Antica Pieve di Montereale
La Pieve di Montereale è uno dei luoghi di culto del Friuli occidentale sui
quali è doveroso richiamare l’attenzione.
Le tracce del tempo sono in essa, e nei suoi dintorni, numerose e significative. Ricerche già concluse o in corso porteranno nuove e puntuali conoscenze.
Questo quaderno si propone come rapido inventario di temi non ancora
sufficientemente esplorati.
È anche un invito ad andare a vedere con occhio attento e curioso.
Ci si augura che associazioni, enti e privati sappiano dare concretezza di
iniziative a un progetto che, tenendo conto di quanto già fatto in passato e negli
ultimi anni in particolare, racconti, dell’antica Pieve di Montereale, vicende e
contesti storici artistici e ambientali, valorizzi e faccia conoscere l’importanza
religiosa, culturale e di incontro.
Alessio Belgrado
Angelo Santarossa
Commissario
della IV Comunità Montana
Meduna-Cellina
Pievano della Parrocchia
di S. Maria Assunta
di Montereale Valcellina
(…)
la luce marea prosciugata
affiora dai greti,
dà ali a un greve rosso di terre
a un blu oltremarino:
qualche frutto acidulo
un cardellino sparuto
e il bisbiglio dei morti
si aggregano
in segreta costellazione
per sostenere lo spazio pacificato
di una cappella
librata sulla pianura
Lionello Fioretti
Foto
Antonio Bertoja - Montereale Valcellina (Pordenone), pp. 4, 11, 32a, 64 e IV di cop.
Elio Ciol - Casarsa (Pordenone), pp. 10, 17, 25, 30, 31, 33, 60/61
Antica Pieve
di Montereale
Antonio Cossutta - Montereale Valcellina (Pordenone), pp. 1, 23
Pietro De Rosa - Spilimbergo (Pordenone), pp. 3, 32b, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47,
48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58/59, 62, 63 e copertina
Cartolibreria E. Fignon - Montereale Valcellina (Pordenone), pp. 12/13
Foto Martinelli - Montereale Valcellina (Pordenone), pp. 26, 27
Riccardo Viola - Mortegliano (Udine), pp. 22, 24, 28, 34, 35, 36, 37
Grafici
Chiara Petracco - S. Vito al Tagliamento (Pordenone)
Collaborazione redazionale
Aldo Colonnello, Rosanna Paroni Bertoja
Coordinamento editoriale
Circolo culturale Menocchio - Montereale Valcellina (Pordenone)
Impaginazione
Interattiva - Spilimbergo (Pordenone)
Stampa
Grafiche Tielle - Sequals (Pordenone)
Paolo Goi
Tracce d’arte e di storia
“Ciò che è periferico o marginale ha possibilità di essere più
antico”.
Si può invocare questa specie di “legge della marginalità” per
intendere la realtà della chiesa di Montereale Valcellina, detta
del Cimitero o di San Rocco.
Ubicata poco prima della stretta di Ravedis e decentrata rispetto all’attuale abitato, reca in sé i segni di una sospetta antichità.
Confermata subito dalla presenza del cimitero com’era di costume nelle vecchie pievi, dall’ampiezza dell’aula consona ad una
chiesa parrocchiale ed anzi “madre”, piuttosto che ad una succursale (il confronto planimetrico con San Vigilio di Pieve di
Palse è in tal senso illuminante) e dalla verifica del titolo, il quale risponde a Santa Maria Assunta non già a San Rocco impostosi in epoca recente. Ne viene pertanto che l’edificio, oggi cimiteriale, corrisponde all’antica pieve di Montereale.
Troviamo questa pieve (di Calaresio) nominata nel 1186 nella
bolla di papa Urbano III: un fatto che viene a sancire una situazione antica ed anzi antichissima, risalente – in forza anche del
titolo mariano – all’epoca della diffusione e consolidamento del
Cristianesimo nella diocesi di Concordia (sec. V).
Una veneranda antichità circonda dunque l’edificio, tanto più
rispettabile dal momento che la pieve di Montereale avrebbe
svolto – secondo alcuni storici – un ruolo di primo piano nell’e5
vangelizzazione del territorio montano.
Una situazione che non poteva nascere dal nulla e che a sua
volta presuppone un insediamento di età romana e magari preromana, comprensiva di una realtà cultuale esaugurata in seguito dalla nuova religione.
Ipotesi accertata dalla messa in luce di abitazioni e necropoli
dalla età del bronzo a quella romana, di oggetti ritualistici e di
una piccola ara al dio Timavo nei pressi dell’area occupata poi
Bertolini, 1884
Reisch, 1908
dalla pieve di Santa Maria.
Un quadro di riferimenti che potrà sostanziarsi di nuovi apporti dovuti ad auspicabili interventi di scavo nella chiesa e
adiacenze come si è verificato a Pieve di Palse.
Un’occasionale indagine nel 1969 ha infatti individuato nel
presbiterio ben quattro strati pavimentali.
Manca anche un’analisi delle strutture murarie dell’edificio
attuale che sembra ricalcare l’impianto del sec. XII, a differenza
del coro sopraelevato rispetto al corpo principale e pertanto posteriore (inizi sec. XVI). Ponendosi così i pochi fatti, si avrebbero
le seguenti fasi edilizie:
- paleocristiana (sec. V), invocata dall’antichità del titolo mariano del tempio che verosimilmente avrebbe soppiantato un
culto pagano;
- medievale (sec. XII), richiesta dal ruolo di chiesa plebana (1186);
- rinascimentale (sec. XVI, inizi), segnata dalla attuale configura-
Pavimento
attuale dell’abside
Vecchio altare
in pietra e mattoni
Pavimenti
precedenti
Pavimento attuale della navata
Pavimento attuale (calce e graniglia levigata)
66 cm
Calcinacci e ruderi
Resti di pavimento (calce e graniglia non levigata)
Calcinacci e ruderi
Resti di pavimento (calce e graniglia non levigata)
Letto di sabbia
Pavimento in calce lisciata
Gradino
in pietra
levigato
dall’usura
Muro in pietra
G. Bandelli - G. Righi (disegno), 1990.
6
50 cm
40 cm
30 cm
7
"Adì
15 settembre 1768. Io Giovanni Nascimbeni Pub.º Perito ò fatto il presente dissegno"
zione.
(Archivio del Circolo Culturale Menocchio)
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La morfologia dell’edificio, già affiancato dal campanile demolito nel 1893, si affida ad una breve scheda redatta da Giuseppe
Marchetti nel volume Le chiesette votive del Friuli (Udine 1972) la
quale riferisce dell’aula rettangolare; dei due ingressi; del tetto in
coppo a doppio spiovente con travatura interna a vista; del motivo decorativo in cotto corrente sottogronda; del coro sopraelevato introdotto da un arcone a sesto acuto; della finestratura; del
corpo della sacrestia più tardi aggiunto e di altri aspetti minori:
descrizione da accogliere con qualche correzione, relativa prima
di tutto alla natura plebana, non già “votiva”, del sacro edificio.
La cui immagine odierna – un’immagine linda ed essenziale
quale determinata dalla moderna impresa di restauro – non dà
ragione delle trasformazioni succedutesi nel tempo che hanno
inciso più o meno profondamente sulla facies del monumento
secondo i criteri liturgici ed estetici volta a volta imperanti.
Esclusi da particolareggiato discorso i primi due momenti, quello paleocristiano e medievale, restituibili se non per generalissimi
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11
e dunque nel concreto inefficaci parametri (ma andrà almeno assicurata un’icona con l’immagine della titolare), si accenna ad una
terza fase protorinascimentale. Suggerita dall’osservazione del
tema della Morte (Dormizione) della Vergine svolto nella parete di
fondo del coro secondo un modello iconografico antiquato, tanto
nei Funebri (gli Apostoli chiamati dalla Vergine morente accanto
al proprio letto), sia nel Cristo apocalittico, che si suppone possa
aver costituito il precedente (in una probabile soluzione ad ancona lignea) dell’affresco del Calderari perduto nella rifabbrica del
coro. Ipotesi rafforzata dalla curiosa immagine di Santo Stefano
titolare della cattedrale di Concordia e patrono della diocesi, immagine spesa dai presuli concordiesi a documento di giurisdizioni temporali e spirituali in più parti del territorio e che pertanto
non può essere stata inventata ai tempi del Calderari, anche se pre
Stefano Decano da Grizzo – sotto la cui rettoria dovrebbe essersi
realizzata l’impresa pittorica – può avere favorito la scelta. In ogni
caso, a fugare incertezze è la situazione del “travo del coro” con il
Crocifisso (databile agli inizi del sec. XVI) e le sagome della Madonna e San Giovanni evangelista (oli su tavola di Giovanni Pitau, 1673 in sostituzione delle precedenti effigi del tutto consunte)
ancora al loro posto fino a una cinquantina d’anni fa (p. 12/13) in
obbedienza a un sistema ovunque praticato e che deve essere fatto risalire avanti appunto l’impresa del Calderari.
Il momento rinascimentale è rappresentato dalla decorazione
del coro da parte – come detto – di Gio. Maria Zaffoni detto il
Calderari tra 1560-1563.
Il piano decorativo è congegnato secondo un modello costante
che prevede sulla facciata l’annuncio veterotestamentario del
sacrificio di Cristo; nel sottarco e nello sguincio dell’arcone profeti e sante o santi patroni (Lucia, Caterina d’Alessandria, Agata,
Barbara, Apollonia, Geremia, Isaia, Daniele); nella volta sibille,
profeti, evangelisti e dottori della Chiesa in dipendenza dalla
disponibilità di spazio; sulle pareti e sul fondo storie del/della
titolare accompagnate da quelle della vita di Cristo.
La fonte è costituita dai testi sacri, più spesso dai vangeli apo14
crifi cui è da aggiungere una lunga tradizione che tra l’altro contempla sulla fronte il Sacrificio di Caino e Abele, in seguito surrogato dall’Annunciazione. Cosa che si verifica anche a Montereale
con le storie della vita della Vergine (derivano dagli Apocrifi le
raffigurazioni dello Sposalizio e della Presentazione di Maria al
tempio) e la duplice scena dell’offerta sacrificale di Caino e Abele
al Demonio e a Dio; dettaglio questo che ha dato luogo a immaginazioni come se si trattasse di echi del dualismo cataro quando
invece esso si inscrive in un sistema ben antico.
Il grafico composto per la circostanza aiuta alla lettura dei singoli aspetti dispensando da prolissa descrizione.
Si insiste piuttosto sulla volta (pp. 16 e 17) apparentemente
confusa per indicarne invece la rispondenza a preciso paradigma quanto all’abbinamento di sibille e profeti trasmesso dalla
trattatistica (ricostruibile solo il nesso Libica-Daniele e SimeonePersica; incerti i rimanenti a ragione della caduta delle lettere) e
la distribuzione degli evangelisti per cui a Giovanni e Luca che
più hanno celebrato la Vergine Maria – di Giovanni si rammenti
la “Donna vestita di sole” dell’Apocalisse – vengono riservate le
vele di ingresso al coro e l’opposta, soprastante la Morte della
Vergine, con il Cristo apocalittico.
Un’altra osservazione riguarda il ruolo occupato dalle figure le
quali si dispongono in primo e secondo piano a segnare le tappe
della Rivelazione: dai barlumi del mondo pagano (sibille) e
dall’annuncio veterotestamentario (i profeti Davide, Mosé, Daniele e Simeone – curiosamente mitrato – annoverato in epoca
15
Gli affreschi della volta del coro (1560-1563)
16
17
medievale), al suo “adempimento” (evangelisti) e alla autentica
interpretazione da parte della Chiesa (i dottori Gregorio papa,
Girolamo, Ambrogio, Agostino).
Il programma si completava con la pala dell’Assunta (p. 4), ora
in controfacciata, ma un tempo troneggiante all’altar maggiore in
modo da proclamare l’ultimo atto della vicenda di Maria conclusasi non con la corruzione nel sepolcro, ma con l’assunzione
corporea in cielo.
Dai grafici che si allegano si ricava anche l’ordine della sequenza la quale muove da sinistra a destra e dall’alto in basso per
concludere al centro secondo uno schema detto “ad avvolgimento”, con l’anomalia dello Sposalizio della Vergine posticipato rispetto ai tempi della narrazione evangelica ed apocrifa per motivo di economia spaziale e conseguente resa estetica.
Tale distribuzione dà ragione delle diversità di direzione prospettica come dipendenti da un punto di vista non unico e fisso
bensì mobile in una veduta trascorrente: aspetto non riconosciuto dalla critica che ha rimproverato troppo facilmente al pittore
l’uso maldestro della prospettiva.
La narrazione si snoda entro un telaio architettonico emergente da un alto basamento a sporto per cui le scene si costituiscono
ad di là di un parapetto sottolineato dalla presenza di fiori, frutta e volatili di valenza simbolica.
18
Analoga inquadratura osservano i due altaroli ai lati dell’arcosanto che completano il partito decorativo, impaginati secondo
diverso ordine di visione prospettica a muovere dal centro
dell’aula.
Se la tematica mariana dipende dal titolo della chiesa ed i soggetti di facciata, sottarco e volta, più santo Stefano, trovano motivazione in programmi e prescrizioni secolari, i restanti beati
rispondono ai patrocini popolarmente loro affidati: Agata protettrice dalle malattie/dolori al seno (tessitrici, puerpere), Lucia
dal male agli occhi, Barbara dalle folgori, Rocco e Sebastiano
dalla peste e malattie infettive, Antonio abate custode del bestiame, Francesco d’Assisi difensore dai lupi, Caterina d’Alessandria “avvocata” dei mugnai, Nicola da Bari patrono invece di
naviganti e traghettatori e delle donzelle da marito (da ricordare
anche la presenza di San Cristoforo in una delle lastre tombali).
L’analisi stilistica del complesso facilmente individua le matrici
nell’arte di Gio. Antonio Pordenone e Pomponio Amalteo; fonti
che il Calderari interpreta in termini agresti con evidenziazione
di cose e persone (impegno ritrattistico, mimica espressiva, restituzione di ambienti, delineazione di strumenti musicali) e insistenza sui dettagli trattati spesso “a secco”: un mondo non eroico,
ma casalino (da “rinascimento minore”), cui contribuiscono le
tinte rossastre peraltro accentuate dalle cadute del colore.
Quanto alla suppellettile e agli effetti liturgici, si ricordano la
sostituzione del fonte battesimale (altomedievale?) con un manufatto di lapicidi medunesi nell’avanzato Cinquecento e le dotazioni registrate dai vari presuli e visitatori apostolici nel periodo 1517-1584 annoveranti in particolare una croce “bella e ornatissima”, la medesima – forse – retta dall’apostolo ai piedi della
Vergine, venuta a sostituire quella trafugata dai Turchi nel 1499,
nonché due angeli lignei dorati all’altar maggiore.
Il passaggio successivo è determinato dalla Controriforma,
percepibile attraverso le disposizioni vescovili e la poca suppellettile esistente. Un periodo che non si chiude con il tardo Cinquecento o il primo Seicento ma che – a scavalco delle epoche
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Santa Barbara
Il profeta Isaia
L’offerta
di Caino
L’offerta
di Abele
Il profeta Geremia
San Rocco e i santi
Sebastiano e Francesco d’Assisi
20
Sant’Apollonia
Sant’Agata
Il profeta Daniele
Santa Lucia
Santa Caterina
d’Alessandria
Santo Stefano e i santi
Antonio abate e Nicola da Bari
21
stilistiche – prosegue in età barocca e rococò.
In base alla normativa stabilita a fine ’500 si determina l’ordinamento dell’invaso e delle adiacenze secondo un indirizzo ben
preciso anche se attuato per gradi. Il quale anzitutto si preoccupa di incentrare l’attenzione sull’altar maggiore, luogo della celebrazione e conservazione eucaristica; da cui l’ordine di provvedere un tabernacolo in legno dorato, di completare la pala grande (si intende negli “ornamenti”) lasciata “imperfetta” per il
decesso del Calderari, escludendone la sostituzione.
Di pari passo l’impegno per gli altri sacramenti: del Battesimo,
esaltato attraverso il ricavo a sinistra dell’ingresso di una corta
cappella timpanata con curiosa immagine di mascherone (p. 22)
nella quale si inserisce il fonte cimato da una copertura lignea
piramidale (oggi rimossa) e l’introduzione di confessionali.
Mancano sussidi di natura archivistica per seguire dappresso
la trafila delle operazioni, peraltro ricostruibile sulla base delle
comuni normativa e prassi.
Da ciò la recinzione degli spazi sacri (coro, altari laterali, fonte
battesimale) mediante balaustrate dapprima lignee e in seguito
lapidee come quella del coro dovuta a maestranza medunese
(Tommaso Casella?) nel 1676, recinzione continuata all’esterno
per cimitero e sagrato con accesso sottolineato da due cippi piramidali; la riserva della sepoltura in chiesa (avanti il coro) ai soli
sacerdoti-parroci (unica eccezione nota è per la famiglia dei Mar22
23
zato come si può vedere nell'oratorio di San Floriano.
Parallelo corre il ricambio del guardaroba con paramenti nei
cinque colori (bianco, rosso, verde, viola e nero), e del vasellame
più semplice e pratico.
Una forte rivendicazione del sacro ed accentuazione del ruolo
gerarchico è quello che emerge dalla serie degli interventi. Agli
stessi criteri si informa l’azione pastorale che – sempre su pressione dall’alto – dà vita alle confraternite del Sacramento e del
Rosario (1634) le quali parrocchializzano e clericalizzano le libere forme di associazione laicale religiosa del passato.
Dal lato artistico ciò ha riflesso nelle dotazioni della lanterna
gnani proveniente dal cantone dei Grigioni); il generale repulisti
dell’aula da ogni tipo di pittura devozionale; l’erezione di apposita cappella per la nuova devozione del Rosario in modo da non
interferire con il culto maggiore; la provvista di due nuove pale
(oli su tela) per gli altari laterali (a soli trent’anni dalla prima
realizzazione ad affresco) che dal lato iconografico dobbiamo
intendere intonate a contrizione dal momento che non si ritiene
più confacente il sereno clima rinascimentale delle precedenti (il
visitatore apostolico Cesare de Nores aveva avuto a ridire anche
della pala grande): pale che dovettero trovar posto in due nuove
strutture in legno dorato con alzata a portale e architrave spez24
25
processionale (p. 34) in metallo un tempo dorato del Sacramento
con vaso e cupolino costolonati e cimati di un calice con l’ostia,
e nell’altare ligneo del Rosario (p. 25). Costituito questo da un’alzata a doppia coppia di colonne avvolte da viticci e tralci di rose
e contornate da due “orecchie” a triplice voluta, doppio frontone
spezzato (triangolare e arcuato), cimasa con ali inarcate e spezzate a mezzo delle quali si colloca un vaso acroteriale, nicchia
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centrale con il gruppo della titolare.
Fastoso il partito decorativo formato da cartelle, protomi femminili e angeliche, festoni, girali, angioletti agli spioventi e ai
plinti di coronamento. Complesso anche l’apparato iconografico
consegnato a sculture, intagli e pitture rappresentati nell’ordine
dalla Madonna col Bambino (moderna riproduzione dell’originale rubato per l’addietro) ed i santi Domenico e Caterina da
27
Siena, la sottostante rappresentazione delle Anime Purganti, gli
ovati della cornice con i misteri del Rosario entro ovati su rame.
Dal lato dello stile si tratta di un’opera del bellunese Giovanni
Battista Auregne responsabile di altri lavori nel territorio (Claut,
Cimolais, Maniago, Pasiano) contrassegnati dallo sviluppo in
termini barocchi di un apparato di marca manierista.
Pur nel cambiamento di stile, l’assetto del tempio viene rispettato dal sopravveniente rococò.
Gli interventi di maggior peso sono costituiti dagli altari lapidei che vengono a sostituire quelli lignei che più non incontrano
il nuovo gusto e che perciò al solito vengono bollati come
“cariolati”e “fatiscenti” sì da poterne giustificare la sostituzione.
L’opera principale è costituita dall’altar maggiore con le statue
dell’Assunta titolare e di San Giuseppe (pp. 36 e 37) più tabernacolo e paliotto. Rimontata con non felice soluzione nella nuova parrocchiale, è imputabile ad altaristi portogruaresi, rispettivamente Gio. Battista Bettini per la parte plastica e ad anonimo
altarista – forse Pietro Balbi o meglio Gio. Maria Savio – per il
tabernacolo con cupolino a cipolla e il dossale svasato con ovato
a soggetto eucaristico al mezzo: fragile l’uno di struttura (quasi
un ninnolo), povero l’altro di disegno.
Ad un terzo maestro che si crede di identificare in Antonio
Nardi pordenonese spettano i due altari a lato del coro già racchiudenti le pale secentesche (sparite di circolazione) e ora
smontati a accatastati dietro il coro della nuova chiesa.
Qualche altro tocco di grazia spande il rococò: nella volticina
a stucco dell’altare del Rosario con angioletti e colomba dello
Spirito Santo e nel dossale del medesimo in sostituzione di quello ligneo rimosso perché consunto, assegnabile sempre a Gio.
Maria Savio di Portogruaro di cui presenta la stessa maniera di
turgida rocaille incontrata a Morsano al Tagliamento.
Il biancore e la lucentezza derivanti da queste scelte nell’aula,
scrostata e ritinteggiata, ha modo di accrescersi con la brillantezza degli argenti di cui il tempio si va dotando: calici (p. 35),
reliquiari, croci astili, paci (p. 24), incensieri, frutto di botteghe
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29
30
31
32
veneziane; in un luccichio esaltato dai filamenti argentei e dorati dei tessuti fra i quali si annovera una pianeta con paesaggi,
architetture e rovine ed un “terzo” (pianeta e tunicelle) con essenze arboree distribuite “a isolotto”, entrambi di manifattura
veneziana della prima metà del ’700.
Tra la restante dotazione si annovera il pennello processionale
dell’Assunta (p. 28) in legno dorato – non comune segnacolo con
l’immagine della titolare – inalberato con sussulto d’orgoglio nel
momento in cui la pieve era costretta dai tempi ad abdicare ai
propri diritti e il tempio stesso andava incontro alla dismissione.
33
34
35
36
37
Offerta di Abele
I/2
San Rocco
Santo Stefano
Sebastiano e
Antonio abate
e i santi
Francesco d’Assisi
I/4
40
Offerta di Caino
I/3
e i santi
e Nicola da Bari
I/5
41
Sant’Agata
II/2
Santa Barbara
II/4
Santa Lucia
Il profeta Geremia
II/1
42
II/3
43
Il profeta Daniele
II/6
Santa Caterina
d’Alessandria
II/5
44
Il profeta Isaia
II/8
Sant’Apollonia
II/7
45
Vela della volta
con la Sibilla Libica,
il profeta Daniele,
l’evangelista
Marco, il dottore
della Chiesa
Sant’Agostino
III/2
Vela della volta
con la Sibilla Persica
il profeta Simeone,
l’evangelista Luca,
il dottore
della Chiesa
San Gregorio papa
III/1
46
Vela della volta
con Sibilla
(non identificabile),
il profeta Davide,
l’evangelista
Giovanni, il dottore
della Chiesa
San Girolamo
III/3
Vela della volta
con Sibilla
(non identificabile),
il profeta Mosè,
l’evangelista Matteo,
il dottore
della Chiesa
Sant’Ambrogio
III/4
47
La Nascita
della Vergine,
la Presentazione
di Maria al tempio,
lo Sposalizio
della Vergine,
la Nascita di Gesù
IV/1-4
La nascita
della Vergine
IV/1
48
La Presentazione
di Maria al tempio
IV/2
Angelo musicante
IV/2
49
L’Annunciazione,
la Visitazione,
la Fuga in Egitto,
Gesù al tempio
fra i dottori
IV/5-8
L’Annunciazione
IV/5
50
La visita di Maria
a Elisabetta
IV/6
La visita di Maria
a Elisabetta
IV/6
51
Lo Sposalizio
di Maria e Giuseppe
IV/3
Il Sommo Sacerdote
IV/3
Ritratto del parroco
San Giuseppe
IV/3
52
pre Stefano Decano
da Grizzo
IV/3
53
54
L’Adorazione
dei Magi
IV/4
La Fuga in Egitto
IV/7
L’Adorazione
dei Magi
IV/4
La Fuga in Egitto
IV/7
55
56
La Disputa di Gesù
con i dottori
del tempio
IV/8
Dottore
del tempio
IV/8
Dottori
del tempio
IV/8
Dottore
del tempio
IV/8
57
Cristo
dell’Apocalisse
IV/9
Angeli
IV/9
60
Cristo
dell’Apocalisse
IV/9
Angeli
IV/9
61
62
63
Note
p. 4. Pala dell’Assunta. Lasciata incompiuta (1563) da Gio. Maria Zaffoni detto
Calderari; fotografata prima del restauro (2000)
p. 7. Strati pavimentali dell’abside. Da rilievo in scala di Valentino Bertoja
(1969)
p. 9. Disegno di Giuseppe Marchetti, pubblicato in Le chiesette votive del Friuli,
Società Filologica Friulana, Udine 1971
p. 11. Parete destra della navata. Cristo del ”travo”, e sagome lignee di Maria
e Giovanni (copia di Piero Del Vesco, 2001)
pp. 26 e 27. 1968. Altari laterali prima del restauro del 1969
p. 32a. Fronte del coro
p. 64. Maggio 1976. Puntellatura della volta subito dopo il terremoto.
Indicazione bibliografica
Per una panoramica più ampia si veda P. Goi, La chiesa di Menocchio, in
L’Inquisizione romana: metodologia delle fonti e storia isituzionale, Atti del
Seminario internazionale (Montereale Valcellina, 23 e 24 settembre 1999, a cura
di A. Del Col e G. PAolin, Trieste, Montereale Valcellina, 2000, pagg. 297-325).
Intervento realizzato con il contributo dell’Unione Europea
Iniziativa comunitaria Leader II da
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con la collaborazione della
Parrocchia di S. Maria Assunta di Montereale Valcellina
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Antica Pieve di Montereale