Eutanasia come affermazione della LIBERTÀ da Dio e da tutti L'UOMO RITIENE D'AVER DIRITTO DI DISPORRE DELLA PROPRIA VITA E DELLA PROPRIA MORTE. • Così sorgono le “Carte di autodeterminazione” che verrebbero ad assumere la funzione di base legale per la legittimazione del successivo intervento eutanasico. • L'uomo, appellandosi alla sua libertà e autonomia, ritiene di potere e di dovere disporre di se stesso totalmente e incondizionatamente. • Così che ogni norma morale e giuridica viene percepita come forza repressiva da cui bisogna liberarsi, in quanto impedisce al soggetto di porsi quale unico ed esclusivo metro di decisione. La morte vista dalla società Come un “ASSURDO” La morte appare dunque come un assurdo che occorre in qualche modo controllare e razionalizzare. L'eutanasia è, appunto, questo controllo e questa razionalità. Attraverso l’eutanasia, facendosi cioè arbitro della vita, l'uomo si illude di dominarla. La morte non giunge più quando «essa» vuole, ma quando «l'uomo» la vuole. Perché l’eutanasia non giova alla società? • Di fronte a situazioni patologiche irrecuperabili, o ad una ritenuta “insopportabilità” della sofferenza, è possibile la tentazione di cedere alla debolezza. • A livello sociale, i giudizi sull'eutanasia più spesso riguardano una “pietà per riflesso”. • Siamo noi che non sopportiamo di vivere accanto al sofferente. Certamente i familiari vivono situazioni particolarmente stressanti (il paradosso dell'eutanasia sarebbe l'abbreviazione della vita del malato per pietà del familiare). Eutanasia: giudizio della Chiesa: Evangelium vitae (n.65): “In un tale contesto si fa sempre più forte la tentazione dell'eutanasia, cioè di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine "dolcemente" alla vita propria o altrui. In realtà, ciò che potrebbe sembrare logico o umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano. Siamo qui di fronte a uno dei sintomi più allarmanti della ‘cultura della morte’, che avanza soprattutto nelle società del benessere, caratterizzate da una mentalità efficientistica che fa apparire troppo oneroso e insopportabile il numero crescente delle persone anziane e debilitate. Esse vengono molto spesso isolate dalla famiglia e dalla società, organizzate quasi esclusivamente sulla base di criteri di efficienza produttiva, secondo i quali una vita irrimediabilmente inabile non ha più alcun valore”. B. Su alcune situazioni di fine vita 3. L’eutanasia TESTAMENTO BIOLOGICO E’ la dichiarazione fatta da una persona, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali eventualmente con testimoni e di fronte ad un notaio, in cui si specificano le condizioni entro cui essa dovrà essere trattata nel caso in cui si trovasse in uno stato agonico senza speranza di guarigione. B. Su alcune situazioni di fine vita 3. L’eutanasia TESTAMENTO BIOLOGICO La valutazione morale di simili documenti dipende sia dalle condizioni esterne generali entro cui si svolge il processo di agonia, dalle condizioni poste nel documento stesso e dalle condizioni di validità giuridica che una comunità politica intende dare a simili documenti. La propagazione di queste dichiarazioni scritte, anche da parte di organizzazioni caritative cristiane, dovrebbe quindi avere solo lo scopo di facilitare la donazione degli organi B. Su alcune situazioni di fine vita 4. Altre situazioni Altre situazioni sono legate a malattie altamente invalidanti e che si prolungano nel tempo, come la SLA, fortemente degenerativa, con perdita progressiva della capacità di deglutire, di articolare la parola, di controllo dei muscoli, fino a che a compromettere in alcuni casi i muscoli respiratori, per cui si esige la ventilazione artificiale. Non sono alterate le funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinteriali. B. Su alcune situazioni di fine vita 4. Altre situazioni In queste situazioni, soprattutto quando prolungate, l’appello a porre fine (“staccare la spina) è molto forte. A volte sono i pazienti stessi – quando possono farlo – a chiederlo; a volte lo hanno fatto esprimendo le loro volontà attraverso un precedente documento scritto (testamento biologico o altre direttive sanitarie); B. Su alcune situazioni di fine vita 4. Altre situazioni a volte sono i parenti ad attestare tali volontà, quando il paziente è incosciente e non ha lasciato scritti; altre volte, infine, sono i parenti a chiedere ai tribunali il consenso per interrompere queste vite in situazioni così penose. B. Su alcune situazioni di fine vita 4. Altre situazioni Ma la domanda fondamentale è: può l’uomo disporre – a certe condizioni – della propria o dell’altrui vita? Una domanda conseguente è: che vita è quella di un soggetto incapace di riprendersi e “appeso” a una macchina, o in condizioni particolarmente dolorose? Tentiamo alcune risposte. C) Alcune considerazioni bioetiche 1. Sul trattamento del dolore Le strategie terapeutiche per il controllo del dolore sono da molti secoli in continuo oggetto di studio. In alcune malattie il dolore può portare a notevoli spasmi muscolari, come anche a una riduzione dei volumi polmonari. Il dolore e la «paura del dolore» inducono stress, e tale stress può essere nocivo al paziente. Un dolore scarsamente controllato è in grado di indurre tachicardia, ipertensione, aritmie e altri gravi complicazioni. La valutazione del dolore del paziente critico è quindi un problema bioetico importante. C) Alcune considerazioni bioetiche 1. Sul trattamento del dolore L’uso intensivo di analgesici non è esente da difficoltà, poiché il fenomeno dell’assuefazione di solito obbliga ad aumentare le dosi per mantenerne l’efficacia. C) Alcune considerazioni bioetiche 1. Sul trattamento del dolore La soppressione del dolore – come anche della coscienza vigile – per mezzo degli analgesici, è eticamente corretta in situazioni terminali, anche se si prevede che l’uso dei farmaci abbrevierà la vita. In questo caso, infatti, è chiaro che la morte non è voluta o ricercata in alcun modo, e comunque è inevitabile per la condizione di terminalità del paziente. È molto importante, però, che i paziente sia adeguatamente informato e possano soddisfare ai loro doveri morali e alle loro obbligazioni familiari. C) Alcune considerazioni bioetiche 1. Sul trattamento del dolore Su questo tema il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “Potrebbe anche verificarsi che il dolore prolungato e insopportabile, ragioni di ordine affettivo o diversi altri motivi inducano qualcuno a ritenere di poter legittimamente chiedere la morte o procurarla ad altri. Benché in casi del genere la responsabilità personale possa essere diminuita o perfino non sussistere, tuttavia l'errore di giudizio della coscienza – fosse pure in buona fede – non modifica la natura dell'atto omicida, che in sé rimane sempre inammissibile”. C) Alcune considerazioni bioetiche 1. Sul trattamento del dolore Anche Giovanni Paolo II affermava che nei nostri contesti si fa sempre più forte la tentazione cioè di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine alla vita propria o altrui. In realtà, “ciò che potrebbe sembrare logico o umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano” (Evangelium vitae, 64). C) Alcune considerazioni bioetiche 2. Sull’accanimento terapeutico Il medico deve astenersi dall’ostinazione di trattamenti da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita. Questo vale quando cioè il medico, pur in presenza di una prognosi infausta continui a sottoporre un paziente ad esami e a ricerche inutili. C) Alcune considerazioni bioetiche 2. Sull’accanimento terapeutico E’ chiaro che le situazioni drammatiche, le pressioni dei familiari e le promesse della ricerca scientifica possono spingere la coscienza del medico a tentare anche l'impossibile, con risultati di vero e proprio accanimento discutibile dal punto di vista etico. “Lasciar morire” è una virtù non sempre facile della personalità del medico, perché indica la capacità di arrendersi di fronte all’impossibile e una certa sconfitta della scienza, ancora immatura nell’affrontare la fine dell’uomo. C) Alcune considerazioni bioetiche 2. Sull’accanimento terapeutico Quando dunque il medico deve fermarsi in una pratica terapeutica? Quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un trattamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi. C) Alcune considerazioni bioetiche 2. Sull’accanimento terapeutico Si dà certamente l'obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento. La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all'eutanasia. C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) • L’applicazione del principio dei mezzi ordinari e straordinari si riferisce a quelle situazioni in cui occorre stabilire se le terapie su un paziente sono troppo onerose o se invece possono considerarsi ordinarie. • Il principio sancisce che è lecito sottoporsi alle cure ordinarie, mentre quelle straordinarie risultano problematiche, rispetto alle possibili attese, per il peso e le conseguenze sul paziente e per costi. C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) Il problema fondamentale possiamo riassumerlo nelle seguenti domande: • è lecito in alcuni casi prendere la decisione di interrompere o di rifiutare il cibo o l'acqua in un ammalato grave e in fase terminale? • La nutrizione e l'idratazione mediche assistite sono una forma di “cura” oppure di “terapia”? • Quali mezzi possono considerarsi ordinari, straordinari, proporzionati, ecc.? C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) I criteri per distinguere i mezzi straordinari da quelli ordinari sono molteplici: • alcuni sono di ordine oggettivo, come la natura dei mezzi, il loro costo, alcune considerazioni di giustizia nella loro applicazione; • altri sono di ordine soggettivo, come la necessità di evitare al paziente degli shock psicologici, delle situazioni di angoscia, la soglia limite di tolleranza e di sopportazione delle sofferenze imposte dalla terapia. • Ma è anche importante il suo patrimonio di valori e di ideali (ad es. un Testimone di Geova adulto che rifiuta una trasfusione). C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) In ogni caso, si potranno valutare bene i mezzi mettendo a confronto: a) il tipo di terapia; b) il grado di difficoltà e di rischio che comporta; c) le spese necessarie e le possibilità di applicazione, con il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell'ammalato e delle sue forze fisiche e morali. C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) Occorre anche precisare: 1) In mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso dell'ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche se sono ancora allo stadio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l'ammalato potrà anche dare esempio di generosità per il bene dell'umanità. C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) 2) E' anche lecito interrompere l'applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto desiderio dell'ammalato e dei suoi familiari, nonché del parere di medici veramente competenti. C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) 3) E' sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire. Non si può, quindi, imporre a nessuno l'obbligo di ricorrere a un tipo di cura che, per quanto già in uso, tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo oneroso. Il suo rifiuto non equivale al suicidio, significa piuttosto o semplice accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure volontà di non imporre oneri troppo gravi alla famiglia o alla collettività. C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) 4) Nell'imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali (alimentazione e idratazione) dovute all'ammalato in simili casi e che non dovrebbero essere omessi. Nel nutrire un soggetto non si dà accanimento. Questo tipo di osservazione diventa particolarmente utile nei pazienti in stato vegetativo persistente, dove il giudizio di irreversibilità è controverso. C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) • Le situazioni gravi di stato vegetativo persistente o di SLA, possono spingere pazienti, parenti e società a situazioni di stanchezza per la gravosità e per i costi, • e di conseguenza acuire la domanda di interrompere tutto e porre fine a una situazione a volte giudicata non rispettosa della dignità delle persone. • Ma altro è porre fine all’accanimento terapeutico o a cure, altro è interrompere le cure doverose quali l’alimentazione e l’idratazione (anche artificiali) dei pazienti coinvolti. • Interrompere tali cure significa procurare la morte di quei soggetti per mancanza di nutrizione. C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) • Esiste sempre il diritto a non essere obbligato a un trattamento inutile e gravoso, • ma nessuno può esigere che un altro sopprima la propria esistenza, soprattutto se questo è un medico che per vocazione e deontologia è chiamato solo a curare. • Nessuno dovrebbe intervenire direttamente e di volontà per concludere la sua vita (con documento scritto) o quella altrui (medico o società). C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) • Il riconoscimento di un “diritto” a darsi – o dare – la morte implica una assolutizzazione della volontà del soggetto, che risulterebbe in contraddizione con la dimensione della relazionalità della società. • Il diritto all'autodeterminazione del paziente è piuttosto diritto a conoscere il suo stato e ad esprimere il suo consenso informato ad azioni diagnostiche e curative intraprese nei suoi confronti. • E' assurdo trasformare il diritto all'autodeterminazione in diritto di disporre della propria vita e della propria morte. C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) • Secondo questi principi, Eluana andava alimentata e idratata, nel rispetto delle leggi vigenti, • perché non è prevista fino ad oggi la sospensione volontaria dell’alimentazione quando si è ricoverati in struttura sanitaria. C) Alcune considerazioni bioetiche 3. Sui mezzi impiegati (ordinari o straordinari) • Il diritto, sancito dalla Costituzione, che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, non si addice al caso Eluana, • perché non si tratta di “terapie”, ma semplicemente di alimentazione. • La Costuituzione altresì precisa che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”». Grazie!