“IL GIOCO DELLE PERLE DI VETRO” :
VEDERE … OLTRE IL MONDO VISIBILE CON ALBERTO SPADOLINI
Lo storico dell’arte Philippe Daverio ricorda che Alberto Spadolini è stato uno degli artisti
più amati nella Parigi anni ’30. Nuove scoperte hanno accertato che Spadò, come era
soprannominato dagli amici, è stato anche agente segreto, terziario francescano, maestro di
meditazione, pittore esoterico che offre un’affascinante rappresentazione del capolavoro di
Hermann Hesse.
Un caso di sincronicità
Per me è una grande festa quando zio Alberto, lasciato il suo atelier di pittore a
Parigi, ci viene a trovare. Ascolto i suoi entusiasmanti racconti riguardo a principi e
divi dell’epoca suoi amici e le avvincenti descrizioni di capitali europee vicinissime e
tangibili, che mi fanno sentire partecipe di quell’universo lontano e favoloso.
Nel settembre 1972, per festeggiare i miei 20 anni, lo vado a trovare nel suo
appartamento sugli Champs-Elysées a Parigi. Lui vorrebbe farmi visitare musei,
cattedrali e teatri, ma all’epoca io penso solo ai tanti “giovanili divertimenti”. E così
rimango alquanto perplesso quando mi sgrida severamente perché non mi interesso di
arte e di letteratura.
“Cerca di vedere oltre la superficie delle cose!”, mi ripete.
Mentre prepara la cena mi metto a curiosare nella sua libreria, la mia attenzione
cade su di una foto in cui lo zio è ritratto accanto ad un amico, sullo sfondo le vette
alpine.
“Organizzi mostre in montagna?”, gli chiedo.
Spadolini prende in mano la fotografia e non fa in tempo a sistemare gli occhiali che
squilla il telefono.
E’ proprio l’amico che appare con lui nella foto; dopo anni di silenzio, gli propone di
decorare il suo albergo a Chamonix.
Questo sarà anche il suo ultimo lavoro: poche settimane dopo zio Alberto accusa
un grave malore; ricoverato all’Ospedale di Chamonix viene trasportato d’urgenza
all’Ospedale Saint-Antoine di Parigi.
Sappiamo del decesso con due giorni di ritardo e quando il fratello Michele giunge
per il funerale si accorge che il suo appartamento è stato svaligiato di mobili, libri,
documenti … un’intera esistenza cancellata.
1
Il mistero dell’archivio ritrovato
Nell’autunno 1978 mia zia Giorgia mi chiede di aiutarla a traslocare dalla sua
casa-sartoria. Carico su di un camion mobili e con particolare cura alcuni dipinti di
Alberto Spadolini.
Spadolini: “Campagna marchigiana” (1954) - “Etoiles de l’Opéra de Paris” (anni ’50) - “Paesaggio marchigiano” (anni ’50)
Infine salgo in soffitta e, fra ritagli di stoffa, giornali di moda e vecchi manichini, uno
scatolone con la scritta ‘Spadolini’ cattura la mia attenzione. All’interno sono stipati
un centinaio di fotografie, manifesti, libri, articoli, spartiti musicali, brochure degli
spettacoli di danza e delle esposizioni di pittura in tutto il mondo.
Spadolini: Danzatore, 1946 - Cantante, anni ’30 - Attore nel film “Le jour se lève”, 1939
Grazie a questo ritrovamento scopro che Spadolini è stato scenografo al Teatro
degli Indipendenti accanto a De Chirico e Marinetti; danzatore con Serge Lifar e
Joséphine Baker; coreografo stimato da Maurice Ravel e Marléne Dietrich; attore con
Jean Gabin e Jean Marais; cantante di musica melodica; giornalista ironico; pittore
apprezzato da Max Jacob e Jean Cocteau; restauratore di antichi dipinti;
sceneggiatore e regista di documentari con Django Reinhardt e Suzy Solidor;
adattatore dei dialoghi per la London Film; illustratore di poesie; scultore dallo stile
michelangiolesco …
Inizio ad interessarmi di arte, letteratura, psicologia, e all’inizio degli anni ’80,
insieme all’amico Antonio Bortolotti, fondiamo il Centro “Carl Gustav Jung” di
Riccione. Fra le prime iniziative uno studio su Spadolini.
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Sulla tomba di Spadò
Ho quasi dimenticato questa storia finché nell’estate del 2004 torno con la mia
famiglia a Parigi. Mi reco sulla tomba di zio Alberto nel cimitero parigino di SaintOuen e, con enorme sorpresa, mi avvedo che a distanza di trent’anni dalla sua morte
qualcuno gli porta ancora fiori freschi; inoltre alcune pietre allineate sulla tomba
testimoniano il ricordo degli amici ebrei. Infatti, come mi aveva raccontato il nobile
russo Alex Wolfson, nel corso dell’occupazione nazista di Parigi mio zio aveva
nascosto nel suo appartamento diversi ebrei salvandoli dalla deportazione in
Germania.
Tomba Spadolini, Cimitero di Saint-Ouen
Nella speranza di rintracciare gli sconosciuti amici dello zio lascio sotto il vaso un
bigliettino con il mio recapito. Dopo qualche mese squilla il telefono … un accento
francese … e, come per incanto, entro nel magico mondo di Spadò.
Spadolini: “Articolo Vedettes 1941” - Costume di scena del Bolero - “Articolo Notre Cœur 1941” - “Coreografia per Arena di Verona 1972”
Ritrovo alcuni dei suoi più cari amici; scopro che ha fatto parte della Resistenza
antinazista e nel dopoguerra dei servizi segreti occidentali; entro in possesso di lettere
rimaste sepolte per 70 anni in una cantina; recupero centinaia di documenti nelle
biblioteche di Parigi, Londra, Stoccolma e New York; rintraccio una trentina dei suoi
dipinti fra cui uno nella collezione dell’ex primo Ministro Giovanni Spadolini, suo
lontano parente; ricevo in regalo il costume di scena da lui indossato migliaia di volte
per danzare il “Bolero” di Ravel. E mi arrendo all’evidenza dei fatti: ho conosciuto
solo la punta dell’iceberg!
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Una vita leggendaria
A trovare il mio biglietto sulla tomba è Carmelo Petix, amico di Spadolini. Mi
sorprende dicendo che mio zio è stato amico di Gabriele D’Annunzio. Solo nel 2007
ne ho la conferma nelle pagine del libro “D’Annunzio”, scritto da Philippe Jullian,
scoprendo che il giovane Alberto ha trascorso lunghi periodi al Vittoriale.
Gabriele d’Annunzio - Il giovane Spadolini, anni ‘20
Spadolini si reca a Gardone nel 1924 in qualità di aiuto-decoratore incaricato di
metter in scena un’opera nel primo teatro all’aperto.
Rimasto quasi cieco a seguito della caduta da una finestra, D’Annunzio sarebbe stato
attirato dalla voce di Alberto che canta una canzone. Nasce così un’amicizia.
Grazie a D’Annunzio, che gli consegna due lettere di raccomandazione e una
busta contenente una grossa somma di denaro, Spadolini inizia la sua attività artistica
in Francia, entrando in qualità di decoratore nell’atelier di Paul Colin.
Alcuni articoli raccontano che all’inizio del 1932, nel corso di un allestimento
scenico a Villefranche-sur-mer, presente il pittore Francis Picabia, il giovane Alberto
depone i pennelli e si mette a ballare rapito dalla musica degli orchestrali. La fortuna
vuole che sia visto dal direttore dell’Eldorado di Nizza, e dal poeta Paul Valery che lo
consacra: “Mitologico, mistico, faunesco. Visione di Spadolini”.
Senza aver mai studiato danza Spadolini debutta nei “Balletti Russi di Monte-Carlo”,
si esibisce al “Bœuf sur le Toit” di Jean Cocteau, è al Casino de Paris con Joséphine
Baker con cui ha una burrascosa love story … diventa il danzatore preferito da
Marlene Dietrich, si esibisce con Mistinguett e Cécile Sorel … poi arriva il cinema.
Parigi anni ’30 : Joséphine Baker - Marlene Dietrich – Mistinguett
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Pittore esoterico
Nel corso di un’intervista Alex Wolfson racconta che Spadolini, allievo di Jules
Boucher, ha fatto parte dei Rosa-Croce di Marsiglia con il segreto nome di Magno
Albert. Così, quando nel 2007 giunge dalla Norvegia l’immagine fotografica del
dipinto “Tau, l’ultima colonna del Tempio” mi rendo conto che Spadolini è stato un
pittore esoterico.
Spadolini : « Tau, l’ultima colonna del Tempio »
Con la collaborazione dell’amico Antonio Bortolotti approfondisco le ricerche su
Jules Boucher, uno dei massimi studiosi di simbologia esoterica, discepolo del
celebre alchimista Fulcanelli.
Spadolini: “Menestrello su pavimento a scacchiera” - “Cassapanca con Tempio orientale”, 1954
Di grande interesse “Menestrello su pavimento a scacchiera”, dipinto degli anni
’40, con una cornice a forma di Tempio realizzata dallo stesso Spadolini,.
Al rientro da un lungo soggiorno in Viet-Nam, nel periodo della battaglia di DiemBiem-Fu, l’artista decora una cassapanca con un antico “Tempio orientale”.
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Costruttore di Cattedrali
Nei dipinti “Porta Pia e in lontananza San Ciriaco”, “Fontana di Piazza San
Pietro” e “Notre-Dame de Paris”, l’artista ripercorre i momenti più importanti della
sua esistenza: l’infanzia anconetana, la giovinezza romana, la maturità parigina.
Spadolini: “Porta Pia e in lontananza San Ciriaco” (1956), “Fontana di Piazza San Pietro” (anni ’40), “Notre-Dame de Paris” (anni ’40)
Le Cattedrali sono legate dalla presenza dei “Fratelli di Heliopolis”, alcuni
evidenziati in rosso, colore che indica il predominio dello spirito sulla materia. Li
ritroviamo:

rivolti verso la Cattedrale di San Ciriaco,

assetati di verità diretti verso la Fontana di San Pietro,

in attesa di entrare in quel meraviglioso tempio gotico che è Notre-Dame.
Scrive Fulcanelli: “Notre-Dame de Paris, chiesa filosofale, è, senza possibilità di
smentita, uno dei più perfetti prototipi del genere, come ha scritto Victor Hugo, ‘ il
più soddisfacente compendio di scienza ermetica’ … E qui, nello splendore delle
ogive dipinte e decorate, dei costoloni delle volte, dei timpani dalle figure multicolori,
ognuno illustrava il risultato dei suoi lavori, spiegava l’indirizzo delle sue ricerche. Si
esprimevano delle probabilità; si discutevano le possibilità, si studiavano sul posto le
allegorie del bel libro e la parte più animata di queste riunioni era certo l’astrusa
esegesi dei simboli misteriosi.”
J. Boucher: “La Symbolique Maçonnique”
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Meditazione Riflessiva
Amici e parenti ricordano Alberto Spadolini seduto ad occhi chiusi, mentre si
allena a far affiorare dal proprio inconscio particolari visioni che dipingerà sulla tela,
versi poetici che scriverà su di un foglio di carta, nuove coreografie che rappresenterà
nel corso dei suoi spettacoli di danza.
L’amico Jean-François Crance racconta: “Pur non avendo mai ballato,
improvvisamente si lancia, colpito da non si sa cosa, per eseguire una danza meglio
di chiunque altro. Crea composizioni pittoriche strane e sontuose dopo lunghe
meditazioni in poltrona mentre la sua mente viaggia verso le sue coreografie ... tutto
sembra conferirgli un’aurea magica ...”
Spadolini: “Fuori della grotta” (anni ’40)
- “Il volto dell’amore” (anni ’40) -
“L’Asceta” (1947)
Fra le opere esoteriche “Fuori dalla grotta”, “Il volto dell’amore”, “L’Asceta”,
“Spadò”, “Talismano portafortuna” .
Spadolini: “Spadò” (anni ’60)
“Talismano portafortuna” (anni ’50)
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Nel novembre 1943 la rivista parigina “La Semaine” rivela:
“Per preparare il suo prossimo recital, Alberto non è mai uscito di casa per delle
settimane. I suoi attrezzi da lavoro sono una poltrona o un divano, un grammofono,
dei dischi e delle partiture. Instancabilmente, egli ascolta la ‘Fuga in re minore di
Bach’ o la ‘Danza del Fuoco’. E’ sulla partitura musicale che egli studia a fondo, poco
a poco disegna la sua futura interpretazione coreografica. Non fa un gesto finché non è
completamente impregnato nell’opera. Spadolini si rifiuta di essere un ballerino. E’
anzitutto un eccellente musicista, un appassionato della musica. Quando prepara il suo
repertorio non ripete la danza, non segue la partitura; egli la studia, la decompone,
l’analizza nota per nota delle ore intere. Quando la ‘possiede’ infine, è pronto a
ballare.”
Spadolini: “Danza su di una Sfera”, “Manifesto”, “Ermes” (anni ’30)
In una serie di interviste concesse nel dopoguerra Spadolini confessa la sua
venerazione nei confronti di Giacomo Leopardi e “L’Infinito” perché questa poesia
cela la ‘mappa’ che lo conduce verso la propria interiorità:
la poltrona diventa l’ermo colle, luogo solitario dove scoprire il silenzio;
la siepe è innalzata chiudendo gli occhi;
‘sedendo’ è la comoda posizione assunta dal corpo;
‘… e mirando’ egli osserva con attenzione il proprio corpo, prende coscienza
del respiro profondo, calmo e regolare ...
e raggiunge quei ‘… sovrumani silenzi e profondissima quiete’.
A questo punto Spadolini inserisce una personale meditazione, ossia è pronto ad
approfondire una particolare idea o un’emozione.
Come un bambino che si impadronisce di un gioco, utilizza tutti i sensi, ossia lo
tocca, lo mette in bocca, lo sbatte, lo rompe per cercare di scoprire ‘cosa c’è dentro’ ,
allo stesso modo egli esplora a 360° un determinato concetto, sviscerandolo in tutti i
vari aspetti.
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Se ad esempio vuol meditare sul concetto di “amore”, l’artista visualizza, percepisce,
incarna, tutto l’amore ricevuto in passato dalla madre, dal fratello, dalle sorelle … da
tutti coloro che gli hanno voluto bene; quindi sposta l’attenzione sull’amore nel
presente, verso gli amici, la fidanzata … l’umanità intera … la Natura … Colui che ci
ha Creato …
L’intuizione potrà venire attraverso una particolare visione o mediante un sogno e
finirà dipinta su di una tela, o diventerà la coreografia per uno spettacolo di danze.
L’inconscio ha i suoi tempi!
L’amore secondo Spadolini: con Tatiana Riabouchinska, Josephine Baker, Yvette Bouland
Negli anni ’50, in un’epoca dominata dalla guerra fredda e dal pericolo di un
conflitto nucleare, meditando sul rapporto Uomo – Natura, Spadolini crea la seguente
illustrazione:
“Un uomo in equilibrio instabile su una bilancia
tiene sollevato l’intero pianeta Terra.
Riuscirà la Terra a sopravvivere?
Dipende dall’equilibrio interiore raggiunto da ogni uomo!”
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Il Gioco delle Perle di Vetro
Spadolini: “Ombres”, 1947
“L’ultimo giocatore di Perle”
“ … Ora è rimasto solo, vecchio, stanco,
non un allievo implora il suo favore,
né un maestro lo invita a disputare;
tutto è sparito, e templi e libri e scuole
di Castalia … Il vegliardo si riposa
sulle macerie con in mano le perle,
geroglifici un dì molto eloquenti,
ora solo ‘vetrucci colorati’,
che dalle vecchie mani scivolando
silenziosi si perdon nella rena …”
Herman Hesse “Il Gioco delle Perle di Vetro”, 1943
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In diverse opere di Spadolini troviamo il simbolo della sfera: nel dipinto “Tau,
l’ultima colonna del Tempio” (anni ’60), “Ombres” (1947), “Il giocoliere” (anni ’40),
e nell’artistica foto eseguita negli anni ’30 da Dora Maar, compagna di Pablo Picasso.
“Tau, l’ultima colonna del Tempio”
Foto Dora Maar
“Il giocoliere”
Il dipinto “Tau” è una rappresentazione de “Il Gioco delle Perle di Vetro”,
romanzo pubblicato nel 1943 dal Premio Nobel per la Letteratura Hermann Hesse.
Ambientato in un’utopica Castalia del 2200 d. C. , l’opera è dedicata ai “Pellegrini
d’Oriente”, ossia a coloro che identificano la meta dell’uomo non in un’entità
geografica, ma nella patria e nella giovinezza dell’anima, raggiungibile mediante la
Via della purezza e della spiritualità.
Vi troviamo molti temi cari a Hesse: la vita contemplativa contrapposta alla vita
mondana; il rapporto tra Maestro e discepolo; l’orrore per il pericolo della guerra e il
desiderio di pace; la cultura umanistica contrapposta alla cultura ironicamente
definita dell’Era Appendicistica.
Ma quest’opera costituisce un’ideale ponte tra Occidente ed Oriente, tra Platone, il
Cristianesimo e l’Illuminismo da una parte e la filosofia Yoga e Zen dall’altra.
Edizioni italiane de “Il Gioco delle Perle di Vetro” di H. Hesse
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Il protagonista del “Gioco”, Maestro Josef Knecht, lo definisce come “Scienza,
venerazione del bello e meditazione”; per altri è un fantascientifico gioco nel corso
del quale i partecipanti operano una sintesi del sapere umano; non esiste uno scopo
ben definito se non quello di immergersi sacralmente in contemplazione della
scienza, della cultura e della musica.
Spadolini: “Tau, l’ultima colonna del Tempio”
Nell’antico tempio in rovina dipinto da Spadolini appaiono cinque personaggi che
vivificano la tela:

il giovane nudo nell’ombra, fuori dal tempio, malinconicamente appoggiato ad
una chitarra (Spadolini in gioventù è definito le ‘danseur nu’);

la donna patinata d’oro nella semioscurità tiene sollevato un pappagallo,
metafora del pavoneggiarsi e dell’apparire;

il danzatore di spalle, tolta la maschera troppo a lungo indossata, si dirige a
passi di danza verso la luce con l’ardente desiderio di diventare semplicemente se
stesso;

l’uomo nudo, proveniente da Oriente, scostato il velo di Maya, che rende
distorta ogni realtà, scopre la sfera, simbolo della perfezione e della completa
trasmutazione dell’anima.

la donna spogliata da ogni ornamento di facciata danza felice, al centro del
Tempio, pienamente illuminata dalla Luce, sulle mani protese verso l’alto è adagiata
la sfera, i capelli si muovono al vento nel segno della completa libertà raggiunta.
Tutti questi personaggi sono sovrastati dalla grande colonna del Tempio che forma
la lettera ‘Tau’. Questa lettera prefigura la croce ed è stata utilizzata nel Medioevo dai
seguaci di Antonio Abate e dallo stesso San Francesco.
Come scrive Bonaventura da Bagnoregio nella “Vita di San Francesco”:
“… e in realtà il Santo nutriva grande venerazione ed affetto per il segno del Tau,
lo raccomandava spesso nel parlare e lo scriveva di propria mano sotto le lettere che
inviava, come se la sua missione consistesse, secondo il detto del profeta, nel segnare
il Tau sulla fronte degli uomini che gemono e piangono, convertendosi sinceramente
a Cristo”.
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San Francesco
Nella sua opera giovanile “Francesco d’Assisi” (1904) Hermann Hesse manifesta
tutto il suo affetto per il ‘Poverello’: “Quando era stanco di parlare con gli uomini
andava nei prati e nei boschi, scendeva nelle valli, perché nelle sorgenti e nei venti e
nel canto degli uccelli percepiva il dolce, potente linguaggio del paradiso”.
Anche Spadò è autore in gioventù di un pregevole dipinto del Santo. Nel corso di
un’intervista rilasciata nel dopoguerra afferma: “Francesco mi ha insegnato a dare per
la gioia di dare, a sentirmi felice di quanto possiedo, a considerare i ricchi come i veri
poveri perché spesso sono poveri nello spirito e nell’anima. A credere che il dolore è
un dono perché con il dolore si acquista la felicità e la comprensione della felicità; a
capire che la felicità non può scaturire che da noi stessi, dal profondo del nostro
essere e che il mondo esterno non può turbare l’equilibrio e la serenità della nostra
anima. Non mi creda un poseur, sento veramente ciò che dico e sento veramente
l’esempio di San Francesco. Certo debbo vivere nel mondo e mostrarmi superficiale,
ma questo è il volto che presento agli estranei, a coloro che non possono
comprendermi, come una difesa ed una barriera sul segreto mondo della mia vita più
intima. Crede lei che tutti potrebbero capirmi quando dico che i miei sentimenti li so
esprimere solo danzando e che molte volte mi vergogno di ricevere del denaro come
compenso delle mie danze, perché queste sono un mio modo di pensare, naturale per
me come il respiro? Con la danza voglio esprimere il mio amore per il sole, la
bellezza, la vita in tutti i suoi aspetti ed anche un senso religioso che sento come
guida e come sostegno.”
Spadolini: “San Francesco”, 1925
“Satyricon” , anni ’60
“Intervista a Spadolini“, 1946
Il dipinto “Satyricon” è una personale meditazione sul rapporto dell’uomo con il
divino che si incarna nella vita:
- a sinistra un uomo porge un fiore (ossia dona all’altro il suo amore);
- a destra un uomo offre un frutto (ossia compie un’azione buona, gratuita,
disinteressata);
- infine al centro del dipinto un uomo che sembra ‘deposto dalla Croce’, dona la
sua sofferenza e indica la Luce (“… con il dolore si acquista la felicità e la
comprensione della felicità”).
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Il Gioco della duplice percezione
In appendice a “Il Gioco delle Perle di Vetro” troviamo il racconto “Una vita
indiana”, storia di un principe costretto all’esilio che conosce un’asceta yogi e ne
chiede l’aiuto dopo avergli raccontato le sue sventure. L’asceta lo ascolta e al termine
scoppia in una fragorosa risata: “Maya! Maya!” sono le sue uniche parole.
Con questo termine si esprime l’illusorietà della vita presente, del mondo che ci
circonda, dei falsi valori rincorsi dall’uomo come oggetti, denaro, prestigio sociale.
Al fine di spiegare questo concetto, nell’India dei Veda si ricorreva al “Gioco
della duplice percezione”:
con i polpastrelli dell’indice e del medio percepiamo la superficie di una bilia
di vetro, la sua forma sferica, la sua dimensione ...
ora, con gli occhi chiusi, sovrapponiamo il dito medio accavallandolo
sull’indice e con i polpastrelli tocchiamo la bilia.
Si percepiscono due bilie!
Il gioco della duplice percezione
Nel volume “Fisiologia dell’uomo” (1913), il prof. Luigi Luciani, ricorda che:
“Quando s’incrocia il dito indice col medio e s’interpone tra i polpastrelli delle due
dita una pallina posata sul tavolo, si ha l’illusione di toccare due distinte palline.
L’illusione è tanto forte che non si dilegua neanche col controllo del senso visivo e si
accresce perfino se interveniamo col senso muscolare, facendo muovere la pallina fra
le due dita.”
Il fatto di aver percepito due sfere anziché una, solo per aver sovrapposto le dita,
ci insegna quanto la realtà possa essere distorta dalla nostra mente. La percezione è
soggettiva, limitata dai sensi, dalle esperienze passate, dalle interpretazioni fuorvianti,
dalla pseudo-cultura.
Questo gioco, riproposto dal prof. Eriberto Hlawaty “Delfo”, lo yogi che nel 1951
conquistò il record mondiale di digiuno, ci insegna che
“L’uomo non è schiavo del destino!”
E’ anche l’estremo messaggio di Alberto Spadolini: l’uomo è libero di cambiare,
attraverso la tenacia, l’amicizia, l’amore, la sofferenza, può modificare
continuamente se stesso, abbattendo i luoghi comuni del ‘determinismo’ che lo
vogliono schiavo della sua fisiologia ed eredità genetica.
a cura di Marco Travaglini
http://www.albertospadolini.it/CURRICULUM%20_DI_MARCO_TRAVAGLINI.pdf
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“IL GIOCO DELLE PERLE DI VETRO” : VEDERE