CONGRESSO DI VIENNA • • • • • • SANTA ALLEANZA L’EUROPA DOPO IL CONGRESSO IL PRINCIPE DI METTERNICH RESTAURAZIONE LA RESTAURAZIONE IN ITALIA LO SVILUPPO EUROPEO E LA QUESTIONE SOCIALE • LA CRISI DELLA SANTA ALLEANZA • IL CONGRESSO DI LUBIANA • CULTURA E POLITICA La Santa Alleanza e le prime Amministrazioni internazionali Un esempio assai precoce di organizzazione internazionale è rappresentato dal Sistema della Santa Alleanza. Secondo l’immagine che comunemente se ne ha, la Santa Alleanza fu un patto che ebbe come unico fine quello di favorire e garantire la restaurazione dell’"Ancien Régime", soffocando ovunque in Europa i moti rivoluzionari nei quali si manifestava il rinnovato desiderio di libertà dei popoli. Ma guardata in un’altra ottica, essa appare come un momento nell’evoluzione della storia dell’organizzazione internazionale e in particolare dei meccanismi di collettiva sicurezza, ossia di quelle strutture, come la Società delle Nazioni e l’ONU, cui gli Stati daranno poi vita per il mantenimento della pace. Il 26 settembre 1815, a Parigi, lo zar di tutte le Russie, l’imperatore d’Austria e il re di Prussia conclusero fra loro un trattato di alleanza scritto con un linguaggio ispirato e mitico, con il quale affermavano che "i principi avrebbero governato come delegati della divina provvidenza" e che "il mondo cristiano non ha altro sovrano che Colui al quale soltanto appartiene il potere”, Dio. Il 20 novembre dello stesso anno, l’Austria, la Gran Bretagna, la Prussia e la Russia stipulavano un altro trattato a Parigi con un contenuto ben più concreto del precedente, in quanto esso prevedeva una vera e propria alleanza tra le nazioni e una procedura per la "gestione" delle questioni di interesse generale. Il trattato presentava nuove caratteristiche rispetto ai canoni della diplomazia tradizionale: si prevedevano, infatti, a intervalli regolari, riunioni tra i sovrani e i loro ministri dedicate all’esame delle questioni di interesse generale per la prosperità dei popoli e il mantenimento della pace in Europa. Le riunioni si tennero nel 1818 (congresso di Aix-la-Chapelle), nel 1820 (congresso di Troppau), nel 1821 (congresso di Laybavh) e nel 1822 (congresso di Verona). Questi “ famigerati”, congressi decisero gli interventi repressivi della Santa Alleanza tesi a soffocare l’insofferenza nei confronti del dispotismo. Nonostante il carattere conservatore della Santa Alleanza, possiamo però cogliere in essa un segno di organizzazione mondiale, dal momento che essa aveva l’urgente obiettivo della creazione di meccanismi che potessero limitare, se non addirittura eliminare, il ricorso alla guerra da parte degli Stati. Tuttavia, l’organizzazione internazionale come noi la conosciamo oggi è frutto anche di un altro importante movimento di cooperazione tra gli Stati che appare nel secolo XIX, quello che porta alla creazione delle prime "amministrazioni internazionali". Esse sono figlie della rivoluzione industriale che aveva fatto compiere passi da gigante all’Europa sotto la spinta di un’evoluzione inarrestabile. La scoperta del telegrafo, della ferrovia e l’aumento delle fabbriche portarono ad una intensificazione di traffici, commerci, viaggi delle persone e delle merci. Era però necessaria una regolamentazione delle comunicazioni internazionali che poteva essere attuata esclusivamente mediante una cooperazione tra gli Stati. Nel 1804 si ha così il primo esempio di amministrazione internazionale relativa alla navigazione del fiume Reno. Con un trattato concluso il 15 agosto di quell’anno, la Francia e l’Impero tedesco istituivano la figura del direttore Generale del Reno, un funzionario che sarebbe stato nominato congiuntamente da tutti gli Stati firmatari del trattato e che avrebbe deciso tutte le controversie che si fossero sollevate a proposito della navigazione e dei relativi pedaggi.. Anche per gli altri grandi fiumi europei venne tentato con successo l’esperimento di un’amministrazione internazionale che sopravvisse durante la Restaurazione. La cooperazione internazionale dei trasporti ferroviari si ebbe nel 1890, dopo la stipulazione di un accordo internazionale che istituiva un ufficio centrale con sede a Berna. Anche le comunicazioni postali furono interessate da un vasto movimento di cooperazione internazionale, che nasceva dalla necessità di uniformare i costi di spedizione tra i vari Stati. Così nel 1878 venne istituito un ufficio internazionale con sede a Berna e nacque l’Unione Postale Universale. La cooperazione internazionale si fece bene presto intensa anche in campo sanitario, di fronte ai formidabili problemi sorti con le epidemie. Tra il 1830 e il 1982 ci furono ben sei epidemie di colera in Europa, tutte originatesi nell’Estremo Oriente, e arrivate negli Stati Europei attraverso i viaggiatori .. I primi provvedimenti internazionali furono quelli che la Gran Bretagna e la Francia imposero all’Impero Ottomano: la creazione a Costantinopoli nel 1838 di un Ufficio Sanitario per prevenire la diffusione del colera. Altri uffici vennero istituiti tra il 1840 e il 1880 a Tangeri, ad Alessandria d’Egitto, a Vienna e a l’ Avana. Non possiamo dire che nel XIX secolo l’organizzazione internazionale come oggi la conosciamo esistesse già; ma certamente ne erano già state poste le premesse. L’ideale della cooperazione internazionale e della necessità di moltiplicare tutti gli sforzi per la pace mondiale si era ormai affermato. Ma i trattati internazionali non erano ancora nulla di concreto, in quanto gli Stati Europei non volevano rinunciare alla propria sovranità. Ci sarebbe infatti voluta la tragedia della prima guerra mondiale affinché questi progetti venissero avviati verso l’ambizioso traguardo di un’organizzazione di tutte le nazioni del mondo. IL CONGRESSO DI VIENNA Il Congresso di Vienna (22 settembre 1814-10 giugno 1815) ispirandosi al principio legittimità, sostenuto da Talleyrand, tende a ricostruire gli Stati esistenti anteriormente alla Rivoluzione francese, il che ha come conseguenza la restaurazione dell'equilibrio europeo, rotto dalle guerre rivoluzionarie e napoleoniche. Dopo la caduta dell’Impero napoleonico, le potenze vincitrici (Austria, Russia, Inghilterra e Prussia) vogliono 1) reprimere le spinte di rinnovamento politico-sociale e le esigenze di nazionalità che il rivolgimento napoleonico aveva sollevato in tanta parte d’Europa; 2) restaurare le legittime dinastie e le autorità tradizionali; 3) delimitare le nuove frontiere fra gli Stati, assicurando il contenimento della Francia e l’equilibrio europeo. La Francia inviò come osservatore il ministro Talleyrand, il quale seppe impedire che il Congresso si trasformasse in una coalizione antifrancese. Talleyrand, infatti, approfittando del contrasto che divideva Russia e Prussia da Austria e Inghilterra (la Russia voleva l ’assorbimento della Polonia, mentre l’Inghilterra voleva impedirglielo; la Prussia voleva la Sassonia, ma l’Austria era contraria), sostenne il principio di legittimità, secondo cui i territori europei dovevano ritornare a quei sovrani che per eredità vi avevano regnato prima del 1789. Questo principio ignorava volutamente quello della sovranità popolare, affermato dalla Rivoluzione francese. Costituiscono importanti eccezioni all'applicazione del principio legittimista: * la mancata restaurazione del Sacro Romano Impero, * quella di un Regno Indipendente di Polonia, * l'unione della Norvegia alla Svezia * il mancato ristabilimento di alcune Repubbliche: * la creazione di un Regno dei Paesi Bassi, che sostituisce la Rep. delle Province Unite, l ’annessione delle Repubblica di Venezia all'Austria. * In Italia scompaiono le repubbliche di Venezia, Genova e Lucca. Il regno di Sardegna è restituito a Vittorio Emanuele I di Savoia (1802-21) che si annette la Liguria. Il regno Lombardo-Veneto passa all’Austria. Ma come un ’ombra l'Austria sovrasta e influenza la politica dell'intera penisola. Molti altri ducati vengono assegnati a dinastie imparentate con la Casa d’Asburgo (Parma, Piacenza, Modena, Reggio, Toscana, Lucca...). I regni di Napoli-Sicilia passano a Ferdinando I di Borbone (*), che diventa re delle Due Sicilie (1815-25), legato all’Austria da un trattato di alleanza militare. Lo Stato Pontificio venne restituito a Pio VII (1800-23). (*) Ferdinando I di Borbone era figlio di Re Carlo III e di Maria Amalia di Sassonia, salì al trono quando il padre divenne Re di Spagna (1759) e rimase sotto la tutela di un Consiglio di reggenza. Raggiunta la maggiore età aveva sposato (1768) Maria Carolina figlia di Maria Teresa dei Lorena-Asburgo (quindi austriaca), questa donna (non smentendo il suo sangue) ossessionata dalle idee di libertà e uguaglianza che si diffusero anche a Napoli con la Rivoluzione Francese, influenzò fortemente Ferdinando che diede (fino al 1825) un nuovo indirizzo alla politica estera passando dall'orbita spagnola a quella austro-asburgica) * la mancata restituzione di Malta all'Ordine omonimo. * ) L’Inghilterra non ebbe in Europa vantaggi rilevanti, ma entrò in possesso di molte colonie francesi e olandesi (Guiana, Ceylon) L'Impero Germanico è sostituito dalla Confederazione Germanica, in cui primeggiano Austria e Prussia; la presidenza della Dieta, che ha sede a Francoforte, spetta all'Austria. Il numero degli stati germanici è ridotto da più di 360 a 39 (si tratta soprattutto di una decimazione amministrativa), quello delle città libere da 51 a 4, i Principati e Feudi Ecclesiastici non vengono ristabiliti. L'antico Elettorato di Hannover, eretto a Regno, è restituito alla Casa reale inglese come feudo maschile. Fanno parte della Confederazione Germanica il Regno dei Paesi Bassi, cui è stato attribuito il Granducato di Lussemburgo, e la Danimarca cui, in cambio della Norvegia, sono stati dati i Ducati di Holstein e di Lauenburg, fonte questa di gravi e lunghe complicazioni future. Anche l'annessione alle antiche Province Unite degli ex Paesi Bassi austriaci, la cui popolazione cattolica latina (i Valloni) si ribellerà contro il Re dei Paesi Bassi, e l'attribuzione all'Austria del Lombardo Veneto dovrà fatalmente indebolire la compagine, già poco salda, dell'Impero austriaco. Al Congresso di Vienna non è ammessa la Turchia, che non fa pertanto parte del disegno europeo, esclusione voluta soprattutto dalla Russia, la quale spera nella conquista di Costantinopoli e nell'ottenimento di uno sbocco sul Mediterraneo. Il Congresso di Vienna sebbene si sia opposto alle aspirazioni nazionali ed abbia violato le leggi geopolitiche, ha posto anche dei princìpi giusti e fecondi: ha soppresso la tratta dei Negri, ha favorito la libera circolazione sui fiumi internazionali (Reno, Danubio e Vistola) ed infine ultimo ma non meno importante ha garantito alla Svizzera la sua neutralità permanente. Modificandosi in tal maniera l'aspetto geopolitico, si resero necessarie nuove alleanze al fine di mantenere l'equilibrio. La Santa Alleanza, stipulata a Parigi il 26 settembre 1815 fra Austria, Prussia e Russia, patto a cui aderiscono in seguito a titolo personale Francia e Inghilterra, verrà strumentalizzata dal Metternich per mantenere l'ordine e l'equilibrio grazie al principio di intervento, al quale l'Inghilterra opporrà il principio di non intervento, che favorirà l'emancipazione delle colonie spagnole, la trasformazione del regime in Francia (1830) e la costituzione Il periodo che va dal Congresso di Vienna alla Rivoluzione parigina del 1830 (che rilancia l’esperienza liberale su scala europea) si chiama dunque RESTAURAZIONE (di autorità presunte legittime ma, più in generale, di aspetti conservatori della vita pubblica). Si afferma così l’Europa legittimista. In Italia la restaurazione è sostenuta non solo dall’Austria, ma anche dai Savoia, Borbone e Stato pontificio. Quest’ultimo ristabilì l’ordine dei gesuiti, chiese ai governi che l’istruzione pubblica fosse restituita al monopolio delle scuole confessionali, ottenne che ogni attività culturale fosse sottoposta a preventiva censura ecclesiastica, che la stampa e la diffusione di opere proibite dalla Congregazione dell’Indice venissero perseguite dal potere giudiziario come reati civili, soppresse il codice napoleonico e ricostituì il tribunale dell’Inquisizione. In Italia la borghesia, frantumata nei vari piccoli Stati, non aveva campo d’azione. La vita interna degli Stati italiani era caratterizzata da strutture proprie di una società preindustriale. L’intensificazione dei traffici coi mercati d’oltralpe (era aumentata la richiesta di seta e cotone nonché di generi alimentari pregiati) rendeva ancor più evidenti le condizioni di arretratezza. L’Italia rischiava d’essere tagliata fuori dagli sviluppi del capitalismo industriale dell’occidente europeo. Produttori e commercianti chiedevano: unificazione doganale e creazione di un organico e moderno sistema di comunicazioni interne. A far cambiare qualcosa - a partire dal 1820- furono soprattutto gli scrittori romantici, che intrapresero un’opera di sprovincializzazione della cultura italiana, inserendola nel più vasto moto del Romanticismo europeo. L'Europa del Congresso di Vienna Il congresso di Vienna (1 novembre 1814 - 9 giugno 1815) ha costituito lo sforzo concreto dei rappresentanti delle grandi potenze di ridisegnare il profilo geo-politico dell’Europa. Pur essendo gli interessi di ciascuno stato diversi, esisteva un fine comune: la restaurazione monarchica, favorita dalla costruzione di un equilibrato sistema degli stati che consentisse una pace stabile. Si strinsero a questo scopo alleanze, si cercò di consolidare il potere dell’aristocrazia terriera, tutto questo accompagnato da una restaurazione ideologica, costituita principalmente dal legittimismo (che sanzionava la sovranità per diritto divino) e il tradizionalismo (che affermava l’esistenza di un ordine gerarchico immodificabile). Tuttavia questo nuovo equilibrio appariva instabile: erano avvenuti , infatti, ingenti cambiamenti, fra i quali la presenza di nuove energie politiche (terzo stato e il nascente proletariato), più consapevoli del loro ruolo e il processo di industrializzazione in corso, che vedeva l’Inghilterra, sempre più forte sul piano economico e commerciale, mettere in discussione i rapporti di forza fra le potenze. A Vienna in quei mesi si riuniscono i rappresentanti delle monarchie europee, i quali, da principali protagonisti di un improbabile viaggio indietro nel tempo nella speranza di cancellare dalla scena l'importante parentesi napoleonica, erano sì accomunati dall'intento di ripristinare il vecchio ordine, ma altrettanto divisi per quanto riguarda le strategie e alcuni intenti che rimanevano profondamente differenti. Nella situazione creatasi, l'Inghilterra, rappresentata da Lord Castlereagh mirava alla salvaguardia del suo sviluppo industriale ed imperialistico e non intendeva assumersi responsabilità dirette nel quadro europeo, cercava però di limitare le forme egemoniche messe in atto da altri paesi. Particolarmente scomoda è per gli inglesi la Russia, che si pone come la più intransigente delle potenze restauratrici ed inoltre mira all'espansione nei Balcani e nel continente americano. Il vero problema è che le forze dello Zar, fino a quel tempo basate sulle unità militari terrestri, incominciarono l'allestimento di una flotta con una conseguente espansione marittima di certo avversa alla potenza britannica, che era da considerasi come vera e propria regina delle rotte commerciali marittime mondiali. Gli inglesi infatti, oltre che a mantenere il controllo commerciale sulle coste dell'Atlantico, continuavano la loro politica di espansione in India e nel Sudest asiatico, ed ebbero come ricompensa per la sua lunga lotta con la Francia numerose basi navali nel Mediterraneo, tra le quali Malta, e lungo le rotte per l'Asia. Era comunque interesse primario degli Inglesi impedire l'emergere di una nuova nazione egemone nell'Europa continentale, e ciò spiega il perché una nazione di orientamento liberale abbia partecipato ad un riassetto di tipo conservatore. Tra il ristretto numero di rappresentanti che presero le reali decisioni, riuscì ad inserirsi anche l'abilissimo rappresentante della sconfitta Francia, Talleyrand, che era stato vescovo prima della rivoluzione, poi deputato nelle assemblee, stretto collaboratore di Napoleone ed artefice del passaggio di potere dall'imperatore a Luigi XVIII. Egli riuscì a far valere in difesa del suo paese il cosiddetto principio di legittimità, in base al quale dovevano essere anzitutto restaurati i diritti violati dalla rivoluzione, e dunque anche quelli dei Borbone, re di Francia per diritto divino. La Francia fu destinata ad un ridimensionamento del suo ruolo internazionale, ma a rimanere intatta territorialmente, nonostante le pressioni della Prussia per l'annessione dell'Alsazia e della Lorena. Questo disegno soddisfaceva a pieno i progetti su scala continentale del Congresso: si limitava notevolmente la portata politica francese al fine di evitare un ripetersi della supremazia del Paese come accaduto con il periodo napoleonico, e nello stesso tempo si lasciava il regno di Luigi XVIII integro territorialmente, sia per favorire il disegno di equilibrio delle potenze, sia per non far passare la restaurazione della dinastia borbonica come una troppo bruciante umiliazione, che avrebbe comportato un'immediata impopolarità del nuovo sovrano; come ulteriore precauzione, fu creata una barriera protettiva ai suoi confini, rafforzando gli Stati vicini, i Paesi Bassi, il regno di Sardegna e la Prussia. Scopo degli statisti riuniti a Vienna era non solo quello di cancellare le conseguenze degli eventi rivoluzionari accaduti negli ultimi venticinque anni, ma anche quello di rendere impossibile il ripetersi di simili eventi, costruendo, mediante passaggi di intere regioni da uno Stato all'altro, un equilibrio che fosse il più possibile solido e duraturo. Tali spostamenti comportarono comunque una certa razionalizzazione della geografia europea, con la definitiva scomparsa del Sacro Romano Impero, vetusta creatura politica presente sul panorama europeo dall'età Ottoniana e formato, fino alla sua dissoluzione da parte di Napoleone nel 1806, da centinaia di staterelli, sottoposti nominalmente all'autorità dell'imperatore, ma in realtà praticamente indipendenti. Fu invece creata una Confederazione Germanica, formata da 39 stati tedeschi, comprese la Prussia e l'Austria, e la presidenza della quale spettava all'imperatore d'Austria. La Russia si espanse verso occidente, inglobando buona parte della Polonia e la Finlandia, mentre la Prussia annetteva la Sassonia ed una serie di territori nella zona del Reno (Colonia, Treviri ed il bacino della Ruhr) e Spagna e Portogallo si segnalavano come potenze coloniali in declino. L'Austria invece rinunciava al Belgio ed al Lussemburgo, che formarono, insieme all'Olanda, il regno dei Paesi Bassi, ottenendo in cambio il territorio dell'ormai defunta Repubblica di Venezia, che fu unito alla Lombardia nel Regno Lombardo-Veneto, e, grazie alle doti diplomatiche di Metternich consolidava la sua posizione in Germania (considerata, al pari dell'Italia, solamente come un'espressione geografica) e nel nostro Paese. In Italia la situazione ritornò apparentemente allo status quo ante, con la scomparsa però delle antiche repubbliche di Genova, Venezia e Lucca ed un rafforzamento della presenza austriaca: il granduca di Toscana Ferdinando III di Asburgo-Lorena, era infatti fratello di Francesco I d'Austria, ed erano inoltre imparentati con la casa d'Austria anche Maria Luisa, duchessa di Parma e Piacenza, e Francesco IV d'Asburgo-Este, duca di Modena e Reggio, l’Austria controllava direttamente Lombardo-Veneto, il Trentino, Trieste e parte dell'Istria. Il regno di Napoli fu restituito a Francesco I di Borbone, che si legò con un trattato di alleanza militare all'impero, mentre anche lo Stato Pontificio accoglieva guarnigioni austriache. L'unico stato italiano che mantenne una certa indipendenza fu il regno di Sardegna, che ricevette alcuni territori della Savoia e la Liguria, e vide aumentare la sua importanza come stato-cuscinetto nei riguardi della Francia. In questa situazione del quadro europeo le principali potenze sono portate a rendere stabile e durevole la conformazione politica del continente e stringono per questo patti e alleanze. Il 15 settembre 1815 Russia, Prussia e Austria (più tardi aderirà anche la Francia), stringono la Santa Alleanza, voluta dallo Zar Alessandro e basata su criteri mistico-reazionari al fine di mantenere l'ordine assolutistico e religioso e il principio dinastico. L'Alleanza firmata "in nome della Santissima e Indivisibile Trinità", ha il principale obiettivo del controllo e dove possibile della repressione del movimento liberale europeo. L'Inghilterra invece propone il patto segreto della Quadruplice Alleanza con Russia, Prussia e Austria, il cui scopo è di scongiurare il ripetersi di un nuovo periodo napoleonico e di istituzionalizzare il "concerto europeo", ovvero la pratica di periodiche conferenze per il controllo della situazione politica. La storia ci ha dimostrato in seguito come questa situazione non potesse essere concretamente durevole e come non si potesse con un congresso eliminare la parentesi napoleonica. L'impero costruito dal generale Bonaparte aveva contribuito ad una progressiva interdipendenza politica ed economica del continente, che veniva ignorata dai progetti delle grandi potenze, le quali volevano di fatto affiancare una stagnante e retrograda conformazione politica con una dinamica situazione industriale e finanziaria, che trovava i suoi principali centri in Inghilterra. E' infatti la City di Londra il cuore delle transazioni finanziarie europee ed è proprio dal mercato londinese che le potenze dovevano attingere i fondi per far fronte ai propri impegni economici. La dottrina del libero scambio, sostenuta dagli Inglesi fin dagli ultimi decenni del Settecento si presentava vincente soprattutto considerando che la libertà di commercio era la principale richiesta degli emergenti ceti imprenditoriali dell'intero continente. Voci per un Dizionario del Pensiero Forte La Restaurazione di Marco Invernizzi Il Congresso di Vienna Con il termine Restaurazione viene indicato il periodo della storia europea successivo alla sconfitta militare di Napoleone Bonaparte (1769-1821) e al venir meno del sistema imperiale da lui costruito nel ventennio dal 1796 al 1815, nello stesso tempo facendo riferimento sia alla ripresa dei princìpi precedenti la Rivoluzione francese — cioè caratterizzanti l’Antico Regime —, sia al ritorno dei prìncipi sui troni degli Stati sui quali Napoleone aveva dominato, a partire dal rientro dei Borboni in Francia. L’esame dell’operato dei governi dopo il 1815 mostra però come non si sia verificata un’autentica restaurazione dei princìpi pre-rivoluzionari, soprattutto perché la cultura politica delle classi dirigenti è intrisa dell’ideologia illuminista e del giurisdizionalismo, cioè dalla dottrina dell’assolutismo illuminato che subordinava la religione agli interessi dello Stato che aveva dominato negli Stati europei del Seicento e del Settecento. L’evento principale della Restaurazione è il congresso — tenuto a Vienna dal 22 settembre 1814 al 10 giugno 1815 — nel quale i responsabili delle potenze che avevano costituito la quadruplice alleanza contro Napoleone gettano le basi del sistema politico che garantirà la pace all’Europa nei trent’anni successivi. A Vienna sono rappresentati l’impero austriaco, il regno di Prussia, l’impero degli zar e il Regno Unito. A essi si deve aggiungere il Regno di Francia, presente con Charles-Maurice Périgord, principe di Talleyrand (1754-1838), un ex abate sempre nella cerchia dei potenti, sotto qualsiasi governo di qualunque tendenza, prima con quelli rivoluzionari, poi con Napoleone, ora con re Luigi XVIII di Borbone (1755-1824). Questi i protagonisti del congresso, anche se ai lavori prendono parte diplomatici di altri Stati. Oltre al nuovo assetto istituzionale e politico dato all’Europa, il risultato più importante del Congresso di Vienna è la costituzione della Santa Alleanza fra l’impero dello zar, il regno di Prussia e l’impero austriaco, con la quale questi Stati s’impegnavano a considerarsi parti di un unico popolo soggetto al medesimo Dio, che insieme avrebbero protetto dai nemici sia esterni che interni. UN’ALTRA OPINIONE SULLA RESTAURAZIONE... Il principe di Metternich Artefice e arbitro del Congresso di Vienna è Klemens Wenzel Lothar, principe di Metternich (1773-1859), forse il protagonista della lotta contro Napoleone, al quale succede come figura di primo piano nella storia europea. Entrambi, negli opposti campi della Rivoluzione e della Contro-Rivoluzione, sono specularmente simili, perché atipici nei rispettivi schieramenti. Come Napoleone fa senz’altro parte del mondo rivoluzionario e, anzi, dà un contributo decisivo allo sviluppo del processo rivoluzionario, soprattutto istituzionale, in Europa — pur essendo atipico rispetto all’immagine corrente del rivoluzionario —, così Metternich dedica senz’altro tutta la sua vita pubblica a combattere la Rivoluzione, pur senza essere un contro-rivoluzionario. Infatti, più che un portatore di una visione del mondo immutabile — come sono i contro-rivoluzionari, consuetamente ridotti a semplici sostenitori dell’Antico Regime — è lo strenuo difensore di un ordine politico realizzatosi in un determinato tempo storico e un fedele servitore della monarchia asburgica, che serve con tutta la sua intelligenza e abilità diplomatica, pur condividendo in parte le premesse ideologiche illuministiche della Rivoluzione. L’ottica con la quale studia e combatte la Rivoluzione è essenzialmente politica, in quanto vede in essa la nemica dell’ordine e dell’armonia fra gli Stati, cioè della concezione politica riassunta nella divisa "La vera forza nel diritto", contenuta nel suo testamento politico. Metternich concepisce il Congresso di Vienna e la Santa Alleanza come strumenti per attuare una politica di solidarietà fra gli Stati che riposi — come scrive nelle Memorie — "[...] sulla medesima base della grande società umana formatasi in seno al cristianesimo. Questa base non è altro che il precetto formulato nel Libro per eccellenza: "non fare ad altri ciò che non vuoi sia fatto a te"". La mancanza di una più completa prospettiva religiosa e culturale è probabilmente conseguenza dell’educazione — ispirata alla pedagogia illuminista di Johann Bernhard Basedow (1723-1790), il fondatore del "filantropismo" — ricevuta da un precettore giacobino dal 1787 al 1790 e dell’insegnamento che gli viene impartito all’università di Strasburgo, in particolare da un professore di Diritto Canonico — del quale Metternich non rivela il nome —, successivamente divenuto vescovo di Strasburgo e poi apostata in nome dei princìpi rivoluzionari; se, con i loro eccessi, questi uomini suscitano nel giovane Metternich repulsione per l’ideologia giacobina, d’altro canto in qualche modo lo privano dell’educazione che gli avrebbe permesso di risalire alle cause del processo rivoluzionario e, quindi, di cogliere le responsabilità dell’illuminismo — anche nella versione del dispotismo illuminato — in quella rivoluzione che avrebbe combattuto per tutta la vita. Se il Congresso di Vienna, con il ritorno dei sovrani sui troni occupati da uomini di Napoleone e con la solidarietà degli Stati contro la Rivoluzione, dà all’Europa un lungo periodo di pace dopo vent’anni di guerra praticamente ininterrotta, la Rivoluzione continua a operare occultamente nelle diverse nazioni, talora emergendo, come nei moti del 1820 e del 1821 in Spagna, nel Mezzogiorno d’Italia, in Piemonte e in quelli del 1830, che portano all’instaurazione di una monarchia liberale in Francia con re Luigi Filippo d’Orléans (1773-1850), prima di esplodere nel 1848 nelle insurrezioni delle principali capitali europee. La Restaurazione in Italia Il Congresso di Vienna ricostituisce nella penisola italiana dieci Stati: il Regno di Sardegna, il Regno LombardoVeneto sotto l’imperatore d’Austria, il Ducato di Parma e di Piacenza, il Ducato di Modena e di Reggio, il Ducato di Massa e Carrara, il Granducato di Toscana, il Ducato di Lucca, lo Stato della Chiesa — comprendente anche le Legazioni di Bologna, Ferrara e Ravenna, le Marche, Benevento e Pontecorvo —, la Repubblica di San Marino, il Regno di Napoli e di Sicilia, mentre Trentino, Sud Tirolo e Venezia Giulia tornavano all’impero austriaco. L’Italia era rimasta profondamente segnata dal regime napoleonico. Dal punto di vista ecclesiale, gli ordini religiosi, le congregazioni e le confraternite soppressi dai governi rivoluzionari vengono restaurati solo in minima parte: "[...] nella diocesi di Milano — scrive per esempio lo storico Guido Verucci — si hanno nel 1818 solo 1 casa religiosa maschile e 2 femminili, e in quella di Bergamo, nel 1825, 1 maschile e 3 femminili, contro 24 maschili e 34 femminili esistenti alla fine del Settecento". Anche la politica giurisdizionalistica attribuibile all’impero austriaco, almeno fino al Concordato del 1855, avrà la sua parte di responsabilità nell’ostacolare la rinascita religiosa, ciò favorira’ il distacco popolare dall’autorità imperiale attenuando l’ostilità del mondo cattolico verso le società segrete e le forze rivoluzionarie. Nel mondo cattolico fioriscono nuove forme di apostolato, fra le quali alcune specificamente sorte per combattere la Rivoluzione sul piano culturale, come il movimento laicale Amicizia Cristiana — Cattolica dopo il 1815 —, diffuso soprattutto nell’Italia Settentrionale, e nascono numerosi giornali contro-rivoluzionari come L’Enciclopedia ecclesiastica e morale, pubblicata a Napoli nel 1821 dal teatino Gioacchino Ventura (1792-1861), le Memorie di religione, di morale e di letteratura, fondate a Modena nel 1822 da monsignor Giuseppe Baraldi (1778-1832), e L’Amico d’Italia, sorto a Torino nello stesso anno per iniziativa del marchese Cesare Taparelli d’Azeglio (17631830). Ma il periodo napoleonico lascerà segni profondi e duraturi soprattutto sul piano giuridico: "Indipendentemente da ogni considerazione del suo contenuto normativo sostanziale — ricorda Guido Astuti (1910-1980) —, la vera novità e originalità del C. N. [il Codice Napoleone] sta nel valore giuridico formale della codificazione, compiuta in attuazione di nuovi principi teorici, che la differenziano nettamente da tutte le precedenti compilazioni o consolidazioni legislative, determinando una radicale trasformazione del sistema delle fonti del diritto, e con essa l’inizio di una nuova età nella storia della nostra civiltà giuridica. "Ad un ordinamento fondamentalmente consuetudinario e giurisprudenziale, quale era stato nei secoli il diritto civile, dai tempi di Roma fino a tutto il secolo XVIII, il codice sostituiva un ordinamento interamente legislativo, in cui la volontà sovrana del legislatore si poneva come fonte di produzione unica, o almeno tendenzialmente esclusiva di fronte alla consuetudine e alla giurisprudenza; ad un sistema come quello del diritto comune, caratterizzato da una pluralità e gerarchia di fonti, quale si era venuto svolgendo nel pluralismo politico e nel particolarismo giuridico dei secoli di mezzo, sulla duplice base del privilegio e dell’autonomia, succedeva il sistema del diritto codificato, costituito da un solo testo legale, contenente un complesso normativo unitario, sistematicamente ordinato e suddiviso in articoli, in cui materiali vecchi e nuovi, di diversa derivazione e natura, erano insieme rifusi ed uniformemente presentati con formule concise e precise, come parti organiche di un unico corpo". Dopo il Congresso di Vienna Negli anni successivi al Congresso di Vienna l’opera della Rivoluzione continua all’interno degli Stati italiani sia a livello delle società segrete che del personale governativo. Già nel 1816 Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa (1768-1838), uno dei principali rappresentanti della posizione contro-rivoluzionaria in Italia — cioè di una riforma culturale e civile prima che politica, che restaurasse i princìpi del diritto naturale e cristiano e abolisse tutte le riforme rivoluzionarie introdotte durante il ventennio napoleonico e anche nel tempo del dispotismo illuminato — è costretto a dimettersi da ministro della polizia nel Regno di Napoli per volere del primo ministro Luigi cavalier de’ Medici, principe di Ottaiano e duca di Sarno (1759-1830), favorevole al mantenimento delle riforme illuministiche. Pochi anni dopo, nel 1819, il conte Prospero Balbo (17621837), un liberale già funzionario del regime napoleonico, è nominato primo segretario di Stato per gli Affari Interni del Regno di Sardegna. Così, mentre in tutti gli Stati italiani vengono mantenuti i codici napoleonici, cioè le principali conquiste rivoluzionarie, e le classi dirigenti, civili e militari, continuano a essere ampiamente caratterizzate dalla presenza di ex collaboratori dei regimi napoleonici, le forze liberali si organizzano per far compiere alla società un nuovo passaggio rivoluzionario. Nel dicembre del 1818, ad Alessandria, Filippo Buonarroti (1761-1837) fonda la società segreta dei Sublimi Maestri Perfetti, organismo con il quale cercherà di controllare la rete delle società segrete operanti nel paese, fra cui la Federazione Italiana guidata dal conte Federico Confalonieri (1785-1846), operativa soprattutto in Lombardia, la Costituzione Latina, nata nelle Legazioni pontificie dalla fusione di elementi della Carboneria con uomini della Società Guelfa, e, soprattutto nel Meridione, la stessa Carboneria. L’influenza nel corpo sociale delle società segrete insieme a quella degli elementi liberali presenti nei governi prepareranno il crollo degli Stati della Restaurazione sotto la pressione del Regno di Sardegna, dopo il 1848 guadagnato alla causa rivoluzionaria e forte dell’appoggio degli Stati francese e inglese. LA (INUTILE) RESTAURAZIONE Il termine che all'inizio fu impiegato in Francia per indicare l'età del ristabilimento sul trono del ramo primogenito dei Borboni, passò ben presto a designare l'epoca della storia dell'intera Europa che va dal 1815 al 1830, caratterizzata dal ritorno nelle monarchie restaurate dopo la caduta di Napoleone, del principio di legittimità del diritto divino in contrapposizione al principio di legittimità democratico affermato dalla Rivoluzione Francese. Ma se il legittimismo fu un carattere essenziale di quell'epoca, la restaurazione non fu un movimento storico puramente reazionario che mirava al semplice ritorno dell'ancien régime. Soltanto in pochi casi come nella Spagna di Ferdinando VII ed in alcuni principati tedeschi ed italiani (per esempio Napoli), i sovrani adottarono linee di condotta decisamente reazionarie, reprimendo ogni nuovo fermento . Per la maggior parte, gli stati d'Europa furono retti o con il regime costituzionale (piuttosto vago) o con una forma di assolutismo paternalistico: Luigi XVIII non si mostrò favorevole agli "ultras", fautori dell'estrema destra; e lo stesso Metternich costrinse Ferdinando di Napoli a disfarsi del ministro Canosa per i suoi metodi reazionari. Durante la Restaurazione furono in genere mantenuti il nuovo sistema amministrativo ed i nuovi codici, così come furono legittimati gli acquisti di beni ecclesiastici e feudali avvenuti durante il periodo della Rivoluzione. Non va neppure taciuto che l'età della Restaurazione fu caratterizzata da un'abile opera di ricostruzione economica e finanziaria e da un'accorta politica intesa al mantenimento della pace tra le potenze europee. Ciononostante la Restaurazione fallì nel suo compito fondamentale, e cioè nell'attuazione di una conciliazione del passato con il presente, perché disconobbe le nuove esigenze di libertà, di democrazia e di nazionalità, potentemente portate alla ribalta dalla Rivoluzione e diffuse in Europa da Napoleone. "Quale gioventù é mai questa che io lascio! Essa é nondimeno opera mia! E vendicherà abbastanza gli oltraggi ch'io soffro, colle chiare opere che da essa usciranno"... "Ma non iscorgono essi che uccidono in me se medesimi colle proprie mani?" (Da Sant'Elena, Memoriale). Il 1848 era ancora lontano, ma la pagina era già stata scritta! Tali nuovi princìpi, si andavano sempre più affermando nonostante il rigore delle polizie. L'impiego della Chiesa come "instrumentum regni", nel tentativo di tenere a freno le nuove generazioni coll'educazione religiosa, cagionò, al contrario, il sorgere del Cattolicesimo liberale. I popoli intendevano rinnovare la vita dello Stato e chiedevano di partecipare al potere pubblico, e l'abile Concerto degli Stati europei architettato da Metternich non poteva contrastare che temporaneamente, l'imporsi delle tendenze liberali e democratiche. Il tentativo di Carlo X, con la collaborazione del principe de Polignac, d'instaurare in Francia un regime autenticamente controrivoluzionario, provocò invece la rivoluzione del Luglio del 1830 : questa rivoluzione, anche se i suoi effetti non si diffusero durevolmente in Europa, segnò la fine della restaurazione. Dopo Napoleone era inutile far finta di nulla, l'Europa non era più quella di prima. Nel '20-'21 erano iniziati i primi fermenti e primi moti (quelli di Napoli, seguiti da quelli Piemontesi); nel '31 divennero numerosi e consistenti i tumulti e le ribellioni; nel '48 esplosero, e questa volta non solo in Francia, in Italia, in Germania, ma nella stessa Austria, e Metternich fu messo alla porta. Ma la politica austriaca non cambiò molto soprattutto nei confronti dell'Italia . Dal '48 in poi "gli Asburgo seminarono malcontento su tutta Europa" (lo scrive il tedesco Alessandro Assia - fratello della zarina, parente dei Windsor, insofferente luogotenente austriaco a Milano, infine consigliere del giovane Francesco Giuseppe a Villafranca) con scellerate alleanze e con ambigui patti (spesso originati da dissapori e antipatie familiari come gli Assia, i Romanov, i Savoia, i francesi di Napoleone III). Iniziarono gli Austriaci -perché ambigui- ad essere sempre più isolati, dalla Russia zarista, e soprattutto dalla Prussia diventata Germania. Il colpo di grazia alla fine arrivò nel 1914. Nell'incapacità di mettersi d'accordo, all'esterno come all'interno, crollarono così tre imperi storici. E i belligeranti (e non solo quelli perdenti) uscirono dal conflitto tutti sconfitti, in quanto la guerra segnò - se non la causò direttamente - uno spostamento della potenza internazionale dall'Europa all'America da un lato, alla Russia sovietica dall'altro. Per rimanere da quel momento in avanti (i 2 blocchi) i soli padroni assoluti dell'Europa, nella Prima Guerra Mondiale, che diede poi origine - dopo una pausa- anche alla Seconda. Lo sviluppo economico europeo e la questione sociale Durante gli ultimi decenni del XVIII secolo e la prima meta' del XIX ebbe luogo la cosiddetta "rivoluzione industriale", provocata dall'impiego di nuove fonti di energia, dall'invenzione delle prime macchine industriali e, conseguentemente, dalla radicale trasformazione dei metodi di produzione. Iniziata in Inghilterra, per molteplici ragioni di cui la più importante fu il fortissimo incremento demografico e quindi l'accresciuta domanda di beni di consumo, questa rivoluzione era destinata a sconvolgere, nel campo economico e sociale, tutte le vecchie abitudini, a modificare i rapporti tra imprenditori e lavoratori. Le prime ad affermarsi furono le industrie tessili, ma in seguito, a causa della crescente richiesta di macchinari, importantissima divenne l'industria meccanica e siderurgica; l'industria estrattiva ebbe di conseguenza un enorme incremento. Le nuove macchine rivoluzionarono anche i mezzi di trasporto: nel 1807 lo statunitense Fulton costrui' la prima imbarcazione a vapore; nel 1814 l'inglese Stephenson applico' la macchina a vapore a una locomotiva. Contrariamente a quanto succedeva in Inghilterra, in Italia l'agricoltura rimase l'attivita' prevalente, mentre assai meno favorita fu l'industria, fatta eccezione per quella tessile del nord. In Inghilterra e poi in tutta Europa la rivoluzione industriale ebbe gravi ripercussioni sociali; i progressi dell'agricoltura e l'aumento demografico provocarono una forte emigrazione verso i nuovi centri industriali. Questi lavoratori, che per l'eccesso di manodopera vivevano nella paura della disoccupazione ed erano costretti ad accettare inumane condizioni di lavoro, costituirono una nuova classe sociale cui fu dato il nome di proletariato. Fin dai primi decenni dell'800, fremiti di ribellione cominciarono a scuotere le masse operaie e la "questione sociale" si impose in tutta la sua gravita'. Agli sforzi del proletariato di organizzarsi per difendere i loro diritti vennero incontro i primi assertori del socialismo. In Inghilterra, Robert Owen introdusse per primo nelle sue fabbriche innovazioni igieniche e sanitarie e mise in atto importanti esperimenti di collaborazione tra padroni e operai; alla sua azione sociale fece riscontro sul piano politico il "movimento cartista". In Francia Saint-Simon e Proudhon elaborarono teorie per una diversa organizzazione della societa'. Karl Marx contrappose a questo socialismo, che egli giudicava utopistico, il proprio socialismo scientifico, pubblicando insieme a Friedrich Engels il MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA. La crisi della Santa Alleanza La politica di equilibrio che aveva in gran parte ispirato il congresso di Vienna fu messa alla prova nel 1821 quando, sulla scia dei moti rivoluzionari della Spagna, di Napoli e del Piemonte, si accesero in Grecia numerosi focolai di rivolta contro la dominazione turca. L'impero ottomano si estendeva sull'Africa settentrionale, il Medio Oriente, l'Anatolia e i Balcani; di fatto la sua autorità era molto debole e divisa fra i vari pascià (o viceré) e principi locali. Le grandi potenze (Austria, Russia, Gran Bretagna, Francia) ambivano a raccogliere l'eredita' dell'impero ottomano, ma ciascuna voleva impedire che le altre ricavassero dallo sfacelo di quest'ultimo vantaggi eccessivi. Perciò, mentre gli ambienti liberali di tutta Europa appoggiavano generosamente gli insorti greci, i governi delle grandi potenze mantenevano un cauto atteggiamento e si studiavano a vicenda. Nel 1827 il caso venne in aiuto dei Greci che avevano duramente lottato per la libertà: la battaglia di Navarino, ingaggiata per cause fortuite e conclusasi con la distruzione della flotta ottomana, sanci' praticamente l'indipendenza della Grecia. La catena di reazioni contro i regimi assolutisti registro' un altro episodio in Francia, nel luglio 1830, quando la borghesia liberale parigina, esasperata dalla politica oppressiva di Carlo X, suscito' una rivolta che si concluse con la fuga del re. Il trono fu offerto a un nobile di idee progressiste, Luigi Filippo d'Orleans, il quale si affretto' a concedere una costituzione liberale. L'avvento al trono di Luigi Filippo suscito' fra i liberali di tutta Europa speranze che sfociarono in due episodi. Nel 1830 i belgi si sollevarono contro l'unione con gli Olandesi, cui li aveva costretti il congresso di Vienna. Francia e Gran Bretagna, che avevano interesse a indebolire il regno dei Paesi Bassi, appoggiarono i belgi, bloccando un progetto di intervento repressivo della Santa Alleanza. Più sfortunati furono i Polacchi e i Modenesi. I primi, sollevatisi a Varsavia contro la dominazione zarista, non ricevettero alcun aiuto esterno e la loro rivolta fu soffocata dai Russi. I secondi insorsero nel 1831 confidando nell'aiuto di Luigi Filippo. La ribellione si estese subito ad altre citta' dell'Emilia, ma l'intervento francese non ci fu, e l'insurrezione fu, ancora una volta, domata dagli Austriaci. Le idee liberali, tanto dibattute in Europa in questo periodo, ebbero un riflesso, ma pacifico e forse più costruttivo che altrove in Gran Bretagna. Il partito della borghesia liberale (gli whig), andato al potere, introdusse importanti riforme, come quella elettorale, che più tardi sarebbero state un punto di riferimento per le democrazie del continente. *** IL CONGRESSO DI LUBIANA *** IL VOLTAFACCIA DI FERDINANO I *** LA RIVOLUZIONE NAPOLETANA STRONCATA *** LA RIVOLUZIONE PIEMONTESE Iniziamo con una panoramica generale sull'intero anno La "Santa Alleanza", al congresso di Lubiana dove è atteso FERDINANDO I, le tre potenze, Austria, Prussia e Russia, intendono riconfermare le decisioni già prese a Troppau a dicembre. Interventi militari su quei territori dove sono "già in atto", o si verificheranno d'ora in avanti, moti rivoluzionari di qualsiasi genere. Questa formula "già in atto" significa che hanno già deciso a dicembre di intervenire sul regno di Napoli, senza neppure l'approvazione del re borbonico. Ferdinando, quasi offeso, aveva deplorato la decisione comunicata al suo ambasciatore, e aveva subito dichiarato che solo alla presenza del re di uno stato sovrano si potevano prendere certe decisioni; anche perché la situazione non era affatto grave ed egli si stava impegnando a dare ai suoi sudditi una costituzione meditata. Aveva quindi chiesto di partecipare all'incontro delle grandi potenze a Lubiana in questo inizio gennaio. 8 GENNAIO - Ferdinando I, con tanto ottimismo, raggiunse Lubiana. Il Congresso iniziava il 26 gennaio, quindi è presumibile che il re di Napoli si é incontrato con gli altri convenuti e portato a conoscenza il programma costituzionale che aveva concesso nel suo regno senza dover ricorrere a una sanguinosa repressione; figuriamoci se ora era necessario il minacciato intervento militare austriaco. Insomma era quanto mai inopportuno applicare la punitiva linea di condotta che avevano concordato e deciso le grandi potenze a Troppau lo scorso anno, senza nemmeno averlo consultato e senza conoscere esattamente la situazione del suo Paese. 11-12 GENNAIO - TORINO -Metternich - che era l'ispiratore della linea "intervento repressivo" - dopo i moti di Napoli - temeva fortemente le emulazioni dei liberali in altre città, e non si sbagliava. Le agitazioni andate così a buon fine a Napoli stavano alimentando altre cospirazioni in altri Stati italiani. In Piemonte c'erano già degli emulatori del generale Pepe. Ci volevano dunque delle "punizioni" esemplari per stroncare già sul nascere le rivolte. Se non erano sufficienti le forche per i cospiratori, bisognava impiegare l'esercito e prendere più drastici provvedimenti. E soprattutto agire subito. 26 GENNAIO - La "punizione" di METTERNICH su Napoli non si fece attendere. FERDINANDO I era partito da Napoli per Lubiana per farsi ascoltare dai "grandi", e nutriva persino la speranza di essere apprezzato come mediatore di pace, visto che nel concedere una monarchia costituzionale ai liberali - ispirandosi alla saggezza, sottolineava - a qualche privilegio lui aveva rinunciato. Lo attende invece un'umiliazione. Il riconoscimento dato ai moti guidati dai militari, la Costituzione offerta con il giuramento, e le aspettative che lui e suo figlio Francesco hanno concesso ai "ribelli" "rivoluzionari" "disertori" - così considerati da i "grandi" riuniti al congresso - sono condannate e respinte in blocco a Lubiana. Austria, Prussia e Russia impartiscono subito disposizioni alle sedi diplomatiche di non riconoscere il nuovo Stato di Ferdinando I. Una vera e propria esautorazione! Contemporaneamente, partono gli ordini per far muovere un potente esercito austriaco su Napoli, per ripristinare l' ordine ed affrontare il ribelle esercito napoletano, guidato dal "traditore" generale Pepe. 23 FEBBRAIO - Mentre l'esercito austriaco sceso in Italia sta già attraversando i territori del Regno Pontificio (prontamente concessi dal papa), a Napoli il governo costituzionalista, determinato a difendersi, riceve da Lubiana l' enigmatico e assurdo ordine di Ferdinando I, "...desistere dal progetto difensivo, ma accogliere invece gli austriaci per il bene del Paese". 7 MARZO - Convinti che il re a Lubiana é minacciato e forse tenuto prigioniero, i napoletani non desistono, si organizzano e si spingono fino a Rieti per affrontarli; ma sono sconfitti da un esercito più forte e decisamente più numeroso. Il 21 MARZO gli austriaci occupano Capua, Caserta e Aversa. 25-25 MARZO - Il potente esercito austriaco entra nella città di Napoli, il giorno dopo alcuni reparti occupano la fortezza di Gaeta. Il 31 MARZO con la sistematica occupazione della città, si procede prima al disarmo totale dei cittadini - pena l'immediata fucilazione se sorpresi in possesso di armi - poi il 9 APRILE é istituita la corte marziale per i ribelli, si offrono persino premi per i denunziatori dei rivoluzionari. L'11 APRILE é nominato nuovamente il più famigerato capo della polizia: il principe di CANOSA, che Napoli ha già conosciuto per un breve periodo, nel 1816 all'inizio della restaurazione dei Borboni, ma che Ferdinando IV, aveva esonerato per la troppa fanatica e feroce azione repressiva di questo personaggio che screditava la corte, alimentando odio invece di placarlo. Così a Napoli con Canosa richiamato in servizio e a capo della repressione, ritorna il terrore. Sono arrestati tutti quelli che avevano fatto parte del Parlamento, e sono emesse condanne a morte per tutti i militari che avevano preso parte alla rivoluzione; in contumacia anche il generale Pepe. Destituiti tutti coloro che avevano ricevuto cariche e impieghi dal governo precedente, rigorosamente vietate le società segrete, altrettanta rigorosa la censura su ogni genere di stampa e proibite ogni tipo di manifestazioni e assembramento di gruppi di persone. 15 MAGGIO - FERDINANDO I, l'uomo che molti napoletani avevano creduto sincero, saggio, moderno, capace di non piegarsi davanti agli austriaci, si rivelò invece (questa fu l'impressione) di una doppiezza incredibile. Scortato dagli austriaci rientrò ufficialmente e pomposamente a Napoli. La restaurazione si compì rapidamente. Sul patibolo subito i due maggiori responsabili - gli ufficiali MORELLI e SALVATI; molti promotori finirono nelle regie galere, ma moltissimi si misero in salvo fuggendo in tempo quando capirono che il tradimento del re era un dato di fatto; La RIVOLUZIONE NAPOLETANA finiva in un modo triste e umiliante. Forse per la doppiezza di Ferdinando. Forse anche giustificata, perché lui stesso sperava che le altre potenze europee come la Francia e la Gran Bretagna, si sarebbero opposte all'intervento dell'Austria su uno Stato sovrano che non aveva -nella sollevazione- provocato nessun disordine pubblico. O forse Ferdinando pensò solo alla sua sopravvivenza. Si é anche scritto che quest'esito infelice, contribuì potentemente a diffondere il sentimento dell'unificazione nazionale,è la mitologia del Risorgimento, a dare ai moti una tinta patriottica e anti-austriaca; anche se non a livello di masse popolari, ancora isolate e poco influenti. Ma è indubbio che i fuggitivi, a migliaia, iniziarono a ingrossare le file dei futuri cospiratori in ogni parte d'Italia. L'Austria, dopo l'intervento a Napoli (e fra poco in Piemonte) apparve a tutti quella che era: non la garante degli Stati Italiani, ma la protettrice dei regimi più illiberali, e i suoi soldati i sicari degli Stati più oppressivi e repressivi. Insomma l'Austria cominciò a farsi odiare anche da chi ancora quest'anno - il SAVOIA in Piemonte - chiese il suo aiuto per stroncare i moti rivoluzionari esplosi dentro l esercito. Gli stessi moti, concepiti da quel gruppo di cospiratori, che poi scodellarono più tardi alla dinastia sabauda un regno: il Regno d'Italia Vittorio Emanuele, e ora il fratello Carlo Felice, appartenevano alla più ottusa monarchia, ma sorprese l'atteggiamento del giovane Carlo Alberto, che si era sempre ribellato al conservatorismo sabaudo e aveva dimostrato di essere un filoliberale. Invece sprecò il resto della sua vita - 30 anni - per capire da che parte doveva stare. Già, perché nel frattempo, mentre a Napoli si soffocava la prima vera rivoluzione liberale, che andava a iniziare il difficile cammino verso l'unificazione nazionale, il coraggio di PEPE, MORELLI, SALVATI e di altri 5000 anonimi, non moriva sul patibolo, l'audacia si era trasferita in Piemonte. Perché anche il tentativo rivoluzionario che ebbe luogo nel regno Sabaudo fu d'ispirazione e prodezza militare; i suoi capi erano tutti ufficiali membri dei circoli di corte. Perfino il legittimo erede al trono (lui, Carlo Alberto) il giovane ribelle della dinastia: ma che poi - nel momento di agire- purtroppo come doppiezza, si dimostrò non inferiore a Ferdinando I. Un inquietante e ambiguo personaggio Carlo Alberto, che si riscattò solo nei suoi ultimi giorni di regno, quando ripercorrendo tutti i suoi errori, ne trovò così grandi, che non seppe resistere al dolore, morì di crepacuore. E' quindi necessario ora, ritornare all'inizio dell'anno e ripercorrere gli eventi piemontesi che scorrono quasi in parallelo con quelli di Napoli, L'esempio napoletano indusse i liberali di altri stati italiani a passare all'offensiva. In Piemonte il conte Santorre di Santarosa si impegnò a organizzare un moto costituzionale. Ma come in quella di Napoli vi fu una disorganizzazione degli insorti: la repressione, fu facilitata anche dall'incertezza nell'azione manifestata dai liberali, dalle discordie interne fra moderati e radicali, dalla poca chiarezza dei programmi che caratterizzavano quei gruppi rivoluzionari; e soprattutto emerse l'isolamento dei patrioti dal resto della popolazione: la borghesia commerciale, industriale ed agraria, ancora debole ed immatura fu coinvolta solo marginalmente; e del tutto indifferente rimase la "plebe" contadina ed urbana che preferiva il semplice pane e non l'astratta libertà. E il primo ,anche se poco, lo riceveva dai "signori", ed erano questi ad avere in mano le unità produttive •TRADIZIONE CONTRO RIVOLUZIONE •I TEORICI DELLA RESTAURAZIONE:BURKE E DE MAISTRE •SALVARE LA RIVOLUZIONE, CONSERVARE LE LIBERTA’ •UNA NUOVA VISIONE DEL MONDO:IL ROMANTICISMO •AMBIGUITA’ DEL ROMANTICISMO •L’IDEA DI NAZIONE •LO SVILUPPO DEL SENTIMENTO NAZIONALE •LEGGITTIMITA’/LEGALITA’ TRADIZIONE CONTRO RIVOLUZIONE Due questioni furono al centro della discussione filosofica e politica:il giudizio sulla Rivoluzione francese e il rapporto con la nuova società industriale che prepotentemente veniva emergendo e che poneva problemi del tutto inediti.La Rivoluzione francese aveva rappresentato una contraddittoria miscela di speranze, paure, delusioni, amplificate in tutta Europa dall’espansionismo napoleonico: nessun intellettuale europeo della Restaurazione poté sottrarsi al compito di “pensare la rivoluzione”, il che condusse a riflettere non solo su un determinato evento storico, ma sull’intera civiltà europea e sulle sue prospettive.In particolare si istituì un serrato confronto critico con l’Illuminismo e con i suoi grandi princìpi: il primato della ragione, la libertà, l’uguaglianza, i diritti dell’uomo. I TEORICI DELLA RESTAURAZIONE:BURKE E DE MAISTRE Già nel 1790 l’inglese Edmund Burke(1729-97) aveva aperto il dibattito sulla rivoluzione.Burke giudicava la Rivoluzione francese per differenza rispetto alla Glorius Revolution inglese del 1688, che senza versare una goccia di sangue aveva dato vita a un sistema politico profondamente rinnovato.Egli condannava i francesi per aver rovesciato l’ordine costituito ispirandosi a princìpi astratti di libertà e uguaglianza e pretendendo di istituire una nuova legalità, i rivoluzionari avevano disgregato la società, invece di riformarla. Questa impostazione venne ripresa e radicalizzata in Francia da diversi pensatori, il maggiore dei quali fu il conte savoiardo Joseph de Maistre(1753-1821). Affermava de Maistre “la restaurazione della monarchia, che viene chiamata controrivoluzione, non sarà una rivoluzione contraria, ma il contrario della rivoluzione”. Questo per dire che errata e dannosa era non solo “quella” rivoluzione, ma ogni rivoluzione.De Maistre proponeva una visione della storia e dell’uomo alternativa a quella illuministica:una visione trascendente, fondata su valori religiosi, in contrapposizione al laicismo dominante nei Lumi. Egli giudicava la Rivoluzione francese una manifestazione del male. Al contrario degli illuministi, che concepivano la storia in termini di progresso e di incivilimento, de Maistre la interpretava come continua decadenza e scorgeva una salvezza per l’umanità solo nell’opera della Provvidenza, che avrebbe portato alla costruzione di un nuovo ordine: una nuova grande comunità cristiana degli stati europei, sul modello della res pubblica cristiana medievale anteriore alla riforma protestante.Una rinnovata alleanza fra trono e altare, nel quadro di una subordinazione del potere temporale a quello spirituale, questo era il progetto politico esposto da de Maistre. L’UOMO NON E’ LIBERO PER NATURA (da J. De Maistre Il papa) La radicale contrapposizione di de Maistre all’ illuminismo si fonda su una visione pessimistica dell’uomo, la cui ragione “ridotta alle sue forze individuali non è che un bruto la cui potenza si limita a distruggere”. Solo l’intervento di Dio può risollevare l’uomo. La critica della ragione illuminista conduce infine, in de Maistre, a un’istanza di risacralizzazione della società. Squisito il Rousseau quando comincia il suo Contratto sociale con questa massima rimbombante:L’uomo è nato libero, e dappertutto si trova in catene! In tutti i tempi e in tutti i luoghi, sino alla fondazione del Cristianesimo, anzi sino a che questa Religione non fu penetrata sufficientemente nei cuori, la schiavitù è sempre stata considerata come uno strumento necessario nel governo delle nazioni, nelle repubbliche come nelle monarchie. Chi ha sufficientemente studiato questa trista natura, sa che l’uomo in generale, abbandonato a se stesso, è troppo malvagio per essere libero. Che ciascuno esamini l’uomo nel suo proprio cuore, e sentirà che dovunque sia data a tutti la libertà civile, non vi sarà più mezzo, senza un qualche soccorso straordinario, di governare gli uomini in corpo di nazione. Dovunque, un piccolissimo numero ha condotto un grande, poiché senza un’aristocrazia più o meno forte, la sovranità non ha abbastanza vigoria.Nessuno ignora che l’universo, fino al Cristianesimo, è sempre stato coperto di schiavi e che i sapienti non hanno mai biasimato tale usanza. Questa proposizione non si scuote. Così il genere umano è in parte naturalmente servo, e non può essere tolto da questo stato di cose se non soprannaturalmente. SALVARE LA RIVOLUZIONE, CONSERVARE LE LIBERTA’ M.me se Stael(1766-1817), uno dei personaggi più significativi della cultura europea della Restaurazione, nel suo libro Considerazioni sui principali avvenimenti della Rivoluzione francese(1818) condannava la rivoluzione giacobina e il Terrore, ma difendeva il 1789. La rivoluzione dell’Ottantanove non era stato un atto arbitrario, ma il punto di approdo di una secolare lotta contro il dispotismo:si trattava di recuperare i principi fondatori come guida per uscire dalla crisi della società francese.Su questa scia si mosse tutto il pensiero liberale francese della prima metà dell’Ottocento, che ebbe in Benjamin Constant(1767-1830) il suo più lucido e autorevole interprete. Nella sua opera più importante, La libertà degli antichi comparata con quella dei moderni(1819), afferma che mentre nella civiltà classica la libertà era consistita nell’esercitare collettivamente la sovranità,per i moderni la libertà significava essenzialmente essere soggetti alle sole leggi, poter esprimere il proprio pensiero, esercitare arti e commerci, poter disporre della proprietà. La libertà è essenzialmente un sistema di garanzie fondamentali, tra le quali l’autonomia della sfera privata. Nemici di tale concezione della libertà erano per Constant sia i tradizionalisti, contrari all’affermazione dei diritti dell’ individuo, sia i giacobini, che sulla scorta di Rousseau inseguivano un egualitarismo astratto e non riconoscevano alcun limite alla sovranità popolare. Tra questi due estremi, Constant proponeva la ricerca di un “giusto mezzo”, una costituzione che garantisse le libertà fondamentali, la separazione dei poteri, il controllo del governo da parte del parlamento. UNA NUOVA VISIONE DEL MONDO: IL ROMANTICISMO Lo sfondo comune a gran parte degli orientamenti politici e culturali dell'Europa del primo Ottocento è costituito dal cosiddetto ROMANTICISMO: questo termine designa un movimento essenzialmente artistico e letterario, che ebbe però grande rilevanza anche sul piano filosofico e politico.L’etichetta “Romanticismo”, certamente inadeguata a esprimere la complessità di un’atmosfera culturale che ebbe molteplici sfumature e interpretazioni, è tuttavia utile per raccogliere sotto un unico concetto un patrimonio di idee e una sensibilità che furono comuni alla maggior parte degli intellettuali del tempo. Il romanticismo si costituì in aperta opposizione ai princìpi fondamentali del razionalismo illuminista. Al primato della ragione i romantici contrapposero il valore del sentimento, della fantasia, dell’intuizione; al cosmopolitismo settecentesco, l’esaltazione dell’identità nazionale; all’esaltazione del presente opposero la rivalutazione della storia, delle tradizioni, della dignità di ogni epoca del passato; contro il razionalismo deista o l’ateismo teorizzarono il sentimento religioso quale componente fondamentale della vita dell’uomo. I romantici interpretarono la natura non come un meccanismo governato da leggi fisiche, esprimibili attraverso rapporti matematici, ma come un tutto vivente, un insieme organico di forze vitali, capace di parlare al sentimento e alla fantasia dell’uomo. AMBIGUITA’ DEL ROMANTICISMO Astrattezza e intellettualismo; incapacità di comprendere la vita; tendenza a negare qualsiasi valore alle differenze, rinchiudendo ogni fenomeno entro la gabbia di concetti falsamente universali: questi gli errori fondamentali della mentalità illuminista secondo la cultura romantica. Questa critica portava con sé una profonda ambiguità: se da un lato metteva in luce alcuni limiti del razionalismo settecentesco, dall’altro poté condurre alla rivalutazione del sentimentalismo, del misticismo, di una religiosità e di istituzioni ormai tramontate, come quelle caratteristiche della società medievale. Questa ambiguità costitutiva del Romanticismo è particolarmente evidente nell’ambito politico. La polemica contro l’illuminismo e contro la Rivoluzione francese poté dare vita sia a un tradizionalismo reazionario sia alla lotta per il riscatto e l’indipendenza dei popoli oppressi in nome della nazione. L’IDEA DI NAZIONE Proprio al Romanticismo spetta il merito di avere dato grande diffusione al concetto di nazione. Per la verità, i primi a parlare di nazione in senso moderno furono i rivoluzionari francesi. La parola aveva per loro un significato rivoluzionario e antifeudale: indicava che tutti i francesi costituivano un gruppo di uguali, senza distinzione di nascita o di ordine. Rivelava una nuova fonte della sovranità, poiché la nazione non veniva più indicata con il monarca, come voleva la concezione assolutistica del potere. Infatti, per esempio, il campione dell’assolutismo monarchico, Luigi XIV, era solito dire: “Letat c’est moi”, lo Stato sono io. Il principio di ogni sovranità risiede nella nazione. Questo nuovo concetto giuridicosociale di nazione venne affermato immediatamente dal Terzo stato, con l’atto stesso del costituirsi in “Assemblea nazionale”. LO SVILUPPO DEL SENTIMENTO NAZIONALE La matrice teorica di questa idea di nazione si trova in Rousseau e nella sua concezione della sovranità popolare fondata sulla “volontà generale” che unisce tutti i cittadini in un unico corpo. Nella cultura tedesca maturò una diversa idea di nazione, di natura non più giuridico-sociale, ma etnica, linguistica e religiosa: una nazione intesa come comunità di sangue, di lingua e di cultura. Questa idea, avanzata già nel Settecento da Herder(1744-1803), fu poi sostenuta da altri intellettuali romantici tedeschi, come il filosofo Fichte(1762-1814) e si diffuse ampiamente per reazione al dominio di Napoleone. I francesi vennero combattuti e avversati proprio in nome di quella idea di nazione che essi per primi avevano portato sulla scena della storia. Caduto Napoleone, gli ideali nazionali continuarono ad alimentare l’opposizione contro l’ordine imposto dal congresso di Vienna, particolarmente presso quei popoli i cui diritti erano stati maggiormente violati nella nuova sistemazione dell’Europa. Perciò l’idea di nazione sostenne programmi politici di carattere liberale e democratico, sia all’interno dei singoli stati sia nel concerto delle nazioni. ROUSSEAU (1712-1778) Sommario: Discorso sulle scienze e sulle arti; Discorso sull'origine della diseguaglianza; il Contratto sociale; l'Emilio; le idee religiose Il saggio che darà una certa notorietà a Rousseau fu il Discorso sulle scienze e sulle arti (1750), che egli aveva scritto in seguito ad un concorso indetto dall’Accademia di Digione sul tema: "La rinascita della scienza e delle arti ha contribuito a corrompere o a purificare i costumi?". Il breve scritto di Rousseau, che otterrà il primo premio, rivelò una personalità originale, con una forte determinazione ad andare al cuore dei problemi e desiderosa di rinnovamento e di rigenerazione radicale della società. In apparenza, l’assunto del giovane Rousseau sembrava sostenere che le scienze e le arti non hanno contribuito al progresso bensì al regresso della civiltà, fiaccando gli animi e distogliendoli dal perseguimento delle più autentiche virtù civili e sociali. In realtà, il Discorso non criticava né la cultura né il sapere in sé. Li criticava solo quando non operavano per il miglioramento dell’umanità, rendendosi talora persino complici del rammollimento dei costumi. Non dimentichiamo le responsabilità politiche che scienze ed arti hanno avuto (ed hanno) nello sviluppo del dispotismo repressivo degli Stati moderni. Rousseau vagheggia invece la polis dell’antichità, cioè è convinto che la mirabile armonia tra individuo e comunità, tra cultura e politica che fu un tempo di Atene e Sparta, dovrebbe essere il traguardo ambìto anche delle nazioni moderne. Molto più controllato, anche se altrettanto radicale, è il Discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini (1754), che Rousseau scrisse per un altro concorso, sempre bandito dall’Accademia di Digione. Egli esordisce dicendo che l’uomo di natura non è tanto un essere buono quanto un essere dotato di tendenze e istinti positivi. Per natura l’uomo è solo aperto al rapporto intersoggettivo ed è solo sollecitato, dall’istinto di perfettibilità, al proprio perfezionamento. Rousseau non confonde lo stato di natura con la mitica Età dell’Oro o col Paradiso Perduto; non crede che esso sia la sorgente di tutti i beni e di tutti i valori. E soprattutto per lui lo stato di natura "non esiste più, forse non è mai esistito e probabilmente non esisterà mai". Esso è dunque piuttosto una ipotesi, un paradigma valutativo e non qualcosa di reale. Riguardo poi l’origine della vita sociale, Rousseau non la identifica tanto con l’istituzione di un patto o di un contratto quanto con una rete assai più complessa di inclinazioni, bisogni, sentimenti. L’essenza della socialità è dunque cosa positiva : ciò che non è certo è che il suo sviluppo sia altrettanto positivo. Anzi fin dall’inizio l’egoismo, la brama di potere, il complicarsi delle relazioni generano il male e il conflitto sociale, che è anche conflitto umano. Rousseau vuole fare un discorso politico ed individuare una causa cui concretamente imputare l’origine del male,tale causa viene identificata con l’istituzione della proprietà privata. La proprietà privata produce una disuguaglianza economica che tende rapidamente a coincidere con una disuguaglianza sociale e politica. Chi possiede, ha anche il potere. Il potere, in una spirale perversa, genera altro potere. L’élite dei proprietari è quella stessa che costituirà il sistema giuridico : un sistema iniquo perché finalizzato alla autoconservazione della forza e dell’autorità e alla perpetuazione della disuguaglianza. Nel 1762 Rousseau pubblica il Contratto sociale. In quest’opera si respira un’ansia di emancipazione per cui egli vorrebbe trasformare la realtà : creare una società libera ed egualitaria per rigenerare l’umanità. Il problema più arduo è mediare tra due realtà che Rousseau ritiene assolutamente certe e oggettive : da un lato che l’uomo è e deve restare libero; dall’altro che la società implica un ordine e quindi delle rinunce. Rousseau ritiene che sia possibile trovare una soluzione ripensando alla genesi della società. Il filosofo inglese Hobbes aveva affermato che solo una cessione generale di tutti i poteri da parte di tutti gli individui garantiva la tutela dell’uguaglianza tra i membri della società. Anche Rousseau parla di una alienazione totale, di ciascun associato, con tutti i suoi diritti, alla comunità. Egli pone però l’accento sul momento della comunità. In altre parole, per Rousseau l’uomo è persona e la società è un corpo vivente; la salute della società dipende dall’essere dei singoli cittadini; si deve perciò puntare ad una integrazione cooperante tra uomini e società (da ciò deriva anche la strettissima connessione, nell’opera di Rousseau, tra la riflessione sociopolitica e quella psicologico-antropologicopedagogica, come vedremo tra breve nell’Emilio). Infatti solo individui opportunamente rigenerati permetteranno una radicale trasformazione della società. Secondo Rousseau, i cittadini, pur alienando tutti i loro diritti alla comunità, che ne ricava un massimo di autorità, restano liberi. E restano libri non solo in quanto acquistano uno stato di assoluta uguaglianza reciproca tutelata dalla legge, ma anche in quanto partecipano attivamente alla vita comunitaria, in quanto gestiscono direttamente il potere politico. Rousseau ha compreso, con grande acume, che una delle possibili matrici della illibertà risiede proprio nella delega del potere da parte del complesso dei cittadini ad un gruppo di essi. Tale delega appare a Rousseau comunque dannosa. La sovranità andrebbe attribuita invece al solo io comune del popolo. Solo il popolo è il legittimo titolare del potere. In più, il popolo può bensì affidare per motivi di convenienza pratica la gestione degli affari pubblici ad appositi deputati, ma costoro non devono essere considerati in alcun modo i depositari di una sorta di potere separato. L’ideale politico delineato da Rousseau si incarna in una comunità di non grandi dimensioni, in cui il cittadino sia, insieme, governato e governante (dietro tutto ciò c’era forse il modello di Ginevra). Ma un modello politico del genere è concretamente realizzabile? Rousseau risponde che l’uomo non è solo istinto, mera volizione egoistica e cieca; egli è anche ragione, coscienza, riflessione. Perciò può riuscire a guardare al di là del proprio perimetro soggettivo, e cogliere valori più ampi, e partecipare ad istanze che lo trascendono, pur restando anche sue proprie istanze. Questa capacità gli consente di ascoltare una volontà che non è la sua semplice volontà individuale, ma è la cosiddetta volontà generale. Essa è la voce della collettività, l’espressione degli interessi socialmente costituiti, la prospettiva rivolta costantemente all’utilità generale. essa è un’espressione di noi stessi, del nostro essere uomini. Obbedendo alla volontà generale, l’uomo obbedisce pertanto a se stesso, anzi, alla parte più razionale e morale di se stesso; per questo una tale obbedienza pone in essere la sola libertà degna di questo nome. In breve, l’uomo è propriamente tale solo in quanto è cittadino che coglie ed accetta le esigenze profonde e razionali della società. Nello stesso anno in cui è pubblicato il Contratto sociale, esce anche l’Emilio, e non a caso. L’opera delinea infatti un modello di uomo senza il quale il modello di società delineato nel Contratto sociale non poteva neppure essere pensato. L’educazione si configura per Rousseau come quell’intervento attraverso cui si può plasmare un’umanità capace di vivere, anzi di convivere, secondo i dettami della giustizia e della ragione. Prima che all’istruzione di un fanciullo e alla preparazione di un adulto o, meglio, di un cittadino, Rousseau punta alla formazione di un uomo : "Vivere è il mestiere che gli voglio insegnare. Uscendo dalle mie mani, egli … sarà prima di tutto un uomo : tutto quello che un uomo dev’essere, egli saprà esserlo, all’occorrenza, al pari di chiunque : e per quanto la fortuna possa fargli cambiare condizione, egli si troverà sempre nella sua" (cfr. Emilio, libro 1°). Il principio-guida dell’opera di Rousseau è costituito da una libertà ben guidata, non da una libertà capricciosa e disordinata. A tale scopo l’itinerario e l’ideale educativo deve essere graduale e rispettoso dei vari stadi di sviluppo. In primo luogo, il precettore non deve considerare il fanciullo come un adulto in miniatura : "La natura vuole che i fanciulli siano fanciulli prima di essere uomini. L’infanzia ha certi modi di vedere, di pensare, di sentire del tutto speciali; niente è più sciocco che voler sostituire ad essi i nostri". Rispettando tale sviluppo, dalla nascita ai dodici anni, bisogna badare all’esercizio intelligente dei sensi. Da qui l’esigenza di educare il fanciullo a sviluppare liberamente il bisogno di muoversi, di giocare, di conoscere il proprio corpo. E’ il periodo della cosiddetta educazione negativa, la quale consiste "non già nell’insegnare la virtù e la verità, ma nel garantire il cuore dal vizio e la mente dall’errore". Tale principio deriva dall’assunto che non vi è perversità nel cuore umano, che la deviazione e il vizio vengono dall’esterno. I vizi presi nell’età della prima formazione, quella che va appunto dalla nascita ai dodici anni, non saranno più sradicati : occorre perciò proteggere in ogni modo Emilio dalle influenze negative dell’ambiente, favorendo invece lo sviluppo delle sue inclinazioni naturali. L’educatore pianificherà ogni cosa affinché Emilio compia da sé le scoperte che costituiscono la sua conoscenza del mondo. Anche l’obbedienza, in questo periodo, sarà ottenuta con la pura autorità, senza discussione : "Adoperate la forza con i fanciulli e la ragione con gli uomini". Dai dodici ai quindici anni occorre sviluppare l’educazione intellettuale, orientando l’attenzione del ragazzo verso le scienze, dalla fisica alla geometria all’astronomia, attraverso un contatto diretto con le cose, allo scopo di cogliere le regolarità e le necessità della natura; si collegherà inoltre ogni conoscenza ad un’utilità riconoscibile dal ragazzo, che ricostruirà poi da sé i principi delle scienze. Dai quindici ai ventidue anni è il momento dell’educazione morale, sociale e religiosa. L’educazione alla virtù farà di Emilio un "uomo morale" : e la moralità consisterà nel sapere disciplinare le passioni, seguendo il lume della ragione e la voce della coscienza. Da ultimo, l’educazione politica preparerà Emilio alla vita sociale : imparerà a distinguere il giusto dall’ingiusto e agirà secondo l’accordo della sua volontà con quella generale della comunità. Potrà così diventare un buon cittadino ed un buon marito e padre (conoscerà Sofia, la sua futura sposa). L’ideale etico-religioso di Rousseau in quest’opera è esposto nel quarto libro, nella famosa Professione di fede del vicario savoiardo. Le verità fondamentali in cui tutti credono sono due : l’esistenza di un essere supremo e l’immortalità dell’anima. Rousseau dice di rifiutare la dottrina del peccato originale e la salvezza soprannaturale e propone invece una "professione di fede puramente civile, di cui spetta al sovrano fissare gli articoli". Tali articoli sono le due verità dette prima con in più "la santità del contratto sociale e delle leggi", e l’aggiunta di un dogma negativo, l’intolleranza. "Bisogna tollerare – sostiene Rousseau – tutte quelle religioni che a loro volta tollerano le altre, fintanto che i loro dogmi non contengano niente di contrario ai doveri del cittadino. Ma chiunque osi dire che fuori della Chiesa non c’è salvezza, dev’essere espulso dallo Stato". NOTA BIOBIBLIOGRAFICA Jean Jacques Rousseau nacque a Ginevra nel 1712 ed ebbe un’infanzia difficile : la madre morì di parto e il padre dovette ben presto lasciare la città. Il giovane Rousseau ricevette l’appoggio di Madame de Warens, una dama svizzera al servizio del re di Sardegna, che gli fece da matrigna e da amante. Durante questo periodo – in cui soggiornò ad Annecy (nella Savoia), Torino, varie località della Svizzera, Chambery – esercitò diversi mestieri e completò la sua formazione intellettuale con numerose letture. Separatosi da Madame de Warens, arrivò a Parigi ed entrò in contatto con gli Enciclopedisti. Scrisse parecchi articoli per la famosa Enciclopedia, tra cui alcuni di carattere musicale : si dilettava infatti anche di composizione, ed un suo melodramma fu persino rappresentato a Versailles, alla presenza del re. Nel 1757 interruppe i suoi rapporti con gli Enciclopedisti e si ritirò a Montmorency, dove scrisse La nuova Eloisa (1761), il Contratto sociale (1762), l’Emilio (1762). Poiché queste opere furono condannate sia dalle autorità parigine che ginevrine, si rifugiò a Neuchâtel, in un territorio svizzero ma soggetto al re di Prussia. Si trasferì per un po’ anche in Inghilterra, a Londra, su invito di Hume, ma poco dopo i rapporti fra i due pensatori di guastarono e Rousseau se ne tornò in Francia. Si ritirò, a causa delle cattive condizioni di salute, ad Ermenonville, dove morì nel 1778, dopo aver scritto un’autobiografia, che intitolò Confessioni. BIBLIOGRAFIA Rousseau, Opere, Sansoni LEGITTIMITA’/LEGALITA’ Il termine “legittimità”, riferito al potere politico, fu introdotto all’epoca del Congresso di Vienna dal negoziatore francese Talleyrand per sostenere, con successo, il diritto della monarchia borbonica a esercitare la sovranità sull’intero territorio francese. Il diritto della monarchia, legittimo per “grazia di Dio”(monarchia di diritto divino), veniva contrapposto a quello rivoluzionario e bonapartista, equiparato a una usurpazione. Per estensione, si indicano con il termine “legittimità” i sostenitori, nella prima metà dell’Ottocento, del potere dinastico e, in generale, i fautori di un ritorno a valori e comportamenti politici tipici della società di Antico Regime. Verso la fine dell’Ottocento, con il sociologo tedesco Max Weber, il concetto di “potere legittimo” è entrato nel dibattito scientifico, senza più alcuna connotazione di carattere politico: legittimo è per Weber quel potere che, in varie forme e modalità, viene riconosciuto tale dai cittadini. Diverso è il concetto di “legalità”: legale è un potere che viene esercitato secondo le leggi. La legittimità riguarda dunque la fonte del potere; la legalità il suo esercizio.