ANALYSIS
Rivista di cultura e politica scientifica
N. 2-3/2008
LA NASCITA DEI LABORATORI NAZIONALI DI FRASCATI
E DELLA COMUNITÀ SCIENTIFICA
di Giorgio Salvini
Andai all’Università di Cagliari per chiamata
nell’aprile 1952, e vi rimasi sette mesi. Sono stati
mesi molto piacevoli, con la amicizia cordiale di
Giuseppe Frongia e Mario Ladu, e con l’irruzione
in Cagliari di Powell e di Occhialini, che vi tennero per alcuni giorni una base per le ricerche con
voli in pallone di lastre fotografiche sui raggi
cosmici. Alla fine del 52 venni chiamato a Pisa da
Marcello Conversi, Direttore dell’Istituto di Fisica.
Ho verso Marcello una profonda gratitudine,
perché aiutò da allora ogni mia possibile difficoltà,
e mostrò in tutte le vicende scientifiche e non che
ci accomunarono (inclusa la vicenda Ippolito), una
generosa grandezza d’animo (un uomo veramente nobile, come lo ha definito Carlo Rubbia, sottolineando con quell’aggettivo il premio Nobel che
lui e Piccioni e Pancini ingiustamente non hanno
mai ricevuto). Sono ricordi di conferenze di amicizie, di colazione in campagna con le famiglie e i
bambini, di rapporti di amicizia con Stefano
Bonatti, Livio Trevisan, Ezio Tongiorgi e altri e tutti
fiduciosi del futuro del nostro Paese in risalita (2).
Rimasi a Pisa sino al luglio 1955, quando venni
chiamato alla Università di Roma. Due miei nuovi
figli, Francesco e Stefano, erano già nati in Pisa. A
Cagliari e poi a Pisa, avevo messo a punto e definita la stesura dei lavori sperimentali che avevo
svolto in America. Ero abbastanza impegnato in
questo, quando all’Istituto Nazionale di Fisica
Nucleare decisero di utilizzarmi. Questa operazione è nata nella mente di Gilberto Bernardini,
animo impetuoso, generoso, costruttivo, che
aveva trascorso molti anni in America, dal ’48 al
’54, e aveva accumulato risultati scientifici di
prima classe sui pioni. Ricordo come i suoi lavori
furono apprezzati e stimati da Enrico Fermi in
quelle indimenticabili giornate di Varenna del
1954, in cui si discussero tanti recenti risultati (3).
Bernardini tornava carico di gloria, così carico che
i fisici italiani, quando si fondò l’Istituto di Fisica
Nucleare (I N F N), decisero di affidarlo a lui.
Siamo nel 1952. L’istituto nasceva con quattro Università di base - Torino, Milano, Roma, Padova, e
poi si estese alle grandi dimensioni attuali. A Bernardini venne affidata la Presidenza; i fondi dell’Università dovevano essere divisi tra le quattro
Università, con qualche frazione ad altri. Lui partì
Mi sono laureato in fisica nel 1942, a Milano.
Ho lavorato in raggi cosmici nel 1944-1952; a Milano sino al 1949, e poi negli Stati Uniti.
Al mio ritorno in Italia, due grandi maestri
fisici, come Gilberto Bernardini ed Edoardo
Amaldi, pensarono che fossi io l’uomo adatto per
fare una nuova macchina ed un nuovo laboratorio in Italia (1).
Oggi sapete che questa fu una buona scelta, e
che le cose andarono piuttosto bene. Ma non ho
dubbi che debbo considerarmi, anche per essere
tornato vivo dalla guerra, un uomo fortunato.
Altri avrebbero fatto meglio di me; è capitato a me.
Debbo dire, ripensandoci, che in quegli anni ho
visto poche persone lavorare con intensità, cocciutaggine, come me. Credo di essere stato un po’ in
quegli anni una furia lanciata. Non posso dire di
avere portato idee veramente originali. Non parliamo di qualità scientifiche eccezionali, per carità,
ma piuttosto di volontà, curiosità, ambizione.
Adesso, a distanza di sessanta anni dai miei
inizi, vedo per quel periodo nel quale ho avuto la
fortuna di operare, la posizione enorme dei raggi
cosmici nella storia della fisica, della quale io ho
ben piccolo merito. In quegli anni i raggi cosmici
sciolsero molti misteri: scoprirono pioni e mesoni,
aprirono il quadro delle particelle di oggi inquadrate nello Standard Model, offrirono alle macchine di alta energia intervenute dopo il 1952, un quadro ormai limpido dei costituenti elementari del
nostro Universo.
Certo, sentii il dolore del commiato, la notte
della partenza, quando Costanza ed io salutammo
Princeton nel 1952 come degli esuli. Non sapevo
che ci sarei tornato presto, anche in relazione alla
costruzione dell’Elettrosincrotrone italiano.
Lasciavamo l’America con qualche risultato e
dei programmi ancora aperti, e la fiducia di futuri,
continui contatti scientifici.
Termina nel 1952 la mia attività di ricerca sui
raggi cosmici.
Verso un nuovo laboratorio nazionale
Avevo ormai una figlia, Paola, nata nel 1952,
ma la sede futura della mia famiglia era molto
incerta.
G. Salvini: La nascita dei LNF
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ne saggia e dissi che, secondo me, avevano deciso
bene. Siamo nel mese di gennaio del 1953 (1).
Mi consultai con mia moglie Costanza, come
sempre, e decidemmo che tutto sommato era una
soluzione positiva per me, e forse anche per il
paese. Non sapevamo dove saremmo andati, non
era ancora stata scelta la sede, ma lei disse che era
pronta a seguirmi con i bambini e che valeva la
pena. Avevamo già tre figli: Paola, Francesco e Stefano, sani e sereni. Lasciatemi sottolineare la lucidità e l’abnegazione di Costanza in tutti questi
anni. Pensai che dovevo mettermi a studiare. La
mia tesi di laurea era stata sul betatrone, e quindi
avevo già una certa conoscenza; d’altra parte di
fisica nucleare e di laboratori io me ne intendevo.
Decisi di approfondire le mie conoscenze sugli
acceleratori e di partire.
subito, alla Bernardini, dicendo “Questa è l’occasione unica perché l’Italia possa avere un Laboratorio Nazionale, analogamente ad altri Paesi, come
la Francia e gli Stati Uniti. Un Laboratorio nazionale che deve essere centrato intorno ad una macchina acceleratrice”.
Era il momento in cui la fisica nuova nasceva
dalle macchine acceleratrici per elettroni, protoni
etc. Questo fu il punto di vista che Gilberto difese
con energia. Questo suo punto venne accettato.
Quale macchina, dove, erano cose tutte da decidere. Bernardini diceva: “non è detto che debba essere Roma“. Sembrava comunque ai più che dovesse essere Roma”.
Viene spontaneo domandarsi: «Ma Amaldi?».
Amaldi era, comunque, capace di grande generosità. Era chiaro che una posizione come quella di
Bernardini poteva scardinare un po’ la posizione
romana, perché l’Università di Roma era il centro
di tutta la fisica, a cominciare dall’immensa tradizione di Fermi di via Panisperna. Debbo dire che
era stato proprio Amaldi il primo a proporre che
fosse Gilberto Bernardini il presidente dell’INFN.
La questione dei rapporti fra questi due grandi è
di grande interesse, perché credo che raramente ci
siano stati, tra personalità così diverse, accordi e
capacità di intesa come ce ne furono tra Amaldi e
Bernardini. Sta di fatto che l’INFN decise di fare la
macchina e a questo punto Gilberto Bernardini,
consultatosi con Amaldi e con altri, pensò a Giorgio Salvini, appena tornato dall’America e non
ancora inquadrato nel lavoro, e con alcuni meriti
scientifici che potevano contentarlo per un po’,
come all’uomo adatto per far nascere il laboratorio. Credo fossero tutti d’accordo sulla mia capacità di fare, energie ecc., ma Bernardini portò un
altro elemento, che credo persuase molti: «Guardate che quest’uomo è stubborn». Se andate a
vedere nel vocabolario, stubborn ha tanti significati, perfino benevoli. Insomma, con la storia che
io ero un individuo stubborn, ma pur bravo, Bernardini vinse la partita e io divenni all’inizio del
1953 il Direttore del futuro laboratorio. Mi ricordo
quando vennero a trovarmi a Pisa: Gilberto Bernardini ed Ettore Pancini, uno dei tre dell’ “effetto
Conversi-Pancini-Piccioni”.
Anche Pancini era convinto che io fossi l’uomo
adatto, si sentiva un po’ troppo pigro per esserlo
lui, anche se sono convinto che ne avrebbe avuto
la piena capacità, e d’altra parte era già in gloria
per quel famoso esperimento. Vennero praticamente a nominarmi. Io pensai che era una decisio-
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Cominciano i lavori: l’incertezza della sede
Gilberto Bernardini ed io decidemmo di cominciare subito i lavori di studio e di formazione a
Pisa; poi saremmo andati alla sede definitiva. Ma
quale sarebbe stata la sede definitiva non lo sapevamo. C’era il sospetto che potesse essere Pisa, San
Rossore; ma qualcuno diceva: «No, vedrete che
sarà Milano»; altri, invece, dicevano: “No vedrete
che, poi, alla fine, quei furbacchioni di Roma...”. Io
credo che una delle ragioni per cui si è arrivati
senza dissensi alla decisione finale, quella di Frascati, è proprio per la capacità di collaborazione di
Gilberto Bernardini e di Edoardo Amaldi, che avevano alle spalle anche l’incoraggiamento di Enrico
Fermi.
Una volta presa la decisione di cominciare a
lavorare nell’Istituto di Fisica di Pisa, iniziò la caccia alle persone e si cominciò a discutere. La cosa
divenne precisa quando i piani di Bernardini vennero approvati dall’INFN e, agli inizi del 1953, si
decise che si sarebbe costruito un elettrosincrotrone da 500/600 MeV.
Bernardini ed io riuscimmo gradualmente a
portarlo a 1000/1100 MeV: tenevamo larghi tutti i
parametri e infatti alla fine, una volta completata,
fu una macchina da 1100 MeV (2).
Ufficialmente, l’operazione sincrotrone nacque
il 10 febbraio 1953. Si decise di formare uno stato
maggiore di fisici esperti e di arruolare giovani
fisici e ingegneri, di massima neo laureati, con
poca preoccupazione per la loro attività precedente o per la loro competenza specifica in elettrosincrotroni. Quello fu un mio piccolo merito: io ho
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sempre creduto nei primi della classe. Non i primi
della classe nei corsi banali, ma nei corsi specifici:
laurea in Fisica, in Ingegneria, ecc. Andai a cercarmi i collaboratori, di università in università, che
fossero i primi della classe. Non mi importava
niente che sapessero o no come funzionava un
elettrosincrotrone, perché in un mese lo potevano
imparare; non mi importava il carattere o l’ideologia. Mi importava che fossero bravi, e credo che
questa sia stata una richiesta vincente.
Questa dichiarazione programmatica mi porta
a ripensare ai tempi del CISE (Centro Italiano di
Studi e di Esperienze) [(1) pag. 376-381]. Esso fu
fondato da Carlo Salvetti, Giorgio Salvini, Mario
Silvestri, e la sua direzione venne affidata al Professor Giuseppe Bolla dell’Università di Milano . Il
fine è stato quello di realizzare in Italia, col concorso delle industrie italiane, un impianto nucleare simile alla Pila di Fermi, e riavviare così nel
nostro paese la fisica nucleare di Fermi e dei ragazzi di Via Panisperna negli anni trenta. Noi eravamo giovani; avevamo 26, 28 anni, ma ci era stata
data piena fiducia da parte di persone che ci consideravano brillanti.
La fiducia è come una catena e in questo senso
si rifletteva nella mia scelta. Io credo che quella di
scegliere e puntare ai giovani sia una condizione
essenziale. Non per tutto, non offendiamo gli
anziani, tra poco dirò quali fior di anziani abbiamo
messo dentro. Ma a diciotto anni si è adulti, a ventiquattro si è maturi per qualunque impresa, e a
trenta figuriamoci. E io, quando ho cominciato a
dirigere il sincrotrone, ero già un vecchione, avevo
trentadue anni!
Naturalmente non mancò a me e a Gilberto il
criterio di avere una struttura base di esperti
anziani: il prof. Mario Ageno aveva cinque anni
più di me e accettò, esperto in macchine nucleari
qual era, di occuparsi dell’iniettore per il sincrotrone; il prof. Enrico Persico, del 1900, con diciotto anni più di me, accettò di dirigere il lavoro teorico, e fu in questo formidabile. Ma non accettò
responsabilità di direzione. Tutti mi dicevano:
«Benissimo, ti lasciamo tutto; ma tu lasciaci in
pace a lavorare in questo o quel settore». In seguito si unì a noi il prof. Ruggero Querzoli, allievo di
Ageno, persona più giovane di me, un acquisto
importante.
Tornò con deciso entusiasmo dall’India il prof.
Italo Federico Quercia, che adesso purtroppo non
c’è più. È stato un personaggio enorme nel quadro
del sincrotrone, con una grande personalità, con
una capacità di scrivere, pensare, di vedere le cose
G. Salvini: La nascita dei LNF
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sotto una luce anche diversa. È diventato direttore
dell’elettrosincrotrone dopo di me, nel 1960. Lo
abbiamo amato e rispettato. Era un pittore raffinato, basta guardare quel quadro nella mia stanza.
Ma era anche un fisico colto e ironico, di grande,
originale sapienza. Il prof. Guido Tagliaferri accettò di venire per un certo periodo, poi gli impegni a
Milano lo distaccarono.
Venne con noi per un certo periodo, e fu una
valida guida, il prof. Matthew Sands, americano,
che sapeva di macchine nucleari da teorico e da
sperimentale, e aveva realizzato l’elettrosincrotrone di California. Questo portò molto vantaggio
alla nostra iniziativa. Noi non esitavamo a servirci
di tutti: da Matthew Sands, Albert Silverman,
Boyce McDaniel a Wolfgang Panofsky, a Enrico
Fermi quando vennero a trovarci. Ma debbo dire
che ci fu, e la sentimmo da tutti questi amici, una
simpatia per la nostra iniziativa e per questo laboratorio che voleva aiutare la nostra ricostruzione
scientifica.
La scelta dei giovani
Per quanto riguarda la squadra di giovani scelti nel 1953 debbo dire che ,con il consiglio di Enrico Persico, lavorarono subito e bene i dottori Carlo
Bernardini (che non era parente di Gilberto) e
Angelo Turrin. Vennero anche Fernando Amman,
Gianfranco Corazza, Giancarlo Sacerdoti, Giorgio
Ghigo, Giordano Diambrini - Palazzi. Per quanto
riguarda l’elettronica venne assunto il neolaureato
ingegnere Mario Puglisi, sotto la guida dell’anziano esperto prof. Nello Carrara, uno dei fondatori
dell’elettronica italiana, e del prof. Quercia (2).
Quindi i migliori della ricerca applicata e fondamentale in Italia non vennero tutti a lavorare
direttamente a Pisa, però li avevamo tutti a disposizione.
Il dr. Icilio Agostini, un giovane laureato in lettere, ebbe l’incarico di occuparsi dell’amministrazione, del coordinamento di tutto. Anche questa fu
una scelta eccellente, tanto è vero che divenne poi
Direttore amministrativo dell’INFN. Queste mie
indicazioni, relative alla formazione di Pisa e poi
di Frascati, sono solo un appunto. La storia della
nostra evoluzione e passione culturale è ben
descritta nell’articolo di Carlo Bernardini allegato
a questa serie: “Nascita di un moderno staff scientifico“. Un resoconto puntuale si trova nel volume
dedicato al sincrotrone italiano già citato (2), pubblicato nel 1962 sul «Nuovo Cimento», con la bella
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prefazione di Gilberto Bernardini: “L’elettrosincrotrone e i Laboratori di Frascati” (Supplemento del
«Nuovo Cimento», Nicola Zanichelli Editore,
Bologna, 1962). I giovani che ho ricordato in quel
libro sono tutti in cattedra, hanno fatto una splendida carriera, meno quelli che hanno lasciato troppo presto la vita, da tutti rimpianti. Insomma,
debbo dire che il criterio di prendere i migliori
della classe è stato felice. Anche perché tra primi
della classe poi ci si becca, si discute. Se si prendono dei galli di alta classe e li si sanno coltivare, ispirare, amichevolmente contenere, nasce una competizione positiva, amichevole e negli anni indimenticabile.
Dal 20 luglio al 10 settembre al 1953, Gilberto
Bernardini e Giorgio Salvini compirono un viaggio negli Stati Uniti per visitare le macchine acceleratrici e prendere delle decisioni. Fu un viaggio
notevole; vedemmo le varie iniziative americane e
trovammo simpatia e attenzione ovunque, in particolare dal prof. Wolfgang Panofsky e dal prof.
Robert Wilson. Un viaggio incredibile. Ricordo che
avevamo perso un autobus di linea - perché dovevamo limitare anche le spese - e che poi eravamo
costretti ad andare a piedi con delle grosse valigie.
Facemmo un bel tratto, sotto il sole, e ogni tanto ci
fermavamo e Gilberto diceva: «Però Giorgio, io
penso che per l’iniettore potremmo forse fare
così...»; allora all’ombra parlavamo un po’ e poi
ripigliavamo il cammino. Io avevo trentatre anni;
ma lui, del 1905, ne aveva quarantotto, con un
vigore e uno spirito generoso e ispiratore. Un gran
Gilberto, veramente (2).
te denso l’entusiasmo, la voglia, ecc., che non potevamo permetterci errori o rinvii. Debbo dire che fu
una scelta felice. Infatti in quello stesso anno anche
all’Università di Cornell avevano deciso di
costruire un sincrotrone, considerando che avevano una lunga esperienza in quel tipo di macchine,
ma avevano scelto il focheggiamento forte e, alla
fine, ci misero più tempo. Arrivammo prima noi di
un anno o due, anche perché fecero alcuni errori.
Tra l’altro, tanto per ricordare la cosa, fu Italo
Federico Quercia che, riguardando i conti per corrispondenza, disse: «Attenzione, a Cornell stanno
sbagliando con quel magnete». Contemporaneamente io ebbi la notizia - ero in viaggio in America con Gilberto - che effettivamente Cornell aveva
sbagliato. Questo lo dico per sottolineare che razza
di collaboratori avevamo nel nostro gruppo.
La scelta della sede: Frascati
Nel 1954 si decise anche la sede del sincrotrone. Offerte erano venute da Roma, da Milano e da
altri, e le discussioni si conclusero nell’aprile di
quell’anno, con la decisione di fare sorgere il
Laboratorio del sincrotrone su un terreno dell’amministrazione comunale di Frascati, a venticinque
chilometri da Roma. Un terreno incolto, a vegetazione bassa, di un verde scuro, ondulato, senz’acqua, con una sola strada carrareccia, bellissimo
nei tramonti, molto più di adesso che è civilizzato
con strade e acqua. Io non avrei mai creduto,
vedendo quel terreno nel 1954, che nel 1958
avremmo avuto lì il primo fascio di elettroni. L’aver trasformato quel terreno coltivato a pascolo o
a barbatelle in un Laboratorio nazionale con acceleratore funzionante, in quattro anni, è stato effettivamente un notevole successo. Devo dire che
avevamo preparato tutto, eravamo dei pignoli
incredibili, non ci mancava che fare il progetto
delle maniglie delle porte; e poiché tutto era già in
nostra mano, una volta decisa la sede siamo
piombati come uno sciame di api che ha trovato la
sede, e l’abbiamo trasformato.
Nel 1955 ero stato chiamato da Pisa all’Università di Roma, su iniziativa di Amaldi che generosamente raddoppiò per me la sua cattedra di Fisica generale. Nel maggio del 1955 ci trasferimmo
all’Università di Roma, la sede più vicina a Frascati, in attesa del completamento degli edifici. Intanto si lavorava alla loro preparazione. Da ricordare
i meriti dell’ing. Giovanni Scaccia Scarafoni dell’Istituto di Sanità che, gratuitamente, fece il proget-
Le decisioni finali
Appena tornati si lavorò alle decisioni finali. Ci
furono dei dubbi tra il fare un acceleratore lineare
o un elettrosincrotrone, e Pief Panofsky suggeriva
un acceleratore lineare. Ma intanto eravamo
diventati più consapevoli sulle possibilità italiane
dell’industria, sicché la scelta, nel 1953, fu per il
sincrotrone. Poi, nel 1954, si decise per il focheggiamento debole.
Fu una scelta importantissima. In realtà era
nata nel 1952-‘53 l’idea vincente del focheggiamento forte, e alcuni dei nostri erano favorevoli a
che noi saltassimo sulla idea nuova. Io avevo deciso di essere conservatore. Normalmente non lo
sono, ma in quel caso Gilberto ed io decidemmo di
esserlo, perché era importante che il sincrotrone
funzionasse presto e in tempo. Perché era talmen-
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to. Era un’epoca di grande generosità e slancio.
Nel 1956 non eravamo ancora pronti per trasferirci, gli edifici non erano completati, però si decise
di installare a Frascati il liquefattore di elio e di
idrogeno. Era un’impresa notevole, perché bisognava andare quasi allo zero assoluto. Quello è
stato il primo impianto funzionante dei laboratori
di Frascati. Ed è curioso ricordare che l’edificio,
con il liquefattore che già faceva esperienze, non
aveva ancora una strada. Ci si muoveva in mezzo
al fango, si facevano cose incredibili, però uscirono
dei lavori scientifici. Il merito fu del mio amico,
fisico ed ingegnere di prima classe, Giorgio Careri,
il quale accettò di lavorare in quelle condizioni e
fece ricerche fondamentali. Oggi, anziano, è Socio
Nazionale della Accademia dei Lincei.
Diciamo che l’anno 1957 si chiuse con le
seguenti realizzazioni o attività in corso (2):
• magnete del sincrotrone montato; in corso gli
allineamenti magnetici fini, le misure del
campo. E qui dovrei ricordare il nome di molti,
ma in particolare di Giordano Diambrini Palazzi, che fece un lavoro di analisi del campo
magnetico che è rimasto un classico in tutto il
mondo;
• alimentazione del magnete montata e in fase
ancora di messa a punto. Va ricordato che avevamo anche degli ingegneri, i soliti primi della
classe, che hanno fatto le cose molto bene,
avvalendosi dei consigli del famoso ing. G.
Someda dell’Università di Padova (F. Amman,
G. Sacerdoti, P. Toschi);
• ottica di iniezione, iniettore Cockcroft e Walton
già arrivato e in fase di messa a punto dall’Istituto di Sanità (M. Ageno, U. Amaldi, R. Querzoli, G. Cortellessa, A. Reale);
• costruzione quasi ultimata della camera a
vuoto per il sincrotrone (G. Corazza, R. Habel,
S. Sircana);
• realizzata la cavità acceleratrice a frequenza
fissa, un merito di Italo Federico Quercia, di
Alessandro Alberigi, di Mario Puglisi, ed altri;
• in avanzato studio gli apparecchi per i circuiti
di controllo di insieme del sincrotrone.
Era intanto pronto in una forma veramente
matura - chi l’avrebbe detto, che non avevamo mai
fatto un sincrotrone? - lo studio dell’iniezione del
fascio per far funzionare gli elettroni dentro al sincrotrone. E qui dobbiamo ricordare il nostro grande vecchio, Enrico Persico, e la scuola che egli
aveva fondato, e tra questi ricordiamo, tra i giovani, Carlo Bernardini e Angelo Turrin, un altro teorico di classe che non è più tra noi. Carlo Bernar-
G. Salvini: La nascita dei LNF
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dini, che fu uno dei leoni, lo ritroveremo quando si
farà AdA insieme a Bruno Touschek. Nel 1958 il
sincrotrone cominciò a funzionare.
Varenna 1954, Enrico Persico ed i consigli di
Enrico Fermi
Vorrei sottolineare cosa significò avere un personaggio come Enrico Persico in questa impresa.
Enrico Persico ha fatto un lavoro di alta classe
come fisico teorico, anche nel campo dell’astrofisica. Nel nostro caso si mise, prima pazientemente, poi genialmente a studiare l’iniezione, trovò
delle soluzioni originali; lui e il suo gruppo fecero
una teoria del sincrotrone. Mi ricordo l’interesse
con il quale Enrico Fermi - l’altro grande Enrico ascoltò il «vecchio Enrico» (Fermi chiamava così
Persico) e la teoria del sincrotrone, cioè la teoria di
questa iniezione, a Varenna, quando Persico la
presentò (3).
In quell’occasione emerse anche il tocco di
Enrico Fermi al quale siamo profondamente grati,
come ho ricordato in varie occasioni. Fermi disse,
infatti, a Persico: «Ma se io prendo in considerazione tutti i dati che tu mi hai dato, debbo concludere che in un elettrosincrotrone una cosa importantissima è avere una forte energia di iniezione.
L’avete abbastanza alta l’energia di iniezione?» Io
e Persico dicemmo: ”Si, l’abbiamo abbastanza alta;
ma se fosse più alta sarebbe ancora meglio”. Allora l’energia era 1 MeV. Di questo ci ricordammo,
un anno dopo, quando venne sul mercato l’occasione di avere un acceleratore di 2 MeV e c’erano
d’altra parte degli inevitabili ritardi nella preparazione dell’acceleratore di 1 MeV della Sanità.
Quindi ci consultammo - Bernardini, Amaldi,
Ippolito, io, e dopo due notti di discussioni concludemmo che conveniva senz’altro usare l’iniettore di massima energia. Ci ricordammo tutti di
quegli argomenti di Enrico Fermi, che non c’era
ormai più. Enrico Fermi ha fatto questa osservazione nel ‘54, a Varenna. Fu il penultimo seminario
che ascoltò nella sua vita. L’ultimo fu il mio, quando raccontai tutta la nostra macchina nell’insieme,
ed intervenne col suo giudizio.
Debbo e voglio ancora esprimere a Enrico Persico la nostra gratitudine. Egli resta nel nostro cielo
della fisica come un filosofo ed un fisico ispiratore.
Il suo libro sui fondamenti della fisica atomica è
stato una guida della mia generazione e di quelle
seguenti. Una vita grande ed insieme semplice e
modesta.
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Nella prima metà del ‘57 si fece più intenso il
lavoro di sistemazione del complesso edilizio, in
modo da permettere al più presto il trasferimento
dei laboratori, delle officine, degli uffici. Nello stesso periodo venne completata la prima cavità a
radiofrequenza con la sua alimentazione, una
parte che venne messa tranquillamente in attesa
del resto in un corridoio dell’Istituto di Roma. Eravamo sparsi, ma avevamo tanti pezzi pronti. Ci
mancava la «casa». Il trasferimento nella sede finale di Frascati avvenne nel luglio del 1957. Si era
partiti da Pisa nel 1955 con un autocarro e rimorchio, ma questa volta occorsero circa dieci viaggi
con apparecchi, modelli e con parti già costruite.
Fu in questa data che la sezione acceleratore si trasformò nei Laboratori Nazionali del Sincrotrone
dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. I successivi blocchi del magnete, già misurati a Genova per
le proprietà magnetiche e di geometria arrivarono
gradualmente a Frascati, anche se attraverso la
solita carrareccia, che non era ancora stata sostituita dalla nuova strada in costruzione. Alla fine del
‘57 il magnete con le sue bobine era montato a Frascati, dentro un edificio praticamente terminato.
Finalmente ottenemmo l’acqua di raffreddamento, che arrivava attraverso un complesso meccanismo di acquedotti. Qui dovrei ricordare, per
essere storicamente vero, anche la difficoltà. Non
dico le liti, ma gli scontri, fra me e Ippolito, fra
Ippolito e G. Bernardini e Amaldi, fra me e Giovanni Scaccia Scarafoni. In realtà ognuno di noi
sapeva che si faceva tutto per il meglio e c’era tra
noi un profondo rispetto. Forse questa era una
caratteristica degli anni in cui abbiamo vissuto,
quella di sentire un fine nelle cose, che era più
importante di ciascuno di noi e dei punti di vista
di ognuno. Non parlo di solo altruismo, ma parlo
del fatto che il paese sembrava, nella sua realtà
scientifica, sociale, ecc., immanente sopra di noi.
Sono grato ai miei collaboratori, che nel loro
campo sapevano molto più di me, e dispensavano
a tutti senza alterigia il loro sapere.
Eravamo in un momento nel quale era spontaneo pensare che il punto di riferimento fondamentale della nostra curiosità scientifica dovesse essere un acceleratore di particelle di grande energia,
con un programma pronto di ricerca scientifica.
Nello stesso senso si orientarono, costruendo un
grosso acceleratore, i francesi, gli inglesi, e dopo di
noi i tedeschi. Quindi in quell’epoca il punto di
riferimento era abbastanza naturale: un oggetto
grande, che avrebbe permesso - con i suoi fasci di
elettroni, protoni, raggi gamma - una pluralità di
Questo mio ricordo di Enrico Fermi risale a
pochi giorni prima che si scoprisse che era ormai
condannato da un incurabile male. Ricordo ancora molto nitidamente un pomeriggio, in cui Fermi
passeggiava con sua moglie Laura; Ginestra
Amaldi che era arrivata ed era insieme a Edoardo.
Doveva esserci anche Nella, la moglie di Gilberto,
perché ricordo Gilberto che arrivava dopo aver
fatto la traversata del lago insieme alla figlia Ludovica. Anch’io ero con mia moglie Costanza. In
quell’incontro si parlava di fisica, ma in una forma
amichevole, ed io ascoltavo dai miei maggiori con
molto interesse.
Fu allora che Gilberto Bernardini disse a Fermi
che si era ormai scelta Frascati, come sede del sincrotrone, che Pisa aveva messo a disposizione dei
fondi, e che i fondi di Pisa non sarebbero stati usati.
Gilberto passeggiava con Enrico Fermi; ricordo
quasi testualmente le parole del dialogo. Gilberto:
«Enrico, cosa suggerisci per quei fondi di Pisa?»
Enrico aveva camminato per un po’, poi si era fermato dicendo: «Fate un calcolatore elettronico!» E
Gilberto aveva esclamato: «Ah, sì, che bella idea, si
può fare un calcolatore elettronico, questo è un
consiglio che vale tant’oro quanto pesa!». «Lo
credo», disse calmo Enrico Fermi, «Non pesa
nulla!». Tutti e due si fecero una risata. La conseguenza fu che il consiglio venne raccolto e Conversi indirizzò i fondi di Pisa su un calcolatore elettronico, che dopo pochi anni andò in funzione e fece
nascere la scuola dei calcolatori di Pisa (3).
Quindi quell’incontro di Varenna, degli ultimi
giorni di Fermi, decise la storia del sincrotrone, e
decise in buona parte anche la storia di Pisa. A
pranzo Persico mi disse che Enrico non stava bene:
non mangiava più. Dopo due giorni Fermi andò a
Como, perché aveva dei disturbi allo stomaco. Il
giovane medico di Como fu terrorizzato, concluse
che c’era un tumore gastrico avanzato. Allora
immediatamente vennero chiamati i luminari.
Partì subito per l’America. Morì a novembre di
quel 1954.
Debbo dire che aveva fatto un’analisi completa
della sua salute, come fanno gli americani, prima
di partire per l’Italia. Era venuto a Varenna in giugno, mi pare, e i medici avevano detto che era perfettamente a posto. Quindi era una forma galoppante; forse, ma non lo so, con lontane origini neutroniche o nucleari.
Ricordo dei miei magnifici collaboratori
Adesso torno di nuovo al 1957, per chiarire a
che punto era il progetto di Frascati (2).
G. Salvini: La nascita dei LNF
N. 2-3/2008
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ricerche tutte orientate a un fine, che era quello di
capire la struttura intima della materia e in particolare la natura delle particelle elementari. Oggi
non c’è più quella filosofia, quel riferirsi a un
punto prospettico fondamentale, la macchina, che
deve servire quale strumento unico oltre che
essenziale per capire le cose. La ricerca ha fatto
molto cammino ed è diventata più profonda, e va
in una varietà di direzioni, che in un certo senso a
noi presuntuosi sembravano secondarie.
Ecco, quindi, che presto nacquero direzioni di
ricerca e interessi di natura non più così unicentrica. Come nel caso della fisica dello stato solido,
della conoscenza della materia. Ricordiamoci che
in quegli anni 1950-60 si sono capite, dopo quarant’anni di fatica, la superconduttività e la natura
intima dei rapporti tra elettroni e nuclei in certi
materiali. Ricordiamo anche i progressi immensi in
quegli anni dell’astrofisica, dello studio del sole e
delle stelle. Oggi la fisica ci appare in una varietà di
argomenti, di punti di vista, di ricerche, molto più
numerosi rispetto ad allora. La nostra curiosità si è
differenziata e in questo siamo diversi da allora.
L’epoca di cui parlo è l’ultimo periodo delle avventure umane in cui c’è stata quasi unicità di approccio. Una unicità analoga l’hanno forse conosciuta
gli astronomi, quando hanno fatto il famoso telescopio di Monte Palomar di 5 metri di diametro,
che era il loro punto di riferimento (1947).
Credo sia giusto sottolineare anche che lo sviluppo dei Laboratori di Frascati fu, all’epoca,
anche un esempio della possibilità di creare un’impresa di dimensioni relativamente grandi al di
fuori degli ambiti militari. Voglio dire che negli
Stati Uniti tutta una serie di finanziamenti alle
grandi strutture discesero direttamente dal post Manhattan, tanto che nel 1946 Fermi aveva scritto
ad Amaldi e Wick: «Sembra che avremo mezzi
piuttosto illimitati e abbiamo cominciato a usarli
ordinando un betatrone da 100 MeV».
Non c’è dubbio che in America l’interesse per il
nucleare, e anche per le macchine e la ricerca scientifica ad esso collegate, è nato da un momento
militare. Ma in Italia la commistione militare non
c’è mai stata. Il CISE, di cui abbiamo già parlato,
nacque con l’idea di fare un reattore nucleare, ma
soprattutto con l’idea chiara di cercare nuove
forme di energia e senza nessuna, insisto nel dire
nessuna, connessione con problemi militari. Per
quanto riguarda il sincrotrone è ovvio che quel
programma, quel progetto, quelle idee erano nettamente al di fuori di ogni prospettiva militare.
Che fossimo in un programma di pace non deve
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meravigliare perché le due persone di maggiore
responsabilità in quell’epoca - Amaldi e Bernardini - erano tutte e due nettamente contrarie a ogni
commistione militare, ed erano tutte e due convinte che quelle ricerche dovessero avere a che fare,
semmai, con una nuova filosofia: la filosofia della
scienza, la filosofia della curiosità umana, quella
che è nata particolarmente in questo secolo.
Il sincrotrone entra in funzione: il fascio più
intenso del mondo
Torniamo al momento in cui il sincrotrone
entrò davvero in funzione. La sintesi tra le parti
iniziò nel 1958, ogni pezzo arrivò all’edificio del
sincrotrone, venne montato, si vide che andava
bene e poi si preparò gradualmente la ricerca del
fascio. Nottate, giornate, entusiasmi. I primi giri, la
prima accelerazione, l’accelerazione finale. Non
c’era ormai più tempo per pentimenti e confronti.
Debbo dire che pentimenti non ce ne furono. Si
pensava a far funzionare le cose, dimenticando
rapidamente i progetti alternativi. Ormai la sfida
era quella. Si era deciso fin dall’inizio di misurare
il campo del magnete molto bene, in eccitazione
continua e in eccitazione alternata. Si mantenne
fede a tale programma e questa insistenza fu un
nostro merito. Non entro in particolari. Si preparò,
con l’opera di Giorgio Cortellessa e di Ugo Amaldi dell’Istituto di Sanità e con la direzione del professor Ageno, la realizzazione del delicato sistema
ottico di iniezione e di quella parte fondamentale,
di estremo impegno, che è il deflettore, con la sua
alimentazione, i suoi telecomandi meccanici. Era
anche avanzata la messa a punto dell’iniettore
Cockcroft-Walton, quello preparato alla Sanità. Ma
si andava delineando quell’alternativa nata anche
dall’osservazione di Fermi di cui ho parlato: innalzare l’energia di iniezione. Decidemmo di rivolgerci a un iniettore di Van de Graaf ormai disponibile sul mercato, dedicando il Cockcroft-Walton ad
altre ricerche a bassa energia per le quali era anche
particolarmente indicato. Si decise, quindi, di
impiegare il Cockcroft-Walton per le prime ricerche del fascio, mentre si attendeva il Van de Graaf
di 3 MeV che veniva dalla compagnia americana
che l’aveva costruito.
La ciambella e le scatole di vuoto (una originale soluzione in araldite, guidata da Gianfranco
Corazza) vennero montate nell’estate del ‘58 e,
nello stesso periodo, si mise a punto l’alimentazione del magnete. Il Cockcroft-Walton fu allineato
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con l’ottica di iniezione della Sanità. Si chiuse, si
fece il vuoto e alla fine di settembre del 1958 si iniziò, ad una energia di circa 1200 KeV, una prima
ricerca del fascio. Si fecero i primi giri, un quadrante, due, tre quadranti, un giro, molti giri, un
«gas di giri», come diceva qualcuno. Non si voleva di più a quelle energie di iniezione, e non si
poteva pretendere di andare più in fretta. Il 15
ottobre si chiusero le prime prove e si passò all’insieme dei lavori necessari per l’insediamento dell’iniettore Van de Graaf. L’oggetto arrivò nel
novembre e subito iniziarono le modifiche per
ottenerne il funzionamento. Il primo dicembre del
‘58 si iniziò la ricerca del fascio con la sola prima
cavità acceleratrice inserita. Superata rapidamente
la fase di puntamento dell’iniettore e di passaggio,
si riuscì in pochi giorni a far compiere agli elettroni 20 giri. A quel punto si accese la prima cavità di
radiofrequenza e si raggiunsero i primi 47 MeV di
energia massima e successivamente, il 19 dicembre, forzando la tensione e il tempo di eccitazione,
i 300 MeV. Le condizioni generali di tutto l’impianto sembravano soddisfacenti.
Non ci restava ormai che inserire la seconda
cavità risonante, mettere a punto la relativa catena
ed eccitare anche questa. Ma ormai eravamo sicuri che presto saremmo arrivati all’obiettivo di 1000
MeV. La seconda cavità venne messa in funzione il
6 febbraio; il 9 febbraio si partì per provare il funzionamento definitivo. Quella sera stessa si arrivò
ad accelerare gli elettroni a 1000 MeV e ad una
intensità già elevata. Ricordo che Alberigi Quaranta, Fabiani, Puglisi, Quercia arrivarono con passo
pesante cadenzato, semiserio, alla macchina, salutarono militarmente, schiacciarono un bottone, e
zac! Ci furono i mille MeV.
Si andò a cena tutti insieme a Frascati. Fu una
cena molto piacevole. In realtà eravamo arrivati a
1000 MeV e ad alta intensità e ci siamo arrivati con
il pericolo di ricevere negli occhi la radiazione di
sincrotrone. Albert Silvemann, che era in visita da
noi da Cornell, ci disse: «Giorgio, stai attento, perché potete rimanere accecati!». «Ma no, non è possibile», risposi io. E invece vedemmo con gli strumenti che il rischio c’era. Provai allora la curiosa
sensazione che la macchina avesse preso il sopravvento su di noi.
A quel punto cominciò la ricerca dell’intensità e
cominciarono i vari lavori. Alla fine del ‘58 e all’inizio del ‘59, con anticipo sui programmi, ci mettemmo al lavoro per le prime esperienze. C’era
moltissimo da fare per riordinare la macchina ecc.,
però contemporaneamente avevamo imparato
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l’arte di lavorare nel pulito, di spazzare i pavimenti, accendere la macchina, controllare il funzionamento, preparare le esperienze e fare qualche
misura. Riuscivamo a farlo, anche con un certo
ordine. Eravamo pronti per le esperienze e misure
anche a intensità alta. E il fascio venne, ed era il
fascio più intenso che mai un elettrosincrotrone
avesse prodotto nel mondo.
Già nel ‘56, ‘57, ‘58, erano state curate dall’INFN e da Frascati alcune riunioni dedicate alle
discussione e alla scelta delle esperienza da fare
con le macchine. Gilberto Bernardini ed io, in un
certo senso abili politici, avevamo preparato negli
edifici di Frascati le stanze per ogni università.
Avevamo fatto una politica di attrazione, sicché la
macchina partì subito con caratteristiche di iniziativa nazionale.
I primi risultati scientifici
I primi risultati importanti vennero piuttosto
presto. Posso per esempio ricordare che, nel luglio
del 1959, nel grande convegno internazionale di
Kiev, noi portammo i risultati sulla ricerca del
mesone !, fatti a cura di C. Bernardini, Querzoli,
Silvermann, Salvini. Era una questione molto
aperta, allora, quella dell’esistenza o no di mesoni
di massa maggiore (doppia o tripla) di quella dei
mesoni " (pi greco). La nostra misura spazzò
nuove regioni di energia, escludendo l’esistenza di
alcune ipotetiche particelle. Ricordo Gilberto Bernardini gongolare per quei rapidi successi della
macchina da lui voluta nel 1952. Ricordo anche
l’attenzione del grande fisico teorico Jun John
Sakurai,profeta e studioso dei mesoni vettoriali,
purtroppo prematuramente scomparso nel 1982.
La seconda fase dei Laboratori di Frascati iniziò
definitivamente verso la fine del 1959: la macchina
cominciò a lavorare di giorno e di notte ed i tecnici e i ricercatori scoprirono quanto dovessero essere loro a servirla. Ebbe inizio quella campagna di
ricerche che andò avanti senza interruzione, con
avvicendamento di gruppi diversi, con un ritmo e
un tempo che lasciavano poco spazio alla meditazione scientifica (4). (In questa presentazione di
Analysis sono riportate, dai diretti autori, i principali risultati scientifici del Sincrotrone e di Adone
in Frascati).
Rispetto al progetto iniziale c’era stata una
notevole crescita, in tutti i sensi, delle dimensioni
dell’E. S., che andava da un progetto iniziale di 600
MeV a 1100 MeV, nel 1959/’60, e ci fu effettiva-
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mente anche un ingrandimento progressivo, ma
rapido, di ogni dimensione: dal numero di persone, all’energia della macchina, alle aree coperte, ai
piani scientifici ed economici iniziali. Arrivammo
quindi ad una regione di conoscenze che altrimenti ci sarebbe stata preclusa, e vedemmo che questo
innalzamento era veramente fondamentale per il
progresso delle ricerche in Italia. Si era iniziato
pensando ad un’area coperta di 1500 metri quadrati vicino a qualche esistente istituto, e invece si
arrivò a un centro interuniversitario, indipendente
in ogni servizio e di ampiezza cento volte maggiore. Questa espansione ci era stata permessa anche
da un’epoca che era più disposta a incoraggiare il
coraggio, che non adesso. Siamo stati fortunati nel
pilotare una cosa così grande. L’idea di un ingrandimento rispetto al progetto iniziale era un nostro
peccato originale. Siamo stati certamente cocciuti e
piuttosto coraggiosi. Debbo ripetere, riportandomi
ai tempi, che abbiamo trovato, in quel momento
italiano, una simpatia esterna che dobbiamo sottolineare per i vantaggi obiettivi che ne sono venuti,
nella ricerca di personale tecnico e scientifico presso le università e negli istituti scientifici, nell’uso di
attrezzature tecniche di ogni laboratorio italiano,
nella chiarezza di ogni rapporto tecnico e scientifico con le ditte.
Certo, l’esperimento di Frascati, caro Gilberto,
caro Italo Federico, è stato qualcosa di completamente nuovo in Italia. Oggi non è più così nuovo,
ma è stato veramente un punto di partenza. E qui
debbo sottolineare una cosa a cui tengo: l’incontro
in stretta collaborazione di fisici e di ingegneri in
un campo di lavoro che non si poteva pensare
senza gli uni e senza gli altri. Di questa fusione ha
molto merito Italo Federico Quercia. L’esperienza
non era del tutto nuova perché era già avvenuta
nel CISE, ma a Frascati ci convincemmo definitivamente che il binomio fisico-ingegnere aveva
delle caratteristiche di completezza che garantiva-
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no straordinariamente la possibilità di qualunque
realizzazione, dalla fase dell’ispirazione iniziale a
quella del progetto, dall’esecuzione all’esercizio.
Per quanto riguarda la ricerca dei tecnici, siamo
stati subito convinti che occorrevano dei tecnici
bravi e li abbiamo trovati in zone, anche dell’industria, dove i loro meriti non erano pienamente
emersi, mentre a Frascati sono rifioriti. I tecnici italiani stanati da noi sono un po’ una gloria frascatana.
Al momento della sua entrata in funzione l’elettrosincrotrone risultava ancora una scelta felice? La
risposta è sì. Fu una scelta felice perché altre macchine più potenti per protoni c’erano già nel
mondo, dal 1952, ma per gli elettroni siamo stati,
per un certo periodo, un record mondiale. Ci sono
problemi di elettrodinamica di alta energia, in particolare sulle proprietà dei fotoni e degli elettroni,
che solo gli elettrosincrotroni e gli acceleratori
lineari per elettroni hanno potuto risolvere negli
anni ‘60 a Frascati, a Cornell, a Stanford. E questo
lo si è visto dai risultati e dal fatto, enorme, della
proposta di Bruno Touschek e della nascita di AdA.
Qui termina il mio racconto della nascita di
Frascati. Il quadro dei risultati scientifici di ADA,
di ADONE, di DA#NE, è riportato nelle altre relazioni di questa serie, da parte degli autori. La sintesi dei risultati in cinquant’anni di ricerche e scoperte si trova nel libro di Vicenzo Valente: “Strada
del Sincrotrone km 12” (5).
In chiusura di questa mia nota sento il dovere
di riportare le prefazione scritta nel 1961 al libro: “
L’elettrosincrotrone ed i Laboratori di Frascati “
pubblicato dagli autori dell’impresa nel 1962.
Gilberto Bernardini è scomparso nel 1995 in
Firenze. In questa prefazione sono ben riportati da
lui l’impegno e la fatica di tutto il nostro Paese in
quegli anni. Ho già ricordato, come tanti l’hanno
fatto, quanto si deve alla Sua opera ed a quella di
Edoardo Amaldi per la nascita di Frascati.
Bibliografia
(1) Fisici italiani del tempo presente. Storie di vita e di pensier. A cura di Luisa Bonoiis e Maria Grazia Meichionni
A Pag. 365 -445 vita e pensieri di Giorgio Salvini Editore Marsilio.
(2) L’Elettrosincrotrone ed i Laboratori di Frascati A cura di G. Salvini. In questa opera di 388 pagine si raccontano
le varie parti della macchina ed i laboratori ed il loro raccordo, ad opera degli stessi autori Editore Zanichelli , 1962.
Essa si trova nel supplemento I a del nuovo Cimento: Sezione X, XXIV, (1962).
(3) Rendiconti del Corso nella Villa Monastero di Varenna , tenuto dal 18 Luglio al 7 Agosto 1954 , a cura della Scuola Internazionale dì Fisica della Società Italiana di Fisica. Il fascicolo è dedicato alla memoria di Enrico Fermi.
In questa nota ricordiamo le lezioni:
Salvini: The Italian design of a 1000 MeV electronsynchrotron. Copariso between the strong and the weak focusing.
E. Persico. Theory al’ the capture in a High Energy Injected Synchrotrone.
(4) La sintesi delle realizzazioni in Frascati è contenuta nelle note qui presentata da Analysis.
(5) La storia di cinquant’anni di acceleratori e particelle nei Laboratori di Frascati è raccontata nell’opera:
V. Valente “Strada del Sincrotrone Kzni2 .“ Con la collaborazione di Orlando Ciaffoni, Corrado Mencuccini , Giulia
Pancheri , Alessandro Pascolini. Prefazione di Giorgio Salvini. Postfazione di Mario Calvetti. Imprimenda - Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare.
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