruolo politico diretto. Il preteso primato della Fiom nella rappresentanza, così come quello Cgil, si basa su una serie di scatole cinesi, di matrioske. Fiom e Cgil hanno la maggioranza relativa su ogni singolo sindacato, a volte su Cisl e Uil, ma non su Cisl, Uil, Ugl, Fismic, Cobas e autonomi. Inoltre, tutti insieme, non rappresentano la maggioranza dei lavoratori. Eppure in atto c’è sempre un procedimento perverso. Si sa che la rappresentanza erga omnes è incostituzionale, ma i custodi della Costituzione vegliano con un solo occhio: quello sinistro, in tutti i sensi del termine. Ciò non impedisce agli iscritti alla Fiom di beneficiare delle migliori condizioni dei Ccnl e degli accordi che non firmano. Peraltro mai nessuna delle controparti ha invocato la clausola della decadenza del diritto alla nomina di rappresentanti, dopo due Contratti collettivi non firmati. Tutto ciò dà una rendita di posizione incredibili a Fiom e Cgil che non si sporcano mai le mani con una firma ma restano arroccate sulla protesta continua, l’aggregazione di tutti gli scontenti. Questo accade sul grande palcoscenico della politica sindacale. Fuori dei riflettori, c’è un popolo di lavoratori che tutele proprio non ne ha e conosce miglioramenti solo in occasione di contratti o accordi nazionali. Quando si va alla conta con un referendum nazionale, questa è la maggioranza silenziosa che vince. Quando in ballo c’è la salsiccia, non si scherza: con le filosofie politiche non si mangia. Ora può essere che con Marchionne la Fiom stia inseguendo almeno il punto della bandiera. Ma sarebbero solo emuli di Pirro. Bruno Crespi dirigente Fiom-Cgil Lombardia in pensione Gli straordinari che noi volevamo boicottare perché falsavano le coscienze, erano una manna per quelle persone. I temi che oggi scaldano il dibattito imposto da Marchionne, non sono null’altro che gli stessi punti che la piccola e media impresa chiedeva di discutere già vent’anni fa. Nuove regole per le pause, l’assenteismo, i turni di lavoro ed un modello innovativo di relazioni industriali al passo con i tempi. Il nostro “no” era puro, quello di chi trattava nelle sedi del potere sindacale molto meno. Abbiamo faticato a capirlo persino nel 2003 quando abbiamo sostenuto il referendum proposto da Rifondazione Comunista, per estendere l’articolo 18 alle aziende con meno di sedici dipendenti. Ci dicevano che era una questione di democrazia, il sindacato neppure un anno prima aveva portato in piazza tre milioni di persone per opporsi alla proposta di Berlusconi di sospendere in via sperimentale il suddetto articolo, ma Cofferati rispose picche alla chiamata alle armi di Bertinotti. Siamo stati i servi sciocchi di un potere che già in tempi non sospetti aveva perso il legame con il suo popolo. Sopra, da sinistra, Luigi Angeletti (segretario della Uil), Susanna Camusso (Cgil), Raffaele Bonanni (Cisl) ed Emma Marcegaglia (presidente di Confindustria) Iscritti alla Cgil che votavano Lega e Forza Italia. Se oggi Marchionne usa la mannaia per introdurre una nuova pratica di relazioni industriali, lo si deve ad un ritardo spaventoso, colpevole e anacronistico, condotto dal maggiore sindacato italiano per almeno quattro decenni. Sarebbe bastato osservare la realtà, uscire dalla nostra pretesa per comprendere che chi volevamo rappresentare chiedeva cose diverse dai nostri slogan. I nostri slogan, le loro buste paga Il concetto di classe prevedeva una difesa coatta e indiscutibile dei suoi appartenenti, così abbiam finito per difendere gli assenteisti, chi rallentava il lavoro, talvolta anche chi cercava di boicottarlo. Noi eravamo puri, ma chi guidava le fila ha il potere di veto per costruire la propria posizione. Così abbiamo perso gli operai: semplicemente operando su un piano differente da quello del quotidiano. Quando mi è stato chiesto di diventare rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, ho assunto l’impegno con la volontà di colui che vuole scardinare il sistema, ma lì, sporcando- mi le mani assieme all’imprenditore, ho compreso che nulla è più vero e concreto della realtà. Nessun “padrone” vuole perdere un operaio per produrre un “pezzo” in più, nessun infortunio giova alla fabbrica. D’improvviso mi sono ritrovato nella stessa situazione dell’imprenditore, lì accanto a lui per produrre negli operai una coscienza della sicurezza condivisa. Una condizione che mi ha costretto ad entrare nel merito di regole e codicilli fuori dal tempo. Lontani dalla realtà produttiva, ma soprattutto da quegli uomini e quelle donne per cui erano stati scritti. Dov’era il nemico? Chi incarnava il male? Quel “padrone” che rivendicava un’appartenenza “repubblichina” ma si comportava come un padre, o negli ingranaggi distorti del contratto nazionale e dei suoi “pasdaran” cigiellini? Così mentre i racconti del Novecento sbiadivano, il mondo dell’impresa è stato invaso dagli speculatori, dai faccendieri della finanza, da chi davvero non ha mai toccato con mano la realtà della produzione. E lì dove il sindacato avrebbe dovuto esser presente, il deserto aveva già invaso ogni pertugio possibile. Non è un caso che oggi per protestare sia diventato necessario salire sui tetti, fare uno show ad uso e consumo delle televisioni. Rimane un sistema bloccato, preda di regole e pratiche ferme ad un’epoca lontana. Checché se ne dica, ci sono ancora gli operai, sono sopravvissuti al crollo del socialismo reale, alla fine della sinistra italiana, alla funzione minoritaria del sindacato confederale e persino all’apertura dei mercati mondiali. Quale ruolo può avere oggi il sindacato? Non serve un soggetto acquiescente o prono, ma persone che sappiano guardare lontano. La nostra manodopera rimane un’elite qualitativamente alta, qualificata, il valore aggiunto che può consentire al nostro paese di accettare la sfida della globalizzazione. Questo è oggi il terreno su quale il sindacato dovrebbe giocarsi la sfida, anche in competizione con Marchionne. È finito il tempo delle astrazioni, del potere di veto. Questa è l’ultima fermata, anche per la Cgil. Fabio Cavallari | | 19 gennaio 2011 | 19 non solo pro life interni «non ci servono giudici in corsia» Il Tar ha “bocciato” le linee guida lombarde sull’aborto terapeutico, ma i medici (obiettori e non) le giudicano necessarie. Ecco perché Foto: AP/LaPresse e ra il gennaio 2008 quando la Slog (Società lombarda di ginecologia e ostetricia) composta da medici obiettori e non, decideva all’unanimità che l’aborto terapeutico non potesse essere effettuato oltre la ventiduesima settimana e tre giorni di gestazione. Un limite stabilito, spiega il neonatologo e scrittore Carlo Bellieni, perché le possibilità di sopravvivenza del feto dopo un’interruzione di gravidanza alla ventiduesima settimana «sono normalmente del 10 per cento (in Giappone addirittura del 25), ma salgono al 25 alla ventitreesima e al 50 alla ventiquattresima. I progressi medici hanno reso possibile la sopravvivenza di feti anche molto prematuri». Ora, a più di due anni dall’approvazione, quelle Carlo) avevano approvato le linee guida nel 2008. Linee guida che, secondo il Tribunale amministrativo regionale, sarebbero «illegittime» in quanto in contrasto con la legge 194 sulla interruzione di gravidanza. In linee guida volute dalla Regione sono state effetti la 194 non fissa limiti per l’aborto “bocciate” dal Tar che si è pronunciato sul terapeutico (quello cioè che si verifica dopo ricorso presentato da otto iscritti alla Cgil: i primi 90 giorni di gestazione e in caso di Augusto Colombo, Mauro Alberto Busca- grave pericolo per la salute donna), di soliglia, Fiammetta Santini, Maria Luisa Como, to, tuttavia, è la pratica clinica che porta i Tiziana Vai, Sonia Ribera, Loredana Frat- medici a non praticare interruzioni di gratini ed Erminia Maria Giagnoni. Da nota- vidanza entro la 24esima settimana. Il motire che tre dei ricorrenti (Colombo, Como vo? È presto detto: i feti rischiano di nascee Buscaglia, i primi due medici della clini- re vivi, cosa che la 194 vieta poiché proibica Mangiagalli e il terzo dell’ospedale San sce l’interruzione di gravidanza quando esista la possibilità di «vita autonoma del feto». A ricorrere al Tribunale amministrativo Cosa succede dunque negli regionale sono stati sette iscritti alla Cgil. ospedali lombardi? «Succede Tre di loro (due dottori della Mangiagalli semplicemente quello che avviee uno del San Carlo) avevano approvato ne, di comune accordo profesnel 2008 il documento voluto dalla Regione sionale, nel resto dell’Italia». | | 19 gennaio 2011 | 21 interni non solo pro life A parlare è Enrico Ferrazi, presidente della Slog e medico non obiettore, che non si capacita della sentenza. «Che ne sanno i giudici?», sbotta. A farsi insegnare il mestiere dalle toghe non ci sta neanche Alessandra Kustermann, medico della Mangiagalli e con una lunga militanza abortista alle spalle. «Le linee guida – spiega a Tempi – sono perfettamente in linea con la 194, che all’articolo 7 vieta l’aborto nel caso in cui il feto abbia possibilità di vita autonoma. Le nostre neonatologie sono piene di bimbi nati dopo 22 o 23 settimane. Cosa vogliono i giudici? Che facciamo nascere questi bambini e li lasciamo morire o, peggio, che li lasciamo vivere autonomamente con gravi danni perché nati prematuri?». Nella clinica Mangiagalli, assicura la dottoressa, «continueremo secondo il buon senso: a rianimare alla ventiduesima, cioè a non fare aborti a meno che il feto sia già morto o vi sia pericolo di vita per la madre, così come dice la legge 194 e non i giudici del Tar che vogliono stravolgerla». Walter Tarantini, ginecologo romagnolo, pratica aborti dal 1978 (anno di approvazione della legge 194) per «sconfiggere la piaga di quello clandestino. Eppure oggi mi sto accorgendo che questa legge non tutela né le madri né i bambini e non sarà mai applicata la sua parte positiva, quella che prevede la tutela della vita e della maternità». Tarantini non usa mezzi termini per condannare l’ingerenza di giudici che «non sanno nulla di quanto accade negli ospedali e che, chissà come mai, si muovono sempre quando c’è aria di elezioni». Gioia, neonatologa milanese che prefe- risce rimanere anonima, racconta piuttosto di un vero e proprio far west precedente all’adozione delle linee guida, che «schifava anche gli abortisti. Ricordo ostetriche che mi raccontavano di bimbi lasciati in ginecologia sotto teli verdi che sgambettavano per anche dodici ore di fila prima di morire. Poi con le linee guida le cose sono cambiate. Se alla ventiduesima settimana il feto nasce vivo lo si porta in neonatologi, dove gli si dà una chance. Al momento abbiamo ricoverati due gemelli di ventidue e tre bimbi di ventitré settimane». Allargare i margini dell’aborto – conclude – sarebbe «una barbarie». D’accordo con lei Leandro Aletti, ginecologo obiettore e primario all’ospedale di Melzo, che ricorda quando le neonatologie non accettavano i bimbi vivi perché abortiti tardivamente: «Anni fa accadde che uno fosse rimasto vivo. Non ho potuto far altro che prenderlo, battezzarlo con il mio nome, metterlo in una culla e passare, di tanto in tanto, a bagnargli le labbra. È morto dopo due giorni, sarebbe bastata una ventilazione e oggi sarebbe sano. Ora, grazie alle linee guida, queste cose non accadono più. E di questo medici e infermieri son contenti. I magistrati fanno quello che gli pare, solo per motivi ideologici: è chiaro che vogliono allargare le possibilità dell’aborto. Questo è ingiusto, perché ormai anche gli abortisti sono nauseati da una pratica che si prefiggeva di salvaguardare la donna e il bambino». E che invece, conclude l’abortista Tarantini, «favorisce e banalizza una prassi mortifera». Benedetta Frigerio parla il sottosegretario alla salute La salute prima delle ideologie Eugenia Roccella: «Servono indicazioni a livello nazionale, ma senza toccare la 194. Altrimenti l’aborto diverrebbe fatto privato» R egolamentare l’aborto terapeutico senza toccare la 194. Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute, non ha dubbi che questo debba essere un obiettivo del governo. E che quanto deciso dal Tar della Lombardia sia in contrasto non con generiche istanze pro life, ma con la miglior pratica medica. Sottosegretario Roccella, secondo il Tar lombardo la vita autonoma del feto non 22 | 19 gennaio 2011 | | avrebbe termini prevedibili e dipenderebbe dal singolo caso, perciò fissare a ventidue settimane il termine in cui l’aborto è permesso, come fanno le linee guida dalla Lombardia, sarebbe illegittimo. Che ne pensa? Il Tar sbaglia. Infatti il termine a ventidue settimane non è, come dicono, stabilito dal governatore Formigoni. Le linee guida registrano solo un’autoregolamenta- zione dei singoli ospedali italiani. Soprattutto dei non obiettori, perché sono loro ad avere il problema di come rispettare la 194 che all’articolo 7 vieta l’aborto se il feto ha possibilità di vita autonoma. È saggio, peraltro, che il termine sia fissato da linee guida e non dalla legge nazionale. Perché con lo sviluppo di nuove tecniche, come ad esempio quella del cosiddetto utero artificiale, l’età di sopravvivenza potrebbe abbassarsi ulteriormente. Molti ginecologi, anche non obiettori, osservano che il feto ha ormai quasi sempre vita autonoma alla ventiduesima settimana. Secondo molti medici i giudici del Tar si sono espressi senza tenere conto di quella che è la pratica medica. Cosa ne pensa? Gli avvocati che hanno sollevato il caso sono tutti molto ben schierati ideologicamente. Uno è Vittorio Angiolini, lo stesso che si era già appellato al Tar lombardo, contro il governatore Formigoni, in difesa di Beppino Englaro. I nomi degli altri sono quelli che appaiono in tutti i ricorsi atti a scardinare la legge sulla fecondazione assistita. I ricorrenti, poi, Sopra, Eugenia Roccella. In alto, una raccolta firme per la legge sull’aborto negli anni Settanta. Nelle altre foto, recenti manifestazioni in Italia a favore della 194 appartengono tutti a un sindacato le cui posizioni in materia bioetica sono note (la Cgil, ndr). Inoltre, il fatto che la sentenza sia uscita proprio ora che tira aria di elezioni, mi pare il tentativo di un manipolo di giacobini di far passare a colpi di sentenze, ciò che non si ottiene con il consenso pubblico. Foto: AP/LaPresse La legge 194, lo sostengono anche molti abortisti, dovrebbe alleviare la sofferenza della donna. Di fatto, però, non è così. Viene rispettata solo la parte favorevole all’aborto, mentre la parte atta a eliminarne le cause è continuamente disattesa. Non sarebbe giusto, a 32 anni dalla legge, avere il coraggio di modificarla in senso restrittivo? Se oggi tocchiamo la legge è finita. In Parlamento si alzerebbero gli steccati ideologici. Allora quello che propongo è altro. Io chiederò alle Regioni che venga fatto un accordo generale con lo Stato simile alle linee guida lombarde, che fissano a ventidue settimane la possibilità dell’aborto terapeutico. Significherebbe, come è giusto, mettere per iscritto una prassi già in atto e su cui sia la comu- vano più di fare aborti e hanno preferito privatizzarlo. Perfino un medico come Silvio Viale, che ha introdotto la pillola abortiva in Italia, ha ammesso che a nessuno piace praticare l’aborto. Scardinare la legge sull’aborto, in concomitanza con l’introduzione della Ru486, in Francia ha portato a un’impennata degli aborti, mentre in Italia i nume«In Francia hanno scardinato la legge ri sono ancora fra i più bassi. sull’Igv e introdotto la Ru486 e c’è stata Perciò difendere la legge resta un’impennata degli aborti. In Italia il meno peggio. Il rischio è che i numeri sono ancora fra i più bassi, perciò si modifichi la 194 privatizzando l’aborto e quindi rendendifendere la 194 resta il meno peggio» dola peggiore. Con questo non voglio dire che molti abortisti nità scientifica sia quella medica si trovasi sono ricreduti e bandirebbero o restrinno d’accordo. gerebbero l’aborto, ma ripeto, il ParlaI medici si sentono sempre più costretti mento è un’altra cosa e quel che è accadua rispettare norme inutili e ingerenti. to in Francia mi fa riflettere: mi sembra Non è questo il momento per un dialogo più il tentativo di scaricarsi di un peso. che superi gli steccati ideologici e che permetta di riflettere nuovamente sul tema dell’aborto? Sono sicura, e ne ho il sentore ormai da parecchio, che anche gli abortisti non ne possono più di praticare interruzioni volontarie di gravidanza. A nessuno piace uccidere. Tanto che ormai chi li pratica lo fa o per motivi di antica militanza o per ottenere dei contratti dagli ospedali che vogliono garantire l’accesso all’aborto. Ma ho paura che se si toccasse la legge accadrebbe quanto successo in Francia: hanno introdotto la pillola abortiva Ru486, proprio perché i medici abortisti non ne pote- Ma perché non parlarne? Discuterne in Lombardia ha fatto accettare linee guida positive anche a noti abortisti. Forse perché il compito spetta innanzitutto alla società. Se partisse un movimento dal basso sarebbe un vero guadagno e noi ne prenderemmo atto. Penso che il dialogo debba partire dalla società e che alla politica spetti legiferare su quanto nasce da questa. Perciò, in questo caso, vogliamo rendere norma generale le linee guida lombarde, perché nascono dal basso e dall’accordo di tutta comunità medicoscientifica italiana. [bf] | | 19 gennaio 2011 | 23 DENTRO IL PALAZZO DOPO IL TE DEUM ALTRI MASSACRI Il sangue dei martiri non nega il futuro ma lo svela di Renato Farina N Foto: AP/LaPresse on riesco a capacitarmene. Ho intonato su Tempi il “Te Deum”, e in particolare il versetto che ha benedetto il 2010: «Ti loda il candido esercito dei martiri». Un IL DIAVOLO istante dopo averlo fatto, Dio consente che un’altra schiera di innocenti sia asDELLA TASMANIA sassinata nella cattedrale copta di Alessandria d’Egitto. Spumeggia il sangue dei fratelli nostri sul volto del Cristo affrescato sulla parete della chiesa. È chiaro: è sangue suo. Dio consente che si ripeta il sacrificio degli agnelli. Non è mistica, ma descrizione dei fatti. Bontà e terribilità di Dio sono connotati della misericordia. Non è che questo tranquillizzi. La nostra è una pace accidentata, inquieta. Per un momento ho pensato, ripensando alla pagina ancora fresca del Diavolo della Tasmania: è brutto essere profeti di sventura. Ma io non mi sento profeta di sventura. Di orrore, di sangue, sì; ma di sventura, no. La sventura è etimologicamente negazione del futuro, e dunque del destino. Qui accade il contrario. L’inermità di chi viene ucciso in odio a Cristo (è esattamente così) è puro Cielo, pu- Il governo si impegna, ma oggi ro Regno, terra perfetta narrata dal Discorso della Montagna e presente la libertà religiosa è considerata oggi tra noi. Questo non è che frena la necessità di combattere. Né elimisolo un optional da far valere na le colpe della politica e degli Stati, e anche dell’opinione pubblica italiana ed europea, preoccupata di tutelare il proprio orto, dimenticando nel terzo mondo e non il perno che l’orto degno dell’Occidente è solo l’infinito. Mi viene in mente un te- stesso dei diritti umani sto di Lattanzio, acquistato da liceale, con la copertina grigia della Bur: Così morirono i persecutori. Mi basta che intanto non ammazzino più, o almeno si faccia il possibile. E non lo si fa. Il nostro governo si impegna al massimo. Ma resta la constatazione che la libertà religiosa è considerata un optional da far valere nel terzo mondo e non, invece, il perno stesso dei diritti umani, senza cui non esiste proprio la libertà. Non “là” ma qui da noi. I “nostri” giornali, tutti tranne Tempi e Avvenire, non vedono la centralità rispetto al panorama mondiale. C’è la gabbietta in basso alla prima pagina se va bene, per il cattolico che si lamenta. Chi insiste su questa struttura portante della convivenza ponendola al cuore della politica e della cultura? Ora è trattata come appendice per discussioni tra cattolici di seconda fila, salvo entrare di peso per un attimo sul ring del dibattito quando accadono fatti clamorosi o c’è bisogno di agganciare voti in parrocchia. Basta così con questo nanismo programmatico. C’è in ballo ben altro. A proposito di persecuzione dei cristiani, c’è il brano di un’intervista a don Luigi Giussani del 1993 che è profezia: e non è sventura. Giussani: «Scorgo i segni di questa persecuzione». (…) Concludendo: guerra? «Pa- 22 cristiani sono morti il 31 dicembre ce! Pace! Nella tormenta, anche nella guerra, ma la pace. Chi ha avuto la grazia di scorso nell’attentato kamikaze la cattedrale copta partecipare dell’esperienza cristiana lo sa bene. Non esiste nulla di paragonabile a contro di Alessandria d’Egitto questa amicizia nel destino. Non ci fa paura nulla. Nemmeno la crisi della Chiesa. Il cardinale Giacomo Biffi mi raccontava una sua scoperta che non mi ha trovato – devo dirlo – impreparato. E cioè che il cristianesimo non è una religione ma un evento: incarnazione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. E Biffi diceva: un evento non può andare in crisi: c’è. E questo fatto, vorrei dire, ci obbliga a essere magnanimi. Kafka dice nel suo Diario: “Anche se la salvezza non viene, voglio però esserne degno a ogni momento”. Un santo dice così. Siamo stati scelti solo per questo, per la missione. Che questa salvezza, che è la persona di Cristo, possa essere incontrata». Le chiedo: quale compito? «Testimoniare Cristo. Testimoniarlo adoperando gli arnesi della propria professione. Fosse quella di essere ammalati, incurabili, in un letto». | | 19 gennaio 2011 | 25 esteri come pecore tra i lupi Gli anni Settanta dell’Egitto 26 | 19 gennaio 2011 | | P er i cristiani dell’iraq o della Nigeria massacrati non avevano mai speso una parola pubblica, nemmeno dopo la strage di Baghdad del 31 ottobre. Per i cristiani copti di Alessandria, invece, i musulmani italiani dell’Ucoii sono scesi in campo per esprimere «orrore e dolore» Foto: ap/lapresse la strage dei cristiani ha dato spago alle rivendicazioni antigovernative e islamiste dei Fratelli musulmani. ora il rischio è che il paese si rifugi nella stessa cultura fanatica che alimenta la follia suicida dei kamikaze Per padre Greish, della Chiesa melchita del Cairo, gli uomini della Fratellanza vogliono «un paese politicamente islamico, e per noi cristiani ci sarebbe meno spazio. Basta vedere il piano per escluderci dalle candidature alla presidenza» Foto: AP/LaPresse grammato e perpetrato per minare la plurisecolare convivenza tra musulmani e cristiani, componenti storiche di quel paese». Forse ha contato qualcosa che il giorno prima un comunicato ufficiale dei Fratelli Musulmani egiziani, dei quali l’Ucoii è la gemmazione italiana, avesse condannato con dure parole il misfatto: «La Fratellanza – si legge nel comunicato egiziano – condanna nei più duri termini possibili questo esempio di cinico e insensibile disprezzo dei terroristi per la vita umana. Sottolinea che nulla giustifica il terrorismo, che è un’aggressione ai valori islamici che proibiscono qualunque atto di violenza, senza distinzioni di lingua, cultura o religione». Il testo non manca di alludere a inadempienze da parte del governo di Hosni Mubarak: «L’attacco è giunto dopo che il ministero degli Interni egiziano aveva promesso di aumentare la sicurezza presso i siti cristiani, dopo che al Qaeda in Iraq aveva rivolto minacce ai cristiani egiziani. La Fraternità fa appello alle autorità perché si diano una mossa e si assumano le proprie responsabilità nel garantire la necessaria sicurezza presso tutti i luoghi di culto». Caos in Egitto dopo l’attacco ai cristiani. A lato, il leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Badle e affermare solennemente che «nessuna fede, credenza o ideologia potrà mai essere invocata per giustificare o anche solo spiegare le motivazioni aberranti che hanno condotto ad un atto tanto efferato che in tutta evidenza è stato pro- Fuori dalle stanze del potere L’attentato di Alessandria mira a destabilizzare l’Egitto, ma il suo effetto politico immediato è di indebolire l’immagine del governo e di promuovere le ragioni dei Fratelli Musulmani, che da sempre denunciano l’inettitudine dell’esecutivo in carica e promettono maggiore sicurezza per tutti se fosse loro concessa la chance di governare il paese. Tanto più all’indomani di una tornata elettorale manipolata dall’establishment, che ha deciso di cancellare la presenza dei Fratelli Musulmani dal parlamento dove fino a ieri occupavano il 20 per cento dei seggi. Su questo punto concordano due osservatori interni come padre Samir Khalil Samir, gesuita docente universitario a Beirut e in Italia, e padre Rafiq Greish, responsabile per le comunicazioni sociali della Chiesa melchita al Cairo. «I Fratelli Musulmani non hanno compiuto o ispirato l’attentato, ma ne sono i beneficiari politici, perché ora possono puntare il dito contro l’inettitudine del governo e lamentare di non poter fare nulla per colpa del pote| | 19 gennaio 2011 | 27 esteri come pecore tra i lupi La pista straniera di Mubarak Una pista evocata dallo stesso presidente Mubarak e presente anche nel documento dell’Ucoii («Siamo certi che mandanti ed esecutori vadano ricercati al di fuori dei confini di quel paese, tra chi ha interesse alla sua destabilizzazione, attuando una strategia della tensione che implementi un aberrante ciclo di vendette»). Ma che secondo i Fratelli Musulmani porta a un indirizzo ben preciso: in un’intervista ad al Jazeera Mohamed Morsy, addetto stampa dell’organizzazione, ha affermato che quando ci si chiede a chi giovi la destabilizzazione del paese, non si deve dimenticare che gli auspici israeliani per un Egitto stabile e capace di leadership nella regione non sono genuini. Padre Samir non si stupisce: «Ho cercato di partecipare a un forum sulla strage di Alessandria sulle pagine web di al Mesreyya, che è un giornale di orientamento moderato: tutti quelli che intervenivano accusavano gli americani e il Mossad di essere gli autori occulti dell’attacco, alcuni addirittura incolpavano i copti stessi, che avrebbero organizzato questa sanguinosa montatura per far fare brutta figura ai musulmani. Nel mio intervento ho premesso che in materia di religione ci deve essere piena libertà, ognuno deve poter scegliere la fede che preferisce e se vuole anche cambiarla: il mio testo è stato pubblicato senza questa parte». «Dell’attentato nell’immediato si avvantaggiano politicamente i Fratelli Musulmani, che tuttavia non sono i colpevoli della strage. Ma sia ben chiaro: nessun cristiano crede alle loro promesse di maggiore 28 | 19 gennaio 2011 | | sicurezza e rispetto dei diritti se andassero al potere», sottolinea padre Greish. «Loro sono interessati a fare dell’Egitto un paese politicamente islamico, e per noi cristiani ci sarebbe meno spazio. Basta vedere le loro dichiarazioni contro la possibilità che copti o donne siano candidati alle elezioni presidenziali». D’altra parte il sacerdote egiziano non crede a una strategia politica punitiva verso gli stati mediorientali poco collaborativi nella difesa della libertà religiosa, come alcuni propongono in Euro- pa: «Finirebbe come al solito, e cioè che i piatti rotti li pagheranno i più poveri. Bisogna semplicemente insistere che il governo attui le riforme di cui da tanti anni si le reazioni di un popolo ferito La rabbia e la fede su Facebook Doveva essere il tempo dei brindisi telematici e invece le bacheche sono state listate a lutto. la paura e la speranza viste dal social network priverà della gioia del Messia e noi festeggeremo la nascita del Messia alla faccia dei terroristi. Celebrate il Messia perché Lui è a notizia della orribile, e purtroppo ennesima, strage di copti ad Alessan- la nostra salvezza, salvezza e gioia alla facdria d’Egitto mi è arrivata proprio tra- cia dei terroristi, festeggiate, uscite di casa e mite uno strumento che spesso ho giudica- seminate la gioia del Messia rispondendo a to inutile e superficiale: Facebook. A Capo- chi ha seminato l’odio davanti alla Chiesa». La memoria è tornata all’anno scorso, danno si mandano gli auguri di gioia e serenità e anche io mi stavo accingendo a scri- alla strage del Natale copto a Naga Hammavere sulla bacheca di un amico. Sameh Nas- di. Le parole di Sameh mi colpivano per la siem Gayed è un gioioso ventottenne che, loro rabbia, subito placata da un’immencinque anni fa, è stato mio studente per sa fede. Nessuna accusa ai musulmani, ma due giorni nell’ambito di un master di for- solo ai terroristi. E proprio le parole “termazione euro mediterraneo organizzato roristi”, “terrorismo” hanno iniziato a difdalla Fondazione per la Sussidiarietà. È cop- fondersi in tutti i profili dei miei amici di to di Alessandria. Da quando ci siamo cono- Facebook egiziani, copti e musulmani, cresciuti ogni tanto ci scambiamo notizie sul denti e non, intellettuali e persone comusuo paese e soprattutto sulla condizione dei ni. Nel giro di poche ore tutte le fotografie cristiani in seno a una maggioranza islami- dei loro profili su Facebook sono state sostica. Le notizie non sono mai confortanti, ma tuite da un’immagine su fondo nero recanil primo gennaio scorso dalle sue parole ho te, in bianco, una croce e una mezzaluna e dovuto apprendere l’inimmaginabile tra- la scritta: “Sono un egiziano contro il tergedia. Sameh scriveva in dialetto egiziano: rorismo”. Scorrendo le bacheche dei miei «La prima cosa che tutti noi dovremmo fare amici, scambiandomi alcuni messaggi priè festeggiare perché lo sporco terrorista ha vati con loro ho subito avuto il polso delfatto esplodere la sua bomba presso la Chie- la situazione, dell’immensa rabbia diffusa sa dei Santi per diffondere la tristezza e la a tutti i livelli. Come quella della scrittripaura nei nostri cuori per toglierci la voglia ce Mansoura Ezz Eldine. Poco più che trendi gioire per farci soffrire, ma nessuno ci tenne, musulmana, residente al Cairo. Ho appena terminato di tradurre in italiano il suo romanzo «Giovedì una compagna di mia figlia Oltre il paradiso. Proprio su le ha detto: “Ho paura di andare in chiesa”. Facebook è nata tra noi una la profezia si è avverata. Hanno messo a vera amicizia. Il primo mesferro e fuoco una nazione che non meritano» saggio sulla strage di Man- di Valentina Colombo* L Foto: ap/lapresse re che ha deciso di tagliarli fuori», spiega padre Samir. «Però portano delle responsabilità indirette: i giovani kamikaze che si fanno esplodere sono il prodotto di un clima culturale, di un lavaggio del cervello condotto attraverso insegnamenti islamici tradizionalisti che alimentano il fanatismo finalizzato a dar vita a un progetto politico islamico. I Fratelli Musulmani sono responsabili di questo clima, di questa cultura ormai egemone». È più o meno la stessa critica che ha formulato il direttore del quotidiano egiziano Rose al Youssef in un’intervista alla tv al Arabiya, nella quale sottolinea che la Fratellanza ha alimentato in tutti questi anni il clima di tensione fra musulmani e copti ad Alessandria, con sermoni del venerdì e manifestazioni di strada nelle quali si accusavano i cristiani di aver fatto scomparire le due famose donne mogli di sacerdoti che avrebbero deciso di convertirsi all’islam, pretesto addotto da al Qaeda per dare la caccia ai cristiani in tutto il Medio Oriente. La Fratellanza respinge l’accusa e punta il dito contro le forze esterne al paese che avrebbero cospirato per compiere l’attentato. del codice di famiglia che metta al riparo i cristiani da giudici che vorrebbero applicare a noi la sharia. Nel frattempo non ci sarà nessuna guerra di religione: dopo l’attentato di Alessandria le tensioni, che esistevano già da tanto tempo, si aggraveranno, ma non si arriverà al punto di non ritorno: la maggioranza delle persone in Egitto non è estremista e vuole vivere in pace». Nel frattempo sul sito internet egiziano dei Fratelli Musulmani è Al messaggio di cordoglio di Benedetto XVI per i copti ha risposto piccato lo sceicco di al Azhar Al Tayeb, il quale ha poi precisato al Corriere che si aspetta un segnale del Papa per ristabilire la fiducia. A lato, il papa copto Shenouda parla, caldeggiate anche dagli Stati Uniti e dall’Europa: una revisione dell’ostruzionistica legge che regola la costruzione e il restauro delle chiese e una riforma apparsa una notizia secondo cui nei giorni precedenti l’attentato sarebbero passate per Alessandria 350 persone di origine israeliana. L’allusione è evidente. L’Egitto di oggi assomiglia all’Italia degli anni Settanta: anche qui c’è qualcuno che non vuole riconoscere che i terroristi appartengono al suo album di famiglia e condividono la sua ideologia, e ne parla in un modo che assomiglia a quello in cui da noi si esecravano le “sedicenti Brigate Rosse”. Rodolfo Casadei Foto: AP/LaPresse A lato, disordini ad Alessandria. Sopra, il profilo Facebook in cui Maryam Fekry, 22 anni, ringrazia Dio per il 2010 che sta per volgere al termine. Poco dopo resterà uccisa nell’eccidio dei kamikaze soura è il link a un “j’accuse” pubblicato sul sito inglese del quotidiano egiziano al Ahram in cui si legge: «Sono andato in giro, vi ho sentiti parlare negli uffici, nei club, alle cene ufficiali: “Ai copti bisogna dare una lezione”, “i copti sono sempre più arroganti”, “i copti mantengono segrete le conversioni dei musulmani” oppure “i copti impediscono alle donne cristiane di convertirsi all’islam, le rapiscono e le rinchiudono nei monasteri”. Vi accuso tutti, perché nella vostra cecità bigotta non riuscite a vedere la violenza che voi esercitate sul senso comune logico e semplice». Mansoura, che pure è una penna straordinaria, non riesce a trovare parole proprie per descrivere quel che sente. Reagisce veementemente invece un suo collega che oggi vive in Kuwait. È Ibrahim Farghali, quarantatré anni, autore tra l’altro di uno straordinario romanzo I sorrisi dei santi, purtroppo non tradotto in italiano, che tratta proprio della questione copta. Ibrahim scrive sulla sua bacheca: «Non posso credere alle notizie… provo a descrivere gli autori del fatto… vili? Codardi? Cretini? Figli di puttana? Non so… il più bel commento di oggi è quello di Sayyid Mahmud… tutti i cristiani e i musulmani in chiesa il 7 gennaio». Il commento cui fa riferimento Ibrahim dice: «Dio mio, Ibrahim… giovedì una compagna di scuola di mia figlia le ha detto: “Ho paura di andare a pregare in chiesa”. E la profezia si è avverata. Questi hanno messo a ferro e fuoco una nazione che non meritano». C’è anche chi punta dritto l’indice sul governo. È il caso del giornalista copto che vive a Londra Adel Darwish che sulla propria bacheca commenta: «È plausibile che il servizio di sicurezza egiziano sappia chi sono gli estremisti islamici e chi muove le fila di ogni movimento radicale dei Fratelli musulmani. Ogni volta che sfidano il regime (come nelle ultime elezioni farsa boicottate dalla maggioranza e dalla classe politica) non hanno alcun problema ad arrestarli, ma li lasciano liberamente attaccare i cristiani». D’altronde non dimentichiamo che proprio per compiacere i Fratelli musulmani l’articolo due della Costituzione egiziana, che prevede che la sharia sia la fonte esclusiva della legislazione e quindi prevede che i cristiani siano dei cittadini di seconda categoria, è considerato intoccabile. Non poteva tacere Khaled Alberry, ex affiliato della Gamaat al-islamiya, autore di un meraviglioso libricino La vita è più bella del paradiso (edito in Italia da Bompiani), attualmente giornalista per la Bbc araba. Conosce il terrorismo e l’estremismo islamico dall’interno. È un pentito che non tace. Sulla sua bacheca scrive: «Ancora per quanto accuseremo mani esterne per nascondere i nostri difetti!». Ha ragione. Nello stesso istante su Facebook c’era già chi incolpava gli ebrei dell’accaduto. Il 2 gennaio sui giornali ecco un’altra notizia proveniente dal social network. Maryam Fekry, Mariouma per gli amici, 22 anni, vittima dell’eccidio, che prima di uscire di casa scriveva: «Il 2010 è finito. Questo anno finito contiene i migliori ricordi della mia vita, in questo anno sono davvero stata felice. Spero che il 2011 sia ancora meglio. Ho tanti desideri per il 2011, ti prego Dio stammi vicino e aiutami a fare che diventino veri». I suoi sogni non si sono avverati o forse come direbbe Sameh si è avverato il sogno della gioia eterna. Quel che mi auguro con tutti gli amici egiziani è che si avveri, anche se ci spero davvero poco, il sogno dell’intellettuale egiziano Hesham al Toukhy che anni fa scriveva: «Sogno che un giorno finisca ogni genere di segregazione, che si fermi ogni genere di oppressione, che tutti gli egiziani siano uguali e che la religione sia di Dio e l’Egitto degli egiziani». *docente di Geopolitica del mondo islamico all’Università Europea di Roma | | 19 gennaio 2011 | 29 PANE AL PANE QUEGLI STUDENTI IN PIAZZA A ROMA L’errore è credere che il voto di chi protesta vale più di quello degli altri di Giorgio Israel G li studenti delle tre università di roma sono circa 220 mila. Se si fa la tara degli studenti dei licei che si sono mobilitati e di altre categorie di giova- INTELLETTUALE CURA ni, anche provenienti da città lontane, alle manifestazioni romane conTESTESSO tro la riforma Gelmini non ha partecipato più del 5 per cento degli studenti universitari. E quanti di costoro erano davvero consapevoli dei contenuti della riforma universitaria o invece erano mobilitati per ragioni puramente politiche? Di certo ne erano poco consapevoli gli studenti liceali, che hanno occupato, tenuto assemblee e gruppi di “studio”, alternati da proiezioni di film su Che Guevara, sotto l’influsso di docenti “militanti” che hanno colto l’occasione per seminare le loro nostalgie comuniste. Ma anche all’università erano più le aule occupate da proiezioni di film, danze techno, gruppi musicali e “giocolerie” che non da assemblee. Giornali e televisioni hanno gareggiato nel parlare “degli” studenti (e non “di” studenti) e addirittura “dei” giovani: è stata una manifestazione di umiliante servilismo e di sconcertante superficialità. Commentatori e “intelletChissà chi sono gli apprendisti stregoni tuali” in cerca di popolarità si sono sbracciati nell’imbastire claudicanti analisi sulla frattura generazionale, sui che trasmettono agli adolescenti il mito di destini dei nostri figli, dando per scontato che i manifeChe Guevara, di cui altrimenti ignorerebbero stanti coincidessero con la gioventù nazionale, e che i rail nome, e trasformano le loro “autogestioni” gazzi intervistati in televisione rappresentassero idee unain scuole di indottrinamento ideologico nimemente condivise e un’opposizione assolutamente compatta alla riforma Gelmini. “Delegazioni” di studenti sono state ricevute da dirigenti di partiti politici, persino in Quirinale e trattate come rappresentanze del mondo universitario e addirittura del mondo giovanile. “Delegati” da chi, quando e come? “Rappresentanti” di chi e in base a quale diritto titolati a esprimere un’opposizione in nome del mondo studentesco e addirittura “dei” giovani? In un paese che ha conosciuto le degenerazioni del Sessantotto fino all’autonomia degli anni Settanta – che vide il sequestro violento delle università da parte di un’infima minoranza – è inconcepibile che si ripeta l’errore di dar credito solo a chi strilla in piazza e di concedergli una patente di rappresentatività, in barba ai più elementari princìpi della democrazia. In un contesto di articoli giovanilisti, il Corriere della Sera ha pubblicato un editoriale di Mario Monti che contrapponeva i segnali positivi rappresentati dalle riforme Gelmini e Marchionne all’illusionismo di Berlusconi che riesce ancora a far credere a molti italiani che esista un pericolo comunista. Chissà chi sono gli apprendisti stregoni che trasmettono a degli adolescenti il mito di un Che Guevara di cui altrimenti ignorerebbero persino il nome, e trasformano le loro ingenue “autogestioni” in scuole di indottrinamento ideologico. E davvero qualcuno può seriamente pensare che la riforma Gelmini sia un’operazione condotta contro, o quantomeno a dispetto del governo Berlusconi? Gli epigoni del comunismo esistono, eccome, e sono ben rappresentati dai suddetti apprendisti stregoni, e da una parte consistente della sinistra sindacale e politica. Quantomeno il vecchio Partito comunista presessantottino aveva il buon senso di ammonire che spesso «a piazze piene corrispondono urne vuote». È un buon senso che manca agli adulatori “dei giovani”, che li identificano con una minoranza strumentalizzata per difendere interessi di conservazione. Esistono decine di migliaia di giovani laureati che attendono con ansia di poter accedere all’insegnamento ma non manifestano, e quindi non esistono. Che tragedia ricadere nell’errore di credere che il voto di chi scende in piazza valga venti volte di più di quello degli altri. | | 19 gennaio 2011 | 31 PLAUSI E BOTTE UN MATRIMONIO CHE OLTREPASSA I CONFINI Questa sposa porta in dote la speranza del Medio Oriente di Yasha Reibman Foto: AP/LaPresse L a foto di una sposa vestita di bianco circondata da SE TI amici, parenti e dai soldaDIMENTICO GERUSALEMME ti delle Nazioni Unite, pubblicata su Haaretz, uno dei principali giornali israeliani, racconta una storia di anormale quotidianità. Il luogo è il confine tra Israele e la Siria. La donna è una drusa che sta per sposarsi con un altro druso. Lei ha passaporto israeliano, lui siriano. Il loro progetto è vivere insieme in Israele. C’è qualcosa di strano se si considera che Israele e Siria sono tuttora in guerra. Ci sbaglieremmo se pensassimo che si tratti di un segnale significativo di una prossima pace tra Damasco e lo Stato ebraico. Nella foto, Forse alla pace si arriverà, ma una sposa siriana oltrepassa la foto di questi sposini non la frontiera per svela in realtà alcuna novità, convolare a nozze ma racconta una storia comcon il fidanzato residente nel plessa e semplice allo stesso Golan israeliano tempo. I drusi vivono da sempre a cavallo tra Siria, Libano e Israele (quando si parla di Israele è difficile usare la parola sempre). Sono fedeli al paese nel quale abitano, spesso servono nei rispettivi eserciti. In Israele i soldati drusi sono molto rispettati, vengono considerati valorosi e generosi. Nelle guerre in questi decenni, sebbene l’obiettivo fosse la distruzione di Israele, risulta siano stati fatti degli accordi tra gli eserciti contrapposti per evitare che gli scontri arrivassero nelle zone abitate dai drusi. La loro religione è tuttora avvolta nel mistero, ma quel che risulta ancor più inspiegabile è la capacità che hanno avuto di cavalcare quasi mille anni di storia senza essere sterminati. Un tempo potenziale vaso di coccio tra islamici e cristiani, oggi in mezzo a uno dei confini più caldi, i drusi, che per la loro storia non possono certo essere tacciati di codardia, sono riusciti a restare uniti e liberi nonostante un’entità nazionale drusa non esista e non sia mai stata richiesta. Hanno superato il secolo dei nazionalismi senza ubriacature e la foto di un loro matrimonio rappresenta se non una notizia almeno una speranza per il nuovo anno. NON BASTANO LE LEGGI Solo la ricerca di Dio ci può salvare di Bruno Mastroianni L a religione c’entra con le guerre quanto la biologia con il razzismo e le differenze culturali con le lotte tra popoli confinanti. Cioè niente. RECENSIRE Sarebbe veramente interessante poter mettere in fiRATZINGER la tutti gli scritti, i discorsi e i messaggi di Benedetto XVI (anche prima di essere Papa) in cui si parla del rapporto tra religione, pace e prosperità. Si scoprirebbe che il tasto su cui Ratzinger insiste è sempre lo stesso: solo l’autentica ricerca della verità (che è un sinonimo di autentica religione) è la garanzia che l’uomo non vada dietro se stesso e le sue piccolezze. Solo la ricerca di Dio salva l’uomo dall’egoismo, dalle parzialità, dal disinteresse. Non se la prendano gli atei dichiarati e gli agnostici sofisticati: se si smette di cercare qualcosa che va oltre la limitata prospettiva umana è facile cadere in un vicolo cieco. Hai voglia poi a produrre risoluzioni dell’Onu, regolamenti, provvedimenti, leggi e tutto il resto. Non basteranno mai per motivare un solo uomo a prendersi sulle spalle il destino dei propri simili. Nel discorso alla Curia il 20 dicembre scorso il Papa è tornato a citare Newman che, convertendosi, capì «che Dio e l’anima, l’essere se stesso dell’uomo a livello spirituale, costituiscono ciò che è veramente reale, ciò che conta. Sono molto più reali degli oggetti afferrabili». Proprio in questi tempi in cui vediamo cristiani che sono disposti a rischiare la vita per andare a Messa, forse anche a noi distratti e pasciuti occidentali sta tornando la voglia di rimettere al primo posto ciò che avevamo lasciato in fondo. | | 19 gennaio 2011 | 33 CULTURA IL ROMANZO È COME UN RING Io faccio a cazzotti con gli angeli «La narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo polvere, dunque se disdegnate d’impolverarvi, non dovreste tentar di scrivere narrativa». Ecco il manifesto inedito di Flannery O’Connor. L’Incarnazione contro lo spiritualismo di Antonio Spadaro S In questa foto, Flannery O’Connor. Nella pagina accanto, una foto scattata nella tenuta di Milledgeville 34 | 19 gennaio 2011 | | see, ha generato i Southerners, cioè scrittori quali Erskine Caldwell, Carson McCullers, Tennessee Williams, William Faulkner. Morì per un tumore nel 1964, a soli trentanove anni, a Milledgeville, dove aveva trascorso gran parte della sua vita di convalescente, essendo stata colpita in giovane età dal lupus eritematosus, ereditato dal padre, che di questa malattia pure morì. Nella sua breve vita scrisse ventisette racconti e due romanzi: La saggezza nel sangue (Wise Blood) del 1952, da cui John Huston nel 1979 trasse il divertente e terribile film omonimo, e Il cielo è dei violenti (The Violent Bear It Away) del 1960. All’opera narrativa vanno aggiunte le lettere e le prose occasionali di Mystery and Manners. La sua opera dunque non è immensa, ma è bastata a farla diventare una scrittrice di culto. Molti i riconoscimenti ricevuti in vita: tre borse di studio rispettivamente dalla prestigiosa Kenyon Review, dal National Institute of Arts and Letters e dalla Ford Foundation. Vinse tre volte l’O’Henry Awards e ricevette due Attilio Bertolucci dopo Hemingway, Faulkner e Fitzgerald l’America non aveva avuto autori veramente importanti. Tuttavia, dopo aver letto i testi della O’Connor, si disse «folgorato». Si può restare folgorati leggendo un libro se è scritto da un autore che sente, a sua volta, la scrittura come una folgorazione, una vocazione bruciante. I testi raccolti nel volume, tutti ancora inediti in italiano, costruiscono un percorso che illustra meglio questa “vocazione” e il suo possibile effetto folgorante sul lettore. Mary Flannery O’Connor Alle cose «bisogna dar corpo, creare nasce il 25 marzo del 1925 a Savannah, in Georgia, quella un mondo dotato di peso e di spessore». terra degli Stati Uniti d’America «Mostri queste cose e non avrà bisogno di che, con la parte Est del Tennes- dirle», consiglia in una lettera a Ben Griffith econdo Foto: Getty, Antonio Spadaro Esce in questi giorni nelle librerie, per la collana Bur “I libri della speranza”, Il volto incompiuto, antologia di saggi e missive di Flannery O’Connor finora inediti nel nostro paese. Pubblichiamo stralci dell’introduzione di Antonio Spadaro, uno dei massimi esperti italiani della scrittrice statunitense e curatore del volume, e di seguito una selezione di lettere. lauree ad honorem. Nel 1988 la un’abitudine, come un modo abituale di sua opera narrativa e una seleguardare le cose». È la materia e la concrezione di quella epistolare e sagtezza della vita che danno realtà al mistero gistica è stata pubblicata nella del nostro essere nel mondo. prestigiosa collana della LibraAl diavolo i simboli ry of America. Oltre ai grandi del passato, questo onore Da qui ecco il compito che la scrittrice ricofino a quel momento era stato nosce a se stessa: concepire l’infinita trama riservato solamente a William del finito, nella sua assoluta contingenza e «Il fondamento morale della Poesia è il Faulkner. Le sue poche pagine nella sua precisione: «Il fondamento morale dunque l’hanno fatta apprezza- nominare in maniera accurata le cose di della Poesia è il nominare in maniera accure come un’icona, un “mostro Dio», «rendere giustizia all’universo visibile» rata le cose di Dio», «rendere quanta più giusacro”, un modello. Del resto, perché «è un riflesso di quello invisibile» stizia possibile all’universo visibile» perché che cosa c’è di comune tra Bruesso «è un riflesso di quello invisibile». Dio è ce Springsteen e Nick Cave, registi quali re»: scrivere narrativa non è questione di un dato dell’esperienza, non un’intuizione John Huston e Quentin Tarantino, scritto- «dire» cose, ma di farle «vedere» al letto- della mente o dello spirito: nello splendido ri quali Raymond Carver, Elizabeth Bishop re, di mostrarle: «Mostri queste cose e non racconto The Turkey (Il tacchino), è addirite l’australiano Tim Winton o tra i nostri avrà bisogno di dirle (show these things tura rappresentato da un tacchino a cui un Luca Doninelli e Carola Susani? Nulla, for- and you don’t have to say them)», consiglia undicenne sta dando la caccia, mentre nel se. Tranne Flannery O’Connor, letta, amata, in una lettera a Ben Griffith, che gli aveva racconto A View of the Woods (La veduta inviato un racconto in lettura. Personaggi del bosco) Cristo è reso in figura dal bosco, rappresentata o imitata da tutti loro. e avvenimenti hanno un aspetto che col- in cui i «pini, visti di fianco avevano l’aria Il duello di Giacobbe pisce la percezione, sono incarnati e mate- di camminare sull’acqua». Per la O’Connor All’interno di una lettera del 17 gennaio riali: «Il mondo dello scrittore di narrativa non è il materiale a spiritualizzarsi, ma lo 1956 la scrittrice si descrive efficacemente è colmo di materia», mentre spesso si cre- spirituale a materializzarsi, secondo il prinin un ricordo biografico dagli echi biblici: de che siano le emozioni tumultuose o le cipio dell’Incarnazione. E ciò fa a pugni con «Ho fatto i primi sei anni di scuola dalle suo- idee grandiose a fare un racconto. Nient’af- ogni forma di psicologizzazione o mera re. (…) Fra gli otto e i dodici anni avevo l’abi- fatto. Con i concetti astratti e i presupposti simbolizzazione. Una volta la scrittrice si tudine di chiudermi ogni tanto a chiave in teorici non si fanno storie: la caratteristica trovò a cena da Mary McCarthy, altra nota una stanza e facendo una faccia feroce (e cat- principale, e più evidente, della narrativa penna dei suoi anni, che le disse di considetiva), vorticavo torno torno coi pugni serra- «è quella d’affrontare la realtà tramite ciò rare l’Eucarestia solamente come un «simti scazzottando l’angelo. Si trattava dell’an- che si può vedere, sentire, odorare, gustare, bolo». La risposta della O’Connor fu netta: gelo custode del quale, secondo le suore, tut- toccare. È questa una cosa che non si può «Beh, se è un simbolo, che vada al diavolo ti eravamo provvisti. Non ti mollava un atti- imparare solo con la testa; va appresa come (Well, if it’s a symbol, to hell with it)». mo. Lo disprezzavo da morire. Sono convinta di avergli addirittura mollato un calcioLE LETTERE MAI USCITE IN ITALIA ne finendo lunga distesa». Flannery O’Connor rimase una bambina che scazzottava l’angelo custode (socking the angel) che però non la mollava un attimo. Ce lo conferma un suo saggio, frutto di una conferenza tenuta alcuni mesi prima della morte, nel quale sostiene che lo scrittore deve lottare «come Giacobbe con l’angelo. (…) La stesura di un romanzo degno di questo nome è una sorta di duello personale (a kind of personal encounter)». Il testo funziona se è attiva questa lotta, che la O’Connor nomina in vari modi: wrestle, encounter, fino al termine socking, proprio dello slang. Leggere la O’Connor significa entrare nel ring delle sue pagine. Da dove nascono le sue storie? Che cosa le rende così intense? La sua scrittura è molto legata al reale, mentre è del tutto disinteressata ai labirintrovata dopo mezz’ora a pagina 9 che dorti della psicologia: «La narrativa riguarda di Flannery O’Connor miva profondamente. (…) Spero vi sia arritutto ciò che è umano e noi siamo polvere, vata la ricetta dei sottaceti. Regina non ne A Sally e Robert Fitzgerald dunque se disdegnate d’impolverarvi, non aveva mai fatti, ma ha trovato la ricetta in Martedì (metà settembre 1951) dovreste tentar di scrivere narrativa». Da Allego l’Opus Naseosus n. 1. Quando è un vecchio libro di cucina molto sporco, qui un prezioso avvertimento: non è possi- arrivato dattilografato l’ho dovuto leggere quindi dovrebbe andar bene… bile suscitare emozione con testi che trasu- di nuovo ed è stato come passare la giornadano emozione né suscitare pensieri riem- ta a ingoiare una vecchia coperta. Mi semAd A. 20 ottobre 1955 piendo le pagine di considerazioni e rifles- bra davvero tedioso, ma sempre meglio Nella tua immaginazione vado di male sioni. A queste cose «bisogna dar corpo, cre- di prima. Mia madre ha detto che voleva in peggio – prima una fascista e ora Cupiare un mondo dotato di peso e di spesso- rileggerlo, così se l’è portato dietro e l’ho do. (…) Non ho assistito alla conferenza Non sento le Voci Sono cattolica Foto: Getty, Antonio Spadaro I peccati più gravi? Sentimentalismo e pornografia. Ma per l’arte, non per la morale. «E se mi chiedono cosa mi ispira, la mia tendenza è di diventare mortalmente stupida e rispondere “Scrivo e basta”» | | 19 gennaio 2011 | 35 CULTURA IL ROMANZO È COME UN RING A John Lynch 6 novembre 1955 Le sono davvero grata per avermi mandato la copia della recensione e sono stata molto sorpresa e lieta che una rivista cattolica la volesse e l’avesse affidata a una persona intelligente. Il silenzio della critica cattolica è spesso preferibile alla sua attenzione. Guardo sempre le riviste cattoliche che legge mia madre, per vedere se è stato recensito il mio libro, e quando scopro che non lo è stato, recito una preghiera di ringraziamento. Non dovrebbe essere così ma lo è, e per me, il lato ironico della mia silenziosa accoglienza da parte dei cattolici è il fatto che scrivo come scrivo perché e solo per36 | 19 gennaio 2011 | | A Padre J. H. McCown 9 maggio 1956 (…) Dopo aver letto quanto potevo sopportare [di un libro da lui inviato], ho deciso che visto che potrei avere occasione di incontrare [l’autrice] sarebbe meglio non aver letto i suoi libri. (…) Concordo con i figli di lei… [Il suo libro] è solo propaganda e il fatto che sia propaganda a favore degli angeli è ancora peggio. (…) Ad A. 6 ottobre 1956 (…) Ieri Regina, N. e io siamo andati a un’asta di bovini vicino a Dublino. R. è di casa a queste aste ma per me era la prima volta. Io e N. sembravamo una versione bianca dei Gold Dust Twins tutti e due con Qui sopra, altri due particolari della tenuta di Milledgeville, dove Flannery O’Connor trascorse gran parte della sua convalescenza e morì a causa del lupus ereditato dal padre le stampelle, e i presenti ci hanno squadrato a lungo. Le vacche erano un affare e Regina ne ha comprate dieci. (…) Una delle vacche più tristi che io abbia mai visto è entrata nell’arena e hanno provato a cominciare con una base d’asta di cinquanta dollari, ma nessuno ha fatto l’offerta. Qualcuno alla fine ha detto $35 e alla fine, persuadendoli che potevano farci di più macellandola, il banditore è riuscito ad arrivare a $41. Quindi è stata venduta per $41 e hanno provato a farla uscire dall’arena. Ogni volta arrivava al cancello e si rifiutava di andare oltre. Alla fine si è sentita una voce possente biascicare dai palchi «Non è soddisfatta di quanto è costata». Finalmente sono riusciti a farla uscire. Dopo questo episodio ho intenzione di andare a tutte le aste. N. ci ha intrattenuti sulla via del ritorno con dei racconti sull’aia, il più impressionante è stato quello di un maiale che aveva i vermi in testa. A tavola un giorno ci ha detto che la SOLA cosa da fare con un cane costipato è fargli un clistere. L’espressione di mia madre mi è sembrata molto strana nei minuti successivi. Se verrai a stare da noi per un fine settimana, sfogge- Foto: Library of Congress, Washington, D.C.; Antonio Spadaro di Russell Kirk perché era di lun. anziché ché sono cattolica. Credo che se non fossab. come pensavo; comunque, io e lui era- si cattolica, non avrei ragione di scrivere, vamo in visita dalle stesse persone nel fine nessuna ragione di vedere, nessuna ragiosettimana, quindi l’ho visto in abbondan- ne di provare orrore, o di provare piacere za. Ha circa 37 anni, sembra Humpty Dum- in nulla. Sono nata cattolica, ho frequenpty (integro) sempre col sigaro e (all’aper- tato scuole cattoliche durante l’infanzia, to) con un cappello a forma di cupola. Non e non ho mai lasciato, né ho mai voluto è un gran conversatore, come me, e quelle lasciare la Chiesa. Non ho mai percepito volte che rimanevamo da soli i nostri ten- l’essere cattolica come un limite alla libertativi di fare conversazione erano come lo tà dello scrittore, piuttosto l’opposto. Mrs sforzo di due nani di abbattere una sequo- Tate mi ha detto che dopo essere diventaia. Comunque, a un certo punto ci siamo ta cattolica, sentiva per la prima volta di lanciati nella seguente raffica di battute poter usare gli occhi e accettare ciò che severe e ben riuscite. vedeva, non doveva creare un nuovo uniIO: Ho letto che il vecchio William verso per ogni libro, ma poteva prendeHeard Kilpatrick è morto da poco. Anche re quello che trovava. Io stessa credo che John Dewey è morto, giusto? essere cattolica mi abbia risparmiato un KIRK: Sì, grazie a Dio. Ha paio di migliaia di anni per avuto quel che si meritava. Ah imparare a scrivere. (…) IN USCITA ah. IO: Spero che ci siano bamA Padre J. H. McCown bini che gli gattonano sopra. 6 febbraio 1956 KIRK: Sì, spero che sia in (…) Ho scritto a Padre Garcompagnia di bimbi non batdiner, ma dopo aver visto la tezzati. recensione del libro di MichelIO: No, sarebbero troppo felder, temo di essermi espresinnocenti. sa male. (…) Tuttavia, mi semKIRK: Giusto. Ah ah. In combra che non si debba per forpagnia di bimbi battezzati. za fare affidamento sulla virIO: Già. tù della prudenza per evitare (…) L’affare del sonno framla pornografia nei propri scritmentato è interessante, ma l’afti, ma che si debba fare affidaIL VOLTO fare del sonno è sempre intemento prima di tutto sulla virINCOMPIUTO ressante. Una volta ne ho fattù dell’arte. La pornografia e Autore F. O’Connor to quasi del tutto a meno per il sentimentalismo e qualsiaEditore Bur parecchie settimane. Avevo la Pagine si altro eccesso sono tutti pec180 Prezzo 9 euro febbre alta e prendevo grosse cati contro la forma, e credo dosi di cortisone, che ti impediche dovrebbero essere trattasce di dormire. Ero affamata di sonno. Da ti come peccati contro l’arte, e non come allora penso al sonno come collegato meta- peccati contro la moralità. (…) foricamente con la madre di Dio. Hopkins ha detto che lei è l’aria che respiriamo, ma A J. F. Powers 19 aprile 1956 io la riconosco più nel dono del sonno. Per Questa è una recensione [di The Presenme la vita senza di lei equivarrebbe a una ce of Grace] da un posto fuori dal mondo vita senza sonno, e come ha tenuto dentro ed è cosa fuori dal mondo per me inviarla di sé Cristo per un po’, mi sembra che per ma vorrei sapesse che ammiro le sue storie un po’ dentro di sé tenga anche noi men- più di tutte le altre che conosco nonostantre dormiamo, così che possiamo risve- te il gatto che, se le mie preghiere sono stagliarci in pace. (…) te ascoltate, è già stato messo sotto. IL DIRETTORE DELLA COLLANA In quelle pagine c’è la fede di “una stirpe invincibile” Foto: Library of Congress, Washington, D.C.; Antonio Spadaro La collana “I libri della speranza” che ho la ventura di dirigere per Rizzoli è fatta di libri come stracci nel vento, come segnali per i viandanti, come taccuini di mappe. La storia che ho scritto in romanzo di Hermann il rattratto, la storia dell’incontro del grande re barbaro Attila con papa Leone, e insieme ad altri titoli, ora le lettere di Flannery O’Connor, sono segnali nella nebbia del presente per chi vuole custodire la virtù della speranza. Libri che possono nutrire la stirpe dei cristiani. Questo della grande scrittrice americana, curato da due dei suoi massimi intenditori e traduttori (A. Spadaro e E. Buia), si unisce a quello che in Rizzoli nella collana dello “spirito cristiano” curai anni fa: la splendida e magnetica raccolta di racconti La schiena di Parker. Libri che contribuiscono non solo a far conoscere meglio uno dei tesori della letteratura americana, ma sono il “diario di una esponente di punta del cattolicesimo nella modernità”. Quella modernità che vediamo aver dapprima messo in discussione la fede come esperienza di uomini liberi e intelligenti attraverso le tante contestazioni di tipo filosofico e estetico e ora attaccarci anche con azioni politiche e violente come il terrorismo. In Flannery O’Connor vediamo in azione i criteri di una fede che determina nel mondo l’esistenza di una stirpe invincibile (come recita il Christe cunctorum). Una stirpe a cui è estraneo qualsiasi scontro di civiltà. Infatti, non ci interessa difendere una civiltà, ma l’esistenza di un popolo che attraversa e segna tante diverse civiltà. Che si tratti degli Stati Uniti del Sud negli anni Cinquanta, dell’Italia del Duemila o del martoriato Oriente dove i nostri fratelli sono vittime di attentati, la speranza nostra è costruttiva. Di opere d’arte, incontri, tentativi di umanizzazione. Davide Rondoni rò N. a tavola. Suppongo che il gioco d’azzardo non sia una virtù ma lo sembra quasi, in una società in cui c’è un rispetto esagerato per i soldi. Parte del Purgatorio deve consistere nella consapevolezza di quanto poco ci voglia a trasformare un vizio in virtù. Ma suppongo che il Signore ci perdonerà per la preparazione inadeguata. Una cosa che mi piace nella trattazione di Tate su [Hart] Crane è la dichiarazione che Dio non ha disprezzato le circostanze. Questo si applicherebbe al fatto che sebbene l’atto possa non essere stato buono, del bene è scaturito da esso… La Comunione dei Santi ha qualcosa a che fare con il fatto che i fardelli che portiamo a causa di qualcun altro, li possiamo anche portare per qualcun altro. Lettera interrotta per ingresso di Genitrice con tuo messaggio e biscotti. (…) ‘‘ Ad A. 29 novembre 1956 (…) Dovrò provare a fare qualcosa per quella conferenza affinché sia chiaro che parlo nell’interesse dell’esperienza, quando dico che lo scrittore ne prende le distanze, ma come ho già detto, a questo punto sono totalmente stufa di questo tema e dubito a ogni modo che le ragazzine presteranno attenzione. Quando B. L. ha parlato là, non ha parlato di scrittura ma di Donne – «dobbiamo essere fidanzate, mogli & madri migliori» ecc… ecc… e quando ha parlato al Ga. Writers, a quanto ho sentito, ha parlato de «Le lotte e la solitudine dello scrittore» e stando a [un ascoltatore] è stata straordinaria e ha fatto venire le lacrime agli occhi. Mi viene sempre da vomitare quando sento parlare della «Solitudine dell’Artista». (…) Guardo sempre le riviste cattoliche che legge mia madre, per vedere se è stato recensito il mio libro, e quando scopro che non lo è stato, recito una preghiera di ringraziamento ’’ Ad A. 11 dicembre 1956 (…) Sto scrivendo al mio agente per mettergli fretta e vendere tutti i miei racconti come commedie musicali. In giro ci sono abbastanza ballerini di tip tap per tutti quanti i racconti, e c’è sempre Elvis Presley. A Maryat Lee 24 febbraio 1957 (…) Sono rimasta sbalordita quando mi hai chiesto come o dove trovo il mio materiale. A Emory avevano una lista di domande alle quali dovevo rispondere e la prima era: Trae spunto dall’immaginazione o dalle proprie esperienze? La mia tendenza in queste occasioni è sempre di diventare mortalmente stupida e rispondere «Scrivo e basta». (…) Vorrei tanto avere delle Voci, o almeno voci distinte. Ho qualcosa che si avvicina a un cronico ringhio borbottante come se sotto casa ci fossero i gatti in amore, ma nessuna Voce chiara da anni. (…) A Emory hanno dato una piccola cena prima del mio discorso… Un uomo ha detto «Sto lavorando con un gruppo sui rapporti interpersonali». Qualcuno ha chiesto cosa fossero i rapporti interpersonali e uno degli scrittori ha risposto, «Intende i negri e i bianchi». n | | 19 gennaio 2011 | 37 culturA che aria tira nella metropoli Guarda Milano che sorride «A Napoli si passeggia, a MilaNo si corre sempre. Anche se si è in orario. È l’atmosfera del luogo che induce all’impegno». Per l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, Milano è soprattutto questo. Operosità. «Noi siamo così, il detto tradizionale “Te lavuret semper” è fortemente legato al “Epür sèm mai cuntènt”. La cifra della nostra comunità cittadina da sempre è il dinamismo, la curiosità e anche l’insoddisfazione di sé, che porta all’impegno e alla crescita incessante». Poi c’è la generosità. Il cœür in man. «Anche se qualcuno può criticare certi atteggiamenti di aree della nostra società, non c’è nessuna città in Italia che abbia un tasso tanto alto di accoglienza per gli stranieri: offre risorse e possibilità di lavoro come nessun’altra, e i non milanesi sono l’altissima maggioranza. Si diventa milanesi perché si accettano le regole del luogo, non perché si è nati a Milano». Malgrado la crisi, la maggioranza dei milanesi e dei lombardi in genere si dichiara, contro-tendenza, pienamente appagata. A registrare il dato è un’indagine della Camera di Commercio di Milano su dati Istat, sulla base di un sondaggio realizzato tra imprenditori e lavoratori milanesi nel 2010. Se in Italia i soddisfatti della situa- 38 | 19 gennaio 2011 | | zione economica nel corso dell’anno appena concluso sono meno della metà (46,9 per cento), nel caso della Lombardia si assestano ben sopra il 50 per cento. I lombardi sono, in media, più soddisfatti degli italiani anche per quanto riguarda il tempo libero, la salute, e le relazioni sia amicali che familiari. Più di 2 persone su 3 (il 68,4 per cento) sono felici di vivere a Milano, in particolare gli under 40. I dati, insomma, raccontano una città inaspettata, forse anche rispetto al resto dell’Italia, di sicuro rispetto allo stereotipo che sotto la Madonnina immagina solo nebbia e nevrosi. Milano vitale, produttiva e capace di rispondere alle esigenze dei più giovani? Anche. Nel cuore e nel giudizio di chi la abita, la città si rivela negli aspetti inconsueti, è protagonista di un affresco lucido e impietoso, è guardata con distacco da chi la vive come ospite al lavoro, amata senza riserve da chi ci è nato o semplicemente ha deciso di appartenerle. Don Gino Rigoldi, prete di frontiera, cappellano del carcere minorile di Milano, fondatore di Comunità Nuova, non si stupisce: «La tentazione comune è quella di dire: “Milano felice? Ma quando mai”. Invece è una città piena di tensione positiva, di aspettativa, di ottimismo. Inquieta, in perenne ricerca. C’è voglia di serenità, persino di religione. Qualche giorno fa ho partecipato a un incontro sulla figu- Foto: AP/LaPresse Sbaraglia gli stereotipi nebbiosi e si scopre contenta. Diario di una conversazione d’inizio anno con politici e imprenditori, preti e intellettuali. Per scoprire una città più forte degli happy hour e dei profeti di sventura sime potenzialità, una città che in questo momento ha tirato dentro le unghie, spero in attesa di poterle tirare fuori». Philippe Daverio racconta di essere arrivato a Milano nel 1968, per frequentare l’Università Bocconi. Il giornalista e critico d’arte francese, naturalizzato italiano, ha oggi uno sguardo più disincantato: «Vedo più ristoranti rispetto a vent’anni fa, e dei milanesi più isterici. Basta pensare all’aggressività automobilistica: l’odio per chi non parte non appena scatta il verde, le reazioni esagitate. Milano rimane la città che offre le migliori opportunità, per quanto riguarda la sfera lavorativa come quella del tempo libero. Non offre un destino, forse. E non offre la morbidezza che oggi solo la vita di provincia può dare. È una città che ha assunto il piglio metropolitano duro, adatta a chi ha voglia di competere: una piccola grande metropoli, con tutto ciò che ne consegue, compresa la frantumazione della società unica. Ma nell’Italia di oggi, è l’unica metropoli esistente». Foto: AP/LaPresse Sopra, da sinistra a destra, Luca Doninelli, scrittore; Filippo Astone, giornalista; Carlo Masseroli, assessore all’urbanistica; Antonio Intiglietta, imprenditore; Gad Lerner, giornalista e Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano oggi europarlamentare. Sotto, da sinistra a destra, don Gino Rigoldi, fondatore di Comunità Nuova; don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus; Philippe Daverio, critico d’arte e Mario Furlan, fondatore dell’associazione di aiuto ai senza tetto City Angels ra di Cristo, e c’era gente fin sulle scale... È una città che trabocca di desiderio, che purtroppo spesso rimane inespresso, ma che comunque c’è». Don Antonio Mazzi, vulcanico sacerdote fondatore delle comunità Exodus (che da 25 anni svolge attività di recupero per tossicodipendenti): «Non avrei mai potuto realizzare in altre città quello che ho fatto e sto facendo qui. È una città che premia chi rischia, in qualsiasi campo. Credo che la parola “sicurezza” sia diventata una sorta di trincea mentale, che ha addormentato tutta una serie di impulsi. Ma è ancora una città con grandis- Il cuore e le gru Per Carlo Masseroli, assessore allo Sviluppo del Territorio nato a Milano nel 1967, il simbolo della città sono le gru, i cantieri. «Il piano di sviluppo che abbiamo predisposto si chiama “Milano per scelta”, perché è impostato sull’individuazione dei fattori che portano le persone a scegliere la città della Madonnina per investire nel proprio futuro, per far crescere i figli: case a prezzi accessibili, verde, infrastrutture e mobilità, valorizzazione del privato sociale. Girando per i quartieri mi sono reso conto che le zone periferiche sono molto vivaci, dense di esperienze positive, di associazioni di volontariato, e anche di piccole realtà che si ingegnano inventandosi nuovi lavori. C’è anche chi si lamenta, certo. È vero che tutto è migliorabile, ma gli aspetti problematici trovano risposta nello sviluppo della città e nelle “presenze buone” presenti». Un esempio? «Nel mio quartiere – riprende l’assessore – ci sono venti bambini cinesi, che ogni pomeriggio vanno in oratorio a fare il doposcuola. Queste cose non nascono certo per una strategia dell’amministrazione, ma costituiscono il vero valore aggiunto della città». Il giornalista Gad Lerner è cresciuto a Milano, poi si è allontanato a più riprese, l’ultima volta per dieci anni, tornando nel 2002 ma senza ritrovare il senso di mescolanza provato in gioventù. «Ho avvertito il deteriorarsi di un senso di comunità milanese complessiva, che si è frantumata in tante isole che non comunicano l’una con l’altra. Credo sia andato perduto un senso di relazione: ciascuno si accontenta di restare chiuso nella propria comunità di appartenenza. Non parliamo poi della distanza | | 19 gennaio 2011 | 39 cultura che aria tira nella metropoli l’inferno dell’aperitivo e gli angeli Filippo Astone, oggi penna de Il Mondo, è nato a Torino: «Fin da ragazzino avevo il sogno di fare il giornalista. Quando mi sono trasferito a Milano, a 22 anni, ho trovato un mondo di quotidiani, settimanali, mensili che mi hanno permesso – pur facendo una fatica pazzesca – di mantenermi anche all’Università. Milano dà delle chances impensabili per chi vive altrove, ma l’essere un luogo di lavoro rende i rapporti umani molto più difficili. Mi sembra che la gente non investa emotivamente su Milano, che aspetti solo di sentirsi “libera” per andare altrove». Poi ci sono i riti collettivi, come l’aperitivo: «Lo odio con tutte le mie forze. Ore in piedi, stanchi morti, ad accaparrarsi un pezzo di salame o di formaggio di pessima qualità, sentendosi “fighi” perché si sfoggia la cravatta alla moda o si fa la battuta che fa sorridere la gnocca di turno. Ma in realtà con i compagni di aperitivo non si scambia niente, si frequentano persone di cui si ignora tutto». Mario Furlan, giornalista e fondatore dei City Angels, è di origine veneta e ha vissuto fino ai 18 anni ad Albissola, in Liguria. «Sono arrivato a Milano dopo la maturità. E, nonostante le mie perplessità, subito mi sono trovato bene. Perché Milano è una città accogliente, la città più accogliente e meno razzista d’Italia: aperta, globale. Ho fatto presto più amicizie di quante non ne avessi fatte nel corso degli anni in Ligu40 | 19 gennaio 2011 | | ria. E dopo pochi mesi ho capito che il mio esempio, pochissimi vogliono fare volontafuturo sarebbe stato qui, a Milano, la città riato: chiedono soldi. A Genova e Bologna più europea d’Italia. Se i City Angels non buttano tutto in politica, è difficile trovafossero partiti qui ormai 17 anni fa, forse re amministratori che non tendono ad etinon sarebbero mai diventati un fenomeno chettarti. A Roma si parla di più e si combinazionale. Siamo presenti in tutta Italia, na di meno, è tutto più lento e farraginoso. ma solo a Milano vedo una partecipazio- Milano invece è una città poco ideologica e ne così massiccia di cittadini nel raccogliere i nostri «se i City angels non fossero partiti qui ormai appelli per portarci mate- 17 anni fa, forse non sarebbero mai diventati riale per i senzatetto. In altre città facciamo più fati- un fenomeno nazionale. Qui si fa tanto ca a radicarci. A Napoli, ad volontariato senza buttarla in politica» il museo a un mese dall’inaugurazione la luce sul secolo della grandezza Boccioni, martini, Fontana e molti altri affollano lo spazio che celebra il fecondo novecento ambrosiano. appuntamento sotto le guglie Foto: Gianni congiu enorme che si è creata tra la Milano del centro, del benessere, e la milano delle periferie, della fatica. A un certo punto abbiamo teorizzato che il lusso avrebbe fatto da traino favorendo una vita migliore anche per gli umili, accettando questa nuova dimensione come inevitabile: la parola ugualitarismo è diventata tossica, maledetta, soggetta a riprovazione pubblica». Antonio Intiglietta, fondatore e ad di Ge.Fi (Gestione Fiere) è un imprenditore nato a Brindisi e trapiantato a Milano. Per lui Milano è un tessuto di personaggi, di volti, di storie. «Non riuscirei a pensarmi senza. Per me Milano è l’Università Cattolica, in cui ho vissuto con alcuni amici un orizzonte della vita che non era ridotto a bieco perseguimento di piccoli obiettivi, ma di un desiderio grande. C’è un incontro in particolare che caratterizza il mio rapporto con Milano: una chiacchierata, nata casualmente, con Giovanni Testori. Un uomo che ha permesso a tanti di noi di crescere nelle loro capacità culturali. Avevamo letto un suo articolo, sulla prima pagina del Corriere della Sera, l’abbiamo cercato e da quell’incontro è nato un fiume di umanità e di esperienze, che hanno generato uomini, opere, cultura. Milano ha un cuore che pulsa attraverso i suoi maestri di umanità. E pulsa con un orizzonte largo, con un respiro internazionale». molto concreta. La sua generosità si coniuga con la sua voglia di fare». Per Luca Doninelli, scrittore milanese, uno dei motivi di infelicità delle città che noi chiamiamo post-moderne sta in una enorme frammentazione, non tanto sociale quanto degli scopi. «È difficile che nelle grosse città di quest’epoca ci sia “la gente” letterariamente intesa, vale a dire persone che si mescolano, che si incontrano per strada e si mettono a chiacchierare. Ognuno ha i suoi percorsi, ognuno nel suo tunnel personale, ci incrociamo senza incontrarci. C’è felicità là dove c’è mescolanza. E Milano è piena di sacche di resistenza, piene di vita. Nei mercati rionali, nei bar tabacchi. Anche la bieca borghesia milanese, di cui ci siamo ormai stufati, che si incontra a Santa Margherita Ligure, è ancora molto aperta e vivace. Milano è zeppa di luoghi nascosti: passi per caso nel Parco Sud, e scopri una cascina in cui tre suore aiutano i bambini rom a studiare, in mezzo al verde». La felicità nasce anche attorno a un bisogno: «Quando tu diventi partecipe della mia vita, e io della L’ultimo piano del Museo del Novecento (aperto dal 6 dicembre in piazza Duomo), è dominato dal neon progettato da Lucio Fontana per la Triennale del 1952. Qui sopra, le code all’ingresso durante le feste. Nelle altre immagini, gli interni del Museo Foto: Gianni Congiu M ilano è felice perché ha il museo che attendeva da vent’anni. Da tanto la città aspettava di poter celebrare il secolo che l’ha vista giocare un ruolo da protagonista nel panorama artistico mondiale. Questo è l’ardito compito che spetta al Museo del Novecento, aperto il 6 dicembre dopo tre anni di cantiere. Il primo mese di apertura gratuita (esteso fino al 28 febbraio grazie al contributo di Bank of America Merrill Lynch) ha visto 168 mila persone varcare le soglie dell’Arengario, con una media di 5.800 ingressi al giorno e punte di 8.200 nelle giornate del 26 e 27 dicembre. Se le cose continuassero così (e c’è da augurarselo) il Museo diventerebbe il museo d’arte moderna più visitato d’Italia. Certamente la perenne coda fuori dall’Arengario crea curiosità. È un po’ come acca- de per i locali di tendenza: la coda chiama coda. Ma non c’è solo questo. Chi esce dal museo ha voglia di parlarne e di solito ne parla bene. E in effetti ci sono diversi passaggi indimenticabili in questo spazio che raccoglie 350 dei 4 mila pezzi posseduti dalle raccolte civiche e frutto della solida tradizione del collezionismo milanese. La prima è certamente la più completa collezione di opere di Umberto Boccioni che si possa vedere in Italia e nel mondo. Boccioni ne esce per quel che è davvero: un grande artista, oltre che un moderno senza tempo. Guardate la Signora Virginia (1905) ritratto matronale di donna con il cagnolino: la tecnica è ancora divisionista (come quella del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo che apre l’esposizione a metà della rampa elicoidale di ingresso progettata da Italo tua. I guai non ce li toglie nessuno, ma la possibilità che si possa mettere in comune un po’ di più le proprie biografie, Milano la offre ogni giorno. Se si vive la città con curiosità e stupore ce ne si accorge. Nonostante lo “spezzettamento” che caratterizza tutte le metropoli, rimane questa tendenza. È in questa resistenza che pervade i quartieri, una resistenza di matrice cattolica, laicizzata, che porta in sè la memoria di una città attenta, accogliente, distinta, che io vedo l’essenza di questa città». Chiara Sirianni Rota), ma la mano è quella di un fuoriclasse che nel giro di poco più di sedici anni reinventa completamente la sua opera, fino ad arrivare a un capolavoro assoluto come Forme uniche della continuità nello spazio (1913). I bambini che scorazzano per il museo la paragonano ai robot che accatastano nei loro passeggini, ma quella figura in bronzo si può vedere, oltre che a Milano, anche al MoMa di New York. L’altro gigante è Arturo Martini, forse il più importante scultore italiano del secolo scorso. Almeno due le opere da brividi: La sete (1931) e L’Annunciazione (1927). In quest’ultima l’angelo è catturato mentre scende in picchiata con una mano sul ventre della Vergine e l’altra che tocca terra, ad indicare come in quel punto, per la prima volta nella storia, cielo e terra si toccano in un inimmaginato miracolo. C’è tanta bellezza che sta stretta, in questo spazio ricco di capolavori e anche di scelte discutibili. Una su tutte la collocazione in sale spesso strette di un numero eccessivo di opere o qualche grossolanità nell’allestimento (bruttine quelle targhette delle opere che sembrano adatte più a una fermata dell’Atm che non a un museo nella capitale mondiale del design). Il disagio, ai limiti della sopportabilità nei giorni delle feste, scompare all’ultimo piano. A Lucio Fontana che ha scardinato lo spazio squarciando la tela (Attesa, 1958) il Museo del Novecento dedica un respiro mai visto nei piani precedenti. E non è solo una questione di metri quadrati. Sulle opere vegliano un soffitto realizzato dal maestro per un hotel dell’Isola d’Elba e qui arditamente ricollocato e il neon progettato per la Triennale del 1952. E poi New York, tre lastre di rame che Fontana trancia e graffia, per fare il verso alle mille luci e nevrosi della Grande Mela e che qui dialogano con la placida tensione all’eterno delle guglie gotiche del Duomo che si affacciano dalla vetrata. Quassù Milano si accorge di quanto sia bella, distrattamente riscopre i suoi tratti antichi e moderni, dalla civetteria di un ghirigoro di luce al neon alla marmorea eleganza di una cattedrale. Laura Borselli | | 19 gennaio 2011 | 41 CULTURA GIUSTIZIA DA PRIMA PAGINA Chiacchiere distintivo e bloc notes Un testimone diretto svela l’intreccio perverso fra procure e redazioni che ha trasformato la lotta alla mafia in un terreno ostile alla verità ma funzionale alla «costruzione di miti e carriere». I casi Falcone, Mori e Contrada G iovanni Falcone, Bruno Contrada, Mario Mori. Tre personaggi diversi, tre protagonisti di Giustizia assistita, saggio postumo di Piero Milio, che di Contrada e Mori è stato avvocato difensore, mentre di Falcone fu amico. Milio è stato in Sicilia anche uno dei primi avvocati di parte civile delle famiglie vittime di mafia e del Comune di Palermo negli storici maxi processi. In queste vesti, è diventato memoria storica di vicende del palazzo di giustizia di Palermo (quel “palazzo dei veleni” in fondo rimasto tale fino a oggi) che hanno segnato tutta Italia. Era un attento osservatore, Milio, che con arguzia annotava mentalmente i fatti, scavando sotto le accuse e le polemiche giornalistiche. Ora le sue annotazioni sono diventate un libro, che però lui purtroppo non è riuscito a vedere sugli scaffali delle librerie (è deceduto nel giugno scorso). Giustizia assistita: tra le vicende umane e giudiziarie, tra i numerosi documenti citati, gli stralci di giornale e le testimonianze, è lei la vera protagonista del libro. Assistita, ma da chi? Nei tre casi, ben diversi tra loro, emergono alcuni denominatori comuni. Elementi che – pare suggerire Milio – a ben vedere non accomunano solo le storie in questione, ma riguardano la pratica complessiva della giustizia in Italia. 42 | 19 gennaio 2011 | | La prima vicenda è quella di Falcone. Milio ricostruisce la professionalità del magistrato, acquisita in anni di lavoro scrupoloso e silenzioso, dietro le quinte, come giudice istruttore, un lavoro che solo alla fine culminò nei maxi processi. Ne è esempio il caso del pentito Giuseppe Pellegriti che accusò Salvo Lima (leader degli andreottiani in Sicilia, ndr) di essere il mandante dell’omicidio del presidente della Regione, Piersanti Mattarella: titoloni da collezionare ce ne sarebbero stati eccome, ma Falcone preferì cercare riscontri, non ne trovò, ed emise allora un provvedimento di custodia cautelare per il pentito. Con queste premesse, si può facilmente intuire ciò che avvenne. «L’occasione per l’ennesimo attac- co a Falcone arrivò puntuale sotto forma di altra polemica, lanciata questa volta dagli schermi televisivi di Samarcanda (condotta da Michele Santoro, ndr); Leoluca Orlando (oggi Idv, ndr) insieme ad altri accuserà Falcone di tenere nei cassetti le prove dei delitti politici». Succedeva nel 1989, di lì a poco la candidatura del magistrato al Csm fu bocciata dai colleghi per la prima volta (la seconda nel ’92). A Falcone fu impedito così di dirigere la superprocura antimafia che aveva ideato, sia per combattere in modo più agile le mafie, sia per superare anche i personalismi nella conduzione delle indagini. Milio riporta gli attacchi delle toghe rosse di Magistratura democratica a Falcone, tra il ’91 e il ’92: accuse di «una ristrutturazione neoautoritaria», perché «la polverizzazione delle competenze tra le procure impedisce uno dei compiti essenziali del pubblico ministero, la direzione effettiva delle indagini. La situazione è resa ancor più grave dalla creazione tra le forze di polizia di organismi centrali ed interprovinciali». Ieri come oggi. Contesti diversi, uguali barricate di fronte alle novità, viste come minacce al potere delle toghe. Milio riporta anche gli attacchi di Repubblica e dell’Unità, nonché dell’allora Pds. Di chi, insomma, oggi si professa di ben altra fede: «L’infame strage sta- Dall’UnitàalPds,tutti attaccavanoloscrupoloso Falcone.«L’infamestrage stanòlafolladegliavvoltoi», scrivel’avvocatoPieroMilio. «Improvvisamentesiscoprì cheFalconemaiavevaavuto nemici,masoloamicifidati» e ad aprire le danze dei sospetti. Quelle ricostruzioni furono smentite in aula con documenti che provavano che i carabinieri del Ros nel ’93 avevano agito in pieno accordo con l’allora procuratore capo di Palermo, Giancarlo Caselli. Con il suo beneplacito avevano rinviato la perquisizione per indagare anche sull’entourage che aveva favorito la latitanza del “capo dei capi”. Infatti nel 2006 Mori e Ultimo sono stati assolti «perché il fatto non costituisce reato». Ma se in procura esistevano carteggi con il Ros sulla ritardata perquisizione e un diario in cui si parlava esplicitamente dei sospetti sui due ufficiali, perché per anni l’indagine è rimasta “contro ignoti”? A causa di tale scelta, fino al 2004 né Mori né Ultimo hanno potuto difendersi, mentre contro di loro si scatenava anche un violento processo mediatico. MEMORIE Foto: AGF, AP/LaPresse GIUSTIZIA ASSISTITA Autore P. Milio Editore Koinè Pagine 223 Prezzo 14 euro Nellefotopiccole, letrevittimeillustri digiustiziaassistita secondoPieroMilio. Quisopra,Bruno ContradaeMario Mori;asinistra GiovanniFalcone (inalto,lasuaauto dilaniatadalle bombedellamafia) nò la folla degli avvoltoi», scrive l’avvocato. «Improvvisamente si scoprì che il dott. Falcone mai aveva avuto nemici, né avversari, ma solo amici fidati, affettuosi». Anche con la storia di Contrada il libro di Milio tocca alcuni punti dolenti della giustizia, come per esempio l’uso delle dichiarazioni dei pentiti anche a prescindere dalla loro provabilità. Ma è la vicenda giudiziaria del generale dei carabinieri Mori ad alzare il livello della riflessione. Mori e il capita- no “Ultimo”, che arrestarono Totò Riina nel gennaio del ’93, furono accusati di favoreggiamento alla mafia perché non perquisirono immediatamente il covo del boss. Tre i fatti che caratterizzano questo caso di “giustizia assistita”. Primo fatto: Mori e Ultimo seppero ufficialmente di essere indagati nel 2004, ma si indagava su di loro almeno dal ’98. Solo che la procura di Palermo aveva iscritto l’indagine contro “ignoti”. Secondo fatto: “ignoti” i carabinieri indagati in realtà non lo erano affatto in procura, dove tutti conoscevano bene gli autori del blitz. Il processo inoltre si basò soprattutto su un diario (rimasto “anonimo” fino al 2005, quando fu riconosciuto in aula dal suo stesso autore, il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Aliquò) che “rivelava” retroscena, perplessità, dubbi e mal di pancia che seguirono l’arresto di Riina, spingendo già nel febbraio del ’93 la procura a “riscrivere” i fatti Quelle anticipazioni di Repubblica Ecco il terzo aspetto significativo della vicenda. Il 15 gennaio ’94, un anno dopo l’arresto di Riina, quattro prima dell’apertura delle indagini e dieci prima della notifica ai carabinieri del Ros, Attilio Bolzoni su Repubblica anticipò alcuni sospetti: «E Caselli scrisse al Generale. Quel covo di Riina vietato ai giudici per 18 giorni». La notizia, falsa per quanto riguardava il covo vietato, si basava su una cosa vera, i famosi carteggi tra Ros e procura. Ma come li aveva avuti Bolzoni? E perché la procura negò a Mori il diritto alla difesa ma non bloccò la fuga di notizie? Oggi a Palermo la storia si ripete. Nel 2008 si è aperto un nuovo processo contro Mori (indagini avviate nel 2001 su dichiarazioni di Michele Riccio, clamorosamente smentite in aula) e nel 2010, a procedimento in corso, la stampa ha riportato la notizia di nuove imputazioni per il generale, dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino. Nella ricostruzione di Milio, le storie di Falcone, Mori e Contrada sono casi clamorosi di una giustizia che assiste politica e mass media e da questi è assistita. Scrive nell’introduzione al libro il penalista Michele Costa, figlio di Gaetano, procuratore ucciso dalla mafia nell’80: tanta produzione editoriale sulla mafia, spesso improvvisata, «cela il perverso intento di sostenere tesi accusatorie senza curarsi della loro conferma giudiziaria o, peggio ancora, la stessa è strumentale alla costruzione di miti e di carriere». Miti e carriere di giornalisti e non solo. ChiaraRizzo | | 19 gennaio 2011 | 43 CULTURA TEMPO LIBERO Sedetevi in poltrona e ordinate i vostri popcorn. Gli ingredienti del 2011 saranno commedia italiana e produzioni hollywoodiane dai budget stellari. Senza dimenticare le ultime avventure del pirata Jack Sparrow e del mago Harry Potter I gli ultimi faticosi respiri e finalmente le prime pellicole del 2011 fanno il loro ingresso in sala. Scorgendo i primi titoli in programmazione è facile comprendere la tendenza cinematografica per questo anno appena iniziato. Due in particolare i film appena usciti che hanno già guadagnato il favore del pubblico e promettono scintille al botteghino: Che bella giornata, secondo lungometraggio di Checco Zalone e Hereafter, il nuovo lavoro/capolavoro dell’ottantenne regista Clint Eastwood. Ritorno alla commedia italiana e colonne del cinema hollywoodiano che firmano 44 cinepanettoni stanno esalando | 19 gennaio 2011 | | produzioni dai budget stellari, ecco i due ingredienti principali della prossima stagione cinematografica, a cui si uniscono le dozzine di sequel a cui assisteremo da questo inverno in poi. Il comico Checco Zalone ha fatto da coraggioso apripista e, allontanato il pericolo di partecipare alla consueta battaglia a colpi di record infranti al box office, tipica delle mediocri pellicole natalizie, si è presentato al pubblico nel primo week-end di programmazione del nuovo anno. Che bella giornata è un film fresco, dalla risata facile, con un protagonista mutuato dal mezzo televisivo amatissimo dal pubblico italiano, che si affolla davanti alle sale per concedersi 95 minuti di risate a cuor leggero. Ma il film del comico di Zelig è solo il primo di una lunga lista di produzioni italiane, perlopiù commedie, di questo 2011. C’è grande attesa anche per Qualunquemente, il nuovo film di Antonio Albanese che il prossimo 21 gennaio ci presenta il suo personaggio cult Cetto La Qualunque che, dopo un esilio forzato all’estero, torna in Italia con famiglia al seguito e si butta in politica. A San Valentino, come da tradizione, è il turno della commedia romantica, prima con Fausto Brizzi e il suo Femmine contro maschi, proseguimento ideale del precedente Maschi contro femmine con il cast formato, tra gli altri, da Claudio Bisio, Luciana Littizzetto ed Emilio Solfrizzi, e poi con l’attesissimo Manuale d’amore 3, prodotto collaudato di Giovanni Veronesi che nel terzo capitolo vanta la presenza della star mondiale Robert De Niro, professore di mezz’età che s’innamora perdu- Foto: ©Disney Enterprises Una bussola nella giungla del cinema IFILMDANONPERDERE Dodicimesiinsala Il 2011 è partito bene per Checco Zalone che con il suo Che bella giornata (sotto) ha incassato 7 milioni di euro nei primi due giorni di programmazione. Il cinema italiano prova ancora a far ridere con Antonio Albanese (sotto, al centro) e accarezza il poliziesco con le storie del bandito Vallanzasca (sotto, a destra). Tra primavera ed estate arrivano nelle sale le ultime avventure de I Pirati dei Caraibi (18 maggio, da Sean Penn nei panni di una rockstar ormai lontana dal palcoscenico che decide di dare la caccia all’ufficiale delle SS che torturò il padre. Da Cinecittà a Hollywood le novità si fanno ancor più interessanti. Dopo il grande Clint Eastwood, che ha lasciato tutti a bocca aperta con il suo Hereafter, film che indaga il confine tra reale e sovrannaturale con un grande Matt Damon nei panni di un sensitivo, il 2011 vedrà il ritorno di belle storie confezionate da grandi registi. In primis Terrence Malick, il maestro eremita di capolavori come La sottile linea rossa, che dopo sei anni di silenzio gira The Tree of Life, una storia intimista ambientata nel Midwest degli anni 50 con protagonisti Sean Penn e Brad Pitt. Foto: ©Disney Enterprises Illeitmotivdelnuovo annosarannoisequel dellesaghepiùamate: c’ègrandeattesa perBreakingDawn, quartoeultimo episodiodell’epopea vampirescaformato teenager tamente di Monica Bellucci. Accanto all’invasione di commedie che promette incassi record, altri grandi autori italiani si fanno spazio prepotentemente. Il prossimo 21 gennaio, dopo le aspre polemiche nel corso della sua presentazione all’ultima Mostra del cinema di Venezia, torna Michele Placido con Vallanzasca – Gli angeli del male. Kim Rossi Stuart interpreta il terribile Renato Vallanzasca, che negli anni 70 terrorizzò Milano assieme alla sua banda. A cinque anni di distanza da Il caimano, rivedremo in cabina di regia anche Nanni Moretti che in primavera presenta il suo Habemus Papam, storia di un neoeletto Papa che a seguito di una crisi vuole rifiutare l’incarico che gli è stato appena assegnato. Accanto a Placido e Moretti un altro autore italiano, definitivamente consacrato con il suo ultimo lavoro, Il Divo. Paolo Sorrentino si ripropone al pubblico con This Must Be the Place, questa volta dirigendo un cast internazionale capitanato L’invasione dei nani blu Torna il visionario David Cronenberg, con il drammatico A Dangerous Method, che racconta il tentativo di cura della giovane Sabina da parte del discepolo di Freud Carl Jung, che finirà per innamorarsene. E poi ancora Tim Burton, Woody Allen, Darren Aronofsky, Robert Rodríguez con il sanguinolento Machete e soprattutto i fratelli Coen che vedremo a febbraio con il bellissimo remake di Il Grinta, che ha conquistato il pubblico americano e ha estasiato la critica portando “il regista a due teste” all’ultima e definitiva consacrazione. nella pagina accanto) e quelle di Harry Potter (13 luglio, sopra a destra). Si tengano forte i più piccini: ad agosto torna Saetta McQueen (sopra, a sinistra). Ma il leitmotiv del nuovo anno saranno i sequel delle saghe più amate, dalla seconda e ultima parte di Harry Potter e i doni della morte, che chiude il cerchio delle avventure del maghetto più famoso del cinema, al quarto episodio de I Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare, con l’indissolubile Jack Sparrow interpretato da Johnny Depp, questa volta affiancato da una splendida Penélope Cruz nelle vesti della figlia del temutissimo pirata Barbanera per cui Jack perderà la testa. C’è attesa tra gli adolescenti di tutto il mondo per Breaking Dawn, quarto e ultimo episodio (a meno di colpi di scena) dell’epopea vampiresca formato teenager che ha lanciato Robert Pattinson e Kristen Stewart nell’olimpo dei giovani divi. L’elenco si fa davvero lunghissimo, e abbraccia tutti i generi, dalla fantascienza ai film d’animazione, dalle pellicole drammatiche alle commedie. Ogni spettatore avrà diritto al suo sequel preferito: Cars 2, Kung Fu Panda 2, Transformers 3, Una notte da leoni 2, Vi presento i nostri, The Dark Knight Rises, seguito de Il cavaliere Oscuro di Christopher Nolan, Sherlock Holmes 2, Fast and Furious 5, solo per citarne alcuni. Ci aspetta un anno cinematografico davvero eccezionale, ricco di qualità, sorprese, blockbuster sbanca botteghino e qualche operazione dal tono nostalgico da non credere. Qualche indizio? Ci sarà presto un’invasione di nanetti blu dal cappello bianco, rigorosamente in 3D. PaolaD’Antuono | | 19 gennaio 2011 | 45 cultura spendere e spandere Tenetevi i vostri saldi (per ora) L’orgoglio di clienti abituali, i ribassi sottobanco e poi l’interregno degli outlet. Ultrasnob o ultrapop che siano, ci sono un sacco di motivi per dirsi insensibili agli sconti. Almeno finché quella sciarpa non scenderà al 70 per cento T roppo presto al Sud, troppo tardi al Nord, illecitamente sottobanco un po’ dappertutto. Sono stati giorni roventi di discussioni come si conviene alle questioni che hanno rilevanza nazionale, ma ora ci siamo. I saldi sono iniziati e qualunque polemica è alle spalle, dimenticata e giustamente sepolta da ribassi orgiastici anche quando non sensazionali. Meno venti, trenta, quaranta, cinquanta per cento. Se uno straccetto da 200 euro ne costa improvvisamente 150 la spesa è legittimata e il senso di colpa della compratrice compulsiva magicamente travolto, annientato, sconfitto. Inutile spiegare ai maschi eterosessuali come si possano considerare “risparmi” delle spese del genere. I saldi ci danno alla testa non perché convengono ma perché esistono, lo sconto effettivo è un dettaglio di cui curarsi appena. Quel che conta è aver l’impressione di essere arrivati per primi, di essersi accaparrati l’occasione che altri non avranno. Dev’essere questo che le associazioni dei consumatori non capiscono quando ogni anno ci mettono in guardia dalle truffe. Non devono mai essere stati innamorati dei brutti ceffi, quelli dell’associazione consumatori, non sanno che laddove loro usano la ragione e la calcolatrice noi abusiamo di passione e 46 | 19 gennaio 2011 | | Il 6 gennaio sono iniziati i saldi a Roma, Milano, Venezia, Firenze, Torino e Genova. Secondo la Confcommercio nella stagione la spesa media per famiglia sarà di 415 euro follia. Non sanno, dunque, che noi inconsciamente desideriamo di essere ingannate pur di avere quel vestito che ci siamo messe in testa dall’inizio della stagione. Eppure, paradosso ultrasnob del consumismo che Tempi si pregia di svelare per voi quest’anno, i saldi sono in un certo senso inutili, buoni forse per qualche poveraccio in cerca di un mocassino Hogan a metà prezzo e ansioso di farsi immortalare dai fotografi reclutati per documenta- re il grande inizio dei saldi nelle vie delle griffe. I veri cultori della moda i saldi li snobbano, aborrono il volgo in coda per ottenere risparmio, pretendono che la loro costanza di compratori di tutto l’anno venga ben distinta dal portafoglio di coloro che lo aprono solo a fine stagione. L’indignazione di chi invoca una democraticità della svendita fa francamente sorridere. Ogni cliente abituale, anche e soprattutto dei negozi di provincia (veri templi del lusso dove si viene coccolate come si deve e riconosciute) riceve una cartolina (generalmente in carta riciclata) ben prima che si ufficializzi la stagione dei ribassi e le gabbie si aprano al popolo. Con quei gentili cartoncini i negozi invitano le loro clienti più affezionate ai “pre saldi”, generosa concessione di coloro che tengono le chiavi dei forzieri che tengono chiusi i nostri sogni più glamour. In quelle occasioni la merce non è accatastata, i negozi non perdono la dignità, le commesse in total black non sono schierate davanti agli scaffali a difendere la merce da orde di predatrici, ma attente alle esigenze delle clienti, le quali ovviamente devono avere l’aria di essere lì per caso e non certo attratte dalle promesse di sconti riservati. L’altro elemento che rende paradossalmente inutili i saldi è di segno egualmente fondamentalista anche se opposto. E cioè estremamente popolare anziché estre- mamente snob. Che bisogno avete dei saldi dei negozi del centro quando la penisola pullula di outlet? Che bisogno c’è di prendere la macchina e dannarsi per un parcheggio in centro, quando a due passi dall’uscita autostradale ci sono regni fatati dove i capi (spesso della stagione scorsa) vengono svenduti, le strade sono pulite, i parcheggi facili e i principi azzurri scorazzano felici per i prati? Voi guardate la gente in fila in via Montenapoleone e in via Condotti e vi domandate come mai non sia arrivata anche lì la lieta novella. Tra un Fidenza Vilage e un Serravalle Scrivia potevano trovare il doppio delle cose con metà della fatica. Fate una gita familiare nei templi dello shopping fuori porta. Prendetevi un week-end libero; solo voi, lui e il consumismo. Aldo Cazzullo vi userà per un’analisi sociologica spietata, ma cos’è il pubblico ludibrio di fronte alle scarpe del desiderio a metà prezzo? Senza contare che la stagione dei saldi arriva pure negli outlet, mandando in sollucchero con l’orgasmico (anche se spesso inafferrabile) concetto di sconto sullo sconto. Li abbiamo snobbati, abbiamo detto in lungo e in largo perché non ci addentreremo in quella babilonia. E ne siamo fermamente convinte. Faremo giusto un saltino a vedere di quanto è scontata quella sciarpa di cachemire adocchiata a inizio stagione. Adesso che Berlusconi ci ha svelato che i I saldi danno alla testa non perché comunisti vestono cachemiconvengono ma perché esistono, lo sconto re vogliamo forse perdere effettivo è un dettaglio. Quel che conta è l’occasione di mimetizzarci [lb] aver l’impressione di essere arrivati per primi come si conviene? | | 19 gennaio 2011 | 47 Tempi regala il libro del Papa AbbonAti A tempi o rinnova il tuo abbonamento entro il 15 gennaio 2011 RiceveRAi in RegAlo Luce del mondo il libro-intervista di Benedetto XVI con Peter Seewald AbbonAmento A tempi + Luce deL mondo 60 euro L’ITALIA CHE LAVORA La vetrina diventa un set Dalla progettazione di scenografie per musical all’arredo di un negozio il passo è davvero breve. La New Crazy Color, azienda di visual marketing, non dà nulla per scontato e i particolari sono curati nel dettaglio per esaltare i brand del lusso S ognare di fronte alle vetrine dei nego- zi, immaginare di aggiungere al proprio armadio capi di alta moda dai prezzi proibitivi, rimanere con il naso incollato alla vetrina di un negozio, totalmente affascinati non solo dai prodotti ma anche dalla loro posizione perfetta nel contesto in cui sono esposti. Dove nulla è casuale, tutto è uno spettacolo di esaltazione della merce, sia un’automobile o un cappotto, che allo stesso tempo può diventare una bandiera della marca. La vetrina è anche più importante della disposizione interna dello stesso emporio. È il mezzo in grado di catturare l’attenzione del passante e sottrarlo alla frenesia dei suoi passi e convincerlo a entrare in negozio. È una 50 | 19 gennaio 2011 | | vera e propria arte, in cui tanto vale il messaggio che vuol far passare il negoziante quanto il prodotto offerto. E spesso quando si tratta di eccellenza, si parla di made in Italy, quello che Roberto Casanova e Roberto Iannaccone stanno esportando in tutto il mondo, con la loro New Crazy Color, un’azienda di visual marketing. Un’avventura inaspettata per due amici che sono nati progettando scenografie di musical, sono passati per gli studi Mediaset e sono finiti ad arredare le vetrine dei negozi firmati in tutto il mondo. Un portfolio incredibile, che va da Prada a Tom Ford, da Hermes a Ermenegildo Zegna, da Chicco a Sky. «L’aspetto più interessante nel nostro campo – spiega a Tempi Roberto Iannaccone – è stato l’ampliamento del nostro mercato in Cina, attraverso clienti come Dolce&Gabbana, Moschino e Bottega Veneta. Si tratta di un paese in cui le vie del lusso aumentano di giorno in giorno così come crescono i milionari. Perciò, occorrevano vetrine all’altezza della richiesta, e non trovando risposta alle loro esigenze, gli stilisti che aprivano showroom chiamavano noi italiani. Possiamo affermare che, allo stato attuale, la Cina rappresenta il 60 per cento dei nostri introiti, il 30 è per l’Europa e il 10 per l’America, continente in cui purtroppo i consumi si sono di molto arrestati. Di conseguenza anche il settore del visual marketing ha subìto un brusco rallentamento. Grazie al successo che stiamo avendo sulle strade cinesi, abbiamo ottenuto il premio Best Italian Luxury 2010. Uno dei ricordi più belli della nostra carriera». Un lavoro non banale, dove bisogna stare attenti alle molte incognite. Prima di tutto occorre capire i bisogni del cliente, le sue intenzioni e soprattutto qual è l’essen- A sinistra, l’ingresso della sede di New Crazy Color a Monza. In alto, Iannaccone e Casanova durante la premiazione per l’eccellenza del mercato del lusso lo scorso settembre a Shanghai. Nelle altre foto, vetrine firmate da New Crazy Color za del prodotto che viene offerto. Poi bisogna pensare a un’idea di allestimento scenico che va fatta su una superficie relativamente piccola come può essere una vetrina. Il tutto senza dimenticare che il tempo corre veloce e le esigenze e gli interessi della gente cambiano. Quindi in al massimo due mesi bisogna essere pronti per la consegna. Tempi fondamentali che vanno assolutamente rispettati, a maggior ragione quando le vetrine vengono studiate per delle occasioni particolari come quelle per il periodo natalizio, dove arrivare in ritardo rispetto alla concorrenza significherebbe sballare la vendita di un intero marchio. La New Crazy Color propone anche progetti davvero complessi e per realizzare i loro “set” utilizza materiali molto innovativi. È stato così per due monomarca di Prada, aperti a Beverly Hills e a Tokyo dove è stato utilizzato un tipo particolare di spugna per rivestire tutte le pareti delle vetrine. Un progetto ambizioso e allo stesso tempo che ha reso entusiasti i committen- entra al New Crazy Color è come se si trovasse a passeggiare in via Montenapoleone in centro a Milano. Sono affiancate l’una all’altra e in scala 1:1 gran parte delle vetrine che abbiamo realizzato. In questo modo ci si può fare un’idea di quello che siamo in grado di fare. Non ci spaventano le sfide e i progetti insoliti che ci vengono richiesti. Neppure se si tratta di quello a cui stiamo lavorando adesso, una vetrina di Miss Sixty in cui 150 occhi in plastica si girano a seconda dei movimenti del cliente. Un altro grande successo che ci ha regalato molta soddisfazione è stato quando abbiamo realizzato un auto in fibra di vetro. Senza motore naturalmente. Ogni compoti, così tanto che la Fondazione Prada ha nente era fornito da un’azienda differenvoluto pubblicare un libro per spiegare i te leader nel proprio settore. La Kenwood dettagli del progetto e mostrare attraverso ad esempio ci ha fornito gli amplificatori dell’autoradio. Un progetto costato 150 immagini la realizzazione. mila euro che per la sua unicità è stato In sede come in Montenapoleone ripreso dai maggiori quotidiani del settore «Il nostro prossimo esperimento di visual automobilistico e non, e perfino dalla Cnn. marketing – continua il creativo – si terrà Il video dimostratitvo, caricato su Youtua Dusseldorf, il prossimo febbraio, duran- be nel 2007, è stato uno dei più visti e lo è te la fiera esclusiva del settore, l’Euroshop. ancora. In questo modo i marchi che hanLì allestiremo una parete di tre metri dove no partecipato al realizzazione continuano esporremo tutti i tipi di materiale che a usufruire della pubblicità». abbiamo utilizzato. In questo modo i visiIn via di sviluppo anche un progetto tatori che si fermeranno allo stand potran- fatto in collaborazione con la Confartigiano farsi un’idea di quello che noi riuscia- nato, per difendere il ruolo dei piccoli artimo a costruire e realizzare per rendere più giani lombardi, e che verrà inaugurato il attrattiva una vetrina. Questo è lo stesso prossimo 15 gennaio. «Il mestiere dell’arconcetto che utilizziamo nella sede princi- tigiano è importante anche per noi, visto pale dell’azienda che si trova a Monza. Chi che senza un buon modellista non riusciamo a fare una buon alle«Non ci spaventano le sfide e i progetti insoliti stimento. È anche grazie a loro che i nostri clienti in che ci vengono richiesti. Neppure se si tratta Cina preferiscono scegliere di realizzare 150 occhi in plastica che seguono il made in Italy». Elisabetta Longo continuamente tutti i movimenti dei clienti» | | 19 gennaio 2011 | 51 PER PIACERE LA RICETTA per 4 persone Zuppa di cipolle 650 g di cipolle, 50 g di burro, un litro di brodo di carne, 2 cucchiai di farina setacciata, 90 g di croste di Parmigiano reggiano Dop, 120 g di Parmigiano reggiano Dop grattugiato, 8 fette di pane bianco raffermo, sale. IL RAPPORTO OSSERVATORIO PER IL TURISMO MONTANO Neve e benessere last minute Q uest’anno si è affermata la tendenza a prenotare sotto data anche il prodotto sci. L’Osservatorio per il turismo montano, promosso da Skipass, mette in evidenza l’emergere di una polarizzazione tra viaggi a basso costo e ricerca del lusso. Si evidenzia inoltre che il turista arriva a sacrificare la scelta della destinazione se nel frattempo emerge un’offerta più conveniente. Questo comportamento viene definito sostituibilità. Per rispondere a queste tendenze le strutture ricettive puntano sulla pratica di uno sconto commercialmente allettante piuttosto che su una riduzione di prezzo spalmata su tutti i periodi e su tutti i target. Altra caratteristica della stagione invernale 2010/11 è l’equilibrio sempre più stabile tra il valore del divertimento e quello della pratica sportiva. La scelta di una meta piuttosto che un’altra è indissolubilmente legata a tutti e due gli attrattori che si equivalgono come appeal. Proprio per questo si è registrato un forte aumento delle proposte che abbinano lo sci al benessere. La spesa media per una vacanza neve è di 1.400 euro alla settimana. Il pacchetto all inclusive comprende soggiorno, skipass, servizi per le famiglie e, spesso, l’utilizzo delle aree wellness dei resort. Walter Abbondanti HUMUS IN FABULA LA SPESA ECOLOGICA Il caro ritorno della sportina della nonna «L’era del sacchetto di plastica per la spesa, inquinante e non sostenibile, si è finalmente conclusa», «dopo 50 anni si prendono la rivincita quegli strumenti utilizzati dalle nonne come le sporte in tela, i carrelli della spesa, le retine che hanno tutte il pregio di poter essere riutilizzate infinite volte a beneficio dell’ambiente e del portafogli»: così il Wwf ha salutato il divieto – in vigore dal 52 | 19 gennaio 2011 | | 1° gennaio 2011 – di commercializzare sacchetti di plastica e, in generale, non biodegradabili. Impegnato da anni nella promozione di iniziative alternative – come la borsa cabas milleusi, nata nel 2009 da una partnership con Auchan e distribuita in 52 ipermercati della catena, progetto che ha fatto risparmiare all’ambiente un totale di 1.458 tonnellate di plastica –, il Wwf ha fatto di “riutilizzabile” un concetto-chiave della sua filosofia ecologista e della rivoluzione di plastica, iniziata dal sacchetto nel 1957 negli Stati Uniti, una stagione da archiviare. Tuttavia resta ancora qualche perplessità dei consumatori circa i paventa- Tagliare le cipolle a fettine sottilissime e farle stufare in un recipiente coperto per 20 minuti con il burro e un pizzico di sale. Aggiungere ora i due cucchiai di farina, mescolare e quando questa inizia ad attaccare aggiungere il brodo bollente. Coprire di nuovo e cuocere per altri 40 minuti. Pulire le croste, tagliarle a cubetti e aggiungerle alla zuppa. Distribuire sul fondo di ogni ciotola una fetta di pane, una spolverata di formaggio e poi la zuppa. Terminare con un’altra fetta di pane e dell’altro formaggio. Fare colorire il tutto in forno con la funzione grill per 10-12 minuti. Virginia Portioli spilucchino.blogspot.com ti benefici in materia di portafoglio: basta un giro di spesa e si scopre che per coprire i costi del sacchetto biodegradabile – doppi rispetto alla tradizionale busta inquinante distribuita gratis da pizzaioli, salumieri ecc prima dell’ecorivoluzione – i gestori dei piccoli alimentari fanno pagare la differenza al cliente con rincari in scontrino dai 10 ai 20 centesimi. E nei supermercati della grande distribuzione regna l’incertezza: in attesa di conoscere il destino dei sacchetti trasparenti per la la frutta e la verdura, fino a completo smaltimento (dead line il 30 aprile) le buste in plastica sono gratuite, ma le alternative a base di mais, patate, grano e altri cereali costano dai 5 ai 15 centesimi in più del sacchetto tradizionale e manifestano pochissima resistenza al peso della spesa, costringendo il cliente all’acquisto di un numero maggiore di ecoshopper. L’alternativa? Dove presente si può ricorrere alla busta in materiali ecocompatibili: circa un euro a “sporta”, una bella sommetta per le spese delle famiglie del sabato mattina. STILI DI VITA AL PALAZZO DELL’ARENgARIO 1 In visita con tutta la carovana di figli IL PRODOTTO Parmigiano reggiano Dop di Annalena Valenti È tra i formaggi più blasonati e noti della nostra cultura gastronomica, ricco di storia e tradizione. La sua fama lo rende anche tra i più imitati nel mondo e il lavoro di controllo e salvaguardia esercitato dal Consorzio di Tutela è senza tregua. La pasta è tipicamente granulosa, con frattura a scaglie, colore paglierino, aroma e gusto fragranti e delicati, tendenti a caratterizzarsi nel corso della stagionatura che, da un minimo di 12, può superare i 30 mesi. Servono più di 16 litri di latte pregiato per ottenere 1 kg di cacio dall’elevato valore nutrizionale: altamente digeribile, ricco di calcio, fosforo, vitamine e proteine facilmente assimilabili dall’organismo. Ridotta la percentuale di grassi, tra le più basse nei formaggi. Lorenzo Ranieri C IL VINO È uno dei pochi vini italiani prodotti con uva Semillon, vitigno bordolese a bacca che non viene prodotto tutte le annate, ma solo quando viene attaccato da una muffa nobile che ne appassisce l’uva. Raccolta con passaggi giornalieri in vigna, scegliendo non i grappoli ma gli acini più maturi. Il Buca delle Canne 2005 prodotto da la Stoppa si presenta con note di agrumi e zafferano e buona acidità. Abbinamenti con fegato grasso, formaggi stagionati e anche con dolci di noci e mandorle. Carlo Cattaneo IN BOCCA ALL’ESPERTO RISTORANTE SAMBUCO Il pesce è davvero più fresco che al mare Ormai è una leggenda: a Milano, dicono, il pesce è più fresco che in riva al mare. Certo, non sempre è vero, ed è fin troppo facile scoprirlo. Però ci sono posti ove questo vecchio adagio sembra appropriatissimo. È il caso del Sambuco, un locale incastonato nel magnifico Hotel Hermitage, nel pieno del quartiere cinese. Niente cibo orientale qui: al suo posto, una cucina di pe- Rubrica in collaborazione con il ministero delle Politiche agricole Buca delle Canne 2005 azienda Stoppa osa vi è rimasto più impresso del nuovo muMAMMA seo del Novecento di OCA Milano? Salire la spirale di luce azzurra che collega i piani, curvare in salita e vedere il Duomo da lì. Ad E. il primo quadro che si incontra Quarto stato di Pelizza da Volpedo, perché i lavoratori della prima fila sembra che escano dal quadro, è l’unico realista e sembra il più difficile da fare. Alla Gi., 6 anni, è piaciuta la scultura Bambina che gioca di Bergonzoni perché assomiglia alla sua amica. È vero, abbiamo detto tutti. Ci sono piaciute di più le sculture di Martini, alla Gl. e alla T. La convalescente, così “morbida” anche se di pietra tutta scolpita in un pezzo solo, a me I morti di Bligny trasalirebbero, di pietra forte e potente. Ci è rimasta impressa la scultura di Boccioni che pare si muova anche se è di bronzo Forme uniche nella continuità dello spazio. Alla M. un’opera che si chiama Lineare variabile trasparente di Varisco, perché puoi spostare i bastoncini, puoi creare tu. Entrare nella stanza di specchi anche se abbiamo scoperto subito l’uscita, salire con le scale mobili, e vedere fuori dalle grandi finestre. Vedere il Duomo all’altezza delle sue vetrate, vederlo all’altezza delle sue guglie dall’ultimo piano del Palazzo Reale, vederlo riflesso nelle vetrate insieme al neon di Fontana. Questo museo è proprio bello tutto. mammaoca.wordpress.com sce d’ascendenza squisitamente adriatica. I signori Maccanti vengono da Porto Garibaldi (in provincia di Ferrara), e hanno portato a Milano, ormai da quasi vent’anni, le delizie del loro mare, maritandole a tradizioni mediterranee e siciliane, ma non solo. Così, ecco la sostanziosa brandade di baccalà in cialda di Parmigiano con polenta fritta, o l’insalata tiepida di farro, fagiolini all’occhio e gamberi, per antipasto. Di primo, sublime e semplicissima calamarata (formato di pasta corta e larga, tipo grandi mezzemaniche, della tradizione di Gragnano) coi moscardini, o un perfetto risotto al nero di seppia, o ancora i maccheron- cini al ferretto con gamberi, cipollotto dolce e verde di porro. Per pietanza, un fritto misto che molti intenditori indicano come uno dei migliori d’Italia, oppure il magnifico, grandioso roastbeef di tonno rosso con sesamo bianco e nero. Chiusa col gelato alla crema e al caramello, o col biancomangiare. La cantina è adeguata, la spesa pure: circa 90 – 100 euro a testa. Tommaso Farina Per informazioni ilsambuco.it Via Messina, 18 – Milano Tel. 0233610333 Chiuso domenica e sabato a pranzo. | | 19 gennaio 2011 | 53 GREEN ESTATE PROPOSITI DI INIzIO ANNO Mettiamo in agenda la libertà che in questo periodo si formulino i buoni propositi per l’anno appena iniziato, e forse qualcuno aspetterebbe che comunicassi anche i PRESA miei; ma parlare agli altri di me senza che il loro interesse sia staD’ARIA to manifestato mi sembra cosa inutile e noiosa, e quindi vi dirò non quello che io mi impegno a fare, ma qualcosa che spero avvenga nel mondo in questo duemilaundecimo anno dalla nascita di Nostro Signore che è appena iniziato. Se non vi interessa, passate pure oltre: non me ne offenderò. Primo: vorrei che fosse garantita a tutti la libertà, effettiva, piena, completa e incondizionata. Mai come in questo periodo tanti uomini sono stati tanto liberi, ma non potremo dichiararci soddisfatti finché ad un solo nostro fratello sarà impedito di professare la sua religione, di dire quello che pensa, di scegliere la strada della sua vita e seguirla secondo volontà e capacità. E purtroppo ancora oggi a molti nostri fratelli ciò viene impedito con la violenza fisica o morale. Non possiamo accettarlo, né possiamo accettare di attendere passivamente che la situazione migliori; dobbiamo tutti operare per raggiungere l’obiettivo; il nostro impegno in questo senso è essenziale. La libertà non può vivere senza verità, e che tutti possano dire e dicano il vero è un’altra cosa che spero si verifichi in quest’anno. La prima verità è chiamare le cose col loro nome, e applicare ad ogni fatto la giusta definizione; così spero che nel 2011 i furti vengano chiamati furti, le prepotenze prepotenze, e ai Spero che nel 2011 le cose vengano comportamenti che derivano da chiamate con il loro nome, i furti vengano chiamati furti, le prepotenze disordini morali vengano applicate le definizioni appropriate. Spero prepotenze, e ai comportamenti che che l’immoralità e l’omosessualità derivano da disordini morali vengano vengano classificate col loro nome di comportamenti contro la natuapplicate le definizioni corrette ra sociale o individuale dell’uomo, e per tali vengano condannati. Sia sempre il nostro linguaggio “sì, sì” e “no, no”, chiaro, veritiero, senza ipocrisie. Ma libertà e verità, senza la carità necessaria ad illuminarle e a renderle efficaci per il migliore destino dell’uomo, non sono in grado di garantirci il necessario equilibrio dei rapporti; e così il terzo dono che mi aspetto dal nuovo anno è che la carità sia diffusa tra tutti gli uomini, non solo in quanto accettata, ma come pratica effettiva e concreta, come attuazione dell’attenzione sollecita e dell’amore fattivo e operante che dobbiamo a tutti i nostri simili, e specialmente agli ultimi tra loro. Libertà, verità e carità: sono le regole primarie della nostra convivenza; quelle che vorrei vedere attuate nel duemilaundecimo anno del Signore. [email protected] abitudine buonista, e un po’ stucchevole, AMICI MIEI LIBRI/1 Il dono di un bimbo vissuto due ore Lettere nell’attesa, di Karen Santorum (Marietti 1820, 125 pagine, 12 euro), raccoglie gli scritti della moglie dell’allora senatore americano Rik Santorum al figlio in grembo. Poco dopo l’inizio della gravidanza Karen scopre la malformazione del piccolo. Iniziano incessanti richieste di preghiere. L’America segue l’evento mentre il Senato discute la legge sull’aborto a gravidanza inoltra- 54 | 19 gennaio 2011 | Hereafter, di Clint Eastwood La sceneggiatura che dice troppo di Paolo Togni È CINEMA | ta, giustificato con casi estremi come quello di Karen, che invece porta a termine la gestazione e dà alla luce un figlio che vivrà due ore. Perché lui, si chiede Karen? La donna non risponde, ma sa che non avrebbe rinunciato a cullarlo anche per poco. Poi, precisamente a un anno dal lutto, il Senato vieta l’aborto a nascita parziale e lei scrive così: «Credo non sia una coincidenza che sia capitato contemporaneamente al dibattito sull’aborto che il papà ha guidato». Un libro che ogni madre dovrebbe conoscere. Che, come scrive madre Teresa di Calcutta nella prefazione firmata per l’edizione americana, ricorda l’amore di Dio. Che dimostra che Un dono che è anche una condanna: essere in contatto con l’aldilà. Prima o poi doveva succedere. Non tutte le ciambelle riescono col buco. Anche i santi sbagliano. Non era in forma, è stata una piccola battuta d’arresto. Non si trovano le parole, ma il campione mondiale dei pesi massimi cinematografici; l’unico regista che è invecchiato bene; l’unico che lotta ancora contro il lato oscuro della forza, l’amato Clint di Gran Torino, e Million Dollar Baby e Mystic River, e Un mondo per- HOME VIDEO Qualcosa di speciale, di Brandon Camp Un vero pastrocchio Lui tiene corsi su come elaborare il lutto, lei è una fiorista. Si incontrano. È la brutta copia di Tra le nuvole anche se il solito titolo idiota richiama un film con Jack Nicholson. Là si aveva a che fare con la perdita del lavoro qui con la perdita della persona cara. Ma è un pastrocchio: è scritto male e diretto peggio (i flashback sono terribili), con due buoni attori (la Aniston e Eckhart) sprecati alle prese con un film che non sa che strada prendere. ogni vita, anche la più apparentemente inutile, ha un senso nella [bf] storia umana. Cavallari, nel libro Enrico Zanotti. La politica che lascia il segno (Itaca, 12 euro, 152 pagine). LIBRI/2 MOSTRA La vita piena di Enrico Zanotti Micalessin, Biloslavo e gli occhi della guerra Anche il dolore per la mancanza di una persona scomparsa diventa fecondo quando genera del bene. È il caso del ricordo di Enrico Zanotti, scomparso nel 2001, vivo ancora oggi nella Fondazione a lui intitolata, una struttura a Ferrara in cui si offre aiuto ai giovani che studiano e in generale ai processi educativi della città. A raccontare la vita piena di questo avvocato e politico locale è Fabio Gli orfani e i bambini soldato, la vita nelle trincee, le battaglie, la lenta ricostruzione. Sono alcune delle immagini immortalate dalle macchine fotografiche di Gian Micalessin e Fausto Biloslavo: dal Vietnam all’Afghanistan, dalla Cambogia ai Balcani. La mostra è aperta fino al 20 gennaio, presso la Parrocchia di S. Maria Maggiore, Trieste, tutti i giorni dalle 16 alle 19. Ingresso libero. AllAtriennAlediMilAno fetto e basta perché poi ci mettiamo a piangere, ha sbroccato. Gli è venuto fuori un film medio e non il solito capolavoro. Forse per una sceneggiatura che dice troppo (Dickens, citato più e più volte) e suggerisce poco, forse perché il tema dell’aldilà non è proprio nelle corde del nostro eroe, fatto sta che Hereafter ha più ombre che lu- ci. Ha una bella intuizione (che l’aldilà c’entra con l’aldiqua), tratteggia con profondità i personaggi dei due gemellini, ma il resto (in primis il personaggio di Matt Damon) rimane al di sotto delle attese. vistidaSimoneFortunato visti da Simone Fortunato F Tanto di cappello a un dettaglio senza tempo Sopra, il regista Sopra,ilregista Clint Clinteastwood eastwood A pre i battenti il prossimo 18 gennaio, accogliendoci in un universo allo stesso tempo divertente e poetico, la belArte la mostra che la Triennale di Milano dedica edintorni al rapporto tra il mondo cinematografico e il piu caratteristico degli accessori moda di ogni tempo: il cappello. Originale e ironica al tempo stesso, la retrospettiva accoglie immediatamente il visitatore all’interno di un grande cilindro multimediale che fa da filo conduttore dell’intera esposizione e ci racconta il modo in cui il cinema si è appropriato dell’accessorio del cappello per rendere piu forte la caratterizzazione dei personaggi da parte degli interpreti. Tra le diverse sezioni della mostra, spicca quella dedicata alla storica maison Borsalino, i cui cappelli, scelti da molti registi come vere e proprie icone, hanno coronato le teste di attori come Alain Delon e Jean-Paul Belmondo. In contemporanea all’evento è bandito un concorso per filmaker e videomaker under 35 che destina un premio di 5 mila euro al miglior cortometraggio che verrà presentato entro il 12 febbraio 2011. La mostra resterà aperta fino al 20 marzo. MariapiaBruno © Photomovie Collection COMUNICANDO l’iSolAeilFenoMeno La Formentera che non c’è Gossip aperitivi e borse griffate. È questa la Formentera più conosciuta in Italia, ma – forse – anche la meno autentica. Lo ha raccontato Stefania Campanella, romana, pubblicitaria, già autrice de La Donna Ideale (un piccolo saggio sulle donne tifose) in un libro uscito la scorsa estate e dedicato proprio all’isola delle Baleari. Formentera non esiste (questo il titolo del volume) è una passeg- giata immaginaria tra spiagge, dune e boschi, in cui si incontrano personaggi, artisti, curiosità, leggende e storie che svelano un’isola inedita. Perché il mare brilla? Qual è il piatto tipico dell’isola? Come mai nel 1700 c’erano solo cinquanta abitanti? Chi è la strega che viveva alla Mola? Cosa ci facevano da queste parti i Pink Floyd negli anni Sessanta? A queste domande risponde Stefania Campanella in un libro prezioso anche per i 10 scatti di fotografi professionisti abbinati a dieci poesie ispirate all’isola. Ma perché il titolo Formentera non esiste? «Perché – spiega l’autrice – ognuno ha la sua Formentera. Perché qui il tempo si ferma e perché è impossibile credere che in un luogo così piccolo, ci siano così tante storie da raccontare». In Italia il libro si può acquistare sul blogformenteranonesiste. com, dove Stefania Campanella continua ad aggiornare i connotati della “sua” isola. C’è anche un gruppo su Facebook, dedicato a chiunque abbia foto o video dell’isola che non c’è… Formentera non esiste rappresenta un piccolo caso editoriale che, attraverso l’autopromozione e grazie a internet e ai social network, ha riunito in una community centinaia di persone, “stregate” dalla magia dell’isola, vendendo più di mille copie in soli quattro mesi. GiovanniParapini | | 19 gennaio 2011 | 55 DI NESTORE MOROSINI MOBILITÀ 2000 SI RINNOVA IL FUORISTRADA DELLA HYUNDAI Santa Fe con nuovi motori e tanti accessori S Fe è un nome che evoca antichi percorsi western e un moderno fuoristrada, della Hyundai, che ne prende il nome. Santa Fe, trazione a due e a quattro ruote motrici, è stato rimodernato, è stato aggiornato nei contenuti e nelle motorizzazioni. I propulsori sono tutti Euro 5, con potenze fra 150 e 197 cavalli. Ampia dotazione di accessori, sicurezza ai massimi livelli. Per il 2011 Hyundai Santa Fe si propone con tre motori (tutti Euro 5, come detto), due tipi di trazione e due livelli di allestimento. I motori di Santa Fe 2011 sono divisi fra un benzina e due diesel. Il primo è un quattro cilindri 16 valvole, 2.400 cc da 174 cavalli. Per quanto riguarda i diesel, sono due le possibili scelte: un 2 litri CRDi con turbocompressore a geometria variabile e capace di 150 cavalli; e un 2.200 cc, sempre CRDi e sempre con turbocompressore a geometria variabile, con potenza di 197 cavalli. Il modello più potente si caratterizza, oltre che per essere disponibile solo nell’allestimento 4WD, anche per una dotazione di accessori ampia e articolata. Inanta L’elegante silhouette della Hyundai Santa Fe. Nei particolari: parte della strumentazione con collegamento del cellulare fatti, oltre a includere cerchi in lega, cruise control, interni in pelle, sedile di guida regolabile elettricamente e riscaldato, la Style prevede navigatore satellitare, sistema bluetooth e telecamera posteriore per le manovre di parcheggio. In ogni caso, anche nella versione meno accessoriata, la Hyundai Santa Fe si tratta bene: c’è tutta l’elettronica utile a migliorare la sicurezza di guida (Abs + Ebd, Tcs + Esp) e a preservare l’incolumità dei passeggeri (sei airbag e poggiatesta anteriori anti-colpo di frusta). Non mancano le piccole comodità che migliorano la qualità di vita a bordo: i comandi al volante della radio, gli specchietti esterni elettrici richiudibili, il climatizzatore automatico bi-zona con sistema ionizzante e i sensori di parcheggio. Prezzi da 27.490 a 34.290 euro. Optional: cambio automatico, tetto apribile. | | 19 gennaio 2011 | 57 LA ROSA DEI TEMPI DOVE TIRA IL VENTO Come si veste D’Alema a Sankt Moritz A Durante il suo show televisivo Kalispera Alfonso Signorini, direttore di Chi, mostra a Silvio Berlusconi, in collegamento telefonico, una foto di Massimo D’Alema a passeggio per Sankt Moritz, amena località dell’Engadina meta di vacanze per gente di un certo livello. Presidente, e questo secondo lei sarebbe un comunista?, chiede più o meno Signorini al premier. «Non è un cachemire che può cambiare il cervello e il cuore della gente», dice DECATHLON Indignato dal vile attacco, D’AleBerlusconi alludendo alma ha replicato sul Riformista che lui a Sankt lo sciarpino sfoggiato da Moritz ci è andato solo «in gita», alloggiando lì D’Alema sulle nevi della vicino, che «la sciarpa non era di cachemiSvizzera. Infatti i comunire», che «il giaccone è un vecchio giaccosti sono comunisti anche ne» e soprattutto che «le scarpe le ho se si travestono da fighetcomprate da Decathlon, pagandole ti: non a caso, dice Silvio, ventinove euro». Forse non sarà io per loro sarò sempre il modo migliore per dare un «un ostacolo da eliminare taglio alle minchionate. Ma per arrivare al potere». almeno ora è chiaro che i comunisti sono sempre i soliti pezzenti. B GL I B IA NTO E M CUCINA Luca Zaia pizzicato al ristorante cinese Alcuni ristoratori padovani hanno inviato una lettera di protesta al Mattino di Padova e al governatore leghista del Veneto Luca Zaia perché proprio quest’ultimo, che si vanta di essere il paladino dell’italica tipicità e qualità, si è fatto fotografare a Capodanno in un ristorante cinese di Preganziol da 10 euri a pasto. «Con perplessità e discutibilità abbiamo mal digerito la foto che ritrae Zaia con l’amico Marco Hu Lishuang nella serata di Capodanno al ristorante Wok-sushi. Con quale soddisfazione il governatore si batte MENÙ Anche noi, come i ristoratori padovain difesa dei saporiti ni, ci siamo armati di una certa «perplessità prodotti veneti?». e discutibilità» e ora siamo in grado di fornirvi qualcosa di veramente mal digeribile. Ecco le offerte per le festività propinate ai clienti del risorante Wok-sushi di Preganziol. Menù “Involtini primavera”: 10 euro. Menù “Dragon Balls”: 12 euro. Menù “Bambini (specialità comunista)”: 15 euro. Menù “Gatto che sa di cane”: 18 euro. Menù “Pinna di squalo in salsa di operaio da sottoscala”: 20 euro. Infine, il colpo più raffinato: le scarpe di D’Alema a soli 29 euro il paio. Praticamente regalate. Oggi è nuvolo, pioveranno uccelli Ha scatenato grande subbuglio nel mondo della scienza l’intensificarsi nelle ultime settimane di casi di rovescio di animali morti. Proprio così: piovono bestie. A Ozark, Arkansas, alla fine di dicembre sono stati trovati ben 10 mila pesci tamburo stecchiti. Ma sono le ormai frequenti piogge di uccelli a destare preoccupazione. In diverse località americane sono piovuti merli dalle ali rosse. In Svezia i corvi, nel North Carolina i pelPANICO Le interpretazioni date a questa scialicani, alla Decathlon le gura sono le più varie, dalle teorie che tirano in scarpe di D’Alema da 29 causa il solito riscaldamento globale agli appaseuro, in Italia le tortore sionati di esoterismo che non esitano a parlare di e in Messico i simpatici inizio dell’Apocalisse. Quanto a noi, non ci sbilantordi dal petto giallo. E in ciamo. Però diciamo che non sono da trascurare Cile purtroppo non è stagli effetti del fenomeno sul turismo, per esempio. ta risparmiata un’abbonDa quando piazza San Marco non ha più i tradidante precipitazione nezionali piccioni, che sono piovuti morti in una reanche alla berta grigia. mota città del Perù, la città di Venezia si è dovuta organizzare. Ora importa cacchette dal Sud America e le spara sui turisti coi cannoni. TE 58 | 19 gennaio 2011 | | M PO RA L I nell’Anti Monopoly vince il più comunista Ricalcando le fortune del Monopoli, il celebre gioco da tavolo in cui chi più s’arrabatta come palazzinaro più vince, ora è in commercio l’Anti Monopoly. In questa versione, ci si divide tra capitalisti e competitori: i primi devono fare valanghe di soldi, come al solito, i secondi, invece, hanno come obiettivo quello di arrivare ad una situazione di libero mercato in cui sono date uguali possibilità di vittoria ai buoni competitori e ai cattivi monopolisti. Il gioco costa solo 30 euro. GIO C lezione Cercando su internet notizie su questo gioco ci siamo imbattuti in un forum nel quale un utente raccontava di averlo acquistato. Il nostro spiegava che, al di là della novità, «è difficile, davvero molto difficile, che i competitori possano battere i monopolisti». Insomma, come nella vita, anche nei giochi, quelli della cricca battono quelli equo solidali. Una lezione di vita per voi, amici comunisti. Se avete in tasca trenta euro, non sprecateli per cambiare il mondo con l’Anti Monopoly. Fatevi un paio di scarponcini nuovi. HI Arriva nightrunner, eroe musulmano FU M ETTI La Dc Comics ha affiancato a Batman un nuovo supereroe francese. Trattasi di Nightrunner, identità segreta di Bilal Asselah, 22enne originario di Clichysous-Bois, paese nella periferia parigina dove nel 2005 scoppiarono gravi disordini. Sebbene negli scontri con la polizia Bilal abbia perso un suo amico, grazie all’intervento della devota madre musulmana, egli decide di dedicarsi alla causa del bene. La scelsuper Dopo la Francia, Dc Comics lanta della Dc Comics di invencerà sul mercato italiano Moustacheman, tarsi un supereroe islamico ha il super eroe vestito come un manichino suscitato molte polemiche nedella Decathlon. I suoi nemici sono il Caigli Stati Uniti. mano degli Abissi, X-Minzo, Tremon Thor e l’energumeno tascabile Brunetman. Moustacheman sarà aiutato da Bersanflash, Dipietrhulk e l’affascinante Wonderbindi. Nella vita reale Moustacheman non si cambia d’abiti per coprire la sua identità segreta, ma indossa ancora il suo costume da supereroe. Gli basta calzare un paio di scarpe da 29 euro per sembrare un barbone comunista qualsiasi. Teschio con diamanti, idea nuova per Hirst TE R A imperdibile godibile inutile fetido L’artista britannico Damien Hirst, diventato celebre grazie alle sue mortifere installazioni di animali imbalsamati sotto formaldeide che tanto hanno irritato gli animalisti, ne ha combinata un’altra delle sue. Ha preparato per la Gagosian Gallery di Hong Kong un’opera intitolata For Heaven’s Sake, riproduzione in platino del cranio di un neonato di quattorBis Hirst aveva già fatto un teschio ricoperto di diamanti. dici giorni tempestaEra di un adulto anziché di un bebé, contava 8.600 diamanto da più di ottomila ti anziché 8.128 e si chiamava Per amor di Dio anziché Per diamanti. Idea che ha amor del Cielo. Prezzo: 50 milioni di sterline, ovvero 60 miscatenato l’ira di varie lioni di euri (cioè più di 4 milioni di scarpe di D’Alema). Coassociazioni di mammunque Hirst si è difeso dicendo che il teschio del neoname, indignate per la to rappresenta la purezza e che i diamanti simboleggiano provocazione antifigli. le cose eterne, anche se è vero che «hanno un lato oscuro». Già, oscuro come il motivo che spinge un uomo a lavorare quando potrebbe campare felice imbalsamando teschi. | | 19 gennaio 2011 | 59 UN ALTRO MONDO è POSSIBILE UN NATALE DAVVERO SPECIALE «Grazie a voi ho imparato ad amare mio figlio» di Aldo Trento A ll’improvviso un fratello sacerdote, mentre pranzavamo con i malati della Casa Divina Providencia “San Riccardo Pampuri” e con alcuni bambini della Casita de Belén, il 25 dicembre, mi ha domandato quale fosse stato il Natale migliore che avessi vissuto. Da più di sei anni sto condividendo il giorno di Natale con i malati, gli anziani, i bambini abbandonati e pieni di problemi che vivono con me. Ma quello di quest’anno è stato speciale perché ho sentito ancora una volta la compagnia di Gesù che stava accanto a me e a quanti mi circondano, ho visto ancora una volta la misericordia e la provvidenza divina fattesi carne, presenti oggi nelle opere, nelle meraviglie che compiono tra di noi. E non mi riferisco soltanto alle due opere che abbiamo inaugurato la vigilia di Natale: la casa numero 3 di Belén e la Casa di Accoglienza “Chiquitunga” per le ragazze incinte, vittime di violenze, ma anche allo stesso pranzo di Natale, che abbiamo condiviso con le persone più povere, nel salone multifunzionale della nostra clinica. Prima della conclusione del pasto, a base di molte squisitezze italiane, il sacerdote Julián de la Morena, che era a tavola con noi, ha chiesto ai presenti una testimonianza sull’avvenimento che aveva cambiato la loro vita. POST APOCALYPTO A destra, Bramantino, Fuga in Egitto (1510), Santuario della Madonna del sasso, Orselina (Ch) «Mi sono sentita voluta bene» La prima a parlare è stata una signora che sta con noi insieme con il figlioletto e fa parte della nostra famiglia. «Padre, nella mia vita, fin dall’infanzia, ho conosciuto la violenza. I miei genitori mi hanno abbandonato a Clorinda. A dieci anni sono stata violentata. Ho chiesto aiuto alla nonna, che viveva nell’interno del Paraguay. Mi ha accolto, ma il suo convivente ha approfittato di me molte volte. Ho provato a far capire a mia nonna quello che stava succedendo, ma come risposta alle mie richieste di aiuto lei mi picchiava. E così sono scappata. Ero un’adolescente, completamente traumatizzata e sola. Fino a qualche anno fa ho vissuto per strada, facendo di tutto. Ho avuto una figlia e una mia parente, con la scusa che ero un’irresponsabile, l’ha fatta adottare. E di lei non ho più saputo nulla. Il tempo passava, vivevo tra una violenza e l’altra. Un giorno ho incontrato un uomo da cui ho avuto un bambino, che mi ha picchiato e mal- 60 | 19 gennaio 2011 | | trattato finché non ho avuto il coraggio di denunciarlo. Traumatizzata come sono e piena di rabbia nel cuore per le violenze patite, all’inizio non volevo far nascere il figlio che portavo in grembo. Avere un figlio, per giunta maschio, avrebbe significato scaricare su di lui tutta la rabbia che avevo dentro. Alla fine ho accettato di partorire quella creatura. Ma già al momento della sua nascita ho scaricato tutta la mia paura su di lui. Non gli ho mai dato un bacio, e quando piangeva lo picchiavo. Mi faceva male vedermi ridotta così, come una “bestia”, ma non riuscivo a vedere quel bimbo come un dono, lo consideravo un castigo. In lui vedevo tutti gli uomini che avevano abusato di me, e non riuscivo a togliermi dalla testa un simile tormento. Per un po’ di tempo ho vissuto nella casa dei genitori di quest’uomo, poi tutto è diventato insopportabile e da quel momento ho cominciato a girare di casa in casa e per stra- È una sfida per noi borghesi, pensare che la bellezza della vita consiste nella sua drammaticità. Accettarla significa domandarsi continuamente il perché della realtà da, con questo bambino che mi causava soltanto malessere. Un giorno, disperata, avevo deciso di abbandonare mio figlio alla parrocchia di San Rafael. Lì, i padri mi hanno ricevuto affettuosamente. Ho raccontato la mia situazione e poi ho lasciato mio figlio. Sono tornata di nuovo per strada, chiedendo ovunque aiuto, un lavoro onesto. Poco dopo ho cominciato a sentirmi male non solo moralmente, ma anche fisicamente. In quel momento mi sono ricor- data di mio figlio, e di dove si trovava. Così ho deciso di andare a trovarlo e di chiedere aiuto alla Fundación San Rafael. Sono stata ricevuta con tanto affetto e sistemata in una delle case di accoglienza che ci sono. È stato difficile adattarmi: rispettare un orario, lavorare, stare con i bambini. Inoltre non riuscivo assolutamente ad accettare mio figlio: rappresentava un pretesto per scaricare la rabbia per i danni che avevo subito nella vita. E in tutta risposta i padri di San Rafael mi hanno messo a dormire con lui. Il tempo passava, e sentendomi accolta e amata, è cominciata a nascere in me una speranza, una possibilità di redenzione. Ne ho fatta di strada per arrivare alla gioia che provo oggi. E così sarà sicuramente anche per mio figlio, che nel cuore porta tutto quello che ha sofferto a causa mia. Ricordo ancora quanto tempo c’è voluto prima che accettasse che qualcuno lo baciasse. E non solo: se qualcuno si avvicinava per prenderlo in braccio scappava come un gatto. Non sopportava che qualcuno gli dimostrasse un minimo di affetto. Era il triste frutto del mio rapporto con lui. Poi è accaduto il miracolo. Una domenica di qualche mese fa, quando mi hanno battezzata e mi hanno dato la prima Comunione. Ricordo ancora con commozione che alla fine della liturgia del battesimo il sacerdote ha chiesto a mio figlio di darmi un bacio, ma lui non gli ha dato retta. E allora i presenti, come si fa ai matrimoni, hanno cominciato a dire a gran voce: “bacio, bacio, bacio…”. Per il bambino è stata una sorpresa sentire un invito simile a una litania. Così è sbucato da dietro la pianeta del sacerdote e con un salto si è lanciato su di me che, sorpresa, ho sentito sulla guancia sinistra il calore di un bacio umano e insieme divino. Pochi secondi, e il bambino è tornato a nascondersi dietro il sacerdote. Ma il miracolo era accaduto. Un altro invito da parte dei presenti, questa volta rivolto a me. Ancora commossa per la sorpresa, ho chiamato mio figlio perché volevo baciarlo. Gli amici hanno insistito e dopo una breve resistenza il piccolo era nelle mie braccia. Questa volta non si trattava di un semplice bacio, ma di qualcosa di più profondo. Da quel momento, per la prima volta, ho provato il desiderio di amare mio figlio». Tutti, anche quelli che conoscevano già questa storia, avevamo le lacrime agli occhi. Era evidente che abitando nella casa degli “amici di Gesù” il suo Dna era cambiato. Nell’orizzon- te della sua vita non c’era più violenza come forma di autocoscienza, non c’era disprezzo e mancanza di autostima, ma coscienza della tenerezza e della misericordia. Ancora una volta ci siamo resi conto della verità di quanto scriveva Cesare Pavese: «Qualsiasi forma di violenza nasce dalla mancanza di tenerezza». Senza tenerezza qualsiasi relazione umana diventa possibile. Normalmente la diamo per scontata, ma di fatto non lo è, nemmeno quella della madre per suo figlio. Invece, tutto diventa possibile quando qualcuno scopre di essere amato da un Tu, un Tu umano che è il riflesso di quel Tu divino che ci domina e ci crea in ogni momento. La scienza non può spiegarlo Né la psicologia, né la psichiatria possono pretendere di spiegare questo incontro con qualcuno che vive stando sempre di fronte al Mistero che ci fa e che in ogni momento cambia la vita. A questa donna è toccato lo stesso incontro che hanno fatto Zaccheo, l’adultera, la samaritana. Uno sguardo pieno di tenerezza da parte di Cristo oggi, perché se Cristo non fosse contemporaneo, con i tratti degli “amici di Gesù”, sarebbe impossibile un cambiamento a 180 gradi dopo decenni di violenza e miseria, così come sarebbe stato impensabile che un bambino provasse la gioia e l’affetto che manifesta in questi momenti della sua vita. Un Natale, ancora una volta, in cui i reietti dal mondo, seduti alla tavola degli “amici di Gesù”, hanno provato il calore umano che nasce da Cristo. È una sfida continua per noi borghesi, abituati a dare tutto per scontato, pensare che la bellezza della vita consiste nella sua drammaticità. Accettare questa sfida significa anche domandarsi costantemente il perché delle cose, il perché della realtà. Anche un’altra signora seduta al tavolo con noi, analfabeta, con un cancro sulla guancia, non solo ci guardava con la tenerezza di chi ha vissuto fra dolore e tormento, ma il suo volto esprimeva una gioia, forse fino ad allora sconosciuta, dovuta al fatto che si sentiva accolta e amata. Immaginate che cosa significa per un povero, per me, per i miei amici, trovarsi a pranzo il giorno di Natale in un salone con aria condizionata, con persone diverse, qualcuna proveniente anche da altri paesi, ma dove il clima di Betlemme era vivo e presente carnalmente in quei fragili volti che lasciavano trasparire la sua Presenza. [email protected] | | 19 gennaio 2011 | 61 LETTERE ALDIRETTORE Te Deum per Kaci, laico algerino e cigiellino invitato qui per un caffè V olevo ringraziare per il numero di Tempi “Te deum”. Tra l’altro è stato con piacere che ho trovato l’articolo sulle Monache Romite Ambrosiane della Bernaga di Perego. Una mia nipote, di cui io sono padrino, è da 20 anni monaca in quel convento. La scritta “Dio mi basta” che sovrasta il portone di entrata, la prima volta che l’ho vista è stata come un macigno che schiacciava me e tutte le mie pretese. Allora mia nipote era per così dire un po’ birichina, come tutti i giovani adolescenti, e la sua scelta che ha colto tutti di sorpresa, spiazzando anche i suoi genitori, mi ha costretto a guardarmi allo specchio e a riconsiderare di nuovo il mio modo di essere. Con il silenzio, la preghiera e l’allegria con cui ci accoglie quando andiamo a trovarla ci testimonia di aver saputo riconoscere Ciò che era il meglio per lei. Questo è un segno di speranza per tutti noi. Con affetto, grazie per il vostro lavoro. CarloMicheli via internet 2 Che meraviglia il Te Deum! In 66 pagine c’è tanta vita, tanta bellezza, la conferma che si può vivere così, ovvero in modo umano e lieto. Non siamo affatto una minoranza che si piange addosso, che assiste sgomenta alla distruzione del “Tempio”! Eppure intorno a noi e forse anche fra noi c’è il cinismo, il “pensiero” unico e codardo, la rincorsa al consenso della “opinione pubblica”. Non mancano nemmeno i “nemici” che sorgono dall’interno della stessa Chiesa, come ci ha ricordato il Santo Padre. Ma dall’INCONTRO sono scaturiti, e non mancano di stupire il nostro quotidiano, i testimoni, questa gente af- fascinante che dal male cava il bene e vede trasformata la vita in virtù del sì alla proposta di Cristo. «Cose dell’altro mondo, in questo mondo»: è l’espressione entusiasta per tutto quello che ci accade e che pronuncia sempre un mio amico prete. Ecco, sono felice e grato di tutto questo e volevo farvelo sapere. MaurizioRizzolo Correggio (Re) 2 Te Deum Laudamus. Grazie Signore, per Tempi, faro luminoso nella notte, rifugio caldo nelle intemperie, porto sicuro nella tempesta, locanda accogliente nel cammino del viandante. Te Deum Laudamus. Grazie Signore, per Fred Perri, di cui io sono molto peggiore. È un bene che su Tempi scriva lui anziché io. Grazie Signore, per Oscar Giannino, che illumina con semplicità e perizia materie spesso tanto ostiche. Grazie Signore, per Renato Farina, uomo e professionista meraviglioso. Grazie Signore, per padre Aldo Trento, che ci insegna a vedere la luce di Cristo attraverso le creature più care a Te, i malati, i sofferenti, gli ultimi che saranno i primi. Grazie Signore, per Pippo Corigliano, che smonta i miti illuministi e ci insegna a preferire il Paradiso, con il disarmante sorriso di coloro che hanno un po’ più di confidenza con Te. Grazie Signore, per Marina Corradi, che ci porta con grazia nell’intimo dell’animo umano, che ci fa leggere Tempi d’un fiato per arrivare all’ultima pagina, dove incontriamo la poesia, la profondità e la bellezza, in una parola Dio, anche nelle piccole cose quotidiane. Grazie Signore per tutti gli altri professionisti che scrivono per Tempi e che non ho nominato ma che stimo, apprezzo e saluto non di meno, messaggeri di verità, testimoni di un giornalismo ormai unico. Grazie Signore, per la redazione di Tempi, e per RINOGAETANOAVEVAPREVISTO(QUASI)TUTTO G | 19 gennaio 2011 | Ti ringrazio Signore per mio marito, che mi ha amato da subito, che rallegra, assieme alle nostre bimbe, ogni minuto della vita e mi ha obbligato a leggere Il cavallo rosso e Tempi, non un settimanale ma… un corso di esercizi spirituali, in cui tutti gli eventi sono guardati attraverso la luce della spe ranza che salva. Grazie! DanielaGalante Imperia 2 Vi ringrazio per il bellissimo regalo che ci avete fatto dedicando tutta la rivista al Te Deum. Ho letto tutti gli articoli, ho sorriso, ho pianto, ho meditato, non c’è n’è stato uno che non mi abbia colpito. Terrò questo numero per poterlo andare a rileggere ogni volta che sarò colpita da dubbi, tristezza, delusione, sofferenza, gioia, bellezza, felicità. ValeriaPaladino Milano 2 Le scrivo per esprimere vivo apprezzamento per il n. 52 di Tempi. Al resoconto arido e scontato degli avvenimenti accaduti nel 2010, presente in tutti i giornali e che lascia il tempo che trova, Tempi sostituisce esperienze di vita che aiutano il lettore a guardarsi dentro e a rinvenire situazioni o aspetti a cui non aveva pensato o su cui non aveva riflettuto. Che sia l’esperienza eccezionale di di FredPerri Nel mese in cui non succede nulla Fred Perri azzarda un pronostico ennaio è il più flaccido dei mesi. Non è l’inverno pieno di speranze e di attese natalizie di dicembre, non è l’inverno con lo slancio verso la primavera di febbraio. Non è né carne, né pesce. La festa è finita, lu santu è stato più o meno gabbato e cosa resta? Resta la sensazione che non è successo niente e tutto è come prima, tutto come in una canzone di Ri- 62 2 | no Gaetano, che se n’è andato troppo presto ma aveva capito l’andazzo. Berlusconi ce l’ha con D’Alema in cachemire (poveraccio, neanche due passi a St. Moritz può farsi); Napolitano non sopporta chi non capisce il senso del tricolore e l’Unità d’Italia; Fini minaccia querele; Marchionne aspetta il referendum di Mirafiori; George Clooney quel- Foto: AP/LaPresse SPORT UBER ALLES tutte le altre persone che rendono possibile a noi, con il loro incessante lavoro, leggere questa perla rara. Grazie Signore, per Tempi che ci donerà l’Osservatore Romano, portandoci ancora più vicini alla nostra Madre Chiesa. Grazie Signore, per Tempi che si fa baluardo e cammina al fianco del nostro Santo Padre Benedetto XVI, “luce del mondo”. LucaLaganà Roma [email protected] padre Trento o quella apparentemente più semplice (ma in realtà sempre profonda) ad essere descritta non ha importanza; la sollecitazione è sempre a guardare la realtà in modo non banale e valorizzare l’umano che c’è. Grazie per questo modo vero di fare informazione. MariaLaura FraternaliUrbino Tuttobello,grazie.Masulnumero dacollezionehogiustoquestaerrata corrigedatramandare:ritoccando unamiarispostaaunlettore,ilnostroimpeccabilecorrettoredibozze hatrasformatoinordinario“genio delmale”einstraordinario“divino” unmioordinario“idivino”(militante Idv,nondevotoaZeus)eunostraordinario“geniodelmare”(pesciolino, nonBelzebù),riferitialloscrivente dipietristaeaicomplessipensieridel nototronistagiudiziariostrasburgheseLuigiDeMagistris.Cenescusiamoconilettorieconitronisti. 2 Foto: AP/LaPresse Bene, Amicone, la lettura delle lettere di don Angelo Busetto, di don Gianmario Galmozzi, di Giuseppe P. e di Checco, oltre alla mia esperienza personale, mi ha confermato una cosa di cui io, come molti altri, credo, ero già convinto, e cioè che in Cl vi siano tante brave persone, tanti cristiani che vivono la loro fede in modo profondo e autentico e per i quali, mi creda, provo sincera simpatia ed ammirazione. Sennonché lei prende queste lettere e, in buona sostanza, le sbatte sotto il naso di Ferruccio Pinotti per dirgli: “Ecco, caro Pinotti, questa è ‘la lobby di Dio’”. Con questa operazione forse lei riuscirà a tranquillizzare i suoi lettori sul fatto che il libro di Pinotti non sia altro che 480 pagine di falsità e farneticazioni del solito comunista di turno. Personalmente ritengo che usare spre- giudicatamente le parole e le testimonianze di alcune brave persone come si fa col tappeto per nascondere la polvere (che c’è, eccome!) dia la cifra di uno stile di comportamento, diciamo, inelegante oltreché, mi permetta, assai ingenuo. MauroCosta,liberalevia internet Perdoni,maiononhomaiparlato dellibrodiPinotticonl’ineleganzadi cuiparlalei.Untipodilettoreche,se nonsbaglio,continuaacompulsarciunpo’colmaldipancia,unpo’con l’occhiodell’inquisitore.Midispiace. 2 Vorrei dire quanto mi è stato sempre antipatico. Ma ho visto il suo intervento su Rai Tre il 7 gennaio, debbo dire che ha colto nel segno come Guillaume Tell. Bravissimo. Questa finezza dell’analisi istantanea fa di un uomo il leader! Sono algerino di 52 anni, laico ma con una famiglia cristiana-italiana. Mi trovo assolutamente d’accordo al punto di dire, per estinzione del ragionamento, che l’Italia e l’Europa pagano oggi per errori del passato. Per il fatto di non avere cercato di portare la cultura liberale ma anche cristiana nel Nord Africa, patria di sant’Agostino e di sette vescovi, il messaggio più universale e propedeutico alla cultura liberale. Prima da noi in Algeria. La Francia non ha cercato di liberare le menti, anzi ha usato l’islamismo come mezzo di controllo sociale con il ricorso all’Apartheid: per i cristiani la libertà per i musulmani le moschee per garantirsi contro l’uguaglianza. Oggi gli immigrati rappresentano un pericolo per i governi feudali del Nord Africa. Pericolo che ai loro occhi si chiama libertà. Per ovviare a eventuali contagi ecco le moschee. Se non ci fosse veramente un obiettivo politico dietro, come fare passare la richiesta di luoghi di Avviso ai lettori A partire da questo numero, Tempi uscirà in edicola in tutta Italia il venerdì. A Milano e Roma, invece, il settimanale continuerà a uscire il giovedì. Avviso ai lettori che si sono abbonati al Meeting di Rimini 2010 Buonocarburante In questi giorni riceverete a casa vostra la tessera “You & Eni”. Con la tessera recatevi a un distributore Eni/Agip e chiedete un telecontrollo. Questa operazione accrediterà 2.500 punti sulla vostra tessera, che possono essere subito convertiti in 30 euro di carburante. culto come prima necessità prima dello stesso lavoro, motivazione primaria dell’immigrato? Quando fui dirigente della Cgil di Bergamo, nel mio rifiuto di considerare le moschee e le richieste religiose come bisogno primario dell’immigrato, sono stato visto come filo-Lega. La sinistra soffiando sul fuoco farà come Nerone veramente. Oggi serve la coralità attorno ai problemi della crisi e non ai falsi bisogni. A questo ritmo credo che dovrò veramente cercarmi un altro paese d’accoglienza – anche perché tempo fa ho ricevuto una condanna a morte. Che peccato che la gente come lei non riesca a sfondare in politica. Perché la laicità senza alterità cristiana porta al mercato selvaggio mentre la cristiani-religiosità in genere sotto ricatto porta al nichilismo! Buon anno. Kacivia internet IllettoresiriferisceaunnostrointerventoadAgorà.BeneKaci,leimi stasimpaticoemipiacerebbeconoscerla.Perchénonpassaaprendere uncaffèdanoi?Grazie. lo del Sudan; Elisabetta Canalis che George Clooney la sposi; in Tunisia e in Algeria c’è la guerra del pane; in Afghanistan e in Iraq c’è la guerra e basta; un settantenne ha ucciso tre persone per gelosia; Checco Zalone incassa più di Avatar; Cavani è megli ’e Pelè; Gianni Morandi presenta il Festival (perché Sanremo è Sanremo); Tremonti presenta un conto salato; le assicurazioni delle auto in Italia sono le più care d’Europa (mortacci loro); si discute sulle bestemmie al Grande fratello; c’è chi guarda il Grande fratello. A questo punto vi aspettereste «ma il cielo è sempre più blu». Quasi. Il campionato è sempre più nerazzurro. Lo dico? Lo dico: lo scudetto lo vince di nuovo l’Inter. | | 19 gennaio 2011 | 63 tAz&bAo L’apparenza non inganna «La verità è che c’è stato un periodo tra i teologi dei primi secoli in cui si pensò che la bellezza fosse inganno demoniaco e invece la Chiesa cattolica rifiutò questa punitiva impostazione. Stabilì che se Dio decise di incarnarsi uomo, s’incarnò nella bellezza. È questo che rende meravigliosa la nostra religione romano-cattolica. Sa cosa penso? O si è atei o si è romano-cattolici. Tutto il resto è… come si dice? Tutto il resto è noia» Antonio Paolucci direttore dei Musei vaticani intervistato da L’espresso, 6 gennaio 2011 64 | 19 gennaio 2011 | | Foto: Giuditta e Oloferne (Particolare), Caravaggio 1597-1600, Galleria nazionale di arte antica, Roma GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI cOME SE qUELL’ANTIcA chIESA bIzANTINA ASPETTASSE TE Straordinaria Bisanzio, dove Cristo trae quei due vecchi dall’abisso di Marina corradi P eriferia nord di istanbul, dove le case si fanno scalcinate e povere - lucenti occhi di gatti a ogni angolo, tra i cassonetti dei rifiuti. Il tassista fatica, nel dedalo di viuzze, a trovare san Salvatore in Chora. L’antichissima chiesa bizantina, moschea dopo la conquista islamica, ora è un museo. I restauri hanno rimosso la calce con cui i musulmani cancellarono, come in tutte le chiese di Istanbul, i mosaici e gli affreschi cristiani. E a san Salvatore – fondata nel V secolo, poi rifugio dei monaci peregrini in Oriente – il visitatore alza gli occhi e incontra le straordinarie immagini delle parabole, della dormizione della Madonna, del Giudizio. Inaspettatamente, nella megalopoli di 12 milioni di uomini costantemente percorsa dalle preghiere gravi e dolenti che si allargano dai minareti, fra queste mura ti imbatti nel volto dolce del Cristo bizantino: occhi profondi e misericordiosi, che sembrano guardarti. Resti a contemplare le immagini lassù nell’abside, nella cupola, con la testa all’indietro, finché il collo duole. La “Anastasis”: dove Cristo nel giorno della resurrezione della carne afferra Adamo ed E la sua espressione, da condottiero che dice: Eva dai sepolcri in cui giacciono, e li riporta alla luce. Formidabile sequenza di andiamo, è tempo di uscire dalle tenebre. dettagli su cui gli occhi si fermano, seAdamo ed Eva, stanchi di millenni di fatica e dotti. La forza, intanto: il piglio vigoroso di male, quasi recalcitranti all’urto della luce, del Figlio, piantato sulle gambe larghe, come chi debba reggere un poderoso all’ordine perentorio della resurrezione sforzo. E la sua espressione, qui determinata, da condottiero che inciti: andiamo, è tempo di uscire dalle tenebre. Adamo e Eva, vecchi, stanchi di millenni di fatica e di male, strappati al loro sonno, quasi recalcitranti all’urto della luce, all’ordine perentorio della resurrezione. (Come il Lazzaro di Caravaggio, come lui a forza sottratto da Cristo alla morte). Ma, le mani di questo Cristo in battaglia stringono con determinazione incontrastabile le vecchie mani di Adamo ed Eva; li trascinano, così come noi strapperemmo dal fuoco, o da un abisso, qualcuno di molto amato. Cadono, sotto ai piedi dei risorti, lucchetti e chiavistelli, in una pioggia di corrotta ferraglia: spezzate le catene dell’inferno, nell’ultimo giorno – quando il tempo, scrisse Paolo, «ha ammainato le sue vele». Straordinaria Bisanzio, pensi, e straordinari monaci, in lotta contro gli iconoclasti; proprio qui a san Salvatore, nell’ottavo secolo, un covo di resistenti, tenaci nel voler vedere, e rappresentare, e mostrare il volto di Cristo. Cristo: “chora ton zonton”, leggi, scritto in greco su un mosaico; Cristo, dimora dei viventi. (E, sotto alla Madonna: Maria, “chora tou achoretou”, Maria, dimora dell’Incontenibile: splendente immagine di san Cirillo di Alessandria). Allora “chora”, capisci con un sussulto di affetti, non vuol dire solo, come dicono le guide turistiche, chiesa di campagna, “fuori dalle mura”. Una più antica memoria è incisa qui dentro: Cristo è “chora”, Cristo è la dimora degli uomini. Quel viso cancellato e ritrovato, restituito dai secoli, misteriosamente salvo tra centinaia di chiese annichilite. Quegli occhi misericordiosi che, nella foresta anonima della megalopoli straniera, sembrano guardare te – come se ti conoscessero da sempre. 66 | 19 gennaio 2011 | | DIARIO