Antica Pieve di Montereale La Pieve di Montereale è uno dei luoghi di culto del Friuli occidentale sui quali è doveroso richiamare l’attenzione. Le tracce del tempo sono in essa, e nei suoi dintorni, numerose e significative. Ricerche già concluse o in corso porteranno nuove e puntuali conoscenze. Questo quaderno si propone come rapido inventario di temi non ancora sufficientemente esplorati. È anche un invito ad andare a vedere con occhio attento e curioso. Ci si augura che associazioni, enti e privati sappiano dare concretezza di iniziative a un progetto che, tenendo conto di quanto già fatto in passato e negli ultimi anni in particolare, racconti, dell’antica Pieve di Montereale, vicende e contesti storici artistici e ambientali, valorizzi e faccia conoscere l’importanza religiosa, culturale e di incontro. Alessio Belgrado Angelo Santarossa Commissario della IV Comunità Montana Meduna-Cellina Pievano della Parrocchia di S. Maria Assunta di Montereale Valcellina (…) la luce marea prosciugata affiora dai greti, dà ali a un greve rosso di terre a un blu oltremarino: qualche frutto acidulo un cardellino sparuto e il bisbiglio dei morti si aggregano in segreta costellazione per sostenere lo spazio pacificato di una cappella librata sulla pianura Lionello Fioretti Foto Antonio Bertoja - Montereale Valcellina (Pordenone), pp. 4, 11, 32a, 64 e IV di cop. Elio Ciol - Casarsa (Pordenone), pp. 10, 17, 25, 30, 31, 33, 60/61 Antica Pieve di Montereale Antonio Cossutta - Montereale Valcellina (Pordenone), pp. 1, 23 Pietro De Rosa - Spilimbergo (Pordenone), pp. 3, 32b, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58/59, 62, 63 e copertina Cartolibreria E. Fignon - Montereale Valcellina (Pordenone), pp. 12/13 Foto Martinelli - Montereale Valcellina (Pordenone), pp. 26, 27 Riccardo Viola - Mortegliano (Udine), pp. 22, 24, 28, 34, 35, 36, 37 Grafici Chiara Petracco - S. Vito al Tagliamento (Pordenone) Collaborazione redazionale Aldo Colonnello, Rosanna Paroni Bertoja Coordinamento editoriale Circolo culturale Menocchio - Montereale Valcellina (Pordenone) Impaginazione Interattiva - Spilimbergo (Pordenone) Stampa Grafiche Tielle - Sequals (Pordenone) Paolo Goi Tracce d’arte e di storia “Ciò che è periferico o marginale ha possibilità di essere più antico”. Si può invocare questa specie di “legge della marginalità” per intendere la realtà della chiesa di Montereale Valcellina, detta del Cimitero o di San Rocco. Ubicata poco prima della stretta di Ravedis e decentrata rispetto all’attuale abitato, reca in sé i segni di una sospetta antichità. Confermata subito dalla presenza del cimitero com’era di costume nelle vecchie pievi, dall’ampiezza dell’aula consona ad una chiesa parrocchiale ed anzi “madre”, piuttosto che ad una succursale (il confronto planimetrico con San Vigilio di Pieve di Palse è in tal senso illuminante) e dalla verifica del titolo, il quale risponde a Santa Maria Assunta non già a San Rocco impostosi in epoca recente. Ne viene pertanto che l’edificio, oggi cimiteriale, corrisponde all’antica pieve di Montereale. Troviamo questa pieve (di Calaresio) nominata nel 1186 nella bolla di papa Urbano III: un fatto che viene a sancire una situazione antica ed anzi antichissima, risalente – in forza anche del titolo mariano – all’epoca della diffusione e consolidamento del Cristianesimo nella diocesi di Concordia (sec. V). Una veneranda antichità circonda dunque l’edificio, tanto più rispettabile dal momento che la pieve di Montereale avrebbe svolto – secondo alcuni storici – un ruolo di primo piano nell’e5 vangelizzazione del territorio montano. Una situazione che non poteva nascere dal nulla e che a sua volta presuppone un insediamento di età romana e magari preromana, comprensiva di una realtà cultuale esaugurata in seguito dalla nuova religione. Ipotesi accertata dalla messa in luce di abitazioni e necropoli dalla età del bronzo a quella romana, di oggetti ritualistici e di una piccola ara al dio Timavo nei pressi dell’area occupata poi Bertolini, 1884 Reisch, 1908 dalla pieve di Santa Maria. Un quadro di riferimenti che potrà sostanziarsi di nuovi apporti dovuti ad auspicabili interventi di scavo nella chiesa e adiacenze come si è verificato a Pieve di Palse. Un’occasionale indagine nel 1969 ha infatti individuato nel presbiterio ben quattro strati pavimentali. Manca anche un’analisi delle strutture murarie dell’edificio attuale che sembra ricalcare l’impianto del sec. XII, a differenza del coro sopraelevato rispetto al corpo principale e pertanto posteriore (inizi sec. XVI). Ponendosi così i pochi fatti, si avrebbero le seguenti fasi edilizie: - paleocristiana (sec. V), invocata dall’antichità del titolo mariano del tempio che verosimilmente avrebbe soppiantato un culto pagano; - medievale (sec. XII), richiesta dal ruolo di chiesa plebana (1186); - rinascimentale (sec. XVI, inizi), segnata dalla attuale configura- Pavimento attuale dell’abside Vecchio altare in pietra e mattoni Pavimenti precedenti Pavimento attuale della navata Pavimento attuale (calce e graniglia levigata) 66 cm Calcinacci e ruderi Resti di pavimento (calce e graniglia non levigata) Calcinacci e ruderi Resti di pavimento (calce e graniglia non levigata) Letto di sabbia Pavimento in calce lisciata Gradino in pietra levigato dall’usura Muro in pietra G. Bandelli - G. Righi (disegno), 1990. 6 50 cm 40 cm 30 cm 7 "Adì 15 settembre 1768. Io Giovanni Nascimbeni Pub.º Perito ò fatto il presente dissegno" zione. (Archivio del Circolo Culturale Menocchio) 8 9 La morfologia dell’edificio, già affiancato dal campanile demolito nel 1893, si affida ad una breve scheda redatta da Giuseppe Marchetti nel volume Le chiesette votive del Friuli (Udine 1972) la quale riferisce dell’aula rettangolare; dei due ingressi; del tetto in coppo a doppio spiovente con travatura interna a vista; del motivo decorativo in cotto corrente sottogronda; del coro sopraelevato introdotto da un arcone a sesto acuto; della finestratura; del corpo della sacrestia più tardi aggiunto e di altri aspetti minori: descrizione da accogliere con qualche correzione, relativa prima di tutto alla natura plebana, non già “votiva”, del sacro edificio. La cui immagine odierna – un’immagine linda ed essenziale quale determinata dalla moderna impresa di restauro – non dà ragione delle trasformazioni succedutesi nel tempo che hanno inciso più o meno profondamente sulla facies del monumento secondo i criteri liturgici ed estetici volta a volta imperanti. Esclusi da particolareggiato discorso i primi due momenti, quello paleocristiano e medievale, restituibili se non per generalissimi 10 11 e dunque nel concreto inefficaci parametri (ma andrà almeno assicurata un’icona con l’immagine della titolare), si accenna ad una terza fase protorinascimentale. Suggerita dall’osservazione del tema della Morte (Dormizione) della Vergine svolto nella parete di fondo del coro secondo un modello iconografico antiquato, tanto nei Funebri (gli Apostoli chiamati dalla Vergine morente accanto al proprio letto), sia nel Cristo apocalittico, che si suppone possa aver costituito il precedente (in una probabile soluzione ad ancona lignea) dell’affresco del Calderari perduto nella rifabbrica del coro. Ipotesi rafforzata dalla curiosa immagine di Santo Stefano titolare della cattedrale di Concordia e patrono della diocesi, immagine spesa dai presuli concordiesi a documento di giurisdizioni temporali e spirituali in più parti del territorio e che pertanto non può essere stata inventata ai tempi del Calderari, anche se pre Stefano Decano da Grizzo – sotto la cui rettoria dovrebbe essersi realizzata l’impresa pittorica – può avere favorito la scelta. In ogni caso, a fugare incertezze è la situazione del “travo del coro” con il Crocifisso (databile agli inizi del sec. XVI) e le sagome della Madonna e San Giovanni evangelista (oli su tavola di Giovanni Pitau, 1673 in sostituzione delle precedenti effigi del tutto consunte) ancora al loro posto fino a una cinquantina d’anni fa (p. 12/13) in obbedienza a un sistema ovunque praticato e che deve essere fatto risalire avanti appunto l’impresa del Calderari. Il momento rinascimentale è rappresentato dalla decorazione del coro da parte – come detto – di Gio. Maria Zaffoni detto il Calderari tra 1560-1563. Il piano decorativo è congegnato secondo un modello costante che prevede sulla facciata l’annuncio veterotestamentario del sacrificio di Cristo; nel sottarco e nello sguincio dell’arcone profeti e sante o santi patroni (Lucia, Caterina d’Alessandria, Agata, Barbara, Apollonia, Geremia, Isaia, Daniele); nella volta sibille, profeti, evangelisti e dottori della Chiesa in dipendenza dalla disponibilità di spazio; sulle pareti e sul fondo storie del/della titolare accompagnate da quelle della vita di Cristo. La fonte è costituita dai testi sacri, più spesso dai vangeli apo14 crifi cui è da aggiungere una lunga tradizione che tra l’altro contempla sulla fronte il Sacrificio di Caino e Abele, in seguito surrogato dall’Annunciazione. Cosa che si verifica anche a Montereale con le storie della vita della Vergine (derivano dagli Apocrifi le raffigurazioni dello Sposalizio e della Presentazione di Maria al tempio) e la duplice scena dell’offerta sacrificale di Caino e Abele al Demonio e a Dio; dettaglio questo che ha dato luogo a immaginazioni come se si trattasse di echi del dualismo cataro quando invece esso si inscrive in un sistema ben antico. Il grafico composto per la circostanza aiuta alla lettura dei singoli aspetti dispensando da prolissa descrizione. Si insiste piuttosto sulla volta (pp. 16 e 17) apparentemente confusa per indicarne invece la rispondenza a preciso paradigma quanto all’abbinamento di sibille e profeti trasmesso dalla trattatistica (ricostruibile solo il nesso Libica-Daniele e SimeonePersica; incerti i rimanenti a ragione della caduta delle lettere) e la distribuzione degli evangelisti per cui a Giovanni e Luca che più hanno celebrato la Vergine Maria – di Giovanni si rammenti la “Donna vestita di sole” dell’Apocalisse – vengono riservate le vele di ingresso al coro e l’opposta, soprastante la Morte della Vergine, con il Cristo apocalittico. Un’altra osservazione riguarda il ruolo occupato dalle figure le quali si dispongono in primo e secondo piano a segnare le tappe della Rivelazione: dai barlumi del mondo pagano (sibille) e dall’annuncio veterotestamentario (i profeti Davide, Mosé, Daniele e Simeone – curiosamente mitrato – annoverato in epoca 15 Gli affreschi della volta del coro (1560-1563) 16 17 medievale), al suo “adempimento” (evangelisti) e alla autentica interpretazione da parte della Chiesa (i dottori Gregorio papa, Girolamo, Ambrogio, Agostino). Il programma si completava con la pala dell’Assunta (p. 4), ora in controfacciata, ma un tempo troneggiante all’altar maggiore in modo da proclamare l’ultimo atto della vicenda di Maria conclusasi non con la corruzione nel sepolcro, ma con l’assunzione corporea in cielo. Dai grafici che si allegano si ricava anche l’ordine della sequenza la quale muove da sinistra a destra e dall’alto in basso per concludere al centro secondo uno schema detto “ad avvolgimento”, con l’anomalia dello Sposalizio della Vergine posticipato rispetto ai tempi della narrazione evangelica ed apocrifa per motivo di economia spaziale e conseguente resa estetica. Tale distribuzione dà ragione delle diversità di direzione prospettica come dipendenti da un punto di vista non unico e fisso bensì mobile in una veduta trascorrente: aspetto non riconosciuto dalla critica che ha rimproverato troppo facilmente al pittore l’uso maldestro della prospettiva. La narrazione si snoda entro un telaio architettonico emergente da un alto basamento a sporto per cui le scene si costituiscono ad di là di un parapetto sottolineato dalla presenza di fiori, frutta e volatili di valenza simbolica. 18 Analoga inquadratura osservano i due altaroli ai lati dell’arcosanto che completano il partito decorativo, impaginati secondo diverso ordine di visione prospettica a muovere dal centro dell’aula. Se la tematica mariana dipende dal titolo della chiesa ed i soggetti di facciata, sottarco e volta, più santo Stefano, trovano motivazione in programmi e prescrizioni secolari, i restanti beati rispondono ai patrocini popolarmente loro affidati: Agata protettrice dalle malattie/dolori al seno (tessitrici, puerpere), Lucia dal male agli occhi, Barbara dalle folgori, Rocco e Sebastiano dalla peste e malattie infettive, Antonio abate custode del bestiame, Francesco d’Assisi difensore dai lupi, Caterina d’Alessandria “avvocata” dei mugnai, Nicola da Bari patrono invece di naviganti e traghettatori e delle donzelle da marito (da ricordare anche la presenza di San Cristoforo in una delle lastre tombali). L’analisi stilistica del complesso facilmente individua le matrici nell’arte di Gio. Antonio Pordenone e Pomponio Amalteo; fonti che il Calderari interpreta in termini agresti con evidenziazione di cose e persone (impegno ritrattistico, mimica espressiva, restituzione di ambienti, delineazione di strumenti musicali) e insistenza sui dettagli trattati spesso “a secco”: un mondo non eroico, ma casalino (da “rinascimento minore”), cui contribuiscono le tinte rossastre peraltro accentuate dalle cadute del colore. Quanto alla suppellettile e agli effetti liturgici, si ricordano la sostituzione del fonte battesimale (altomedievale?) con un manufatto di lapicidi medunesi nell’avanzato Cinquecento e le dotazioni registrate dai vari presuli e visitatori apostolici nel periodo 1517-1584 annoveranti in particolare una croce “bella e ornatissima”, la medesima – forse – retta dall’apostolo ai piedi della Vergine, venuta a sostituire quella trafugata dai Turchi nel 1499, nonché due angeli lignei dorati all’altar maggiore. Il passaggio successivo è determinato dalla Controriforma, percepibile attraverso le disposizioni vescovili e la poca suppellettile esistente. Un periodo che non si chiude con il tardo Cinquecento o il primo Seicento ma che – a scavalco delle epoche 19 Santa Barbara Il profeta Isaia L’offerta di Caino L’offerta di Abele Il profeta Geremia San Rocco e i santi Sebastiano e Francesco d’Assisi 20 Sant’Apollonia Sant’Agata Il profeta Daniele Santa Lucia Santa Caterina d’Alessandria Santo Stefano e i santi Antonio abate e Nicola da Bari 21 stilistiche – prosegue in età barocca e rococò. In base alla normativa stabilita a fine ’500 si determina l’ordinamento dell’invaso e delle adiacenze secondo un indirizzo ben preciso anche se attuato per gradi. Il quale anzitutto si preoccupa di incentrare l’attenzione sull’altar maggiore, luogo della celebrazione e conservazione eucaristica; da cui l’ordine di provvedere un tabernacolo in legno dorato, di completare la pala grande (si intende negli “ornamenti”) lasciata “imperfetta” per il decesso del Calderari, escludendone la sostituzione. Di pari passo l’impegno per gli altri sacramenti: del Battesimo, esaltato attraverso il ricavo a sinistra dell’ingresso di una corta cappella timpanata con curiosa immagine di mascherone (p. 22) nella quale si inserisce il fonte cimato da una copertura lignea piramidale (oggi rimossa) e l’introduzione di confessionali. Mancano sussidi di natura archivistica per seguire dappresso la trafila delle operazioni, peraltro ricostruibile sulla base delle comuni normativa e prassi. Da ciò la recinzione degli spazi sacri (coro, altari laterali, fonte battesimale) mediante balaustrate dapprima lignee e in seguito lapidee come quella del coro dovuta a maestranza medunese (Tommaso Casella?) nel 1676, recinzione continuata all’esterno per cimitero e sagrato con accesso sottolineato da due cippi piramidali; la riserva della sepoltura in chiesa (avanti il coro) ai soli sacerdoti-parroci (unica eccezione nota è per la famiglia dei Mar22 23 zato come si può vedere nell'oratorio di San Floriano. Parallelo corre il ricambio del guardaroba con paramenti nei cinque colori (bianco, rosso, verde, viola e nero), e del vasellame più semplice e pratico. Una forte rivendicazione del sacro ed accentuazione del ruolo gerarchico è quello che emerge dalla serie degli interventi. Agli stessi criteri si informa l’azione pastorale che – sempre su pressione dall’alto – dà vita alle confraternite del Sacramento e del Rosario (1634) le quali parrocchializzano e clericalizzano le libere forme di associazione laicale religiosa del passato. Dal lato artistico ciò ha riflesso nelle dotazioni della lanterna gnani proveniente dal cantone dei Grigioni); il generale repulisti dell’aula da ogni tipo di pittura devozionale; l’erezione di apposita cappella per la nuova devozione del Rosario in modo da non interferire con il culto maggiore; la provvista di due nuove pale (oli su tela) per gli altari laterali (a soli trent’anni dalla prima realizzazione ad affresco) che dal lato iconografico dobbiamo intendere intonate a contrizione dal momento che non si ritiene più confacente il sereno clima rinascimentale delle precedenti (il visitatore apostolico Cesare de Nores aveva avuto a ridire anche della pala grande): pale che dovettero trovar posto in due nuove strutture in legno dorato con alzata a portale e architrave spez24 25 processionale (p. 34) in metallo un tempo dorato del Sacramento con vaso e cupolino costolonati e cimati di un calice con l’ostia, e nell’altare ligneo del Rosario (p. 25). Costituito questo da un’alzata a doppia coppia di colonne avvolte da viticci e tralci di rose e contornate da due “orecchie” a triplice voluta, doppio frontone spezzato (triangolare e arcuato), cimasa con ali inarcate e spezzate a mezzo delle quali si colloca un vaso acroteriale, nicchia 26 centrale con il gruppo della titolare. Fastoso il partito decorativo formato da cartelle, protomi femminili e angeliche, festoni, girali, angioletti agli spioventi e ai plinti di coronamento. Complesso anche l’apparato iconografico consegnato a sculture, intagli e pitture rappresentati nell’ordine dalla Madonna col Bambino (moderna riproduzione dell’originale rubato per l’addietro) ed i santi Domenico e Caterina da 27 Siena, la sottostante rappresentazione delle Anime Purganti, gli ovati della cornice con i misteri del Rosario entro ovati su rame. Dal lato dello stile si tratta di un’opera del bellunese Giovanni Battista Auregne responsabile di altri lavori nel territorio (Claut, Cimolais, Maniago, Pasiano) contrassegnati dallo sviluppo in termini barocchi di un apparato di marca manierista. Pur nel cambiamento di stile, l’assetto del tempio viene rispettato dal sopravveniente rococò. Gli interventi di maggior peso sono costituiti dagli altari lapidei che vengono a sostituire quelli lignei che più non incontrano il nuovo gusto e che perciò al solito vengono bollati come “cariolati”e “fatiscenti” sì da poterne giustificare la sostituzione. L’opera principale è costituita dall’altar maggiore con le statue dell’Assunta titolare e di San Giuseppe (pp. 36 e 37) più tabernacolo e paliotto. Rimontata con non felice soluzione nella nuova parrocchiale, è imputabile ad altaristi portogruaresi, rispettivamente Gio. Battista Bettini per la parte plastica e ad anonimo altarista – forse Pietro Balbi o meglio Gio. Maria Savio – per il tabernacolo con cupolino a cipolla e il dossale svasato con ovato a soggetto eucaristico al mezzo: fragile l’uno di struttura (quasi un ninnolo), povero l’altro di disegno. Ad un terzo maestro che si crede di identificare in Antonio Nardi pordenonese spettano i due altari a lato del coro già racchiudenti le pale secentesche (sparite di circolazione) e ora smontati a accatastati dietro il coro della nuova chiesa. Qualche altro tocco di grazia spande il rococò: nella volticina a stucco dell’altare del Rosario con angioletti e colomba dello Spirito Santo e nel dossale del medesimo in sostituzione di quello ligneo rimosso perché consunto, assegnabile sempre a Gio. Maria Savio di Portogruaro di cui presenta la stessa maniera di turgida rocaille incontrata a Morsano al Tagliamento. Il biancore e la lucentezza derivanti da queste scelte nell’aula, scrostata e ritinteggiata, ha modo di accrescersi con la brillantezza degli argenti di cui il tempio si va dotando: calici (p. 35), reliquiari, croci astili, paci (p. 24), incensieri, frutto di botteghe 28 29 30 31 32 veneziane; in un luccichio esaltato dai filamenti argentei e dorati dei tessuti fra i quali si annovera una pianeta con paesaggi, architetture e rovine ed un “terzo” (pianeta e tunicelle) con essenze arboree distribuite “a isolotto”, entrambi di manifattura veneziana della prima metà del ’700. Tra la restante dotazione si annovera il pennello processionale dell’Assunta (p. 28) in legno dorato – non comune segnacolo con l’immagine della titolare – inalberato con sussulto d’orgoglio nel momento in cui la pieve era costretta dai tempi ad abdicare ai propri diritti e il tempio stesso andava incontro alla dismissione. 33 34 35 36 37 Offerta di Abele I/2 San Rocco Santo Stefano Sebastiano e Antonio abate e i santi Francesco d’Assisi I/4 40 Offerta di Caino I/3 e i santi e Nicola da Bari I/5 41 Sant’Agata II/2 Santa Barbara II/4 Santa Lucia Il profeta Geremia II/1 42 II/3 43 Il profeta Daniele II/6 Santa Caterina d’Alessandria II/5 44 Il profeta Isaia II/8 Sant’Apollonia II/7 45 Vela della volta con la Sibilla Libica, il profeta Daniele, l’evangelista Marco, il dottore della Chiesa Sant’Agostino III/2 Vela della volta con la Sibilla Persica il profeta Simeone, l’evangelista Luca, il dottore della Chiesa San Gregorio papa III/1 46 Vela della volta con Sibilla (non identificabile), il profeta Davide, l’evangelista Giovanni, il dottore della Chiesa San Girolamo III/3 Vela della volta con Sibilla (non identificabile), il profeta Mosè, l’evangelista Matteo, il dottore della Chiesa Sant’Ambrogio III/4 47 La Nascita della Vergine, la Presentazione di Maria al tempio, lo Sposalizio della Vergine, la Nascita di Gesù IV/1-4 La nascita della Vergine IV/1 48 La Presentazione di Maria al tempio IV/2 Angelo musicante IV/2 49 L’Annunciazione, la Visitazione, la Fuga in Egitto, Gesù al tempio fra i dottori IV/5-8 L’Annunciazione IV/5 50 La visita di Maria a Elisabetta IV/6 La visita di Maria a Elisabetta IV/6 51 Lo Sposalizio di Maria e Giuseppe IV/3 Il Sommo Sacerdote IV/3 Ritratto del parroco San Giuseppe IV/3 52 pre Stefano Decano da Grizzo IV/3 53 54 L’Adorazione dei Magi IV/4 La Fuga in Egitto IV/7 L’Adorazione dei Magi IV/4 La Fuga in Egitto IV/7 55 56 La Disputa di Gesù con i dottori del tempio IV/8 Dottore del tempio IV/8 Dottori del tempio IV/8 Dottore del tempio IV/8 57 Cristo dell’Apocalisse IV/9 Angeli IV/9 60 Cristo dell’Apocalisse IV/9 Angeli IV/9 61 62 63 Note p. 4. Pala dell’Assunta. Lasciata incompiuta (1563) da Gio. Maria Zaffoni detto Calderari; fotografata prima del restauro (2000) p. 7. Strati pavimentali dell’abside. Da rilievo in scala di Valentino Bertoja (1969) p. 9. Disegno di Giuseppe Marchetti, pubblicato in Le chiesette votive del Friuli, Società Filologica Friulana, Udine 1971 p. 11. Parete destra della navata. Cristo del ”travo”, e sagome lignee di Maria e Giovanni (copia di Piero Del Vesco, 2001) pp. 26 e 27. 1968. Altari laterali prima del restauro del 1969 p. 32a. Fronte del coro p. 64. Maggio 1976. Puntellatura della volta subito dopo il terremoto. Indicazione bibliografica Per una panoramica più ampia si veda P. Goi, La chiesa di Menocchio, in L’Inquisizione romana: metodologia delle fonti e storia isituzionale, Atti del Seminario internazionale (Montereale Valcellina, 23 e 24 settembre 1999, a cura di A. Del Col e G. PAolin, Trieste, Montereale Valcellina, 2000, pagg. 297-325). Intervento realizzato con il contributo dell’Unione Europea Iniziativa comunitaria Leader II da 64 con la collaborazione della Parrocchia di S. Maria Assunta di Montereale Valcellina