Per non dimenticare I.I.S.S. Niccolò Machiavelli classe 3ª sez. A SPP Lentamente muore Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e non cambia il colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, Lentamente muore chi non viaggia, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, chi non legge, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, chi non ascolta musica, quelle che fanno battere il cuore chi non trova grazia in se stesso davanti all’errore ed ai sentimenti Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi non si lascia aiutare chi è infelice sul lavoro, Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi chi non rischia la certezza per l’incertezza della propria sfortuna o della pioggia incessante pur di inseguire un sogno Lentamente muore chi abbandona un progetto chi non si permette, prima di iniziarlo, almeno per una volta nella vita, chi non fa domande sugli argomenti che non di fuggire i consigli sensati conosce Chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce Evitiamo la morte a piccole dosi ricordando sempre che l’essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità. PABLO NERUDA “ARBEIT MACHT FREI” - “Il lavoro rende liberi”. Con questa frase siamo catapultati nel mondo di Auschwitz, un mondo circondato da dolore, disperazione, morte e paura. Quando si oltrepassa quell’insegna, non si può non essere assaliti da quei sentimenti, non ricordare tutti i crimini commessi da uomini uguali ad altri uomini. E il ricordo è qualcosa di fondamentale, come il comprendere ciò che i sopravvissuti ai campi di sterminio ci hanno trasmesso, e cioè che l’uomo può macchiarsi di colpe atroci, ignorando il messaggio di amore che è alla base di ogni credo, perché qualunque religione noi professiamo sottolinea il rispetto per il prossimo e porta con sé un messaggio di pace. Giovanni Paolo II afferma che gli ebrei “sono i fratelli maggiori dei cristiani”, e, nel discorso pronunciato il 13 aprile 1986 nel corso della visita alla Sinagoga di Roma, dichiara che “se autentica, la devozione a Dio implica necessariamente l’attenzione verso gli altri esseri umani. In quanto membri dell’unica famiglia umana e amati figli di Dio, abbiamo dei doveri reciproci che, come credenti, non possiamo ignorare. Uno dei primi discepoli di Gesù scrisse: “se uno dicesse ‘io amo Dio’ e odiasse il suo fratello, sarebbe un mentitore”. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede (1 Gv.4, 20). Amare i propri fratelli e le proprie sorelle implica un atteggiamento di rispetto e di compassione, gesti di solidarietà, cooperazione al servizio del bene comune. Quindi, la preoccupazione per la giustizia e per la pace non è estranea al campo della religione, ma ne è veramente un elemento essenziale”. “Senza memoria non c’è futuro!” ha affermato Ambra, una dei sopravvissuti alla grande tragedia del ‘900, ed è proprio per poter costruire insieme un nuovo futuro che tale avvenimento non potrà, anzi, non dovrà mai essere dimenticato! Questo, infatti, è lo scopo del progetto “Viaggi nella memoria. Per non dimenticare la tragedia del ‘900”, istituito dal Comune di Roma, che vede annualmente la partecipazione di numerosi giovani di altrettante scuole, desiderosi di conoscere e, tramite il loro lavoro, di far conoscere. Ed è anche il nostro obiettivo. Noi del Liceo Niccolò Machiavelli abbiamo realizzato questo progetto per ripercorrere insieme i luoghi che saranno segnati per sempre da quel ricordo: Cracovia, Birkenau, Auschwitz, … Ogni immagine, ogni frase, ogni parola ci aiuteranno a farvi comprendere cosa ha significato, per noi e per i sopravvissuti che ci hanno accompagnato, questo viaggio. Nel 1931 inizia l’espansione dei tedeschi sotto la guida di Hitler, che cerca di potenziare il regno tedesco formando alleanze e portando avanti le rigide idee della razza pura. Egli crede che la popolazione debba contribuire allo sviluppo dello Stato e quindi tutte le persone passive - chi non crede nel governo, chi non lavora e chi ha idee diverse debbano essere sterminate. I primi campi di concentramento sono creati nel 1933: sono campi di punizione costruiti intorno a carceri per i social-democratici, pacifisti, cattolici non allineati. Nel 1935 i lager iniziano ad essere messi sotto controllo delle SS, e negli anni successivi tra i prigionieri troviamo gli “asociali”, i criminali, i recidivi e i parassiti. Il 1935 è un anno molto importante poiché Hitler emana le leggi razziali e quindi inizia a limitare la libertà degli ebrei che è sempre più ristretta fino ad essere totalmente negata. Nell’aprile del 1940 viene creato il campo di Auschwitz, il quale nasce inizialmente per rieducare i prigionieri politici; vicino a questo nel 1942 viene costruito il campo di Birkenau dove vengono ghettizzati tutti coloro che appartengono alla razza ebraica. Nel 1945, al termine della seconda guerra mondiale, si contano 4 - 6 milioni di persone morte nei campi di sterminio e 9 milioni di uomini sono stati costretti al lavoro forzato. “… Siamo abituati a piantarci su lunghe file alle sette del mattino, a mezzogiorno e alle sette di sera, con la gavetta in pugno, per un po’ di acqua tiepida dal sapore di sale o di caffè o, se va bene, per qualche patata. Ci siamo abituati a dormire senza letto, a salutare ogni uniforme scendendo dal marciapiede e risalendo poi sul marciapiede. Ci siamo abituati agli schiaffi senza motivo, alle botte e alle impiccagioni. Ci siamo abituati a vedere la gente morire nei propri escrementi, a vedere salire in alto la montagna delle casse da morto, a vedere i malati giacere nella loro sporcizia e i medici impotenti. Ci siamo abituati all’arrivo periodico di un migliaio d’infelici e alla corrispondente partenza di un altro migliaio di esseri ancora più infelici …” Petr Fischl “Ed è così che il destino inesorabile di Auschwitz comincia a svolgersi anche per noi, automaticamente indipendentemente dalla nostra volontà. Tutto avviene ormai come se noi non fossimo più uomini: dei fili ignoti ci muovono. e noi obbediamo docili. Avevamo perduto la libertà … e ora, a poco a poco, perderemo la nostra individualità, ogni indipendenza, e poi la nostra umanità, il coraggio, la dignità... Tutto si svolge liscio, eguale a se stesso, sotto gli auspici dell'organizzazione tedesca; non c'è pathos, non c'è sentimento; c'è solo orrore.” Luciana Nissim Momigliano tratto da “Ricordi della casa dei morti”. “Capelli morti che un tempo abbellirono il capo di giovani donne ed ora giacciono dietro vetro trasparente. Scarpe vecchie che calzarono i loro piedi e li condussero qui. E vecchi occhiali, denti finti, alcune stampelle, e qualche protesi.” Michael Etkind CIOCCOLATA VERA Mi attirarono fuori dalla baracca Con promesse di cioccolata E parole come “Schatzchen”, Ma le altre donne sapevano, E, ancor prima di udire i rumori là fuori. Mi chiamavano puttana dei soldati. Anch’io sapevo, Ma la fame ha un modo tutto suo di cambiarti, E di farti scordar chi sei. Buffo, come vi possa essere speranza nella disperazione. Gettarono la cioccolata per terra E risero: “Da frib.”La desideravo da impazzire, Ma il sapore fu di fango. “Dreh dich rum, Judenschwein,” Vidi enormi stivali neri, paia e paia, E il terreno così fangoso Da far sprofondare il mio corpo. Tirai su il mio abito da prigioniera ed allargai le gambe. Erano così leggere e s’aprirono così facilmente Che ringraziai Dio, sapevo Che non avrei resistito. Questo corpo non è più mio, questa fame; Finalmente, non c’è più motivo di lottare. Mi chiedo ora se il loro desiderio di me Fosse una brama di morte: Fottere una donna calva ch’era soltanto pelle e ossa, la cui unica salvezza era una tazza di zuppa acquosa Per cena, una fetta di pane raffermo, E forse, se i soldati l’avessero di nuovo voluta, questa volta, un pezzo di cioccolata vera. Stewart J. Florsheim “Ma quando tutto questo avrà una fine? e se, come probabile, la fine significherà la morte per tutti noi, perché non ci fanno morire subito invece di farci attendere e soffrire intanto in questo modo? Noi siamo ormai delle morte che per sbaglio vivono ancora. Noi abbiamo ormai una sola realtà: quella del Lager, siamo senza passato e senza futuro, siamo condannate … Tutto era così orribile, così pazzesco, così triste che io dovevo piangere e piangere sentendo in me tutto il dolore del mondo. Poi mi abituai anche a questo.” Luciana Nissim Momigliano tratto da “Ricordi della casa dei morti”. “Piangiamo spesso pensando al dolore che provano i nostri cari, che non sanno nulla di noi, e certo ci pensano morte.... Già, perché noi siamo in vita! Perché la gente che vive in un campo di concentramento è come morta dentro: tutto quello che nel mondo ha valore, tutto quanto stimavamo essere onesto e degno, in un Lager appare ridicolo, qui non si vede nulla di generoso, di nobile, di disinteressato, ma solo malvagità, egoismo, odio. Ciascuno lotta ferocemente per la sua vita, per questa sua povera assurda disperata vita animale, dovesse sacrificare per la sua la vita di tutti gli altri. E questa morte morale, questo oblio della dignità umana sono molto più tristi della morte fisica. L'aver ucciso in loro la coscienza della propria umanità e distrutto mediante il terrore la loro anima, è la più abbietta delle colpe dei nazisti.” Luciana Nissim Momigliano tratto da “Ricordi della casa dei morti”. CENERI Un giorno torneremo a casa o forse no, chi lo sa? Un giorno penseremo che tutto è stato un sogno orrendo, tutto quel che è accaduto laggiù, in quella Auschwitz dove il camino sputa fumo di continuo … di continuo Vedi la colonna di fumo e l’enorme bagliore? ‘C’è un fuoco?’, domandi Ma non lo sai? Stanno bruciando migliaia, milioni di corpi umani! Gente arrivata qui in grossi gruppi, apparentemente ad un porto sicuro dopo un viaggio lungo e stancante, qui dove c’è acqua per dissetarsi e per lavarsi. Ma c’è anche il gas … ‘Gas?’, domandi Ma non lo sai? È il gas che soffoca asfissia strangola La gente non può dire parola del dolore che prova Viene subito ridotta al silenzio e in un attimo solo una colonna di fumo mostrerà che qui è stata, che qui è vissuta e perita, lasciando soltanto … CENERI!… Autore ignoto, KL Birkenau LETTERA ALLA MADRE Fili elettrici, alti e doppi, non ti lasceranno mai più rivedere tua figlia, Mamma. Non credere alle mie lettere censurate, ben diversa è la verità; ma non piangere Mamma. E se vuoi seguire le tracce di tua figlia Non chiedere a nessuno, non bussare a nessuna porta: cerca le ceneri nei campi di Birkenau: saranno lì – Cerca, cerca le ceneri nei campi di Auschwitz, nei boschi di Birkenau. Cerca le ceneri, Mamma – io sarò lì! Monika Dombke, Birkenau, 1943 Quei pochi sopravvissuti che sono riusciti a sfuggire dall’incubo del campo di concentramento, molti dei quali al momento della liberazione erano giovani e avevano vissuto la loro infanzia nei lager, si trovano di fronte a un mondo nuovo per loro o comunque diverso da quello che era stato fino a quel momento, che rese ancora più difficile a queste persone traumatizzate sia fisicamente che psicologicamente reinserirsi nella società. Molti di loro si ritrovarono soli, senza famiglia né amici, senza un punto di riferimento con cui ricominciare una nuova vita, trasportati da un luogo all’altro da coloro che dopo la liberazione dei lager nazisti si occuparono di aiutare i sopravvissuti. Tutti gli uomini, le donne e i bambini che sono sopravvissuti ai campi di concentramento hanno subito un trauma psicologico. Questo è un tipo di danno o ferita che in alcuni casi viene subito dalla psiche a seguito di un’esperienza critica vissuta dall’individuo - in questo caso il campo di concentramento - e che viene chiamato evento traumatico. L’evento traumatico può essere di qualsiasi tipo; esso implica l’esperienza di un senso di impotenza e vulnerabilità a fronte di una minaccia, soggettiva o oggettiva, che può riguardare l’integrità e la condizione fisica della persona, il contatto con la morte oppure elementi della realtà da cui dipende il suo senso di sicurezza psicologica. Sigmund Freud, il fondatore della psicanalisi, formulò una definizione di evento traumatico per la psiche; si tratta di un’esperienza singola o di una situazione protratta nel tempo, le cui implicazioni soggettive, cioè idee, cognizioni ed emozioni ad essa collegate, sono superiori alle capacità del soggetto, in quel momento, di gestire o di adeguarsi ad esse, cioè integrarle nella psiche. Attraversare tali esperienze, penose e difficili, determina lo sviluppo di una vera e propria sindrome clinica o “trauma psicologico strutturato”. Perché un evento si traduca in una sindrome da trauma strutturato, è necessario il concorso di ulteriori fattori personali ed esperienziali nella storia pregressa dell’individuo oltre che nella struttura della rete del supporto sociale. Come racconta lo stesso Samy - un sopravvissuto al campo di Auschwitz che ci ha donato la propria testimonianza - quando è stato liberato non aveva più una famiglia, aveva passato diversi mesi in ospedale per ristabilirsi fisicamente e non avendo più dei parenti alle spalle che lo aiutassero e guidassero, decise di rinunciare agli studi, iniziò a lavorare e si chiuse completamente in se stesso. Non riusciva a parlare della sua esperienza, pensando che gli altri non avrebbero capito, e si teneva dentro di sé tutte le sue sofferenze. Soltanto molti anni dopo grazie a Pietro Terracina - un altro sopravvissuto allo sterminio nazista - ha iniziato a raccontare il suo incubo agli studenti e continua tuttora. Le testimonianze dei sopravvissuti sono un doloroso e difficile regalo che ci viene offerto per fare in modo che questa terribile azione dell’uomo sia ricordata e non ceduta all’oblio della mente. AMA LA VITA Ama la vita così com’è Amala pienamente, senza pretese; Amala quando ti amano o quando ti odiano, Amala quando nessuno ti capisce, O quando tutti ti comprendono. Amala quando tutti ti abbandonano, O quando ti esaltano come un re. Amala quando ti rubano tutto, O quando te lo regalano. Amala quando ha senso O quando sembra non averne nemmeno un po’ Amala nella piena felicità, O nella solitudine assoluta. Amala quando sei forte, O quando ti senti debole. Amala quando hai paura, O quando hai una montagna di coraggio. Amala non soltanto per i grandi piaceri E le enormi soddisfazioni; Amala anche per le piccolissime gioie. Amala seppure non ti dà ciò che potrebbe, Amala anche se non è come la vorresti. Amala ogni volta che nasci Ed ogni volta che stai per morire. Ma non amare mai senza amore. Non vivere mai senza vita! Madre Teresa di Calcutta