C.R.PinR.
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rivista semestrale del centro regionale progettazione e restauro
5/6
C.R.PinR.
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www.centrorestauro.sicilia.it
Regione Siciliana • Assessorato Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione
2008
novità editoriali 2008
I V O L U M I D E L L A C A RTA D E L R I S C H I O
SOM M ARIO
2 TEMARIO
progetti
3
L’ABITATO STORICO DI POGGIOREALE
Un Progetto-Pilota di carta del rischio. Criteri, tappe di
realizzazione, risultati
8
DIPINTI POLICROMI
Test di pulitura laser sugli intonaci negli ambienti della
Villa del Casale
9
INTONACI E MALTE DI ALLETTAMENTO
Indigini chimico fisiche e petrografiche nella “Villa” di
Piazza Armerina
ricerca
10 INCHIESTA NEL SOFFITTO
La copertura originaria lignea dipinta della cattedrale di
Nicosia
12 CINQUECENTINA AGOSTINIANA
De Ebrietate vitanda: la rara edizione della Biblioteca
dell’Archivio di Stato di Palermo
13 IL TIPOGRAFO DI DILLINGEN
Sebald Mayer stampatore controriformista nella patria di
Lutero
15 AGRUMI DELLA CONCA D’ORO
Memoria del paesaggio panormita
16 LE PERMANENZE AGRUMICOLE
I giardini delle dimore storiche
dossier
21 X CONFERENZA DEL COMITATO INTERNAZIONALE
PER LA CONSERVAZIONE DEI MOSAICI
laboriando
35 TRAME GARIBALDINE
Il risorgimento della Storia Patria in mostra
39 TRICOLORE IN DETTAGLIO MISURE E CROMIE
RIGENERATE
40 LA BANDIERA DEL LOMBARDO
Nota storica
41 ANDRIENNE, LIVREE E “VECCHI” ACCESSORI
Protocolli di conservazione per il guardaroba nobiliare
del Museo Pepoli
formazione
42 LEGHE E METALLI
Tirocinio didattico sulle metodologie di restauro
43 SUI MANUFATTI BRONZEI
Fusione, rinettura, tecniche di patinatura e aspetti
conservativi
44 LA “SFERA D’ORO”
Il restauro dell’ostensorio dell’Olivella
incontri & dibattiti
48 LE TERRE CRUDE NEL MEZZOGIORNO
Dalla Sicilia nuovi sviluppi per una architettura sostenibile
recensioni
52 LA CATENA DELLE TORRI
Fortificazione costiera tra storia e ambiente
54 RASSEGNA LIBRI
TEMARIO
C.R.P R.
informa
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C.R.P.R in/forma
n°5/6 2008
Rivista semestrale del Centro regionale
per la progettazione e il restauro e per le
scienze naturali applicate ai Beni culturali
Codice issn
2035-8717
Direzione scientifica
Guido Meli
Direttore responsabile
Antonio Casano
Consiglio di redazione
Antonio Casano
Rita Di Natale
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Roberto Garufi
Elena Lentini
Gioacchino Mangano
Ferdinando Maurici
Guido Meli
Giuseppa Maria Spanò
Fotografie
Gioacchino Mangano, Fabio Militello,
Ugo Nizza, Fabiola Saitta, Licia Settineri
Progetto grafico
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redazione: Via Cristoforo Colombo, 52
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Registrazione Tribunale di Palermo
del 9.2.2006 n°3
© Copyright 2008
Regione Siciliana - Assessorato
regionale dei Beni culturali ed
ambientali e della Pubblica istruzione
Centro regionale per la progettazione e
il restauro e per le scienze naturali
applicate ai Beni culturali
Vogliamo dedicare questo numero alla memoria di Padre Piccirillo, nostro grande e caro
amico distintosi nella sua vita non solo per l’immensa spiritualità, ma anche per la profonda sensibilità e comprensione delle ragioni dell’altro, esempio concreto della multiculturalità soprattutto in un’area, come la Terra Santa, così tanto travagliata dai conflitti. Per noi è stato un punto di riferimento morale e intellettuale fondamentale. Impareggiabile conoscitore di quel crocevia religioso -qual è il Medioriente- così ricco di testimonianze storiche, a lui la comunità culturale internazionale deve riconoscere il tributo
per essere stato un protagonista –diretto o indiretto– nelle tante campagne di recupero e
di conservazione programmate presso i siti archeologici di quel territorio.
Veniamo a riannodare il filo principale del “doppio-2008”. L’apertura dei materiali contenuti nei Progetti, racconta sinteticamente in questa sede (per l’approfondimento esaustivo si rimanda al volume editato dal CRPR) l’iniziativa, sviluppata nel contesto della
Carta del Rischio, messa in opera nell’abitato storico di Poggioreale: un modello pilota
per la pianificazione delle azioni di prevenzione nei casi di emergenza calamitosa per la
messa in sicurezza del patrimonio monumentale ed architettonico dei nostri centri storici. Come al solito manteniamo aperta la finestra sul corso dei lavori di recupero della
Villa Romana del Casale di Piazza Armerina. I “pezzi”, pur nella loro essenzialità, ci
offrono un quadro significativo dei test condotti sui dipinti policromi degli intonaci
parietali, mediante l’utilizzo della tecnica del raggio laser per il ripristino della leggibilità e la stabilizzazione delle raffigurazioni degli apparati decorativi. In uno con i test di
pulitura laser presentiamo il lavoro del gruppo di ricerca, composto da studiosi dell’Università del capoluogo siciliano, relativo ai primi risultati elaborati connessi al campionamento e alla caratterizzazione delle malte di allettamento dei mosaici pavimentali e
degli intonaci che rivestono le murature superstiti –all’interno e all’esterno degli
ambienti della Villa. Seguono le pagine della Ricerca che documentano una copiosa rassegna sull’attività di sperimentazione sul campo, vedi l’inchiesta diagnostica fisico-chimica effettuata sul soffitto ligneo della Cattedrale di Nicosia e la documentazione sulle
colture antiche che hanno reso famoso al mondo il paesaggio della Conca d’Oro e le permanenze agrumicole nei giardini delle dimore storiche del palermitano. Nella stessa
partizione segnaliamo la ricerca su una rara cinquecentina agostiniana (la De Ebrietate
vitanda), della quale si sottolinea anche il valore politico-religioso per il contesto in cui
è stata pubblicata da Sebald Mayer, il primo stampatore in quel di Dillingen, ossia quello della lotta tra riforma protestante e controriforma cattolica.
Il dossier stavolta mette in luce i contenuti emersi nel corso della X Conferenza del
Comitato Internazionale per la Conservazione dei Mosaici-ICCM, la cui organizzazione è stata affidata al CRPR, svoltasi dal 20 al 26 ottobre dello scorso anno a Palermo,
nella splendida cornice del complesso architettonico e monumentale ove ha sede il
Museo del Risorgimento della Società Siciliana per la Storia Patria. Un confronto serrato sul tema della conservazione dei mosaici, nello sforzo di definire in profondità la
codificazione del paradigma scientifico e metodologico, arricchito dalla ricerca sull’innovazione tecnologica, le cui refluenze sono oramai imprescindibili nell’applicazione
dei protocolli di restauro e di prevenzione: dalla diagnosi scientifica preliminare allo
studio sulla compatibilità dei materiali, dalla fruizione e protezione dei siti musivi alla
stabilizzazione microclimatica degli stessi.
La sezione della Formazione presenta un pacchetto di articoli omogeneo, legati fra loro
dal tema del restauro dei metalli, oggetto di un tirocinio didattico organizzato nell’ambito delle attività di laboratorio previsto nel Corso di laurea in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali. Il materiale pubblicato –in particolare ci sia consentito menzionare il brillante saggio di Mari Yanagishita sull’ostensorio dell’Olivella– è sicuramente
utile sia ai fini della divulgazione metodologica dei protocolli adottati sia alla fruizione
formativa per quanti non hanno avuto l’opportunità di frequentare il tirocinio didattico.
Così come altrettanto interessante, data l’attualità del tema sulla tutela del paesaggio e
sull’architettura sostenibile, è il contributo –leggibile negli Incontri&Dibattiti– sulle
terre crude della Germanà. Infine vogliamo cogliere l’occasione per scusarci con le
comunità di lingua araba (quindi non soltanto con quella intellettuale) e con i lettori per
il mero refuso riportato (l’immagine capovolta della lastra Naskhi, rendendo così illeggibile l’iscrizione) nel primo numero di CRPR/InForma (p.11).
P
PROGETTI
UN PROGETTO-PILOTA DI CARTA DEL RISCHIO
L’ABITATO STORICO
DI POGGIOREALE
CRITERI, TAPPE DI REALIZZAZIONE, RISULTATI
Roberto Garufi
IL TERREMOTO DEL BELÌCE
Sessanta anni dopo il disastroso terremoto di Messina
la Valle del Belìce è stata profondamente segnata da un
evento sismico che si è protratto per quattro mesi,
durante i quali i sismografi hanno registrato duecentonovantadue scosse telluriche. Il 14 e 15 Gennaio 1968
hanno così rappresentato una delle tappe più importanti della storia recente della Sicilia, colpendo una vasta
area dell’isola compresa tra le province di Trapani,
Palermo ed Agrigento. Al termine di questo evento i
comuni di Gibellina, Montevago e Salaparuta saranno
rasi al suolo, undici verranno gravemente danneggiati
ed altri centoventinove saranno coinvolti in modo
significativo.
I semplici numeri dell’evento (351 morti, 100.000 sfollati) non descrivono compiutamente il profondo stravolgimento di una vasta parte di quei territori rurali dell’interno dell’isola che stavano in quegli anni emancipandosi
faticosamente dalla realtà marginale del latifondo. Ma
non sarà solamente il terremoto a pesare negativamente
sui destini di quest’area. La macchina dei soccorsi che si
inceppa ben presto e in alcuni casi si rivela finanche dannosa, l’assenza per lungo tempo di scelte politiche coraggiose ed efficaci ed infine gli interessi speculativi concorreranno a caratterizzare, con numerosi e gravi errori, la
lunga fase di una ricostruzione che, incredibilmente, non
possiamo ritenere ancora conclusa.
Gibellina, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta,
Salemi, Santa Margherita di Belìce, Santa Ninfa, Vita
sono i paesi della Valle che il terremoto ha colpito più o
meno duramente, ma i loro destini si sono spesso divisi
nella fase successiva della ricostruzione, quando si sono
definiti i progetti per la rinascita del territorio. Per lungo
tempo le comunità locali sono state tenute del tutto fuori
da questa fondamentale fase per i destini dei propri territori, non potendo così intervenire a contrastare scelte di
pianificazione della ricostruzione che spesso non hanno
salvaguardato i valori caratterizzanti le proprie identità
culturali.
Chiesa S. Antonio e parte della
stecca edilizia annessa crollata
Chiesa S. Antonio e il corso
Sulla valutazione di una presunta scarsa affidabilità dei
terreni dei siti originari e di agibilità degli abitati storici si
è infatti spesso basata la de-localizzazione dei paesi che è
stata parziale per Partanna, Salemi e Vita, o radicale,
come è avvenuto per Gibellina, Salaparuta e Poggioreale.
Ma la vicenda del terremoto del Belìce ha rappresentato
una tappa fondamentale della storia italiana del secondo
novecento per quanto riguarda la maturazione dei criteri e
la formazione delle professionalità indispensabili a garantire una gestione efficace delle emergenze, in relazione
anche alla salvaguardia del patrimonio culturale. Gli anni
1968 e 1969 ci hanno raccontato la vicenda, ai nostri occhi
incomprensibile, della demolizione sistematica dei centri
abitati del Belìce e dei loro beni monumentali più importanti, e più in generale hanno offerto la testimonianza di
una evidente impreparazione logistica e dello scarso coinvolgimento nelle fasi post evento delle amministrazioni
locali. Un giudizio complessivamente impietoso, non attenuato dall’enorme impegno profuso da Vigili del Fuoco,
dall’esercito e dai molti volontari giunti nell’isola.
Il destino urbano di Poggioreale ci è così apparso come un
esempio emblematico delle scelte di pianificazione territoriale e restauro urbano proposte per lunghi decenni in quest’area dell’isola. L’abitato storico di Poggioreale possiede
ancora concrete potenzialità di recupero, nonostante la
preoccupante evoluzione delle dinamiche del degrado, che
3
P
PROGETTI
si va registrando dopo quaranta anni di totale abbandono. È
comunque ancora possibile, a nostro parere, trasformare le
sue strutture abitative e gli edifici monumentali, le strade e
le piazze ora in abbandono in un grande laboratorio all’aperto e in una palestra di formazione per esperti e addetti
impegnati nella conservazione e restauro degli edificati
storici, e nella prevenzione e gestione delle emergenze. E’
questo il tema dello studio che ha impegnato in questi anni
l’Unità di Ricerca del CRPR dedicata al patrimonio paesaggistico, naturale, naturalistico, architettonico ed urbanistico e per la Carta del Rischio.
Il gruppo di ricerca ha voluto comprendere nei diversi
aspetti e valutare i rischi che interessano questa realtà
urbana in relazione alla depressione antropica. Il progetto
ha costituito una delle tappe principali di questa prima
fase della Carta del Rischio del Patrimonio Culturale ed
Ambientale della Regione Siciliana che viene a concludersi in questi mesi. Lo studio dedicato alla Chiesa di S.
Antonio ne ha rappresentato il progetto pilota, dedicato
ad edifici monumentali segnati da degradi legati all’abbandono. L’intera esperienza progettuale è stata attuata
sul campo con l’indispensabile supporto logistico del
Comune di Poggioreale.
RILIEVO CON TECNOLOGIA LASER SCANNER
DELLA CHIESA DI S. ANTONIO DA PADOVA
L’esecuzione del rilievo, curata dal Dipartimento di Rilievo, Analisi e Disegno dell’Ambiente e dell’Architettura
(RADAAR) dell’Università La Sapienza di Roma a partire dal maggio 2007, ha rappresentato la prima indispensabile tappa di quel processo conoscitivo di monitoraggio
e diagnostica che deve fornire le indicazioni più corrette
per una efficace messa in sicurezza dell’edificio, mitigandone le vulnerabilità specifiche. E’ stata così realizzata
una campagna di scansione laser 3D, condotta attraverso
sette posizionamenti, che ha interessato l’intero sito della
Chiesa; contemporaneamente è stata realizzata una campagna topografica e fotografica di appoggio, per calibrare l’accuratezza della georeferenziazione e migliorare la
definizione di ogni dettaglio. Il risultato prodotto è stato
la restituzione su base cartografica di un modello tridimensionale percettivamente simile alla realtà e corretto a
livello dimensionale, proporzionale e stilistico. Utilizzando la tecnologia 3D browsing sarà inoltre possibile condividere sul web il modello con interazione realtime.
VALUTAZIONI DELLO STATO DI CONSERVAZIONE
DELL’ABITATO E DELLA STECCA EDILIZIA
DI S. ANTONIO DA PADOVA
Il gruppo di geologi coordinato da Giovanni Ventura Bordenca, congiuntamente con l’Unità di ricerca geologica
del CRPR, ha sviluppato una campagna di indagini geologiche per comprendere la vulnerabilità sismica dell’area del sito di S. Antonio. I principali caratteri morfologici e geolitologici connotanti l’abitato sono stati desunti da
indagini geognostiche precedentemente eseguite e da una
campagna di indagini geofisiche attraverso un profilo
sismico a rifrazione e misure di microtremore o noise
naturale. La classificazione dei terreni presenti nel sottosuolo dell’area di studio ha registrato dati con modeste
zone di amplificazione e scarse discontinuità geomeccaniche. I risultati sono confluiti in un SIT in ambiente GIS
che è divenuto parte della banca dati geografica della
4
Carta del Rischio regionale. E’ stata così definita una
metodologia di indagine che negli sviluppi futuri dell’attività sarà applicata in modo sistematico nell’abitato.
Connessa concettualmente a questo studio è l’attività
condotta da Mario D’Amore e Michele Buttitta che hanno
sviluppato un percorso di conoscenza per valutare di quest’area i processi di degrado ed i danni strutturali prodotti dal sisma. Lo studio storico è stato abbinato alla schedatura di vulnerabilità sismica, ad una minuziosa documentazione fotografica, ad un’attività di rilievo, eseguita
con tecnica manuale e dedicata a descrivere gli aspetti
dimensionali e costruttivi delle fabbriche, i danni strutturali, le condizioni del degrado. Sono stati così individuati, e riuniti in un abaco, i meccanismi di collasso degli
edifici ed è stato definito il quadro generale degli interventi di miglioramento strutturale, funzionali ad una efficace mitigazione delle specifiche vulnerabilità sismiche
delle parti strutturali.
P
PROGETTI
Il Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia della
Facoltà di Architettura di Palermo ha inoltre fornito un
significativo contributo alla ricerca con lo studio condotto da Rosalia Guglielmini e Alberto Lucchesi Palli all’interno del Dottorato di Ricerca in Recupero e Fruizione dei
Contesti Ambientali. L’indagine bibliografica e di archivio, la raccolta dei documenti cartografici e aerofotogrammetrici, così come dei materiali fotografici iconografici e multimediali, sono alla base di quel processo di
conoscenza dell’abitato che ha vissuto l’indispensabile
fase del riscontro sul campo attraverso una campagna di
rilievo geometrico dell’abitato. Questa fase, propedeutica
a quella dedicata alle indicazioni progettuali di recupero
e nuova funzione, ha fornito un importante contributo alla
comprensione dell’abitato e indicazioni significative per
definire scelte idonee al recupero e valorizzazione della
cultura materiale e delle tecniche costruttive caratterizzanti Poggioreale Vecchia.
in alto: rilievo laser scanner Chiesa S. Antonio
al centro: rilievo laser scanner portico Chiesa S. Antonio
in basso: rilievo laser scanner interno Chiesa S. Antonio
5
P
PROGETTI
Assonometria Chiesa S. Antonio e
stecca edilizia
INTERVENTO DI MESSA IN SICUREZZA DELLA CHIESA
DI S. ANTONIO DA PADOVA
E’ stato definito nelle sue linee strategiche dal nostro Istituto e nelle sue soluzioni tecniche dal Dipartimento di
Dinamica Strutturale Teorica e Sperimentale della Facoltà di Ingegneria di Palermo, con il contributo della Direzione Regionale del Corpo Regionale dei Vigili del
Fuoco, che ne ha concretamente curato la realizzazione
attraverso il suo Gruppo Speleo Alpino Fluviale (SAF).
In particolare è stata effettuata la bonifica delle parti pericolanti a rischio di crollo, soprattutto concentrate sulla
parte sommitale della volta, in larga parte crollata. A questa fase è seguito l’intervento di consolidamento dei ruderi, realizzato sia all’interno della chiesa che sul prospetto
principale, per contrastare i quadri fessurativi ed i conseguenti meccanismi rilevati. Le strutture provvisionali così
realizzate sono propedeutiche ad un definitivo intervento,
programmato nella successiva fase del progetto. In dettaglio si è intervenuti con puntellamenti sulla facciata (catene in cavi di acciaio inox bloccate sulla retro facciata e
abbinate a una trave reticolare spaziale zavorrata al
piede), sul colonnato (due portali reticolari zoppi a sostegno di architravi laterali e connessi con travi reticolari trasversali), sulla cella campanaria (telaio orizzontale e controventi a croce di Sant’Andrea, abbinati a cerchiature dei
vani), sulla cupola (castelletto in acciaio spaziale controventato a contrasto tra il pavimento della chiesa e l’intradosso della cupola). Puntelli e contrasti sono stati estesi
all’intera facciata della stecca edilizia contigua.
CONSERVAZIONE E CATALOGAZIONE
DEI FRAMMENTI DELLA VOLTA, PRESSO LA CHIESA
DI S. ANTONIO DA PADOVA
All’interno delle fasi di messa in sicurezza dell’aula di S.
Antonio da Padova il Gruppo SAF presso il Comando
Regionale siciliano ha realizzato con il personale tecnico
del Centro la raccolta e il trasporto all’aperto dei frammenti erratici della volta, ancora presenti tra le macerie
6
P
PROGETTI
sopravvissute alle spoliazioni che hanno caratterizzato la
realtà di queste rovine nei lunghi decenni di abbandono
dell’abitato storico. Questa attività ha permesso all’unità
di ricerca del Centro di selezionare i frammenti di pregio,
e di operare successivamente la loro spolveratura, con la
catalogazione e il trasporto in un deposito provvisorio
ubicato a breve distanza all’interno dell’abitato storico. I
reperti sono stati catalogati utilizzando una scheda che è
stata definita dal nostro gruppo di ricerca e che ha utilizzato i criteri e le modalità del Sistema Informativo della
Carta del Rischio e dei tracciati schedografici usati nella
gestione delle fasi di emergenza post evento sismico. La
schedatura così realizzata documenta fotograficamente il
singolo reperto e ne registra i dati essenziali della configurazione dimensionale e materica (del supporto murario
e del rivestimento) e della sua conservazione (alterazione
cromatica, deposito superficiale, disgregazione, distacco,
fatturazioni/fessurazioni, lacune, patine biologiche/vegetazione infestante). La scheda si conclude con l’indicazione di una valutazione sintetica dello stato di conservazione, utile per programmare gli interventi necessari, all’interno di una prospettiva di recupero dei frammenti principali, che sarà oggetto della fase ulteriore di progetto dedicato al sito di Poggioreale Vecchia.
ESERCITAZIONE DI PROTEZIONE CIVILE
PER IL SALVATAGGIO DI TECNICI
Il Servizio Regionale di Protezione Civile per la Provincia
di Trapani nel giugno 2008 ha curato con il nostro Istituto
lo svolgimento di una esercitazione mirata al salvataggio
di tecnici impegnati nelle fasi immediatamente successive
al sisma e coinvolti in un crollo determinato da nuove
scosse, applicando un modello di intervento già codificato
attraverso un protocollo di attività che sono usualmente
realizzate nelle fasi post evento. L’attuazione delle procedure di soccorso è stata utile a verificare la tempestività
degli interventi, la capacità di interazione tra Enti e strutture di Protezione Civile, il livello di addestramento del
personale tecnico e dei volontari aggregati. In tal modo si
è verificata la potenzialità di un utilizzo periodico dell’area per un’attività di formazione specifica sul tema.
ESERCITAZIONE DI LEGAMBIENTE
PER IL RECUPERO DI OPERE D’ARTE
I Volontari coordinati da Legambiente Sicilia hanno realizzato nel giugno 2008 nell’abitato di Poggioreale una
esercitazione dedicata al recupero e messa in sicurezza di
opere d’arte coinvolte dai crolli successivi ad un evento
sismico. E’ stata simulata, in una realtà di emergenza post
evento, la collaborazione dei volontari con i funzionari
della Soprintendenza e con le squadre dei Vigili del
Fuoco, nella fase delicata della rimozione delle opere
d’arte dalle macerie degli edifici. Queste sono state catalogate utilizzando le schede definite da Legambiente e
approvate dal Ministero per i Beni Culturali, per descrivere lo stato di conservazione ed eventuali interventi di
restauro. A questa fase è seguita la simulazione delle operazioni di imballaggio e successivo trasporto in depositi
messi a disposizione dall’amministrazione comunale.
Anche in questo caso l’esperienza ha permesso di verificare la praticabilità di un utilizzo dell’abitato demanializzato di Poggioreale Vecchia per sviluppare attività di
esercitazione periodica.
SVILUPPI FUTURI DEL PROGETTO
Gli interventi di messa in sicurezza già realizzati e le attività di ricerca ed esercitazione contestualmente sviluppate ci hanno dimostrato che Poggioreale Vecchia, al di là
dell’indubbio fascino culturale e ambientale, può assumere a breve una nuova funzione quale palestra di formazione per tecnici e volontari che dovranno
essere coinvolti, con diversi ruoli e competenze,
nella conoscenza dei materiali e tecniche costruttive storiche, prevenzione, diagnostica e monitoraggio strutturale, mitigazione delle vulnerabilità, gestione dell’emergenza.
E se questo percorso può essere sviluppato per
Poggioreale Vecchia riteniamo che il destino dei
molti nuclei abitati in abbandono che popolano
diffusamente la Sicilia possa essere assai diverso
da quello di un inevitabile declino. Occorre quindi che una nuova progettualità si concentri a
definire, ed applicare concretamente, criteri e
strategie per individuarne nuove funzioni e reinserirli nei circuiti culturali dei diversi territori di
riferimento. E’ questo uno dei temi caratterizzanti fondanti la Carta del Rischio dei Paesaggi
Culturali della Sicilia che il nostro Istituto intende sviluppare nel nuovo Programma Operativo
Regionale 2007-2013.
7
P
PROGETTI
DIPINTI POLICROMI
TEST DI PULITURA LASER SUGLI INTONACI NEGLI AMBIENTI DELLA VILLA DEL CASALE
Salvatore Siano*
l restauro degli apparati decorativi della Villa del Casale, messo in opera dal CRPR tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, comprende la pulitura e il consolidamento dei relitti di intonaci policromi presenti in molti
ambienti. Le problematiche conservative che rendono il
recupero di leggibilità e la stabilizzazione di queste
superfici dipinte sono varie e complesse. In particolare,
da un lato la difficoltà di intervento su aree già parzialmente pulite e consolidate in precedenti restauri, dall’altro, la presenza di strati pittorici ancora quasi completamente coperti da spesse e tenaci concrezioni terrose.
Fin qui, la pulitura è stata affrontata in larga misura attraverso l’alleggerimento meccanico delle stratificazioni e, in
qualche caso, con impacchi chimici, intervenendo soprattutto sulle pareti maggiormente incrostate. Accanto a risultati
soddisfacenti, permangono situazioni in cui è stato possibile mettere in luce solo in minima parte la superficie pittorica, laddove la selettività della rimozione meccanica e l’efficacia degli impacchi chimici sono risultate molto limitate.
È per queste ragioni che il consulente per le indagini scientifiche, Mauro Matteini, e la responsabile per il CRPR,
Lorella Pellegrino, hanno proposto la sperimentazione
della pulitura laser. Un’ipotesi applicativa supportata dai
recenti sviluppi di questa tecnica, utilizzata con successo
nella rimozione di scialbi e trattamenti organici applicati
nel passato sui dipinti murali del complesso di Santa Maria
della Scala (Siena) [1-2] e del Castello di Quart (Aosta) [3].
Le prime prove sono state eseguite in uno degli ambienti
che si affacciano sulla corsia nord del quadriportico, sull’abside nord e la parete ovest della palestra (vano 3). Nel
primo caso, le cromie parietali sono riconoscibili, ma
rimangono velate da un sottile strato composito, costituito
da residui terrosi unitamente a materiali di integrazione e
consolidamento. Come mostra la Fig. 1, l’irraggiamento
laser consente un notevole miglioramento di leggibilità.
Ancora più significativi i test condotti sulla parete absidale della palestra, a valle dell’alleggerimento meccanico
delle spesse concrezioni che ricoprivano le policromie.
Le due immagini di Fig. 2 evidenziano le notevoli potenzialità di selettività dell’ablazione laser, in una situazione
che non lascia intravedere alcuna soluzione alternativa.
Questo risultato preliminare, per quanto ancora da sottoporre ad una rigorosa verifica diagnostica, appare molto
significativo, sia nello specifico che in generale. Esso
costituisce prova di una concreta possibilità di recupero
ottimale delle superfici dipinte della Villa del Casale ed,
al contempo, estende la casistica delle situazioni in cui la
pulitura laser si sta rivelando risolutiva.
Va da sè che un trattamento esteso alle migliaia di metri
quadri di intonaci della Villa non è pensabile all’interno
del presente intervento. Appare invece praticabile l’utilizzo della tecnica laser per una serie di saggi di pulitura
I
8
Fig. 1
Fig. 2
mirati, che favoriscano l’interpretazione dei motivi decorativi presenti su vaste aree ancora completamente coperte da incrostazioni, ovvero una più completa fruizione
degli ambienti. La direzione dei lavori sta attualmente
valutando questa ipotesi operativa.
[1] S. Siano, A. Brunetto, F. Droghini, G. Guasparri, A. Scala,
Cappella del Manto e Sagrestia Vecchia in Santa Maria della
Scala, Siena: Rimozione laser di scialbature su dipinti murali,
in Lo stato dell’Arte 4, 4° Congresso Nazionale IGIIC (Siena,
Santa Maria della Scala, 28-30 settembre 2006), Firenze 2006.
[2] S. Siano, A. Brunetto, A. Mencaglia, G. Guasparri, A. Scala,
F. Droghini, A. Bagnoli, Integration of laser ablation techniques for cleaning the wall paintings of the Sagrestia Vecchia
and Cappella del Manto in Santa Maria della Scala, Siena, in J.
Nimmrichter, W Kautek, M.
Schreiner (eds.), Lacona VI.
Lasers in the Conservation of Artworks, Proocedings of the 6th
International Conference (Wien,
21-25 Sept. 2005), Berlin-New
York 2007, pp. 191-201.
[3] S. Siano, L. Appolonia, A. Piccirillo, A. Brunetto, Castle of
Quart, Aosta Valley: laser uncovering of medieval wall paintings, in
M. Castillejo (ed.), Lacona VII.
Lasers in the Conservation of Artworks, Proocedings of the 7th International Conference (Madrid, 1721 Sept. 2007), Boca Raton (USA)
2008, pp. 191-198.
* Istituto di Fisica Applicata
“Nello Carrara” - CNR,
Sesto Fiorentino (Firenze)
P
PROGETTI
INTONACI E MALTE DI ALLETTAMENTO
Indagini chimico fisiche e petrografiche
nella “Villa” di Piazza Armerina
G. Rizzo1, B. Megna1, L. Ercoli2
Fig. 1
Fig. 2
ell’ambito di una convenzione di ricerca tra il
Dipartimento di Ingegneria Chimica dei Processi e
dei Materiali (DICPM) dell’Università di Palermo
e l’Alto Commissariato per la Villa Romana del Casale Soprintendenza di Enna, il Laboratorio di Ingegneria Chimica per i Beni Culturali ha curato il campionamento e la
caratterizzazione delle malte di allettamento dei mosaici
pavimentali e degli intonaci che rivestono, sia all’interno
che all’esterno, le murature superstiti.
Per quanto riguarda i mosaici, sono state prelevate carote
fino ad una profondità di 30 cm, naturalmente in aree prive
del rivestimento di tessere. I campioni sono stati suddivisi
in diverse porzioni, che sono state caratterizzate mediante
diffrattometria RX, microscopia ottica su sezione lucida e
su sezione sottile, analisi termica, cromatografia ionica. I
risultati, già riportati nel
primo rapporto di consulenza
relativo alla convenzione,
mostrano una successione
stratigrafica simile a quella
descritta da Vitruvio, con la
presenza di consistenti spessori di malta a cocciopesto.
Sono in corso ulteriori indagini su una seconda serie di
carote, prelevate in posizioni
adiacenti alle prime, al fine di
verificare l’efficacia e la distribuzione del consolidante a
base di Ba(OH)2, iniettato nel
substrato delle tessere con
funzione di consolidante.
Nella seconda fase dello studio, l’interesse si è rivolto
verso gli intonaci interni ed
esterni della Villa sui quali,
N
celati da una crosta spessa e tenace, si intravedono dovunque segni di decorazioni pittoriche. Tale incrostazione,
analizzata mediante diffrattometria RX e microscopia
Raman, risulta costituita da Calcite. Per comprenderne
meglio le modalità di accrescimento, è in corso lo studio
in luce trasmessa polarizzata su sezione sottile.
Si è effettuata una accurata ricognizione, con documentazione fotografica, di tutti gli intonaci interni ed esterni,
classificando le diverse tipologie di decorazione pittorica
(figurato, geometrico, ad imitazione dell’opus sectile) e i
colori presenti. Quindi sono stati prelevati campioni di
malta, rappresentativi delle differenti tecniche esecutive
riconoscibili ad una ispezione visiva, per effettuarne la
caratterizzazione mineralogico petrografia, e un microcampione di ciascuno dei colori sia all’interno che all’esterno,
per il riconoscimento dei pigmenti utilizzati. A titolo di
esempio si riporta in Fig. 1 lo spettro ottenuto analizzando
al microscopio Raman un frammento di colore azzurro,
Fig. 2. Si tratta di Blu Egizio, un pigmento a base di un silicato doppio di calcio e rame noto sin dall’antichità.
L’insieme dei risultati delle analisi sugli intonaci dipinti,
qui brevemente esemplificato, sarà oggetto del secondo
rapporto di consulenza relativo alla convenzione.
[1] Marco Vitruvio Pollione De Architectura, a c. di P. Gros,
Torino 1997.
[2] I.M. Bell, R.J.H. Clark, P.J. Gibbs, Raman Spectroscopy
Library of Natural and Synthetic Pigments (pre-approximately
1850 A.D.), in “Spectrochimica Acta” part A, 53, 1997, pp.
2159-2179
[3] H. G. Wiedemann, E. Arpagaus, D. Müller, C. Marcolli, S.
Weigel, A. Reller, Pigments of the Bust of Nefertete Compared
with those of the Karnak Talatats, in “Thermochimica Acta “,
382, 2002, pp. 239-247
1
Università di Palermo, DICPM, Laboratorio di Ingegneria Chimica per
i Beni Culturali
2
Università di Palermo, Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica
9
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RICERCA
INCHIESTA NEL SOFFITTO
La copertura originaria lignea dipinta della cattedrale di Nicosia
C. Di Stefano, F. Prestileo
u incarico della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Enna il CRPR è stato chiamato
ad assolvere il compito di consulenza e di coordinamento dello studio diagnostico del soffitto ligneo
dipinto della Cattedrale di Nicosia, nell’ambito del progetto di consolidamento e restauro della Cattedrale e
messa in valore del soffitto ligneo. A tal fine è stata
avviata nel settembre del 2007, dai Laboratori di Chimica e di Fisica del CRPR, una campagna diagnostica di
rilevamento microclimatico e di indagini non invasive
relativamente alla originaria copertura dell’edificio.
In questa sede vengono riportati i risultati delle indagini
spettrofotometriche, multispettrali (fluorescenza ultravioletta, infrarosso in falso colore e riflettografia infrarossa)
e di fluorescenza a raggi X (ED-XRF), effettuate in situ
con strumentazione portatile, eseguite allo scopo di ottenere sia una più approfondita conoscenza dello stato di
conservazione del manufatto che una preliminare identificazione dei materiali pittorici originali impiegati nonché
di quelli dovuti a restauri pregressi, fornendo utili indicazioni per la messa a punto dell’attuale intervento di recupero. Ulteriori indagini mirate, guidate dai primi risultati
ottenuti, sono state eseguite con tecniche spettroscopiche
(UV/Vis, FT-IR) e microscopiche (OM e SEM).
Considerate le difficoltà logistiche del sito, raggiungibile
mediante il ponteggio realizzato all’esterno della Cattedrale, e i ridotti spazi all’interno dell’intercapedine tra la
volta a botte ed il soffitto, per l’acquisizione delle misure
è stato fondamentale l’impiego di strumentazione portatile e maneggevole, trasportata grazie all’ausilio di un
montacarichi.
Per l’analisi dell’ambiente, il monitoraggio microclimatico è stato effettuato per la durata di una anno, impiegando sonde termoigrometriche datalogger HOBO PRO,
secondo la metodologia di misura adottata dal Laboratorio di Fisica del CRPR. Gli studi dei materiali pittorici,
invece, sono stati effettuati eseguendo analisi non distruttive quali: indagini spettrofotometriche, impiegando uno
spettrofotometro CM 2600d Minolta, spazio del colore
adottato CIELAB 1976 ΔE; l’imaging diagnostico,
mediante Camera Digitale Multispettrale Artist Art Innovation con sistema di posizionamento manuale CPS100 ;
la spettrometria in fluorescenza a raggi X (ED-XRF), con
impiego del sistema di fluorescenza X portatile LITHOS
3000 Assing.
Per quanto riguarda le indagini spettrofotometriche sono
state individuate sei aree campione per un totale di quarantasei punti rappresentativi delle seguenti cromie: rossi,
gialli, azzurri, verdi, oro, incarnati. Sono state pertanto
effettuate le mappature colorimetriche dello stato attuale
per il controllo delle superfici durante e dopo l’interven-
S
10
Sezione del soffitto ligneo
Nella pagina accanto: il particolare del sole bianco
in sequenza di immagine RGB, UVFLU, IR1 e FCIR1
to di restauro, acquisendo le coordinate cromatiche e le
curve di riflettanza spettrale dei punti campione opportunamente scelti.
In relazione allo studio della tecnica pittorica e la preliminare caratterizzazione dei materiali sono state indagate
quattordici aree campione attraverso fluorescenza ultravioletta, riflettografia infrarossa (IR1, 750 nm – 950 nm;
IR2, 950 nm – 1150 nm), infrarosso in falso colore
(FCIR1; FCIR2) e sono stati analizzati sette punti campione tramite fluorescenza a raggi X.
I risultati delle di indagine in argomento sono serviti per
programmare e mirare i successivi prelievi (infatti in una
seconda fase sono stati prelevati nove campioni) da sottoporre ad analisi con tecniche spettroscopiche (UV/Vis,
FT-IR) e microscopiche (OM e SEM) da effettuare in collaborazione con il CNR-ICVBC di Firenze, allo scopo di
caratterizzare lo strato di preparazione del legante, i pigmenti non identificabili mediante analisi non distruttiva,
il protettivo degradato e, infine, ottenere una conferma
dei dati sinora ottenuti.
Dai risultati del monitoraggio microclimatico si evince
che all’interno dell’ambiente venutosi a creare fra la volta
in muratura e il soffitto ligneo, le condizioni termoigrometriche rispondono in maniera diretta alle sollecitazioni
provenienti dall’esterno, presentando andamenti similari.
Tali condizioni non sono idonee per la corretta conservazione delle superfici lignee dipinte, non rientrando queste
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RICERCA
nei valori di riferimento indicati dalla normativa (UNI,
1999, D.M. 10 maggio 2001), soprattutto per le rilevanti
escursioni termoigrometriche giornaliere e stagionali, in
particolar modo quelle di umidità relativa che denotano
una situazione di continuo stress termoigrometrico per le
superfici dipinte.
Su tutte le quattordici aree campione, la tecnica di fluorescenza ultravioletta ha risposto con una forte fluorescenza gialla che suggerisce la presenza di un protettivo di
natura organica, verosimilmente applicato durante l’ultimo restauro. La spettrofotometria FT-IR, effettuata su un
campione prelevato contestualmente allo svolgimento
delle indagini non invasive, ha confermato la presenza di
una resina organica sintetica.
I risultati delle indagini non distruttive, effettuate su alcune porzioni prive della pellicola pittorica, suggeriscono
uno strato di preparazione a gesso.
Da una prima osservazione, si ipotizza che le tempere
impiegate siano, in alcuni casi, molto magre: la presenza di
poco legante e il ridotto spessore della preparazione potrebbero aver causato una maggiore penetrazione del protettivo,
generando sollevamenti e cadute di colore differenziate.
L’imaging multispettrale e la spettrometria XRF hanno
consentito di restringere la tavolozza cromatica individuando i seguenti pigmenti:
1. biacca, per gli incarnati e alcune stesure bianche;
2. gesso, per le stesure bianche realizzate a risparmio;
3. azzurrite, per alcuni sfondi e il cielo stellato lungo la
carena;
4. indaco e/o lapislazzuli, per alcune stesure blu ed i contorni di alcune figure;
5. nero carbone, per i contorni di alcune figure e motivi
decorativi;
6. oro (probabilmente non puro), riscontrato solo nelle
stelle del cielo lungo la carena;
7. cinabro, per le stesure rosse e gli incarnati (in miscela
con la biacca).
Per quanto riguarda i pigmenti blu, è stato osservato come
la pellicola protettiva, ormai ingiallita, ne abbia alterato
alcuni, generando un diffuso viraggio al verde.
È possibile ipotizzare, dall’analisi a campione delle cromie presenti lungo tutta la superficie dipinta, l’impiego
dei medesimi pigmenti.
Si precisa, infatti, che, nel caso dei blu (ad eccezione
delle stesure ad azzurrite), né l’imaging multispettrale né
l’analisi in fluorescenza a raggi X hanno consentito di differenziare con certezza il lapislazzuli dall’indaco, in
quanto le risposte multispettrali ottenute possono essere
compatibili con quelle di entrambi i pigmenti mentre lo
spettrometro XRF LITHOS 3000, con il quale sono state
effettuate le analisi, non è stato in grado di individuare gli
elementi costitutivi dell’uno e dell’altro pigmento. Pertanto, per la caratterizzazione certa di tali pigmenti blu è
stato risolutivo l’apporto del CNR-ICVBC che con indagini di approfondimento ha rilevato la presenza di indaco,
tramite analisi spettroscopiche e microscopiche.
Per le stesure rosse è probabile supporre l’impiego di altri
pigmenti, compatibili con la tavolozza pittorica nicosiana, quale il minio di cui non si è potuto accertare la presenza tramite le indagini non distruttive finora condotte.
Le riprese in riflettografia infrarossa hanno permesso di
ottenere, nel caso di alcuni particolari, una migliore lettura iconografica di quei soggetti maggiormente degradati
e, dunque, non apprezzabili ad un esame nel visibile.
Dall’osservazione dei dipinti, dalla continuità delle pennellate, dalla presenza di stuccature e preparazione tra le
travi, è verosimile che la realizzazione sia avvenuta in
situ, ipotesi convalidata dal ridotto spessore della preparazione (osservabile in più punti) e dalla successione
delle diverse stesure pittoriche, come hanno evidenziato
le riflettografie in infrarosso eseguite.
Successivamente la campagna diagnostica prevedrà il
completamento del monitoraggio: microclimatico, per
caratterizzare le condizioni ambientali in cui l’opera si è
trovata fino ad oggi ed individuare i parametri più idonei
alla sua conservazione; colorimetrico, per determinare la
variazione cromatica dei pigmenti durante le fasi di pulitura e verificare il ritorno a quelle che dovevano essere le
cromie originali, alterate ormai dall’ingiallimento della
pellicola protettiva; la fluorescenza UV, verrà impiegata
per verificare l’effettiva rimozione della pellicola protettiva dallo strato pittorico ormai degradata.
Infine, i risultati delle analisi sui nove campioni prelevati, saranno fondamentali per confermare la natura della
preparazione e determinare quella del legante pittorico, al
fine di definire i metodi di rimozione della pellicola protettiva alterata e i materiali per l’integrazione pittorica,
per confermare la preliminare caratterizzazione dei pigmenti individuati e determinare la natura di quelli che non
è stato possibile identificare tramite le indagini non
distruttive in situ.
11
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RICERCA
CINQUECENTINA
AGOSTINIANA
De Ebrietate vitanda: la rara edizione
della Biblioteca dell'Archivio di Stato di Palermo
Rita Di Natale
a Biblioteca dell’Archivio
di Stato di Palermo, situata
nella sede storica, l’ex Convento dei Padri dell’Ordine dei
Teatini, possiede un notevole e prezioso fondo antico, il cui studio è stato
oggetto di un programma di ricerca del
Centro Restauro finalizzato alla conservazione, valorizzazione e fruizione del patrimonio
librario del XVI e del XVII secolo. Tra le edizioni
rare del Cinquecento, particolare attenzione è stata rivolta ad una pubblicazione tedesca, il De Ebrietate vitanda
di S. Agostino, stampata a Dillingen, in Baviera, nel 1560
dal tipografo Sebald Mayer, attivo in quella città negli
anni 1550-1576. Si deve allo studioso Otto Bucher una
ricerca approfondita sulla stampa a Dillingen nel XVI
secolo e sul suo primo tipografo, Sebald Mayer, la cui
intensa produzione tipografico-editoriale rientra principalmente nell’ambito della stampa controriformistica,
con una preponderanza di opere teologiche e liturgiche.
Tra le 467 edizioni del Mayer, presenti nel repertorio del
Bucher, il De Ebrietate vitanda risulta stampato ben cinque volte, tre volte in latino e due volte in tedesco, in un
arco cronologico che va dal 1556 al 1559, ma dell’edizione del 1560, posseduta dall’Archivio di Stato, non vi è
alcuna notizia. Ulteriori ricerche bibliografiche hanno
confermato la rarità dell’edizione latina del 1560, che non
risulta descritta in alcun repertorio specialistico fino ad
oggi consultato. Pertanto, al fine di stabilire l’esatta categorizzazione dell’edizione del 1560, è stato necessario
collazionare l’opera con una copia dell’edizione del 1559,
posseduta dalla Biblioteca Vallicelliana di Roma, la cui
descrizione fisica, così come riportata dai repertori, sembrava coincidere con l’edizione del 1560. Dal confronto
interamente effettuato tra i due esemplari si è potuto così
constatare che, pur essendo identiche nei due volumi la
paginazione, la segnatura e l’impronta, l’edizione del
1560 presentava notevoli varianti rispetto all’esemplare
del 1559 e, precisamente, nella forma delle abbreviazioni,
nella punteggiatura, nell’uso delle maiuscole e delle minuscole, nella misura dei caratteri utilizzati per i numeri, nei
riferimenti biblici posti ai lati del testo ed, inoltre, nella
composizione tipografica di alcune righe all’interno di una
L
12
stessa pagina. Vista, quindi, la sostanziale ricomposizione
delle forme tipografiche nella maggior parte delle pagine
del testo è sembrato lecito considerare il De Ebrietate
vitanda del 1560 una nuova edizione del Mayer e non uno
stato dell’edizione del 1559, ossia una copia leggermente
differente a causa di varianti intervenute durante la tiratura dell’opera. In realtà, non sempre è facile distinguere tra
varianti intervenute durante la tiratura ed altre dovute ad
una nuova ricomposizione tipografica, condizione ritenuta fondamentale dagli studiosi del libro antico per l’identificazione di una nuova edizione, anche perché era abitudine degli antichi tipografi proporre nuove edizioni ricopiando molto fedelmente modelli precedenti.
Nel caso specifico del De Ebrietate vitanda, trattandosi di
un’opera di S. Agostino, le ripetute e ravvicinate riedizioni trovano ampia giustificazione nel fatto che Sebald
Mayer svolgeva la sua attività negli anni della Controriforma ed a servizio di un cardinale della Chiesa Cattolica, Otto Truchseß von Waldburg, il quale, in applicazione dei decreti tridentini (1545-1563), si adoperava, con
assoluto rigore, a diffondere i principi dell’ortodossia cattolica aboliti dai protestanti, quali, innanzitutto, l’autorità
della Bibbia e della tradizione patristica. Agostino, il più
ricco e originale dei Padri della Chiesa, con le sue considerazioni sul rapporto fra destino, grazia divina, peccato
originale e libero arbitrio, rappresentava un fondamentale sostegno all’edificazione di un sistema ideologico da
contrapporre all’azione riformatrice di Lutero ed, in particolare, la pubblicazione dei suoi Sermoni, scritti con
chiarezza di esposizione, ricchi di sentenze moraleggianti tratte dalla Bibbia e di precetti di comportamento morale, veniva notevolmente incentivata dalle autorità eccle-
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RICERCA
il tipografo
di Dillingen
Sebald Mayer stampatore
controriformista nella patria di Lutero
Gabriella Cannata
el corso dei lavori di catalogazione dei volumi del
N
Cinquecento e del Seicento posseduti dall’ Archivio di Stato di Palermo, si è consultato presso la Biblio-
siastiche, proiettate al rilancio di edizioni emendate dei
Padri della Chiesa tendenziosamente corrotte dai protestanti. Anche il piccolo formato, in 12°, e la breve consistenza, soltanto 56 carte, sembrerebbero rispondere all’esigenza di un librettino di facile lettura da proporre ai
fedeli quale strumento utile per la loro educazione morale e spirituale. Dal punto di vista tipografico, il De Ebrietate vitanda, oltre alla nitida impressione dei caratteri di
stampa, presenta semplici ed eleganti iniziali xilografiche, ornate da motivi vegetali. Interessante anche la legatura originale, realizzata in pergamena rigida su assicelle
in legno, con il titolo manoscritto sul dorso e la cucitura
in filo di lino su due nervi singoli in canapa. La pergamena, utilizzata per il rivestimento dei piatti, è di riuso,
come si evince dai resti di una scritta in inchiostro rosso
che traspare sul piatto anteriore. Questo tipo di legatura,
poco pregevole sotto il profilo artistico, ma interessante
dal punto di vista bibliologico e storico, è stata adoperata, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, come
legatura corrente per il rivestimento di volumi, prevalentemente di formato in folio, in quarto ed in ottavo.
teca Centrale della Regione Siciliana un repertorio
bibliografico riguardante le edizioni stampate in Germania nel XVI secolo. Il libro in questione, dello studioso tedesco Otto Bucher, intitolato Bibliographie der
Deutschen Drucke des XVI. Jahrhunderts, 1: Dillingen, contiene una “preziosa” premessa sull’attività
tipografica in Germania e, in particolare, nella cittadina tedesca di Dillingen, dove fu attivo il tipografo
Sebald Mayer, delle cui opere, stampate negli anni dal
1550 al 1576, viene anche inserito un catalogo.
La lettura dettagliata di tale testo si è rivelata fin dall’inizio particolarmente interessante per le molteplici
informazioni contenute sia sull’attività tipografica dell’epoca e sui legami socio-culturali cui era connessa
che sulla tipologia delle opere pubblicate nel corso del
‘600 in Germania, anch’essa strettamente correlata al
clima storico e culturale del periodo.
Si è ritenuto, pertanto, opportuno tradurre il testo dalla
lingua tedesca e riportarlo in calce al catalogo prodotto al termine dello studio sulle cinquecentine e seicentine dell’Archivio di Stato di Palermo, attualmente in
corso di stampa.
L’attività di Sebald Mayer appare caratterizzata da
periodi di notevoli stenti finanziari, il che sembra essere in contraddizione con la fiorente produzione del
tipografo. Ma, in quel periodo, l’attività di stampa non
era così redditizia da consentire a chi vi si dedicava di
abbandonare del tutto un’attività secondaria che potesse garantire una certa continuità alla produzione tipografica. E’ questo il motivo per il quale Sebald Mayer
fu costretto a non trascurare mai l’occupazione parallela come produttore e venditore di idromele, in quanto
fonte principale di sostentamento nei momenti di crisi
economica nel corso della sua carriera di tipografo, sia
ad Ingolstadt prima che a Dillingen poi.
La traduzione del testo, oggetto di studio, ha consentito, inoltre, di individuare e sottolineare alcuni momenti significativi della sua carriera e i suoi legami con noti
personaggi dell’epoca e, soprattutto, con alti rappresentanti del clero, che condizionarono profondamente
le scelte da lui operate nell’ambito della sua attività.
Gli estratti di lettere e di atti ufficiali e i documenti, i
cui originali sono conservati oggi presso l’Archivio
Centrale di Stato di Monaco, riguardanti la vendita o la
cessione della tipografia e l’acquisto di materiali
13
R
RICERCA
occorrenti per lo svolgimento dell’attività, testimoniano,
infatti, lo stretto connubio che si venne a creare fin dall’inizio tra il tipografo tedesco e il cardinale di Augusta,
Otto Truchseß von Waldburg, che conferì allo stesso l’incarico di tipografo della città di Dillingen nel 1549, anno
in cui lo stesso cardinale fonda con l’aiuto del gesuita Pietro Canisio, vescovo di Vienna, l’Università di Dillingen.
A quest’ultima e alla tipografia venivano affidati gli stessi compiti e cioè diffondere gli ideali cattolici nella sfera
intellettuale e incentivare la produzione libraria cattolica,
in un periodo, lo ricordiamo, in cui gli alti rappresentanti
del clero erano profondamente impegnati a svolgere in
Germania un’intensa attività controriformistica. Pertanto,
l’avvio dell’attività di stampa a Dillingen è senza dubbio
legato, così come avviene in tanti altri centri spirituali
cattolici della Germania, come Colonia e Ingolstadt, alla
funzione controriformatrice demandata alla stampa cattolica per contrastare il predominio della letteratura protestante e per esercitare un maggiore controllo sull’attività
di stampa in generale. Tale esigenza veniva avvertita, in
modo particolare, proprio nel Paese che era stato la culla
della Riforma protestante operata da Martin Lutero e dai
suoi seguaci. Non si può comprendere a pieno l’evoluzione che ebbe la storia della tipografia in Germania nel XVI
secolo se non si tiene conto di questa importante considerazione.
Fu proprio la fedeltà del tipografo agli ideali e principi del
cattolicesimo ad assicurare continuità alla sua attività,
garantendogli, al contempo, gli aiuti economici e il supporto necessario. Lo stesso cardinale Otto von Waldburg
si adoperò, infatti, per fare ottenere a Sebald Mayer il privilegio imperiale con cui stampare i volumi. Si tratta della
dicitura Mit Röm. Kay. May. Freiheit (“con il permesso di
sua Maestà l’Imperatore Romano”), con cui il tipografo
faceva uscire le sue edizioni. All’epoca, tale privilegio
era fondamentale, in quanto rappresentava il consenso
con cui l’opera veniva pubblicata, ed era garanzia della
sua libera circolazione e diffusione.
Particolarmente interessanti, ai fini della reale consistenza dell’officina tipografica di Sebald Mayer e quindi del
cospicuo volume della sua produzione libraria, sono gli
elenchi contenenti in dettaglio i materiali appartenenti
alla tipografia e il loro valore. Tali elenchi, redatti in
occasione dei vari passaggi di vendita e cessione della
tipografia, costituiscono, inoltre, una preziosa testimonianza della varietà delle attrezzature e dei caratteri utilizzati all’epoca. Nel complesso, si tratta di un patrimonio
considerevole, che include in dettaglio matrici, forme,
torchi e molteplici serie di caratteri, fra i quali il Canon
tedesco o Text, il Fraktur, gli Schwabacher.
14
Con rigore scientifico Otto Bucher ha svolto indagini
approfondite per accertare il numero esatto delle edizioni
stampate dal tipografo tedesco dal 1550, anno in cui ha
inizio la sua attività a Dillingen, al 1576, anno in cui la
tipografia passa al figlio Johann, che lo aveva affiancato
costantemente nello svolgimento del suo lavoro. A tale
scopo ha preso in considerazione i dati contenuti nei cataloghi delle più antiche e storiche biblioteche della Germania, nonché di quelle austriache e svizzere, passando al
vaglio le più importanti bibliografie generali antiche,
quelle teologiche specialistiche e le monografie bibliografiche più note e pervenendo, in ultimo, alla stesura di
un elenco completo delle opere riscontrate, che, pur non
avendo la pretesa di essere esaustivo, si è rivelato,
comunque, molto attendibile.
Volendo, poi, individuare la tipologia delle numerose
opere stampate a Dillingen, non si può ancora una volta
prescindere dalle considerazioni sopra citate riguardo al
momento storico della loro emissione. Nel complesso,
il loro indirizzo è, infatti, prevalentemente teologico. I
volumi che entrano nell’officina di Mayer coprono tutti
i rami di questa disciplina: la catechesi, l’esegesi, l’omiletica, la storia della Chiesa, il diritto canonico e la
letteratura missionaria. Oltre che di opere compilate da
figure religiose del periodo, molte appartenenti all’Ordine dei Gesuiti e dei Domenicani, la tipografia si occupò anche della stampa di scritti prodotti nell’Università
di Dillingen, anch’essi di materia religiosa. Le scelte
tipografiche di Sebald Mayer, comunque, sebbene profondamente condizionate dai rapporti che lo legavano
alla Chiesa cattolica e ad alcuni suoi autorevoli rappresentanti, appaiono aperte anche a nuovi contenuti e
generi letterari che all’epoca divengono oggetto di interesse da parte di un sempre crescente numero di lettori.
Accanto alle opere di carattere teologico, lo studioso
tedesco ne annovera un numero, di certo inferiore, di
carattere storico, giuridico e di medicina. Insieme alle
edizioni classiche epurate, le elegie, i carmina e i calendari universitari, si dedicò anche alla stampa di alcuni
“nuovi spaventosi giornali, compilati in modo originale” e di diversi calendari astrologici, due generi che
andavano diffondendosi nel corso della seconda metà
del secolo XVI, periodo in cui la stampa diviene sempre più veicolo di circolazione di nuove idee e informazioni.
Come si evince da queste considerazioni, molte sono le
notizie che ci pervengono attraverso il testo tradotto ed
esaminato che rappresenta, quindi, senza dubbio alcuno,
un importante tassello per la conoscenza della storia della
tipografia in Germania.
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RICERCA
AGRUMI della
CONCA D’ORO
memoria del paesaggio panormita
Francesca Terranova
Dall’Hortus Catholicus DEL CUPANI
Arance
Malus aurantia sylvestris (Aranci di sprimiri agri assai), Malus
aurantia maior (Aranciu di sprimiri ordinariu), Malus Aurantia
fructu stellato (Aranciu à modi di stiddiceddu, cioè cù lu mussu
à modu di viddicu), Malu Aurantium stellato cortice (Aranciu cù
la scorcia strozzata), Malum Aurantia striatu (Aranci à vrachi di
tudiscu), Malus Aurantia praegnans (aranciu, ‘ntra aranciu),
Malus Aurantia fructu corniculato (Aranciu curnutu), Malus
Aurantia fructu calioso (Aranciu, cù la scorcia, cù menzu curduni grossu di supra), Malus Aurantia fructu medio/dulci
medulla, fine spiculis pene (aranciu senza spicchi, chi livata la
scorcia di fora, si mangia comu lumiuni, Malum Aurantium
nucis magnitudine (arancia picciriddu, cornetti, cornetti, à
modu di stidda), Malus Aurantia fructu arillis privo(aranciu
senza ariddi), Malus aurantia fructu minori(aranciu mizzanu à
forma di lumiuneddu), Malus aurantia fructu cortice dulci (aranciu di portugallu), Malus Aurantiia fructu (Aranciu cu lu citru
d’intra), Malus Aurantia hermaphrodita, fructu medio citrio
(aranciu menzu citru e menzu aranciu.
Cedri
Malus Citria fructu mediocri (Citru), Malus Citria fructu magno
(Citru grossu, bozzi, bozzi, ò purretti, purretti), Malum Citrium
monstrabile (Citru di maravigghia), Malum Citrium Florentinum
(citru di Fiorenza), Malum Citrium mediocre, meditullio dulcis
(Citri duci puntutu).
Limoni
Malus Limonia acida (Lumiuni Napolitanu), Malus Limonia
Panormitana (Lumiuni di la sciorta di Palermo), Malus Limonia
maior (Lumiuni cù l’agru duci, ò Lumiuni duci d’intra), Malus
Limonia fructu minori (Lumiuni lungaruteddu minur), Malus
Limonia, Lumia valentina (Lumiuni valentianu), Malus Limonia
triplice specie fructum (Piede di lumiuni, chi fà frutti tuttiu l’annu, nello stissu ramu, di tre sorti, napolitanu muddisi, di la
sciorta di Palermo chiù gustusu, e valenzianu), Malus Limonia
pusilla calabra (luminicella di tagghiari), Malus limonia, fructu
pyriformi (piretti maggiuri grossi), Malus limonia fructu pyriforme strigato (piretti à vrachi di tudiscu minori e ordinari), Malus
adami (Sollima), Malus limonia minor dulcis (lumincelli duci),
Malus limonia minor acida (lumia napulitana), Malus limonia
citrata (lumiuni citratu o cu spicchi di citru), Malus limonia uberrima (lumiuni à minnedda, e à rappa senz’agru).
Città antica ed elegante, splendida e graziosa,
ti sorge innanzi con sembianza tentatrice:
superbisce tra le sue piazze e le sue pianure, che son
tutte un giardino.
Ibn Ǧubayr
Il Palazzo della Favara di re Ruggero, “poichè a così
grande uomo in nessun tempo mancassero le delizie della
terra e delle acque” (Romualdo Guarna Salernitano,
Chronicon, XII sec.), era circondato da un lago “adornato di reali barchette ...nelle quali il re con le sue mogli
spesso si dimena a sollazzo” (Beniamino da Tudela,
1172). Su un’isola, al centro del lago, crescevano alberi di
straordinaria bellezza, decantati in una appassionata
khasida dal poeta arabo Abd-ar-Rahman:
gli aranci superbi dell’isoletta
sembran fuoco ardente su rami di smeraldo
il limone pare avere il pallore d’un amante
che ha passato la notte dolendosi
per l’angoscia della lontananza
Questi versi sono la prima testimonianza della presenza
nel palermitano degli alberi di agrumi, apprezzati nei
giardini paradiso della Sicilia islamica e normanna
poichè compiacevano la vista e l’olfatto portando nello
stesso tempo foglie, frutti maturi, frutti acerbi e fiori.
Nell’Epistola ad Petrum Panormitanae ecclesiae thesaurarium (XII sec.), attribuita al c.d. Ugo Falcando, si
legge “Chi potrebbe degnamente lodare la bellezza della
15
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RICERCA
singolare pianura che si adagia per quasi quattro miglia
tra le mure della città e i monti? O generosa pianura,
degna di essere esaltata in ogni tempo, che racchiude nel
suo grembo ogni specie di alberi e di frutta, che da sola
offre tutte le delizie presenti in ogni luogo ... Se volgerai
quindi lo sguardo agli svariati esemplari di alberi vedrai
... i cedri formati da una distinta, triplice diversità della
loro sostanza poichè la buccia esterna dà sensazione di
calore per l’insieme di colori e odori; quel che è all’interno col succo acidulo suggerisce, al contrario, impressione di freddo; la parte mediana fra entrambe si mostra
invece la più temperata. Potrai colà vedere le lumie adatte per la loro agrezza a dare sapore alle pietanze, e le
arance, dense all’interno di succo non meno aspro, le
quali deliziano la vista con la loro bellezza più di quanto
non sembrino utili ad altro”.
Le arance di Ugo Falcando sono le arance amare, quelle
dolci arriveranno in Sicilia più tardi. La prima citazione,
del 1487, è relativa alle arangis dulcibus coltivate nel giardino di Federico de Abbatellis alla Guadagna. Tale data
anticipa di circa cinquanta anni quella tradizionalmente
ammessa, considerata conseguente ai viaggi d’esplorazione e al compimento dell’avventura di Vasco da
Gama che, circumnavigata l’Africa, raggiunge l’India e
conosce il nuovo frutto. L’arancia dolce, diffusa in
Europa dai portoghesi, giunta in Sicilia, prenderà il nome,
ancora in uso, di arancia portogallo.
Nel 1526 il domenicano Leandro Alberti visita Palermo e
ne resta incantato a tal punto che nella sua Descrittione si
legge “Ha Palermo il paese fertile, et dilettevole, et è
copioso di belli e vaghi giardini, pieni con molto ordine
di cedri, limoni, naranzi, et altri frutti gentili....”. Sono i
giardini mediterranei, derivati dal giardino dell’eden di
ispirazione coranica, lussureggianti grazie all’introduzione degli agrumi dovuta agli arabi. Separati dal territorio circostante e chiusi tra muri in pietra, conservano
ancora una dimensione intima e privata.
Solo quando, nel XVIII secolo, la produzione sarà
sostenuta dalla richiesta dei mercati dell’Europa del nord,
gli agrumi lasceranno i giardini urbani e periurbani per
dar vita al grande agrumeto. L’Abate Sestini si stupirà
notando in quale quantità velieri provenienti “all’Olanda,
Inghilterra, Danimarca e Moscovia” facciano scalo in
Sicilia per imbarcare agrumi e nella lettera settima del
1776 Sopra il prodotto degli Agrumi in Sicilia scriverà
“Le specie poi dei medesimi sono tante, e così varie, che
per la loro molteplicità difficil cosa si è il poterle descrivere; sebbene una quasi distinta descrizione l’abbiamo
già dal celebre Cupani nel suo Hortus Catholicus,
descrivendo in prima tutte le specie di Agrumi dette
Arance annoverandone 21 specie diverse; indi quelli detti
Cedri, che cinque ne nota, dopo di che venti di limoni ne
conta”. In effetti Francesco Cupani, illustre botanico
siciliano, nel 1696 aveva pubblicato l’Hortus Catholicus,
una descrizione accurata della collezione di piante dell’orto di Misilmeri, annotando accanto al nome scientifico anche il populari vocabulo.
16
LE PERMANENZE
AGRUMICOLE
I giardini delle dimore storiche
a cura di Dip. Senfimizo/Lab.Bioarcheologia
Cosa è rimasto delle tante e così varie specie descritte in
Sicilia nel XVII e XVIII secolo da Francesco Cupani e
dall’abate Sestini?
Entità agrumicole della Conca d’oro, in passato utilizzate
con successo nella pratica agricola, hanno perduto interesse e sono state superate da nuove accessioni più fertili, produttive e di migliore qualità merceologica.
Dentro questo spaccato paesaggistico il Laboratorio di
indagini bioarcheologiche del CRPR e il Dipartimento
SENFIMIZO della Facoltà di Agraria hanno condotto una
ricerca finalizzata all’individuazione, identificazione e
conoscenza di particolari cultivar del genere Citrus, presenti in passato nella Conca d’Oro di Palermo e oggi pressoché scomparse.
Lo studio inizialmente è stato svolto in aree agrumetate o
ex agrumetate del comprensorio palermitano, quali Tom-
LIMONE CEDRATO
CARATTERI ESTERNI DEL FRUTTO
• Colore della buccia: giallo;
• Superficie: papillata e grinzosa
• Dimensioni: Peso medio: 179,27 g;
Diametro trasversale: 59,12 mm;
Diametro longitudinale: 99,85 mm;
Rapporto DT/DL: 0,59 mm.
• Base: fortemente prominente;
• Calice: grande
• Peduncolo: spessore grosso; lunghezza media;
• Umbone: presente, appuntito;
• Attacco al peduncolo: forte;
CARATTERI INTERNI DEL FRUTTO
• Buccia (flavedo e albedo): molto spessa;
• Logge: n° medio 7,85; n° medio abortite 1,0;
• Polpa: colore giallo uniforme
• Quantità di succo: scarsa (18%)
• Acidità: bassa
• Semi: poco presenti; n° medio semi vitali: 1,42
n° medio semi abortiti: 0,71;
CARATTERISTICHE PRODUTTIVE
• Distribuzione dei frutti: singoli;
• Epoca di maturazione: medio-tardiva;
CARATTERI DELLA PIANTA
• Vigore: medio;
• Chioma: rotondeggiante;
• Spine: assenti;
• Foglie: Forma: lanceolata
Apice: arrotondato;
• Colore: verde scuro,
• Picciolo fogliare: medio, alette assenti.
R
RICERCA
maso Natale, Santa Maria di Gesù, Villagrazia, San
Lorenzo Colli, Cruillas e nel territorio di Bagheria e
Misilmeri.
Successivamente sono stati indagati i giardini, o quel che
di essi è rimasto, di pertinenza di un centinaio di dimore
storiche palermitane. Si è così potuto verificare che solo
alcuni di questi conservano oggi alberi di agrumi. Sono i
giardini di pertinenza delle ville: Airoldi, Arcuri, Augusta
Gentili, Bonocore Maletto, Castelnuovo, Napoli, Napolitani, Natoli, Partanna, Pensabene, San Marco, Savona,
Spina, Villa Tasca, Villa Trabia - Campofiorito, Villa
Scalea. Medesima indagine è stata svolta nel giardino dell’Oratorio dell’Immacolata, nei chiostri del convento di
Baida e di San Domenico e nei parchi storici della Favorita e d’Orleans.
Perlustrazioni attente, svolte durante i primi mesi invernali, quando i frutti sono all’albero, hanno portato all’individuazione di diversi esemplari di Citrus, alcuni dei
quali oggi a rischio di scomparsa. Su circa 80 di tali alberi è stata effettuata un’analisi tassonomica identificativa,
inserendo i dati in una scheda (vedi sotto) dove sono stati
riportati i caratteri distintivi salienti come abito della
pianta, aspetti morfo-biologici e carpologici, qualità del
frutto.
Sono state così analizzate 9 entità di Citrus aurantium
(arancio amaro), 32 entità di Citrus sinensis rappresenta-
te da antiche cultivar di arancio Ovale calabrese, arancio
Ovaletto sanguigno, arancio Portogallo, arancio Tarocco,
arancio Vaniglia e arancio Vaniglia pigmentato, 16 entità
di Citrus lemon rappresentate da antiche cultivar di Limone dolce, limone Lunario e limone Monachello, 14 entità
di Citrus limonimedica (limone cedrato), 7 entità della
cultivar Avana del Citrus reticulata (mandarino) e 9 entità di Citrus aurantifolia (lumia o limetta mediterranea).
Nella tabella sotto si riportano le specie analizzate e giardini storici di provenienza.
Campioni di materiale fogliare di alcuni di questi agrumi
sono stati forniti al Dipartimento di Biologia Cellulare e
dello Sviluppo dell’Università di Palermo, che ha usato
strumenti investigativi biotecnologici moderni. I DNA
estratti dalle foglie delle diverse piante sono stati amplificati in presenza di primers diversi con lo scopo di individuare quello in grado di meglio evidenziare le differenze
interspecifiche e intraspecifiche.
La caratterizzazione e l’analisi della variabilità genetica
degli antichi agrumi autoctoni di Sicilia sono presupposti
utili ad interventi volti alla conservazione di queste preziose risorse genetiche che, se perse, non potranno più
essere recuperate.
Il danno biologico di tale perdita si sommerebbe tristemente all’irrimediabile danno paesaggistico già inflitto
alla Conca d’Oro di Palermo.
Tabella delle specie analizzate e dei Giardini storici di provenienza
Villa Castelnuovo, Villa Napoletani, Villa San
Marco, Chiostro Sano Domenico, Oratorio
dell’Immacolata
Citrus aurantium L.
arancio amaro
Citrus sinensis (L.) Osbeck
arancio dolce
Citrus limon (L.) Burn.
Limone
Arancio Ovale
Villa Castelnuovo
Arancio Ovaletto sanguigno
Villa Castelnuovo
Arancio Ovaletto Portogallo
Villa Castelnuovo, Villa Augusta Gentile, Villa
Pensabene, Villa San Marco, Villa Trabia
Campofiorito
Arancio Tarocco
Villa Castelnuovo, Villa Partanna, Villa Tasca
Arancio Vaniglia
Villa Airoldi, Villa Arcuri, Villa Augusta
Gentile, Villa Castelnuovo, Villa Napoli, Villa
Spina, Villa Tasca, Parco della Favorita
Arancio Vaniglia pigmentato
Villa Castelnuovo, Villa Napoli
Limone dolce
Villa Pensabene, Villa Tasca, Parco d’Orleans,
Parco della Favorita
Limone Lunario
Villa Arcuri, Villa Natoli, Villa Spina
Limone Monachello
Parco d’Orleans
Chiostro Convento di Baida, Villa Arcuri, Villla
Augusta Gentili, Villa Castelnuovo, Villa
Napoletani, Villa San Marco, Villa Savona, Villa
Tasca
Citrus limonimedica Lush
Limone cedrato
Citrus aurantifolia
(Christm.) Swingle
Citrus reticulata Blanco
Mandarino
Limetta mediterranea
Villa Airoldi, Villa Arcuri, Villa Augusta
Gentile, Villa Napolitani, Villa San Marco, Villa
Spina
Mandarino Avana
Villa Napoli
Gruppo di ricerca - CRPR - Francesca Terranova, Valeria Michelucci
Dip. SENFIMIZO-Facoltà di Agraria, Palermo - Francesco Calabrese, Francesca Barone, Antonio Pensabene Bellavia
17
NEWS
20 OTTOBRE 2008 SIGLATO
IL PROTOCOLLO-CAIRO.
UNA COOPERAZIONE
SICULO-EGIZIA PER IL
RECUPERO DEL CENTRO
ANTICO
Richiamando i legami storici
che intercorrono tra la Sicilia e
la città del Cairo, sottintendendo specificamente quell’intreccio intessuto sin dai tempi in
cui la dinastia fatimita aveva
governato sia l’attuale megalopoli egiziana sia la grande isola
mediterranea, divenuta provincia egiziana dopo che i fatimidi
avevano soppiantato agli inizi
del X Sec. la dominazione
aglabita in Sicilia, è stato stipulato tra il Governatorato del
Cairo e la Regione Siciliana un
Protocollo d’intesa per la realizzazione di una offerta di collaborazione per il recupero del
centro antico.
All’interno di questa cornice
assumerà un ruolo non indifferente la presenza del Centro
Regionale Progettazione e
Restauro. Già sede istituzionale dell’Associazione HERIMED,
presieduta da Fati Saleh (direttore del CULTUNAT egiziano),
il CRPR sarà chiamato ad un
intervento di supporto all’attività tecnico-scientifica, sia nello
sviluppo della formazione specialistica sia nella progettazione del restauro.
La finalità su cui le parti si sono
impegnate è volta allo scambio
delle tecniche e delle conoscenze per la sperimentazione
scientifica multisettoriale, con
riferimento “al recupero e
restauro, alla rigenerazione,
alla ristabilizzazione e valorizzazione dei manufatti architettonici e dei sistemi urbani”. Si
tratta di un approccio metodologico complessivo di carattere multidisciplinare, nel quale
si ha riguardo anche “ai fattori
di sostenibilità ambientale,
economica, sociale, culturale
ed istituzionale”, come coordinate di ricerca che sottostanno
alla diffusione dei modelli di
comportamento e all’applicazione negli interventi pilota da
individuare: politiche e buone
pratiche “da implementare nei
tessuti e nei contesti urbani del
centro storico del Cairo”, non a
caso fra gli impegni solenni
della cooperazione, voluti dai
sottoscrittori del Protocollo, vi
sono quelli di indagare le “realtà economiche, sociali e culturali che agiscono nel centro
storico e più in generale nell’intero territorio di competenza
del Governatorato del Cairo,
con particolare riferimento allo
18
studio e previsione dei programmi di rigenerazione e
valorizzazione sostenibile a fini
turistici del patrimonio culturale materiale ed immateriale”.
Questo paradigma sperimentale di recupero farà da riferimento nella definizione dei criteri e modalità organizzative
per l’accreditamento degli
operatori che saranno coinvolti nella guida e/o esecuzione
dei programmi e progetti elaborati.
Nell’immediato le aspettative
protocollari sono indirizzate oltre alla progettazione del
Restauro/Riabilitazione di un
edificio di qualità storica, urbanistica ed architettonica- verso
la costituzione del Center of
Urban Heritage Management
of Cairo e del Training Center
for Restoration & Rehabiliation.
Il primo dovrebbe essere
attrezzato “per le funzioni di
trading continuo” e la realizzazione di un archivio “delle aree
sensibili e delle architetture”
del patrimonio urbano-architettonico; il secondo dovrebbe
essere un punto di riferimento
per “operatori tecnici, architetti, ingegneri, specializzati in
metodologie e tecniche di
restauro e di rigenerazione
socio-culturale”
dell’intero
patrimonio storico culturale.
A. Casano
(1) MINIERE STORICHE IN
SICILIA: CONDIZIONI E
PROSPETTIVE
(2) SCHEDATURA DI CAVITÀ
SOTTERRANEE IN
CONTESTI STORICI E
MONUMENTALI
(1) Pensata in seno al progetto
Carta Regionale dei Luoghi
dell’identità e della Memoria, la
ricerca sulle miniere storiche,
curata dall’U.O. Gestione delle
problematiche
geologiche
connesse alla conservazione
del patrimonio monumentale e
delle cavità ad uso antropico
del CRPR, si propone di individuare i siti estrattivi dismessi
della Sicilia in quanto importanti testimonianze di archeologia-industriale. Lo scopo è
quello di definire la consistenza e le peculiarità del patrimonio minerario dell’Isola, mettendone in luce non solo l’interesse culturale e le potenzialità
di riuso per nuove destinazioni,
ma anche gli aspetti di criticità,
derivanti dall’attuale stato di
abbandono e dall’assenza di
misure di salvaguardia e valorizzazione
Obiettivi principali dello studio
sono i seguenti:
– procedere alla quantificazione, qualificazione e georeferenziazione dei siti ricadenti in
tutto il territorio regionale;
– elaborare un percorso metodologico che conduca alla salvaguardia, riqualificazione e ad
una appropriata riconversione
d’uso delle realtà più significative;
– focalizzare le principali problematiche d’ordine tecnico e
normativo per garantire la fruizione dei beni secondo scelte
che, adatte ai casi specifici,
arricchiscano l’offerta culturale
dell’Isola (itinerari turistici,
didattico-scientifici, siti museo,
geoparchi, circuiti dedicati alla
storia e alla incidenza dell’industria mineraria sulla trasformazione del paesaggio e del
tessuto sociale);
– individuare
formule
di
gestione e valorizzazione
sostenibili, modelli d’uso condivisibili da parte delle comunità locali, confrontabili con
esperienze similari condotte in
ambito nazionale ed internazionale.
(2) Strettamente correlata alla
elaborazione del progetto
Carta del rischio del Patrimonio
Culturale Siciliano è la schedatura delle cavità sotterranee.
Lo scopo è quello di fornire
importanti informazioni sul
costruito non visibile, inteso
quale spazio fortemente integrato alla storia dei luoghi e
alle vicende costruttive degli
impianti architettonici e monumentali soprastanti. Concentrata in primo luogo nel centro
storico di Palermo, l’attività
restituirà importanti informazioni sulla distribuzione e sullo
stato di conservazione di un
cospicuo patrimonio sommerso, inspiegabilmente poco
valorizzato e, per diverse
cause, esposto ad alto rischio
di distruzione. Oltre che evidenziare la tipologia delle
valenze da salvaguardare,
saranno messi in luce gli
aspetti di pericolosità geologica dovuti alla presenza di discontinuità nel substrato. Uno
spazio specifico sarà dedicato
alla definizione del contesto
geologico ed idrogeologico in
cui insistono i beni, alla descrizione dei degradi e dei dissesti
strutturali gravanti sul patrimonio ipogeo, all’esame delle
relazioni tra la stabilità del
costruito e quella dei vuoti sottostanti. Ciò, nella consapevolezza del grande valore di un
sottosuolo denso di storia e di
cultura, ma anche nella consi-
derazione dei rischi che da
questo potrebbero derivare.
D. Gueli
LE CINQUECENTINE
DELL’ARCHIVIO DI STATO DI
PALERMO: UN PROGETTO
INTERDISCIPLINARE DI
DIAGNOSTICA E
CONSERVAZIONE.
Con un protocollo d’intesa il
CRPR e l’Archivio di Stato di
Palermo hanno avviato una
collaborazione scientifica finalizzata alla realizzazione di un
intervento di restauro conservativo su alcuni libri a stampa
del XVI secolo custoditi presso
la Biblioteca dell’Archivio. La
scelta di operare sul fondo
antico è stata determinata
dallo studio già effettuato da
questo Istituto sul patrimonio
librario del Cinquecento che,
proveniente in gran parte dalla
ex Biblioteca del Monastero di
S. Martino delle Scale, mostrava in alcuni volumi una raffinata legatura in pergamena con
impressioni a piccoli ferri in oro
ed in nero, comunemente
conosciuta come legatura
martiniana. L’intervento del
Centro riguarderà solo alcuni
dei volumi individuati e sarà
indirizzato all’applicazione di
una specifica metodologia di
restauro e alla definizione di
una modalità conservativa più
idonea. Nella fase preliminare
all’intervento di restauro sono
state avviate le analisi scientifiche per verificare lo stato di
conservazione dei volumi e
individuare la tipologia del
degrado. Le indagini, dopo
un’attenta osservazione visiva
e una puntuale documentazione fotografica eseguita dal
Gabinetto fotografico del
CRPR, sono state svolte a
campione su parti differenti dei
volumi utilizzando varie tecniche non invasive alcune delle
quali sono state applicate in
situ utilizzando strumentazione
portatile. I volumi sono stati
sottoposti ad indagini multispettrali e colorimetriche, che
hanno permesso di ottenere
un’immagine rappresentativa
degli strati non visibili all’occhio umano, una prima identificazione degli inchiostri e delle
diverse forme di alterazioni,
alla analisi degli elementi chimici mediante spettrometria
XRF. Sono stati effettuati campionamenti mediante tamponi
sterili e osservazioni al microscopio ottico per indagare i
processi di alterazione di natura biologica e microbiologica.
Inoltre sono in corso di svolgi-
NEWS
mento ulteriori approfondimenti analitici per la caratterizzazione del supporto cartaceo,
sia con tecniche di Biologia
Molecolare che con indagini al
Microscopio a Scansione
(SEM) con la collaborazione di
Franco Palla del Laboratorio di
Biologia Molecolare del Dipartimento di Scienze Botaniche
dell’Università di Palermo. A
seguito dell’elaborazione e del
confronto delle informazioni
così ottenute, si programmerà
l’intervento più idoneo da
effettuare. Tale intervento, che
verrà realizzato dal Laboratorio
di restauro manufatti di origine
organica del CRPR, sarà finalizzato a rispettare le caratteristiche costitutive dei libri limitandosi alle sole parti danneggiate, mirando a salvare la
maggior parte delle informazioni che da essi derivano,
testimonianza del periodo storico in cui sono stati prodotti.
Gli esiti dell’attività costituiranno un percorso metodologico
cui riferirsi, da applicare ad altri
lotti omogenei per tipologia o
epoca al fine di conoscerne lo
stato di conservazione, le tipologie di degrado e programmare gli interventi necessari, consentendo di intervenire secondo priorità.
R. Di Natale – G.M .Spanò
PROGETTO-IFTS.
UN TECNICO SUPERIORE
PER LA GESTIONE DEL
TERRITORIO E
DELL’AMBIENTE.
STAGE CONCLUSIVO
Nella qualità di quinto partner il
Centro Regionale Progettazione e Restauro ha collaborato
alla realizzazione del percorso
formativo, previsto dal progetto Monitoraggio e sistemi di
controllo intelligenti per la salvaguardia dei beni culturali ed
ambientali, per la figura professionale di Tecnico Superiore
per la Gestione del Territorio e
dell’Ambiente. Gli altri partner
coinvolti sono stati l’Università
degli Studi di Palermo, l’ISASIstituto Scienze Amministrative
e Sociali, la Cooperativa
Sociale “Progetto Salute” e l’Istituto Statale d’Arte per il
Mosaico “Mario D’Aleo” di
Monreale che è stato l’ente
gestore e attuatore.
Nell’esecuzione del ProgettoIFTS (Istruzione e Formazione
Tecnica Superiore) il Centro
Restauro, a seguito di specifica convenzione, ha contribuito
nella primavera scorsa coll’attività di stage per una durata
complessiva di 360 ore,
secondo un iter formativo articolato in due fasi: la prima, di
carattere illustrativo, dedicata
all’organizzazione e all’attività
svolta dal Centro, dove sono
stati presentati alcuni progetti
sperimentali realizzati o in
corso d’opera, in uno con gli
strumenti editoriali offerti per la
divulgazione e la diffusione
degli studi e delle ricerche
condotte dalla struttura; la
seconda rivolta alla didattica
con lezioni teoriche frontali e
tecnico-pratiche svolte sia nei
laboratori scientifici e di
restauro che presso alcuni
cantieri dove opera e/o aveva
già operato l’Istituto. Guidati
dai docenti responsabili dei
singoli laboratori, i partecipanti
al corso hanno avuto modo di
conoscere, da un lato, le principali metodologie diagnostiche e le più avanzate tecniche
di analisi per ricercare le cause
di degrado, caratterizzare i
materiali e studiare le probabili
modifiche future, migliorare
l’efficacia dei trattamenti di
conservazione, dall’altro, alcune tecniche di restauro applicate su manufatti organici e
inorganici: tessili, carta, lapidei, tele e tavole, reperti
archeologici, mosaici.
In sostanza l’obiettivo dell’iniziativa è stato quello di fornire
ai corsisti una sintesi delle
linee-guida inerenti alle problematiche della conservazione e
del restauro, attraversando in
lungo e in largo i percorsi di
ricerca, dalla interpretazione
storico-artistica alla analisi tecnico-costruttiva dei manufatti e
dei materiali impiegati.
Nel mese di maggio è stato
effettuato un viaggio d’istruzione a Madrid e Toledo, secondo
un itinerario di interscambio
didattico, utile all’ arricchimento del bagaglio di conoscenze
dei discenti. Particolare attenzione è stata riservata ai giorni
dedicati alla visita dell’IPHEInstituto del Patrimonio Histórico Español del Ministero della
Cultura, strutturato all’interno
della Città Universitaria di
Madrid -ente omologo a quello
palermitano- che opera anche
nel bacino del Mediterraneo
applicando metodologie e
linee di ricerca analoghe. L’Istituto madrileno infatti produce
studi e ricerche in materia di
diagnostica conservativa, in
primo luogo del patrimonio
culturale ispanico, fornendo
anche consulenze scientifiche
sia sui protocolli diagnostici
che sulla scelta dei materiali
per la conservazione, oltreché
eseguire direttamente interventi di restauro particolarmente complessi.
I Corsisti, assistiti da Maria
Luisa Gomez , chimico dell’Istituto spagnolo e da chi scrive nella qualità di tutor aziendale, hanno visitato i laboratori scientifici dell’istituto: fisica,
chimica, biodeterioramento,
conservazione
preventiva,
dove sono state illustrate le
più avanzate tecniche di analisi per studiare le cause di
degrado, caratterizzare i materiali e studiare le probabili
modifiche future, migliorare
l’efficacia dei trattamenti di
conservazione.
Particolare
attenzione è stata dedicata ai
vari laboratori di restauro di
manufatti organici e inorganici:
tessili, carta, lapidei, tele e
tavole, manufatti archeologici,
mosaici, metalli. Lo stage ha
fornito ai Corsisti occasione di
conoscere il lavoro svolto
all’interno del Centro con la
conseguente apertura di nuove
prospettive lavorative e una
maggiore consapevolezza nell’indirizzare le scelte future, di
conoscere i rapporti che intercorrono tra le istituzioni che
operano nel settore. Ha altresì
consentito l’apprendimento di
saperi nel settore dei beni culturali, di confrontare metodi e
linee di ricerca, dell’importanza
della conservazione preventiva
e di alcuni sistemi di controllo e
monitoraggio, nonché del
ruolo che i Beni Culturali svolgono nel consolidare il concetto di identità culturale della
nostra civiltà.
G. M. Spanò
In totale sono stati mappati 11
siti (v.elenco), raccolti numerosi insetti e caratterizzate circa
sei specie afferenti, principalmente, alla fam. Anobidae, ma
anche Dermestidae e Curculionidae.
(1) MAPPATURA DEL
DEGRADO ENTOMOLOGICO
DEI BENI NEL TERRITORIO
MADONITA. MANUFATTI
LIGNEI E CARTACEI
(2) PRIMA SEGNALAZIONE
DI GASTRALLUS PUBENS
(COLEOPTERA, ANOBIDAE)
IN SICILIA
(2) Lo scorso ottobre al Laboratorio di Indagini Biologiche
del CRPR sono pervenuti quattro volumi provenienti dal
Fondo Antico della Biblioteca
Regionale di Catania, di cui
due risalenti al 1604 e due al
1787, per essere sottoposti ad
indagini entomologiche al fine
di accertare la presenza di
eventuali infestazioni in atto o
pregresse.
L’analisi della fenomenologia
dei danni presenti sui libri, congiuntamente all’esame microscopico dei campioni prelevati,
ha consentito di rilevare un’infestazione monospecifica in
atto, per la presenza di larve
vive di un piccolo Coleottero
Anobidae.
Si tratta di Gastrallus pubens
Fairmaire, 1875, specie nuova
per la Sicilia, segnalata per la
prima volta in Italia nel 2007 da
Roberto Poggi, Direttore del
(1) L’indagine avviata è collegata al progetto Mappatura del
degrado entomologico dei
manufatti di natura organica,
ed è finalizzata all’accertamento dell’eventuale degrado di
natura entomologica -provocato da insetti xilofagi- su tutti
quei manufatti di rilevanza culturale, in particolare lignei e
cartacei, presenti nel territorio
in esame. Sono stati già ispezionati diversi ambienti, quali
chiese, biblioteche, musei e
quant’altro custodisca al suo
interno beni di natura organica.
ELENCO SITI MAPPATI
Polizzi Generosa:
– Biblioteca
– Chiesa di S. Antonio Abate
Geraci Siculo:
– Biblioteca
– Civica raccolta Etno-antropologica
Petralia Sottana:
– Biblioteca
– Chiesa SS. Trinità o Badia
– Matrice
– Chiesa di S. Francesco
Castellana Sicula
– Chiesa di S. Giuseppe (Calcarelli)
– Chiesa del SS. Crocifisso
(Nociazzi)
– Cappella della Madonna
della Catena
Ai siti sopraelencati va aggiunto il Fondo antico del Museo
del Risorgimento di Palermo,
dove si sta conducendo un
monitoraggio entomologico
attraverso uso di trappole. Lo
studio del Laboratorio di Indagini Biologiche è cosi articolato:
1. sopralluoghi tecnici finalizzati alla raccolta di campioni
biologici ed alla documentazione fotografica delle alterazioni;
2. esami di laboratorio e preparazione di insetti nelle scatole entomologiche;
3. realizzazione grafica informatizzata;
4. elaborato finale.
19
NEWS
Museo Civico di Storia Naturale “G. Doria” di Genova, nella
Biblioteca dei Padri Cappuccini, e finora limitata a questa
città. Il ritrovamento in Sicilia
ne estende l’areale verso sud,
dove possibilmente è stata
ignorata per carenza di adeguate attenzioni agli antichi
Fondi librari.
L’esatta determinazione della
specie è stata resa possibile
grazie alla collaborazione di
Ignazio Sparacio, medico e
naturalista entomologo, autore
di monografie sui Coleoptera
di Sicilia.
R. Not
SECONDO CATALOGO DE
“LE SEICENTINE
DELL’ARCHIVIO DI STATO DI
PALERMO” (CON
CINQUECENTINE
AGGIUNTE)
Prosegue con un secondo
catalogo dedicato alle edizioni
del Seicento lo studio del
fondo antico della Biblioteca
dell’Archivio di Stato di Palermo, promosso da questo Istituto nell’ambito dei programmi
finalizzati alla conoscenza,
conservazione e valorizzazione
del patrimonio librario siciliano.
Il catalogo, compilato in ordine
alfabetico per autore, oltre a
descrivere 117 seicentine,
comprende anche 33 cinquecentine rinvenute in seguito ad
un’occasionale revisione dell’inventario topografico della
Biblioteca. Il catalogo mette a
disposizione degli studiosi e
dei bibliofili una raccolta libraria di notevole interesse per la
rarità delle opere descritte e
per i dati relativi alla produzione editoriale e tipografica
palermitana dei primi secoli di
stampa. Rilevante la presenza
di opere rientranti nella vasta
congerie della letteratura giurisprudenziale, con un’assoluta
prevalenza di raccolte di normativa regia e cittadina, mentre tra i testi devozionali, pubblicati da tipografi palermitani
in occasione della festività di
S. Rosalia, è presente la nota
opera del gesuita Giordano
Cascini Di S. Rosalia vergine
palermitana libri tre, edita con
un’elegante antiporta e venti
incisioni raffiguranti vari episodi della vita della Santa. Sempre tra i testi siciliani di contenuto religioso apologetico si
segnala l’opera Iconologia
della gloriosa Vergine Madre di
Dio Maria protettrice di Messina del gesuita Placido Samperi, stampata a Messina nel
20
1644 ed arricchita da 70 pregevoli incisioni di soggetto
mariano che riproducono i
dipinti più noti del Cinquecento
e Seicento messinese.
R. Di Natale
RICERCA SCIENTIFICA
FINALIZZATA ALLA
CONOSCENZA/CONSERVAZI
ONE DELLE
TESTIMONIANZE
DELL’IMPIEGO DI TERRA
CRUDA NEL PATRIMONIO
ARCHITETTONICO DA
TUTELARE IN SICILIA
Nel mese di dicembre è stato
sottoscritto un protocollo d’intesa tra il CRPR ed il Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia l’Università degli
Studi di Palermo. L’accordo fa
seguito ai contatti attivati nel
2007 tra l’Unità Operativa X Beni archeologici, che aveva
individuato
il
patrimonio
archeologico in terra cruda,
per la sua intrinseca vulnerabilità, tra le priorità da censire e
schedare per la Carta del
Rischio e Maria Luisa Germanà, responsabile di una ricerca
su Architettura in terra cruda
nel territorio siciliano: processi
conoscitivi e conservativi condotta nell’ambito di un Progetto di Rilevanza Nazionale
(PRIN) finanziato nel biennio
2005/07 sul tema Conoscenze
scientifiche, sperimentali e
tacite e azioni di conservazione
di architetture in terra cruda in
Italia del Sud: sviluppo, sperimentazione e validazione di
uno strumento web-based di
knowledge management.
Un primo contributo è stato
fornito dal CRPR nella fase di
elaborazione delle schede di
rilevazione, già testate in alcuni siti campione nel corso della
suddetta ricerca.
La finalità del protocollo, le cui
attività saranno avviate nel
2009, è di perfezionare la
scheda, per adeguarla a quelle
in uso per la Carta del rischio,
completare il censimento
avviato e sistematizzare i dati
con la realizzazione di un data
base nell’ottica di una divulgazione dei risultati anche via
web.
M.E. Alfano
NANOTECNOLOGIE
E FONTI RINNOVABILI PER
L’AUTOPRODUZIONE DI
ENERGIA ALTERNATIVA
Il Dipartimento di Progetto e
Costruzione Edilizia dell’Università degli Studi di Palermo ha
promosso nell’A.A. 2007-2008
un Master Universitario per
Esperti di Nanotecnologie per i
Beni Culturali. Al suo interno gli
architetti Roberta Bodanza e
Giovanna Di Felice hanno redatto la tesi Nanotecnologie per la
produzione di energie alternative
nella Villa Romana del Casale di
Piazza Armerina, con il tutoraggio aziendale del CRPR (Unità di
Ricerca per i Beni Paesaggistici,
Naturali, Naturalistici, Architettonici ed Urbanistici e per la Carta
del Rischio).
Sono già passati dieci anni dal
Libro Bianco italiano per la valorizzazione energetica delle fonti
rinnovabili ma restano lontani gli
obiettivi programmati ed in larga
parte carente il ruolo che devono
svolgere le Amministrazioni
Pubbliche per ridurre le emissioni in atmosfera con l’auto-produzione energetica da risorse
rinnovabili.
In questo quadro della ricerca si
valorizza l’idea di progetto dedicata alla realtà complessa della
Villa romana ed alla sua spesa
energetica: l’illuminazione dell’area e dell’edificio archeologico,
l’impianto anti-intrusione con
telecamere sensibili all’infrarosso e sistema di controllo video a
circuito chiuso, l’impianto antincendio, il sistema di sicurezza
con luci e segnaletiche di emergenza.
Lo studio esalta le potenzialità
insite nell’utilizzo delle nanotecnologie, che intervengono sulla
materia su scala molecolare. Se
applicate per ubicare impianti
fotovoltaici in aree strategiche
dell’area (antiquarium, percorsi,
area del parcheggio) riducono
drasticamente l’impatto fisico e
percettivo sulla Villa garantendo
il consumo energetico complessivo. Sarebbe inoltre possibile
ottenere un surplus energetico
che, se immesso sul mercato,
coprirebbe, almeno in parte, i
costi del previsto protocollo di
conservazione programmata
dell’edificio e i suoi apparati
decorativi e del protocollo di
manutenzione preventiva dedicato al nuovo sistema di copertura e fruizione del sito.
R. Garufi
V CONFERENZA DEL
COLORE - SALONE DELLE
FESTE-PALAZZO
MONTALBO
Dal 7 al 9 ottobre 2009 si terrà
a Palermo, presso il ns. Centro, la V Conferenza Nazionale
del Gruppo del Colore. La finalità di questa edizione è quella
di “favorire l’aggregazione
multi ed interdisciplinare di
tutte le realtà che in Italia si
occupano del colore e della
luce da un punto di vista scientifico e/o professionale”. L’incontro, nella giornata di apertura dei lavori, sarà introdotto
da alcuni seminari sviluppati
sui diversi temi di confronto
oggetto del programma.
SISTEMI BIOLOGICI E BENI
CULTURALI
CONVEGNO NAZIONALE ORTO BOTANICO DI
PALERMO 5/6 OTTOBRE
2009 - Aula “G. Lanza”
Organizzato dall’Associazione
Italiana di Archeometria, in collaborazione con il Dipartimento
di Scienze Botaniche e il Corso
di Laurea in Conservazione e
Restauro dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di
Palermo, il Centro Regionale di
Progettazione e Restauro della
Regione Siciliana, la BioNAtItalia, il convegno si rivolge agli
operatori del settore dei Beni
Culturali (ricercatori, studiosi,
restauratori, etc,). L’articolazione tematica seguirà una
linea dimostrativa tale che i
contributi scientifici presentati
dovranno mettere in luce la
documentazione analitica dei
casi studiati. Il quadro del
dibattito sarà completato dalla
sessione-poster e dalle comunicazioni orali, oltre che da uno
spazio dedicato alle comunicazioni inerenti alle “collaborazioni scientifiche tra Università
- Centri ricerca - PMI, che rientrano nel campo della conservazione / restauro / fruizione
dei beni culturali”. Nello specifico quel che si propone è l’approfondimento sulla caratterizzazione e sulla conoscenza dei
sistemi biologici “intesi sia
come bene culturale (alberi
monumentali, mummie moderne), sia come causa di degrado del patrimonio culturale
(bio-deterioramento) che come
fonte di macromolecole utili
per interventi di restauro (biopulitura, bio-consolidamento)
dei beni culturali”. Va segnalata l’importanza dello scopo di
“presentare le innovazioni tecnologiche utili per la completa
caratterizzazione dello stato di
conservazione e per la realizzazione di un intervento programmato di restauro conservativo”. In ultima analisi, l’obiettivo dei lavori “è quello di
implementare le conoscenze,
estendere e consolidare la formazione dell’area tematica
Biologia e Biotecnologie”
all’interno dell’AIAr.
A. Casano
DOSSIER
X CONFERENZA
DEL COMITATO
INTERNAZIONALE PER LA
CONSERVAZIONE DEI
MOSAICI
L’ ICCM, Il Comitato Internazionale
per la Conservazione del Mosaico è
stato fondato nel 1977 nel corso di
una riunione sulla conservazione del
mosaico organizzata dall’ICCROM a
Roma. In questa occasione, undici
professionisti, archeologi, conservatori, storici dell’arte, decisero di fondare il Comitato. Da allora l’ICCM è
stato di fondamentale importanza nel
promuovere la conservazione del
mosaico come campo professionale
specifico. Gli obiettivi dell’Ente
includono la conservazione del
mosaico attraverso la promozione di
studi sulla tecnologia esecutiva e
mediante la pratica della sua conservazione, manutenzione e presentazione. Esso favorisce lo scambio internazionale di esperienze nel campo
della conservazione del mosaico e
fornisce assistenza e consulenze a
ricercatori e professionisti.
Nei suoi 30 anni di attività, l’ICCM ha
organizzato nove conferenze internazionali e una serie di tavole rotonde in
Europa e in Nord Africa. Tutti gli atti
delle conferenze sono stati pubblicati,
insieme a 11 bollettini. In questo
modo, l’ICCM ha contribuito significativamente al progresso della qualità
della letteratura tecnica sulla conservazione del mosaico. L’ICCM ha facilitato la grande evoluzione che la filosofia e la pratica della conservazione del
patrimonio culturale nel campo del
mosaico possono vantare oggi. In particolare, la conservazione in situ al
posto del distacco, che è stata una delle
prime raccomandazioni del Comitato,
è diventata uno dei principi fondamentali della moderna conservazione del
mosaico. Esso ha inoltre giocato un
ruolo determinante nell’enfatizzare
l’importanza della conservazione preventiva e della manutenzione nella
protezione del mosaico.
Roberto Nardi
21
DOSSIER
Si è svolta a Palermo, dal 20 al 26
ottobre, la X Conferenza del Comitato Internazionale per la Conservazione dei Mosaici (ICCM), ospitata
dalla Società Siciliana per la Storia
Patria nel prestigioso complesso del
convento di San Domenico. L’evento
programmato sin dalla precedente
conferenza tenutasi in Tunisia nel
2005, nel corso della quale il CRPR
venne designato a organizzare in
Sicilia il Convegno, è stato organizzato dall’ ICCM e dal CRPR; hanno
sponsorizzato la sua realizzazione
The Getty Foundation, l’University
of Cyprus, l’ICCROM, la Società
Siciliana di Storia Patria, il Gruppo
Würth e l’Assessorato Regionale al
Turismo, Comunicazioni e Trasporti.
La manifestazione ha consentito ai
numerosi specialisti del settore di
confrontarsi sul tema La conservazione: uno strumento di conoscenza,
individuato dal Comitato Scientifico
con l’obiettivo di mostrare l’importanza che un esame sistematico ed una
descrizione completa delle osservazioni fatte nel corso delle operazioni
di conservazione assumono nell’acquisizione di dati essenziali alla conoscenza tecnico-materica e storicoarcheologica, oltre che alle trasformazioni subite nel tempo dal mosaico, ai
fini della sua conservazione.
I lavori, relativi ai tre sotto temi Il
costo della manutenzione delle pavimentazioni in situ, I grandi interventi
di conservazione dei mosaici e dei
siti, La formazione dei conservatori /
restauratori di mosaico, sono stati
articolati in nove sessioni tematiche:
Mosaic Conservation in Sicily, The
Act of Discovery, Documentation and
Analysis, Large Scale Projects, Evaluation, Maintenance and Treatment,
Shelters, Museum Collections, Education and Training, Cases Studies.
Il notevole successo riscosso dalla
manifestazione, testimonia la grande
attualità dei temi e l’esigenza degli
studiosi di confrontarsi sulle problematiche della conservazione del patrimonio musivo: 306 partecipanti,
intervenuti da 38 nazioni, hanno
seguito i lavori, hanno contribuito al
dibattito sulle 51 relazioni presentate
ed apprezzato i 43 contributi esposti
nella sessione posters; le visite organizzate ai monumenti cittadini ed ai
22
Veduta della domus
romana detta ‘Villa
con vista’ a
Tolemaide (Libia)
la CONFERENZA
di PALERMO
a cura di
M. Elena Alfano
M. Giovanna Agosta
M. Lucia Ferruzza
siti archeologici hanno offerto l’opportunità di entrare in contatto con la
realtà dei mosaici siciliani e con gli
interventi effettuati per la loro salvaguardia.
I contributi presentati, le riflessioni
ed il proficuo confronto che ne sono
scaturiti, hanno confermato che la
conservazione è divenuta, negli anni,
lo strumento privilegiato per acquisire una conoscenza integrata del bene
culturale. Sempre più, in quest’ottica,
il rapporto sinergico tra discipline
umanistiche e scientifiche si è rivelato condizione indispensabile per
garantire la corretta definizione del
bene e del suo contesto: dallo studio
dei caratteri formali e storici e delle
tecniche realizzative, all’analisi delle
patologie di degrado in rapporto ai
materiali e agli interventi effettuati
nel tempo, senza tralasciare la questione nodale della gestione e fruizione da parte della collettività.
Obiettivi principali della conservazione, al fine di evitare o comunque rinviare, per quanto possibile, la necessità di un intervento restaurativo, azione di per sé traumatica per il bene
stesso, sono la manutenzione pro-
grammata e la prevenzione messe a
punto attraverso un costante monitoraggio e con l’ausilio delle più moderne tecnologie.
La Conferenza ha costituito uno
straordinario momento di incontro e
di dibattito, e la presenza di studiosi
provenienti da paesi quali il Togo,
Messico, Serbia, Polonia e Macedonia, fino ad ora mai entrati nel vivo
del dibattito sulla conservazione dei
mosaici, ha arricchito il panorama
della conoscenza del patrimonio e
delle problematiche relative alla sua
salvaguardia nelle diverse realtà culturali e geografiche.
Si tornerà a confrontarsi sulla conservazione del patrimonio musivo, testimonianza di una comune identità culturale che non conosce confini geografici, in occasione della XI Conferenza che si terrà nel 2011. Malta,
Marocco e Siria hanno avanzato la
loro candidatura per ospitare ed organizzare l’evento: il Direttivo dell’ICCM designerà la prossima sede
dove tante tessere di sapere si uniranno per definire, sempre più, il disegno
della conservazione dei mosaici.
DOSSIER
Particolare
di uno dei mosaici
pavimentali
Tolemaide (Libia)
IL PATRIMONIO MUSIVO
IN SICILIA: NUOVI
INTERVENTI E SISTEMI
DI COPERTURA
La prima sessione, Mosaic Conservation in Sicily, ha affrontato nello specifico il tema della conservazione dei
mosaici in una serie di siti con differenti caratteristiche e problematiche:
dal restauro dei mosaici bizantini della
Cappella Palatina di Palermo, allo studio e recupero del mosaico decontestualizzato di Carini, sino ad una
ampia disanima sull’ intervento in
corso alla Villa del Casale di Piazza
Armerina e sugli studi propedeutici al
progetto. È stato, inoltre, affrontato il
problema della efficacia delle coperture a protezione degli apparati musivi
nei siti archeologici siciliani.
La relazione di Lina Bellanca ha presentato il restauro, appena concluso,
della copertura e dei mosaici della
Cappella Palatina realizzato dalla
Soprintendenza di Palermo, grazie alla
sponsorizzazione dell’imprenditore R.
Wurth, e codiretto da G. Meli e G.
Davì.
L’intervento ha evidenziato l’importanza dello studio delle trasformazioni
subite dall’edificio, dei precedenti
restauri e delle cause del degrado dell’apparato musivo, derivanti in buona
parte dall’inefficienza delle coperture
e notevolmente aggravate dal sisma
del 2002. Sono state illustrate le indagini preliminari condotte dal CRPR,
l’intervento di adeguamento delle
coperture ed il restauro dei mosaici,
effettuati con la consulenza dell’ICR,
per un importo totale dei lavori di
circa 2.300.000 euro. Ai partecipanti
alla Conferenza è stata offerta l’opportunità di ammirare la cappella restaurata nel corso di una apposita visita.
Diversa la problematica trattata da
Francesca Spatafora che ha illustrato il
recupero, curato dalla Soprintendenza
di Palermo, di un mosaico pavimentale attribuito al IV secolo d.C., proveniente da un grande ambiente absidato
rinvenuto a Carini, delineandone la
travagliata storia a seguito della
decontestualizzazione avvenuta alla
fine dell’ ‘800 e del lungo periodo di
incuria cui fu soggetto prima che
l’Amministrazione acquisisse il bene
nel 1999 e ne prevedesse il restauro. I
lavori, effettuati dal 2004 al 2005,
hanno consentito di ricomporre il
grande mosaico su supporto leggero,
previo studio dell’allettamento originario, integrandone le lacune e di collocarlo provvisoriamente nell’oratorio
di S. Filippo Neri, a Palermo, in attesa
di una opportuna ricontestualizzazione
nel territorio di provenienza.
Un intervento di particolare rilevanza,
per la vastità delle superfici di mosaico interessate (circa 3500 mq) e l’entità del finanziamento impegnato di
circa 18.000.000 di euro, è stato presentato da Guido Meli, coordinatore
del progetto e direttore dei lavori di
recupero e conservazione della Villa
Romana del Casale di Piazza Armerina. Sono stati illustrati fattori e cause
di degrado individuati dagli studi e
dalle analisi preliminari condotte sul
sito che hanno contribuito alla definizione dell’intervento di sostituzione
delle attuali coperture mantenendo i
principi ispiratori della soluzione realizzata da F. Minissi, e l’ impegnativo
recupero dei mosaici e degli intonaci
dipinti. Particolare accento è stato
posto sul problema della carenza di
manutenzione che implica, a lungo
andare, consistenti lavori di restauro e
sulla necessità di una prassi manutentiva programmata al fine di evitare gli
interventi straordinari.
Hanno trattato specificatamente del
degrado causato anche da inidonee
tecniche adottate in passato e degli
interventi effettuati per il recupero dei
mosaici della Villa del Casale, le relazioni di Mauro Matteini, del CNR e
consulente del CRPR e di Lorella Pellegrino, componente del gruppo di
progettazione e direzione del lavori,
che ha accennato a nuovi trattamenti
con l’utilizzo di alghe ed alla problematica dell’integrazione delle lacune.
Nell’illustrazione delle metodologie,
basate esclusivamente sull’uso di
materiali inorganici, individuate sulla
base di numerosi test pilota preventivamente eseguiti ed adeguatamente
monitorati, il prof. Matteini ha evidenziato la fondamentale importanza del
lavoro condotto in equipe, del confronto multidisciplinare posto in essere per il buon fine del lavoro e della
inderogabile necessità di effettuare
una manutenzione programmata il cui
piano è, peraltro, previsto già nell’ambito del progetto.
Tra le analisi ed i monitoraggi che
hanno contribuito alla conoscenza
delle problematiche della Villa del
Casale, sono state fondamentali le rilevazioni microclimatiche e colorimetriche effettuate all’interno della Villa
dal laboratorio di fisica tecnica ed
ambientalistica del CRPR impegnato
dal 2004 nel monitoraggio delle superfici decorate. In particolare, Fernanda
Prestileo ha relazionato sulle indagini
colorimetriche eseguite, in aree pilota,
sulle tessere musive per classificarne
le alterazioni. Ciò ha consentito di elaborare delle mappe di riferimento,
23
DOSSIER
Tavola del
refettorio del
Monastero di Nea
Moni a Chios dopo
il restauro
Attività di restauro
di un mosaico in
ambiente
confinato, Algeria
Il pannello
‘Gold -Glass’
di età bizantina da
Cesarea Maritima
(Israele)
registrare le variazioni ed il recupero
delle cromie a seguito delle varie fasi
di intervento effettuate con diversi
materiali (idrossido bario, carbonato
di ammonio e ossalato di ammonio,
etc), e verificarne la validità nel
tempo, fornendo in tal modo un concreto contributo alla definizione delle
scelte metodologiche.
La visione pluridisciplinare dei degradi e la ricerca delle soluzioni agli stessi ha comportato ulteriori studi per la
conoscenza ed analisi di natura chimica, biologica e microbiologica condotte dai laboratori del CRPR e illustrate
nella sessione poster.
La sessione si è conclusa con l’intervento di Roberto Garufi che ha presentato la Carta siciliana dei sistemi di
copertura archeologica che contribuisce ad ottimizzare i costi di gestione
dei siti. La sua realizzazione definisce
criteri e strategie per la manutenzione
delle coperture e per conservare e fruire correttamente i beni archeologici.
Lo studio ha evidenziato l’opportunità
di sostituire gradualmente in Sicilia
quelle non più idonee o dannose con
altre dotate di sistemi fotovoltaici, per
ridurre i costi energetici e l’inquinamento ambientale e per finanziare i
costi di gestione dei siti.
Agli interventi ha fatto seguito un interessante dibattito, prevalentemente
relativo all’uso dei materiali specifici
utilizzati per i restauri, che ha visto
partecipare attivamente i convegnisti
al confronto di diverse esperienze e di
metodologie di vecchia o più nuova
generazione.
24
CONSERVARE È
CONOSCERE
L'OPERAZIONE DI
RESTAURO È UNA
PREZIOSA OPPORTUNITÀ
PER SCOPRIRE ASPETTI
INEDITI ED ESSENZIALI PER
LA CONOSCENZA E LA
CONSERVAZIONE DEL
MOSAICO
Al tema The Act of Discovery è stata
dedicata la seconda sessione della
Conferenza.
La studiosa francese Evelyne Chantriaux, che opera nell’atelier di restauro del Museo Archeologico di Saint
Romain en Gal in Provenza, ha
affrontato il tema della preparazione e
composizione dell’apparato decorativo del tessellato prima della messa in
opera, presentando le tracce preparatorie scoperte nel corso del restauro
dei pavimenti musivi di una domus
della seconda metà del II secolo d.C.
a Besançon. Le incisioni realizzate
nella malta del nucleus e i disegni in
nero, ocra rossa e argilla verde riscontrati sotto i motivi figurati del tessellatum, costituiscono una testimonianza di grande interesse per la conoscenza della tecnica musiva antica e
delle metodologie della posa in opera.
I dati emersi dallo scavo e dal restauro hanno portato a ipotizzare la pre-
senza di un vero e proprio pictor con
il compito di preparare il tracciato
compositivo della figurazione musiva.
Will Wootton del King’s College di
Londra ha sottolineato come una corretta prassi conservativa implichi la
raccolta sistematica della documentazione in fase di scavo e l’inquadramento del mosaico nel suo contesto storico.
Solo la piena collaborazione delle
diverse professionalità può, infatti,
garantire lo studio di tutte le problematiche connesse alla storia ed alla conservazione del mosaico, accertando
tecnologie e materiali utilizzati per gli
apparati decorativi e consentendo
anche di ricostruire la vita di un cantiere antico. Studi effettuati in alcuni siti
in Israele, Inghilterra e Libia hanno
fornito dati significativi: a Badminton,
ad esempio, dall’analisi delle tracce dei
sottofondi pavimentali, non sempre
adeguatamente tenute in conto dai
restauratori, sono emerse informazioni
fondamentali ai fini della conservazione. La lettura di tali segni può anche
chiarire il modo di procedere dei
mosaicisti nella fase di allettamento
delle tessere, come riscontrato ad Euesperides in Libia o a Tell Dora in Israele.
Anche in Algeria, come illustrato da
Aïcha Malek (ENS CNRS) i mosaici
pavimentali di alcune domus scoperte
di recente a Lambesi dalla missione
franco-algerina, sono stati sottoposti a
un delicato intervento di restauro in
situ che, insieme alle indagini preventive, ha apportato nuove informazioni
su questo importante atelier specializ-
DOSSIER
zato in rappresentazioni mitologiche
dai toni intensamente espressivi. Il
rischio di piene legate alla presenza di
wadi che minacciano la conservazione dei mosaici, ha comportato lo stacco di alcuni pannelli musivi, prassi
ormai considerata inidonea e da evitare se non in presenza di condizioni di
emergenza (come sottolineato da
Aïcha Ben Abed nel dibattito), per i
quali, tuttavia, si auspica in futuro un
adeguato intervento di ricontestualizzazione e di valorizzazione.
Una particolare tecnica antica di
restauro, adottata dalle officine marmorarie della Roma imperiale specializzate nell’opus sectile, è stata analizzata da Riccardo Fusco (Università
della Tuscia) attraverso la presentazione di materiali inediti dai palazzi
imperiali del Palatino. Si tratta di
esempi di giunzioni ad incastro di
crustae marmoree con margini ad
ondulazione corrente atte a formare
pannelli e specchiature impiegate in
decorazioni fastose ed utilizzate in
antico anche per lavori di manutenzione e restauro.
Significativo il cantiere di restauro
presentato da Stefania N. Chlouveraki
(Hellenic Society for Near Eastern
Studies) relativo alla Basilica di
Aghias Lot in Giordania, databile al
VI secolo d.C., dove sono stati rinvenuti sei mosaici pavimentali realizzati
con pietre locali, quattro dei quali
restaurati in situ. Nella navata principale, il distacco del mosaico ha portato all’individuazione di un secondo
pavimento musivo; le indagini diagnostiche e mineralogiche, effettuate sulle
tessere e sugli strati di allettamento
delle malte, hanno fornito utili informazioni circa la composizione e la
provenienza dei materiali utilizzati, i
metodi di esecuzione e di messa in
opera del sottofondo, il contesto
archeologico e la successione stratigrafica di riferimento.
CONOSCENZA E
DIAGNOSTICA
UN BINOMIO
IMPRESCINDIBILE PER LA
CONSERVAZIONE DEI
MOSAICI SI FONDA SULLO
STUDIO SINERGICO
CONDOTTO DA DIVERSE
PROFESSIONALITÀ E CON
L'UTILIZZO DELLE PIÙ
MODERNE TECNOLOGIE
Nella terza sessione Documentation
and Analysis, Denis Weidmann
(Département des infrastructures, Lausanne) ha illustrato la buona prassi di
documentazione e di gestione posta in
essere per i mosaici di Orbe-Boscénaz
in Svizzera, conservati in situ dal 1841.
La documentazione storico archeologica del sito, le analisi sulle condizioni
dei mosaici e sul contesto, una completa documentazione preliminare, degli
interventi, sino al monitoraggio finale
dei lavori effettuati, sono le tappe del
processo che consente di sistematizzare le conoscenze e verificare le ipotesi
progettuali.
In relazione a questi temi, Michele
Macchiarola (CNR-ISTEC, Faenza) ha
posto l’attenzione sulla importanza che
la caratterizzazione dei materiali costitutivi dei mosaici, unitamente allo studio dei parametri ambientali, riveste per
un corretto intervento di conservazione.
Sono stati illustrati gli studi archeometrico-tecnologici, effettuati tra il 2002
ed il 2007, su cento campioni relativi a
due siti di epoca romana in Italia centrale, Suasa e Torretta Vecchia, interessati
da interventi di restauro.
L’interesse delle informazioni ottenute conferma l’importanza dello studio
sinergico sviluppato dalle diverse professionalità ai fini della conoscenza
dei beni archeologici e della conservazione dei mosaici.
Il restauro del Katholikon di Hosios
Loukas (Beozia), importante monastero bizantino, dichiarato dall’Unesco
Patrimonio dell’Umanità, è stato presentato da Androniki Miltiadou (Hellenic Ministry of Culture) con riferimento alla fastosa decorazione musiva
dell’ XI secolo che nel tempo ha subi-
to gravi deterioramenti e interventi
inadeguati con largo uso di cemento e
rinforzi in acciaio. Nell’ambito del
progetto di conservazione, promosso
dal Ministero della cultura greco, sono
state effettuate indagini diagnostiche
anche non distruttive al fine di indagare i substrata dei mosaici e sviluppare
un progetto integrato a larga scala.
L’importanza della collaborazione
pluridisciplinare è stata ribadita nell’intervento di Véronique Blanc Bijon
(Université de Provence) che ha trattato di un emblema, ritrovato in mare al
largo di Agde in Francia. L’eccezionalità della scoperta e la peculiarità delle
condizioni di rinvenimento ha determinato la costituzione di un’equipe di
specialisti e la conseguente realizzazione di accurate analisi a cura del
Centre de recherche et de restauration
des Musées de France. Lo studio sul
reperto, oggetto di una specifica pubblicazione, ha consentito di identificarne la tecnica esecutiva ed i materiali lapidei utilizzati provenienti dalla
Tunisia e dall’Italia. Il mosaico,
restaurato avendo cura di salvaguardare tutti i dati pervenuti, è stato adeguatamente esposto e valorizzato.
Abdelilah Dekayr (UFR ZitouneMeknes,Marocco) ha trattato lo specifico tema della interferenza tra il suolo
e pavimenti musivi e dell’entità dei
degradi in relazione alla differente
natura dei terreni argillosi o calcarei
che si riscontrano nel sito di Volubilis.
Dallo studio effettuato sulla plasticità
dei suoli argillosi e sui meccanismi di
dissesto che essi determinano, è emersa l’esigenza di porre maggiore attenzione alla natura e stabilità del terreno
prima di ricollocare i mosaici.
25
DOSSIER
I “GRANDI” PROGETTI
INTERVENTI
CONSERVATIVI
SIGNIFICATIVI IN
RELAZIONE AL CONTESTO
La sessione Large Scale Projects ha
preso in esame alcuni siti che per la
peculiarità e per la complessità del
contesto sono stati interessati da progetti di conservazione di particolare
rilevanza ed ampiezza.
Tra questi, il restauro del mosaico
della Trasfigurazione nell’abside del
Monastero di Santa Caterina in Sinai;
Andreina Costanzi Cobau, Chiara
Zizola e Roberto Nardi hanno presentato il progetto di conservazione, realizzato tra il 2005 ed il 2008 dal Centro di Conservazione Archeologica di
Roma, che si distingue per una particolare organizzazione del cantiere, la
tempestiva informazione sui lavori e
la notevole disponibilità di tempo e di
fondi destinata all’intervento grazie ad
una sponsorizzazione privata.
Innovativa è stata la scelta di trasferire
tutte le informazioni inerenti l’intervento di conservazione e le rilevazioni
riguardanti l’aspetto materico e tecnico del manufatto, su supporto informatico; con un sistema flessibile ed
interrogabile, la puntuale documentazione raccolta sulle superfici musive
risponde al carattere stratigrafico delle
informazioni acquisite durante l’intervento, secondo livelli di conoscenza
pianificati per voci: dallo stato di conservazione, all’analisi storica fino alle
operazioni di restauro. Tra le osservazioni rilevate sul processo di messa in
opera originale, per esempio, l’inserimento di fibre vegetali nella malta di
allettamento, è risultata di fondamentale importanza per la conservazione
del mosaico, avendone garantito l’elasticità pure in presenza di estesi distacchi e di terremoti. Inoltre dallo studio
di precedenti restauri effettuati nel
1847 e nel 1959, è maturata la scelta di
rimuovere i vecchi interventi, essi
stessi cause di degrado, quali staffe e
chiodi metallici, stuccature colorate,
verniciature a base di colofonia e
gomma lacca. Particolarmente significativa questa esperienza che, nonostante le difficoltà ambientali, logisti-
26
sopra: Pavimento musivo restaurato del
succorpo della cattedrale di Bari
a lato: Restauro del pavimento del Pavillon
Texaco del 1964, New York
che e relazionali del sito, è stata condotta dai i restauratori con la consapevolezza di avere operato come rispettosi strumenti di mediazione tra culture diverse, per restituire al mosaico
non solo il suo aspetto formale ma
anche l’originaria funzione che è quella di essere strumento di preghiera.
Tra i progetti a grande scala Fani Athanassiou (Hellenic Ministry of Culture)
ha presentato il restauro dei pavimenti
del palazzo dell’imperatore Massimiano a Salonicco in opus segmentatum,
tecnica impiegata prevalentemente
negli edifici di lusso, fortemente danneggiati anche a causa di precedenti
interventi realizzati con malta di
cemento. Il restauro ha previsto il distacco, la sostituzione della malta
cementizia, l’integrazione delle lastre
di marmo con gli stessi materiali, l’as-
semblaggio e il riposizionamento su
nuovi supporti. Durante questa operazione, al di sotto dell’ opus segmentatum, l’indagine archeologica ha messo
in luce un pavimento più antico e ha
consentito di precisare la datazione
delle diverse fasi del complesso. L’analisi del substrato del pavimento della
sala ottagona e dei materiali impiegati
ha portato alla individuazione delle
tracce di antichi restauri e della composizione degli strati di allettamento,
consentendo di definire la provenienza
DOSSIER
dei marmi e il modo in cui le lastre
venivano composte e fissate.
Nel corso del restauro realizzato negli
ultimi dieci anni sui mosaici della
“Rotonda” di Tessalonica, uno dei più
importanti edifici sacri tardoromani, le
indagini effettuate hanno messo in
luce una serie di indizi significativi,
non solo ai fini della individuazione
delle tecniche esecutive, ma anche alla
definizione del clima culturale ed artistico in cui si inserisce il monumento.
Di particolare interesse, come segnalato dal relatore Charalambos Bakirtzis
(Hellenic Ministry of Culture), la scoperta di incisioni colorate sulle malte,
interpretabili come disegni preparatori, nonché gli accorgimenti utilizzati
dalle maestranze per ovviare ad errori
esecutivi o per mimetizzare le linee di
giunzione tra le giornate lavorative.
L’analisi del mosaico ha evidenziato
l’attenzione prestata al dettato compositivo, l’utilizzo sapiente della cromia
delle tessere per accentuare l’intensità
espressiva dei volti e una stretta relazione tra la decorazione degli affreschi
e i mosaici parietali, prova evidente
della coerenza progettuale dell’insieme degli apparati decorativi.
Frank Matero, della Pennsylvania
University, ha presentato un progetto
in corso che investe una problematica
oggi di particolare attualità: il restauro dell’arte contemporanea. Si tratta
del grande mosaico pavimentale del
New York State Pavillon, realizzato
nel 1964 dall’architetto Philip Johnson in occasione dell’Esposizione
Mondiale, e raffigurante la pianta
della città di New York.
Il mosaico, diventò subito un’icona
della pop art riuscendo a cogliere, con
lo spirito ironico e trasgressivo del
movimento, il clima e la cultura commerciale dell’America post-bellica,
utilizzando una tecnica antica come
l’opus signinum, realizzata però con
materiali moderni come cemento,
vetro, plastica. Il progetto di restauro,
avviato nel 2007, è stato preceduto da
indagini finalizzate ad accertare le
condizioni di degrado del mosaico,
abbandonato all’incuria per decenni.
Dopo aver effettuato le analisi dei
materiali utilizzati sono state sperimentate tecniche di pulitura e di consolidamento con la sostituzione del
supporto di alcune parti del mosaico.
LA CONSERVAZIONE
IMPLICA LA
MANUTENZIONE
BUONE PRATICHE, COSTI E
STRATEGIE GESTIONALI
Thomas Roby ed Aïcha Ben Abed
(Getty Conservation Institut, USA e
INP Tunisia) hanno prospettato il caso
della Tunisia dove il cospicuo patrimonio musivo, presente in 20 importanti
aree archeologiche, fa risaltare l’insufficiente rapporto tra i numerosi mosaici ed i tecnici manutentori. Negli ultimi
Nella sessione Evaluation, Maintenan- 8 anni, il Getty Conservation Institut e
ce and Treatment è stato affrontato il l’Institut National du Patrimoine della
problema della valutazione dei costi- Tunisia hanno cercato di ovviare al
benefici della formazione degli opera- problema finanziando 4 corsi che, con
tori e del loro aggiornamento, indi- l’ausilio di 10 docenti, hanno formato
spensabile per porre in essere buone 39 tecnici, 28 dei quali già lavorano
pratiche per la conservazione dei con diverse specializzazioni in alcuni
mosaici, e per la gestione della manu- siti. Il costo complessivo della formatenzione ordinaria nei siti archeologici. zione è stato di € 535.000 ai quali
vanno aggiunti i costi della
manutenzione, che viene calcolata con una media di circa € 64
al mq, costo relativo ad operazioni prioritarie, come il consolidamento delle tessere e la
semplice pulitura e circa 11
€/mq annui per la manutenzione ordinaria. Interventi più
mirati, come nel sito di Herghla,
dove la vicinanza del mare
richiede una protezione dall’aggressione salina o la rimozione
dei ferri sotto i mosaici ad El
Jem, hanno comportato costi
aggiuntivi.
A fronte di una scelta metodologica che, a differenza del passato, preferisce conservare i
mosaici in situ, si ha la chiara
consapevolezza che solo un follow up costante nel tempo può
consentire la salvaguardia dei
beni: significativo è il caso di un
mosaico di Thuburbo Majus
che, fotografato negli anni ‘20 e
‘70 e in condizioni sempre peggiori, è oggi del tutto scomparso. Tale scelta necessita di risorse economiche, di un numero
maggiore di tecnici ed una
visione strategica del problema
che consideri come, la buona
manutenzione di un sito aumenti l’attrattiva turistica. In assenza di queste condizioni, è preferibile, così come emerso dal
dibattito, reinterrare i mosaici
dopo averli messi in sicurezza.
Diverse sono le cause della
Pavimento in tecnica mista, mosaico e opus
mancanza di corrette strategie
sectile, della basilica bizantina del monastero
gestionali dei siti archeologici a
di Sagmata a Tebe
27
DOSSIER
Cipro, trattate da Niki Savvides (University College London) che ha relazionato sul caso dei mosaici del IV d.C
a Paphos, sito inserito nella World
Heritage List nel 1981. Dopo aver delineato la storia delle drastiche tecniche
di restauro “sofferte” dai mosaici
prima dell’arrivo nel 1968 del team
polacco di M. Medic, e le nuove tecniche di recupero, la studiosa denuncia
che ancora oggi non vengono effettuate adeguate documentazioni del mosaico prima e dopo l’intervento. Dal
1992, si preferisce conservare in situ,
ma nel caso sia necessaria una integrazione con tessere nuove, le stesse non
sono riconoscibili. A Cipro è fortemente avvertita l’esigenza della formazione, non solo dei conservatori ma
anche dei responsabili della gestione
dei siti, tema ripreso nella sezione specifica.
Relativamente al costo degli interventi
si rileva che un consistente impegno di
spesa nella manutenzione dei mosaici
riguarda le operazioni che vanno periodicamente ripetute per inibire la crescita di cianobatteri e di patine algali sui
mosaici. A New Port (UK) su cinque
mosaici di una domus romana soggetti
a forte umidità, con efflorescenze saline e attacchi biologici John Stewart
(English Heritage, London) ha testato
un’innovativa tecnica a raggi ultravioletti germicidi a corto raggio (UVGI)
che inibisce i microrganismi, senza
interferire direttamente con le superfici
come avviene con i tradizionali biocidi. Sono stati presentati i risultati delle
prove effettuate ad alto o basso dosaggio proporzionato ai tempi di applicazione; in ogni caso è da valutare il collaterale effetto di risalita dei sali sulla
superficie musiva, che implica la pulitura successiva al trattamento.
Sul valore estetico-formale dell’integrazione della lacuna insiste l’intervento di Francesca Casagrande (Università “Alma Mater Studiorum”,
Bologna) che sottolinea il “disturbo”
percettivo che la lacuna assume nella
sua doppia valenza di assenza e presenza. Alla luce dei principi fisici della
percezione ottica dei colori e di elementi diversi quali la tipologia del
mosaico, le cause del degrado, l’entità
e la distribuzione delle lacune, la studiosa ha illustrato criticamente alcuni
esempi di intervento.
28
PROTEGGERE PER
CONSERVARE
NUOVI ORIENTAMENTI PER
I SISTEMI DI COPERTURA
DELLE SUPERFICI MUSIVE
IN SITU
Copertura realizzata sul mosaico dei
quattro fiumi del Paradiso a Plaoshnik,
Ohrid in Macedonia
Particolarmente attuale il dibattito
sulle nuove soluzioni utilizzate per la
copertura (shelters) dei mosaici nei siti
archeologici che, pur finalizzate essenzialmente alla conservazione dei
manufatti, pongono problemi di natura
estetica, di efficienza e di impatto visivo nel contesto generale.
L’indagine condotta dall’English Heritage Israel Antiquities Authority e dal
Getty Conservation Institut su 36
coperture a protezione di 105 mosaici
in Israele, presentata da Jacques
Neguer (Israel Antiquities Authority),
ha evidenziato la diretta incidenza del
tipo di coperture sullo stato di conservazione dei mosaici e l’importanza di
sviluppare una banca dati internazionale finalizzata alla raccolta dei dati
necessari a orientare le nuove scelte
progettuali in linea con i criteri meto-
dologici più aggiornati di conservazione dei materiali musivi. Le raccomandazioni redatte a conclusione del survey, inviate e in parte accolte, dalle istituzioni israeliane preposte alla tutela
dei mosaici, hanno offerto un supporto
scientifico alla individuazione di soluzioni ottimali per
questa problematica.
L’intervento dell’architetto
Gionata
Rizzi sulle coperture
realizzate a Ercolano
e a Piazza Armerina
ha offerto, nuovi
spunti di discussione. Nella città vesuviana, alcuni aspetti
peculiari del sito
sono stati tenuti in
considerazione al
fine di definire
un’appropriata soluzione al problema.
In primis il carattere
urbanistico, la vista
dall’alto dei fabbricati e la necessità di
utilizzare
nuovi
materiali coerenti
con quelli già presenti negli edifici
storici. Contestualmente, allo studio di
un progetto a lungo
termine, ancora in
corso di sperimentazione, sono state
adottate alcune soluzioni a medio termine atte ricoprire ampie parti dell’area archeologica.
Il cantiere in corso per il recupero della
villa romana a Piazza Armerina, di cui
si è trattato specificamente nella sessione Mosaic Conservation in Sicily, ha
posto nuove e complesse problematiche relative alla sostituzione della
copertura realizzata da Minissi negli
anni ‘50 ormai fatiscente, ma considerata un punto di riferimento per le
coperture dei siti archeologici. Le scelte adottate dal gruppo di progettazione
del CRPR, alle quali il relatore ha contribuito con la sua consulenza, hanno
tenuto in considerazione i fattori microclimatici, la necessità di un più corretto
equilibrio delle volumetrie suggerite
dalle coperture e le attuali esigenze di
fruizione del sito e dei mosaici.
DOSSIER
MOSAICI NEI MUSEI
UNA RISORSA DA GESTIRE
E VALORIZZARE
Nella sessione Museum collections è
stato approfondito il tema della conservazione e valorizzazione dei mosaici
negli ambienti confinati. All’interno
dei musei i mosaici sono spesso esposti secondo criteri ormai obsoleti e
poco rispondenti a un moderno e più
dinamico concetto di musealizzazione.
L’ opportunità di un lavoro sinergico
tra restauratori, architetti e archeologi
nell’ambito dei progetti di riqualificazione dei sistemi espositivi è stata sottolineata da Patrick Blanc (Musée de
l’Arles et de la Provence antiques) che
ha esaminato alcuni recenti interventi
di ridefinizione museografica. E’ stata,
inoltre, sottolineata l’opportunità di
aprire al pubblico il cantiere di restauro mostrando “il rovescio del museo”,
valorizzando in tal modo opere spesso
non fruibili anche a causa della cronica
carenza di spazi che caratterizza molte
istituzioni museali.
Esemplificativo il caso dei mosaici
romani della villa d’El Romeral che,
negli anni ‘60, sono stati trasportati in
centinaia di frammenti nel Museo
archeologico della Catalogna e lì sottoposti a diversi interventi di restauro.
Nel 2007 Kusi Colona Preti (ABAC
Conservaciò i restauraciò) e Isabel
Moreno Martinez (Museu d’Arquelogia di Barcellona) hanno avviato un
progetto di conservazione dei mosaici
e dello spazio destinato alla loro esposizione. Contestualmente, attraverso lo
studio della documentazione disponibile, è stata ricostruita la storia dei
mosaici dall’atto della scoperta ai più
recenti interventi.
A Denya, in Bulgaria, è stato condotto
da Julia Valeva (Institut od Art Studies, Bulgaria) uno studio su una
domus a peristilio del III-IV sec. d.C.,
con pavimenti musivi, testimonianza
della diffusione, nell’antica Marcianopoli, del repertorio musivo tardo-antico: si tratta di noti temi mitologici
entro complessi motivi geometrici,
pavimenti con ricche cornici, realizzati
in opus vermiculatum, anche con piccole tessere per ottenere un effetto pittorico. Per la loro conservazione si era
optato negli anni ‘80 per l’inglobamen-
Preziosa
raffigurazione
musiva, Siria
to di parte della domus all’interno di un
nuovo museo; tuttavia un sistema di
smaltimento delle acque meteoriche
inidoneo, ha determinato notevoli
danni ai quali è necessario porre rimedio anche con nuovi sistemi di drenaggio. È stata sottolineata la carenza, in
Bulgaria, sia di specialisti nel restauro
che di fondi per gli interventi.
Ghias Klesly (Ministère de la Culture,
Syrie) ha evidenziato la difficoltà nel
procedere ad adeguate operazioni di
conservazione e fruizione del consistente patrimonio musivo, prevalentemente di epoca bizantina, messo
recentemente in luce in Siria, dove
sino al 2000 si è praticato il distacco
dei mosaici con trasferimento su supporti in cemento.
Pur essendo stato avviato un programma di formazione, il relatore denunzia
la mancanza di esperti e di materiali
per il restauro e carenze a livello decisionale e programmatico. A fronte di
una scarsa attività conservativa in
situ, si procede con nuovi scavi che
hanno determinato la decisione, in
alcuni casi di procedere al rinterro del
mosaico, come nel sito di Tamanaa.
Il programma di conservazione e
restauro dei 51 pavimenti musivi di
Kourion, presentato da Eleftherios
Charalambous, (Department of Antiquities, Cyprus) è stato condotto con
tecniche moderne precedute da analisi chimiche sulla malta e sulla caratterizzazione del materiale lapideo usate
per i mosaici; alla luce dei risultati
sono stati predisposti campioni di
malte per le integrazioni delle lacune
con materiali compatibili (pozzolana,
polvere di ceramica, aggregati diversi,
etc. ) che non creino i problemi legati
ai precedenti interventi di conservazione in cui era stata usata malta di
cemento sia nel substrato che nei
bordi delle lacune. Sono state presentate le varie fasi di intervento per il
ripristino almeno parziale dello stato
di conservazione originario; l’intervento è stato documentato ed archiviato su supporto digitalizzato e sarà
presto registrato in un database.
Anche a Malta, come riportato da
Ruby Jean Cutajar (Institut of Conservation and Management of Cultural
Heritage, Malta), è stato affrontato il
problema delle coperture e del deterioramento dei mosaici nel contesto dei
bagni romani del II sec. d.C. a Ghajn
Tuffieha. Uno studio accoglie tutti i
dati relativi alla storia del sito, in
abbandono da 10 anni, agli interventi
conservativi (riposizionamento su
massetti armati, puliture, etc.), alla
documentazione fotografica degli
scavi, fino al collasso nel ‘94 delle
coperture in cemento armato e delle
strutture lignee infestate da insetti. Per
potere approntare strategie per la conservazione di uno dei più bei mosaici
romani di Malta, è stato condotto uno
studio generale sullo stato di conservazione dei mosaici riparati da shelters,
aperti o chiusi, o lasciati all’aperto che
hanno evidenziato problemi dovuti nel
primo caso al distacco delle tessere,
nel secondo all’escursione termica ed
all’umidità, nel terzo alla vegetazione
infestante ed alla perdita di materiali.
29
DOSSIER
LE RISORSE UMANE PER
LA CONSERVAZIONE DEL
PATRIMONIO MUSIVO
FORMAZIONE ED
AGGIORNAMENTO DI
TECNICI SPECIALIZZATI
Il tema della formazione assume aspetti di criticità soprattutto in quei paesi
caratterizzati da una situazione socioeconomica precaria per i quali, la conservazione del proprio patrimonio artistico può diventare strumento educativo e di promozione sociale e culturale.
I rapporti di collaborazione e di cooperazione che si creano, anche grazie ai
progetti internazionali, non possono
che promuovere da parte degli operatori locali la crescita del senso di appartenenza e di responsabilità verso la propria eredità culturale. Le relazioni su
Education and Training hanno presentato diversi casi emblematici. Tra questi, l’intervento di conservazione dei
mosaici della sinagoga di Gerico del VI
secolo d.C., dal 2003 oggetto di un programma di restauro finanziato dal
governo italiano e condotto dal Jericho
Workshop of Mosaic Restoration. L’insieme dei mosaici, unico esempio di
decorazione figurata presente in un edificio sacro ebraico, presentato da
Osama Hamdan (Mosaic Centre Jericho), è oggi particolarmente degradato
anche a causa di danni intenzionali
effettuati già in antico e dal 1921 è soggetto a rischio bellico. I mosaici hanno
subito, dopo la scoperta nel 1918,
manomissioni e distacchi: alcuni pannelli figurati o recanti iscrizioni in aramaico si trovano al Museo di Gerusalemme, altri sono stati esportati illegalmente all’estero dalle truppe australiane. Considerati i risultati conseguiti, si
auspica che il programma possa avere
un seguito e prevedere un maggiore
coinvolgimento attivo della comunità
locale.
Anche nell’Europa orientale, come
illustrato da Maja Frankovic (National
Museum, Belgrado), i corsi organizzati dall’ICCROM hanno offerto a molti
giovani operatori la possibilità di una
formazione altamente specialistica.
Nella regione balcanica, si è avviata di
30
recente un’indagine sistematica sulla
condizione dei mosaici pavimentali
antichi, sui progetti di conservazione in
corso o già eseguiti e sulla possibilità
di realizzare programmi avanzati di
conservazione e management finalizzati alla salvaguardia di questo patrimonio. Le difficoltà rilevate investono
soprattutto la carente collaborazione
tra i vari istituti o amministrazioni, la
documentazione spesso incompleta
che non consente di sistematizzare le
informazioni e delineare un quadro
definito dello stato dell’arte.
Il consorzio della città di Merida ha
promosso, come evidenziato da Pasies
Oviedo (Museo de Prehistoria, Valencia), diverse attività per la formazione
di professionisti addetti al restauro
archeologico che recentemente hanno
avuto come tema centrale il mosaico di
età romana prevedendo, oltre alle lezioni teoriche anche dei veri e propri stages operativi di formazione.
Dalla relazione di Hande Kokten dell’Università di Ankara è emerso che in
Turchia la conservazione delmosaico è
una disciplina giovane, sia per quanto
riguarda la formazione sia per quanto
attiene l’applicazione delle moderne
tecnologie. Considerato che in Turchia
vi sono 83 siti archeologici con mosaici e solo alcuni sono oggetto di scavi
sistematici con progetti specifici di
conservazione, è improrogabile
ampliare le opportunità in questo settore anche attraverso un miglioramento
dei programmi universitari e dei corsi
specialistici, la promozione di corsi di
formazione breve o a distanza sia in
ambito teorico e pratico.
Anche in altre
zone
del
Mediterraneo
i
problemi
relativi alla
manutenzione
del patrimonio musivo si
presentano
alquanto critici, come rilevato da Jeanne Marie Teutonico (Getty
Conservation
Institut,
USA). Sviluppare una
strategia integrata per la conservazione
degli antichi mosaici in situ è l’obiettivo di MOSAIKON, una “joint iniziative“ promossa dal Getty Conservation
Insitute, dall’ICCROM e dall’ICCN
che nella prima fase (2008-2012) si
propone di formare sia site managers
responsabili della gestione dei siti
archeologici, sia tecnici specializzati
nella manutenzione del patrimonio
musivo. In effetti oggi nessun sito può
essere definito un modello di gestione
come ha rilevato nel dibattito Gaël de
Guichen, presidente onorario ICCM,
secondo il quale non sono stati tenuti
finora in giusta considerazione, insieme agli aspetti più puramente tecnici,
quelli legati alla valutazione economica e al dialogo con le autorità politiche,
necessari a garantire la fruizione del
bene culturale da parte del pubblico.
Dal dibattito sono emersi altri aspetti
di rilievo come l’esiguità di tecnici
manutentori adeguatamente formati,
problema che investe principalmente i
paesi del Mediterraneo e dell’Europa
orientale, quali Tunisia, Bulgaria,
Siria e Palestina. O. Hamdan ha sottolineato l’importanza di mettere a
punto una costante “cura per i mosaici”, concetto ripreso da M. Macchiarola che ha sottolineato come lo studio sistematico del mosaico sia un
punto di forza per la sua conservazione. A tal proposito è fondamentale
definire linee guida per gli interventi
di restauro, cui fare riferimento per
non procedere in modo empirico e
disomogeneo, anche attraverso la
creazione di banche dati e la divulgazione degli interventi di restauro.
DOSSIER
CASES STUDIES
MOSAICI PAVIMENTALI
E PARIETALI
NUOVI ORIZZONTI
Particolare ed interessante l’intervento
di Komi N’kégbé Tublu, (Direction de
la Promotion du Patrimoine Culturel e
Touristique, Togo) che ha illustrato la
peculiare realtà dei “mosaici” dei siti di
Dakpodzi e Tcharè, inseriti dal 2003
nella lista dei beni culturali del Togo,
con il conseguente rischio derivante
dalla pressione turistica in assenza di
un adeguato piano di fruizione. La conservazione dei pavimenti in mosaico di
materiale laterizio, testimonianza di
una antica tecnica locale messa in
opera dalle donne e riscoperta dopo il
ritrovamento, pone una serie di interrogativi in merito al loro mantenimento
in situ, che il relatore auspica, sottolineando le difficoltà e la mancanza di
competenze in materia in Togo e la
scarsa sensibilità delle autorità e della
popolazione derivanti anche dalle problematiche di natura sociale presenti
nel paese.
Il tema della fruizione negata in oltre
trenta siti archeologici del Messico è
stato evidenziato da Lilia Rivero
Weber (ENCRYM INAH, Messico),
che ha illustrato i problemi indotti nei
mosaici pavimentali, spesso inglobati
in edifici, dalla natura argillosa del
suolo di Città del Messico che determina notevole presenza d’ acqua e vistosi cedimenti. La relatrice ha trattato in
particolare il caso dei mosaici rinvenuti sotto il sagrato della cattedrale della
città, già musealizzati in situ su supporto in cemento e poco accessibili,
per i quali è in corso un progetto di
nuova copertura che coinvolge un team
di specialisti. Julio Valencia Navarro
(ICOMOS, Mexico) ha approfondito le
problematiche legate alla copertura
realizzata con lastre in vetro, che
ancorchè dotata di nuovi accorgimenti
per migliorare i fattori microclimatici,
è causa di degradi ed implica pertanto
elevati costi di manutenzione.
L’intervento di Antonietta Boninu
(Soprintendenza per i BB. Archeologici
di Sassari e Nuoro) ha trattato alcuni
aspetti della conservazione relativa al
cospicuo e poco conosciuto patrimonio
Mosaico
absidale del
Monastero di
Santa Caterina.
Particolare con
Mosè nel
roveto ardente,
Sinai
musivo della Sardegna. Primaria è
risultata l’esigenza di inventariare i beni
alla luce del dato che il 45% dei mosaici registrati nel 1981, oggi risulta disperso. Si sta pertanto procedendo, per
province, ad una ricognizione sistematica. Allo stato attuale tutti i mosaici, sia
ricollocati in situ, che esposti nei musei
o conservati nei depositi, sono su supporto in cemento armato a seguito degli
interventi eseguiti negli anni 60’. Tra i
vari progetti di recupero in situ avviati,
viene illustrato il caso dei mosaici di
Turris Libisonis (Porto Torres), per i
quali è stato programmato un piano di
conservazione nell’ambito della creazione di un Parco archeologico.
Il mosaico con iscrizione EIRHENE
del peristilio dell’edificio tardo antico
di Plovdiv, l’antica Philippopolis in
Bulgaria, si trova oggi in un contesto
urbano e presenta molteplici problematiche di conservazione e valorizzazione
illustrate nella relazione di Elena Kantareva – Decheva (Academy of Fine
Arts, Plovdiv). Un progetto, che ha
visto coinvolto un team bulgaro-americano, ha restituito alla pubblica fruizione il monumento attraverso la realizzazione di un vero e proprio museo
archeologico in situ.
L’intervento di Krzysztof Chmielewski, (Academy of Fine Arts, Warsaw)
dopo una sintesi storica degli scavi in
Tolemaide negli anni 50’ ad opera
delle missioni anglo-americane, ha
trattato dei problemi del complesso dei
mosaici di Tolemaide in Cirenaica, in
parte decontestualizzati ed in parte in
situ. Si tratta di una villa romana del IIIII sec. d.C. scoperta dal 2002 , posta al
centro della città, che presenta numerosi e ricchi pavimenti musivi il cui programma decorativo è strettamente connesso con gli intonaci murali. Particolare il peristilio mosaicato anche al
centro. I mosaici del secondo piano
crollati in antico a causa di un terremoto sono stati accuratamente inventariati e recuperati. Il loro studio ha consentito di accertare la tecnica esecutiva, la
sequenza degli strati preparatorie, gli
antichi restauri (angelo che regge un’iscrizione, foto n. 2) Tutti i mosaici
della villa necessitano di un programma di restauro e manutenzione, basato
su analisi e ricerche appropriate e di un
piano di fruizione, in assenza del quale
sembra più opportuno ricoprire con
geotessile e sabbia.
L’intervento di Konstantinos Raptis
(Ministry of Culture, Greece), ha posto
l’attenzione su un elemento generalmente trascurato dagli studiosi: le cornici di malta colorata che riquadrano i
mosaici murali di alcuni tra i monumenti paleo-cristiani e bizantini più
importanti di Tessalonica, (Acheiropoietos, la Rotonda). Il relatore ne ha
illustrato la tipologia e le caratteristi-
31
DOSSIER
che costruttive sottolineandone l’importanza come parte integrante della
decorazione musiva sia dal punto di
vista estetico, nell’insieme delle decorazioni delle superfici architettoniche,
sia come fonte di dati archeologici
relativi alla storia dei mosaici e dei loro
possibili restauri. Si tratta di una “rilettura” importante suscettibile di interpretazioni anche di tipo economico:
spesso la cornice di malta estende la
superficie del mosaico in mancanza di
tessere musive.
Il lavoro di restauro in situ di oltre 330
mq di mosaici del complesso monastico bizantino di Torba in Turchia, realizzato nel 2006 da un’equipe dell’Università di Ankara, è stato presentato da
Y. Selcuk Sener (Ankara University);
il relatore ha evidenziato le criticità del
sito, le accurate analisi propedeutiche
eseguite e le diverse le fasi dell’intervento sino alle tecniche differenziate di
integrazione delle lacune; ha inoltre
ribadito l’esigenza di definire metodologie operative condivise a livello
internazionale e di prevedere un’adeguata formazione professionale nell’ambito del restauro archeologico.
Elyas Saffaran (Universitè da Payame
Noor, Teheran) ha trattato dell’importanza che le recenti scoperte di mosaici nel sito archeologico della Cittadella
di Agedehak, in Iran, rivestono per la
lettura dello sviluppo della tecnica e
della storia del mosaico in relazione ai
periodi storici del paese. Ha quindi evidenziato la necessità di realizzare un
percorso di conoscenza completo sul
sito per la conservazione dei mosaici.
I mosaici pavimentali tardoantichi
della Chiesa di Cosma e Damiano a
Gerasa, sui quali ha relazionato Catreena Hamarneh sono oggetto di un programma di conservazione che consentirà anche di documentare la storia dei
precedenti interventi di restauro susseguitisi dal VII al XX secolo: dalle semplici integrazioni a tessere irregolari,
all’uso del sectile con materiale locale,
alla ricostruzione di alcune parti fino
alle più recenti integrazioni con malta
incisa. Uno studio particolarmente
significativo ha sottolineato l’incidenza tra il tipo di materiali e la tecnica
adottata negli interventi effettuati e lo
stato di conservazione dei mosaici.
32
LA SESSIONE POSTERS
Nell’ambito della seconda giornata
della Conferenza è stata inaugurata la
sessione posters comprendente 45
pannelli a firma di studiosi provenienti da istituzioni internazionali che
hanno presentato importanti progetti
di conservazione relativi a mosaici in
situ o entro ambienti confinati. Contestualmente, è stato presentato anche il
video di Blanc, Courboules, Martin,
Jouquet, Bouquin, Aliaoui, Rafai
Chronique d’une restauration a documentazione del restauro di un mosaico
raffigurante il Giudizio di Paride.
Per quanto riguarda la Sicilia, ampio
spazio è stato dedicato alle problematiche inerenti il restauro della Villa del
Casale a Piazza Armerina con particolare riguardo alla storia del monumento e della copertura dei ruderi (Alfano), nonché ai risultati delle analisi
effettuate preventivamente e dopo i
trattamenti con biocidi sulle superfici
musive interessate da degradi di tipo
biologico e microbiologico (Miceli,
Not). È stata, inoltre, presentata, quale
strumento propedeutico al progetto di
restauro, la schedatura completa degli
ambienti del complesso e dei mosaici
con un’attenzione specifica allo stato
di conservazione, alle tipologie di
degrado (Pellegrino) ed una sintesi
dello stato d’avanzamento dei lavori
in corso curati dai tecnici del CRPR
(Alfano).
Nell’ambito del progetto della Carta
del Rischio del Patrimonio Culturale
della Regione Siciliana, finalizzata
alla conoscenza e alla tutela dei beni
attraverso la valutazione dei rischi,
due posters del CRPR hanno documentato, rispettivamente, un censimento in progress dei mosaici pavimentali di età antica presenti in Sicilia
sia in situ che asportati dal contesto
originario (Alfano), e uno studio sistematico sui sistemi di protezione che
interessano le superfici musive all’aperto con l’indicazione delle linee
guida di un protocollo di manutenzione da applicare sulle strutture di copertura (Garufi). Del progetto di restauro
della Cappella Palatina a Palermo,
conclusosi nel giugno 2008, sono stati
presentati i risultati della campagna di
rilevamento termografico approntata
dal laboratorio di fisica del CRPR
finalizzata ad individuare le zone di
distacco degli intonaci e le eventuali
presenze di perni metallici (Bruno).
Sempre in ambito siciliano, un poster
ha documentato la scoperta di una
villa rustica in provincia di Enna decorata da mosaici, recentemente consolidati e sottoposti ad analisi mineropetrografiche (Bonanno), mentre una
ricerca più particolare ha riguardato lo
studio e il rilievo delle 466 lesene in
marmo rotato del Duomo di Monreale
delle quali sono state riprodotte le
varie soluzioni figurative e le regole
geometriche sottese alla composizione
(Oddo).
Molti contributi hanno focalizzato
l’attenzione sulle indagini di natura
chimico-fisica, alcune particolarmente
innovative dal punto di vista della tecnologia applicata (Persia), a conferma
che, sempre più nella prassi conservativa, gli approfondimenti scientifici,
mirati alla salvaguardia del patrimonio
archeologico e artistico, si integrano
con le indagini storico-critiche in un
equilibrato rapporto interdisciplinare.
In proposito, sono da segnalare il
poster relativo alla bioerosione dei
mosaici di età romana situati nel Parco
Sommerso di Baia nei pressi di Napoli (Ricci), quello inerente la valutazione dell’efficacia degli erbicidi contro
infestazioni da Briofite, le principali
DOSSIER
cause di deterioramenti delle superfici
musive (Bartolini) e i contributi che
hanno approfondito il tema dei degradi biologici sui mosaici di Ostia antica
(Roccardi), dove le diverse colonizzazioni biologiche sono state analizzate
anche in relazione ai sistemi di protezione e alle specifiche condizioni
microclimatiche (Fazio). Di particolare interesse le nuove tecniche relative
ai rilievi grafici e fotografici, propedeutici alla redazione di un progetto di
conservazione (Belhouchet) e le indagini relative alla caratterizzazione
delle tessere lapidee e degli strati preparatori, anche al fine di definirne le
specifiche caratteristiche fisiche e
meccaniche (Starinieri) o di rintracciarne il possibile luogo di provenienza. Esemplificativi, in proposito, le
indagini condotte sui tessellati di età
romana a Lixus in Marocco (Dekayir)
o sulle tessere vitree della Basilica di
San Marco a Venezia riprodotte in
laboratorio secondo una metodologia
già in uso in età antica (La Delfa).
Particolare attenzione è stata prestata,
in questi anni ai mosaici bizantini,
oggetto di studi specifici relativi alla
composizione e alla tecnica di realizzazione delle tessere vitree, ai fenomeni di degrado e alla definizione di adeguati interventi di conservazione
(Loukopoulou) come, ad esempio,
quelli approntati sullo straordinario
pannello di Caesarea Maritima in
Israele, realizzato tra il VI e il VII
secolo d.C. secondo la tecnica del sectile con elementi di vetro colorato e
dorato e interessato già in antico da
diversi fenomeni di deterioramento
(Neguer). In particolare, sulle tessere
vitree policrome sono state sperimentate analisi chimiche quantitative non
distruttive che consentono estese indagini senza prelievo di campioni (Mazzeo).
Tra i pavimenti in opus tessellatum
sono stati segnalati quelli in Sant’Anastasia a Zadar, purtroppo gravemente
compromessi dalla costruzione di
sepolture nel XVIII e XIX secolo
(Garcevic).
Esempi rilevanti di opus sectile sono i
pavimenti della chiesa del Monastero
di Sagmata a Tebe (Doganis) e il pavimento della grande sala tricliniare
della villa romana di Faragola in prossimità di Foggia, realizzato con lastre
di marmo policromo di probabile formazione geologica locale, ipotesi confortata dalla caratterizzazione del litotipo (Mariottini). Lo stesso complesso
è stato oggetto di recenti analisi, rilevamenti termoigrometrici e indagini
geo-radar finalizzati a comprendere le
cause del degrado e a definire le
opportune strategie conservative in
situ (Laurenti). Sempre in relazione al
sectile, due posters hanno trattato,
rispettivamente, il problema della tecnica esecutiva dei sectilia parietali, a
tutt’oggi molto discussa, partendo dall’osservazione diretta dei reperti conservati in situ a Roma (Lugari), e il
restauro della tavola bizantina che
ornava il refettorio del monastero di
Nea Moni nell’isola di Chio, realizzata secondo la tecnica del cosiddetto
pseudo-sectile con marmi policromi
(Kavvadia).
Alcuni posters hanno affrontato il
tema del cosiddetto “restauro del
restauro”, ovvero della rimozione di
interventi conservativi inadeguati
effettuati sui mosaici nel corso del
tempo, spesso causa di progressivi
deterioramenti come, ad esempio, nel
caso dei mosaici tardo-antichi conservati nel Museo Nazionale di Belgrado
(Frankovic), del mosaico a ciottoli di
Sicione (Karabalis), o dei mosaici
greco-romani nel Museo di Alessan-
dria di Egitto, sottoposti a sistematici
interventi di restauro in occasione dei
recenti lavori di ristrutturazione del
museo (Tewfick).
I restauri realizzati in antico rappresentano, invece, fonti essenziali per la
ricostruzione delle metodologie e dei
materiali utilizzati dalle maestranze,
come attestano una serie di mosaici
pavimentali a Sparta e a Loukou
(Panagiotopolou). Ulteriori e preziose
informazioni sulla tecnica di esecuzione del mosaico antico sono emerse in
occasione del restauro dei mosaici di
una domus romana a Besançon: le
tracce preparatorie scoperte al di sotto
della malta del nucleus e i disegni realizzati sul letto di posa dei mosaici,
paragonabili a delle vere e proprie
sinopie, rappresentano in tal senso una
scoperta eccezionale (Chantriaux).
Altri posters hanno documentato
importanti cantieri di restauri tra i quali
la Villa di Rabacal in Portogallo (Pessoa), i mosaici di tre chiese del VI
secolo d.C. a Hippos Sussita in Israele,
di cui si sta curando anche il progetto
di valorizzazione (Radziejowska,
Parandowska), la “Villa di Augusto” a
Somma Vesuviana decorata con ricchi
apparati musivi, già in parte restaurati
in antico (Angelelli), i mosaici della
Cattedrale di Bari (La Viola), il grande
mosaico delle complesso termale di
Perge in Turchia (Isikiklaia), i mosaici
pavimentali del Battistero nella Basilica di Plaoshnik in Macedonia già scoperti tra gli anni ‘60 e ‘70 (Upevce) e
due mosaici pavimentali conservati in
Francia; il primo scoperto a Nimes, di
peculiare interesse per l’eccezionale
stato di conservazione che ha consentito il rilevamento di tutte le tracce relative all’esecuzione; il secondo, situato
sotto la Cattedrale di Digne Les Baines
(Rogliano, Breil). Infine, particolarmente attuale la problematica legata
alla formazione tecnico-scientifica dei
restauratori in quei paesi caratterizzati
da situazioni politiche ed economiche
più svantaggiate per i quali i corsi promossi da istituzioni e fondazioni straniere rappresentano una opportunità
preziosa per garantire la tutela di un
patrimonio straordinario, ma spesso in
condizioni estremamente a rischio
(Racagni, De Cesare).
33
DOSSIER
Hanno collaborato
a questo numero:
ELEZIONI DEL COMITATO ICCM
Secondo la prassi consolidata dall’ICCM, durante i lavori della
conferenza si sono svolte le votazioni per l’elezione del nuovo
Consiglio Direttivo dell’Associazione per il quale, sono state
presentate le candidature di 17 soci.
L’esito delle preferenze, espresse dai 182 votanti sui 245 soci,
ha determinato la formazione del nuovo Consiglio, composto da
C. Bakirtzis (Hellenic Ministry of Culture), A. Ben Abed (Institut
National du Patrimoine Tunisie), E. Chantriaux (Musée Archéologique, Saint Romain en Gal, France), S. Chlouveraki (Hellenic
Society for Near Eastern Studies, Athens, Greece), S. Ferdi
(Algeria), G. Meli (CRPR, Palermo-Italia), D. Michaelides (University of Cipro, ICCM), R. Nardi (Centro di Conservazione Archeologica, Roma, Italia), J. Stewart (English Heritage, United Kingdom), J.M. Teutonico (Getty Conservation Institut, Los Angeles,
Usa) che affiancheranno il presidente onorario Gaël de Guichen
sino alla prossima Conferenza.
Sono stati confermati, a pieni voti, nelle cariche di presidente D.
Michaelides e di vice presidente R. Nardi a conferma del consenso e della stima di cui godono per il notevole e qualificato
impegno profuso nella loro attività.
L' INTERESSE DELLA STAMPA
La manifestazione ha ottenuto larga
eco sulla stampa, locale e nazionale.
I quotidiani siciliani – Giornale di Sicilia, La Sicilia, Repubblica-Palermo,
ma anche Avvenire - hanno scavato
a fondo nel programma della settimana e hanno raccolto spunti da sviscerare per articoli a tema: prima fra
tutte la Villa del Casale di Piazza
Armerina, di cui è stato raccontato il
restauro attraverso pezzi approfonditi. Le agenzie di stampa – Ansa,
Italpress, Agenzia Italia – hanno parlato degli interventi internazionali,
mentre Ansamed e Adn Kronos
international hanno lanciato su scala
mediterranea il restauro del mosaico
absidale del monastero di Santa
Caterina del Sinai, e raccontato la
firma del protocollo d’intesa tra la
Regione Siciliana e il Governatorato
del Cairo che riguarda la collaborazione del CRPR al progetto di recupero del centro storico della capitale
egiziana. In particolare, il Centro collaborerà all’ideazione di un Center of
Urban Heritage Management of
34
Cairo per l’archivio delle aree sensibili e delle architetture; alla progettazione e restauro di un edificio storico
del Cairo e alla formazione di tecnici
e restauratori. Il protocollo è stato firmato, davanti ai giornalisti e alle tv
locali, dal presidente della Regione
Siciliana, Raffaele Lombardo e dal
Governatore del Cairo, Abd El Azim
Wazir.
Interessanti articoli sull’intera manifestazione sono stati pubblicati da
AmericaOggi, Il Giornale dell’Arte,
Teknemedia, CultMagazine, SiciliaTempo, Balarm, da periodici specialistici (Archeologia Viva, Archeo), da
molti siti (tra gli altri, Patrimoniosos.it,
Belice.it, PalermoWeb.it, Archeogate.it, Archeologia.unifg.it, Piazzagrande.it) mentre numerosi servizi
televisivi sono stati trasmessi da Rai3
– Telegiornale, RaiMed – Mediterraneo, Telegiornale di Sicilia, TRM,
VideoNews, Antenna Sicilia, oltre che
dal TGWeb, organo ufficiale della
Regione Siciliana.
Simonetta Trovato
Ufficio Stampa – CRPR
Maria Giovanna Agosta, Unità di ricerca
per i beni archeologici
Stefania Agnoletti, Opificio delle Pietre
Dure, Firenze
Maria Elena Alfano, Unità di ricerca per i
beni archeologici
Francesca Barone, Dipartimento SENFIMIZO - Facoltà di Agraria, Palermo
Antonio Pensabene Bellavia, Dipartimento SENFIMIZO - Facoltà di Agraria,
Palermo
Giovanni Bruno, Laboratorio di Fisica ed
Ambientalistica degli Interni
Francesco Calabrese, Dipartimento
SENFIMIZO - Facoltà di Agraria, Palermo
Gabriella Cannata, Unità di ricerca per i
beni bibliografici ed archivistici
Antonio Casano, Direttore responsabile
CRPR/InForma
Roberta Civiletto, Laboratorio di Restauro manufatti di origine organica
Caterina Dessy, Laboratorio di Restauro
manufatti di origine organica
Rita Di Natale, Unità di ricerca per i beni
bibliografici ed archivistici
Cosimo Di Stefano, Laboratorio di chimica
Laura Ercoli, Dipartimento di Ingegneria
Strutturale e Geotecnica-Università di
Palermo
Maria Lucia Ferruzza, Unità di ricerca per
i beni archeologici
Miranda Galletta, Laboratorio di Fisica
ed Ambientalistica degli Interni
Roberto Garufi, Unità di ricerca per i beni
architettonici ed urbanistici e della Carta
del Rischio
Maria Luisa Germanà, Dipartimento Progetto e Costruzione Edilizia, Facoltà di
Architettura, Palermo
Donatella Gueli, Gestione delle problematiche geologiche connesse alla conservazione del patrimonio monumentale
e delle cavità ad uso antropico
Bartolomeo Megna, Laboratorio di Ingegneria Chimica per i Beni Culturali,
DICPM-Università di Palermo
Valeria Michelucci, Laboratorio di Indagini Bioarcheologiche
Roberto Nardi, Centro di Conservazione
Archeologica, Roma
Ludovica Nicolai, Opificio delle Pietre
Dure, Firenze
Rosa Not, Laboratorio di Indagini Biologiche
Donato Perrone, Laboratorio di Fisica ed
Ambientalistica degli Interni
Fernanda Prestileo, Laboratorio di Fisica
ed Ambientalistica degli Interni
Giovanni Rizzo, Laboratorio di Ingegneria Chimica per i Beni Culturali, DICPMUniversità di Palermo
Salvatore Savoia, Segretario generale
della Società Siciliana per la Storia
Patria, Palermo
Salvatore Siano, Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” - CNR, Sesto Fiorentino (Firenze)
Giuseppa Maria Spanò, Servizio Restauro
Francesca Terranova, Laboratorio di
Indagini Bioarcheologiche
Simonetta Trovato, Ufficio Stampa –
CRPR
Mari Yanagishita, Opificio delle Pietre
Dure, Firenze
LABORIANDO
L
TRAME GARIBALDINE
Il risorgimento della Storia Patria in mostra
C. Dessy, R. Civiletto
’intervento di restauro qui trattato si inserisce in un
più ampio progetto, a cui hanno partecipato i laboratori scientifici del nostro Istituto, riguardante le collezioni del Museo del Risorgimento di Palermo, seguendo
metodi e criteri conservativi –dalla esposizione al monitoraggio dei beni– già sperimentati dal CRPR in altre strutture museali. Il Museo del Risorgimento, sorto nel 1892,
quasi contemporaneamente a quelli istituiti in altre città
del continente, ed inaugurato ufficialmente nel 31 dicembre 1918, raccoglie numerosi e preziosi cimeli risorgimentali, riguardanti soprattutto la Sicilia, a testimonianza della
grande stagione epica che ha portato all’Unità d’Italia. Tra
i numerosi oggetti tessili selezionati per il nuovo allestimento museografico spiccano, per valore documentario,
alcuni abiti ed accessori appartenuti a Giuseppe Garibaldi,
costituiti da un paio di fez, un poncho, un paio di pantofole, uno scialle femminile e la bandiera del Lombardo.
La metodologia applicata su tutti i manufatti è stata quella del minimo intervento, inteso come limitazione del
restauro ai soli interventi essenziali, associando ad esso i
principi della reversibilità e compatibilità dei materiali a
garanzia del valore della loro autenticità materica. Un’accurata riflessione è stata inoltre posta sullo scopo dell’intervento in rapporto alla destinazione delle opere scegliendo, fra le possibili modalità di conservazione, quelle che
L
rispettavano maggiormente la loro futura utilizzazione e
collocazione, considerando che la fragilità, insieme al
valore storico e simbolico dei manufatti, escludevano ogni
altro possibile impiego che non fosse la mera presentazione visiva.
Il nucleo di manufatti su cui sono stati pianificati gli interventi conservativi si può distinguere in due categorie tipologiche: una a carattere bidimensionale, l’altra tridimensionale. Le caratteristiche dimensionali hanno costituito,
insieme ad altri fattori (la struttura materica, la tecnica esecutiva, il formato e lo stato di conservazione), una netta
discriminante per stabilire i criteri di svolgimento delle
operazioni necessarie. Tra gli oggetti bidimensionali che
presentavano particolari problematiche vi era la bandiera
tricolore del Lombardo. Questa, come altre opere della
raccolta del museo, era disposta in un obsoleto espositore
che ne permetteva una visione parziale e ne alterava in
modo consistente l’aspetto. Per far rientrare l’esemplare
nelle dimensioni della teca, notevolmente inferiori rispetto a quelle reali, ed al contempo nascondere le cattive condizioni, l’opera è stata compressa e schiacciata, determinando così la deformazione della originaria morfologia.
L’oggetto si presentava fissato su un pannello in legno con
chiodi di ferro distribuiti lungo le zone perimetrali, ricoperto da sottile lastra di vetro ed inquadrato da cornice
35
L
LABORIANDO
lignea. Con l’apertura della teca è stato possibile osservare i principali aspetti strutturali e materiali dell’opera, individuandone le parti componenti la tessitura e le tecniche di
confezionamento, senza tuttavia poter ancora avere una
chiara lettura sia delle dimensioni autentiche che del suo
stato di conservazione, a causa della presenza di fitte pieghe e di numerose grinze.
La bandiera, al centro della quale è visibile lo scudo
sabaudo (croce su campo rosso), risulta costituita da tre
grandi pannelli verticali in flanella di cotone, con armatura diagonale (2 lega 2), assemblati per mezzo di cuciture
eseguite a macchina con filato di cotone bianco. La colorazione delle tre porzioni tessili nella sua sequenza è conforme alla codificazione sancita per il Tricolore italiano,
(verde - bianco - rosso), mentre non è così per l’intensità
dei toni e per le dimensioni di ogni singolo pannello, in
quanto, nel periodo storico in cui il cimelio fu confezionato, (1860 ca.), questi dettati normativi non erano stati
ancora formalizzati. Infatti solo in seguito, nella prima
metà del ‘900, la legislazione albertina (con il Regio
decreto legge del 1923) e quella costituente repubblicana
del ‘48 provvederanno in merito.
Tornando al restauro, per consentire le necessarie valutazioni tecniche, conservative e storiche, preliminari alla
stesura del progetto di restauro è stato indispensabile aprire la teca, rimuovendo la lastra di vetro, e staccare il
manufatto dal supporto ligneo al quale era stato ancorato,
evitando di arrecare ulteriori danni al fragile tessuto.
Durante questa procedura, estremamente delicata, si è
notato, nella struttura lignea, la presenza di alterazioni di
natura microbiologica ed entomologica: numerose macchie brune, fori di sfarfallamento lungo l’intero perimetro
e la presenza di rosume sulla superficie tessile che hanno
reso urgente un intervento di disinfestazione, eseguito in
atmosfera modificata.
Le prime ricognizioni eseguite ad occhio nudo e sotto
microscopio stereoscopico (lo stereomicroscopio adoperato è del tipo stereo-Mikroskop “S” mit Stativ) sulla bandiera, sono state volte ad individuare il metodo più idoneo
per ottenere, nel rispetto dell’opera, una sua armoniosa e
decorosa lettura attraverso il dispiegamento e la stratificazione delle pieghe. La precarietà conservativa del manufatto ha indotto a scartare analisi invasive mirate a conoscere il reale stato di polimerizzazione dei materiali costitutivi (DPW), per l’eccessivo quantitativo di materiale
occorrente, tuttavia, attraverso le prime osservazioni
empiriche e le valutazioni derivate dalle nostre esperienze
nel settore, si è potuto riconoscere che era ancora presen36
te una residua forza tensile indice di una reattività delle
fibre. Questo aspetto ha spinto a procedere, attraverso l’umidità, alla distensione della superficie tessile ed alla sua
pulitura. I valori di temperatura durante tutte le operazioni sono state mantenute tra i 18° e i 20° C e i valori di
Umidità Relativa compresi tra il 50-60% . Durante l’analisi dei filati sono state individuate delle fibre cellulosiche
e, per un ulteriore conferma della presenza di fibre di origine vegetale, ci si è avvalsi di un test di microanalisi, sottoponendo i campioni ad una soluzione iodidrica e ad un
successivo trattamento con acido solforico diluito in glicerina. Sono seguiti test di stabilità del colore applicati sempre su microcampioni di tessuto, che hanno evidenziato
una forte instabilità delle tinture, condizione, questa, che
avrebbe reso problematica la successiva rimozione dello
sporco con solventi in soluzione acquosa. A tale proposito, un’importante indagine effettuata allo scopo di fornire
elementi utili a caratterizzare i vari metodi di intervento,
monitorare le fasi di pulitura e successivamente calibrare
le tonalità cromatiche per le tinture dei tessuti di supporto
delle integrazioni, è stata la colorimetria. Sono state effettuate misure spettrofotometriche per valutare, attraverso lo
strumento, le variazioni di colore determinate dalle operazioni di pulitura e messa in forma identificando punti campione rappresentativi dei colori prima e dopo gli interventi (per un maggior dettaglio si rinvia all’articolo di Bruno
et. al.)
In un’opera d’arte tessile uno dei problemi più difficili da
superare è proprio quello relativo all’individuazione del
colore essendo il tessuto composto da orditi e trame con
titoli, torsioni, luminosità variegati. Le opere tessili possono avere un’armatura compatta, uniforme ed ampia, oppure presentare filati e tessitura non uniformi e regolari ed
essere di piccole dimensioni. Ciò costituisce una forte difficoltà nell’impiego della strumentazione e può determinare un falsato rilevamento dei dati. Per conoscere e documentare lo stato di conservazione del manufatto è stata
realizzata, su sottile film di melinex, una dettagliata mappatura mediante rilievo grafico dell’intera superficie della
bandiera, individuando misure, entità e localizzazione dei
danni presenti, questi ultimi identificati mediante simboli
e legenda esplicativa. Le principali tipologie di degrado
erano costituite da sporco particellare, di varia natura e
cromia, da vistose macchie brune, con margini irregolari
distribuite su diverse porzioni del tessuto, gore e depositi
di ruggine. Per quello che riguarda lo sporco si poteva
osservare che la maggiore concentrazione si aveva sulla
parte del battente. Si evidenziavano inoltre piccoli accu-
LABORIANDO
nella pagina accanto:
Bandiera del “Lombardo” prima e dopo
il restauro della teca originaria
sotto:
La bandiera estratta dalla
struttura lignea originaria
Estremità destra della bandiera
dopo la distensione della superficie.
Dettaglio dei degradi:
fori, lacune, macchie brune,
danni fotochimici.
Fase del consolidamento ad ago
con velo di Lione
L
muli che impregnavano l’intreccio e la presenza di particellato pigmentario come sabbia, terriccio o pollini. Il
deterioramento provocato da fotossidazione delle fibre si
manifestava con una forte scoloritura o viraggio delle tinte
originali e un indebolimento localizzato della struttura tessile. Il danno fotochimico aveva causato una distribuzione
cromatica a chiazze sull’intera superficie e, in corrispondenza delle numerose pieghe, nelle zone non esposte alla
luce dove la colorazione si era preservata, erano visibili
effetti stancil. Numerose lacune, due delle quali di grandi
dimensioni, interessavano la parte centrale e quella dell’inferitura. Per alcune di queste è stato possibile accostare le estremità e restituire una maggiore integrità al tessuto mentre per altre si trattava di vere e proprie mancanze.
Le lacune erano di due tipologie: una per consunzione del
tessuto e conseguente sfilacciamento dei bordi con slegature di trame e/o di orditi, e l’altra riconducibile a strappi.
La bandiera presentava inoltre numerose deformazioni e
raggrinzimenti che, come già accennato, modificavano la
struttura globale e le originarie misure. Alcune profonde
pieghe erano state create da grossolani rammendi di parti
lacerate, che sovrapponevano e saldavano insieme due
strati di tessuto Il dispiegamento dell’opera è stato svolto
in camera umida. La bandiera è stata posizionata sopra un
tavolo di cristallo e si è proceduto all’intervento di pulitura ad aria: micro e macro aspirazione, (per tale operazione
è stato utilizzato un aspiratore Museum, dotato di piccoli
augelli). Sono stati rimossi gli antichi rammendi ed è
seguita la pulitura per via umida. L’opera è stata posta su
tavola a bassa pressione, adagiata su uno strato di “tessuto non tessuto”, che ne permetteva la movimentazione
senza creare traumi, sotto le zone trattate è stata inserita
carta assorbente, mentre sul dritto è stata nebulizzata
acqua deionizzata. La carta assorbente è stata cambiata più
volte, nebulizzando e agendo localmente nei punti di maggior accumulo di sporco sempre con acqua deionizzata. Il
procedimento è stato interrotto quando il residuo di sporco sulla carta era debolmente visibile. Per ricercare una
sommaria ortogonalità e un ripristino delle dimensioni
dell’oggetto si è sfruttata sempre l’umidità, rimettendo in
asse i lati perimetrale e in dritto filo l’intreccio in “diagonale”, avvalendosi di punti di riferimento presi con fili in
cotone colorato lanciati in aria dai bordi del tavolo, l’aiuto di spilli entomologici e piccoli pesi di vetro posizionati
lungo il perimetro e la superficie, fino alla completa asciugatura delle fibre. La bandiera ha così riacquistato verosimilmente la forma e le misure più vicine a quelle originali – queste, dopo il trattamento, apparivano in larghezza
quasi raddoppiate – pur mantenendo alcune inevitabili
deformazioni, specialmente in corrispondenza delle lacune. Data la fragilità del manufatto si è reso necessario
intervenire con il consolidamento totale mediante l’applicazione di un supporto/struttura portante, in velo di Lione
tinto appositamente in laboratorio del colore idoneo, (per
la ricerca del colore adeguato dei supporti tessili impiegati nel consolidamento ad ago, sono state eseguite varie
prove di tintura, ripetute fino a quando non è stato trovato
il colore idoneo utilizzando coloranti di tipo sintetico, permetallizzati).
Secondo il nostro progetto, per rispondere alle diverse cromie dei tre pannelli che costituiscono la bandiera, il supporto non poteva essere unico, ma una unione dei relativi
37
L
LABORIANDO
colori. Questa operazione ha permesso all’oggetto di
acquisire consistenza senza appesantirlo con un materiale
più robusto che avrebbe provocato nuove tensioni meccaniche. Il velo è stato fissato ad ago mediante punti pioggia
alternati, mentre le lacune sono state ancorate con piccole
fermature, mediante filo di organzino di seta tinto secondo
il colore zonale. L’esemplare è stato quindi posizionato su
un tessuto di fondo analogo a quello originale per materiale ed armatura (diagonale 2 lega 2), anch’esso tinto in laboratorio, con nuance cromatiche vicine a quelle che caratterizzano oggi i tre pannelli, ma leggermente sotto tono. La
scelta del tessuto di fondo in armatura “diagonale”, è stata
guidata dalla volontà di ottenere, oltre che un effetto visivo
di colore pieno, anche per conferire continuità visiva e di
texture d’intreccio con il resto della superficie tessile; inoltre, per la peculiarità della struttura tessile questo tipo di
fondo costituisce un sistema frenante, diventando esso
stesso un efficace sostegno, permettendo così un numero
essenziale di punti ad ago per l’ancoraggio.
Infine, la bandiera è stata adagiata su un pannello in foretex (da mm. 08 di spessore), preventivamente rivestito con
uno strato di mollettone in puro cotone e ricoperto da tessuto in fibra vegetale (Ghinea). Particolare attenzione è
stata posta al fissaggio ad ago dell’oggetto al supporto,
distribuendo i punti in modo tale da ridurre al minimo le
inevitabili tensioni meccaniche.
L’estrema delicatezza dell’opera ha reso indispensabile la
realizzazione di una teca dedicata, idonea a rispondere,nel
tempo, alle nuove esigenze conservative ed espositive; in
quest’ottica il laboratorio di Fisica e Ambientalistica degli
Interni, in sinergia con il nostro laboratorio, ha progettato
e curato la realizzazioni di una vetrina, con microclima
controllato, in grado di consentire massima sicurezza ed al
contempo un’ottimale lettura estetica.
BIBLIOGRAFIA
L. Appolonia, S. Volpin, Le analisi di laboratorio applicate ai
beni artistici policromi, Padova 1999.
U. Baldin, Teoria del restauro e Unità di Metodologia, II, Firenze 1978.
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Storia Patria, Palermo 1997.
G. Caneva, M. P. Nugari, O. Salvadori (a cura di), La biologia
vegetale per i beni culturali. Biodeterioramento e Conservazione, I, Firenze 2005.
A. Cazenobe, M. Bacci, M. Picollo, B. Radicati, G. Bacci, S.
Conti, G. Lanterna, S. Porcinai, Non-destructive spectroscopic
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wool samples, in Preprints of the 13th Triennial ICOM Meeting,
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R. Civiletto, C. Dessy, Il “minimo intervento”. Recupero del
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del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro”, 4,
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R. Civiletto, A. Tavella, Appunti sulla metodologia degli interventi conservativi, in Istanze espositive, istanze conservative, in
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C. Quaglierini, L. Amorosi, Chimica e tecnologia dei materiali
per l’arte, Bologna 1999.
38
TRICOLORE IN DETTAGLIO
MISURE E CROMIE
RIGENERATE
G. Bruno, M. Galletta, D. Perrone
Per il restauro di questo manufatto tessile antico fortemente degradato si sono riscontrate delle problematiche
metodologiche nella realizzazione delle misure, avendo
il manufatto cambiato le proprie dimensioni, in particolare formato e spessore, durante le differenti fasi dell’intervento.
Si è ritenuto opportuno condurre l’analisi colorimetrica
al fine di valutare, per via strumentale, le variazioni di
colore determinate dalle operazioni di stiratura e pulitura, identificando punti campione rappresentativi delle
cromie prima e dopo gli interventi. Inoltre, l’indagine è
stata condotta anche per fornire indicazioni relative alla
tintura del tessuto di supporto (velo di Lione).
Per lo svolgimento delle indagini è stato impiegato uno
spettrofotometro a contatto calibrato prima di effettuare le misure, per il nero, con trappola di luce e, per il
bianco, con la piastra di riferimento in dotazione allo
strumento ed impostato secondo i seguenti parametri:
area di misura “SAV” (3 mm); impostazione componente speculare “SCI+SCE” (elaborazione dati con la
componente speculare esclusa); componente ultravioletta attiva (UV 100%); illuminante primario D65;
osservatore standard 10°. Lo spazio del colore adottato è quello CIELAB (L*a*b*, 1976) e le differenze di
colore sono state calcolate secondo la formula CIELAB 1976 ΔE (L*a*b*) [1].
Le misure sono state effettuate in laboratorio in condizioni di temperatura controllata. Per evitare il contatto
tra lo spettrofotometro e il tessuto e per consentire il riposizionamento dello strumento durante le successive
fasi di misura è stato utilizzato un foglio in mylar (fig.
1). Tale foglio è stato posizionato sulla bandiera prima
della stiratura e, in questa fase, sono stati individuati in
totale 51 punti di misura, prevedendo, a seguito del
probabile cambiamento dimensionale del manufatto
dopo questa prima fase di intervento, l’impossibilità di
ritrovare con esattezza tutti i punti originariamente
campionati. Sul foglio di mylar, in corrispondenza dei
punti di misura individuati, sono stati praticati dei fori
di diametro leggermente maggiore rispetto all’area di
misura di 3 mm.
Successivamente alla fase della stiratura (fig. 2) è stato
possibile individuare e rimisurare, mediante riapplicazione della maschera in mylar, 16 degli originari 51
punti campionati, di cui 5 punti sulla parte rossa, 6 sulla
parte bianca (di cui 2 sulla parte verde e 2 sulla parte
rossa dello stemma sabaudo) e 5 sulla parte verde. Infine, a restauro ultimato, si è proceduto alla ripetizione
delle misure sui 16 punti campione.
Per ogni punto le misure sono state eseguite rispettivamente a 0°, 45° e 90° nel verso del lato corto della bandiera, effettuando poi la media sui tre angoli di misura
[2-4]. Per l’acquisizione delle misure è stato posto un
LABORIANDO
Fig. 1
L
cartoncino nero sotto al tessuto, al fine di considerare soltanto la radiazione riflessa da parte della bandiera e non
dalla superficie sottostante, dal momento che il tessuto si
presentava non sufficientemente compatto (ordito e
trama).
Si riportano le coordinate colorimetriche (fig. 3), unitamente alle curve di riflettanza, forniscono una misura
oggettiva del colore, misura effettuabile anche in seguito
per monitorare l’eventuale successivo degrado dell’opera. In questo contesto le misure sono servite a monitorare
l’intervento di restauro. Da tenere presente che grandi
variazioni di colore ΔE, superiori a 3-4 unità, indicano
eccessivi scolorimenti delle già deboli cromie.
Dall’analisi dei risultati ottenuti nella prima fase di misura (prima della stiratura) si è potuta confermare l’entità
dell’alterazione cromatica del tessuto (dovuta all’esposizione alla luce e al deposito di particellato), soprattutto
per quanto concerne la porzione bianca e quella verde,
che hanno presentato curve di riflettanza e coordinate
colorimetriche molto lontane da quelle identificative di
queste cromie. La porzione rossa è risultata essere quella
maggiormente identificabile dal punto di vista cromatico
e spettrale.
Fig. 2
Fig. 3
BIBLIOGRAFIA
Fig. 4
C. Oleari (a c. di), Misurare il colore, Milano 2002.
M. Picollo, B. Radicati: Probe-Heads for Reflectance Measurements on Paintings and Textiles, in A. G. Mignani, H.C. Lefèvre (eds.) OFS2000. 14th International Conference on Optical
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Conti, G. Lanterna, S. Porcinai, Non-destructive spectroscopic
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Non-destructive spectroscopic investigations of dyed textiles, in
Proceedings of the 3rd International Conference on Science
and Technology for the safeguard of cultural heritage in the
Mediterranean Basin (Alcalà de Henares, 9-14 jun. 2001),
Alcalà de Henares 2003, pp. 267-271.
39
L
LABORIANDO
LA BANDIERA
DEL LOMBARDO
NOTA STORICA
Salvatore Savoia*
due piroscafi a vapore Piemonte e Lombardo dell’armatore Raffaele Rubattino, varati nel 1841, erano stati
acquistati da Giacomo Medici per conto di Giuseppe
Garibaldi con un atto segreto stipulato il 4 maggio del
1860, immediatamente a ridosso della partenza da Quarto della spedizione dei Mille. Secondo altre ricostruzioni, l’armatore sarebbe stato all’oscuro dell’operazione.
1.089 gli uomini a bordo, e solo una donna, Rosalia
Montmasson, moglie di Crispi. Dopo una tappa a Talamone sulla costa toscana, dove si imbarcarono altri
volontari e soprattutto si caricarono armi e qualche cannone, le due navi riuscirono ad entrare nella piccola rada
del porto di Marsala, superando la pigra protezione della
ben più forte flotta napoletana ed approfittando, probabilmente, della complicità della marina inglese presente
al largo. L’elemento sorpresa, unito alla apatia delle
armate napoletane, malgrado le cancellerie di mezza
Europa avessero avuto sentore dell’evento, fece sì che
l’attacco riuscisse: “un atto di pirateria flagrante veniva consumato l’11 maggio mercè lo sbarco di gente
armata alla marina di Marsala. Posteriori rapporti
hanno chiarito essere la banda disbarcata di circa ottocento, e comandata da Garibaldi” affermò quel giorno
il giornale locale.
Le navi, comunque, furono entrambe colpite dalle truppe
napoletane. II Piemonte fu devastato e quasi portato in
trofeo al comando borbonico; il Lombardo, al cui comando era Nino Bixio, rimase semi affondato nel porto di
Marsala. Garibaldi non aveva via di ritorno. Doveva proseguire. E lo fece. Due mesi dopo, il Lombardo fu rimorchiato fino a Palermo per essere ristrutturato e rimesso in
grado di navigare. L’avrebbe fatto con onore per altri tre
anni, fino al marzo del 1864, quando, questa volta sotto le
insegne del neonato Regno d’Italia, fu adibito al trasporto di merci ma anche di detenuti destinati alle colonie
penali. Il 3 marzo del 1864 iniziò l’ultimo viaggio: il
Lombardo era partito da Ancona con truppe e detenuti
destinati alle Isole Tremiti. Una secca intorno all’isolotto
di San Domino lo bloccò. fin quando una tempesta, nella
notte del 19 marzo, gli spezzò la chiglia facendolo naufragare. II suo relitto giace tuttora al largo delle Tremiti. Si
parla ancor oggi di un suo recupero.
Una lettera emersa in questi giorni dagli archivi della
Società Siciliana per la Storia Patria, riporta alla luce
l’ultimo frammento di questa vicenda. Il Museo del
Risorgimento di Palermo custodisce, infatti, da sempre la
bandiera del Lombardo, il cui restauro è stato di recente
eseguito dal Centro Regionale per la Progettazione ed il
Restauro.
Una lettera, datata 27 maggio 1929, su carta intestata
Villa Malfitano, Palermo, indirizzata da Joseph Whitaker
(più noto come “Pip”) celebre imprenditore britannico,
I
40
mecenate della cultura e proprietario dell’isola di Mozia,
al Presidente della Società Siciliana per la Storia Patria,
così si esprimeva:
Illustre Professore,
in questa fausta ricorrenza, scrivo a Lei, Presidente della
nostra benemerita Società di Storia Patria, per notificarvi che mia cognata, la Signora Eufrosina Whitaker ed io,
proprietari detta Ditta Ingham Whitaker & C. di Marsala, offriamo in dono alla sopradetta Società la bandiera
che portava al suo arrivo in Marsala l’ 11 maggio 1860,
la storica nave Garibaldina, il Lombardo.
La detta bandiera, portata, dice la tradizione, la stessa
sera dello sbarco dei Mille allo stabilimento Ingham di
Marsala è stata da esso gelosamente custodita fino ad
oggi come prezioso ricordo. Preoccupati però dell’ulteriore custodia avvenire dello storico cimelio, e pensando
che in nessun luogo esso potrebbe trovare una più degna
dimora, ci siamo decisi di offrirla alla Società della Storia Patria. La bandiera arriverà da Marsala fra qualche
giorno e sarà cura mia di fargliela pervenire. La prego di
gradire i miei ossequi.
J. Whitaker
Quasi ottant’anni dopo questa lettera, e all’approssimarsi
del centocinquantennio della vicenda storica di cui la
bandiera fu testimone, essa ritorna a casa, rimessa a
nuovo. Per far ricordare alle generazioni future un storia
antica e ancora emozionante.
(*) Segretario generale della Società Siciliana per la Storia
Patria
LABORIANDO
L
ANDRIENNE, LIVREE e
“VECCHI” ACCESSORI
protocolli di conservazione per il
guardaroba nobiliare del Museo Pepoli
R. Civiletto, C. Dessy
l sempre crescente rilievo acquisito, a livello internazionale, dall’arte tessile nel settore dei beni culturali, ha
suscitato recentemente anche in Sicilia una serie di studi
scientifici e di iniziative pubbliche e private, volte alla
sensibilizzazione e alla tutela del patrimonio tessile locale
considerato, oltre che per il suo valore artistico e culturale, anche per l’importanza documentale che testimonia il
fasto e il gusto decorativo della società siciliana nel corso
dei secoli. In questa ottica di mutato e riconosciuto interesse verso tale settore, nel quale gioca un ruolo importante
la storia del costume, il Museo Regionale Pepoli di Trapani ha in programma, per l’autunno 2009, una mostra dal
titolo Preziosi abiti tra rococò e romanticismo, il cui principale intento è quello di rendere noto al più vasto pubblico un piccolo nucleo di abiti ed accessori, sino ad ora conservati nei magazzini, collocabili in un periodo storico
compreso tra il 1775 e 1840 circa.
Le precarie condizioni conservative di tali manufatti non
avrebbero consentito una loro immediata esposizione e ciò
ha sollecitato il coinvolgimento del Laboratorio di Restauro Manufatti di Origine Organica del CRPR che ha elaborato un articolato e completo progetto conservativo: il percorso pianificato, passando dall’approccio diagnostico
all’intervento di restauro, sviluppa anche soluzioni conservative mirate all’idonea esposizione e al corretto immagazzinamento delle opere, riservando inoltre una particolare cura all’ideazione di manichini appositamente disegnati da realizzare per l’allestimento museale. I capi, cinque in tutto, alcuni di questi, provenienti dai guardaroba di
due nobili famiglie trapanasi - i Curatolo e i Ponte -, sono
costituiti da due abiti femminili appartenenti alla categoria
vestimentaria detta Andrienne (databili entrambi attorno
all’ultimo quarto del Settecento), da una veste femminile
tradizionalmente individuata come abito nuziale (presumibilmente ascrivibile al 1840) e da due livree per servitù, o
forse per dipendenti pubblici, di inizio Ottocento (queste
ultime acquistate direttamente dal Museo).
Ai manufatti si associano ancora altri accessori: un ventaglio con pagina in carta decorata a stampa, stecche in osso
traforato e dorato, e un paio di calzature femminili in
cuoio, riferibili entrambi al XIX secolo. Gli esemplari,
attraverso la loro foggia e l’alta qualità dei tessuti impiegati per il confezionamento, raccontano delle abitudini,
dello stile di vita, del lusso imperante fra l’aristocrazia
trapanese.
La conservazione di manufatti tanto fragili, particolarmente suscettibili agli agenti di degrado, costituisce uno
degli aspetti più impegnativi da affrontare sia sotto il
I
profilo metodologico sia sotto quello pratico. Tale aspetto è strettamente connesso a quello di uno studio che,
partendo da analisi puntuali, capaci di individuare l’oggetto nelle sue caratteristiche materiche, tecniche e decorative, riesca a cogliere anche le ragioni storiche che permettono la sua collocazione in un quadro di più ampie
relazioni e valutazioni. Poter disporre di studi completi e
attendibili è sempre il migliore punto di partenza per una
corretta azione conservativa, che deve tener conto il più
possibile del contesto storico-geografico che ha fatto
giungere fino a noi l’opera. Seguendo tale criterio, sui
manufatti sono state quindi raccolte tutte le informazioni
possibili, come la tecnica sartoriale, l’individuazione di
manomissioni o riparazioni pregresse, il riconoscimento
del tipo di fibra e delle tecniche di tessitura. Attraverso
alcune indagini diagnostiche, effettuate dai laboratori
scientifici del Centro, siamo riusciti anche conoscere la
natura e l’estensione dei fenomeni di degrado dovuti
all’usura, ad una non idonea conservazione, oltre che ad
agenti ambientali.
Contestualmente agli interventi di restauro in atto, per il
nucleo di abiti è stato studiato un sistema di immagazzinamento per garantire ai beni, dopo il trattamento, le
migliori condizioni di conservazione. Pertanto è stata progettata una particolare tipologia di cassettiera, realizzata
con materiali a basso impatto ambientale, con un sistema
di controllo del microclima al suo interno, in cui disporre, nel rispetto della loro volumetria, i costumi e gli altri
accessori durante l’alternarsi del periodo di esposizione.
La soluzione conservativa, grazie alle sue caratteristiche
tecniche, (guide scorrevoli telescopiche, frontali dei cassetti con vetro antisfondamento e battente, fondelli dei
cassetti in lamiera forata inox facilmente estraibili dopo
l’apertura) permetterà, tenendo conto degli aspetti legati
alla sicurezza, una facile ispezione dello stato di integrità
delle opere ed anche un soddisfacente approccio visivo da
parte degli studiosi del settore.
41
F
FORMAZIONE
LEGHE E METALLI
Tirocinio didattico sulle metodologie di restauro
Ludovica Nicolai*
Nell’anno accademico 2007-2008, strutturato all’interno
del Corso di Laurea in Restauro e Conservazione dei Beni
Culturali dell’Università di Palermo, si è svolto presso i
laboratori del CRPR il tirocinio su metalli e leghe.
Va detto preliminarmente che il campo del restauro dei
manufatti in metallo è molto ampio poiché prevede la
conoscenza non solo dei singoli metalli e delle loro leghe,
ma anche delle diverse tecniche di lavorazione; fondamentale è poi conoscere i processi di degrado a seconda
dei fattori ambientali.
Per introdurre gli studenti a questo tipo di problematiche,
sono state presentate, con l’ausilio di immagini, varie tipologie di opere d’arte con differenti livelli di degrado e illustrate le metodologie di restauro di volta in volta adottate.
La parte preponderante del tirocinio si è svolta nei laboratori di restauro del CRPR dove gli studenti hanno affrontato le varie fasi operative relative al restauro e hanno
potuto lavorare direttamente su oggetti costituiti da vari
metalli.
Quest’anno si sono avuti a disposizione numerosi oggetti
liturgici provenienti dalla chiesa di rito greco di S. Nicola
di Mezzojuso, comune del palermitano. Gli studenti, sia
singolarmente che in piccoli gruppi, hanno portato a termine l’intervento, corredandolo di scheda di restauro e
documentazione fotografica. In questo modo ognuno ha
potuto studiare l’oggetto, conoscerne i materiali costitutivi e lo stato di conservazione, discutere e decidere l’intervento più appropriato.
Nel corso del tirocinio è stata organizzata una visita al
Centro per la Protezione Ambientale e l’analisi dei materiali diretto da Rosario Alaimo, durante la quale l’esperto
Renato Giarrusso ha illustrato agli studenti alcune tecniche di indagine analitica su campioni provenienti da opere
in metallo.
Sono stati organizzati, inoltre, due seminari che approfondissero la conoscenza degli studenti su alcuni temi inerenti agli argomenti del tirocinio: nel primo, Mari Yanagishita ha illustrato il restauro della “Sfera d’oro”, preziosissimo oggetto di oreficeria sacra, dove fondamentale è stato
l’uso della saldatura con apparecchiatura laser; il secondo,
tenuto da Stefania Agnoletti, ha riguardato la tecnologia
della fusione in bronzo e le tecniche di patinatura.
Il tirocinio si è concluso con una discussione finale che ha
riguardato, in generale, l’approccio al restauro dei manufatti in metallo e, in particolare, la valutazione delle diverse metodologie di pulitura a seconda del tipo di metallo e
i differenti materiali usati in laboratorio in relazione alle
problematiche da risolvere.
* Opificio delle Pietre Dure, Firenze.
42
F
FORMAZIONE
SUI MANUFATTI BRONZEI
Fusione, rinettatura, tecniche di patinatura e aspetti conservativi
Stefania Agnoletti*
el corso del seminario sono state illustrate le tecniche di patinatura del bronzo che costituiscono l’ultimo trattamento che viene eseguito sulla superficie di una scultura, qualora si voglia dare una valenza
cromatica diversa da quella che la lega ha naturalmente.
Per comprendere il senso di una finitura e il substrato sul
quale viene applicata sono state trattate le varie fasi di
lavorazione che portano alla realizzazione di un manufatto scultoreo partendo dalla descrizione delle due principali tecniche fusorie adottate sin dall’antichità: il metodo
diretto, secondo il quale si modella la cera sull’anima di
terra e alla fine non si ha salvo il modello, e il metodo
indiretto secondo il quale si parte da un modello, realizzato in vari materiali (creta, cera, gesso, legno), che può
essere conservato. La lega impiegata può avere una composizione diversa che influirà sul risultato della patinatura se effettuata chimicamente: sono perciò state indicate
in sintesi le caratteristiche delle leghe più frequentemente adottate dall’antichità all’epoca moderna. Dopo la
fusione la superficie del bronzo deve essere accuratamente rinettata in modo da eliminare i canali di colata, gli
sfiatatoi, le creste di fusione e i chiodi distanziatori; oltre
a ciò può essere necessario intervenire per effettuare
alcune riparazioni realizzando tasselli e saldature. La
lavorazione prosegue con la levigatura che potrà essere
portata a più livelli a seconda che si voglia una superficie
liscia o scabra: in passato si usavano pietre di varia
durezza e sabbie di diverse granulometrie, oggi i tempi si
sono abbreviati grazie all’uso della sabbiatura e delle
mole, ma resta comunque una fase che richiede molto
tempo. Affrontando l’argomento della patinatura si è cercato di capirne le ragioni da un punto di vista tecnico ed
estetico. La superficie del bronzo dopo la fusione e la
rinettatura può non risultare omogenea per la presenza di
riparazioni, il bronzo poi varia il suo colore in conseguenza di reazioni chimiche ed elettrochimiche che si
verificano una volta che il metallo è in contatto con l’ambiente ma, oltre a queste ragioni pratiche, dare un colore
al bronzo può essere un preciso intendimento estetico. Le
tecniche per patinare una superficie metallica comportano lo svolgimento di reazioni chimiche prodotte con trattamenti effettuati a caldo oppure a freddo e a moderata
temperatura che, mediante l’azione di sali e acidi, danno
luogo alla formazione di composti con diverse colorazioni. Si può, altrimenti, ottenere una patinatura mediante la
stesura di un film con caratteristiche di trasparenza, corposità e composizione estremamente variabile a seconda
dell’effetto che si vuole ottenere. Già dall’antichità sono
ben conosciuti questi diversi metodi e sono vari gli
accenni ai trattamenti di superficie che possiamo rintracciare nelle fonti: sappiamo così che gli antichi lucidavano periodicamente alcuni manufatti perchè mantenessero
N
Copia del David del Verrocchio, Fonderia Marinelli (Barberino Val
d'Elsa, Firenze). Passaggio con la spugna imbevuta di acqua durante la patinatura chimica a fiamma
lucentezza, che li proteggevano con bitume perchè non si
alterassero, che effettuavano trattamenti con oli che producevano col tempo una patina scura e avevano a disposizione molte sostanze chimiche per ottenere varie colorazioni anche se difficilmente, per le sculture, ricercavano gamme diverse dai bruni. Nel corso del seminario
sono stati portati alcuni esempi di ciò che si può ottenere
impiegando le tecniche qui citate e dell’uso che vari artisti di diversa epoca ne hanno fatto; alcune sequenze fotografiche hanno cercato di rendere la complessità della
patinatura normalmente effettuata nelle fonderie con
l’ausilio della fiaccola per ottenere le colorazioni brune
ed alcune tonalità di verde, che sono le cromie più utilizzate nella produzione statuaria anche contemporanea.
Dal punto di vista conservativo col termine patina viene
definito lo strato eterogeneo che si forma sulla superficie
del bronzo in conseguenza dell’esposizione agli agenti
esterni; questo strato non sempre conterrà informazioni
sui costituenti la patinatura originaria: sarà molto difficile, per esempio, nel caso di una scultura esposta in esterno, più possibile nel caso di un bronzo conservato in
ambiente confinato. Dobbiamo però tenere presente che
eventuali puliture drastiche possono avere cancellato
testimonianze della finitura originale e che, per esempio
nel caso dei bronzetti, a volte sono state effettuate per esigenze conservative o estetiche nuove patinature i cui
componenti possono essere simili a quelli impiegati in
origine. Le indagini analitiche di cui oggi possiamo disporre sono un supporto essenziale per ricavare le informazioni utili per una buona conservazione del manufatto
e per uno studio tecnologico attendibile.
* Opificio delle Pietre Dure, Firenze.
43
F
FORMAZIONE
LA “SFERA D’ORO”
Il restauro dell’ostensorio dell’Olivella
Mari Yanagishita*
l restauro dell’ostensorio
dell’Olivella1, capolavoro
seicentesco dell’oreficeria
conservato nella Galleria
Regionale di Palermo, è stato
effettuato tra il 1999 e il 2002
nel laboratorio di restauro
delle oreficerie dell’ Opificio
delle Pietre Dure di Firenze 2.
Questo intervento ha rappresentato un caso singolare nel
campo del restauro delle oreficerie per la gravità dello stato
di conservazione, caratterizzata dall’altissima frammentarietà dei pezzi, estremamente
deformati e fratturati, e per l’inedita tecnica di intervento
impiegata per il recupero, cioè
Fig. 8
la saldatura a mezzo laser.
Lo splendido ostensorio barocco, realizzato in oro 3, argento
dorato4, smalti5 e numerosi diamanti 6 di altissima qualità
(attualmente sono 717), è stato
sottoposto ad una sistematica
distruzione attraverso colpi
violenti, piegature e strappi a
seguito di un furto avvenuto tra
il 1870 e il 1871: l’oggetto fu
barbaramente ridotto in frammenti per essere occultato e
rivenduto in pezzi (Fig. 1).
Dopo più di un secolo che i
preziosi “resti” giacevano nei
depositi del Palazzo Abatellis,
nel 1999 l’allora direttore della
Galleria, Vincenzo Abbate, ha
Fig. 7
contattato il Settore delle Oreficerie dell’Opificio delle Pietre Dure per sottoporre alla
attenzione dei responsabili del settore i materiali fotografici che documentavano lo stato del manufatto. Successivamente, in seguito a un sopralluogo in loco fu deciso di
valutare la possibilità di un recupero. Nessuno aveva idea
dell’aspetto originale dell’opera perché non è pervenuta
fin’ora alcuna documentazione che ne tramandasse l’immagine, pertanto una ricostruzione “virtuale” attraverso la
rappresentazione grafica dell’opera fu fissata come primo
e forse unico e definitivo obiettivo da raggiungere. L’Ostensorio ci fu consegnato in circa trecento frammenti,
imballati in ventotto pacchetti, alcuni dei quali etichettati
con la dicitura “minutaglie”.
I
44
Una volta compiute la catalogazione e la campionatura dei
frammenti, è stato effettuato lo
smontaggio dei pezzi rimasti
precariamente attaccati: in tal
modo i frammenti sono diventati quasi mille. Attraverso
l’osservazione della forma,
della dimensione, della presenza di viti, dadi e perni, dei fori
e delle rispettive distanze tra
questi ultimi, verificate tutte le
linee di frattura al microscopio, è stato possibile ricostruire
graficamente il manufatto: per
la prima volta dalla distruzione
dell’opera si poteva “vedere”
finalmente l’immagine, nonché riscontrarne le effettive
dimensioni e le lacune (Fig. 2).
A questo punto non si poteva
rinunciare al vero recupero
dell’Ostensorio.
Come già accennato, la gravità
dello stato di conservazione
dell’opera consisteva soprattutto nella deformazione (Fig.3) e
nella frammentarietà (Fig.4).
Per affrontare il primo problema, cioè il ripristino formale
attraverso raddrizzamenti meccanici dei pezzi, sono stati
impiegati strumenti tradizionali, quali martelli di vario tipo,
in una azione graduale consistente nella distribuzione del
minor numero possibile di sollecitazioni meccaniche preventivamente studiate per limitare
gli stress, e con l’ausilio di apporto termico mediante irraggiamenti infrarossi (fino ad incirca 70°C). Spesso si è resa
necessaria la realizzazione di “controforme” in legno o
metallo per ogni fase di raddrizzamento ed effettuarne il
ripristino attraverso pressioni applicate mediante una
morsa sui singoli pezzi. Per risolvere il secondo problema,
invece, è stata applicata una tecnica d’intervento assolutamente inedita: la saldatura a mezzo laser. Per individuare i
requisiti di tenuta meccanica e qualità estetica nella ricongiunzione di migliaia di frammenti caratterizzati da sezioni molto ridotte, mediamente 0,7 mm di spessore, è stata
effettuata una lunga ricerca sulle possibili tecniche da
attuare. Eliminate le possibilità di applicazione delle tecni-
F
FORMAZIONE
che tradizionali come la saldatura a stagno-piombo, o l’incollaggio attraverso l’uso di resine aventi diverse caratteristiche per la loro scarsa efficacia, sia dal punto di vista estetico sia da quello meccanico, si è iniziata a prendere in considerazione la saldatura laser, di cui era già noto l’utilizzo
solo in campo odontotecnico e nelle più avanzate industrie
orafe. Una volta avuta visione della macchina e del suo
funzionamento si è consolidata la convinzione dell’opportunità di intraprendere questa nuova tecnica le cui premesse lasciavano intravedere la risposta più adeguata al restauro dell’Ostensorio palermitano. Si è, quindi, iniziato lavorando su campioni preparati allo scopo, effettuando numerose simulazioni per mettere a punto i parametri e le modalità di intervento idonee ai vari casi 7. I risultati di questa
ricerca empirica, sono stati poi confermati dall’IFAC-CNR
(Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” del Consiglio
Nazionale delle Ricerche) di Firenze, il quale ha successivamente effettuato alcune indagini scientifiche sui campioni. La saldatura a mezzo laser avviene sotto osservazione al
microscopio binoculare in ambiente inerte creato dalla
emissione di gas argon. La perfetta messa a fuoco del punto
interessato è fondamentale per la buona riuscita dell’intervento perché attraverso essa viene determinata la giusta
distanza tra l’oggetto e la sorgente laser (Fig. 5). I vantaggi tecnici che offre la saldatrice laser sono numerosi e
soprattutto insostituibili: la possibilità di effettuare la saldatura tenendo in mano i pezzi sotto il microscopio e quindi
di controllare il giusto attacco e l’inclinazione dei frammenti; la possibilità di focalizzare punti di saldatura molto
piccoli (0,25-2,5mm di diametro) e quindi di poter saldare
anche in prossimità degli smalti, delle pietre, della doratura e di altri componenti del manufatto; la velocità dell’operazione; la possibilità di perfezionare l’andamento tridiFig. 1
Fig. 5
Fig. 3
mensionale degli oggetti sottoposti all’intervento.
L’irreversibilità delle tracce della saldatura a mezzo laser
è stata giudicata irrilevante, in quanto non appariva auspicabile in alcun caso il ritorno alle condizioni precedenti,
quanto invece lo era il consolidamento dell’opera. Solo
dopo aver effettuato molte prove sui campioni, considerati attentamente i vari fattori che condizionano l’esito finale dell’operazione e messi a punto i vari parametri operativi per ogni condizione di intervento, si è cominciata a
effettuare la saldatura sui pezzi originali.
Sono stati ben ottocento i punti dove si è intervenuti con
la saldatura laser: a ciascuna zona di intervento, corrisponde un numero generalmente molto elevato di punti di saldatura. Ognuno di questi punti era caratterizzato da una
densità materica diversa da tutti gli altri poiché i punti da
congiungere sono il risultato di fratture avvenute in seguito alle più svariate sollecitazioni meccaniche e quindi, i
lembi da ricongiungere erano sgranati e frastagliati. Per
questo motivo, si è reso necessario reimpostare i parametri operativi (tempo, intensità, spot), per ogni irraggiamento laser: ciò costituisce una prassi operativa che differenzia interventi come quello in questione da altre applicazioni produttive che utilizzano il laser, dove la densità materica delle parti da unire è generalmente costante e i parametri di saldatura possono essere automatizzati.
Altro momento significativo per il recupero di quest’opera è stato quello della integrazione 8 delle numerose parti
mancanti o danneggiate, soprattutto quelle strutturali e
interessate al sistema di assemblaggio. Per ripristinare
l’integrità dell’opera sono stati realizzati oltre 160 pezzi,
aventi forma e funzioni varie, come, per esempio, i tubi
da inserire all’interno delle parti strutturali allo scopo di
rinforzare la tenuta, i prolungamenti delle viti, dadi aventi testa a forma di fiore, perni, agganci etc. Tali integrazioni, attualmente quasi invisibili, sono state realizzate
per mezzo di lavorazione di fili e lastre in argento e in oro
e in alcuni casi saldati a laser.
Le integrazioni degli elementi “visibili”, invece, hanno
riguardato i tre elementi fitomorfi sul piede e tre elementi vegetali sulla parte intermedia del fusto. Questi elementi sono stati realizzati in argento dorato 9 mediante fusione
Fig. 4
45
F
FORMAZIONE
Fig. 2
a cera persa da modelli ottenuti dalla calcatura con elastomeri siliconici da elementi originali10. Le integrazioni
degli elementi a volute fitomorfe erano indispensabili
perché essi costituiscono supporto degli angeli alati del
piede. Le integrazioni degli elementi vegetali nella parte
intermedia del fusto si sono rese necessarie per questioni
di ordine estetico in quanto le lacune di questa area avrebbero squilibrato la lettura della intera opera.
Osservando l’ostensorio dopo il restauro non è spesso
possibile individuare i molti interventi di saldatura poiché
la maggior parte di essi riguardano parti che risultano
invisibili una volta assemblato l’oggetto (Fig.6). Anzi,
nonostante l’effetto spettacolare del risultato raggiunto,
sono stati soprattutto gli interventi non visibili a consentire di fatto il recupero di quest’opera nella sua struttura e
nella sua forma originaria. Si tiene a precisare che dopo
l’intervento tutti gli elementi dell’Ostensorio sono ritornati ad essere smontabili come erano stati realizzati dall’autore, mediante avvitatura, imperniatura ed incastri.
Infatti sono state saldate solamente le linee di frattura nel
rispetto della tipologia costruttiva originale (Fig.7).
Poiché la tecnica di saldatura utilizzata costituiva nel
campo del restauro in oreficeria uno strumento inedito e
mancando conseguentemente qualsiasi riferimento a proposito, si è deciso di effettuare alcune prove di carico, in
particolare sul ricettacolo raggiato, per verificarne la resistenza una volta sottoposto al peso degli elementi decorativi che deve sostenere. Per tali prove sono state applicate su ogni raggio lastre di piombo aventi pesi leggermente superiori rispetto agli elementi decorativi originali: le
prove di carico sono state superate (Fig.8).
La tecnica di saldatura a mezzo laser, acquisita nell’esperienza del restauro dell’Ostensorio, è stata in seguito utilizzata in numerosi altri restauri: è attualmente considerata indispensabile, in alcuni casi specifici, nel laboratorio
delle oreficerie dell’O.P.D11.
* Restauratrice, Firenze - (mariyanagi.yahoo.it)
46
Fig. 6
IL PERCORSO DEL RECUPERO DELL’OSTENSORIO PUÒ
ESSERE SINTETIZZATO NELLE SEGUENTI OPERAZIONI:
1. Catalogazione campionatura di tutti i frammenti, con lo
scopo di individuare la loro collocazione originaria.
2. Smontaggio totale negli elementi costitutivi dei pezzi
rimasti precariamente assemblati.
3. Realizzazione grafica di una immagine “virtuale” dell’opera. Tale ipotesi di ricostruzione era il primo obiettivo
di questo restauro in assenza di qualsiasi documentazione che ci tramandasse l’aspetto originario dell’Ostensorio.
4. Ripristino formale dalle deformazioni (raddrizzamenti
meccanici).
5. Ricongiungimento delle fratture mediante la saldatura a
mezzo laser preceduto dalle sperimentazioni su campioni.
6. Consolidamento ed integrazioni strutturali mediante la
realizzazione dei pezzi in argento e argento dorato (tubi
strutturali, viti, perni, ganci e dadi).
7. Pulitura.
8. Consolidamento degli smalti.
9. Incollaggio dei diamanti.
10. Integrazione di alcuni elementi figurativi in argento dorato realizzati mediante la fusione a cera persa dal modello prodotto mediante la calcatura sugli elementi originali con elastomeri siliconici.
11. Prove di carico al fine di verificare l’efficacia della saldatura laser.
12. Rimontaggio finale.
* l’operazioni 4 e 5 spesso sono state effettuate parallelamente.
F
FORMAZIONE
NOTE
BIBLIOGRAFIA:
L’ostensorio raggiato è stato realizzato tra il 1640 e il 1641 dall’orafo palermitano, Leonardo Montalbano (Abbate 2003,
pp.34-59).
Abbate et. al. 2001
V. Abbate, C. Innocenti, L. Masotti, G. Pieri, M. Yanagishita,
A. Zanini, Prime considerazioni sulla saldatura con il laser nel
restauro di una oreficeria: il caso dell’ostensorio di Palermo, in
“O.P.D. restauro” , Rivista scientifica dell’Opificio delle pietre
dure, 13, 2001, pp. 35-59.
1
2
Il restauro è stato finanziato dalla Regione Siciliana e dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. La direzione del restauro è
stata di Clarice Innocenti, il restauro stesso è stato eseguito da
Mari Yanagishita con la consulenza e il contributo del Giogo
Pieri. Le analisi scientifiche sono state effettuate dal Laboratorio Scientifico dell’O.P.D; Consulenza per gli aspetti fisici di
Roberto Pini, Istituto di Fisica Applicata del CNR di Firenze;
Analisi gemmologiche di Renza Trosti Ferroni, Chiara Emiliani, Giulio Russo, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di
Scienza della terra; Fotografie: Alfredo Aldrovandi, Marco
Brancatelli dell’O.P.D.
Dalla analisi non distruttiva e semiquantitativa effettuata
mediante il SEM la lega dell’oro dell’Ostensorio è mediamente
875/1000 (titolo comune odierno è 750/1000).
3
Dall’analoga analisi effettuato sull’oro la lega media dell’argento utilizzato risulta 940/1000 (titolo comune odierno è
925/1000).
4
5
Per i risultati delle numerose analisi effettuate sugli smalti
(Lanterna 2003, pp. 153-158).
Per i risultati delle analisi sui diamanti (Trosti Ferroni, Russo
2003, pp. 159-161).
6
Il sistema laser da noi utilizzato per la saldatura dei metalli è a
Neodimio:YAG, laser a stato solido (cristallo) con emmissione
nel vicino infrarosso alla lunghezza d’onda di 1064 μm. I parametri operativi da impostare sono: durata d’impulso \ da 1 ms a
20 ms ( ms = millisecondi ); tensione \ da 200 v a 450 v ( v =
voltage ); dimensione del punto di saldatura (sopt) \ da 0.25mm
a 2.5mm. Per approfondimenti tecnici sulla saldatura a mezzo
laser (Yanagishita 2008, pp.75-85).
7
L’integrazione viene effettuata, nel laboratorio delle oreficerie
dell’OPD, in linea di principio, solo nei casi di necessità strutturale dove altrimenti i pezzi originali non possono essere
assemblati. Le lacune esclusivamente decorative non vengono
generalmente integrate per rispettare l’autenticità dell’opera. Si
fa eccezione, nei limiti del possibile, nei casi in cui tale lacune
risultino troppo deturpanti da compromettere la lettura della
opera.
8
I pezzi di integrazione realizzate in argento dorato si differenziano dagli originali per l’assenza degli smalti.
9
La calcatura è stata effettuata attenendosi rigorosamente il
protocollo realizzato dal Laboratorio Scientifico dell’O.P.D.
10
L’applicazione di questa tecnica nel restauro deve essere effettuata esclusivamente dopo la fase simulativa di intervento preparando campioni che abbiano uno stato chimico-fisico simile a
quelli originali poiché la propagazione del calore all’interno del
metallo si differenzia a seconda di molteplici fattori. Tale simulazione è fondamentale anche per verificare l’aspetto estetico
delle tracce di saldatura e la loro resistenza meccanica.
11
Abbate 2003
V. Abbate, La sfera d’oro, in La sfera d’oro. Il recupero di un
capolavoro dell’oreficeria palermitana, Catalogo della mostra
(Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, 10
aprile-20 luglio 2003), a c. di V. Abbate e C. Innocenti, Napoli
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2001, “Jounal of Cultural Heritage”, IV, 2003, suppl. I, pp. 362366.
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oreficerie, in La sfera d’oro,cit, pp. 99-109.
Innocenti, Yanagishita 2007
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argento e smalti, in Il Cristo ritrovato dalla Basilica dei Santi
Felice e Fortunato di Aquileia alla Cappella Bresciani di Cervignano del Friuli. Confronti e restauri, a c. di S. Blason Scarel, Aquileia 2007, pp. 196-207.
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d’oro, cit, pp. 153-158.
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Trosti Ferroni, Russo 2003
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Yanagishita 2008
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restauro delle oreficerie: esperienze maturate presso l’Opificio
delle Pietre Dure di Firenze, in Atti del Convegno nazionale
Applicazioni laser nel restauro.
47
INCONTRI & DIBATTITI
LE TERRE CRUDE NEL
MEZZOGIORNO
Dalla Sicilia nuovi sviluppi per una architettura sostenibile
Maria Luisa Germanà*
1
2
egli ultimi decenni si è sviluppato un crescente interesse per l’architettura in terra cruda del passato, che comprende esempi numerosi e differenti (per ubicazione, datazione, tipologia, tecnica costruttiva)
ponendo specifici problemi conoscitivi e conservativi. Ancora oggi, una
quota consistente della popolazione mondiale vive in edifici in terra cruda;
anche in Italia alcune aree (in Regioni come la Sardegna, la Calabria, il Piemonte, l’Abruzzo, le Marche) presentano un importante patrimonio costruito
realizzato prevalentemente con questo materiale (Detier, 1982; Galdieri,
1982; Scudo, Sabbadini, 1997; Bertagnin, 1999). Allo stesso tempo, la terra
cruda ha assunto sempre più importanza come materiale costruttivo attuale,
con notevoli potenzialità in quanto incontestabilmente sostenibile. Infatti le
diverse tecniche del crudo sono accomunate dall’uso di terra argillosa (prelevata direttamente dal sito ed impastata con inerti e stabilizzanti) e lasciata
asciugare senza processi di cottura (Houben, Guilland, 1989; Germanà, Panvini, 2008).
L’interesse per la terra cruda nelle costruzioni negli ultimi anni si è incrementato anche in Italia: i campi di indagine si sono ampliati e la sensibilità ha iniziato a coinvolgere comunità ed istituzioni. Significativa la fondazione del
CeDTerra, Centro di documentazione permanente sulle case in terra, con
sede a Casalincontrada (CH), che raccoglie documentazione sia riferita al
contesto locale abruzzese sia di carattere generale, fornendo supporto divulgativo all’A.I.C.A.T. (Associazione Italiana Cultori dell’Architettura in
Terra, coordinatore nazionale Eugenio Galdieri). Ancora, indicativa è l’istituzione dell’Associazione Nazionale dei Comuni della Terra Cruda denominata Città della Terra Cruda, con sede a Samassi (CA), formalizzata nel 2002
ma operativa sin dal 1996, a cui oggi aderiscono Comuni delle Regioni
Abruzzo, Marche, Piemonte oltre che Sardegna.
In tante occasioni di studio, approfondimento e divulgazione sull’architettura
di terra cruda in Italia era mancata sinora la Sicilia, Regione dove in effetti
non si riscontra alcuna forma vitale di tradizione costruttiva in crudo, né spiccano esempi appariscenti in cui si attesti tale materiale costruttivo, ad eccezione delle mura di Capo Soprano a Gela (IV sec. a. C.), possente fortificazione in cui l’elevato in mattoni crudi, alto mediamente oltre 3 metri, si sviluppa per ben 180 metri di lunghezza.
Lo scorso 3 ottobre per la prima volta Palermo ha ospitato un Convegno
nazionale sul tema Architettura in terra cruda nell’Italia del Sud: un evento
N
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3
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Foto 1/2
Le mura di Capo Soprano a Gela.
Vedute e particolari
foto di Letizia Di Pasquale, 2007
Foto 3/4
Reperti di mattoni crudi nell’area K di Mozia
foto di Marilù Schiera, 2007
INCONTRI & DIBATTITI
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Foto 5/6
Mattoni crudi nelle fortificazioni di Mozia
(foto di Marilù Schiera, 2007).
Foto 7
Mattoni crudi di nuova produzione posti in
opera nel sito di Nora (CA) (foto di Maddalena Achenza).
che deriva da alcuni recenti sviluppi dell’argomento che hanno iniziato a
coinvolgere la nostra Regione, patrocinato dall’Università degli Studi di
Palermo, dalla Facoltà di Architettura, dal Dipartimento Progetto e Costruzione Edilizia e dall’Assessorato Regionale BB.CC.AA. (Dipartimento dei
BB.CC.AA. e dell’Educazione Permanente e Dipartimento per l’Architettura
e l’arte Contemporanea).
Il Convegno è stato promosso per divulgare gli esiti di una ricerca, svolta nel
biennio 2005/07 con finanziamento del MIUR, che ha coinvolto, assieme a
due Unità di ricerca dell’Università di Firenze e ad una dell’Università di
Pescara, un’Unità della Facoltà di Architettura di Palermo.
I lavori (dopo i saluti del Rettore Roberto La Galla, del Direttore del Dipartimento Progetto e Costruzione Edilizia Giovanni Fatta e del Decano della
Facoltà di Architettura Alberto Sposito) sono stati aperti da un’ampia introduzione di Eugenio Galdieri, indubbiamente il più autorevole conoscitore dell’argomento in Italia. Galdieri con l’abituale chiarezza ha sintetizzato i principali temi collegati al tema della terra cruda nelle costruzioni, sottolineandone l’interesse storico ma anche il valore di alta tecnologia specifica. Le considerazioni di ordine generale sono state presentate ripercorrendo l’esempio
delle mura di Capo Soprano a Gela, a partire dall’inaspettata scoperta di sessant’anni fa, che produsse una sorta di abbagliamento al quale Galdieri attribuisce l’inadeguatezza degli sforzi conoscitivi e conservativi messi in atto,
almeno fino a quando, con il coinvolgimento della Soprintendenza di Caltanissetta diretta da Rosalba Panvini, nei primi anni ’90 sono stati compiuti
interventi finalmente consapevoli delle specificità del materiale. Galdieri
opportunamente ha ricordato due importanti iniziative della Soprintendenza
di Caltanissetta: le Giornate di studi Grandi strutture in terra cruda nell’antichità del 1997 e La terra cruda nelle costruzioni. Dalle testimonianze
archeologiche all’architettura sostenibile del 2007, che mi risultano le uniche occasioni di approfondimento sulla terra cruda in Sicilia occorse prima
del Convegno di Palermo, escludendo alcuni seminari dell’ANAB, tutti
orientati ai nuovi impieghi.
La prima sessione dei lavori è stata dedicata a presentare i risultati della
ricerca Conoscenze scientifiche, sperimentali e tacite e azioni di conservazione di architetture in terra cruda in Italia del Sud: sviluppo, sperimentazione e validazione di uno strumento web-based di Knowledge management.
Saverio Mecca, coordinatore nazionale del gruppo, si è dilungato sulle implicazioni immateriali delle tecniche costruttive in crudo, riferendosi al ruolo
degli operatori e dei contesti produttivi, con rimandi al valore attuale che il
materiale tutt’oggi assume in alcuni scenari extraeuropei. A partire dal motto
Possiamo salvare il nostro futuro, non il nostro passato, Mecca si è soffermato sulla necessità di diffondere le informazioni, decentralizzando le conoscenze, allo scopo di rendere concreta l’attuazione di architetture in crudo
anche in realtà come quelle più vicine a noi, ormai dominate da modelli produttivi improntati dall’industrializzazione e da approcci sia tecnici sia normativi troppo rigidi.
Silvia Briccoli Bati ha esposto le indagini svolte sugli aspetti strutturali delle
costruzioni in crudo, condotte mediante analisi sperimentali mirate a ricavare
la caratterizzazione fisico-meccanico del materiale terra e attraverso prove
meccaniche applicate su modelli in scala di pareti in blocchi di terra e listature di laterizio, tipiche in edifici del territorio di Lamezia Terme, in Calabria.
Maria Cristina Forlani ha contribuito alla ricerca coordinando l’Unità di
Pescara, che - sviluppando studi condotti da decenni sulle case in terra dell’Abruzzo - ha approfondito l’aspetto delle prestazioni ambientali delle tecniche costruttive, confrontando soluzioni tradizionali ed innovative.
Rispetto alle altre Unità di ricerca, quella di Palermo - coordinata da chi scrive - ha seguito un percorso piuttosto diverso: il punto di partenza era caratte49
INCONTRI & DIBATTITI
rizzato dalla scarsezza di conoscenze sulla terra cruda in Sicilia ed era abbastanza condizionato dall’esclusione (esplicita o implicita) della Regione dalle
già citate pubblicazioni che avevano trattato il fenomeno a scala nazionale. Il
lavoro condotto ha dimostrato che l’architettura in terra cruda in Sicilia è un
patrimonio consistente, ancora da esplorare con sistematicità. Innanzitutto, la
Regione custodisce reperti numerosi risalenti ad epoche che vanno dalla preistoria all’età romana e riferibili a tipologie costruttive varie: dagli edifici residenziali ed artigianali con relativi annessi alle fortificazioni; dagli edifici religiosi alle sepolture. In più, molti esempi siciliani nei quali sono stati realizzati interventi di protezione e conservazione negli ultimi cinquant’anni forniscono spunti significativi per riflettere sulle specificità di simili obiettivi riferiti alla terra cruda in contesti antichi.
Avendo individuato l’ambito archeologico come campo di indagine fondamentale per studiare l’impiego della terra cruda in Sicilia, è stato ritenuto
indispensabile coinvolgere le Soprintendenze BB.CC.AA., in quanto tali
istituzioni, da cui dipende la tutela dei siti interessati, gestiscono ogni intervento che li riguarda. In più, tali enti vedono impegnati qualificati operatori
(a diretto contatto con un patrimonio di cui conoscono bene tutti i tipi di
emergenze) da cui si è giustamente ritenuto di poter ricavare dati certi e circostanziati.
La seconda sessione del Convegno è stata testimonianza dell’importante contributo degli Enti che in Sicilia soprintendono alla tutela dei beni culturali,
presso cui sono stati trovati interlocutori interessati a condividere approfondimenti sull’argomento della terra cruda, oltre che disponibili ad agevolare le
ricognizioni effettuate durante il biennio di ricerca: oltre a quanti intervenuti
al Convegno, più avanti citati, vanno ricordati Rossella Giglio, Giovanni Di
Stefano, Lavinia Sole e Pamela Toti.
La sessione è stata aperta dal contributo di Guido Meli, il quale - inquadrando il tema nella più generale attività del Centro Regionale per il Restauro che
dirige - ha illustrato l’impegno del Centro nei futuri sviluppi della ricerca
sulla terra cruda in Sicilia. Grazie ad un Protocollo d’intesa, siglato con il
Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia dell’Università di Palermo, si
intende sviluppare un censimento delle testimonianze in crudo presenti nel
patrimonio architettonico siciliano, attraverso la compilazione di schede nelle
quali riportare tutte le informazioni già disponibili e quelle da raccogliere,
allo scopo di creare le basi di processi conoscitivi condivisi e soprattutto funzionali a strategie efficienti di conservazione, nell’ottica più ampia della
Carta del Rischio. Le costruzioni in terra cruda, specie quelle in stato di rudere, sono infatti caratterizzate da un elevatissima vulnerabilità intrinseca; inoltre, i relativi interventi conservativi sono esposti ad un particolarmente alto
rischio tecnico, ovvero alla possibilità di non raggiungere gli effetti voluti o
addirittura di comprometterli, a causa di fattori, anche concomitanti, riconducibili alle diverse fasi processuali (Germanà, 2003).
Per quanto riguarda i più remoti impieghi della terra cruda in Sicilia, è stato
determinante il contributo di Sebastiano Tusa, che ha fornito la propria competenza sui siti preistorici: basti citare i suoi studi sui reperti risalenti al mesolitico (Grotta dell’Uzzo), sugli intonaci e le piattaforme di età neolitica (Mursia), sulle affascinanti ipotesi di configurazione delle coperture delle capanne
circolari di Mokarta (Tusa, 2008; Tusa, c.d.s.).
Rosalba Panvini ha esposto alcune inedite scoperte di costruzioni in terra
cruda nel territorio gelese (i quartieri residenziali nei pressi delle fortificazioni di Capo Soprano), inquadrandole nell’insieme di un sito che è particolarmente rappresentativo della diffusione di questo materiale nella Sicilia antica: la relativa lontananza di cave da cui estrarre materiale lapideo fecero della
terra cruda il materiale prevalente nell’antica Gela; in più i reperti sono giun-
50
8
9
10
Foto 8
Edifici in mattoni crudi a Serramanna (foto di
Maddalena Achenza).
Foto 9
Edificio a due piani in mattoni crudi ad
Acquaro (foto di Rosario Chimirri).
Foto 10
Intervento di consolidamento su edificio tradizionale in crudo (foto di Rosario Chimirri).
INCONTRI & DIBATTITI
ti a noi in eccellente stato di conservazione, grazie alla coltre di sabbia che li
ricoprì sin nella tarda antichità o in epoca medievale (Panvini, 2008).
Francesca Spatafora ha presentato i frutti di un lavoro condotto da un gruppo
di Archeologi della Soprintendenza di Palermo (Alba M. G. Calascibetta,
Monica Chiovaro, Laura Di Leonardo, Stefano Vassallo), dimostrando la diffusione della terra cruda - dalla preistoria al medioevo - nella Sicilia occidentale (Spatafora et al., c.d.s.).
La terza sessione è stata dedicata ad illustrare le esperienze di altre Regioni
dell’Italia del Sud. Maddalena Achenza, Coordinatrice dell’Associazione
Nazionale Città Terra Cruda e del Labterra dell’Università di Cagliari, ha
riferito dell’architettura in terra cruda di cui è ricca la Sardegna meridionale:
un patrimonio ancora vitale, radicato nell’identità paesaggistica del territorio
e connotato da precise tipologie, sul quale sono stati compiuti numerosi studi,
anche finalizzati a determinare le più appropriate tecnologie di recupero. In
Sardegna le tecniche costruttive sono tutt’oggi utilizzate, sia per intervenire
sul costruito esistente (la Achenza ha riportato l’esempio del sito romano di
Nora, nei pressi di Cagliari, dove sono state ricostruite porzioni di abitato in
mattoni crudi), sia per costruzioni di nuovo impianto.
Maurizio Manias ha illustrato un’interessante esperienza di attualizzazione
delle tecniche costruttive in mattoni crudi (diffusamente utilizzate in Sardegna fino alla metà del secolo scorso), maturata nell’ambito di una collaborazione tra l’Università di Cagliari (Prof. Ulrico Sanna) e alcuni imprenditori
(la BioArch di Ales, Oristano), e liberi professionisti locali. A partire dalla
caratterizzazione fisico-meccanica del materiale di base e continuando con
una razionalizzazione del processo produttivo, mirata ad eliminare la stagionalità dei sistemi tradizionali di essiccazione, sono stati prodotti e messi in
opera mattoni crudi a costi competitivi, dimostrando le potenzialità attuali
della millenaria tecnica dell’adobe.
Rosario Chimirri ha presentato una relazione sugli usi della terra cruda in
Calabria, sottolineando la varietà di tecniche, il legame con l’identità tradizionale del territorio, la continuità dalle testimonianze archeologiche alla metà
del secolo scorso. Scoraggiante la documentazione sulle sorti della maggior
parte di edifici in crudo calabresi, alterati da interventi snaturanti; solo le
costruzioni in abbandono, paradossalmente, mantengono l’originaria essenza
tecnica. Chimirri ha concluso con margini di ottimismo, riportando gli avanzamenti delle conoscenze e ipotizzando alcuni scenari per la conservazione.
A tal riguardo, si può citare la nota inviata da Francesco Cicioni, Assessore
del Comune di Lamezia Terme, impossibilitato a partecipare ai lavori, nella
quale si illustra l’impegno profuso dall’Amministrazione comunale per il
patrimonio in terra cruda che caratterizza il centro storico calabrese.
Alla fine del Convegno sono state presentate due pubblicazioni, entrambe
testimonianza del ruolo della Sicilia nei più recenti sviluppi del tema dell’architettura in terra cruda nell’Italia del Sud: Terra/terre. Il futuro di una tecnologia antica, edita da ETS Pisa e La terra cruda nelle costruzioni. Dalle
testimonianze archeologiche all’architettura sostenibile, pubblicata da
Nuova Ipsa Palermo.
Il Convegno di Palermo, di cui si auspica possano presto essere pubblicati gli
atti, ha costituito una prova di quanto possa essere producente la collaborazione tra Università e Soprintendenze per gli sviluppi della ricerca sul patrimonio
architettonico con valore culturale: una collaborazione che è opportuno sviluppare, sia per il reciproco potenziamento delle iniziative comuni sia per una più
efficiente utilizzazione delle sempre più esigue risorse disponibili.
*Università degli Studi di Palermo; Dipartimento Progetto e Costruzione Edilizia; Facoltà di
Architettura.
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Tusa 2008
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Tusa, c.d.s.:
S. Tusa, Origini e primi sviluppi dell’architettura in crudo in Sicilia nel contesto mediterraneo, in Briccoli Bati, Forlani, Germanà,
Mecca, c.d.s.
51
RECENSIONI
LA CATENA DELLE TORRI
Fortificazione costiera tra storia e ambiente
Antonio Casano
L’opera di cui trattiamo ci
fornisce un quadro completo e dettagliato di informazioni sul sistema turrito fortificato siciliano: sintesi di
un lavoro a monte che complessivamente consta all’incirca di sette anni di ricerche, ottomila immagini
digitali (di cui duemila
riprese dal mare), mille diapositive e 464 tavole fra
planimetrie, cartografie, e
rilievi grafici. È, inoltre,
arricchita da uno “schedario” che compendia le oltre
duecento torri recensite
lungo gli oltre mille km di
costa: ogni singola scheda è
congegnata come un saggio-breve che nella sua
essenzialità contiene, tuttavia, dati ed indicazioni utili
per ulteriori approfondimenti. Un lavoro, quello
della schedatura, che ha
visto la partecipazione di
numerosi collaboratori che
–in uno con i contributi specialistici di studiosi fra i più
accreditati nel campo della
ricerca storica, paesaggistica ed architettonica- hanno
fatto rivivificare un patrimonio inestimabile, unitamente a quella memoria
ancora echeggiata nelle
comunità costiere nei primi
decenni del Novecento.
Le torri assieme alle tonnare divennero elementi
imprescindibili del paesaggio costiero, esempi potremmo dire oggi- di
una equilibrata intersecazione antropica negli ecosistemi naturali, con un
impatto ambientale del
tutto sostenibile che arricchisce, anzi, la percezione
astratta dei campi visuali
senza alterarne la conte52
stualità oggettuale. Certo
non sappiamo quanta consapevolezza vi fosse nell’ingegneria costruttiva di
allora sui criteri valutativi
impattanti ma, a posteriori,
possiamo ben dire che la
pressione sul territorio,
anche quando attorno le
torri si insediavano agglomerati urbani, era ben
lungi dal limite di sostenibilità toccato nella modernità. Non è un caso che
nell’epoca contemporanea,
quando si disquisisce di
tutela del paesaggio culturale ed ambientale, si guarda a questi beni con la stessa attenzione protettiva
riservata a quelli naturali,
come insieme del patrimonio comune da salvaguardare.
La catena delle torri costiere, dislocata lungo le oltre
450 miglia dei litorali dell’isola, aveva una tale valenza
strategico-militare che nel
XVI secolo in seno alla
Deputazione del Regno alla quale venivano affidate
importanti funzioni amministrative nell’ordinamento
siciliano - fu istituito un
Commissariato Generale
delle fabbriche delle torri,
articolato in Uffici Tecnici
per la edificazione e la
manutenzione,
la
cui
responsabilità era attribuita
al Capo Mastro delle fabbriche, e presidi logistici
comandati da Sopraintendenti posti al capo di torrari, artiglieri, munizioneri e
cavallari. A cavallo tra il
‘500 e il ‘600 l’attività della
suddetta amministrazione
regia fu così intensa che ad
essa si deve, oltre alla
manutenzione dell’apparato
Torre della Colombara, Trapani
foto CRICD - Fabio Militello
preesistente, l’incremento
costruttivo di una quarantina di “torri di Deputazione”,
su un progetto di fortificazione ideato e sviluppato da
due vere autorità del ramo Tiburzio Spannocchi e
Camillo Camilliani. La
nuova tipologia architettonica, abbandonata la tradizionale forma cilindrica, era
riconoscibile per gli standard omogenei, modellata
secondo la logica progettuale di vere e proprie “piccole
fortezze” a base quadrata,
dov’era facilitato l’uso dell’artiglieria (cfr. GAMBINO, pp. 195 e ss.).
LE TORRI NEI
PAESAGGI COSTIERI
SICILIANI
(SECOLI XIII-XIX).
STORIA - ARCHITETTURA
- AMBIENTE
A cura di F. Maurici,
A. Fresina, F. Militello
CRICD-Palermo, 2008,
volumi 3
RECENSIONI
Con la fine della “guerra
grande” tra la Lega Santa
(promossa da Pio V, composta dal blocco ispanoasburgico con l’adesione
–fra gli altri- delle repubbliche marinare di Venezia
e Genova) e l’Impero
Ottomano per la dominazione del Mediterraneo,
sancita con le tregue successive alla vittoria della
coalizione cattolica nella
battaglia navale di Lepanto (1571), il conflitto tra la
cristianità e l’islam proseguirà per molto tempo
ancora nella forma della
pirateria o della corsa che
avrà per teatro principale
l’area centrale del bacino
mediterraneo. Questo è il
periodo che fino alla metà
del ‘600 vedrà registrare
l’apice della guerra corsara (cfr. BONO, p.35), una
guerriglia -cioè quella
forma di guerra “secondaria e degradata” per dirla
alla Braudel, così come ci
ricorda Maurici (p. 83)organizzata dalle genti
dell’Ifriqiya berbera che
con altrettanta fermezza
veniva rintuzzata dal
mondo cristiano. Sostanzialmente, ancor più di
prima, questa guerriglia
marinara si manifestava
come una sorta di prolungamento –perlomeno nel
Mediterraneo occidentaledella secolare lotta tra i
due mondi monoteisti,
venutisi a trovare in posizione dominante nello scenario storico dopo il travagliato lungo declino dell’Impero romano. Quindi
prosecuzione di una guerra
non più regolata secondo i
canoni belligeranti tra
entità parimenti sovrane,
ma regolamentata secondo
le rispettive fonti normative, in base alle quali una
stessa azione di saccheggio veniva codificata giuridicamente, o legittima o
illegale. Infatti se supportata dal rilascio di patenti
di corsa -nel caso delle
“licenze” concesse dalle
autorità governative poste
sotto l’egida della cristianità- il bottino conquistato
(schiavi e beni) era considerato alla stregua del profitto da ripartire in dividendi, secondo le quote
d’investimento conferite
dai finanziatori delle spedizioni della corsa (tale
compartecipazione finanziaria era assai diffusa non
solo tra i ceti nobiliari ma
anche fra gli alti prelati
della Chiesa); diversamente le incursioni barbaresche venivano definite atti
di pirateria. Appare del
tutto ovvio che dal punto
di vista dei corsali musulmani le azioni di saccheggio venivano riconosciute
come pienamente legittime. D’altro canto non v’è
da stupirsi né da dare giudizi di valore su cotanta
crudezza. Siamo in un
tempo in cui nelle più
grandi città di entrambi i
fronti religiosi fiorivano
grandi mercati di schiavi, e
le stesse pratiche di riscatto dei prigionieri (molte
confraternite sorsero allo
scopo) venivano considerate attività di scambio fra
le altre. Si era in presenza
di una condizione sociale
di stato di guerra permanente, di cui l’economia
era parte integrante non
solo come motivazione
originaria (oltre quella
religiosa dalla quale
discendevano sia precetti
dottrinali che assetti sociali, dalla proprietà alla
famiglia), bensì anche
come fattore di capitalizzazione del conflitto. “La
guerra per mare, che fin
dalle crociate aveva convogliato interessi e nazioni
all’assalto del mondo
arabo-islamico, dal XV
secolo comincia a vedere
l’Occidente in difensiva ed
in prima linea le terre insulari e meridionali, i coltivi
ed i prodotti. Non solo i
viaggi erano sempre a
rischio di mare e di corsari, ma ora anche le terre
con le loro manifestazioni
economiche (fiere e mercati), le attività lavorative
(pesca e salature del pesce,
raccolta e cottura dello
zucchero, etc.), vengono
colpite nell’iter produttivo
a causa degli appostamenti
barbareschi e dei raid.
Pure gli uomini sono presi
come merce, ai fini di uno
scambio, che alimenterà
un redditizio commercio
di prigionieri”(SCARLATA, p. 124). Va ribadito
ancora che le motivazioni
della lotta religiosa costituivano la sovrastruttura
ideologica di questo conflitto politico ed economico e i proseliti confessionali erano l’altra faccia
dell’azione di “guerriglia
marinara”. Infatti molti
saranno i casi di conversione, dall’una e dall’altra
parte, anche perché essa
era decisiva ai fini del trattamento riservato ai rapiti.
Bisogna tuttavia riconoscere che diverso era lo
status riconosciuto al convertito: nelle patrie islamiche al cristiano convertitosi all’islam venivano attribuiti interamente gli stessi
diritti goduti dal musulmano, financo quello di occupare posizioni sociali prestigiose e incarichi pubblici di elevata responsabilità, anche militare. Di converso però per il musulmano convertitosi al cristianesimo la condizione servile sostanzialmente non
mutava, al più gli veniva
riservato un trattamento
misericordioso piuttosto
che la catena. “Ben raramente uno schiavo musul-
mano –ci dice Bono nel
suo bel contributo- diventava ‘famoso’ in terra cristiana, dove vigeva una
gerarchia sociale molto
rigida. La più illustre eccezione per la Sicilia è quella di un figlio di schiavi,
divenuto francescano e per
la sua santità asceso sino
alla beatificazione, Benedetto da San Fratello, in
quel di Messina, detto
Benedetto Negro o il
Moro” (p.42).
La necessità delle torri
costiere quindi è sì parte
della politica di difesa dei
confini di un’autorità
sovrana a protezione del
proprio territorio contro le
minacce di occupazione di
un nemico esterno, ma così come ci viene ricordato sopra dalla Scarlata- il
sistema difensivo turrito
già nel ’400 assume prevalentemente il tratto di
appendice dell’iter produttivo, senza il quale uomini
e merci si trovano alla
mercè dei predatori barbareschi che della pirateria, a
loro volta, avevano fatto
una dell’economie principali. Quel che però va
annotato è che la rete delle
torri non era soltanto un
sistema logistico difensivo
dalle minacce esterne, essa
risponde anche alla necessità del controllo sociale
interno. “Non vi è dubbio
infatti -osserva Mauriciche la paura del ‘turco inimico’ fu occasione per realizzare opere di fortificazione utili anche al controllo delle città siciliane, alla
dissuasione e alla repressione di sommovimenti
politici” (p.87). Insomma
un vero e proprio processo
di militarizzazione del territorio con uno scopo
ambivalente: di protezione
della frontiera da un lato,
di mantenimento dell’ordine politico dall’altro.
53
rassegna libri
curata da A. Casano
Maria Grazia Branciforti (a cura di)
ANTIQUARIUM.
L’AREA ARCHEOLOGICA
DI SANTA VENERA AL POZZO – ACIUM
Regione Siciliana-Assessorato Regionale
dei Beni Culturali Ambientali e della
Pubblica Istruzione / Dipartimento dei
Beni Culturali Ambientali e
dell’educazione Permanente / Area Soprintendenza per i Beni Culturali ed
Ambientali di Catania- Servizio per i Beni
Archeologici, Palermo 2006, pp.222
“L’ipotesi di lavoro,
che indirizza la
ricerca archeologica, è che nella
media età imperiale
romana l’abitato
ora
individuato,
dotato, dunque, di
un impianto termale, fosse inserito in
un ampio latifondo,
servito dalla via
pubblica che da Messina conduceva a
Catania e posto alla confluenza di strade
che mettevano in comunicazione la costa
ionica con la zona pedemontana etnea
(PATANÈ 1992, pp. 132-133), nel cui
interno poteva anche trovarsi la residenza
del proprietario.
Vale la pena ricordare a tal proposito le
insistenti notizie circa ritrovamenti di
mosaici, purtroppo ad oggi non confermate, nelle proprietà attualmente confinanti con quella demaniale. Esse indurrebbero ad ipotizzare la presenza di un
grande edificio con caratteristiche di residenza signorile.
È interessante il confronto di questo complesso archeologico con la ben nota statio di Philosophiana, ubicata a pochi chilometri dalla Villa del Casale di Piazza
Armerina. Citata nell’Itinerarium Antonimi,
lungo la strada che da Catania conduceva ad Agrigento (MILLER, I, col. LVII, II.
88-94, 402), è stata identificata con l’insediamento antico che, sito in contrada
Sofìana, è caratterizzato dalla presenza,
tra i vari fabbricati scoperti, di un piccolo
edificio termale (ADAMESTEANU 1955).
Studi recenti hanno ampiamente affrontato il tema del rapporto tra la statio, ubicata sulla strada, e la Villa, residenza estiva
di un ricco proprietario terriero, che dovevano far parte, entrambe, dello stesso
latifondo (A. CARANDINI, A. RICCI, M. DE
VOS 1982).
In età tardo antica (III-IV secolo d.C.) il
centro continua a vivere e si caratterizza
per l’impianto di fornaci, realizzate utilizzando le strutture di un grande edificio
(Edificio 1), di recente messo in luce nel
settore settentrionale dell’area demaniale. Esse producono vasellame di uso
comune e laterizi da costruzione. Le
Terme ricevono un nuovo assetto architettonico e, rimanendo ancora legate alla
loro funzione originaria, si ampliano con
la realizzazione di nuovi ambienti. Le
recenti indagini archeologiche hanno permesso di acquisire dati importanti sulla
54
sopravvivenza di questo centro almeno
sino al VI secolo d.C. quando tutto sembra cadere in uno stato generale di
abbandono che determinerà il crollo degli
edifici ad eccezione dei due ambienti termali che, per la robustezza delle fabbriche, si conserveranno sino ai nostri giorni diventando ancora una volta oggetto di
studio” (Maria Grazia Branciforti).
Accademia delle Scienze di Ferrara,
IASOS IN ETÀ ROMANA
MISCELLANEA
STORICO-ARCHEOLOGICA
TLA Editrice, Ferrara, 2008, pp. 133
L’opera curata da
Fede Berti è una
miscellanea dedicata all’antica città
turca Iasos, alla
stesura della quale
hanno contribuito
studiosi che hanno
collaborato ad una
campagna di indagini promossa dalla
Missione italiana di
ricerche archeologiche in Turchia. Il volume si pone idealmente in continuità con
una precedente pubblicazione dell’Accademia delle Scienze di Ferrara titolata
Iasos tra VI e IV a.c., anch’essa una
miscellanea storico-archeologica editata
nel 2004. Infatti “la complementarietà
ideale tra i due volumi –precisa Adami
presidente dell’Accademia- è data dalla
circostanza che se il quadro cronologico
del primo abbracciava il periodo che
intercorre tra il VI e IV secolo avanti l’era
volgare, i contributi contenuti nel secondo tendono, invece, a mettere in luce
aspetti monumentali, epigrafici e materiali della fase medio-imperiale della città di
Iasos, documentando la vivacità della
stessa anche in tale periodo”
Maria Concetta Di Natale (a cura di)
MARIA ACCASCINA E IL GIORNALE DI
SICILIA 1934-1937. CULTURA TRA
CRITICA E CRONACHE
Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta
2006, pp. 427
Il libro raccoglie i
contributi elaborati
dalla studiosa -in
qualità di storico e
critico d’arte- per
la testata palermitana durante il
periodo centrale
degli anni trenta. Al
lavoro -così come
anticipato dalla Di
Natale- seguirà un
saggio di completamento della raccolta
degli articoli fino al 1941, anno sostanzialmente conclusivo della collaborazio-
ne col quotidiano, con l’eccezione di
qualche altra presenza nelle pagine del
giornale nei periodi successivi. La Accascina nei suoi articoli -nota la curatrice“passava con straordinaria disinvoltura
da argomenti di arte decorativa e arte
sacra nelle Madonie ad altri monografici
su pittori dell’Ottocento siciliano, da
quelli sul patrimonio artistico isolano, ad
esempio sull’arte ericina e trapanese, a
quelli che recensivano mostre d’arte
regionali o di rilievo nazionale, come
Biennali, Triennali, Quadriennali, da quelli sui grandi pittori del Risorgimento, ad
altri di archeologia. Gli articoli erano
sempre arricchiti da fotografie, segno
dell’importanza che la studiosa attribuiva
al sussidio fotografico per la conoscenza, la divulgazione e lo studio dell’opera
d’arte”
G. Coppola, E. D’Angelo, R. Paone
(a cura di)
MEZZOGIORNO & MEDITERRANEO.
TERRITORI, STRUTTURE, RELAZIONI
TRA ANTICHITÀ E MEDIOEVO,
Artemisia Comunicazione, Napoli ,2006,
pp.335
Il volume pubblica
gli atti di un convegno internazionale,
tenutosi a Napoli
nel giugno 2005, e
si inserisce all’interno di un progetto di ricerca interdisciplinare che ha
come punto di
osservazione
il
Mediterraneo, uno spazio comune nel
quale il nostro Mezzogiorno affonda le
sue radici culturali. Il Progetto di ricerca
“M&M”, messo in cantiere dalle Università di Napoli “Federico II” e “Suor Orsola
Benincasa” e dall’Università degli Studi di
Salerno, consta già di numerosi lavori
scientifici realizzati, i cui risultati sono
fruibili nel mercato editoriale: il lungo
elenco di monografie, saggi su riviste, in
atti di convegni e in miscellanee, è consultabile fra le pagine del libro.
I contributi del convegno napoletano
sono stati raccolti in tre ricche sezioni
(archeologica, storico-architettonica e
storico-letteraria) che si snodano lungo
un percorso che va dall’antichità classica
all’epoca medievale (dal basso impero
alle soglie delle modernità). Nella fattispecie il teatro in cui si sviluppano i saggi
è essenzialmente quello del Meridione
della penisola italica, dove si riflettono e
si incrociano le influenze artistico-culturali e socio-paesaggistiche delle civiltà
mediterranee e quelle dei popoli del nord,
normanni in primis: gli assetti urbani, l’incastellamento territoriale, i contesti pittorici antichi, la medievistica letteraria sono
fra gli argomenti principali che animano la
pubblicazione.
P. Pancaldi, S. Marvelli, M. Marchesini
(a cura di)
MUSEO ARCHEOLOGICO AMBIENTALE
Comune di San Giovanni in PersicetoAssessorato alla Cultura
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Emilia Romagna
La guida segnalata
è una interessante
iniziativa, una buona pratica gestionale che dimostra
come si possa
intervenire nei piccoli centri cercando di valorizzarne il
territorio con l’istituzione di presidi
culturali collegati, capaci di coniugare
l’interesse conservativo ambientale e
paesaggistico con la memoria di una
comunità, e farne al tempo stesso strumento ad uso didattico socialmente formativo. Quello del polo museale è un
modello che risponde all’esigenza di
legare le emergenze archeologiche della
pianura felsinea con l’ideazione espositiva in sedi decentrate, integrate però in un
itinerario comune. Quello di San Giovanni
in Persiceto “costituisce dunque il primo
nucleo di una rete muesale”, la cui tramatura rimane aperta alle aggiunzioni di
nuove maglie, non a caso la fase di
costruzione del sistema sovracomunale
comprende altre realtà della zona occidentale bolognese c.d. “Comuni di Terre
d’Acqua”. Articolata nelle sezioni romana,
medievale e rinascimentale, questa esposizione “vuole fornire una chiave di lettura dei dati scaturiti dalle indagini archeologiche e dallo studio delle emergenze
storico-ambientali”. I curatori della guida
nell’indicare le linee espositive evidenziano che i materiali contenuti “tendono a
fornire un quadro vivo ed esauriente del
popolamento” nel territorio, soprattutto
“tenendo conto delle trasformazioni
ambientali che l’uomo stesso ha contribuito a realizzare: dai primi disboscamenti all’agricoltura, dalla centuriazione alla
creazione di reti viarie, dall’introduzione
di nuove specie vegetali e animali alle
bonifiche”.
C. Mìccichè, S. Modeo, L. Santagati
(a cura di)
LA SICILIA ROMANA TRA REPUBBLICA
E ALTO IMPERO
ATTI DEL CONVEGNO DI STUDI
Siciliantica, Caltanissetta, 2007, pp.247
Giorgio Schifani (a cura di)
POTENZIALITÀ ED OPPORTUNITÀ DI
SVILUPPO DEL SETTORE AGRICOLO
NELLE AREE PROTETTE.
IL CASO STUDIO DEI PARCHI SICILIANI
Collana Sicilia Foreste, Palermo, 2007,
pp.193
I saggi pubblicati
sono gli atti del
convegno di studi
tenutosi il 20-21
maggio 2006 a Caltanissetta. I contributi raccolti, sebbene interrelati tra
loro, si dipanano
dentro due sezioni
specifiche:
una
archeologica l’altra storica. Sul versante
della prima sono stati messi in evidenza
quegli aspetti caratterizzanti la trama del
rapporto Città/Campagna, ovvero quelle
connessioni di scambio sociale ed economico che hanno contrassegnato lo sviluppo in alcune aree territoriali che determinarono il mutamento del paesaggio: insediamenti abitativi, vie di comunicazione,
canalizzazioni, aree sacre, apparati produttivi per lo sfruttamento delle risorse e
sistemi monetari per favorire il commercio
delle merci. Queste tracce archeologiche,
data la complementarietà paritaria del
rapporto interdisciplinare, non possono
essere trascurate ovviamente dalla ricerca storica, il cui apporto non è legato solo
ai grandi temi politici, etici, giuridici, economici e sociali. Non a caso, partendo dal
contributo di Giorgio Bejor, relativo alle
indagini sugli insediamenti rurali siciliani
nel periodo romano, e, più specificamente, dall’individuazione della ricerca
archeologica di quell’alternarsi dei fenomeni al tempo stesso demografici e
comunitari -“l’esplosione del popolamento rurale disperso” e “la rarefazione degli
insediamenti rurali nelle fasi iniziali dell’impero”, Calogero Miccichè, nelle sue conclusioni, ci avverte dell’importanza fondamentale dei risultati delle indagini condotte nelle varie aree della Sicilia “per consentire allo storico una più chiara intersecazione fra dati microstorici e la loro utilizzazione in chiave più ampia”, al fine anche
di chiarire le cause, le motivazioni e la cronologia dei processi di trasformazione
nello spazio temporale esaminato dai
lavori.
Quello dei parchi
siciliani è un caso
di studio con il
quale Giorgio Schifani propone un
approccio metodologico olistico posto alla base della
gestione del territorio, elaborando una
idea dello sviluppo
possibile capace di
cogliere il valore d’uso delle risorse naturali offerte da quelle aree vincolate nell’interesse pubblico e collettivo (Parchi,
Riserve naturali, Aree naturali protette,
Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e
Zone di Protezione Speciale (ZPS), nonché Riserve ed Aree marine protette),
senza metterne a rischio la riproducibilità,
valorizzando al tempo stesso quelle
vocazioni produttive che coniugano la
tutela del paesaggio e il mantenimento
delle biodiversità, “attraverso il recupero
di quegli elementi di continuità riconducibili proprio all’agricoltura di qualità e tipica, al turismo e all’agriturismo, alla ricchezza culturale e del patrimonio architettonico, archeologico, naturale e paesaggistico, che contraddistingue l’intero
ambito d’indagine”. Il modello di sviluppo
esplicitamente richiamato da Schifani è
quello del distretto rurale, una struttura
produttiva a scala comprensoriale, formata da presidi locali che interagiscono
in rete, mettendo così in comunione il
valore delle diverse attività integrate dalla
valorizzazione aggiuntiva dei beni comuni
ereditati dai processi di trasformazione
culturali e naturali. Vi sono tuttavia alcune
aree specifiche la cui fruizione (data la
loro peculiarità, giacché gli ecosistemi
mal tollererebbero pressioni esterne di
forte impatto ambientale) dovrà essere
necessariamente limitata al solo ambito
di ricerca, trattate come veri e propri
laboratori naturalistici che, in ogni caso,
avranno un ritorno nell’accrescimento del
patrimonio cognitivo sociale.
55
Le pubblicazioni
del Centro
1. Il tempio dei re. Con la ristampa
anastatica compattata del “De principe templo panormitano (1728) di G.M.
Amato”. A cura di Gianfilippo Villari,
Guido Meli. Palermo, 2001
2. Mappa Mundi. Progetto di restauro
sperimentale di due mappamondi di
Mattheus Greuter. Palermo, 2001.
Videocassetta VHS;
3. La sicurezza dei beni culturali nel
Decreto Legislativo 19 settembre 1994,
n. 626. A cura di Marco Salerno, Jolanda
Marescalco Lo Cascio. Palermo, 2002
4. Tauromenion. Progetto Carta del
Rischio per il recupero del patrimonio
culturale ed ambientale della regione
Siciliana. VHS. Palermo, 2002
16. Il teatro greco-romano di Taormina: progetto pilota: analisi, studi ed
indagini. Prima fase. AA.VV. Palermo,
2004;
17. Il suono delle parole di pietra: conservazione ed uso dei teatri antichi in
Sicilia. AA.VV. Palermo, 2004;
18. Le architetture teatrali in Sicilia.
DVD. AA.VV. Palermo, 2004
19. La festa di Santa Lucia. Palermo,
2005
5. Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia. Ristampa anastatica
con aggiornamento nomenclaturale
dei taxa di ammoniti. A cura di Carolina
D’Arpa, Elena Scalone. Palermo, 2002
20. Per una mappa del patrimonio tessile: “Progetto intreccio”: ricerca sperimentale sulla conservazione, la tutela e il restauro del baldacchino tessile
della Basilica di S. Francesco di Palermo. DVD. Palermo, 2005
6. Il sarcofago dell’Imperatore. [1]
Studi, ricerche e indagini sulla tomba
di Federico II nella Cattedrale di Palermo, 1994-1999. [2] I regali sepolcri del
Duomo di Palermo. Ristampa. AA.VV.
Palermo, 2002
21. Per una mappa del patrimonio tessile: “Progetto intreccio”: ricerca sperimentale sulla conservazione, la tutela e il restauro del baldacchino tessile
della Basilica di S. Francesco di Palermo. VHS. Palermo, 2005
7. I Quaderni di Palazzo Montalbo, n.
1. AA.VV. Palermo, 2002
22. Piano di riqualificazione territoriale
della Sicilia. AA.VV. Palermo, 2005
8. Le cinquecentine della Biblioteca
dell’Archivio di Stato di Palermo. A cura
di Rita Di Natale. Palermo, 2003
23. Il cipresso di san Benedetto “il
Moro”: datazione dendrocronologica
di un antico albero di Palermo. Palermo, 2006 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 5)
9. La Biblioteca comunale di S. Agostino. Interventi per la salvaguardia e la
conservazione del patrimonio. Atti
della giornata di studio “L’intervento
d’avanguardia. Deacidificazione a libro
integro. AA.VV. Palermo, 2003
10. Carta del rischio del patrimonio
culturale e ambientale. Taormina progetto pilota (I quaderni di Palazzo Montalbo; 2). AA.VV. Palermo, 2003
11. BNA Bollettino Nuove Accessioni.
Biblioteca. Palermo, 2003
12. BNA Bollettino Nuove Accessioni.
Biblioteca Tematica della Carta del
Rischio. Palermo, 2003
13. BNA Bollettino Nuove Accessioni.
Biblioteca. Palermo, 2004
14. Mappa Mundi. Progetto di restauro
sperimentale di due mappamondi di
Mattheus Greuter (I quaderni di Palazzo
Montalbo; 3). AA.VV. Palermo, 2004.
15. Apparati musivi antichi nell’area del
Mediterraneo: conservazione programmata e recupero: contributi analitici alla
Carta del Rischio: atti del 1. Convegno
56
internazionale di studi La materia e i
segni della storia: Piazza Armerina, 913 aprile 2003 (I quaderni di Palazzo Montalbo ; 4). AA.VV. Palermo, 2004.
24. Il monitoraggio microclimatico:
Galleria regionale della Sicilia “Palazzo
Abatellis” Palermo, Galleria regionale
di “Palazzo Bellomo” Siracusa, Museo
regionale di Messina. Palermo, 2006 (I
quaderni di Palazzo Montalbo; 6)
25. Il travertino di Alcamo: proposta
per l’istituzione di un geosito. Palermo,
2006 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 7)
Pietro Novelli. Palermo, 2007 (I quaderni
di Palazzo Montalbo; 10)
29. Progetto di recupero e conservazione della Villa Romana del Casale di
Piazza Armerina. Palermo, 2007 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 12. I grandi
restauri; 1)
30. Carta tematica di rischio vulcanico
della Regione Sicilia: costruzione di un
modello di indagine a scala locale.
Palermo, 2007 (pubblicazione realizzata
insieme all’Assessorato Territorio e
Ambiente, Dipartimento Territorio e
Ambiente)
31. Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia. Seconda ristampa
anastatica delle tavole con aggiornamento nomenclaturale dei taxa figurati
di Ammoniti, Brachiopodi, Gasteropodi
e Bivalvi. A cura di Carolina D’Arpa,
Elena Scalone. Palermo, 2007
32. L’intervento di deacidificazione “a
libro integro” sul patrimonio bibliografico della Biblioteca Comunale S. Agostino di Taormina: un metodo di conservazione preventiva. Progetto pilota.
Palermo, 2008
33. A tuorcia: la festa di san Basilio a
San Marco d’Alunzio: il paesaggio
festivo siciliano: contributi analitici
alla carta del rischio. Palermo, 2008 (I
quaderni di Palazzo Montalbo; 13. Le
feste; 2)
34. Il restauro conservativo del contrabbasso “Panormo”. Palermo, 2008
35. Studio tematico della Carta del
Rischio del Patrimonio Culturale della
Regione Siciliana Architetture teatrali
siciliane di età antica. Fase della conoscenza - I PARTE
36. Architetture teatrali siciliane di età
antica. Il Teatro greco romano di Taormina, AA.VV., Palermo, 2008 - II PARTE
26. “U circu” e “A bannera”: le feste di
san Sebastiano a Cerami: il paesaggio
festivo siciliano: contributi analitici alla
carta del rischio. Palermo, 2006 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 8/1)
37. Modelli di studio a scala locale
della Carta del Rischio del Patrimonio
Culturale ed Ambientale della Regione
Siciliana - Poggioreale Vecchia.
AA.VV., Palermo, 2008
27. La festa dei morti. Palermo, 2006
Teatri antichi nell’area del Mediterraneo:
conservazione programmata e fruizione
sostenibile: contributi analitici alla Carta
del Rischio: atti del II Convegno internazionale di studi la materia e i segni della
storia, Siracusa, 13-17 ottobre 2004.
Palermo, 2007 (I quaderni di Palazzo
Montalbo; 9)
38. Modelli di studio a scala locale
della Carta del Rischio del Patrimonio
Culturale ed Ambientale della Regione
Siciliana - Waterfront urbani di Catania, Messina, Palermo, Siracusa e Trapani. AA.VV., Palermo, 2008
28. Cronaca di un intervento di restauro: il restauro di due dipinti murali di
39. Modelli di studio a scala locale
della Carta del Rischio del Patrimonio
Culturale ed Ambientale della Regione
Siciliana - Taormina, Castelmola, Giardini Naxos. AA.VV., Palermo, 2008
novità editoriali 2008
I V O L U M I D E L L A C A RTA D E L R I S C H I O
C.R.PinR.
forma
rivista semestrale del centro regionale progettazione e restauro
5/6
C.R.PinR.
forma
on line
www.centrorestauro.sicilia.it
Regione Siciliana • Assessorato Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione
2008
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