RESEARCH&DEVELOPMENT SECOND EDITION | NOVEMBER 2012 by classimplant Serendipità e Implantologia: intervista al dottor Jack Ricci Serendipità è il termine che si usa per indicare la capacità di scoprire, accidentalmente, qualcosa che non ha nulla a che fare con ciò che si stava cercando. Il neologismo serendipity viene un coniato nel 1754 dallo scrittore inglese Horace Walpole e ha origine dalla parola “serendip”, antico nome dell’Isola di Ceylon (Sri Lanka). La storia a cui si ispirò Walpole per coniare il termine era una fiaba persiana intitolata Tre principi di Serendippo. La fiaba narra di tre principi che durante i loro viaggi alla ricerca di oro non facevano altro che scoprire nuove cose, in modo del tutto casuale, che comunque li salvano in più occasioni. Le loro scoperte sono ovviamente accidentali, ma il loro grande merito consiste nel loro notevole spirito di osservazione. Dal punto di vista filosofico, la serendipità rimanda a quella situazione in cui si trova qualcosa di importante mentre se ne sta cercando un’altra, e rappresenta uno dei capisaldi della ricerca scientifica, dove molte grandi scoperte sono state fatte proprio per serendipità. Anzi, oggi possiamo dire che il mondo della scienza è il paradiso per eccellenza della serendipity. Sono infatti moltissime le scoperte scientifiche avvenute per caso che hanno modificato la nostra vita in modo sostanziale e definitivo, portando addirittura a una vera e propria svolta nel destino dell’umanità. Una delle più importanti è di sicuro quella realizzata nel 1928 dallo scienziato scozzese AlexanIl dottor Jack Ricci der Fleming, impegnato nello studio dell’influenza. Fleming un giorno si accorse che la coltura batterica che stava osservando era stata uccisa da una muffa blu-verdognola che si era sviluppata sul vetrino: il batterio in questione era lo stafilococco, e la muffa la penicillina. Sempre in tema di malattie, un’altra (più moderna) serendipity è quella che ha portato il Viagra sugli scaffali delle farmacie. Nel 1992, in un villaggio gallese, il caso ha infatti voluto che venissero scoperti gli effetti collaterali del sildenafil: la molecola, studiata per la cura di patologie cardiovascolari, si è rivelata molto utile nel trattamento delle disfunzioni erettili. Ed è così nata la più famosa delle pasticche blu. Scrive Tommaso Maccacaro: «Ecco dunque che la ricerca è fertile quando l’intelletto ha modo di vagare e sperimentare liberamente e non è condizionato dall’ansia di ottenere rapidamente risul- tati. La ricerca ha tempi (e risultati) non sempre pianificabili e prevedibili. È difficile sapere ancor prima di iniziare, cosa si troverà e quando lo si troverà. Ma l’esperienza insegna che di risultati ce ne saranno senz’altro, che saranno sicuramente ad alto impatto, tanto per la crescita culturale quanto per la crescita tecnologica. Preoccupa dunque la possibilità di una impostazione che consideri la ricerca un’attività facilmente prevedibile, sempre e completamente programmabile, dai risultati anticipabili nei tempi e nei modi, alla stregua di un servizio, anche se importante. Si tarperebbero le ali alla creatività e si disincentiverebbe proprio quell’applicazione fantasiosa dell’intelletto che è alla base dei grandi risultati, quelli nuovi e inattesi che hanno influenzato ripetutamente il progresso dell’uomo». È proprio la serendipità, descritta così bene dal direttore dell’Istituto nazionale di Astrofisica, che nel 1965 permette al professor Per-Ingvar Bråne- mark, un ricercatore dell’Università di Göteborg (Svezia), e di arrivare alla scoperta dell’osteointegrazione. Nei primi anni ’60, Brånemark stava studiando la microcircolazione nelle tibie di coniglio utilizzando delle camere in titanio, e al momento della rimozione aveva notato che il metallo e l’osso si erano perfettamente integrati. All’inizio, non era nei programmi di Brånemark sviluppare una procedura che permettesse di integrare il titanio nell’osso, dal momento che il suo interesse era focalizzato sullo studio dei fenomeni biologici che avvengono nel midollo osseo dopo il verificarsi di una lesione. Brånemark decise di usare il titanio su indicazione di un chirurgo ortopedico, Hans Emneus di Lund (Svezia), che stava studiando diversi metalli impiegati per la protesi d’anca. Ottenuto un campione del metallo (a quel tempo non di facile reperibilità), Brånemark, iniziò a utilizzarlo per la fabbricazione delle camere, e i suoi studi sulla microcircolazione gli permisero di acquisire alcuni dati importanti sul titanio, in particolare sulle capacità del metallo di integrarsi con i tessuti viventi, senza indurre la cascata dell’infiammazione che normalmente portava al rigetto. A quel punto i principi di base necessari per il verificarsi dell’osteointegrazione erano sono stati individuati, e il passo successivo era quello di valutare il potenziale del titanio come punto di ancoraggio per applicazioni mediche, quali ad esempio il collegamento di protesi di arti. L’idea originale era quella di lavorare con interventi di chirurgia del ginocchio e dell’anca in pazienti feriti in incidenti motociclistici; tuttavia, è proprio un dentista, Gösta Larsson – che aveva avuto problemi ai denti per un lungo periodo di tempo e aveva sentito parlare della ricerca sviluppata presso l’Università di Göteborg – che decide di diventare un volontario negli studi iniziali. Aveva perso tutti i denti nell’arcata inferiore a 34 anni, presentava palatoschisi con difficoltà nell’alimentazione e con la parola, e si era ormai rassegnato a convivere con questi problemi, fino a quando non venne a conoscenza delle ricerche di Brånemark. Anche se le procedure proposte da Brånemark non erano ancora state accettate dalla comunità scientifica, il trattamento effettuato in Gösta Larsson (prima applicazione clinica orale della ricerca sulla integrazione del titanio nell’osso) ebbe successo. Gli vennero posizionati quattro impianti nella mandibola per il collegamento di una protesi fissa che gli permise di masticare, di parlare e di avere finalmente aveva una vita normale, fino alla sua morte avvenuta nel 2006. Il trattamento implantare sviluppato a fini odontoiatrici da Brånemark viene disciplinato solo il 10 ottobre 1975 dall’Agenzia nazionale della Sanità in Svezia, ma dovette attendere altri sette anni prima di essere riconosciuto da tutta la comunità scientifica mondiale. Sarà infatti solo dopo una conferenza sull’osteointegrazione, organizzata dal prof. Zarb della Clinica odontoiatrica dell’Università di Toronto, Canada, nel 1982, (che aveva invitato personalmente i più importanti ricercatori universitari nel campo odontoiatrico per presentare gli studi di Brånemark), che il “protocollo Brånemark” venne accettato come il trattamento implantare elettivo dell’edentulismo. > SECOND EDITION | R&D NOVEMBER 2012 MAGAZINE < Brånemark aveva individuato i principi che permettono l’integrazione del titanio nell’osso, ma rimaneva ancora un problema da risolvere: l’osso della mandibola e della mascella sono rivestiti dalla gengiva, e questi tessuti non si integrano con il titanio, ma si accostano alla sua superficie senza ottenere un legame; in quale modo è possibile superare questo limite e ottenere anche l’integrazione dei tessuti molli? Ci vollero circa trent’anni di attesa prima di poter rispondere a questo quesito, ma ecco che ritorna la serendipità… Nel 1993 Jack Ricci, bioingegnere della New Jersey University, stava studiando il comportamento cellulare su varie microtopografie di superfici di titanio, e fu attratto dal fatto che le cellule fibroblastiche (le stesse che formano i tessuti gengivali) avevano la capacità di crescere orientandosi preferibilmente all’interno di microsolchi di dimensioni specifiche, creati con una tecnologia di sottrazione al laser. Questa scoperta rimase nel laboratorio del dott. Ricci, finché in quella stessa università non fecero visita alcuni dentisti italiani che avevano organizzato dei corsi di Chirurgia implantare avanzata per i loro connazionali neofiti in materia. L’incontro fu occasionale, ma permise al dott. Ricci, che fino a quel punto aveva concentrato il suo interesse sulla ricerca in vitro, di venire a conoscenza dei limiti ancora presenti nell’Implantologia dentale, e a quel gruppo di dentisti italiani, di ipotizzare la possibilità di poter trasferire le scoperte di Ricci alle applicazioni cliniche implantologiche. Si iniziò a sperimentare, e proprio in Italia su alcuni pazienti volontari, l’applicazione della tecnologia laser messa a punto da Ricci sugli impianti dentali, e da quel momento, per la prima volta nella storia, si riuscì ad ottenere e a dimostrare, oltre all’integrazione dell’osso, anche quella dei tessuti gengivali. Abbiamo avuto la possibilità di incontrare il dott. Jack Ricci a Roma durante il Symposium BioHorizons di Implantologia del 18, 19 e 20 ottobre, in cui ha illustrato le tappe più significative della sua ricerca sulle microtopografie di superficie. Quando gli abbiamo chiesto di parlarcene, ci ha detto: «Quindici anni fa, quando ho iniziato a studiare il comportamento cellulare sulle varie superfici di titanio, non avrei mai pensato che le mie ricerche potessero approdare a ridefinire i concetti Superficie Laserlok® su impianto Tapered Internal Biohorizons della Implantologia dentale in tema di integrazione. Il mio campo di interesse erano le malattie osteo-articolari, non di certo l’Odontoiatria. Ma la Bioingegneria è una disciplina fortemente multidisciplinare, in cui si uniscono conoscenze di Medicina, Ingegneria, Biologia cellulare/ molecolare, Matematica, Scienze dei materiali, Chimica e altre ancora, ed è quasi impossibile ipotizzare quali possano essere le potenzialità delle applicazioni cliniche di una ricerca». Ci ha raccontato, poi, che proprio l’Italia ha rappresentato una svolta importante nella sua carriera, perché è stato in questo Paese che le sue ricerche sono approdate ad una prima sperimentazione clinica su pazienti. Per questo motivo, ci ha confessato, lui deve molto all’Italia, e in particolare alla compagnia italiana ClassImplant che, insieme all’americana Biolok, ha finanziato il progetto, e a quel gruppo di dentisti che hanno pensato di utilizzare le sue ricerche per la prima applicazione clinica. Alla domanda di parlarci del futuro del suo lavoro, ha continuato: «La sfida dell’Ingegneria tissutale è duplice: da un lato si tratta di individuare un supporto adatto che contenga le cellule e nel quale le cellule siano in grado di orientarsi per formare strutture stratificate e, dall’altro lato, si tratta di studiare e di riprodurre le condizioni che consentano alle cellule di crescere, moltiplicarsi e differenziarsi nei diversi tipi di tessuti. Viste le grandi difficoltà tecniche, il fabbisogno di ricerca nel settore dell’Ingegneria tissutale rimane notevole, ma è con un approccio interdisciplinare che la ricerca si propone di perfezionare questa nuova tecnologia ad elevato contenuto innovativo, fino a farne un metodo terapeutico riconosciuto». Gli abbiamo poi chiesto di parlarci di quale ruolo occupa e quale importanza abbia oggi il sostegno della BioHorizons nel suo lavoro: «Enormi investimenti sono necessari per produrre e commercializzare i prodotti di queste nuove tecnologie su scala industriale. I progressi compiuti nella ricerca sull’Ingegneria tissutale hanno portato alla creazione di un nuovo settore commerciale delle biotecnologie in tutto il mondo, e si stima che nei prossimi 15 anni l’Ingegneria dei tessuti e la Medicina rigenerativa in generale muoveranno un giro d’affari di circa 300 miliardi di euro. Il National Institute of Health, l’agenzia governativa americana per la ricerca biomedica, finanzia solo circa il 30% della ricerca biomedica americana, per questo nel nostro lavoro è importante il supporto di compagnie come la BioHorizons, e lo sarà sempre più nel futuro». Gli abbiamo poi chiesto di spiegarci in termini semplici cosa è cambiato nell’Implantologia dentale grazie alle sue ricerche: «Il protocollo messo a punto da Brånemark negli anni ’60 ha permesso all’Implantologia di uscire dalla sfera dell’improvvisazione e di approdare a dei risultati predicibili e prevedibili. I principi da lui elencati per ottenere l’integrazione del titanio sull’osso, rimangono sempre validi, ma ora la nostra sfida è quella di ottenere intorno agli impianti dentali le stesse condizioni istologiche presenti intorno ai denti naturali, e la superficie Laser-Lok ® del colletto impiantare, sviluppata con il supporto prima di Biolok, e poi di BioHorizons, ci ha permesso di ottenere dei risultati molto confortanti». E il futuro?: «Il futuro partirà dai presupposti che siamo riusciti oggi a creare, ma è impossibile poter fare delle previsioni… forse occorrerà un’altra volta far fede alla serendipità». La relazione del dottor Jack Ricci 2 SECOND EDITION | R&D NOVEMBER 2012 MAGAZINE Symposium BioHorizons Roma: le basi della futura implantologia orale relatori italiani, De Leonardis, Farronato, e Iorio Siciliano, hanno invece focalizzato le loro presentazioni sulla predicibilità dei risultati ottenibili nella pratica clinica quotidiana, mostrando come la sistematica implantare BioHorizons permetta attraverso le diverse soluzioni disponibili di adattarsi facilmente alla risoluzione di tutte le problematiche implantari. Il dr. Carl Misch, grazie alla sua lunghissima esperienza implantare, ha concluso la giornata di lavori offrendo indicazioni precise sul numero e sul posizionamento implantare ideale. Quali risultati si possono prevedere dal punto di vista scientifico utilizzando le superfici Laser-Lok® nei siti post-estrattivi e nelle sedi di importante atrofia ossea? Questo il tema della seconda mattinata congressuale sviluppato dal dr. Barone e dal dr. Rebaudi, che hanno sottolineato come la superficie Laser-Lok® permetta di ottenere una ricostruzione ossea biologicamente guidata proprio perché orienta selettivamente la ripopolazione cellulare del sito rigenerato. Moolenar, Ergin, e Sonia Leziy e Brahm Miller hanno invece posto l’attenzione sui principi che devono essere rispettati per ottenere un’estetica ideale, e su come la tecnologia Laser-Lok® del colletto implantare possa facilitare l’ottenimento di tali risultati. Proprio grazie alla collaborazione di questi clinici è infatti stato possibile in BioHorizons progettare una ulteriore evoluzione del colletto implantare Laser-Lok®, che ha trovato la sua realizzazione del nuovo impianto Tapered Internal Plus, nel quale la superficie laserizzata viene associata alla forma platform swithing. Nell’area espositiva ben strutturata e molto frequentata, i partecipanti hanno potuto informarsi durante le pause non solo sulle novità implantari BioHorizons, ma anche sui biomateriali di rigenerazione ossea, distribuiti in Italia insieme alla sistematica implantare BioHorizons, da ClasL’ A.D. della Classimplant, Sig. Giuseppe Italiano, presenta gli speakers sImplant di Roma. Anche la poster gallery è stata molto frequentata e tra i poster esposti, tutti inerenti le soluzioni implantari Laser-Lok® ed ai biomateriali BioHorizons, è stato premiato il lavoro presentato dall’Università di Ancona dal titolo “Clinical, microbiological and radiographic evaluaIl vincitore del Poster, Prof. Alessandro Quaranta tion of dental implants dell’Università di Ancona, ritira il premio sul palco with different collar treatments”. Sabato il Symposium si è concluso in un’atmosfera di calda familiarità con un cocktail party dove i festeggiamenti si sono protratti fino a tarda serata, accompagnati da specialità culinarie e ritmi appassionanti. La risonanza positiva dei partecipanti alle innovazioni presentate, all’ampia offerta tematica, al livello dei relatori nonché alla qualità dell’organizzazione è stata semplicemente grandiosa. Soprattutto, i congressisti sono rimasti entusiasti dal poter partecipare a quella che si può definire la seconda tappa evolutiva dell’implantologia orale, quella che dall’“osteointegrazione” ha permesso di passare alla “biointegrazione totale”. Il BioHorizons Symposium Series rientra ormai, da tempo, nel novero dei congressi più importanti di implantologia mondiale, ma, quello svoltosi a Roma, senza ombra di dubbio, rappresenta l’inizio di una nuova era dove, grazie alla scienza e alla innovazione tecnologia, si sono poste le basi per l’implantologia del futuro. Pertanto molti professionisti hanno già annunciato la loro presenza al prossimo BioHorizons Global Symposium che si svolgerà il 25, 26, e 27 aprile 2013 a Miami (Usa). «Il nostro credo è quello di voler offrire scienza e innovazione al fine di creare impianti unici con risultati funzionali ed estetici garantiti nel tempo: e la microsuperficie Laser-Lok® è un esempio di tale dedizione». Con queste parole introduttive il dr. R. Steven Boggan, presidente della BioHorizons, ha aperto i lavori del Symposium che si è svolto dal 18 al 20 ottobre al Marriot Park Hotel di Roma, dove, relatori di fama internazionale hanno illustrato a un uditorio magnetizzato di 1500 partecipanti, provenienti da più di quaranta paesi al mondo, in che modo le recentissime acquisizioni scientifiche sviluppate da BioHorizons possano essere attuate nella prassi quotidiana. Ma è stato soprattutto nella definizione del nuovo concetto di “biointegrazione totale”, attraverso il quale per la prima volta nella storia dell’implantologia orale si vede realizzata, oltre all’integrazione dell’osso, anche quella dei tessuti molli connettivali, che nel Simposio di Roma sono state poste le basi per la futura implantologia. L’innovativa superficie del colletto implantare BioHorizons, composta da una serie di microscanalature, ottenute con una tecnologia di sottrazione al laser, è la sola che permette infatti di ottenere l’attacco e l’integrazione del tessuto connettivo (con formazione di fibre simili alle fibre di Sharpey), e il mantenimento di una barriera epiteliale peri-implantare stabili nel tempo. «Ed è sulla base di queste nuove acquisizioni, scientificamente fondate e clinicamente comprovate, che in futuro si svilupperà la nuova implantologia», ha continuato il dr. Boggan, prima di dare la parola ai vari relatori. Iniziato il pomeriggio del giovedì con un Biologic Forum che comprendeva tutti gli aspetti della moderna terapia implantare improntati prevalentemente alla clinica, il Symposium BioHorizons di Roma si è dedicato nei due giorni successivi alla definizione di un protocollo di “biointegrazione totale”, che potesse essere applicato in tutte le condizioni di trattamento con il criterio della predicibilità e Il Presidente della Biohrizons, Dr. R. Steven Boggan, prevedibilità del risultato. inaugura il Simposio Il forum precongressuale del giovedì è stato incentrato sullo stato dell’arte delle terapie rigenerative su impianti e denti naturali, e i partecipanti hanno potuto concentrarsi e informarsi intensamente in relazione alle proprie esigenze professionali, guidati passo dopo passo dai massimi esperti del settore, quali i dottori Lo staff internazionale Biohorizons Michael Pikos, Josè Nart, Antonio Santos, Andres Pascual, Stefano Parma Benfenati, e Giulio Rasperini. La giornata di venerdì si è invece subito focalizzata sulla superficie Laser-Lok® nella presentazione del dr. Jack Ricci, bioingegnere della New York University, che ha illustrato alla platea i risultati di oltre quindici anni di ricerche in vitro e in vivo attraverso le quali è stato possibile ottenere le informazioni scientifiche che hanno permesso di arrivare a definire il concetto di “biointegrazione totale”. Utilizzando filmati in microscopia, che solo qualche anno fa potevano appartenere alla fantascienza, il dr. Ricci ha mostrato come le varie popolazioni cellulari sono orientativamente indotte a colonizzare le differenti microtopografie di superficie del titanio, e in particolare come la sola superficie Laser-Lok® permetta alle cellule fibroblastiche di potersi disporre linearmente lungo i solchi laserizzati e, di conseguenza, alle fibre di collagene prodotte di orientarsi in modo perpendicolare. Partendo da questi risultati i relatori che si sono succeduti hanno evidenziato come sia stato possibile trasferire nelle applicazioni cliniche le conoscenze relative a queste ricerche in vitro. Il dr. Pikos ha posto l’attenzione soprattutto sulla valenza estetica dei risultati ottenibili con le superfici Laser-Lok®, grazie alla stabilità dei tessuti molli peri-implantari che si ottiene attraverso la formazione di un sigillo perimplantare che riproduce quasi le stesse caratteristiche istologiche presenti nei tessuti parodontali. I tre 3