C.R.PinR. forma rivista semestrale del centro regionale progettazione e restauro 5/6 C.R.PinR. forma on line www.centrorestauro.sicilia.it Regione Siciliana • Assessorato Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione 2008 novità editoriali 2008 I V O L U M I D E L L A C A RTA D E L R I S C H I O SOM M ARIO 2 TEMARIO progetti 3 L’ABITATO STORICO DI POGGIOREALE Un Progetto-Pilota di carta del rischio. Criteri, tappe di realizzazione, risultati 8 DIPINTI POLICROMI Test di pulitura laser sugli intonaci negli ambienti della Villa del Casale 9 INTONACI E MALTE DI ALLETTAMENTO Indigini chimico fisiche e petrografiche nella “Villa” di Piazza Armerina ricerca 10 INCHIESTA NEL SOFFITTO La copertura originaria lignea dipinta della cattedrale di Nicosia 12 CINQUECENTINA AGOSTINIANA De Ebrietate vitanda: la rara edizione della Biblioteca dell’Archivio di Stato di Palermo 13 IL TIPOGRAFO DI DILLINGEN Sebald Mayer stampatore controriformista nella patria di Lutero 15 AGRUMI DELLA CONCA D’ORO Memoria del paesaggio panormita 16 LE PERMANENZE AGRUMICOLE I giardini delle dimore storiche dossier 21 X CONFERENZA DEL COMITATO INTERNAZIONALE PER LA CONSERVAZIONE DEI MOSAICI laboriando 35 TRAME GARIBALDINE Il risorgimento della Storia Patria in mostra 39 TRICOLORE IN DETTAGLIO MISURE E CROMIE RIGENERATE 40 LA BANDIERA DEL LOMBARDO Nota storica 41 ANDRIENNE, LIVREE E “VECCHI” ACCESSORI Protocolli di conservazione per il guardaroba nobiliare del Museo Pepoli formazione 42 LEGHE E METALLI Tirocinio didattico sulle metodologie di restauro 43 SUI MANUFATTI BRONZEI Fusione, rinettura, tecniche di patinatura e aspetti conservativi 44 LA “SFERA D’ORO” Il restauro dell’ostensorio dell’Olivella incontri & dibattiti 48 LE TERRE CRUDE NEL MEZZOGIORNO Dalla Sicilia nuovi sviluppi per una architettura sostenibile recensioni 52 LA CATENA DELLE TORRI Fortificazione costiera tra storia e ambiente 54 RASSEGNA LIBRI TEMARIO C.R.P R. informa on line www.centrorestauro.sicilia.it C.R.P.R in/forma n°5/6 2008 Rivista semestrale del Centro regionale per la progettazione e il restauro e per le scienze naturali applicate ai Beni culturali Codice issn 2035-8717 Direzione scientifica Guido Meli Direttore responsabile Antonio Casano Consiglio di redazione Antonio Casano Rita Di Natale Maria Di Ferro Roberto Garufi Elena Lentini Gioacchino Mangano Ferdinando Maurici Guido Meli Giuseppa Maria Spanò Fotografie Gioacchino Mangano, Fabio Militello, Ugo Nizza, Fabiola Saitta, Licia Settineri Progetto grafico Gioacchino Mangano Impaginazione e Stampa Eurografica s.r.l. Viale Aiace, 126 - 90151 Palermo Sede di amministrazione, direzione redazione: Via Cristoforo Colombo, 52 90142 Palermo Registrazione Tribunale di Palermo del 9.2.2006 n°3 © Copyright 2008 Regione Siciliana - Assessorato regionale dei Beni culturali ed ambientali e della Pubblica istruzione Centro regionale per la progettazione e il restauro e per le scienze naturali applicate ai Beni culturali Vogliamo dedicare questo numero alla memoria di Padre Piccirillo, nostro grande e caro amico distintosi nella sua vita non solo per l’immensa spiritualità, ma anche per la profonda sensibilità e comprensione delle ragioni dell’altro, esempio concreto della multiculturalità soprattutto in un’area, come la Terra Santa, così tanto travagliata dai conflitti. Per noi è stato un punto di riferimento morale e intellettuale fondamentale. Impareggiabile conoscitore di quel crocevia religioso -qual è il Medioriente- così ricco di testimonianze storiche, a lui la comunità culturale internazionale deve riconoscere il tributo per essere stato un protagonista –diretto o indiretto– nelle tante campagne di recupero e di conservazione programmate presso i siti archeologici di quel territorio. Veniamo a riannodare il filo principale del “doppio-2008”. L’apertura dei materiali contenuti nei Progetti, racconta sinteticamente in questa sede (per l’approfondimento esaustivo si rimanda al volume editato dal CRPR) l’iniziativa, sviluppata nel contesto della Carta del Rischio, messa in opera nell’abitato storico di Poggioreale: un modello pilota per la pianificazione delle azioni di prevenzione nei casi di emergenza calamitosa per la messa in sicurezza del patrimonio monumentale ed architettonico dei nostri centri storici. Come al solito manteniamo aperta la finestra sul corso dei lavori di recupero della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina. I “pezzi”, pur nella loro essenzialità, ci offrono un quadro significativo dei test condotti sui dipinti policromi degli intonaci parietali, mediante l’utilizzo della tecnica del raggio laser per il ripristino della leggibilità e la stabilizzazione delle raffigurazioni degli apparati decorativi. In uno con i test di pulitura laser presentiamo il lavoro del gruppo di ricerca, composto da studiosi dell’Università del capoluogo siciliano, relativo ai primi risultati elaborati connessi al campionamento e alla caratterizzazione delle malte di allettamento dei mosaici pavimentali e degli intonaci che rivestono le murature superstiti –all’interno e all’esterno degli ambienti della Villa. Seguono le pagine della Ricerca che documentano una copiosa rassegna sull’attività di sperimentazione sul campo, vedi l’inchiesta diagnostica fisico-chimica effettuata sul soffitto ligneo della Cattedrale di Nicosia e la documentazione sulle colture antiche che hanno reso famoso al mondo il paesaggio della Conca d’Oro e le permanenze agrumicole nei giardini delle dimore storiche del palermitano. Nella stessa partizione segnaliamo la ricerca su una rara cinquecentina agostiniana (la De Ebrietate vitanda), della quale si sottolinea anche il valore politico-religioso per il contesto in cui è stata pubblicata da Sebald Mayer, il primo stampatore in quel di Dillingen, ossia quello della lotta tra riforma protestante e controriforma cattolica. Il dossier stavolta mette in luce i contenuti emersi nel corso della X Conferenza del Comitato Internazionale per la Conservazione dei Mosaici-ICCM, la cui organizzazione è stata affidata al CRPR, svoltasi dal 20 al 26 ottobre dello scorso anno a Palermo, nella splendida cornice del complesso architettonico e monumentale ove ha sede il Museo del Risorgimento della Società Siciliana per la Storia Patria. Un confronto serrato sul tema della conservazione dei mosaici, nello sforzo di definire in profondità la codificazione del paradigma scientifico e metodologico, arricchito dalla ricerca sull’innovazione tecnologica, le cui refluenze sono oramai imprescindibili nell’applicazione dei protocolli di restauro e di prevenzione: dalla diagnosi scientifica preliminare allo studio sulla compatibilità dei materiali, dalla fruizione e protezione dei siti musivi alla stabilizzazione microclimatica degli stessi. La sezione della Formazione presenta un pacchetto di articoli omogeneo, legati fra loro dal tema del restauro dei metalli, oggetto di un tirocinio didattico organizzato nell’ambito delle attività di laboratorio previsto nel Corso di laurea in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali. Il materiale pubblicato –in particolare ci sia consentito menzionare il brillante saggio di Mari Yanagishita sull’ostensorio dell’Olivella– è sicuramente utile sia ai fini della divulgazione metodologica dei protocolli adottati sia alla fruizione formativa per quanti non hanno avuto l’opportunità di frequentare il tirocinio didattico. Così come altrettanto interessante, data l’attualità del tema sulla tutela del paesaggio e sull’architettura sostenibile, è il contributo –leggibile negli Incontri&Dibattiti– sulle terre crude della Germanà. Infine vogliamo cogliere l’occasione per scusarci con le comunità di lingua araba (quindi non soltanto con quella intellettuale) e con i lettori per il mero refuso riportato (l’immagine capovolta della lastra Naskhi, rendendo così illeggibile l’iscrizione) nel primo numero di CRPR/InForma (p.11). P PROGETTI UN PROGETTO-PILOTA DI CARTA DEL RISCHIO L’ABITATO STORICO DI POGGIOREALE CRITERI, TAPPE DI REALIZZAZIONE, RISULTATI Roberto Garufi IL TERREMOTO DEL BELÌCE Sessanta anni dopo il disastroso terremoto di Messina la Valle del Belìce è stata profondamente segnata da un evento sismico che si è protratto per quattro mesi, durante i quali i sismografi hanno registrato duecentonovantadue scosse telluriche. Il 14 e 15 Gennaio 1968 hanno così rappresentato una delle tappe più importanti della storia recente della Sicilia, colpendo una vasta area dell’isola compresa tra le province di Trapani, Palermo ed Agrigento. Al termine di questo evento i comuni di Gibellina, Montevago e Salaparuta saranno rasi al suolo, undici verranno gravemente danneggiati ed altri centoventinove saranno coinvolti in modo significativo. I semplici numeri dell’evento (351 morti, 100.000 sfollati) non descrivono compiutamente il profondo stravolgimento di una vasta parte di quei territori rurali dell’interno dell’isola che stavano in quegli anni emancipandosi faticosamente dalla realtà marginale del latifondo. Ma non sarà solamente il terremoto a pesare negativamente sui destini di quest’area. La macchina dei soccorsi che si inceppa ben presto e in alcuni casi si rivela finanche dannosa, l’assenza per lungo tempo di scelte politiche coraggiose ed efficaci ed infine gli interessi speculativi concorreranno a caratterizzare, con numerosi e gravi errori, la lunga fase di una ricostruzione che, incredibilmente, non possiamo ritenere ancora conclusa. Gibellina, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita di Belìce, Santa Ninfa, Vita sono i paesi della Valle che il terremoto ha colpito più o meno duramente, ma i loro destini si sono spesso divisi nella fase successiva della ricostruzione, quando si sono definiti i progetti per la rinascita del territorio. Per lungo tempo le comunità locali sono state tenute del tutto fuori da questa fondamentale fase per i destini dei propri territori, non potendo così intervenire a contrastare scelte di pianificazione della ricostruzione che spesso non hanno salvaguardato i valori caratterizzanti le proprie identità culturali. Chiesa S. Antonio e parte della stecca edilizia annessa crollata Chiesa S. Antonio e il corso Sulla valutazione di una presunta scarsa affidabilità dei terreni dei siti originari e di agibilità degli abitati storici si è infatti spesso basata la de-localizzazione dei paesi che è stata parziale per Partanna, Salemi e Vita, o radicale, come è avvenuto per Gibellina, Salaparuta e Poggioreale. Ma la vicenda del terremoto del Belìce ha rappresentato una tappa fondamentale della storia italiana del secondo novecento per quanto riguarda la maturazione dei criteri e la formazione delle professionalità indispensabili a garantire una gestione efficace delle emergenze, in relazione anche alla salvaguardia del patrimonio culturale. Gli anni 1968 e 1969 ci hanno raccontato la vicenda, ai nostri occhi incomprensibile, della demolizione sistematica dei centri abitati del Belìce e dei loro beni monumentali più importanti, e più in generale hanno offerto la testimonianza di una evidente impreparazione logistica e dello scarso coinvolgimento nelle fasi post evento delle amministrazioni locali. Un giudizio complessivamente impietoso, non attenuato dall’enorme impegno profuso da Vigili del Fuoco, dall’esercito e dai molti volontari giunti nell’isola. Il destino urbano di Poggioreale ci è così apparso come un esempio emblematico delle scelte di pianificazione territoriale e restauro urbano proposte per lunghi decenni in quest’area dell’isola. L’abitato storico di Poggioreale possiede ancora concrete potenzialità di recupero, nonostante la preoccupante evoluzione delle dinamiche del degrado, che 3 P PROGETTI si va registrando dopo quaranta anni di totale abbandono. È comunque ancora possibile, a nostro parere, trasformare le sue strutture abitative e gli edifici monumentali, le strade e le piazze ora in abbandono in un grande laboratorio all’aperto e in una palestra di formazione per esperti e addetti impegnati nella conservazione e restauro degli edificati storici, e nella prevenzione e gestione delle emergenze. E’ questo il tema dello studio che ha impegnato in questi anni l’Unità di Ricerca del CRPR dedicata al patrimonio paesaggistico, naturale, naturalistico, architettonico ed urbanistico e per la Carta del Rischio. Il gruppo di ricerca ha voluto comprendere nei diversi aspetti e valutare i rischi che interessano questa realtà urbana in relazione alla depressione antropica. Il progetto ha costituito una delle tappe principali di questa prima fase della Carta del Rischio del Patrimonio Culturale ed Ambientale della Regione Siciliana che viene a concludersi in questi mesi. Lo studio dedicato alla Chiesa di S. Antonio ne ha rappresentato il progetto pilota, dedicato ad edifici monumentali segnati da degradi legati all’abbandono. L’intera esperienza progettuale è stata attuata sul campo con l’indispensabile supporto logistico del Comune di Poggioreale. RILIEVO CON TECNOLOGIA LASER SCANNER DELLA CHIESA DI S. ANTONIO DA PADOVA L’esecuzione del rilievo, curata dal Dipartimento di Rilievo, Analisi e Disegno dell’Ambiente e dell’Architettura (RADAAR) dell’Università La Sapienza di Roma a partire dal maggio 2007, ha rappresentato la prima indispensabile tappa di quel processo conoscitivo di monitoraggio e diagnostica che deve fornire le indicazioni più corrette per una efficace messa in sicurezza dell’edificio, mitigandone le vulnerabilità specifiche. E’ stata così realizzata una campagna di scansione laser 3D, condotta attraverso sette posizionamenti, che ha interessato l’intero sito della Chiesa; contemporaneamente è stata realizzata una campagna topografica e fotografica di appoggio, per calibrare l’accuratezza della georeferenziazione e migliorare la definizione di ogni dettaglio. Il risultato prodotto è stato la restituzione su base cartografica di un modello tridimensionale percettivamente simile alla realtà e corretto a livello dimensionale, proporzionale e stilistico. Utilizzando la tecnologia 3D browsing sarà inoltre possibile condividere sul web il modello con interazione realtime. VALUTAZIONI DELLO STATO DI CONSERVAZIONE DELL’ABITATO E DELLA STECCA EDILIZIA DI S. ANTONIO DA PADOVA Il gruppo di geologi coordinato da Giovanni Ventura Bordenca, congiuntamente con l’Unità di ricerca geologica del CRPR, ha sviluppato una campagna di indagini geologiche per comprendere la vulnerabilità sismica dell’area del sito di S. Antonio. I principali caratteri morfologici e geolitologici connotanti l’abitato sono stati desunti da indagini geognostiche precedentemente eseguite e da una campagna di indagini geofisiche attraverso un profilo sismico a rifrazione e misure di microtremore o noise naturale. La classificazione dei terreni presenti nel sottosuolo dell’area di studio ha registrato dati con modeste zone di amplificazione e scarse discontinuità geomeccaniche. I risultati sono confluiti in un SIT in ambiente GIS che è divenuto parte della banca dati geografica della 4 Carta del Rischio regionale. E’ stata così definita una metodologia di indagine che negli sviluppi futuri dell’attività sarà applicata in modo sistematico nell’abitato. Connessa concettualmente a questo studio è l’attività condotta da Mario D’Amore e Michele Buttitta che hanno sviluppato un percorso di conoscenza per valutare di quest’area i processi di degrado ed i danni strutturali prodotti dal sisma. Lo studio storico è stato abbinato alla schedatura di vulnerabilità sismica, ad una minuziosa documentazione fotografica, ad un’attività di rilievo, eseguita con tecnica manuale e dedicata a descrivere gli aspetti dimensionali e costruttivi delle fabbriche, i danni strutturali, le condizioni del degrado. Sono stati così individuati, e riuniti in un abaco, i meccanismi di collasso degli edifici ed è stato definito il quadro generale degli interventi di miglioramento strutturale, funzionali ad una efficace mitigazione delle specifiche vulnerabilità sismiche delle parti strutturali. P PROGETTI Il Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia della Facoltà di Architettura di Palermo ha inoltre fornito un significativo contributo alla ricerca con lo studio condotto da Rosalia Guglielmini e Alberto Lucchesi Palli all’interno del Dottorato di Ricerca in Recupero e Fruizione dei Contesti Ambientali. L’indagine bibliografica e di archivio, la raccolta dei documenti cartografici e aerofotogrammetrici, così come dei materiali fotografici iconografici e multimediali, sono alla base di quel processo di conoscenza dell’abitato che ha vissuto l’indispensabile fase del riscontro sul campo attraverso una campagna di rilievo geometrico dell’abitato. Questa fase, propedeutica a quella dedicata alle indicazioni progettuali di recupero e nuova funzione, ha fornito un importante contributo alla comprensione dell’abitato e indicazioni significative per definire scelte idonee al recupero e valorizzazione della cultura materiale e delle tecniche costruttive caratterizzanti Poggioreale Vecchia. in alto: rilievo laser scanner Chiesa S. Antonio al centro: rilievo laser scanner portico Chiesa S. Antonio in basso: rilievo laser scanner interno Chiesa S. Antonio 5 P PROGETTI Assonometria Chiesa S. Antonio e stecca edilizia INTERVENTO DI MESSA IN SICUREZZA DELLA CHIESA DI S. ANTONIO DA PADOVA E’ stato definito nelle sue linee strategiche dal nostro Istituto e nelle sue soluzioni tecniche dal Dipartimento di Dinamica Strutturale Teorica e Sperimentale della Facoltà di Ingegneria di Palermo, con il contributo della Direzione Regionale del Corpo Regionale dei Vigili del Fuoco, che ne ha concretamente curato la realizzazione attraverso il suo Gruppo Speleo Alpino Fluviale (SAF). In particolare è stata effettuata la bonifica delle parti pericolanti a rischio di crollo, soprattutto concentrate sulla parte sommitale della volta, in larga parte crollata. A questa fase è seguito l’intervento di consolidamento dei ruderi, realizzato sia all’interno della chiesa che sul prospetto principale, per contrastare i quadri fessurativi ed i conseguenti meccanismi rilevati. Le strutture provvisionali così realizzate sono propedeutiche ad un definitivo intervento, programmato nella successiva fase del progetto. In dettaglio si è intervenuti con puntellamenti sulla facciata (catene in cavi di acciaio inox bloccate sulla retro facciata e abbinate a una trave reticolare spaziale zavorrata al piede), sul colonnato (due portali reticolari zoppi a sostegno di architravi laterali e connessi con travi reticolari trasversali), sulla cella campanaria (telaio orizzontale e controventi a croce di Sant’Andrea, abbinati a cerchiature dei vani), sulla cupola (castelletto in acciaio spaziale controventato a contrasto tra il pavimento della chiesa e l’intradosso della cupola). Puntelli e contrasti sono stati estesi all’intera facciata della stecca edilizia contigua. CONSERVAZIONE E CATALOGAZIONE DEI FRAMMENTI DELLA VOLTA, PRESSO LA CHIESA DI S. ANTONIO DA PADOVA All’interno delle fasi di messa in sicurezza dell’aula di S. Antonio da Padova il Gruppo SAF presso il Comando Regionale siciliano ha realizzato con il personale tecnico del Centro la raccolta e il trasporto all’aperto dei frammenti erratici della volta, ancora presenti tra le macerie 6 P PROGETTI sopravvissute alle spoliazioni che hanno caratterizzato la realtà di queste rovine nei lunghi decenni di abbandono dell’abitato storico. Questa attività ha permesso all’unità di ricerca del Centro di selezionare i frammenti di pregio, e di operare successivamente la loro spolveratura, con la catalogazione e il trasporto in un deposito provvisorio ubicato a breve distanza all’interno dell’abitato storico. I reperti sono stati catalogati utilizzando una scheda che è stata definita dal nostro gruppo di ricerca e che ha utilizzato i criteri e le modalità del Sistema Informativo della Carta del Rischio e dei tracciati schedografici usati nella gestione delle fasi di emergenza post evento sismico. La schedatura così realizzata documenta fotograficamente il singolo reperto e ne registra i dati essenziali della configurazione dimensionale e materica (del supporto murario e del rivestimento) e della sua conservazione (alterazione cromatica, deposito superficiale, disgregazione, distacco, fatturazioni/fessurazioni, lacune, patine biologiche/vegetazione infestante). La scheda si conclude con l’indicazione di una valutazione sintetica dello stato di conservazione, utile per programmare gli interventi necessari, all’interno di una prospettiva di recupero dei frammenti principali, che sarà oggetto della fase ulteriore di progetto dedicato al sito di Poggioreale Vecchia. ESERCITAZIONE DI PROTEZIONE CIVILE PER IL SALVATAGGIO DI TECNICI Il Servizio Regionale di Protezione Civile per la Provincia di Trapani nel giugno 2008 ha curato con il nostro Istituto lo svolgimento di una esercitazione mirata al salvataggio di tecnici impegnati nelle fasi immediatamente successive al sisma e coinvolti in un crollo determinato da nuove scosse, applicando un modello di intervento già codificato attraverso un protocollo di attività che sono usualmente realizzate nelle fasi post evento. L’attuazione delle procedure di soccorso è stata utile a verificare la tempestività degli interventi, la capacità di interazione tra Enti e strutture di Protezione Civile, il livello di addestramento del personale tecnico e dei volontari aggregati. In tal modo si è verificata la potenzialità di un utilizzo periodico dell’area per un’attività di formazione specifica sul tema. ESERCITAZIONE DI LEGAMBIENTE PER IL RECUPERO DI OPERE D’ARTE I Volontari coordinati da Legambiente Sicilia hanno realizzato nel giugno 2008 nell’abitato di Poggioreale una esercitazione dedicata al recupero e messa in sicurezza di opere d’arte coinvolte dai crolli successivi ad un evento sismico. E’ stata simulata, in una realtà di emergenza post evento, la collaborazione dei volontari con i funzionari della Soprintendenza e con le squadre dei Vigili del Fuoco, nella fase delicata della rimozione delle opere d’arte dalle macerie degli edifici. Queste sono state catalogate utilizzando le schede definite da Legambiente e approvate dal Ministero per i Beni Culturali, per descrivere lo stato di conservazione ed eventuali interventi di restauro. A questa fase è seguita la simulazione delle operazioni di imballaggio e successivo trasporto in depositi messi a disposizione dall’amministrazione comunale. Anche in questo caso l’esperienza ha permesso di verificare la praticabilità di un utilizzo dell’abitato demanializzato di Poggioreale Vecchia per sviluppare attività di esercitazione periodica. SVILUPPI FUTURI DEL PROGETTO Gli interventi di messa in sicurezza già realizzati e le attività di ricerca ed esercitazione contestualmente sviluppate ci hanno dimostrato che Poggioreale Vecchia, al di là dell’indubbio fascino culturale e ambientale, può assumere a breve una nuova funzione quale palestra di formazione per tecnici e volontari che dovranno essere coinvolti, con diversi ruoli e competenze, nella conoscenza dei materiali e tecniche costruttive storiche, prevenzione, diagnostica e monitoraggio strutturale, mitigazione delle vulnerabilità, gestione dell’emergenza. E se questo percorso può essere sviluppato per Poggioreale Vecchia riteniamo che il destino dei molti nuclei abitati in abbandono che popolano diffusamente la Sicilia possa essere assai diverso da quello di un inevitabile declino. Occorre quindi che una nuova progettualità si concentri a definire, ed applicare concretamente, criteri e strategie per individuarne nuove funzioni e reinserirli nei circuiti culturali dei diversi territori di riferimento. E’ questo uno dei temi caratterizzanti fondanti la Carta del Rischio dei Paesaggi Culturali della Sicilia che il nostro Istituto intende sviluppare nel nuovo Programma Operativo Regionale 2007-2013. 7 P PROGETTI DIPINTI POLICROMI TEST DI PULITURA LASER SUGLI INTONACI NEGLI AMBIENTI DELLA VILLA DEL CASALE Salvatore Siano* l restauro degli apparati decorativi della Villa del Casale, messo in opera dal CRPR tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, comprende la pulitura e il consolidamento dei relitti di intonaci policromi presenti in molti ambienti. Le problematiche conservative che rendono il recupero di leggibilità e la stabilizzazione di queste superfici dipinte sono varie e complesse. In particolare, da un lato la difficoltà di intervento su aree già parzialmente pulite e consolidate in precedenti restauri, dall’altro, la presenza di strati pittorici ancora quasi completamente coperti da spesse e tenaci concrezioni terrose. Fin qui, la pulitura è stata affrontata in larga misura attraverso l’alleggerimento meccanico delle stratificazioni e, in qualche caso, con impacchi chimici, intervenendo soprattutto sulle pareti maggiormente incrostate. Accanto a risultati soddisfacenti, permangono situazioni in cui è stato possibile mettere in luce solo in minima parte la superficie pittorica, laddove la selettività della rimozione meccanica e l’efficacia degli impacchi chimici sono risultate molto limitate. È per queste ragioni che il consulente per le indagini scientifiche, Mauro Matteini, e la responsabile per il CRPR, Lorella Pellegrino, hanno proposto la sperimentazione della pulitura laser. Un’ipotesi applicativa supportata dai recenti sviluppi di questa tecnica, utilizzata con successo nella rimozione di scialbi e trattamenti organici applicati nel passato sui dipinti murali del complesso di Santa Maria della Scala (Siena) [1-2] e del Castello di Quart (Aosta) [3]. Le prime prove sono state eseguite in uno degli ambienti che si affacciano sulla corsia nord del quadriportico, sull’abside nord e la parete ovest della palestra (vano 3). Nel primo caso, le cromie parietali sono riconoscibili, ma rimangono velate da un sottile strato composito, costituito da residui terrosi unitamente a materiali di integrazione e consolidamento. Come mostra la Fig. 1, l’irraggiamento laser consente un notevole miglioramento di leggibilità. Ancora più significativi i test condotti sulla parete absidale della palestra, a valle dell’alleggerimento meccanico delle spesse concrezioni che ricoprivano le policromie. Le due immagini di Fig. 2 evidenziano le notevoli potenzialità di selettività dell’ablazione laser, in una situazione che non lascia intravedere alcuna soluzione alternativa. Questo risultato preliminare, per quanto ancora da sottoporre ad una rigorosa verifica diagnostica, appare molto significativo, sia nello specifico che in generale. Esso costituisce prova di una concreta possibilità di recupero ottimale delle superfici dipinte della Villa del Casale ed, al contempo, estende la casistica delle situazioni in cui la pulitura laser si sta rivelando risolutiva. Va da sè che un trattamento esteso alle migliaia di metri quadri di intonaci della Villa non è pensabile all’interno del presente intervento. Appare invece praticabile l’utilizzo della tecnica laser per una serie di saggi di pulitura I 8 Fig. 1 Fig. 2 mirati, che favoriscano l’interpretazione dei motivi decorativi presenti su vaste aree ancora completamente coperte da incrostazioni, ovvero una più completa fruizione degli ambienti. La direzione dei lavori sta attualmente valutando questa ipotesi operativa. [1] S. Siano, A. Brunetto, F. Droghini, G. Guasparri, A. Scala, Cappella del Manto e Sagrestia Vecchia in Santa Maria della Scala, Siena: Rimozione laser di scialbature su dipinti murali, in Lo stato dell’Arte 4, 4° Congresso Nazionale IGIIC (Siena, Santa Maria della Scala, 28-30 settembre 2006), Firenze 2006. [2] S. Siano, A. Brunetto, A. Mencaglia, G. Guasparri, A. Scala, F. Droghini, A. Bagnoli, Integration of laser ablation techniques for cleaning the wall paintings of the Sagrestia Vecchia and Cappella del Manto in Santa Maria della Scala, Siena, in J. Nimmrichter, W Kautek, M. Schreiner (eds.), Lacona VI. Lasers in the Conservation of Artworks, Proocedings of the 6th International Conference (Wien, 21-25 Sept. 2005), Berlin-New York 2007, pp. 191-201. [3] S. Siano, L. Appolonia, A. Piccirillo, A. Brunetto, Castle of Quart, Aosta Valley: laser uncovering of medieval wall paintings, in M. Castillejo (ed.), Lacona VII. Lasers in the Conservation of Artworks, Proocedings of the 7th International Conference (Madrid, 1721 Sept. 2007), Boca Raton (USA) 2008, pp. 191-198. * Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” - CNR, Sesto Fiorentino (Firenze) P PROGETTI INTONACI E MALTE DI ALLETTAMENTO Indagini chimico fisiche e petrografiche nella “Villa” di Piazza Armerina G. Rizzo1, B. Megna1, L. Ercoli2 Fig. 1 Fig. 2 ell’ambito di una convenzione di ricerca tra il Dipartimento di Ingegneria Chimica dei Processi e dei Materiali (DICPM) dell’Università di Palermo e l’Alto Commissariato per la Villa Romana del Casale Soprintendenza di Enna, il Laboratorio di Ingegneria Chimica per i Beni Culturali ha curato il campionamento e la caratterizzazione delle malte di allettamento dei mosaici pavimentali e degli intonaci che rivestono, sia all’interno che all’esterno, le murature superstiti. Per quanto riguarda i mosaici, sono state prelevate carote fino ad una profondità di 30 cm, naturalmente in aree prive del rivestimento di tessere. I campioni sono stati suddivisi in diverse porzioni, che sono state caratterizzate mediante diffrattometria RX, microscopia ottica su sezione lucida e su sezione sottile, analisi termica, cromatografia ionica. I risultati, già riportati nel primo rapporto di consulenza relativo alla convenzione, mostrano una successione stratigrafica simile a quella descritta da Vitruvio, con la presenza di consistenti spessori di malta a cocciopesto. Sono in corso ulteriori indagini su una seconda serie di carote, prelevate in posizioni adiacenti alle prime, al fine di verificare l’efficacia e la distribuzione del consolidante a base di Ba(OH)2, iniettato nel substrato delle tessere con funzione di consolidante. Nella seconda fase dello studio, l’interesse si è rivolto verso gli intonaci interni ed esterni della Villa sui quali, N celati da una crosta spessa e tenace, si intravedono dovunque segni di decorazioni pittoriche. Tale incrostazione, analizzata mediante diffrattometria RX e microscopia Raman, risulta costituita da Calcite. Per comprenderne meglio le modalità di accrescimento, è in corso lo studio in luce trasmessa polarizzata su sezione sottile. Si è effettuata una accurata ricognizione, con documentazione fotografica, di tutti gli intonaci interni ed esterni, classificando le diverse tipologie di decorazione pittorica (figurato, geometrico, ad imitazione dell’opus sectile) e i colori presenti. Quindi sono stati prelevati campioni di malta, rappresentativi delle differenti tecniche esecutive riconoscibili ad una ispezione visiva, per effettuarne la caratterizzazione mineralogico petrografia, e un microcampione di ciascuno dei colori sia all’interno che all’esterno, per il riconoscimento dei pigmenti utilizzati. A titolo di esempio si riporta in Fig. 1 lo spettro ottenuto analizzando al microscopio Raman un frammento di colore azzurro, Fig. 2. Si tratta di Blu Egizio, un pigmento a base di un silicato doppio di calcio e rame noto sin dall’antichità. L’insieme dei risultati delle analisi sugli intonaci dipinti, qui brevemente esemplificato, sarà oggetto del secondo rapporto di consulenza relativo alla convenzione. [1] Marco Vitruvio Pollione De Architectura, a c. di P. Gros, Torino 1997. [2] I.M. Bell, R.J.H. Clark, P.J. Gibbs, Raman Spectroscopy Library of Natural and Synthetic Pigments (pre-approximately 1850 A.D.), in “Spectrochimica Acta” part A, 53, 1997, pp. 2159-2179 [3] H. G. Wiedemann, E. Arpagaus, D. Müller, C. Marcolli, S. Weigel, A. Reller, Pigments of the Bust of Nefertete Compared with those of the Karnak Talatats, in “Thermochimica Acta “, 382, 2002, pp. 239-247 1 Università di Palermo, DICPM, Laboratorio di Ingegneria Chimica per i Beni Culturali 2 Università di Palermo, Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica 9 R RICERCA INCHIESTA NEL SOFFITTO La copertura originaria lignea dipinta della cattedrale di Nicosia C. Di Stefano, F. Prestileo u incarico della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Enna il CRPR è stato chiamato ad assolvere il compito di consulenza e di coordinamento dello studio diagnostico del soffitto ligneo dipinto della Cattedrale di Nicosia, nell’ambito del progetto di consolidamento e restauro della Cattedrale e messa in valore del soffitto ligneo. A tal fine è stata avviata nel settembre del 2007, dai Laboratori di Chimica e di Fisica del CRPR, una campagna diagnostica di rilevamento microclimatico e di indagini non invasive relativamente alla originaria copertura dell’edificio. In questa sede vengono riportati i risultati delle indagini spettrofotometriche, multispettrali (fluorescenza ultravioletta, infrarosso in falso colore e riflettografia infrarossa) e di fluorescenza a raggi X (ED-XRF), effettuate in situ con strumentazione portatile, eseguite allo scopo di ottenere sia una più approfondita conoscenza dello stato di conservazione del manufatto che una preliminare identificazione dei materiali pittorici originali impiegati nonché di quelli dovuti a restauri pregressi, fornendo utili indicazioni per la messa a punto dell’attuale intervento di recupero. Ulteriori indagini mirate, guidate dai primi risultati ottenuti, sono state eseguite con tecniche spettroscopiche (UV/Vis, FT-IR) e microscopiche (OM e SEM). Considerate le difficoltà logistiche del sito, raggiungibile mediante il ponteggio realizzato all’esterno della Cattedrale, e i ridotti spazi all’interno dell’intercapedine tra la volta a botte ed il soffitto, per l’acquisizione delle misure è stato fondamentale l’impiego di strumentazione portatile e maneggevole, trasportata grazie all’ausilio di un montacarichi. Per l’analisi dell’ambiente, il monitoraggio microclimatico è stato effettuato per la durata di una anno, impiegando sonde termoigrometriche datalogger HOBO PRO, secondo la metodologia di misura adottata dal Laboratorio di Fisica del CRPR. Gli studi dei materiali pittorici, invece, sono stati effettuati eseguendo analisi non distruttive quali: indagini spettrofotometriche, impiegando uno spettrofotometro CM 2600d Minolta, spazio del colore adottato CIELAB 1976 ΔE; l’imaging diagnostico, mediante Camera Digitale Multispettrale Artist Art Innovation con sistema di posizionamento manuale CPS100 ; la spettrometria in fluorescenza a raggi X (ED-XRF), con impiego del sistema di fluorescenza X portatile LITHOS 3000 Assing. Per quanto riguarda le indagini spettrofotometriche sono state individuate sei aree campione per un totale di quarantasei punti rappresentativi delle seguenti cromie: rossi, gialli, azzurri, verdi, oro, incarnati. Sono state pertanto effettuate le mappature colorimetriche dello stato attuale per il controllo delle superfici durante e dopo l’interven- S 10 Sezione del soffitto ligneo Nella pagina accanto: il particolare del sole bianco in sequenza di immagine RGB, UVFLU, IR1 e FCIR1 to di restauro, acquisendo le coordinate cromatiche e le curve di riflettanza spettrale dei punti campione opportunamente scelti. In relazione allo studio della tecnica pittorica e la preliminare caratterizzazione dei materiali sono state indagate quattordici aree campione attraverso fluorescenza ultravioletta, riflettografia infrarossa (IR1, 750 nm – 950 nm; IR2, 950 nm – 1150 nm), infrarosso in falso colore (FCIR1; FCIR2) e sono stati analizzati sette punti campione tramite fluorescenza a raggi X. I risultati delle di indagine in argomento sono serviti per programmare e mirare i successivi prelievi (infatti in una seconda fase sono stati prelevati nove campioni) da sottoporre ad analisi con tecniche spettroscopiche (UV/Vis, FT-IR) e microscopiche (OM e SEM) da effettuare in collaborazione con il CNR-ICVBC di Firenze, allo scopo di caratterizzare lo strato di preparazione del legante, i pigmenti non identificabili mediante analisi non distruttiva, il protettivo degradato e, infine, ottenere una conferma dei dati sinora ottenuti. Dai risultati del monitoraggio microclimatico si evince che all’interno dell’ambiente venutosi a creare fra la volta in muratura e il soffitto ligneo, le condizioni termoigrometriche rispondono in maniera diretta alle sollecitazioni provenienti dall’esterno, presentando andamenti similari. Tali condizioni non sono idonee per la corretta conservazione delle superfici lignee dipinte, non rientrando queste R RICERCA nei valori di riferimento indicati dalla normativa (UNI, 1999, D.M. 10 maggio 2001), soprattutto per le rilevanti escursioni termoigrometriche giornaliere e stagionali, in particolar modo quelle di umidità relativa che denotano una situazione di continuo stress termoigrometrico per le superfici dipinte. Su tutte le quattordici aree campione, la tecnica di fluorescenza ultravioletta ha risposto con una forte fluorescenza gialla che suggerisce la presenza di un protettivo di natura organica, verosimilmente applicato durante l’ultimo restauro. La spettrofotometria FT-IR, effettuata su un campione prelevato contestualmente allo svolgimento delle indagini non invasive, ha confermato la presenza di una resina organica sintetica. I risultati delle indagini non distruttive, effettuate su alcune porzioni prive della pellicola pittorica, suggeriscono uno strato di preparazione a gesso. Da una prima osservazione, si ipotizza che le tempere impiegate siano, in alcuni casi, molto magre: la presenza di poco legante e il ridotto spessore della preparazione potrebbero aver causato una maggiore penetrazione del protettivo, generando sollevamenti e cadute di colore differenziate. L’imaging multispettrale e la spettrometria XRF hanno consentito di restringere la tavolozza cromatica individuando i seguenti pigmenti: 1. biacca, per gli incarnati e alcune stesure bianche; 2. gesso, per le stesure bianche realizzate a risparmio; 3. azzurrite, per alcuni sfondi e il cielo stellato lungo la carena; 4. indaco e/o lapislazzuli, per alcune stesure blu ed i contorni di alcune figure; 5. nero carbone, per i contorni di alcune figure e motivi decorativi; 6. oro (probabilmente non puro), riscontrato solo nelle stelle del cielo lungo la carena; 7. cinabro, per le stesure rosse e gli incarnati (in miscela con la biacca). Per quanto riguarda i pigmenti blu, è stato osservato come la pellicola protettiva, ormai ingiallita, ne abbia alterato alcuni, generando un diffuso viraggio al verde. È possibile ipotizzare, dall’analisi a campione delle cromie presenti lungo tutta la superficie dipinta, l’impiego dei medesimi pigmenti. Si precisa, infatti, che, nel caso dei blu (ad eccezione delle stesure ad azzurrite), né l’imaging multispettrale né l’analisi in fluorescenza a raggi X hanno consentito di differenziare con certezza il lapislazzuli dall’indaco, in quanto le risposte multispettrali ottenute possono essere compatibili con quelle di entrambi i pigmenti mentre lo spettrometro XRF LITHOS 3000, con il quale sono state effettuate le analisi, non è stato in grado di individuare gli elementi costitutivi dell’uno e dell’altro pigmento. Pertanto, per la caratterizzazione certa di tali pigmenti blu è stato risolutivo l’apporto del CNR-ICVBC che con indagini di approfondimento ha rilevato la presenza di indaco, tramite analisi spettroscopiche e microscopiche. Per le stesure rosse è probabile supporre l’impiego di altri pigmenti, compatibili con la tavolozza pittorica nicosiana, quale il minio di cui non si è potuto accertare la presenza tramite le indagini non distruttive finora condotte. Le riprese in riflettografia infrarossa hanno permesso di ottenere, nel caso di alcuni particolari, una migliore lettura iconografica di quei soggetti maggiormente degradati e, dunque, non apprezzabili ad un esame nel visibile. Dall’osservazione dei dipinti, dalla continuità delle pennellate, dalla presenza di stuccature e preparazione tra le travi, è verosimile che la realizzazione sia avvenuta in situ, ipotesi convalidata dal ridotto spessore della preparazione (osservabile in più punti) e dalla successione delle diverse stesure pittoriche, come hanno evidenziato le riflettografie in infrarosso eseguite. Successivamente la campagna diagnostica prevedrà il completamento del monitoraggio: microclimatico, per caratterizzare le condizioni ambientali in cui l’opera si è trovata fino ad oggi ed individuare i parametri più idonei alla sua conservazione; colorimetrico, per determinare la variazione cromatica dei pigmenti durante le fasi di pulitura e verificare il ritorno a quelle che dovevano essere le cromie originali, alterate ormai dall’ingiallimento della pellicola protettiva; la fluorescenza UV, verrà impiegata per verificare l’effettiva rimozione della pellicola protettiva dallo strato pittorico ormai degradata. Infine, i risultati delle analisi sui nove campioni prelevati, saranno fondamentali per confermare la natura della preparazione e determinare quella del legante pittorico, al fine di definire i metodi di rimozione della pellicola protettiva alterata e i materiali per l’integrazione pittorica, per confermare la preliminare caratterizzazione dei pigmenti individuati e determinare la natura di quelli che non è stato possibile identificare tramite le indagini non distruttive in situ. 11 R RICERCA CINQUECENTINA AGOSTINIANA De Ebrietate vitanda: la rara edizione della Biblioteca dell'Archivio di Stato di Palermo Rita Di Natale a Biblioteca dell’Archivio di Stato di Palermo, situata nella sede storica, l’ex Convento dei Padri dell’Ordine dei Teatini, possiede un notevole e prezioso fondo antico, il cui studio è stato oggetto di un programma di ricerca del Centro Restauro finalizzato alla conservazione, valorizzazione e fruizione del patrimonio librario del XVI e del XVII secolo. Tra le edizioni rare del Cinquecento, particolare attenzione è stata rivolta ad una pubblicazione tedesca, il De Ebrietate vitanda di S. Agostino, stampata a Dillingen, in Baviera, nel 1560 dal tipografo Sebald Mayer, attivo in quella città negli anni 1550-1576. Si deve allo studioso Otto Bucher una ricerca approfondita sulla stampa a Dillingen nel XVI secolo e sul suo primo tipografo, Sebald Mayer, la cui intensa produzione tipografico-editoriale rientra principalmente nell’ambito della stampa controriformistica, con una preponderanza di opere teologiche e liturgiche. Tra le 467 edizioni del Mayer, presenti nel repertorio del Bucher, il De Ebrietate vitanda risulta stampato ben cinque volte, tre volte in latino e due volte in tedesco, in un arco cronologico che va dal 1556 al 1559, ma dell’edizione del 1560, posseduta dall’Archivio di Stato, non vi è alcuna notizia. Ulteriori ricerche bibliografiche hanno confermato la rarità dell’edizione latina del 1560, che non risulta descritta in alcun repertorio specialistico fino ad oggi consultato. Pertanto, al fine di stabilire l’esatta categorizzazione dell’edizione del 1560, è stato necessario collazionare l’opera con una copia dell’edizione del 1559, posseduta dalla Biblioteca Vallicelliana di Roma, la cui descrizione fisica, così come riportata dai repertori, sembrava coincidere con l’edizione del 1560. Dal confronto interamente effettuato tra i due esemplari si è potuto così constatare che, pur essendo identiche nei due volumi la paginazione, la segnatura e l’impronta, l’edizione del 1560 presentava notevoli varianti rispetto all’esemplare del 1559 e, precisamente, nella forma delle abbreviazioni, nella punteggiatura, nell’uso delle maiuscole e delle minuscole, nella misura dei caratteri utilizzati per i numeri, nei riferimenti biblici posti ai lati del testo ed, inoltre, nella composizione tipografica di alcune righe all’interno di una L 12 stessa pagina. Vista, quindi, la sostanziale ricomposizione delle forme tipografiche nella maggior parte delle pagine del testo è sembrato lecito considerare il De Ebrietate vitanda del 1560 una nuova edizione del Mayer e non uno stato dell’edizione del 1559, ossia una copia leggermente differente a causa di varianti intervenute durante la tiratura dell’opera. In realtà, non sempre è facile distinguere tra varianti intervenute durante la tiratura ed altre dovute ad una nuova ricomposizione tipografica, condizione ritenuta fondamentale dagli studiosi del libro antico per l’identificazione di una nuova edizione, anche perché era abitudine degli antichi tipografi proporre nuove edizioni ricopiando molto fedelmente modelli precedenti. Nel caso specifico del De Ebrietate vitanda, trattandosi di un’opera di S. Agostino, le ripetute e ravvicinate riedizioni trovano ampia giustificazione nel fatto che Sebald Mayer svolgeva la sua attività negli anni della Controriforma ed a servizio di un cardinale della Chiesa Cattolica, Otto Truchseß von Waldburg, il quale, in applicazione dei decreti tridentini (1545-1563), si adoperava, con assoluto rigore, a diffondere i principi dell’ortodossia cattolica aboliti dai protestanti, quali, innanzitutto, l’autorità della Bibbia e della tradizione patristica. Agostino, il più ricco e originale dei Padri della Chiesa, con le sue considerazioni sul rapporto fra destino, grazia divina, peccato originale e libero arbitrio, rappresentava un fondamentale sostegno all’edificazione di un sistema ideologico da contrapporre all’azione riformatrice di Lutero ed, in particolare, la pubblicazione dei suoi Sermoni, scritti con chiarezza di esposizione, ricchi di sentenze moraleggianti tratte dalla Bibbia e di precetti di comportamento morale, veniva notevolmente incentivata dalle autorità eccle- R RICERCA il tipografo di Dillingen Sebald Mayer stampatore controriformista nella patria di Lutero Gabriella Cannata el corso dei lavori di catalogazione dei volumi del N Cinquecento e del Seicento posseduti dall’ Archivio di Stato di Palermo, si è consultato presso la Biblio- siastiche, proiettate al rilancio di edizioni emendate dei Padri della Chiesa tendenziosamente corrotte dai protestanti. Anche il piccolo formato, in 12°, e la breve consistenza, soltanto 56 carte, sembrerebbero rispondere all’esigenza di un librettino di facile lettura da proporre ai fedeli quale strumento utile per la loro educazione morale e spirituale. Dal punto di vista tipografico, il De Ebrietate vitanda, oltre alla nitida impressione dei caratteri di stampa, presenta semplici ed eleganti iniziali xilografiche, ornate da motivi vegetali. Interessante anche la legatura originale, realizzata in pergamena rigida su assicelle in legno, con il titolo manoscritto sul dorso e la cucitura in filo di lino su due nervi singoli in canapa. La pergamena, utilizzata per il rivestimento dei piatti, è di riuso, come si evince dai resti di una scritta in inchiostro rosso che traspare sul piatto anteriore. Questo tipo di legatura, poco pregevole sotto il profilo artistico, ma interessante dal punto di vista bibliologico e storico, è stata adoperata, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, come legatura corrente per il rivestimento di volumi, prevalentemente di formato in folio, in quarto ed in ottavo. teca Centrale della Regione Siciliana un repertorio bibliografico riguardante le edizioni stampate in Germania nel XVI secolo. Il libro in questione, dello studioso tedesco Otto Bucher, intitolato Bibliographie der Deutschen Drucke des XVI. Jahrhunderts, 1: Dillingen, contiene una “preziosa” premessa sull’attività tipografica in Germania e, in particolare, nella cittadina tedesca di Dillingen, dove fu attivo il tipografo Sebald Mayer, delle cui opere, stampate negli anni dal 1550 al 1576, viene anche inserito un catalogo. La lettura dettagliata di tale testo si è rivelata fin dall’inizio particolarmente interessante per le molteplici informazioni contenute sia sull’attività tipografica dell’epoca e sui legami socio-culturali cui era connessa che sulla tipologia delle opere pubblicate nel corso del ‘600 in Germania, anch’essa strettamente correlata al clima storico e culturale del periodo. Si è ritenuto, pertanto, opportuno tradurre il testo dalla lingua tedesca e riportarlo in calce al catalogo prodotto al termine dello studio sulle cinquecentine e seicentine dell’Archivio di Stato di Palermo, attualmente in corso di stampa. L’attività di Sebald Mayer appare caratterizzata da periodi di notevoli stenti finanziari, il che sembra essere in contraddizione con la fiorente produzione del tipografo. Ma, in quel periodo, l’attività di stampa non era così redditizia da consentire a chi vi si dedicava di abbandonare del tutto un’attività secondaria che potesse garantire una certa continuità alla produzione tipografica. E’ questo il motivo per il quale Sebald Mayer fu costretto a non trascurare mai l’occupazione parallela come produttore e venditore di idromele, in quanto fonte principale di sostentamento nei momenti di crisi economica nel corso della sua carriera di tipografo, sia ad Ingolstadt prima che a Dillingen poi. La traduzione del testo, oggetto di studio, ha consentito, inoltre, di individuare e sottolineare alcuni momenti significativi della sua carriera e i suoi legami con noti personaggi dell’epoca e, soprattutto, con alti rappresentanti del clero, che condizionarono profondamente le scelte da lui operate nell’ambito della sua attività. Gli estratti di lettere e di atti ufficiali e i documenti, i cui originali sono conservati oggi presso l’Archivio Centrale di Stato di Monaco, riguardanti la vendita o la cessione della tipografia e l’acquisto di materiali 13 R RICERCA occorrenti per lo svolgimento dell’attività, testimoniano, infatti, lo stretto connubio che si venne a creare fin dall’inizio tra il tipografo tedesco e il cardinale di Augusta, Otto Truchseß von Waldburg, che conferì allo stesso l’incarico di tipografo della città di Dillingen nel 1549, anno in cui lo stesso cardinale fonda con l’aiuto del gesuita Pietro Canisio, vescovo di Vienna, l’Università di Dillingen. A quest’ultima e alla tipografia venivano affidati gli stessi compiti e cioè diffondere gli ideali cattolici nella sfera intellettuale e incentivare la produzione libraria cattolica, in un periodo, lo ricordiamo, in cui gli alti rappresentanti del clero erano profondamente impegnati a svolgere in Germania un’intensa attività controriformistica. Pertanto, l’avvio dell’attività di stampa a Dillingen è senza dubbio legato, così come avviene in tanti altri centri spirituali cattolici della Germania, come Colonia e Ingolstadt, alla funzione controriformatrice demandata alla stampa cattolica per contrastare il predominio della letteratura protestante e per esercitare un maggiore controllo sull’attività di stampa in generale. Tale esigenza veniva avvertita, in modo particolare, proprio nel Paese che era stato la culla della Riforma protestante operata da Martin Lutero e dai suoi seguaci. Non si può comprendere a pieno l’evoluzione che ebbe la storia della tipografia in Germania nel XVI secolo se non si tiene conto di questa importante considerazione. Fu proprio la fedeltà del tipografo agli ideali e principi del cattolicesimo ad assicurare continuità alla sua attività, garantendogli, al contempo, gli aiuti economici e il supporto necessario. Lo stesso cardinale Otto von Waldburg si adoperò, infatti, per fare ottenere a Sebald Mayer il privilegio imperiale con cui stampare i volumi. Si tratta della dicitura Mit Röm. Kay. May. Freiheit (“con il permesso di sua Maestà l’Imperatore Romano”), con cui il tipografo faceva uscire le sue edizioni. All’epoca, tale privilegio era fondamentale, in quanto rappresentava il consenso con cui l’opera veniva pubblicata, ed era garanzia della sua libera circolazione e diffusione. Particolarmente interessanti, ai fini della reale consistenza dell’officina tipografica di Sebald Mayer e quindi del cospicuo volume della sua produzione libraria, sono gli elenchi contenenti in dettaglio i materiali appartenenti alla tipografia e il loro valore. Tali elenchi, redatti in occasione dei vari passaggi di vendita e cessione della tipografia, costituiscono, inoltre, una preziosa testimonianza della varietà delle attrezzature e dei caratteri utilizzati all’epoca. Nel complesso, si tratta di un patrimonio considerevole, che include in dettaglio matrici, forme, torchi e molteplici serie di caratteri, fra i quali il Canon tedesco o Text, il Fraktur, gli Schwabacher. 14 Con rigore scientifico Otto Bucher ha svolto indagini approfondite per accertare il numero esatto delle edizioni stampate dal tipografo tedesco dal 1550, anno in cui ha inizio la sua attività a Dillingen, al 1576, anno in cui la tipografia passa al figlio Johann, che lo aveva affiancato costantemente nello svolgimento del suo lavoro. A tale scopo ha preso in considerazione i dati contenuti nei cataloghi delle più antiche e storiche biblioteche della Germania, nonché di quelle austriache e svizzere, passando al vaglio le più importanti bibliografie generali antiche, quelle teologiche specialistiche e le monografie bibliografiche più note e pervenendo, in ultimo, alla stesura di un elenco completo delle opere riscontrate, che, pur non avendo la pretesa di essere esaustivo, si è rivelato, comunque, molto attendibile. Volendo, poi, individuare la tipologia delle numerose opere stampate a Dillingen, non si può ancora una volta prescindere dalle considerazioni sopra citate riguardo al momento storico della loro emissione. Nel complesso, il loro indirizzo è, infatti, prevalentemente teologico. I volumi che entrano nell’officina di Mayer coprono tutti i rami di questa disciplina: la catechesi, l’esegesi, l’omiletica, la storia della Chiesa, il diritto canonico e la letteratura missionaria. Oltre che di opere compilate da figure religiose del periodo, molte appartenenti all’Ordine dei Gesuiti e dei Domenicani, la tipografia si occupò anche della stampa di scritti prodotti nell’Università di Dillingen, anch’essi di materia religiosa. Le scelte tipografiche di Sebald Mayer, comunque, sebbene profondamente condizionate dai rapporti che lo legavano alla Chiesa cattolica e ad alcuni suoi autorevoli rappresentanti, appaiono aperte anche a nuovi contenuti e generi letterari che all’epoca divengono oggetto di interesse da parte di un sempre crescente numero di lettori. Accanto alle opere di carattere teologico, lo studioso tedesco ne annovera un numero, di certo inferiore, di carattere storico, giuridico e di medicina. Insieme alle edizioni classiche epurate, le elegie, i carmina e i calendari universitari, si dedicò anche alla stampa di alcuni “nuovi spaventosi giornali, compilati in modo originale” e di diversi calendari astrologici, due generi che andavano diffondendosi nel corso della seconda metà del secolo XVI, periodo in cui la stampa diviene sempre più veicolo di circolazione di nuove idee e informazioni. Come si evince da queste considerazioni, molte sono le notizie che ci pervengono attraverso il testo tradotto ed esaminato che rappresenta, quindi, senza dubbio alcuno, un importante tassello per la conoscenza della storia della tipografia in Germania. R RICERCA AGRUMI della CONCA D’ORO memoria del paesaggio panormita Francesca Terranova Dall’Hortus Catholicus DEL CUPANI Arance Malus aurantia sylvestris (Aranci di sprimiri agri assai), Malus aurantia maior (Aranciu di sprimiri ordinariu), Malus Aurantia fructu stellato (Aranciu à modi di stiddiceddu, cioè cù lu mussu à modu di viddicu), Malu Aurantium stellato cortice (Aranciu cù la scorcia strozzata), Malum Aurantia striatu (Aranci à vrachi di tudiscu), Malus Aurantia praegnans (aranciu, ‘ntra aranciu), Malus Aurantia fructu corniculato (Aranciu curnutu), Malus Aurantia fructu calioso (Aranciu, cù la scorcia, cù menzu curduni grossu di supra), Malus Aurantia fructu medio/dulci medulla, fine spiculis pene (aranciu senza spicchi, chi livata la scorcia di fora, si mangia comu lumiuni, Malum Aurantium nucis magnitudine (arancia picciriddu, cornetti, cornetti, à modu di stidda), Malus Aurantia fructu arillis privo(aranciu senza ariddi), Malus aurantia fructu minori(aranciu mizzanu à forma di lumiuneddu), Malus aurantia fructu cortice dulci (aranciu di portugallu), Malus Aurantiia fructu (Aranciu cu lu citru d’intra), Malus Aurantia hermaphrodita, fructu medio citrio (aranciu menzu citru e menzu aranciu. Cedri Malus Citria fructu mediocri (Citru), Malus Citria fructu magno (Citru grossu, bozzi, bozzi, ò purretti, purretti), Malum Citrium monstrabile (Citru di maravigghia), Malum Citrium Florentinum (citru di Fiorenza), Malum Citrium mediocre, meditullio dulcis (Citri duci puntutu). Limoni Malus Limonia acida (Lumiuni Napolitanu), Malus Limonia Panormitana (Lumiuni di la sciorta di Palermo), Malus Limonia maior (Lumiuni cù l’agru duci, ò Lumiuni duci d’intra), Malus Limonia fructu minori (Lumiuni lungaruteddu minur), Malus Limonia, Lumia valentina (Lumiuni valentianu), Malus Limonia triplice specie fructum (Piede di lumiuni, chi fà frutti tuttiu l’annu, nello stissu ramu, di tre sorti, napolitanu muddisi, di la sciorta di Palermo chiù gustusu, e valenzianu), Malus Limonia pusilla calabra (luminicella di tagghiari), Malus limonia, fructu pyriformi (piretti maggiuri grossi), Malus limonia fructu pyriforme strigato (piretti à vrachi di tudiscu minori e ordinari), Malus adami (Sollima), Malus limonia minor dulcis (lumincelli duci), Malus limonia minor acida (lumia napulitana), Malus limonia citrata (lumiuni citratu o cu spicchi di citru), Malus limonia uberrima (lumiuni à minnedda, e à rappa senz’agru). Città antica ed elegante, splendida e graziosa, ti sorge innanzi con sembianza tentatrice: superbisce tra le sue piazze e le sue pianure, che son tutte un giardino. Ibn Ǧubayr Il Palazzo della Favara di re Ruggero, “poichè a così grande uomo in nessun tempo mancassero le delizie della terra e delle acque” (Romualdo Guarna Salernitano, Chronicon, XII sec.), era circondato da un lago “adornato di reali barchette ...nelle quali il re con le sue mogli spesso si dimena a sollazzo” (Beniamino da Tudela, 1172). Su un’isola, al centro del lago, crescevano alberi di straordinaria bellezza, decantati in una appassionata khasida dal poeta arabo Abd-ar-Rahman: gli aranci superbi dell’isoletta sembran fuoco ardente su rami di smeraldo il limone pare avere il pallore d’un amante che ha passato la notte dolendosi per l’angoscia della lontananza Questi versi sono la prima testimonianza della presenza nel palermitano degli alberi di agrumi, apprezzati nei giardini paradiso della Sicilia islamica e normanna poichè compiacevano la vista e l’olfatto portando nello stesso tempo foglie, frutti maturi, frutti acerbi e fiori. Nell’Epistola ad Petrum Panormitanae ecclesiae thesaurarium (XII sec.), attribuita al c.d. Ugo Falcando, si legge “Chi potrebbe degnamente lodare la bellezza della 15 R RICERCA singolare pianura che si adagia per quasi quattro miglia tra le mure della città e i monti? O generosa pianura, degna di essere esaltata in ogni tempo, che racchiude nel suo grembo ogni specie di alberi e di frutta, che da sola offre tutte le delizie presenti in ogni luogo ... Se volgerai quindi lo sguardo agli svariati esemplari di alberi vedrai ... i cedri formati da una distinta, triplice diversità della loro sostanza poichè la buccia esterna dà sensazione di calore per l’insieme di colori e odori; quel che è all’interno col succo acidulo suggerisce, al contrario, impressione di freddo; la parte mediana fra entrambe si mostra invece la più temperata. Potrai colà vedere le lumie adatte per la loro agrezza a dare sapore alle pietanze, e le arance, dense all’interno di succo non meno aspro, le quali deliziano la vista con la loro bellezza più di quanto non sembrino utili ad altro”. Le arance di Ugo Falcando sono le arance amare, quelle dolci arriveranno in Sicilia più tardi. La prima citazione, del 1487, è relativa alle arangis dulcibus coltivate nel giardino di Federico de Abbatellis alla Guadagna. Tale data anticipa di circa cinquanta anni quella tradizionalmente ammessa, considerata conseguente ai viaggi d’esplorazione e al compimento dell’avventura di Vasco da Gama che, circumnavigata l’Africa, raggiunge l’India e conosce il nuovo frutto. L’arancia dolce, diffusa in Europa dai portoghesi, giunta in Sicilia, prenderà il nome, ancora in uso, di arancia portogallo. Nel 1526 il domenicano Leandro Alberti visita Palermo e ne resta incantato a tal punto che nella sua Descrittione si legge “Ha Palermo il paese fertile, et dilettevole, et è copioso di belli e vaghi giardini, pieni con molto ordine di cedri, limoni, naranzi, et altri frutti gentili....”. Sono i giardini mediterranei, derivati dal giardino dell’eden di ispirazione coranica, lussureggianti grazie all’introduzione degli agrumi dovuta agli arabi. Separati dal territorio circostante e chiusi tra muri in pietra, conservano ancora una dimensione intima e privata. Solo quando, nel XVIII secolo, la produzione sarà sostenuta dalla richiesta dei mercati dell’Europa del nord, gli agrumi lasceranno i giardini urbani e periurbani per dar vita al grande agrumeto. L’Abate Sestini si stupirà notando in quale quantità velieri provenienti “all’Olanda, Inghilterra, Danimarca e Moscovia” facciano scalo in Sicilia per imbarcare agrumi e nella lettera settima del 1776 Sopra il prodotto degli Agrumi in Sicilia scriverà “Le specie poi dei medesimi sono tante, e così varie, che per la loro molteplicità difficil cosa si è il poterle descrivere; sebbene una quasi distinta descrizione l’abbiamo già dal celebre Cupani nel suo Hortus Catholicus, descrivendo in prima tutte le specie di Agrumi dette Arance annoverandone 21 specie diverse; indi quelli detti Cedri, che cinque ne nota, dopo di che venti di limoni ne conta”. In effetti Francesco Cupani, illustre botanico siciliano, nel 1696 aveva pubblicato l’Hortus Catholicus, una descrizione accurata della collezione di piante dell’orto di Misilmeri, annotando accanto al nome scientifico anche il populari vocabulo. 16 LE PERMANENZE AGRUMICOLE I giardini delle dimore storiche a cura di Dip. Senfimizo/Lab.Bioarcheologia Cosa è rimasto delle tante e così varie specie descritte in Sicilia nel XVII e XVIII secolo da Francesco Cupani e dall’abate Sestini? Entità agrumicole della Conca d’oro, in passato utilizzate con successo nella pratica agricola, hanno perduto interesse e sono state superate da nuove accessioni più fertili, produttive e di migliore qualità merceologica. Dentro questo spaccato paesaggistico il Laboratorio di indagini bioarcheologiche del CRPR e il Dipartimento SENFIMIZO della Facoltà di Agraria hanno condotto una ricerca finalizzata all’individuazione, identificazione e conoscenza di particolari cultivar del genere Citrus, presenti in passato nella Conca d’Oro di Palermo e oggi pressoché scomparse. Lo studio inizialmente è stato svolto in aree agrumetate o ex agrumetate del comprensorio palermitano, quali Tom- LIMONE CEDRATO CARATTERI ESTERNI DEL FRUTTO • Colore della buccia: giallo; • Superficie: papillata e grinzosa • Dimensioni: Peso medio: 179,27 g; Diametro trasversale: 59,12 mm; Diametro longitudinale: 99,85 mm; Rapporto DT/DL: 0,59 mm. • Base: fortemente prominente; • Calice: grande • Peduncolo: spessore grosso; lunghezza media; • Umbone: presente, appuntito; • Attacco al peduncolo: forte; CARATTERI INTERNI DEL FRUTTO • Buccia (flavedo e albedo): molto spessa; • Logge: n° medio 7,85; n° medio abortite 1,0; • Polpa: colore giallo uniforme • Quantità di succo: scarsa (18%) • Acidità: bassa • Semi: poco presenti; n° medio semi vitali: 1,42 n° medio semi abortiti: 0,71; CARATTERISTICHE PRODUTTIVE • Distribuzione dei frutti: singoli; • Epoca di maturazione: medio-tardiva; CARATTERI DELLA PIANTA • Vigore: medio; • Chioma: rotondeggiante; • Spine: assenti; • Foglie: Forma: lanceolata Apice: arrotondato; • Colore: verde scuro, • Picciolo fogliare: medio, alette assenti. R RICERCA maso Natale, Santa Maria di Gesù, Villagrazia, San Lorenzo Colli, Cruillas e nel territorio di Bagheria e Misilmeri. Successivamente sono stati indagati i giardini, o quel che di essi è rimasto, di pertinenza di un centinaio di dimore storiche palermitane. Si è così potuto verificare che solo alcuni di questi conservano oggi alberi di agrumi. Sono i giardini di pertinenza delle ville: Airoldi, Arcuri, Augusta Gentili, Bonocore Maletto, Castelnuovo, Napoli, Napolitani, Natoli, Partanna, Pensabene, San Marco, Savona, Spina, Villa Tasca, Villa Trabia - Campofiorito, Villa Scalea. Medesima indagine è stata svolta nel giardino dell’Oratorio dell’Immacolata, nei chiostri del convento di Baida e di San Domenico e nei parchi storici della Favorita e d’Orleans. Perlustrazioni attente, svolte durante i primi mesi invernali, quando i frutti sono all’albero, hanno portato all’individuazione di diversi esemplari di Citrus, alcuni dei quali oggi a rischio di scomparsa. Su circa 80 di tali alberi è stata effettuata un’analisi tassonomica identificativa, inserendo i dati in una scheda (vedi sotto) dove sono stati riportati i caratteri distintivi salienti come abito della pianta, aspetti morfo-biologici e carpologici, qualità del frutto. Sono state così analizzate 9 entità di Citrus aurantium (arancio amaro), 32 entità di Citrus sinensis rappresenta- te da antiche cultivar di arancio Ovale calabrese, arancio Ovaletto sanguigno, arancio Portogallo, arancio Tarocco, arancio Vaniglia e arancio Vaniglia pigmentato, 16 entità di Citrus lemon rappresentate da antiche cultivar di Limone dolce, limone Lunario e limone Monachello, 14 entità di Citrus limonimedica (limone cedrato), 7 entità della cultivar Avana del Citrus reticulata (mandarino) e 9 entità di Citrus aurantifolia (lumia o limetta mediterranea). Nella tabella sotto si riportano le specie analizzate e giardini storici di provenienza. Campioni di materiale fogliare di alcuni di questi agrumi sono stati forniti al Dipartimento di Biologia Cellulare e dello Sviluppo dell’Università di Palermo, che ha usato strumenti investigativi biotecnologici moderni. I DNA estratti dalle foglie delle diverse piante sono stati amplificati in presenza di primers diversi con lo scopo di individuare quello in grado di meglio evidenziare le differenze interspecifiche e intraspecifiche. La caratterizzazione e l’analisi della variabilità genetica degli antichi agrumi autoctoni di Sicilia sono presupposti utili ad interventi volti alla conservazione di queste preziose risorse genetiche che, se perse, non potranno più essere recuperate. Il danno biologico di tale perdita si sommerebbe tristemente all’irrimediabile danno paesaggistico già inflitto alla Conca d’Oro di Palermo. Tabella delle specie analizzate e dei Giardini storici di provenienza Villa Castelnuovo, Villa Napoletani, Villa San Marco, Chiostro Sano Domenico, Oratorio dell’Immacolata Citrus aurantium L. arancio amaro Citrus sinensis (L.) Osbeck arancio dolce Citrus limon (L.) Burn. Limone Arancio Ovale Villa Castelnuovo Arancio Ovaletto sanguigno Villa Castelnuovo Arancio Ovaletto Portogallo Villa Castelnuovo, Villa Augusta Gentile, Villa Pensabene, Villa San Marco, Villa Trabia Campofiorito Arancio Tarocco Villa Castelnuovo, Villa Partanna, Villa Tasca Arancio Vaniglia Villa Airoldi, Villa Arcuri, Villa Augusta Gentile, Villa Castelnuovo, Villa Napoli, Villa Spina, Villa Tasca, Parco della Favorita Arancio Vaniglia pigmentato Villa Castelnuovo, Villa Napoli Limone dolce Villa Pensabene, Villa Tasca, Parco d’Orleans, Parco della Favorita Limone Lunario Villa Arcuri, Villa Natoli, Villa Spina Limone Monachello Parco d’Orleans Chiostro Convento di Baida, Villa Arcuri, Villla Augusta Gentili, Villa Castelnuovo, Villa Napoletani, Villa San Marco, Villa Savona, Villa Tasca Citrus limonimedica Lush Limone cedrato Citrus aurantifolia (Christm.) Swingle Citrus reticulata Blanco Mandarino Limetta mediterranea Villa Airoldi, Villa Arcuri, Villa Augusta Gentile, Villa Napolitani, Villa San Marco, Villa Spina Mandarino Avana Villa Napoli Gruppo di ricerca - CRPR - Francesca Terranova, Valeria Michelucci Dip. SENFIMIZO-Facoltà di Agraria, Palermo - Francesco Calabrese, Francesca Barone, Antonio Pensabene Bellavia 17 NEWS 20 OTTOBRE 2008 SIGLATO IL PROTOCOLLO-CAIRO. UNA COOPERAZIONE SICULO-EGIZIA PER IL RECUPERO DEL CENTRO ANTICO Richiamando i legami storici che intercorrono tra la Sicilia e la città del Cairo, sottintendendo specificamente quell’intreccio intessuto sin dai tempi in cui la dinastia fatimita aveva governato sia l’attuale megalopoli egiziana sia la grande isola mediterranea, divenuta provincia egiziana dopo che i fatimidi avevano soppiantato agli inizi del X Sec. la dominazione aglabita in Sicilia, è stato stipulato tra il Governatorato del Cairo e la Regione Siciliana un Protocollo d’intesa per la realizzazione di una offerta di collaborazione per il recupero del centro antico. All’interno di questa cornice assumerà un ruolo non indifferente la presenza del Centro Regionale Progettazione e Restauro. Già sede istituzionale dell’Associazione HERIMED, presieduta da Fati Saleh (direttore del CULTUNAT egiziano), il CRPR sarà chiamato ad un intervento di supporto all’attività tecnico-scientifica, sia nello sviluppo della formazione specialistica sia nella progettazione del restauro. La finalità su cui le parti si sono impegnate è volta allo scambio delle tecniche e delle conoscenze per la sperimentazione scientifica multisettoriale, con riferimento “al recupero e restauro, alla rigenerazione, alla ristabilizzazione e valorizzazione dei manufatti architettonici e dei sistemi urbani”. Si tratta di un approccio metodologico complessivo di carattere multidisciplinare, nel quale si ha riguardo anche “ai fattori di sostenibilità ambientale, economica, sociale, culturale ed istituzionale”, come coordinate di ricerca che sottostanno alla diffusione dei modelli di comportamento e all’applicazione negli interventi pilota da individuare: politiche e buone pratiche “da implementare nei tessuti e nei contesti urbani del centro storico del Cairo”, non a caso fra gli impegni solenni della cooperazione, voluti dai sottoscrittori del Protocollo, vi sono quelli di indagare le “realtà economiche, sociali e culturali che agiscono nel centro storico e più in generale nell’intero territorio di competenza del Governatorato del Cairo, con particolare riferimento allo 18 studio e previsione dei programmi di rigenerazione e valorizzazione sostenibile a fini turistici del patrimonio culturale materiale ed immateriale”. Questo paradigma sperimentale di recupero farà da riferimento nella definizione dei criteri e modalità organizzative per l’accreditamento degli operatori che saranno coinvolti nella guida e/o esecuzione dei programmi e progetti elaborati. Nell’immediato le aspettative protocollari sono indirizzate oltre alla progettazione del Restauro/Riabilitazione di un edificio di qualità storica, urbanistica ed architettonica- verso la costituzione del Center of Urban Heritage Management of Cairo e del Training Center for Restoration & Rehabiliation. Il primo dovrebbe essere attrezzato “per le funzioni di trading continuo” e la realizzazione di un archivio “delle aree sensibili e delle architetture” del patrimonio urbano-architettonico; il secondo dovrebbe essere un punto di riferimento per “operatori tecnici, architetti, ingegneri, specializzati in metodologie e tecniche di restauro e di rigenerazione socio-culturale” dell’intero patrimonio storico culturale. A. Casano (1) MINIERE STORICHE IN SICILIA: CONDIZIONI E PROSPETTIVE (2) SCHEDATURA DI CAVITÀ SOTTERRANEE IN CONTESTI STORICI E MONUMENTALI (1) Pensata in seno al progetto Carta Regionale dei Luoghi dell’identità e della Memoria, la ricerca sulle miniere storiche, curata dall’U.O. Gestione delle problematiche geologiche connesse alla conservazione del patrimonio monumentale e delle cavità ad uso antropico del CRPR, si propone di individuare i siti estrattivi dismessi della Sicilia in quanto importanti testimonianze di archeologia-industriale. Lo scopo è quello di definire la consistenza e le peculiarità del patrimonio minerario dell’Isola, mettendone in luce non solo l’interesse culturale e le potenzialità di riuso per nuove destinazioni, ma anche gli aspetti di criticità, derivanti dall’attuale stato di abbandono e dall’assenza di misure di salvaguardia e valorizzazione Obiettivi principali dello studio sono i seguenti: – procedere alla quantificazione, qualificazione e georeferenziazione dei siti ricadenti in tutto il territorio regionale; – elaborare un percorso metodologico che conduca alla salvaguardia, riqualificazione e ad una appropriata riconversione d’uso delle realtà più significative; – focalizzare le principali problematiche d’ordine tecnico e normativo per garantire la fruizione dei beni secondo scelte che, adatte ai casi specifici, arricchiscano l’offerta culturale dell’Isola (itinerari turistici, didattico-scientifici, siti museo, geoparchi, circuiti dedicati alla storia e alla incidenza dell’industria mineraria sulla trasformazione del paesaggio e del tessuto sociale); – individuare formule di gestione e valorizzazione sostenibili, modelli d’uso condivisibili da parte delle comunità locali, confrontabili con esperienze similari condotte in ambito nazionale ed internazionale. (2) Strettamente correlata alla elaborazione del progetto Carta del rischio del Patrimonio Culturale Siciliano è la schedatura delle cavità sotterranee. Lo scopo è quello di fornire importanti informazioni sul costruito non visibile, inteso quale spazio fortemente integrato alla storia dei luoghi e alle vicende costruttive degli impianti architettonici e monumentali soprastanti. Concentrata in primo luogo nel centro storico di Palermo, l’attività restituirà importanti informazioni sulla distribuzione e sullo stato di conservazione di un cospicuo patrimonio sommerso, inspiegabilmente poco valorizzato e, per diverse cause, esposto ad alto rischio di distruzione. Oltre che evidenziare la tipologia delle valenze da salvaguardare, saranno messi in luce gli aspetti di pericolosità geologica dovuti alla presenza di discontinuità nel substrato. Uno spazio specifico sarà dedicato alla definizione del contesto geologico ed idrogeologico in cui insistono i beni, alla descrizione dei degradi e dei dissesti strutturali gravanti sul patrimonio ipogeo, all’esame delle relazioni tra la stabilità del costruito e quella dei vuoti sottostanti. Ciò, nella consapevolezza del grande valore di un sottosuolo denso di storia e di cultura, ma anche nella consi- derazione dei rischi che da questo potrebbero derivare. D. Gueli LE CINQUECENTINE DELL’ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO: UN PROGETTO INTERDISCIPLINARE DI DIAGNOSTICA E CONSERVAZIONE. Con un protocollo d’intesa il CRPR e l’Archivio di Stato di Palermo hanno avviato una collaborazione scientifica finalizzata alla realizzazione di un intervento di restauro conservativo su alcuni libri a stampa del XVI secolo custoditi presso la Biblioteca dell’Archivio. La scelta di operare sul fondo antico è stata determinata dallo studio già effettuato da questo Istituto sul patrimonio librario del Cinquecento che, proveniente in gran parte dalla ex Biblioteca del Monastero di S. Martino delle Scale, mostrava in alcuni volumi una raffinata legatura in pergamena con impressioni a piccoli ferri in oro ed in nero, comunemente conosciuta come legatura martiniana. L’intervento del Centro riguarderà solo alcuni dei volumi individuati e sarà indirizzato all’applicazione di una specifica metodologia di restauro e alla definizione di una modalità conservativa più idonea. Nella fase preliminare all’intervento di restauro sono state avviate le analisi scientifiche per verificare lo stato di conservazione dei volumi e individuare la tipologia del degrado. Le indagini, dopo un’attenta osservazione visiva e una puntuale documentazione fotografica eseguita dal Gabinetto fotografico del CRPR, sono state svolte a campione su parti differenti dei volumi utilizzando varie tecniche non invasive alcune delle quali sono state applicate in situ utilizzando strumentazione portatile. I volumi sono stati sottoposti ad indagini multispettrali e colorimetriche, che hanno permesso di ottenere un’immagine rappresentativa degli strati non visibili all’occhio umano, una prima identificazione degli inchiostri e delle diverse forme di alterazioni, alla analisi degli elementi chimici mediante spettrometria XRF. Sono stati effettuati campionamenti mediante tamponi sterili e osservazioni al microscopio ottico per indagare i processi di alterazione di natura biologica e microbiologica. Inoltre sono in corso di svolgi- NEWS mento ulteriori approfondimenti analitici per la caratterizzazione del supporto cartaceo, sia con tecniche di Biologia Molecolare che con indagini al Microscopio a Scansione (SEM) con la collaborazione di Franco Palla del Laboratorio di Biologia Molecolare del Dipartimento di Scienze Botaniche dell’Università di Palermo. A seguito dell’elaborazione e del confronto delle informazioni così ottenute, si programmerà l’intervento più idoneo da effettuare. Tale intervento, che verrà realizzato dal Laboratorio di restauro manufatti di origine organica del CRPR, sarà finalizzato a rispettare le caratteristiche costitutive dei libri limitandosi alle sole parti danneggiate, mirando a salvare la maggior parte delle informazioni che da essi derivano, testimonianza del periodo storico in cui sono stati prodotti. Gli esiti dell’attività costituiranno un percorso metodologico cui riferirsi, da applicare ad altri lotti omogenei per tipologia o epoca al fine di conoscerne lo stato di conservazione, le tipologie di degrado e programmare gli interventi necessari, consentendo di intervenire secondo priorità. R. Di Natale – G.M .Spanò PROGETTO-IFTS. UN TECNICO SUPERIORE PER LA GESTIONE DEL TERRITORIO E DELL’AMBIENTE. STAGE CONCLUSIVO Nella qualità di quinto partner il Centro Regionale Progettazione e Restauro ha collaborato alla realizzazione del percorso formativo, previsto dal progetto Monitoraggio e sistemi di controllo intelligenti per la salvaguardia dei beni culturali ed ambientali, per la figura professionale di Tecnico Superiore per la Gestione del Territorio e dell’Ambiente. Gli altri partner coinvolti sono stati l’Università degli Studi di Palermo, l’ISASIstituto Scienze Amministrative e Sociali, la Cooperativa Sociale “Progetto Salute” e l’Istituto Statale d’Arte per il Mosaico “Mario D’Aleo” di Monreale che è stato l’ente gestore e attuatore. Nell’esecuzione del ProgettoIFTS (Istruzione e Formazione Tecnica Superiore) il Centro Restauro, a seguito di specifica convenzione, ha contribuito nella primavera scorsa coll’attività di stage per una durata complessiva di 360 ore, secondo un iter formativo articolato in due fasi: la prima, di carattere illustrativo, dedicata all’organizzazione e all’attività svolta dal Centro, dove sono stati presentati alcuni progetti sperimentali realizzati o in corso d’opera, in uno con gli strumenti editoriali offerti per la divulgazione e la diffusione degli studi e delle ricerche condotte dalla struttura; la seconda rivolta alla didattica con lezioni teoriche frontali e tecnico-pratiche svolte sia nei laboratori scientifici e di restauro che presso alcuni cantieri dove opera e/o aveva già operato l’Istituto. Guidati dai docenti responsabili dei singoli laboratori, i partecipanti al corso hanno avuto modo di conoscere, da un lato, le principali metodologie diagnostiche e le più avanzate tecniche di analisi per ricercare le cause di degrado, caratterizzare i materiali e studiare le probabili modifiche future, migliorare l’efficacia dei trattamenti di conservazione, dall’altro, alcune tecniche di restauro applicate su manufatti organici e inorganici: tessili, carta, lapidei, tele e tavole, reperti archeologici, mosaici. In sostanza l’obiettivo dell’iniziativa è stato quello di fornire ai corsisti una sintesi delle linee-guida inerenti alle problematiche della conservazione e del restauro, attraversando in lungo e in largo i percorsi di ricerca, dalla interpretazione storico-artistica alla analisi tecnico-costruttiva dei manufatti e dei materiali impiegati. Nel mese di maggio è stato effettuato un viaggio d’istruzione a Madrid e Toledo, secondo un itinerario di interscambio didattico, utile all’ arricchimento del bagaglio di conoscenze dei discenti. Particolare attenzione è stata riservata ai giorni dedicati alla visita dell’IPHEInstituto del Patrimonio Histórico Español del Ministero della Cultura, strutturato all’interno della Città Universitaria di Madrid -ente omologo a quello palermitano- che opera anche nel bacino del Mediterraneo applicando metodologie e linee di ricerca analoghe. L’Istituto madrileno infatti produce studi e ricerche in materia di diagnostica conservativa, in primo luogo del patrimonio culturale ispanico, fornendo anche consulenze scientifiche sia sui protocolli diagnostici che sulla scelta dei materiali per la conservazione, oltreché eseguire direttamente interventi di restauro particolarmente complessi. I Corsisti, assistiti da Maria Luisa Gomez , chimico dell’Istituto spagnolo e da chi scrive nella qualità di tutor aziendale, hanno visitato i laboratori scientifici dell’istituto: fisica, chimica, biodeterioramento, conservazione preventiva, dove sono state illustrate le più avanzate tecniche di analisi per studiare le cause di degrado, caratterizzare i materiali e studiare le probabili modifiche future, migliorare l’efficacia dei trattamenti di conservazione. Particolare attenzione è stata dedicata ai vari laboratori di restauro di manufatti organici e inorganici: tessili, carta, lapidei, tele e tavole, manufatti archeologici, mosaici, metalli. Lo stage ha fornito ai Corsisti occasione di conoscere il lavoro svolto all’interno del Centro con la conseguente apertura di nuove prospettive lavorative e una maggiore consapevolezza nell’indirizzare le scelte future, di conoscere i rapporti che intercorrono tra le istituzioni che operano nel settore. Ha altresì consentito l’apprendimento di saperi nel settore dei beni culturali, di confrontare metodi e linee di ricerca, dell’importanza della conservazione preventiva e di alcuni sistemi di controllo e monitoraggio, nonché del ruolo che i Beni Culturali svolgono nel consolidare il concetto di identità culturale della nostra civiltà. G. M. Spanò In totale sono stati mappati 11 siti (v.elenco), raccolti numerosi insetti e caratterizzate circa sei specie afferenti, principalmente, alla fam. Anobidae, ma anche Dermestidae e Curculionidae. (1) MAPPATURA DEL DEGRADO ENTOMOLOGICO DEI BENI NEL TERRITORIO MADONITA. MANUFATTI LIGNEI E CARTACEI (2) PRIMA SEGNALAZIONE DI GASTRALLUS PUBENS (COLEOPTERA, ANOBIDAE) IN SICILIA (2) Lo scorso ottobre al Laboratorio di Indagini Biologiche del CRPR sono pervenuti quattro volumi provenienti dal Fondo Antico della Biblioteca Regionale di Catania, di cui due risalenti al 1604 e due al 1787, per essere sottoposti ad indagini entomologiche al fine di accertare la presenza di eventuali infestazioni in atto o pregresse. L’analisi della fenomenologia dei danni presenti sui libri, congiuntamente all’esame microscopico dei campioni prelevati, ha consentito di rilevare un’infestazione monospecifica in atto, per la presenza di larve vive di un piccolo Coleottero Anobidae. Si tratta di Gastrallus pubens Fairmaire, 1875, specie nuova per la Sicilia, segnalata per la prima volta in Italia nel 2007 da Roberto Poggi, Direttore del (1) L’indagine avviata è collegata al progetto Mappatura del degrado entomologico dei manufatti di natura organica, ed è finalizzata all’accertamento dell’eventuale degrado di natura entomologica -provocato da insetti xilofagi- su tutti quei manufatti di rilevanza culturale, in particolare lignei e cartacei, presenti nel territorio in esame. Sono stati già ispezionati diversi ambienti, quali chiese, biblioteche, musei e quant’altro custodisca al suo interno beni di natura organica. ELENCO SITI MAPPATI Polizzi Generosa: – Biblioteca – Chiesa di S. Antonio Abate Geraci Siculo: – Biblioteca – Civica raccolta Etno-antropologica Petralia Sottana: – Biblioteca – Chiesa SS. Trinità o Badia – Matrice – Chiesa di S. Francesco Castellana Sicula – Chiesa di S. Giuseppe (Calcarelli) – Chiesa del SS. Crocifisso (Nociazzi) – Cappella della Madonna della Catena Ai siti sopraelencati va aggiunto il Fondo antico del Museo del Risorgimento di Palermo, dove si sta conducendo un monitoraggio entomologico attraverso uso di trappole. Lo studio del Laboratorio di Indagini Biologiche è cosi articolato: 1. sopralluoghi tecnici finalizzati alla raccolta di campioni biologici ed alla documentazione fotografica delle alterazioni; 2. esami di laboratorio e preparazione di insetti nelle scatole entomologiche; 3. realizzazione grafica informatizzata; 4. elaborato finale. 19 NEWS Museo Civico di Storia Naturale “G. Doria” di Genova, nella Biblioteca dei Padri Cappuccini, e finora limitata a questa città. Il ritrovamento in Sicilia ne estende l’areale verso sud, dove possibilmente è stata ignorata per carenza di adeguate attenzioni agli antichi Fondi librari. L’esatta determinazione della specie è stata resa possibile grazie alla collaborazione di Ignazio Sparacio, medico e naturalista entomologo, autore di monografie sui Coleoptera di Sicilia. R. Not SECONDO CATALOGO DE “LE SEICENTINE DELL’ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO” (CON CINQUECENTINE AGGIUNTE) Prosegue con un secondo catalogo dedicato alle edizioni del Seicento lo studio del fondo antico della Biblioteca dell’Archivio di Stato di Palermo, promosso da questo Istituto nell’ambito dei programmi finalizzati alla conoscenza, conservazione e valorizzazione del patrimonio librario siciliano. Il catalogo, compilato in ordine alfabetico per autore, oltre a descrivere 117 seicentine, comprende anche 33 cinquecentine rinvenute in seguito ad un’occasionale revisione dell’inventario topografico della Biblioteca. Il catalogo mette a disposizione degli studiosi e dei bibliofili una raccolta libraria di notevole interesse per la rarità delle opere descritte e per i dati relativi alla produzione editoriale e tipografica palermitana dei primi secoli di stampa. Rilevante la presenza di opere rientranti nella vasta congerie della letteratura giurisprudenziale, con un’assoluta prevalenza di raccolte di normativa regia e cittadina, mentre tra i testi devozionali, pubblicati da tipografi palermitani in occasione della festività di S. Rosalia, è presente la nota opera del gesuita Giordano Cascini Di S. Rosalia vergine palermitana libri tre, edita con un’elegante antiporta e venti incisioni raffiguranti vari episodi della vita della Santa. Sempre tra i testi siciliani di contenuto religioso apologetico si segnala l’opera Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria protettrice di Messina del gesuita Placido Samperi, stampata a Messina nel 20 1644 ed arricchita da 70 pregevoli incisioni di soggetto mariano che riproducono i dipinti più noti del Cinquecento e Seicento messinese. R. Di Natale RICERCA SCIENTIFICA FINALIZZATA ALLA CONOSCENZA/CONSERVAZI ONE DELLE TESTIMONIANZE DELL’IMPIEGO DI TERRA CRUDA NEL PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA TUTELARE IN SICILIA Nel mese di dicembre è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra il CRPR ed il Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia l’Università degli Studi di Palermo. L’accordo fa seguito ai contatti attivati nel 2007 tra l’Unità Operativa X Beni archeologici, che aveva individuato il patrimonio archeologico in terra cruda, per la sua intrinseca vulnerabilità, tra le priorità da censire e schedare per la Carta del Rischio e Maria Luisa Germanà, responsabile di una ricerca su Architettura in terra cruda nel territorio siciliano: processi conoscitivi e conservativi condotta nell’ambito di un Progetto di Rilevanza Nazionale (PRIN) finanziato nel biennio 2005/07 sul tema Conoscenze scientifiche, sperimentali e tacite e azioni di conservazione di architetture in terra cruda in Italia del Sud: sviluppo, sperimentazione e validazione di uno strumento web-based di knowledge management. Un primo contributo è stato fornito dal CRPR nella fase di elaborazione delle schede di rilevazione, già testate in alcuni siti campione nel corso della suddetta ricerca. La finalità del protocollo, le cui attività saranno avviate nel 2009, è di perfezionare la scheda, per adeguarla a quelle in uso per la Carta del rischio, completare il censimento avviato e sistematizzare i dati con la realizzazione di un data base nell’ottica di una divulgazione dei risultati anche via web. M.E. Alfano NANOTECNOLOGIE E FONTI RINNOVABILI PER L’AUTOPRODUZIONE DI ENERGIA ALTERNATIVA Il Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia dell’Università degli Studi di Palermo ha promosso nell’A.A. 2007-2008 un Master Universitario per Esperti di Nanotecnologie per i Beni Culturali. Al suo interno gli architetti Roberta Bodanza e Giovanna Di Felice hanno redatto la tesi Nanotecnologie per la produzione di energie alternative nella Villa Romana del Casale di Piazza Armerina, con il tutoraggio aziendale del CRPR (Unità di Ricerca per i Beni Paesaggistici, Naturali, Naturalistici, Architettonici ed Urbanistici e per la Carta del Rischio). Sono già passati dieci anni dal Libro Bianco italiano per la valorizzazione energetica delle fonti rinnovabili ma restano lontani gli obiettivi programmati ed in larga parte carente il ruolo che devono svolgere le Amministrazioni Pubbliche per ridurre le emissioni in atmosfera con l’auto-produzione energetica da risorse rinnovabili. In questo quadro della ricerca si valorizza l’idea di progetto dedicata alla realtà complessa della Villa romana ed alla sua spesa energetica: l’illuminazione dell’area e dell’edificio archeologico, l’impianto anti-intrusione con telecamere sensibili all’infrarosso e sistema di controllo video a circuito chiuso, l’impianto antincendio, il sistema di sicurezza con luci e segnaletiche di emergenza. Lo studio esalta le potenzialità insite nell’utilizzo delle nanotecnologie, che intervengono sulla materia su scala molecolare. Se applicate per ubicare impianti fotovoltaici in aree strategiche dell’area (antiquarium, percorsi, area del parcheggio) riducono drasticamente l’impatto fisico e percettivo sulla Villa garantendo il consumo energetico complessivo. Sarebbe inoltre possibile ottenere un surplus energetico che, se immesso sul mercato, coprirebbe, almeno in parte, i costi del previsto protocollo di conservazione programmata dell’edificio e i suoi apparati decorativi e del protocollo di manutenzione preventiva dedicato al nuovo sistema di copertura e fruizione del sito. R. Garufi V CONFERENZA DEL COLORE - SALONE DELLE FESTE-PALAZZO MONTALBO Dal 7 al 9 ottobre 2009 si terrà a Palermo, presso il ns. Centro, la V Conferenza Nazionale del Gruppo del Colore. La finalità di questa edizione è quella di “favorire l’aggregazione multi ed interdisciplinare di tutte le realtà che in Italia si occupano del colore e della luce da un punto di vista scientifico e/o professionale”. L’incontro, nella giornata di apertura dei lavori, sarà introdotto da alcuni seminari sviluppati sui diversi temi di confronto oggetto del programma. SISTEMI BIOLOGICI E BENI CULTURALI CONVEGNO NAZIONALE ORTO BOTANICO DI PALERMO 5/6 OTTOBRE 2009 - Aula “G. Lanza” Organizzato dall’Associazione Italiana di Archeometria, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Botaniche e il Corso di Laurea in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Palermo, il Centro Regionale di Progettazione e Restauro della Regione Siciliana, la BioNAtItalia, il convegno si rivolge agli operatori del settore dei Beni Culturali (ricercatori, studiosi, restauratori, etc,). L’articolazione tematica seguirà una linea dimostrativa tale che i contributi scientifici presentati dovranno mettere in luce la documentazione analitica dei casi studiati. Il quadro del dibattito sarà completato dalla sessione-poster e dalle comunicazioni orali, oltre che da uno spazio dedicato alle comunicazioni inerenti alle “collaborazioni scientifiche tra Università - Centri ricerca - PMI, che rientrano nel campo della conservazione / restauro / fruizione dei beni culturali”. Nello specifico quel che si propone è l’approfondimento sulla caratterizzazione e sulla conoscenza dei sistemi biologici “intesi sia come bene culturale (alberi monumentali, mummie moderne), sia come causa di degrado del patrimonio culturale (bio-deterioramento) che come fonte di macromolecole utili per interventi di restauro (biopulitura, bio-consolidamento) dei beni culturali”. Va segnalata l’importanza dello scopo di “presentare le innovazioni tecnologiche utili per la completa caratterizzazione dello stato di conservazione e per la realizzazione di un intervento programmato di restauro conservativo”. In ultima analisi, l’obiettivo dei lavori “è quello di implementare le conoscenze, estendere e consolidare la formazione dell’area tematica Biologia e Biotecnologie” all’interno dell’AIAr. A. Casano DOSSIER X CONFERENZA DEL COMITATO INTERNAZIONALE PER LA CONSERVAZIONE DEI MOSAICI L’ ICCM, Il Comitato Internazionale per la Conservazione del Mosaico è stato fondato nel 1977 nel corso di una riunione sulla conservazione del mosaico organizzata dall’ICCROM a Roma. In questa occasione, undici professionisti, archeologi, conservatori, storici dell’arte, decisero di fondare il Comitato. Da allora l’ICCM è stato di fondamentale importanza nel promuovere la conservazione del mosaico come campo professionale specifico. Gli obiettivi dell’Ente includono la conservazione del mosaico attraverso la promozione di studi sulla tecnologia esecutiva e mediante la pratica della sua conservazione, manutenzione e presentazione. Esso favorisce lo scambio internazionale di esperienze nel campo della conservazione del mosaico e fornisce assistenza e consulenze a ricercatori e professionisti. Nei suoi 30 anni di attività, l’ICCM ha organizzato nove conferenze internazionali e una serie di tavole rotonde in Europa e in Nord Africa. Tutti gli atti delle conferenze sono stati pubblicati, insieme a 11 bollettini. In questo modo, l’ICCM ha contribuito significativamente al progresso della qualità della letteratura tecnica sulla conservazione del mosaico. L’ICCM ha facilitato la grande evoluzione che la filosofia e la pratica della conservazione del patrimonio culturale nel campo del mosaico possono vantare oggi. In particolare, la conservazione in situ al posto del distacco, che è stata una delle prime raccomandazioni del Comitato, è diventata uno dei principi fondamentali della moderna conservazione del mosaico. Esso ha inoltre giocato un ruolo determinante nell’enfatizzare l’importanza della conservazione preventiva e della manutenzione nella protezione del mosaico. Roberto Nardi 21 DOSSIER Si è svolta a Palermo, dal 20 al 26 ottobre, la X Conferenza del Comitato Internazionale per la Conservazione dei Mosaici (ICCM), ospitata dalla Società Siciliana per la Storia Patria nel prestigioso complesso del convento di San Domenico. L’evento programmato sin dalla precedente conferenza tenutasi in Tunisia nel 2005, nel corso della quale il CRPR venne designato a organizzare in Sicilia il Convegno, è stato organizzato dall’ ICCM e dal CRPR; hanno sponsorizzato la sua realizzazione The Getty Foundation, l’University of Cyprus, l’ICCROM, la Società Siciliana di Storia Patria, il Gruppo Würth e l’Assessorato Regionale al Turismo, Comunicazioni e Trasporti. La manifestazione ha consentito ai numerosi specialisti del settore di confrontarsi sul tema La conservazione: uno strumento di conoscenza, individuato dal Comitato Scientifico con l’obiettivo di mostrare l’importanza che un esame sistematico ed una descrizione completa delle osservazioni fatte nel corso delle operazioni di conservazione assumono nell’acquisizione di dati essenziali alla conoscenza tecnico-materica e storicoarcheologica, oltre che alle trasformazioni subite nel tempo dal mosaico, ai fini della sua conservazione. I lavori, relativi ai tre sotto temi Il costo della manutenzione delle pavimentazioni in situ, I grandi interventi di conservazione dei mosaici e dei siti, La formazione dei conservatori / restauratori di mosaico, sono stati articolati in nove sessioni tematiche: Mosaic Conservation in Sicily, The Act of Discovery, Documentation and Analysis, Large Scale Projects, Evaluation, Maintenance and Treatment, Shelters, Museum Collections, Education and Training, Cases Studies. Il notevole successo riscosso dalla manifestazione, testimonia la grande attualità dei temi e l’esigenza degli studiosi di confrontarsi sulle problematiche della conservazione del patrimonio musivo: 306 partecipanti, intervenuti da 38 nazioni, hanno seguito i lavori, hanno contribuito al dibattito sulle 51 relazioni presentate ed apprezzato i 43 contributi esposti nella sessione posters; le visite organizzate ai monumenti cittadini ed ai 22 Veduta della domus romana detta ‘Villa con vista’ a Tolemaide (Libia) la CONFERENZA di PALERMO a cura di M. Elena Alfano M. Giovanna Agosta M. Lucia Ferruzza siti archeologici hanno offerto l’opportunità di entrare in contatto con la realtà dei mosaici siciliani e con gli interventi effettuati per la loro salvaguardia. I contributi presentati, le riflessioni ed il proficuo confronto che ne sono scaturiti, hanno confermato che la conservazione è divenuta, negli anni, lo strumento privilegiato per acquisire una conoscenza integrata del bene culturale. Sempre più, in quest’ottica, il rapporto sinergico tra discipline umanistiche e scientifiche si è rivelato condizione indispensabile per garantire la corretta definizione del bene e del suo contesto: dallo studio dei caratteri formali e storici e delle tecniche realizzative, all’analisi delle patologie di degrado in rapporto ai materiali e agli interventi effettuati nel tempo, senza tralasciare la questione nodale della gestione e fruizione da parte della collettività. Obiettivi principali della conservazione, al fine di evitare o comunque rinviare, per quanto possibile, la necessità di un intervento restaurativo, azione di per sé traumatica per il bene stesso, sono la manutenzione pro- grammata e la prevenzione messe a punto attraverso un costante monitoraggio e con l’ausilio delle più moderne tecnologie. La Conferenza ha costituito uno straordinario momento di incontro e di dibattito, e la presenza di studiosi provenienti da paesi quali il Togo, Messico, Serbia, Polonia e Macedonia, fino ad ora mai entrati nel vivo del dibattito sulla conservazione dei mosaici, ha arricchito il panorama della conoscenza del patrimonio e delle problematiche relative alla sua salvaguardia nelle diverse realtà culturali e geografiche. Si tornerà a confrontarsi sulla conservazione del patrimonio musivo, testimonianza di una comune identità culturale che non conosce confini geografici, in occasione della XI Conferenza che si terrà nel 2011. Malta, Marocco e Siria hanno avanzato la loro candidatura per ospitare ed organizzare l’evento: il Direttivo dell’ICCM designerà la prossima sede dove tante tessere di sapere si uniranno per definire, sempre più, il disegno della conservazione dei mosaici. DOSSIER Particolare di uno dei mosaici pavimentali Tolemaide (Libia) IL PATRIMONIO MUSIVO IN SICILIA: NUOVI INTERVENTI E SISTEMI DI COPERTURA La prima sessione, Mosaic Conservation in Sicily, ha affrontato nello specifico il tema della conservazione dei mosaici in una serie di siti con differenti caratteristiche e problematiche: dal restauro dei mosaici bizantini della Cappella Palatina di Palermo, allo studio e recupero del mosaico decontestualizzato di Carini, sino ad una ampia disanima sull’ intervento in corso alla Villa del Casale di Piazza Armerina e sugli studi propedeutici al progetto. È stato, inoltre, affrontato il problema della efficacia delle coperture a protezione degli apparati musivi nei siti archeologici siciliani. La relazione di Lina Bellanca ha presentato il restauro, appena concluso, della copertura e dei mosaici della Cappella Palatina realizzato dalla Soprintendenza di Palermo, grazie alla sponsorizzazione dell’imprenditore R. Wurth, e codiretto da G. Meli e G. Davì. L’intervento ha evidenziato l’importanza dello studio delle trasformazioni subite dall’edificio, dei precedenti restauri e delle cause del degrado dell’apparato musivo, derivanti in buona parte dall’inefficienza delle coperture e notevolmente aggravate dal sisma del 2002. Sono state illustrate le indagini preliminari condotte dal CRPR, l’intervento di adeguamento delle coperture ed il restauro dei mosaici, effettuati con la consulenza dell’ICR, per un importo totale dei lavori di circa 2.300.000 euro. Ai partecipanti alla Conferenza è stata offerta l’opportunità di ammirare la cappella restaurata nel corso di una apposita visita. Diversa la problematica trattata da Francesca Spatafora che ha illustrato il recupero, curato dalla Soprintendenza di Palermo, di un mosaico pavimentale attribuito al IV secolo d.C., proveniente da un grande ambiente absidato rinvenuto a Carini, delineandone la travagliata storia a seguito della decontestualizzazione avvenuta alla fine dell’ ‘800 e del lungo periodo di incuria cui fu soggetto prima che l’Amministrazione acquisisse il bene nel 1999 e ne prevedesse il restauro. I lavori, effettuati dal 2004 al 2005, hanno consentito di ricomporre il grande mosaico su supporto leggero, previo studio dell’allettamento originario, integrandone le lacune e di collocarlo provvisoriamente nell’oratorio di S. Filippo Neri, a Palermo, in attesa di una opportuna ricontestualizzazione nel territorio di provenienza. Un intervento di particolare rilevanza, per la vastità delle superfici di mosaico interessate (circa 3500 mq) e l’entità del finanziamento impegnato di circa 18.000.000 di euro, è stato presentato da Guido Meli, coordinatore del progetto e direttore dei lavori di recupero e conservazione della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina. Sono stati illustrati fattori e cause di degrado individuati dagli studi e dalle analisi preliminari condotte sul sito che hanno contribuito alla definizione dell’intervento di sostituzione delle attuali coperture mantenendo i principi ispiratori della soluzione realizzata da F. Minissi, e l’ impegnativo recupero dei mosaici e degli intonaci dipinti. Particolare accento è stato posto sul problema della carenza di manutenzione che implica, a lungo andare, consistenti lavori di restauro e sulla necessità di una prassi manutentiva programmata al fine di evitare gli interventi straordinari. Hanno trattato specificatamente del degrado causato anche da inidonee tecniche adottate in passato e degli interventi effettuati per il recupero dei mosaici della Villa del Casale, le relazioni di Mauro Matteini, del CNR e consulente del CRPR e di Lorella Pellegrino, componente del gruppo di progettazione e direzione del lavori, che ha accennato a nuovi trattamenti con l’utilizzo di alghe ed alla problematica dell’integrazione delle lacune. Nell’illustrazione delle metodologie, basate esclusivamente sull’uso di materiali inorganici, individuate sulla base di numerosi test pilota preventivamente eseguiti ed adeguatamente monitorati, il prof. Matteini ha evidenziato la fondamentale importanza del lavoro condotto in equipe, del confronto multidisciplinare posto in essere per il buon fine del lavoro e della inderogabile necessità di effettuare una manutenzione programmata il cui piano è, peraltro, previsto già nell’ambito del progetto. Tra le analisi ed i monitoraggi che hanno contribuito alla conoscenza delle problematiche della Villa del Casale, sono state fondamentali le rilevazioni microclimatiche e colorimetriche effettuate all’interno della Villa dal laboratorio di fisica tecnica ed ambientalistica del CRPR impegnato dal 2004 nel monitoraggio delle superfici decorate. In particolare, Fernanda Prestileo ha relazionato sulle indagini colorimetriche eseguite, in aree pilota, sulle tessere musive per classificarne le alterazioni. Ciò ha consentito di elaborare delle mappe di riferimento, 23 DOSSIER Tavola del refettorio del Monastero di Nea Moni a Chios dopo il restauro Attività di restauro di un mosaico in ambiente confinato, Algeria Il pannello ‘Gold -Glass’ di età bizantina da Cesarea Maritima (Israele) registrare le variazioni ed il recupero delle cromie a seguito delle varie fasi di intervento effettuate con diversi materiali (idrossido bario, carbonato di ammonio e ossalato di ammonio, etc), e verificarne la validità nel tempo, fornendo in tal modo un concreto contributo alla definizione delle scelte metodologiche. La visione pluridisciplinare dei degradi e la ricerca delle soluzioni agli stessi ha comportato ulteriori studi per la conoscenza ed analisi di natura chimica, biologica e microbiologica condotte dai laboratori del CRPR e illustrate nella sessione poster. La sessione si è conclusa con l’intervento di Roberto Garufi che ha presentato la Carta siciliana dei sistemi di copertura archeologica che contribuisce ad ottimizzare i costi di gestione dei siti. La sua realizzazione definisce criteri e strategie per la manutenzione delle coperture e per conservare e fruire correttamente i beni archeologici. Lo studio ha evidenziato l’opportunità di sostituire gradualmente in Sicilia quelle non più idonee o dannose con altre dotate di sistemi fotovoltaici, per ridurre i costi energetici e l’inquinamento ambientale e per finanziare i costi di gestione dei siti. Agli interventi ha fatto seguito un interessante dibattito, prevalentemente relativo all’uso dei materiali specifici utilizzati per i restauri, che ha visto partecipare attivamente i convegnisti al confronto di diverse esperienze e di metodologie di vecchia o più nuova generazione. 24 CONSERVARE È CONOSCERE L'OPERAZIONE DI RESTAURO È UNA PREZIOSA OPPORTUNITÀ PER SCOPRIRE ASPETTI INEDITI ED ESSENZIALI PER LA CONOSCENZA E LA CONSERVAZIONE DEL MOSAICO Al tema The Act of Discovery è stata dedicata la seconda sessione della Conferenza. La studiosa francese Evelyne Chantriaux, che opera nell’atelier di restauro del Museo Archeologico di Saint Romain en Gal in Provenza, ha affrontato il tema della preparazione e composizione dell’apparato decorativo del tessellato prima della messa in opera, presentando le tracce preparatorie scoperte nel corso del restauro dei pavimenti musivi di una domus della seconda metà del II secolo d.C. a Besançon. Le incisioni realizzate nella malta del nucleus e i disegni in nero, ocra rossa e argilla verde riscontrati sotto i motivi figurati del tessellatum, costituiscono una testimonianza di grande interesse per la conoscenza della tecnica musiva antica e delle metodologie della posa in opera. I dati emersi dallo scavo e dal restauro hanno portato a ipotizzare la pre- senza di un vero e proprio pictor con il compito di preparare il tracciato compositivo della figurazione musiva. Will Wootton del King’s College di Londra ha sottolineato come una corretta prassi conservativa implichi la raccolta sistematica della documentazione in fase di scavo e l’inquadramento del mosaico nel suo contesto storico. Solo la piena collaborazione delle diverse professionalità può, infatti, garantire lo studio di tutte le problematiche connesse alla storia ed alla conservazione del mosaico, accertando tecnologie e materiali utilizzati per gli apparati decorativi e consentendo anche di ricostruire la vita di un cantiere antico. Studi effettuati in alcuni siti in Israele, Inghilterra e Libia hanno fornito dati significativi: a Badminton, ad esempio, dall’analisi delle tracce dei sottofondi pavimentali, non sempre adeguatamente tenute in conto dai restauratori, sono emerse informazioni fondamentali ai fini della conservazione. La lettura di tali segni può anche chiarire il modo di procedere dei mosaicisti nella fase di allettamento delle tessere, come riscontrato ad Euesperides in Libia o a Tell Dora in Israele. Anche in Algeria, come illustrato da Aïcha Malek (ENS CNRS) i mosaici pavimentali di alcune domus scoperte di recente a Lambesi dalla missione franco-algerina, sono stati sottoposti a un delicato intervento di restauro in situ che, insieme alle indagini preventive, ha apportato nuove informazioni su questo importante atelier specializ- DOSSIER zato in rappresentazioni mitologiche dai toni intensamente espressivi. Il rischio di piene legate alla presenza di wadi che minacciano la conservazione dei mosaici, ha comportato lo stacco di alcuni pannelli musivi, prassi ormai considerata inidonea e da evitare se non in presenza di condizioni di emergenza (come sottolineato da Aïcha Ben Abed nel dibattito), per i quali, tuttavia, si auspica in futuro un adeguato intervento di ricontestualizzazione e di valorizzazione. Una particolare tecnica antica di restauro, adottata dalle officine marmorarie della Roma imperiale specializzate nell’opus sectile, è stata analizzata da Riccardo Fusco (Università della Tuscia) attraverso la presentazione di materiali inediti dai palazzi imperiali del Palatino. Si tratta di esempi di giunzioni ad incastro di crustae marmoree con margini ad ondulazione corrente atte a formare pannelli e specchiature impiegate in decorazioni fastose ed utilizzate in antico anche per lavori di manutenzione e restauro. Significativo il cantiere di restauro presentato da Stefania N. Chlouveraki (Hellenic Society for Near Eastern Studies) relativo alla Basilica di Aghias Lot in Giordania, databile al VI secolo d.C., dove sono stati rinvenuti sei mosaici pavimentali realizzati con pietre locali, quattro dei quali restaurati in situ. Nella navata principale, il distacco del mosaico ha portato all’individuazione di un secondo pavimento musivo; le indagini diagnostiche e mineralogiche, effettuate sulle tessere e sugli strati di allettamento delle malte, hanno fornito utili informazioni circa la composizione e la provenienza dei materiali utilizzati, i metodi di esecuzione e di messa in opera del sottofondo, il contesto archeologico e la successione stratigrafica di riferimento. CONOSCENZA E DIAGNOSTICA UN BINOMIO IMPRESCINDIBILE PER LA CONSERVAZIONE DEI MOSAICI SI FONDA SULLO STUDIO SINERGICO CONDOTTO DA DIVERSE PROFESSIONALITÀ E CON L'UTILIZZO DELLE PIÙ MODERNE TECNOLOGIE Nella terza sessione Documentation and Analysis, Denis Weidmann (Département des infrastructures, Lausanne) ha illustrato la buona prassi di documentazione e di gestione posta in essere per i mosaici di Orbe-Boscénaz in Svizzera, conservati in situ dal 1841. La documentazione storico archeologica del sito, le analisi sulle condizioni dei mosaici e sul contesto, una completa documentazione preliminare, degli interventi, sino al monitoraggio finale dei lavori effettuati, sono le tappe del processo che consente di sistematizzare le conoscenze e verificare le ipotesi progettuali. In relazione a questi temi, Michele Macchiarola (CNR-ISTEC, Faenza) ha posto l’attenzione sulla importanza che la caratterizzazione dei materiali costitutivi dei mosaici, unitamente allo studio dei parametri ambientali, riveste per un corretto intervento di conservazione. Sono stati illustrati gli studi archeometrico-tecnologici, effettuati tra il 2002 ed il 2007, su cento campioni relativi a due siti di epoca romana in Italia centrale, Suasa e Torretta Vecchia, interessati da interventi di restauro. L’interesse delle informazioni ottenute conferma l’importanza dello studio sinergico sviluppato dalle diverse professionalità ai fini della conoscenza dei beni archeologici e della conservazione dei mosaici. Il restauro del Katholikon di Hosios Loukas (Beozia), importante monastero bizantino, dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, è stato presentato da Androniki Miltiadou (Hellenic Ministry of Culture) con riferimento alla fastosa decorazione musiva dell’ XI secolo che nel tempo ha subi- to gravi deterioramenti e interventi inadeguati con largo uso di cemento e rinforzi in acciaio. Nell’ambito del progetto di conservazione, promosso dal Ministero della cultura greco, sono state effettuate indagini diagnostiche anche non distruttive al fine di indagare i substrata dei mosaici e sviluppare un progetto integrato a larga scala. L’importanza della collaborazione pluridisciplinare è stata ribadita nell’intervento di Véronique Blanc Bijon (Université de Provence) che ha trattato di un emblema, ritrovato in mare al largo di Agde in Francia. L’eccezionalità della scoperta e la peculiarità delle condizioni di rinvenimento ha determinato la costituzione di un’equipe di specialisti e la conseguente realizzazione di accurate analisi a cura del Centre de recherche et de restauration des Musées de France. Lo studio sul reperto, oggetto di una specifica pubblicazione, ha consentito di identificarne la tecnica esecutiva ed i materiali lapidei utilizzati provenienti dalla Tunisia e dall’Italia. Il mosaico, restaurato avendo cura di salvaguardare tutti i dati pervenuti, è stato adeguatamente esposto e valorizzato. Abdelilah Dekayr (UFR ZitouneMeknes,Marocco) ha trattato lo specifico tema della interferenza tra il suolo e pavimenti musivi e dell’entità dei degradi in relazione alla differente natura dei terreni argillosi o calcarei che si riscontrano nel sito di Volubilis. Dallo studio effettuato sulla plasticità dei suoli argillosi e sui meccanismi di dissesto che essi determinano, è emersa l’esigenza di porre maggiore attenzione alla natura e stabilità del terreno prima di ricollocare i mosaici. 25 DOSSIER I “GRANDI” PROGETTI INTERVENTI CONSERVATIVI SIGNIFICATIVI IN RELAZIONE AL CONTESTO La sessione Large Scale Projects ha preso in esame alcuni siti che per la peculiarità e per la complessità del contesto sono stati interessati da progetti di conservazione di particolare rilevanza ed ampiezza. Tra questi, il restauro del mosaico della Trasfigurazione nell’abside del Monastero di Santa Caterina in Sinai; Andreina Costanzi Cobau, Chiara Zizola e Roberto Nardi hanno presentato il progetto di conservazione, realizzato tra il 2005 ed il 2008 dal Centro di Conservazione Archeologica di Roma, che si distingue per una particolare organizzazione del cantiere, la tempestiva informazione sui lavori e la notevole disponibilità di tempo e di fondi destinata all’intervento grazie ad una sponsorizzazione privata. Innovativa è stata la scelta di trasferire tutte le informazioni inerenti l’intervento di conservazione e le rilevazioni riguardanti l’aspetto materico e tecnico del manufatto, su supporto informatico; con un sistema flessibile ed interrogabile, la puntuale documentazione raccolta sulle superfici musive risponde al carattere stratigrafico delle informazioni acquisite durante l’intervento, secondo livelli di conoscenza pianificati per voci: dallo stato di conservazione, all’analisi storica fino alle operazioni di restauro. Tra le osservazioni rilevate sul processo di messa in opera originale, per esempio, l’inserimento di fibre vegetali nella malta di allettamento, è risultata di fondamentale importanza per la conservazione del mosaico, avendone garantito l’elasticità pure in presenza di estesi distacchi e di terremoti. Inoltre dallo studio di precedenti restauri effettuati nel 1847 e nel 1959, è maturata la scelta di rimuovere i vecchi interventi, essi stessi cause di degrado, quali staffe e chiodi metallici, stuccature colorate, verniciature a base di colofonia e gomma lacca. Particolarmente significativa questa esperienza che, nonostante le difficoltà ambientali, logisti- 26 sopra: Pavimento musivo restaurato del succorpo della cattedrale di Bari a lato: Restauro del pavimento del Pavillon Texaco del 1964, New York che e relazionali del sito, è stata condotta dai i restauratori con la consapevolezza di avere operato come rispettosi strumenti di mediazione tra culture diverse, per restituire al mosaico non solo il suo aspetto formale ma anche l’originaria funzione che è quella di essere strumento di preghiera. Tra i progetti a grande scala Fani Athanassiou (Hellenic Ministry of Culture) ha presentato il restauro dei pavimenti del palazzo dell’imperatore Massimiano a Salonicco in opus segmentatum, tecnica impiegata prevalentemente negli edifici di lusso, fortemente danneggiati anche a causa di precedenti interventi realizzati con malta di cemento. Il restauro ha previsto il distacco, la sostituzione della malta cementizia, l’integrazione delle lastre di marmo con gli stessi materiali, l’as- semblaggio e il riposizionamento su nuovi supporti. Durante questa operazione, al di sotto dell’ opus segmentatum, l’indagine archeologica ha messo in luce un pavimento più antico e ha consentito di precisare la datazione delle diverse fasi del complesso. L’analisi del substrato del pavimento della sala ottagona e dei materiali impiegati ha portato alla individuazione delle tracce di antichi restauri e della composizione degli strati di allettamento, consentendo di definire la provenienza DOSSIER dei marmi e il modo in cui le lastre venivano composte e fissate. Nel corso del restauro realizzato negli ultimi dieci anni sui mosaici della “Rotonda” di Tessalonica, uno dei più importanti edifici sacri tardoromani, le indagini effettuate hanno messo in luce una serie di indizi significativi, non solo ai fini della individuazione delle tecniche esecutive, ma anche alla definizione del clima culturale ed artistico in cui si inserisce il monumento. Di particolare interesse, come segnalato dal relatore Charalambos Bakirtzis (Hellenic Ministry of Culture), la scoperta di incisioni colorate sulle malte, interpretabili come disegni preparatori, nonché gli accorgimenti utilizzati dalle maestranze per ovviare ad errori esecutivi o per mimetizzare le linee di giunzione tra le giornate lavorative. L’analisi del mosaico ha evidenziato l’attenzione prestata al dettato compositivo, l’utilizzo sapiente della cromia delle tessere per accentuare l’intensità espressiva dei volti e una stretta relazione tra la decorazione degli affreschi e i mosaici parietali, prova evidente della coerenza progettuale dell’insieme degli apparati decorativi. Frank Matero, della Pennsylvania University, ha presentato un progetto in corso che investe una problematica oggi di particolare attualità: il restauro dell’arte contemporanea. Si tratta del grande mosaico pavimentale del New York State Pavillon, realizzato nel 1964 dall’architetto Philip Johnson in occasione dell’Esposizione Mondiale, e raffigurante la pianta della città di New York. Il mosaico, diventò subito un’icona della pop art riuscendo a cogliere, con lo spirito ironico e trasgressivo del movimento, il clima e la cultura commerciale dell’America post-bellica, utilizzando una tecnica antica come l’opus signinum, realizzata però con materiali moderni come cemento, vetro, plastica. Il progetto di restauro, avviato nel 2007, è stato preceduto da indagini finalizzate ad accertare le condizioni di degrado del mosaico, abbandonato all’incuria per decenni. Dopo aver effettuato le analisi dei materiali utilizzati sono state sperimentate tecniche di pulitura e di consolidamento con la sostituzione del supporto di alcune parti del mosaico. LA CONSERVAZIONE IMPLICA LA MANUTENZIONE BUONE PRATICHE, COSTI E STRATEGIE GESTIONALI Thomas Roby ed Aïcha Ben Abed (Getty Conservation Institut, USA e INP Tunisia) hanno prospettato il caso della Tunisia dove il cospicuo patrimonio musivo, presente in 20 importanti aree archeologiche, fa risaltare l’insufficiente rapporto tra i numerosi mosaici ed i tecnici manutentori. Negli ultimi Nella sessione Evaluation, Maintenan- 8 anni, il Getty Conservation Institut e ce and Treatment è stato affrontato il l’Institut National du Patrimoine della problema della valutazione dei costi- Tunisia hanno cercato di ovviare al benefici della formazione degli opera- problema finanziando 4 corsi che, con tori e del loro aggiornamento, indi- l’ausilio di 10 docenti, hanno formato spensabile per porre in essere buone 39 tecnici, 28 dei quali già lavorano pratiche per la conservazione dei con diverse specializzazioni in alcuni mosaici, e per la gestione della manu- siti. Il costo complessivo della formatenzione ordinaria nei siti archeologici. zione è stato di € 535.000 ai quali vanno aggiunti i costi della manutenzione, che viene calcolata con una media di circa € 64 al mq, costo relativo ad operazioni prioritarie, come il consolidamento delle tessere e la semplice pulitura e circa 11 €/mq annui per la manutenzione ordinaria. Interventi più mirati, come nel sito di Herghla, dove la vicinanza del mare richiede una protezione dall’aggressione salina o la rimozione dei ferri sotto i mosaici ad El Jem, hanno comportato costi aggiuntivi. A fronte di una scelta metodologica che, a differenza del passato, preferisce conservare i mosaici in situ, si ha la chiara consapevolezza che solo un follow up costante nel tempo può consentire la salvaguardia dei beni: significativo è il caso di un mosaico di Thuburbo Majus che, fotografato negli anni ‘20 e ‘70 e in condizioni sempre peggiori, è oggi del tutto scomparso. Tale scelta necessita di risorse economiche, di un numero maggiore di tecnici ed una visione strategica del problema che consideri come, la buona manutenzione di un sito aumenti l’attrattiva turistica. In assenza di queste condizioni, è preferibile, così come emerso dal dibattito, reinterrare i mosaici dopo averli messi in sicurezza. Diverse sono le cause della Pavimento in tecnica mista, mosaico e opus mancanza di corrette strategie sectile, della basilica bizantina del monastero gestionali dei siti archeologici a di Sagmata a Tebe 27 DOSSIER Cipro, trattate da Niki Savvides (University College London) che ha relazionato sul caso dei mosaici del IV d.C a Paphos, sito inserito nella World Heritage List nel 1981. Dopo aver delineato la storia delle drastiche tecniche di restauro “sofferte” dai mosaici prima dell’arrivo nel 1968 del team polacco di M. Medic, e le nuove tecniche di recupero, la studiosa denuncia che ancora oggi non vengono effettuate adeguate documentazioni del mosaico prima e dopo l’intervento. Dal 1992, si preferisce conservare in situ, ma nel caso sia necessaria una integrazione con tessere nuove, le stesse non sono riconoscibili. A Cipro è fortemente avvertita l’esigenza della formazione, non solo dei conservatori ma anche dei responsabili della gestione dei siti, tema ripreso nella sezione specifica. Relativamente al costo degli interventi si rileva che un consistente impegno di spesa nella manutenzione dei mosaici riguarda le operazioni che vanno periodicamente ripetute per inibire la crescita di cianobatteri e di patine algali sui mosaici. A New Port (UK) su cinque mosaici di una domus romana soggetti a forte umidità, con efflorescenze saline e attacchi biologici John Stewart (English Heritage, London) ha testato un’innovativa tecnica a raggi ultravioletti germicidi a corto raggio (UVGI) che inibisce i microrganismi, senza interferire direttamente con le superfici come avviene con i tradizionali biocidi. Sono stati presentati i risultati delle prove effettuate ad alto o basso dosaggio proporzionato ai tempi di applicazione; in ogni caso è da valutare il collaterale effetto di risalita dei sali sulla superficie musiva, che implica la pulitura successiva al trattamento. Sul valore estetico-formale dell’integrazione della lacuna insiste l’intervento di Francesca Casagrande (Università “Alma Mater Studiorum”, Bologna) che sottolinea il “disturbo” percettivo che la lacuna assume nella sua doppia valenza di assenza e presenza. Alla luce dei principi fisici della percezione ottica dei colori e di elementi diversi quali la tipologia del mosaico, le cause del degrado, l’entità e la distribuzione delle lacune, la studiosa ha illustrato criticamente alcuni esempi di intervento. 28 PROTEGGERE PER CONSERVARE NUOVI ORIENTAMENTI PER I SISTEMI DI COPERTURA DELLE SUPERFICI MUSIVE IN SITU Copertura realizzata sul mosaico dei quattro fiumi del Paradiso a Plaoshnik, Ohrid in Macedonia Particolarmente attuale il dibattito sulle nuove soluzioni utilizzate per la copertura (shelters) dei mosaici nei siti archeologici che, pur finalizzate essenzialmente alla conservazione dei manufatti, pongono problemi di natura estetica, di efficienza e di impatto visivo nel contesto generale. L’indagine condotta dall’English Heritage Israel Antiquities Authority e dal Getty Conservation Institut su 36 coperture a protezione di 105 mosaici in Israele, presentata da Jacques Neguer (Israel Antiquities Authority), ha evidenziato la diretta incidenza del tipo di coperture sullo stato di conservazione dei mosaici e l’importanza di sviluppare una banca dati internazionale finalizzata alla raccolta dei dati necessari a orientare le nuove scelte progettuali in linea con i criteri meto- dologici più aggiornati di conservazione dei materiali musivi. Le raccomandazioni redatte a conclusione del survey, inviate e in parte accolte, dalle istituzioni israeliane preposte alla tutela dei mosaici, hanno offerto un supporto scientifico alla individuazione di soluzioni ottimali per questa problematica. L’intervento dell’architetto Gionata Rizzi sulle coperture realizzate a Ercolano e a Piazza Armerina ha offerto, nuovi spunti di discussione. Nella città vesuviana, alcuni aspetti peculiari del sito sono stati tenuti in considerazione al fine di definire un’appropriata soluzione al problema. In primis il carattere urbanistico, la vista dall’alto dei fabbricati e la necessità di utilizzare nuovi materiali coerenti con quelli già presenti negli edifici storici. Contestualmente, allo studio di un progetto a lungo termine, ancora in corso di sperimentazione, sono state adottate alcune soluzioni a medio termine atte ricoprire ampie parti dell’area archeologica. Il cantiere in corso per il recupero della villa romana a Piazza Armerina, di cui si è trattato specificamente nella sessione Mosaic Conservation in Sicily, ha posto nuove e complesse problematiche relative alla sostituzione della copertura realizzata da Minissi negli anni ‘50 ormai fatiscente, ma considerata un punto di riferimento per le coperture dei siti archeologici. Le scelte adottate dal gruppo di progettazione del CRPR, alle quali il relatore ha contribuito con la sua consulenza, hanno tenuto in considerazione i fattori microclimatici, la necessità di un più corretto equilibrio delle volumetrie suggerite dalle coperture e le attuali esigenze di fruizione del sito e dei mosaici. DOSSIER MOSAICI NEI MUSEI UNA RISORSA DA GESTIRE E VALORIZZARE Nella sessione Museum collections è stato approfondito il tema della conservazione e valorizzazione dei mosaici negli ambienti confinati. All’interno dei musei i mosaici sono spesso esposti secondo criteri ormai obsoleti e poco rispondenti a un moderno e più dinamico concetto di musealizzazione. L’ opportunità di un lavoro sinergico tra restauratori, architetti e archeologi nell’ambito dei progetti di riqualificazione dei sistemi espositivi è stata sottolineata da Patrick Blanc (Musée de l’Arles et de la Provence antiques) che ha esaminato alcuni recenti interventi di ridefinizione museografica. E’ stata, inoltre, sottolineata l’opportunità di aprire al pubblico il cantiere di restauro mostrando “il rovescio del museo”, valorizzando in tal modo opere spesso non fruibili anche a causa della cronica carenza di spazi che caratterizza molte istituzioni museali. Esemplificativo il caso dei mosaici romani della villa d’El Romeral che, negli anni ‘60, sono stati trasportati in centinaia di frammenti nel Museo archeologico della Catalogna e lì sottoposti a diversi interventi di restauro. Nel 2007 Kusi Colona Preti (ABAC Conservaciò i restauraciò) e Isabel Moreno Martinez (Museu d’Arquelogia di Barcellona) hanno avviato un progetto di conservazione dei mosaici e dello spazio destinato alla loro esposizione. Contestualmente, attraverso lo studio della documentazione disponibile, è stata ricostruita la storia dei mosaici dall’atto della scoperta ai più recenti interventi. A Denya, in Bulgaria, è stato condotto da Julia Valeva (Institut od Art Studies, Bulgaria) uno studio su una domus a peristilio del III-IV sec. d.C., con pavimenti musivi, testimonianza della diffusione, nell’antica Marcianopoli, del repertorio musivo tardo-antico: si tratta di noti temi mitologici entro complessi motivi geometrici, pavimenti con ricche cornici, realizzati in opus vermiculatum, anche con piccole tessere per ottenere un effetto pittorico. Per la loro conservazione si era optato negli anni ‘80 per l’inglobamen- Preziosa raffigurazione musiva, Siria to di parte della domus all’interno di un nuovo museo; tuttavia un sistema di smaltimento delle acque meteoriche inidoneo, ha determinato notevoli danni ai quali è necessario porre rimedio anche con nuovi sistemi di drenaggio. È stata sottolineata la carenza, in Bulgaria, sia di specialisti nel restauro che di fondi per gli interventi. Ghias Klesly (Ministère de la Culture, Syrie) ha evidenziato la difficoltà nel procedere ad adeguate operazioni di conservazione e fruizione del consistente patrimonio musivo, prevalentemente di epoca bizantina, messo recentemente in luce in Siria, dove sino al 2000 si è praticato il distacco dei mosaici con trasferimento su supporti in cemento. Pur essendo stato avviato un programma di formazione, il relatore denunzia la mancanza di esperti e di materiali per il restauro e carenze a livello decisionale e programmatico. A fronte di una scarsa attività conservativa in situ, si procede con nuovi scavi che hanno determinato la decisione, in alcuni casi di procedere al rinterro del mosaico, come nel sito di Tamanaa. Il programma di conservazione e restauro dei 51 pavimenti musivi di Kourion, presentato da Eleftherios Charalambous, (Department of Antiquities, Cyprus) è stato condotto con tecniche moderne precedute da analisi chimiche sulla malta e sulla caratterizzazione del materiale lapideo usate per i mosaici; alla luce dei risultati sono stati predisposti campioni di malte per le integrazioni delle lacune con materiali compatibili (pozzolana, polvere di ceramica, aggregati diversi, etc. ) che non creino i problemi legati ai precedenti interventi di conservazione in cui era stata usata malta di cemento sia nel substrato che nei bordi delle lacune. Sono state presentate le varie fasi di intervento per il ripristino almeno parziale dello stato di conservazione originario; l’intervento è stato documentato ed archiviato su supporto digitalizzato e sarà presto registrato in un database. Anche a Malta, come riportato da Ruby Jean Cutajar (Institut of Conservation and Management of Cultural Heritage, Malta), è stato affrontato il problema delle coperture e del deterioramento dei mosaici nel contesto dei bagni romani del II sec. d.C. a Ghajn Tuffieha. Uno studio accoglie tutti i dati relativi alla storia del sito, in abbandono da 10 anni, agli interventi conservativi (riposizionamento su massetti armati, puliture, etc.), alla documentazione fotografica degli scavi, fino al collasso nel ‘94 delle coperture in cemento armato e delle strutture lignee infestate da insetti. Per potere approntare strategie per la conservazione di uno dei più bei mosaici romani di Malta, è stato condotto uno studio generale sullo stato di conservazione dei mosaici riparati da shelters, aperti o chiusi, o lasciati all’aperto che hanno evidenziato problemi dovuti nel primo caso al distacco delle tessere, nel secondo all’escursione termica ed all’umidità, nel terzo alla vegetazione infestante ed alla perdita di materiali. 29 DOSSIER LE RISORSE UMANE PER LA CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO MUSIVO FORMAZIONE ED AGGIORNAMENTO DI TECNICI SPECIALIZZATI Il tema della formazione assume aspetti di criticità soprattutto in quei paesi caratterizzati da una situazione socioeconomica precaria per i quali, la conservazione del proprio patrimonio artistico può diventare strumento educativo e di promozione sociale e culturale. I rapporti di collaborazione e di cooperazione che si creano, anche grazie ai progetti internazionali, non possono che promuovere da parte degli operatori locali la crescita del senso di appartenenza e di responsabilità verso la propria eredità culturale. Le relazioni su Education and Training hanno presentato diversi casi emblematici. Tra questi, l’intervento di conservazione dei mosaici della sinagoga di Gerico del VI secolo d.C., dal 2003 oggetto di un programma di restauro finanziato dal governo italiano e condotto dal Jericho Workshop of Mosaic Restoration. L’insieme dei mosaici, unico esempio di decorazione figurata presente in un edificio sacro ebraico, presentato da Osama Hamdan (Mosaic Centre Jericho), è oggi particolarmente degradato anche a causa di danni intenzionali effettuati già in antico e dal 1921 è soggetto a rischio bellico. I mosaici hanno subito, dopo la scoperta nel 1918, manomissioni e distacchi: alcuni pannelli figurati o recanti iscrizioni in aramaico si trovano al Museo di Gerusalemme, altri sono stati esportati illegalmente all’estero dalle truppe australiane. Considerati i risultati conseguiti, si auspica che il programma possa avere un seguito e prevedere un maggiore coinvolgimento attivo della comunità locale. Anche nell’Europa orientale, come illustrato da Maja Frankovic (National Museum, Belgrado), i corsi organizzati dall’ICCROM hanno offerto a molti giovani operatori la possibilità di una formazione altamente specialistica. Nella regione balcanica, si è avviata di 30 recente un’indagine sistematica sulla condizione dei mosaici pavimentali antichi, sui progetti di conservazione in corso o già eseguiti e sulla possibilità di realizzare programmi avanzati di conservazione e management finalizzati alla salvaguardia di questo patrimonio. Le difficoltà rilevate investono soprattutto la carente collaborazione tra i vari istituti o amministrazioni, la documentazione spesso incompleta che non consente di sistematizzare le informazioni e delineare un quadro definito dello stato dell’arte. Il consorzio della città di Merida ha promosso, come evidenziato da Pasies Oviedo (Museo de Prehistoria, Valencia), diverse attività per la formazione di professionisti addetti al restauro archeologico che recentemente hanno avuto come tema centrale il mosaico di età romana prevedendo, oltre alle lezioni teoriche anche dei veri e propri stages operativi di formazione. Dalla relazione di Hande Kokten dell’Università di Ankara è emerso che in Turchia la conservazione delmosaico è una disciplina giovane, sia per quanto riguarda la formazione sia per quanto attiene l’applicazione delle moderne tecnologie. Considerato che in Turchia vi sono 83 siti archeologici con mosaici e solo alcuni sono oggetto di scavi sistematici con progetti specifici di conservazione, è improrogabile ampliare le opportunità in questo settore anche attraverso un miglioramento dei programmi universitari e dei corsi specialistici, la promozione di corsi di formazione breve o a distanza sia in ambito teorico e pratico. Anche in altre zone del Mediterraneo i problemi relativi alla manutenzione del patrimonio musivo si presentano alquanto critici, come rilevato da Jeanne Marie Teutonico (Getty Conservation Institut, USA). Sviluppare una strategia integrata per la conservazione degli antichi mosaici in situ è l’obiettivo di MOSAIKON, una “joint iniziative“ promossa dal Getty Conservation Insitute, dall’ICCROM e dall’ICCN che nella prima fase (2008-2012) si propone di formare sia site managers responsabili della gestione dei siti archeologici, sia tecnici specializzati nella manutenzione del patrimonio musivo. In effetti oggi nessun sito può essere definito un modello di gestione come ha rilevato nel dibattito Gaël de Guichen, presidente onorario ICCM, secondo il quale non sono stati tenuti finora in giusta considerazione, insieme agli aspetti più puramente tecnici, quelli legati alla valutazione economica e al dialogo con le autorità politiche, necessari a garantire la fruizione del bene culturale da parte del pubblico. Dal dibattito sono emersi altri aspetti di rilievo come l’esiguità di tecnici manutentori adeguatamente formati, problema che investe principalmente i paesi del Mediterraneo e dell’Europa orientale, quali Tunisia, Bulgaria, Siria e Palestina. O. Hamdan ha sottolineato l’importanza di mettere a punto una costante “cura per i mosaici”, concetto ripreso da M. Macchiarola che ha sottolineato come lo studio sistematico del mosaico sia un punto di forza per la sua conservazione. A tal proposito è fondamentale definire linee guida per gli interventi di restauro, cui fare riferimento per non procedere in modo empirico e disomogeneo, anche attraverso la creazione di banche dati e la divulgazione degli interventi di restauro. DOSSIER CASES STUDIES MOSAICI PAVIMENTALI E PARIETALI NUOVI ORIZZONTI Particolare ed interessante l’intervento di Komi N’kégbé Tublu, (Direction de la Promotion du Patrimoine Culturel e Touristique, Togo) che ha illustrato la peculiare realtà dei “mosaici” dei siti di Dakpodzi e Tcharè, inseriti dal 2003 nella lista dei beni culturali del Togo, con il conseguente rischio derivante dalla pressione turistica in assenza di un adeguato piano di fruizione. La conservazione dei pavimenti in mosaico di materiale laterizio, testimonianza di una antica tecnica locale messa in opera dalle donne e riscoperta dopo il ritrovamento, pone una serie di interrogativi in merito al loro mantenimento in situ, che il relatore auspica, sottolineando le difficoltà e la mancanza di competenze in materia in Togo e la scarsa sensibilità delle autorità e della popolazione derivanti anche dalle problematiche di natura sociale presenti nel paese. Il tema della fruizione negata in oltre trenta siti archeologici del Messico è stato evidenziato da Lilia Rivero Weber (ENCRYM INAH, Messico), che ha illustrato i problemi indotti nei mosaici pavimentali, spesso inglobati in edifici, dalla natura argillosa del suolo di Città del Messico che determina notevole presenza d’ acqua e vistosi cedimenti. La relatrice ha trattato in particolare il caso dei mosaici rinvenuti sotto il sagrato della cattedrale della città, già musealizzati in situ su supporto in cemento e poco accessibili, per i quali è in corso un progetto di nuova copertura che coinvolge un team di specialisti. Julio Valencia Navarro (ICOMOS, Mexico) ha approfondito le problematiche legate alla copertura realizzata con lastre in vetro, che ancorchè dotata di nuovi accorgimenti per migliorare i fattori microclimatici, è causa di degradi ed implica pertanto elevati costi di manutenzione. L’intervento di Antonietta Boninu (Soprintendenza per i BB. Archeologici di Sassari e Nuoro) ha trattato alcuni aspetti della conservazione relativa al cospicuo e poco conosciuto patrimonio Mosaico absidale del Monastero di Santa Caterina. Particolare con Mosè nel roveto ardente, Sinai musivo della Sardegna. Primaria è risultata l’esigenza di inventariare i beni alla luce del dato che il 45% dei mosaici registrati nel 1981, oggi risulta disperso. Si sta pertanto procedendo, per province, ad una ricognizione sistematica. Allo stato attuale tutti i mosaici, sia ricollocati in situ, che esposti nei musei o conservati nei depositi, sono su supporto in cemento armato a seguito degli interventi eseguiti negli anni 60’. Tra i vari progetti di recupero in situ avviati, viene illustrato il caso dei mosaici di Turris Libisonis (Porto Torres), per i quali è stato programmato un piano di conservazione nell’ambito della creazione di un Parco archeologico. Il mosaico con iscrizione EIRHENE del peristilio dell’edificio tardo antico di Plovdiv, l’antica Philippopolis in Bulgaria, si trova oggi in un contesto urbano e presenta molteplici problematiche di conservazione e valorizzazione illustrate nella relazione di Elena Kantareva – Decheva (Academy of Fine Arts, Plovdiv). Un progetto, che ha visto coinvolto un team bulgaro-americano, ha restituito alla pubblica fruizione il monumento attraverso la realizzazione di un vero e proprio museo archeologico in situ. L’intervento di Krzysztof Chmielewski, (Academy of Fine Arts, Warsaw) dopo una sintesi storica degli scavi in Tolemaide negli anni 50’ ad opera delle missioni anglo-americane, ha trattato dei problemi del complesso dei mosaici di Tolemaide in Cirenaica, in parte decontestualizzati ed in parte in situ. Si tratta di una villa romana del IIIII sec. d.C. scoperta dal 2002 , posta al centro della città, che presenta numerosi e ricchi pavimenti musivi il cui programma decorativo è strettamente connesso con gli intonaci murali. Particolare il peristilio mosaicato anche al centro. I mosaici del secondo piano crollati in antico a causa di un terremoto sono stati accuratamente inventariati e recuperati. Il loro studio ha consentito di accertare la tecnica esecutiva, la sequenza degli strati preparatorie, gli antichi restauri (angelo che regge un’iscrizione, foto n. 2) Tutti i mosaici della villa necessitano di un programma di restauro e manutenzione, basato su analisi e ricerche appropriate e di un piano di fruizione, in assenza del quale sembra più opportuno ricoprire con geotessile e sabbia. L’intervento di Konstantinos Raptis (Ministry of Culture, Greece), ha posto l’attenzione su un elemento generalmente trascurato dagli studiosi: le cornici di malta colorata che riquadrano i mosaici murali di alcuni tra i monumenti paleo-cristiani e bizantini più importanti di Tessalonica, (Acheiropoietos, la Rotonda). Il relatore ne ha illustrato la tipologia e le caratteristi- 31 DOSSIER che costruttive sottolineandone l’importanza come parte integrante della decorazione musiva sia dal punto di vista estetico, nell’insieme delle decorazioni delle superfici architettoniche, sia come fonte di dati archeologici relativi alla storia dei mosaici e dei loro possibili restauri. Si tratta di una “rilettura” importante suscettibile di interpretazioni anche di tipo economico: spesso la cornice di malta estende la superficie del mosaico in mancanza di tessere musive. Il lavoro di restauro in situ di oltre 330 mq di mosaici del complesso monastico bizantino di Torba in Turchia, realizzato nel 2006 da un’equipe dell’Università di Ankara, è stato presentato da Y. Selcuk Sener (Ankara University); il relatore ha evidenziato le criticità del sito, le accurate analisi propedeutiche eseguite e le diverse le fasi dell’intervento sino alle tecniche differenziate di integrazione delle lacune; ha inoltre ribadito l’esigenza di definire metodologie operative condivise a livello internazionale e di prevedere un’adeguata formazione professionale nell’ambito del restauro archeologico. Elyas Saffaran (Universitè da Payame Noor, Teheran) ha trattato dell’importanza che le recenti scoperte di mosaici nel sito archeologico della Cittadella di Agedehak, in Iran, rivestono per la lettura dello sviluppo della tecnica e della storia del mosaico in relazione ai periodi storici del paese. Ha quindi evidenziato la necessità di realizzare un percorso di conoscenza completo sul sito per la conservazione dei mosaici. I mosaici pavimentali tardoantichi della Chiesa di Cosma e Damiano a Gerasa, sui quali ha relazionato Catreena Hamarneh sono oggetto di un programma di conservazione che consentirà anche di documentare la storia dei precedenti interventi di restauro susseguitisi dal VII al XX secolo: dalle semplici integrazioni a tessere irregolari, all’uso del sectile con materiale locale, alla ricostruzione di alcune parti fino alle più recenti integrazioni con malta incisa. Uno studio particolarmente significativo ha sottolineato l’incidenza tra il tipo di materiali e la tecnica adottata negli interventi effettuati e lo stato di conservazione dei mosaici. 32 LA SESSIONE POSTERS Nell’ambito della seconda giornata della Conferenza è stata inaugurata la sessione posters comprendente 45 pannelli a firma di studiosi provenienti da istituzioni internazionali che hanno presentato importanti progetti di conservazione relativi a mosaici in situ o entro ambienti confinati. Contestualmente, è stato presentato anche il video di Blanc, Courboules, Martin, Jouquet, Bouquin, Aliaoui, Rafai Chronique d’une restauration a documentazione del restauro di un mosaico raffigurante il Giudizio di Paride. Per quanto riguarda la Sicilia, ampio spazio è stato dedicato alle problematiche inerenti il restauro della Villa del Casale a Piazza Armerina con particolare riguardo alla storia del monumento e della copertura dei ruderi (Alfano), nonché ai risultati delle analisi effettuate preventivamente e dopo i trattamenti con biocidi sulle superfici musive interessate da degradi di tipo biologico e microbiologico (Miceli, Not). È stata, inoltre, presentata, quale strumento propedeutico al progetto di restauro, la schedatura completa degli ambienti del complesso e dei mosaici con un’attenzione specifica allo stato di conservazione, alle tipologie di degrado (Pellegrino) ed una sintesi dello stato d’avanzamento dei lavori in corso curati dai tecnici del CRPR (Alfano). Nell’ambito del progetto della Carta del Rischio del Patrimonio Culturale della Regione Siciliana, finalizzata alla conoscenza e alla tutela dei beni attraverso la valutazione dei rischi, due posters del CRPR hanno documentato, rispettivamente, un censimento in progress dei mosaici pavimentali di età antica presenti in Sicilia sia in situ che asportati dal contesto originario (Alfano), e uno studio sistematico sui sistemi di protezione che interessano le superfici musive all’aperto con l’indicazione delle linee guida di un protocollo di manutenzione da applicare sulle strutture di copertura (Garufi). Del progetto di restauro della Cappella Palatina a Palermo, conclusosi nel giugno 2008, sono stati presentati i risultati della campagna di rilevamento termografico approntata dal laboratorio di fisica del CRPR finalizzata ad individuare le zone di distacco degli intonaci e le eventuali presenze di perni metallici (Bruno). Sempre in ambito siciliano, un poster ha documentato la scoperta di una villa rustica in provincia di Enna decorata da mosaici, recentemente consolidati e sottoposti ad analisi mineropetrografiche (Bonanno), mentre una ricerca più particolare ha riguardato lo studio e il rilievo delle 466 lesene in marmo rotato del Duomo di Monreale delle quali sono state riprodotte le varie soluzioni figurative e le regole geometriche sottese alla composizione (Oddo). Molti contributi hanno focalizzato l’attenzione sulle indagini di natura chimico-fisica, alcune particolarmente innovative dal punto di vista della tecnologia applicata (Persia), a conferma che, sempre più nella prassi conservativa, gli approfondimenti scientifici, mirati alla salvaguardia del patrimonio archeologico e artistico, si integrano con le indagini storico-critiche in un equilibrato rapporto interdisciplinare. In proposito, sono da segnalare il poster relativo alla bioerosione dei mosaici di età romana situati nel Parco Sommerso di Baia nei pressi di Napoli (Ricci), quello inerente la valutazione dell’efficacia degli erbicidi contro infestazioni da Briofite, le principali DOSSIER cause di deterioramenti delle superfici musive (Bartolini) e i contributi che hanno approfondito il tema dei degradi biologici sui mosaici di Ostia antica (Roccardi), dove le diverse colonizzazioni biologiche sono state analizzate anche in relazione ai sistemi di protezione e alle specifiche condizioni microclimatiche (Fazio). Di particolare interesse le nuove tecniche relative ai rilievi grafici e fotografici, propedeutici alla redazione di un progetto di conservazione (Belhouchet) e le indagini relative alla caratterizzazione delle tessere lapidee e degli strati preparatori, anche al fine di definirne le specifiche caratteristiche fisiche e meccaniche (Starinieri) o di rintracciarne il possibile luogo di provenienza. Esemplificativi, in proposito, le indagini condotte sui tessellati di età romana a Lixus in Marocco (Dekayir) o sulle tessere vitree della Basilica di San Marco a Venezia riprodotte in laboratorio secondo una metodologia già in uso in età antica (La Delfa). Particolare attenzione è stata prestata, in questi anni ai mosaici bizantini, oggetto di studi specifici relativi alla composizione e alla tecnica di realizzazione delle tessere vitree, ai fenomeni di degrado e alla definizione di adeguati interventi di conservazione (Loukopoulou) come, ad esempio, quelli approntati sullo straordinario pannello di Caesarea Maritima in Israele, realizzato tra il VI e il VII secolo d.C. secondo la tecnica del sectile con elementi di vetro colorato e dorato e interessato già in antico da diversi fenomeni di deterioramento (Neguer). In particolare, sulle tessere vitree policrome sono state sperimentate analisi chimiche quantitative non distruttive che consentono estese indagini senza prelievo di campioni (Mazzeo). Tra i pavimenti in opus tessellatum sono stati segnalati quelli in Sant’Anastasia a Zadar, purtroppo gravemente compromessi dalla costruzione di sepolture nel XVIII e XIX secolo (Garcevic). Esempi rilevanti di opus sectile sono i pavimenti della chiesa del Monastero di Sagmata a Tebe (Doganis) e il pavimento della grande sala tricliniare della villa romana di Faragola in prossimità di Foggia, realizzato con lastre di marmo policromo di probabile formazione geologica locale, ipotesi confortata dalla caratterizzazione del litotipo (Mariottini). Lo stesso complesso è stato oggetto di recenti analisi, rilevamenti termoigrometrici e indagini geo-radar finalizzati a comprendere le cause del degrado e a definire le opportune strategie conservative in situ (Laurenti). Sempre in relazione al sectile, due posters hanno trattato, rispettivamente, il problema della tecnica esecutiva dei sectilia parietali, a tutt’oggi molto discussa, partendo dall’osservazione diretta dei reperti conservati in situ a Roma (Lugari), e il restauro della tavola bizantina che ornava il refettorio del monastero di Nea Moni nell’isola di Chio, realizzata secondo la tecnica del cosiddetto pseudo-sectile con marmi policromi (Kavvadia). Alcuni posters hanno affrontato il tema del cosiddetto “restauro del restauro”, ovvero della rimozione di interventi conservativi inadeguati effettuati sui mosaici nel corso del tempo, spesso causa di progressivi deterioramenti come, ad esempio, nel caso dei mosaici tardo-antichi conservati nel Museo Nazionale di Belgrado (Frankovic), del mosaico a ciottoli di Sicione (Karabalis), o dei mosaici greco-romani nel Museo di Alessan- dria di Egitto, sottoposti a sistematici interventi di restauro in occasione dei recenti lavori di ristrutturazione del museo (Tewfick). I restauri realizzati in antico rappresentano, invece, fonti essenziali per la ricostruzione delle metodologie e dei materiali utilizzati dalle maestranze, come attestano una serie di mosaici pavimentali a Sparta e a Loukou (Panagiotopolou). Ulteriori e preziose informazioni sulla tecnica di esecuzione del mosaico antico sono emerse in occasione del restauro dei mosaici di una domus romana a Besançon: le tracce preparatorie scoperte al di sotto della malta del nucleus e i disegni realizzati sul letto di posa dei mosaici, paragonabili a delle vere e proprie sinopie, rappresentano in tal senso una scoperta eccezionale (Chantriaux). Altri posters hanno documentato importanti cantieri di restauri tra i quali la Villa di Rabacal in Portogallo (Pessoa), i mosaici di tre chiese del VI secolo d.C. a Hippos Sussita in Israele, di cui si sta curando anche il progetto di valorizzazione (Radziejowska, Parandowska), la “Villa di Augusto” a Somma Vesuviana decorata con ricchi apparati musivi, già in parte restaurati in antico (Angelelli), i mosaici della Cattedrale di Bari (La Viola), il grande mosaico delle complesso termale di Perge in Turchia (Isikiklaia), i mosaici pavimentali del Battistero nella Basilica di Plaoshnik in Macedonia già scoperti tra gli anni ‘60 e ‘70 (Upevce) e due mosaici pavimentali conservati in Francia; il primo scoperto a Nimes, di peculiare interesse per l’eccezionale stato di conservazione che ha consentito il rilevamento di tutte le tracce relative all’esecuzione; il secondo, situato sotto la Cattedrale di Digne Les Baines (Rogliano, Breil). Infine, particolarmente attuale la problematica legata alla formazione tecnico-scientifica dei restauratori in quei paesi caratterizzati da situazioni politiche ed economiche più svantaggiate per i quali i corsi promossi da istituzioni e fondazioni straniere rappresentano una opportunità preziosa per garantire la tutela di un patrimonio straordinario, ma spesso in condizioni estremamente a rischio (Racagni, De Cesare). 33 DOSSIER Hanno collaborato a questo numero: ELEZIONI DEL COMITATO ICCM Secondo la prassi consolidata dall’ICCM, durante i lavori della conferenza si sono svolte le votazioni per l’elezione del nuovo Consiglio Direttivo dell’Associazione per il quale, sono state presentate le candidature di 17 soci. L’esito delle preferenze, espresse dai 182 votanti sui 245 soci, ha determinato la formazione del nuovo Consiglio, composto da C. Bakirtzis (Hellenic Ministry of Culture), A. Ben Abed (Institut National du Patrimoine Tunisie), E. Chantriaux (Musée Archéologique, Saint Romain en Gal, France), S. Chlouveraki (Hellenic Society for Near Eastern Studies, Athens, Greece), S. Ferdi (Algeria), G. Meli (CRPR, Palermo-Italia), D. Michaelides (University of Cipro, ICCM), R. Nardi (Centro di Conservazione Archeologica, Roma, Italia), J. Stewart (English Heritage, United Kingdom), J.M. Teutonico (Getty Conservation Institut, Los Angeles, Usa) che affiancheranno il presidente onorario Gaël de Guichen sino alla prossima Conferenza. Sono stati confermati, a pieni voti, nelle cariche di presidente D. Michaelides e di vice presidente R. Nardi a conferma del consenso e della stima di cui godono per il notevole e qualificato impegno profuso nella loro attività. L' INTERESSE DELLA STAMPA La manifestazione ha ottenuto larga eco sulla stampa, locale e nazionale. I quotidiani siciliani – Giornale di Sicilia, La Sicilia, Repubblica-Palermo, ma anche Avvenire - hanno scavato a fondo nel programma della settimana e hanno raccolto spunti da sviscerare per articoli a tema: prima fra tutte la Villa del Casale di Piazza Armerina, di cui è stato raccontato il restauro attraverso pezzi approfonditi. Le agenzie di stampa – Ansa, Italpress, Agenzia Italia – hanno parlato degli interventi internazionali, mentre Ansamed e Adn Kronos international hanno lanciato su scala mediterranea il restauro del mosaico absidale del monastero di Santa Caterina del Sinai, e raccontato la firma del protocollo d’intesa tra la Regione Siciliana e il Governatorato del Cairo che riguarda la collaborazione del CRPR al progetto di recupero del centro storico della capitale egiziana. In particolare, il Centro collaborerà all’ideazione di un Center of Urban Heritage Management of 34 Cairo per l’archivio delle aree sensibili e delle architetture; alla progettazione e restauro di un edificio storico del Cairo e alla formazione di tecnici e restauratori. Il protocollo è stato firmato, davanti ai giornalisti e alle tv locali, dal presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo e dal Governatore del Cairo, Abd El Azim Wazir. Interessanti articoli sull’intera manifestazione sono stati pubblicati da AmericaOggi, Il Giornale dell’Arte, Teknemedia, CultMagazine, SiciliaTempo, Balarm, da periodici specialistici (Archeologia Viva, Archeo), da molti siti (tra gli altri, Patrimoniosos.it, Belice.it, PalermoWeb.it, Archeogate.it, Archeologia.unifg.it, Piazzagrande.it) mentre numerosi servizi televisivi sono stati trasmessi da Rai3 – Telegiornale, RaiMed – Mediterraneo, Telegiornale di Sicilia, TRM, VideoNews, Antenna Sicilia, oltre che dal TGWeb, organo ufficiale della Regione Siciliana. Simonetta Trovato Ufficio Stampa – CRPR Maria Giovanna Agosta, Unità di ricerca per i beni archeologici Stefania Agnoletti, Opificio delle Pietre Dure, Firenze Maria Elena Alfano, Unità di ricerca per i beni archeologici Francesca Barone, Dipartimento SENFIMIZO - Facoltà di Agraria, Palermo Antonio Pensabene Bellavia, Dipartimento SENFIMIZO - Facoltà di Agraria, Palermo Giovanni Bruno, Laboratorio di Fisica ed Ambientalistica degli Interni Francesco Calabrese, Dipartimento SENFIMIZO - Facoltà di Agraria, Palermo Gabriella Cannata, Unità di ricerca per i beni bibliografici ed archivistici Antonio Casano, Direttore responsabile CRPR/InForma Roberta Civiletto, Laboratorio di Restauro manufatti di origine organica Caterina Dessy, Laboratorio di Restauro manufatti di origine organica Rita Di Natale, Unità di ricerca per i beni bibliografici ed archivistici Cosimo Di Stefano, Laboratorio di chimica Laura Ercoli, Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica-Università di Palermo Maria Lucia Ferruzza, Unità di ricerca per i beni archeologici Miranda Galletta, Laboratorio di Fisica ed Ambientalistica degli Interni Roberto Garufi, Unità di ricerca per i beni architettonici ed urbanistici e della Carta del Rischio Maria Luisa Germanà, Dipartimento Progetto e Costruzione Edilizia, Facoltà di Architettura, Palermo Donatella Gueli, Gestione delle problematiche geologiche connesse alla conservazione del patrimonio monumentale e delle cavità ad uso antropico Bartolomeo Megna, Laboratorio di Ingegneria Chimica per i Beni Culturali, DICPM-Università di Palermo Valeria Michelucci, Laboratorio di Indagini Bioarcheologiche Roberto Nardi, Centro di Conservazione Archeologica, Roma Ludovica Nicolai, Opificio delle Pietre Dure, Firenze Rosa Not, Laboratorio di Indagini Biologiche Donato Perrone, Laboratorio di Fisica ed Ambientalistica degli Interni Fernanda Prestileo, Laboratorio di Fisica ed Ambientalistica degli Interni Giovanni Rizzo, Laboratorio di Ingegneria Chimica per i Beni Culturali, DICPMUniversità di Palermo Salvatore Savoia, Segretario generale della Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo Salvatore Siano, Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” - CNR, Sesto Fiorentino (Firenze) Giuseppa Maria Spanò, Servizio Restauro Francesca Terranova, Laboratorio di Indagini Bioarcheologiche Simonetta Trovato, Ufficio Stampa – CRPR Mari Yanagishita, Opificio delle Pietre Dure, Firenze LABORIANDO L TRAME GARIBALDINE Il risorgimento della Storia Patria in mostra C. Dessy, R. Civiletto ’intervento di restauro qui trattato si inserisce in un più ampio progetto, a cui hanno partecipato i laboratori scientifici del nostro Istituto, riguardante le collezioni del Museo del Risorgimento di Palermo, seguendo metodi e criteri conservativi –dalla esposizione al monitoraggio dei beni– già sperimentati dal CRPR in altre strutture museali. Il Museo del Risorgimento, sorto nel 1892, quasi contemporaneamente a quelli istituiti in altre città del continente, ed inaugurato ufficialmente nel 31 dicembre 1918, raccoglie numerosi e preziosi cimeli risorgimentali, riguardanti soprattutto la Sicilia, a testimonianza della grande stagione epica che ha portato all’Unità d’Italia. Tra i numerosi oggetti tessili selezionati per il nuovo allestimento museografico spiccano, per valore documentario, alcuni abiti ed accessori appartenuti a Giuseppe Garibaldi, costituiti da un paio di fez, un poncho, un paio di pantofole, uno scialle femminile e la bandiera del Lombardo. La metodologia applicata su tutti i manufatti è stata quella del minimo intervento, inteso come limitazione del restauro ai soli interventi essenziali, associando ad esso i principi della reversibilità e compatibilità dei materiali a garanzia del valore della loro autenticità materica. Un’accurata riflessione è stata inoltre posta sullo scopo dell’intervento in rapporto alla destinazione delle opere scegliendo, fra le possibili modalità di conservazione, quelle che L rispettavano maggiormente la loro futura utilizzazione e collocazione, considerando che la fragilità, insieme al valore storico e simbolico dei manufatti, escludevano ogni altro possibile impiego che non fosse la mera presentazione visiva. Il nucleo di manufatti su cui sono stati pianificati gli interventi conservativi si può distinguere in due categorie tipologiche: una a carattere bidimensionale, l’altra tridimensionale. Le caratteristiche dimensionali hanno costituito, insieme ad altri fattori (la struttura materica, la tecnica esecutiva, il formato e lo stato di conservazione), una netta discriminante per stabilire i criteri di svolgimento delle operazioni necessarie. Tra gli oggetti bidimensionali che presentavano particolari problematiche vi era la bandiera tricolore del Lombardo. Questa, come altre opere della raccolta del museo, era disposta in un obsoleto espositore che ne permetteva una visione parziale e ne alterava in modo consistente l’aspetto. Per far rientrare l’esemplare nelle dimensioni della teca, notevolmente inferiori rispetto a quelle reali, ed al contempo nascondere le cattive condizioni, l’opera è stata compressa e schiacciata, determinando così la deformazione della originaria morfologia. L’oggetto si presentava fissato su un pannello in legno con chiodi di ferro distribuiti lungo le zone perimetrali, ricoperto da sottile lastra di vetro ed inquadrato da cornice 35 L LABORIANDO lignea. Con l’apertura della teca è stato possibile osservare i principali aspetti strutturali e materiali dell’opera, individuandone le parti componenti la tessitura e le tecniche di confezionamento, senza tuttavia poter ancora avere una chiara lettura sia delle dimensioni autentiche che del suo stato di conservazione, a causa della presenza di fitte pieghe e di numerose grinze. La bandiera, al centro della quale è visibile lo scudo sabaudo (croce su campo rosso), risulta costituita da tre grandi pannelli verticali in flanella di cotone, con armatura diagonale (2 lega 2), assemblati per mezzo di cuciture eseguite a macchina con filato di cotone bianco. La colorazione delle tre porzioni tessili nella sua sequenza è conforme alla codificazione sancita per il Tricolore italiano, (verde - bianco - rosso), mentre non è così per l’intensità dei toni e per le dimensioni di ogni singolo pannello, in quanto, nel periodo storico in cui il cimelio fu confezionato, (1860 ca.), questi dettati normativi non erano stati ancora formalizzati. Infatti solo in seguito, nella prima metà del ‘900, la legislazione albertina (con il Regio decreto legge del 1923) e quella costituente repubblicana del ‘48 provvederanno in merito. Tornando al restauro, per consentire le necessarie valutazioni tecniche, conservative e storiche, preliminari alla stesura del progetto di restauro è stato indispensabile aprire la teca, rimuovendo la lastra di vetro, e staccare il manufatto dal supporto ligneo al quale era stato ancorato, evitando di arrecare ulteriori danni al fragile tessuto. Durante questa procedura, estremamente delicata, si è notato, nella struttura lignea, la presenza di alterazioni di natura microbiologica ed entomologica: numerose macchie brune, fori di sfarfallamento lungo l’intero perimetro e la presenza di rosume sulla superficie tessile che hanno reso urgente un intervento di disinfestazione, eseguito in atmosfera modificata. Le prime ricognizioni eseguite ad occhio nudo e sotto microscopio stereoscopico (lo stereomicroscopio adoperato è del tipo stereo-Mikroskop “S” mit Stativ) sulla bandiera, sono state volte ad individuare il metodo più idoneo per ottenere, nel rispetto dell’opera, una sua armoniosa e decorosa lettura attraverso il dispiegamento e la stratificazione delle pieghe. La precarietà conservativa del manufatto ha indotto a scartare analisi invasive mirate a conoscere il reale stato di polimerizzazione dei materiali costitutivi (DPW), per l’eccessivo quantitativo di materiale occorrente, tuttavia, attraverso le prime osservazioni empiriche e le valutazioni derivate dalle nostre esperienze nel settore, si è potuto riconoscere che era ancora presen36 te una residua forza tensile indice di una reattività delle fibre. Questo aspetto ha spinto a procedere, attraverso l’umidità, alla distensione della superficie tessile ed alla sua pulitura. I valori di temperatura durante tutte le operazioni sono state mantenute tra i 18° e i 20° C e i valori di Umidità Relativa compresi tra il 50-60% . Durante l’analisi dei filati sono state individuate delle fibre cellulosiche e, per un ulteriore conferma della presenza di fibre di origine vegetale, ci si è avvalsi di un test di microanalisi, sottoponendo i campioni ad una soluzione iodidrica e ad un successivo trattamento con acido solforico diluito in glicerina. Sono seguiti test di stabilità del colore applicati sempre su microcampioni di tessuto, che hanno evidenziato una forte instabilità delle tinture, condizione, questa, che avrebbe reso problematica la successiva rimozione dello sporco con solventi in soluzione acquosa. A tale proposito, un’importante indagine effettuata allo scopo di fornire elementi utili a caratterizzare i vari metodi di intervento, monitorare le fasi di pulitura e successivamente calibrare le tonalità cromatiche per le tinture dei tessuti di supporto delle integrazioni, è stata la colorimetria. Sono state effettuate misure spettrofotometriche per valutare, attraverso lo strumento, le variazioni di colore determinate dalle operazioni di pulitura e messa in forma identificando punti campione rappresentativi dei colori prima e dopo gli interventi (per un maggior dettaglio si rinvia all’articolo di Bruno et. al.) In un’opera d’arte tessile uno dei problemi più difficili da superare è proprio quello relativo all’individuazione del colore essendo il tessuto composto da orditi e trame con titoli, torsioni, luminosità variegati. Le opere tessili possono avere un’armatura compatta, uniforme ed ampia, oppure presentare filati e tessitura non uniformi e regolari ed essere di piccole dimensioni. Ciò costituisce una forte difficoltà nell’impiego della strumentazione e può determinare un falsato rilevamento dei dati. Per conoscere e documentare lo stato di conservazione del manufatto è stata realizzata, su sottile film di melinex, una dettagliata mappatura mediante rilievo grafico dell’intera superficie della bandiera, individuando misure, entità e localizzazione dei danni presenti, questi ultimi identificati mediante simboli e legenda esplicativa. Le principali tipologie di degrado erano costituite da sporco particellare, di varia natura e cromia, da vistose macchie brune, con margini irregolari distribuite su diverse porzioni del tessuto, gore e depositi di ruggine. Per quello che riguarda lo sporco si poteva osservare che la maggiore concentrazione si aveva sulla parte del battente. Si evidenziavano inoltre piccoli accu- LABORIANDO nella pagina accanto: Bandiera del “Lombardo” prima e dopo il restauro della teca originaria sotto: La bandiera estratta dalla struttura lignea originaria Estremità destra della bandiera dopo la distensione della superficie. Dettaglio dei degradi: fori, lacune, macchie brune, danni fotochimici. Fase del consolidamento ad ago con velo di Lione L muli che impregnavano l’intreccio e la presenza di particellato pigmentario come sabbia, terriccio o pollini. Il deterioramento provocato da fotossidazione delle fibre si manifestava con una forte scoloritura o viraggio delle tinte originali e un indebolimento localizzato della struttura tessile. Il danno fotochimico aveva causato una distribuzione cromatica a chiazze sull’intera superficie e, in corrispondenza delle numerose pieghe, nelle zone non esposte alla luce dove la colorazione si era preservata, erano visibili effetti stancil. Numerose lacune, due delle quali di grandi dimensioni, interessavano la parte centrale e quella dell’inferitura. Per alcune di queste è stato possibile accostare le estremità e restituire una maggiore integrità al tessuto mentre per altre si trattava di vere e proprie mancanze. Le lacune erano di due tipologie: una per consunzione del tessuto e conseguente sfilacciamento dei bordi con slegature di trame e/o di orditi, e l’altra riconducibile a strappi. La bandiera presentava inoltre numerose deformazioni e raggrinzimenti che, come già accennato, modificavano la struttura globale e le originarie misure. Alcune profonde pieghe erano state create da grossolani rammendi di parti lacerate, che sovrapponevano e saldavano insieme due strati di tessuto Il dispiegamento dell’opera è stato svolto in camera umida. La bandiera è stata posizionata sopra un tavolo di cristallo e si è proceduto all’intervento di pulitura ad aria: micro e macro aspirazione, (per tale operazione è stato utilizzato un aspiratore Museum, dotato di piccoli augelli). Sono stati rimossi gli antichi rammendi ed è seguita la pulitura per via umida. L’opera è stata posta su tavola a bassa pressione, adagiata su uno strato di “tessuto non tessuto”, che ne permetteva la movimentazione senza creare traumi, sotto le zone trattate è stata inserita carta assorbente, mentre sul dritto è stata nebulizzata acqua deionizzata. La carta assorbente è stata cambiata più volte, nebulizzando e agendo localmente nei punti di maggior accumulo di sporco sempre con acqua deionizzata. Il procedimento è stato interrotto quando il residuo di sporco sulla carta era debolmente visibile. Per ricercare una sommaria ortogonalità e un ripristino delle dimensioni dell’oggetto si è sfruttata sempre l’umidità, rimettendo in asse i lati perimetrale e in dritto filo l’intreccio in “diagonale”, avvalendosi di punti di riferimento presi con fili in cotone colorato lanciati in aria dai bordi del tavolo, l’aiuto di spilli entomologici e piccoli pesi di vetro posizionati lungo il perimetro e la superficie, fino alla completa asciugatura delle fibre. La bandiera ha così riacquistato verosimilmente la forma e le misure più vicine a quelle originali – queste, dopo il trattamento, apparivano in larghezza quasi raddoppiate – pur mantenendo alcune inevitabili deformazioni, specialmente in corrispondenza delle lacune. Data la fragilità del manufatto si è reso necessario intervenire con il consolidamento totale mediante l’applicazione di un supporto/struttura portante, in velo di Lione tinto appositamente in laboratorio del colore idoneo, (per la ricerca del colore adeguato dei supporti tessili impiegati nel consolidamento ad ago, sono state eseguite varie prove di tintura, ripetute fino a quando non è stato trovato il colore idoneo utilizzando coloranti di tipo sintetico, permetallizzati). Secondo il nostro progetto, per rispondere alle diverse cromie dei tre pannelli che costituiscono la bandiera, il supporto non poteva essere unico, ma una unione dei relativi 37 L LABORIANDO colori. Questa operazione ha permesso all’oggetto di acquisire consistenza senza appesantirlo con un materiale più robusto che avrebbe provocato nuove tensioni meccaniche. Il velo è stato fissato ad ago mediante punti pioggia alternati, mentre le lacune sono state ancorate con piccole fermature, mediante filo di organzino di seta tinto secondo il colore zonale. L’esemplare è stato quindi posizionato su un tessuto di fondo analogo a quello originale per materiale ed armatura (diagonale 2 lega 2), anch’esso tinto in laboratorio, con nuance cromatiche vicine a quelle che caratterizzano oggi i tre pannelli, ma leggermente sotto tono. La scelta del tessuto di fondo in armatura “diagonale”, è stata guidata dalla volontà di ottenere, oltre che un effetto visivo di colore pieno, anche per conferire continuità visiva e di texture d’intreccio con il resto della superficie tessile; inoltre, per la peculiarità della struttura tessile questo tipo di fondo costituisce un sistema frenante, diventando esso stesso un efficace sostegno, permettendo così un numero essenziale di punti ad ago per l’ancoraggio. Infine, la bandiera è stata adagiata su un pannello in foretex (da mm. 08 di spessore), preventivamente rivestito con uno strato di mollettone in puro cotone e ricoperto da tessuto in fibra vegetale (Ghinea). Particolare attenzione è stata posta al fissaggio ad ago dell’oggetto al supporto, distribuendo i punti in modo tale da ridurre al minimo le inevitabili tensioni meccaniche. L’estrema delicatezza dell’opera ha reso indispensabile la realizzazione di una teca dedicata, idonea a rispondere,nel tempo, alle nuove esigenze conservative ed espositive; in quest’ottica il laboratorio di Fisica e Ambientalistica degli Interni, in sinergia con il nostro laboratorio, ha progettato e curato la realizzazioni di una vetrina, con microclima controllato, in grado di consentire massima sicurezza ed al contempo un’ottimale lettura estetica. BIBLIOGRAFIA L. Appolonia, S. Volpin, Le analisi di laboratorio applicate ai beni artistici policromi, Padova 1999. U. Baldin, Teoria del restauro e Unità di Metodologia, II, Firenze 1978. F. Brancato, Il Museo del Risorgimento, Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo 1997. G. Caneva, M. P. Nugari, O. Salvadori (a cura di), La biologia vegetale per i beni culturali. Biodeterioramento e Conservazione, I, Firenze 2005. A. Cazenobe, M. Bacci, M. Picollo, B. Radicati, G. Bacci, S. Conti, G. Lanterna, S. Porcinai, Non-destructive spectroscopic investigations of dyed textiles: an application to yellow dyed wool samples, in Preprints of the 13th Triennial ICOM Meeting, Rio de Janeiro 2002, pp. 238-244. R. Civiletto, C. Dessy, Il “minimo intervento”. Recupero del paliotto di Sant’Agata, in “CRPR/InForma - Rivista semestrale del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro”, 4, 2007, pp. 25-26. R. Civiletto, C. Dessy, Gestione e Prevenzione. La conservazione delle raccolte museali, in “CRPR/InForma - Rivista semestrale del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro”, 4, 2007, pp. 27-28 R. Civiletto, A. Tavella, Appunti sulla metodologia degli interventi conservativi, in Istanze espositive, istanze conservative, in I. Buttitta (a cura di), Il Potere delle cose. Magia e religione nelle collezioni del Museo Pitré, Palermo 2006, pp. 233-234. C. Quaglierini, L. Amorosi, Chimica e tecnologia dei materiali per l’arte, Bologna 1999. 38 TRICOLORE IN DETTAGLIO MISURE E CROMIE RIGENERATE G. Bruno, M. Galletta, D. Perrone Per il restauro di questo manufatto tessile antico fortemente degradato si sono riscontrate delle problematiche metodologiche nella realizzazione delle misure, avendo il manufatto cambiato le proprie dimensioni, in particolare formato e spessore, durante le differenti fasi dell’intervento. Si è ritenuto opportuno condurre l’analisi colorimetrica al fine di valutare, per via strumentale, le variazioni di colore determinate dalle operazioni di stiratura e pulitura, identificando punti campione rappresentativi delle cromie prima e dopo gli interventi. Inoltre, l’indagine è stata condotta anche per fornire indicazioni relative alla tintura del tessuto di supporto (velo di Lione). Per lo svolgimento delle indagini è stato impiegato uno spettrofotometro a contatto calibrato prima di effettuare le misure, per il nero, con trappola di luce e, per il bianco, con la piastra di riferimento in dotazione allo strumento ed impostato secondo i seguenti parametri: area di misura “SAV” (3 mm); impostazione componente speculare “SCI+SCE” (elaborazione dati con la componente speculare esclusa); componente ultravioletta attiva (UV 100%); illuminante primario D65; osservatore standard 10°. Lo spazio del colore adottato è quello CIELAB (L*a*b*, 1976) e le differenze di colore sono state calcolate secondo la formula CIELAB 1976 ΔE (L*a*b*) [1]. Le misure sono state effettuate in laboratorio in condizioni di temperatura controllata. Per evitare il contatto tra lo spettrofotometro e il tessuto e per consentire il riposizionamento dello strumento durante le successive fasi di misura è stato utilizzato un foglio in mylar (fig. 1). Tale foglio è stato posizionato sulla bandiera prima della stiratura e, in questa fase, sono stati individuati in totale 51 punti di misura, prevedendo, a seguito del probabile cambiamento dimensionale del manufatto dopo questa prima fase di intervento, l’impossibilità di ritrovare con esattezza tutti i punti originariamente campionati. Sul foglio di mylar, in corrispondenza dei punti di misura individuati, sono stati praticati dei fori di diametro leggermente maggiore rispetto all’area di misura di 3 mm. Successivamente alla fase della stiratura (fig. 2) è stato possibile individuare e rimisurare, mediante riapplicazione della maschera in mylar, 16 degli originari 51 punti campionati, di cui 5 punti sulla parte rossa, 6 sulla parte bianca (di cui 2 sulla parte verde e 2 sulla parte rossa dello stemma sabaudo) e 5 sulla parte verde. Infine, a restauro ultimato, si è proceduto alla ripetizione delle misure sui 16 punti campione. Per ogni punto le misure sono state eseguite rispettivamente a 0°, 45° e 90° nel verso del lato corto della bandiera, effettuando poi la media sui tre angoli di misura [2-4]. Per l’acquisizione delle misure è stato posto un LABORIANDO Fig. 1 L cartoncino nero sotto al tessuto, al fine di considerare soltanto la radiazione riflessa da parte della bandiera e non dalla superficie sottostante, dal momento che il tessuto si presentava non sufficientemente compatto (ordito e trama). Si riportano le coordinate colorimetriche (fig. 3), unitamente alle curve di riflettanza, forniscono una misura oggettiva del colore, misura effettuabile anche in seguito per monitorare l’eventuale successivo degrado dell’opera. In questo contesto le misure sono servite a monitorare l’intervento di restauro. Da tenere presente che grandi variazioni di colore ΔE, superiori a 3-4 unità, indicano eccessivi scolorimenti delle già deboli cromie. Dall’analisi dei risultati ottenuti nella prima fase di misura (prima della stiratura) si è potuta confermare l’entità dell’alterazione cromatica del tessuto (dovuta all’esposizione alla luce e al deposito di particellato), soprattutto per quanto concerne la porzione bianca e quella verde, che hanno presentato curve di riflettanza e coordinate colorimetriche molto lontane da quelle identificative di queste cromie. La porzione rossa è risultata essere quella maggiormente identificabile dal punto di vista cromatico e spettrale. Fig. 2 Fig. 3 BIBLIOGRAFIA Fig. 4 C. Oleari (a c. di), Misurare il colore, Milano 2002. M. Picollo, B. Radicati: Probe-Heads for Reflectance Measurements on Paintings and Textiles, in A. G. Mignani, H.C. Lefèvre (eds.) OFS2000. 14th International Conference on Optical Fiber Sensors (Venezia, 11-13 Oct. 2000), SPIE 4185, pp. 432435. I. Cazenobe, M. Bacci, M. Picollo, B. Radicati, G. Bacci, S. Conti, G. Lanterna, S. Porcinai, Non-destructive spectroscopic investigations of dyed textiles: an application to yellow dyed wool samples, in Preprints of the 13th Triennial ICOM Meeting, Rio de Janeiro 2002, pp. 238-244. M. Bacci, I. Cazenobe, M. Picollo, S. Porcinai, B. Radicati, Non-destructive spectroscopic investigations of dyed textiles, in Proceedings of the 3rd International Conference on Science and Technology for the safeguard of cultural heritage in the Mediterranean Basin (Alcalà de Henares, 9-14 jun. 2001), Alcalà de Henares 2003, pp. 267-271. 39 L LABORIANDO LA BANDIERA DEL LOMBARDO NOTA STORICA Salvatore Savoia* due piroscafi a vapore Piemonte e Lombardo dell’armatore Raffaele Rubattino, varati nel 1841, erano stati acquistati da Giacomo Medici per conto di Giuseppe Garibaldi con un atto segreto stipulato il 4 maggio del 1860, immediatamente a ridosso della partenza da Quarto della spedizione dei Mille. Secondo altre ricostruzioni, l’armatore sarebbe stato all’oscuro dell’operazione. 1.089 gli uomini a bordo, e solo una donna, Rosalia Montmasson, moglie di Crispi. Dopo una tappa a Talamone sulla costa toscana, dove si imbarcarono altri volontari e soprattutto si caricarono armi e qualche cannone, le due navi riuscirono ad entrare nella piccola rada del porto di Marsala, superando la pigra protezione della ben più forte flotta napoletana ed approfittando, probabilmente, della complicità della marina inglese presente al largo. L’elemento sorpresa, unito alla apatia delle armate napoletane, malgrado le cancellerie di mezza Europa avessero avuto sentore dell’evento, fece sì che l’attacco riuscisse: “un atto di pirateria flagrante veniva consumato l’11 maggio mercè lo sbarco di gente armata alla marina di Marsala. Posteriori rapporti hanno chiarito essere la banda disbarcata di circa ottocento, e comandata da Garibaldi” affermò quel giorno il giornale locale. Le navi, comunque, furono entrambe colpite dalle truppe napoletane. II Piemonte fu devastato e quasi portato in trofeo al comando borbonico; il Lombardo, al cui comando era Nino Bixio, rimase semi affondato nel porto di Marsala. Garibaldi non aveva via di ritorno. Doveva proseguire. E lo fece. Due mesi dopo, il Lombardo fu rimorchiato fino a Palermo per essere ristrutturato e rimesso in grado di navigare. L’avrebbe fatto con onore per altri tre anni, fino al marzo del 1864, quando, questa volta sotto le insegne del neonato Regno d’Italia, fu adibito al trasporto di merci ma anche di detenuti destinati alle colonie penali. Il 3 marzo del 1864 iniziò l’ultimo viaggio: il Lombardo era partito da Ancona con truppe e detenuti destinati alle Isole Tremiti. Una secca intorno all’isolotto di San Domino lo bloccò. fin quando una tempesta, nella notte del 19 marzo, gli spezzò la chiglia facendolo naufragare. II suo relitto giace tuttora al largo delle Tremiti. Si parla ancor oggi di un suo recupero. Una lettera emersa in questi giorni dagli archivi della Società Siciliana per la Storia Patria, riporta alla luce l’ultimo frammento di questa vicenda. Il Museo del Risorgimento di Palermo custodisce, infatti, da sempre la bandiera del Lombardo, il cui restauro è stato di recente eseguito dal Centro Regionale per la Progettazione ed il Restauro. Una lettera, datata 27 maggio 1929, su carta intestata Villa Malfitano, Palermo, indirizzata da Joseph Whitaker (più noto come “Pip”) celebre imprenditore britannico, I 40 mecenate della cultura e proprietario dell’isola di Mozia, al Presidente della Società Siciliana per la Storia Patria, così si esprimeva: Illustre Professore, in questa fausta ricorrenza, scrivo a Lei, Presidente della nostra benemerita Società di Storia Patria, per notificarvi che mia cognata, la Signora Eufrosina Whitaker ed io, proprietari detta Ditta Ingham Whitaker & C. di Marsala, offriamo in dono alla sopradetta Società la bandiera che portava al suo arrivo in Marsala l’ 11 maggio 1860, la storica nave Garibaldina, il Lombardo. La detta bandiera, portata, dice la tradizione, la stessa sera dello sbarco dei Mille allo stabilimento Ingham di Marsala è stata da esso gelosamente custodita fino ad oggi come prezioso ricordo. Preoccupati però dell’ulteriore custodia avvenire dello storico cimelio, e pensando che in nessun luogo esso potrebbe trovare una più degna dimora, ci siamo decisi di offrirla alla Società della Storia Patria. La bandiera arriverà da Marsala fra qualche giorno e sarà cura mia di fargliela pervenire. La prego di gradire i miei ossequi. J. Whitaker Quasi ottant’anni dopo questa lettera, e all’approssimarsi del centocinquantennio della vicenda storica di cui la bandiera fu testimone, essa ritorna a casa, rimessa a nuovo. Per far ricordare alle generazioni future un storia antica e ancora emozionante. (*) Segretario generale della Società Siciliana per la Storia Patria LABORIANDO L ANDRIENNE, LIVREE e “VECCHI” ACCESSORI protocolli di conservazione per il guardaroba nobiliare del Museo Pepoli R. Civiletto, C. Dessy l sempre crescente rilievo acquisito, a livello internazionale, dall’arte tessile nel settore dei beni culturali, ha suscitato recentemente anche in Sicilia una serie di studi scientifici e di iniziative pubbliche e private, volte alla sensibilizzazione e alla tutela del patrimonio tessile locale considerato, oltre che per il suo valore artistico e culturale, anche per l’importanza documentale che testimonia il fasto e il gusto decorativo della società siciliana nel corso dei secoli. In questa ottica di mutato e riconosciuto interesse verso tale settore, nel quale gioca un ruolo importante la storia del costume, il Museo Regionale Pepoli di Trapani ha in programma, per l’autunno 2009, una mostra dal titolo Preziosi abiti tra rococò e romanticismo, il cui principale intento è quello di rendere noto al più vasto pubblico un piccolo nucleo di abiti ed accessori, sino ad ora conservati nei magazzini, collocabili in un periodo storico compreso tra il 1775 e 1840 circa. Le precarie condizioni conservative di tali manufatti non avrebbero consentito una loro immediata esposizione e ciò ha sollecitato il coinvolgimento del Laboratorio di Restauro Manufatti di Origine Organica del CRPR che ha elaborato un articolato e completo progetto conservativo: il percorso pianificato, passando dall’approccio diagnostico all’intervento di restauro, sviluppa anche soluzioni conservative mirate all’idonea esposizione e al corretto immagazzinamento delle opere, riservando inoltre una particolare cura all’ideazione di manichini appositamente disegnati da realizzare per l’allestimento museale. I capi, cinque in tutto, alcuni di questi, provenienti dai guardaroba di due nobili famiglie trapanasi - i Curatolo e i Ponte -, sono costituiti da due abiti femminili appartenenti alla categoria vestimentaria detta Andrienne (databili entrambi attorno all’ultimo quarto del Settecento), da una veste femminile tradizionalmente individuata come abito nuziale (presumibilmente ascrivibile al 1840) e da due livree per servitù, o forse per dipendenti pubblici, di inizio Ottocento (queste ultime acquistate direttamente dal Museo). Ai manufatti si associano ancora altri accessori: un ventaglio con pagina in carta decorata a stampa, stecche in osso traforato e dorato, e un paio di calzature femminili in cuoio, riferibili entrambi al XIX secolo. Gli esemplari, attraverso la loro foggia e l’alta qualità dei tessuti impiegati per il confezionamento, raccontano delle abitudini, dello stile di vita, del lusso imperante fra l’aristocrazia trapanese. La conservazione di manufatti tanto fragili, particolarmente suscettibili agli agenti di degrado, costituisce uno degli aspetti più impegnativi da affrontare sia sotto il I profilo metodologico sia sotto quello pratico. Tale aspetto è strettamente connesso a quello di uno studio che, partendo da analisi puntuali, capaci di individuare l’oggetto nelle sue caratteristiche materiche, tecniche e decorative, riesca a cogliere anche le ragioni storiche che permettono la sua collocazione in un quadro di più ampie relazioni e valutazioni. Poter disporre di studi completi e attendibili è sempre il migliore punto di partenza per una corretta azione conservativa, che deve tener conto il più possibile del contesto storico-geografico che ha fatto giungere fino a noi l’opera. Seguendo tale criterio, sui manufatti sono state quindi raccolte tutte le informazioni possibili, come la tecnica sartoriale, l’individuazione di manomissioni o riparazioni pregresse, il riconoscimento del tipo di fibra e delle tecniche di tessitura. Attraverso alcune indagini diagnostiche, effettuate dai laboratori scientifici del Centro, siamo riusciti anche conoscere la natura e l’estensione dei fenomeni di degrado dovuti all’usura, ad una non idonea conservazione, oltre che ad agenti ambientali. Contestualmente agli interventi di restauro in atto, per il nucleo di abiti è stato studiato un sistema di immagazzinamento per garantire ai beni, dopo il trattamento, le migliori condizioni di conservazione. Pertanto è stata progettata una particolare tipologia di cassettiera, realizzata con materiali a basso impatto ambientale, con un sistema di controllo del microclima al suo interno, in cui disporre, nel rispetto della loro volumetria, i costumi e gli altri accessori durante l’alternarsi del periodo di esposizione. La soluzione conservativa, grazie alle sue caratteristiche tecniche, (guide scorrevoli telescopiche, frontali dei cassetti con vetro antisfondamento e battente, fondelli dei cassetti in lamiera forata inox facilmente estraibili dopo l’apertura) permetterà, tenendo conto degli aspetti legati alla sicurezza, una facile ispezione dello stato di integrità delle opere ed anche un soddisfacente approccio visivo da parte degli studiosi del settore. 41 F FORMAZIONE LEGHE E METALLI Tirocinio didattico sulle metodologie di restauro Ludovica Nicolai* Nell’anno accademico 2007-2008, strutturato all’interno del Corso di Laurea in Restauro e Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Palermo, si è svolto presso i laboratori del CRPR il tirocinio su metalli e leghe. Va detto preliminarmente che il campo del restauro dei manufatti in metallo è molto ampio poiché prevede la conoscenza non solo dei singoli metalli e delle loro leghe, ma anche delle diverse tecniche di lavorazione; fondamentale è poi conoscere i processi di degrado a seconda dei fattori ambientali. Per introdurre gli studenti a questo tipo di problematiche, sono state presentate, con l’ausilio di immagini, varie tipologie di opere d’arte con differenti livelli di degrado e illustrate le metodologie di restauro di volta in volta adottate. La parte preponderante del tirocinio si è svolta nei laboratori di restauro del CRPR dove gli studenti hanno affrontato le varie fasi operative relative al restauro e hanno potuto lavorare direttamente su oggetti costituiti da vari metalli. Quest’anno si sono avuti a disposizione numerosi oggetti liturgici provenienti dalla chiesa di rito greco di S. Nicola di Mezzojuso, comune del palermitano. Gli studenti, sia singolarmente che in piccoli gruppi, hanno portato a termine l’intervento, corredandolo di scheda di restauro e documentazione fotografica. In questo modo ognuno ha potuto studiare l’oggetto, conoscerne i materiali costitutivi e lo stato di conservazione, discutere e decidere l’intervento più appropriato. Nel corso del tirocinio è stata organizzata una visita al Centro per la Protezione Ambientale e l’analisi dei materiali diretto da Rosario Alaimo, durante la quale l’esperto Renato Giarrusso ha illustrato agli studenti alcune tecniche di indagine analitica su campioni provenienti da opere in metallo. Sono stati organizzati, inoltre, due seminari che approfondissero la conoscenza degli studenti su alcuni temi inerenti agli argomenti del tirocinio: nel primo, Mari Yanagishita ha illustrato il restauro della “Sfera d’oro”, preziosissimo oggetto di oreficeria sacra, dove fondamentale è stato l’uso della saldatura con apparecchiatura laser; il secondo, tenuto da Stefania Agnoletti, ha riguardato la tecnologia della fusione in bronzo e le tecniche di patinatura. Il tirocinio si è concluso con una discussione finale che ha riguardato, in generale, l’approccio al restauro dei manufatti in metallo e, in particolare, la valutazione delle diverse metodologie di pulitura a seconda del tipo di metallo e i differenti materiali usati in laboratorio in relazione alle problematiche da risolvere. * Opificio delle Pietre Dure, Firenze. 42 F FORMAZIONE SUI MANUFATTI BRONZEI Fusione, rinettatura, tecniche di patinatura e aspetti conservativi Stefania Agnoletti* el corso del seminario sono state illustrate le tecniche di patinatura del bronzo che costituiscono l’ultimo trattamento che viene eseguito sulla superficie di una scultura, qualora si voglia dare una valenza cromatica diversa da quella che la lega ha naturalmente. Per comprendere il senso di una finitura e il substrato sul quale viene applicata sono state trattate le varie fasi di lavorazione che portano alla realizzazione di un manufatto scultoreo partendo dalla descrizione delle due principali tecniche fusorie adottate sin dall’antichità: il metodo diretto, secondo il quale si modella la cera sull’anima di terra e alla fine non si ha salvo il modello, e il metodo indiretto secondo il quale si parte da un modello, realizzato in vari materiali (creta, cera, gesso, legno), che può essere conservato. La lega impiegata può avere una composizione diversa che influirà sul risultato della patinatura se effettuata chimicamente: sono perciò state indicate in sintesi le caratteristiche delle leghe più frequentemente adottate dall’antichità all’epoca moderna. Dopo la fusione la superficie del bronzo deve essere accuratamente rinettata in modo da eliminare i canali di colata, gli sfiatatoi, le creste di fusione e i chiodi distanziatori; oltre a ciò può essere necessario intervenire per effettuare alcune riparazioni realizzando tasselli e saldature. La lavorazione prosegue con la levigatura che potrà essere portata a più livelli a seconda che si voglia una superficie liscia o scabra: in passato si usavano pietre di varia durezza e sabbie di diverse granulometrie, oggi i tempi si sono abbreviati grazie all’uso della sabbiatura e delle mole, ma resta comunque una fase che richiede molto tempo. Affrontando l’argomento della patinatura si è cercato di capirne le ragioni da un punto di vista tecnico ed estetico. La superficie del bronzo dopo la fusione e la rinettatura può non risultare omogenea per la presenza di riparazioni, il bronzo poi varia il suo colore in conseguenza di reazioni chimiche ed elettrochimiche che si verificano una volta che il metallo è in contatto con l’ambiente ma, oltre a queste ragioni pratiche, dare un colore al bronzo può essere un preciso intendimento estetico. Le tecniche per patinare una superficie metallica comportano lo svolgimento di reazioni chimiche prodotte con trattamenti effettuati a caldo oppure a freddo e a moderata temperatura che, mediante l’azione di sali e acidi, danno luogo alla formazione di composti con diverse colorazioni. Si può, altrimenti, ottenere una patinatura mediante la stesura di un film con caratteristiche di trasparenza, corposità e composizione estremamente variabile a seconda dell’effetto che si vuole ottenere. Già dall’antichità sono ben conosciuti questi diversi metodi e sono vari gli accenni ai trattamenti di superficie che possiamo rintracciare nelle fonti: sappiamo così che gli antichi lucidavano periodicamente alcuni manufatti perchè mantenessero N Copia del David del Verrocchio, Fonderia Marinelli (Barberino Val d'Elsa, Firenze). Passaggio con la spugna imbevuta di acqua durante la patinatura chimica a fiamma lucentezza, che li proteggevano con bitume perchè non si alterassero, che effettuavano trattamenti con oli che producevano col tempo una patina scura e avevano a disposizione molte sostanze chimiche per ottenere varie colorazioni anche se difficilmente, per le sculture, ricercavano gamme diverse dai bruni. Nel corso del seminario sono stati portati alcuni esempi di ciò che si può ottenere impiegando le tecniche qui citate e dell’uso che vari artisti di diversa epoca ne hanno fatto; alcune sequenze fotografiche hanno cercato di rendere la complessità della patinatura normalmente effettuata nelle fonderie con l’ausilio della fiaccola per ottenere le colorazioni brune ed alcune tonalità di verde, che sono le cromie più utilizzate nella produzione statuaria anche contemporanea. Dal punto di vista conservativo col termine patina viene definito lo strato eterogeneo che si forma sulla superficie del bronzo in conseguenza dell’esposizione agli agenti esterni; questo strato non sempre conterrà informazioni sui costituenti la patinatura originaria: sarà molto difficile, per esempio, nel caso di una scultura esposta in esterno, più possibile nel caso di un bronzo conservato in ambiente confinato. Dobbiamo però tenere presente che eventuali puliture drastiche possono avere cancellato testimonianze della finitura originale e che, per esempio nel caso dei bronzetti, a volte sono state effettuate per esigenze conservative o estetiche nuove patinature i cui componenti possono essere simili a quelli impiegati in origine. Le indagini analitiche di cui oggi possiamo disporre sono un supporto essenziale per ricavare le informazioni utili per una buona conservazione del manufatto e per uno studio tecnologico attendibile. * Opificio delle Pietre Dure, Firenze. 43 F FORMAZIONE LA “SFERA D’ORO” Il restauro dell’ostensorio dell’Olivella Mari Yanagishita* l restauro dell’ostensorio dell’Olivella1, capolavoro seicentesco dell’oreficeria conservato nella Galleria Regionale di Palermo, è stato effettuato tra il 1999 e il 2002 nel laboratorio di restauro delle oreficerie dell’ Opificio delle Pietre Dure di Firenze 2. Questo intervento ha rappresentato un caso singolare nel campo del restauro delle oreficerie per la gravità dello stato di conservazione, caratterizzata dall’altissima frammentarietà dei pezzi, estremamente deformati e fratturati, e per l’inedita tecnica di intervento impiegata per il recupero, cioè Fig. 8 la saldatura a mezzo laser. Lo splendido ostensorio barocco, realizzato in oro 3, argento dorato4, smalti5 e numerosi diamanti 6 di altissima qualità (attualmente sono 717), è stato sottoposto ad una sistematica distruzione attraverso colpi violenti, piegature e strappi a seguito di un furto avvenuto tra il 1870 e il 1871: l’oggetto fu barbaramente ridotto in frammenti per essere occultato e rivenduto in pezzi (Fig. 1). Dopo più di un secolo che i preziosi “resti” giacevano nei depositi del Palazzo Abatellis, nel 1999 l’allora direttore della Galleria, Vincenzo Abbate, ha Fig. 7 contattato il Settore delle Oreficerie dell’Opificio delle Pietre Dure per sottoporre alla attenzione dei responsabili del settore i materiali fotografici che documentavano lo stato del manufatto. Successivamente, in seguito a un sopralluogo in loco fu deciso di valutare la possibilità di un recupero. Nessuno aveva idea dell’aspetto originale dell’opera perché non è pervenuta fin’ora alcuna documentazione che ne tramandasse l’immagine, pertanto una ricostruzione “virtuale” attraverso la rappresentazione grafica dell’opera fu fissata come primo e forse unico e definitivo obiettivo da raggiungere. L’Ostensorio ci fu consegnato in circa trecento frammenti, imballati in ventotto pacchetti, alcuni dei quali etichettati con la dicitura “minutaglie”. I 44 Una volta compiute la catalogazione e la campionatura dei frammenti, è stato effettuato lo smontaggio dei pezzi rimasti precariamente attaccati: in tal modo i frammenti sono diventati quasi mille. Attraverso l’osservazione della forma, della dimensione, della presenza di viti, dadi e perni, dei fori e delle rispettive distanze tra questi ultimi, verificate tutte le linee di frattura al microscopio, è stato possibile ricostruire graficamente il manufatto: per la prima volta dalla distruzione dell’opera si poteva “vedere” finalmente l’immagine, nonché riscontrarne le effettive dimensioni e le lacune (Fig. 2). A questo punto non si poteva rinunciare al vero recupero dell’Ostensorio. Come già accennato, la gravità dello stato di conservazione dell’opera consisteva soprattutto nella deformazione (Fig.3) e nella frammentarietà (Fig.4). Per affrontare il primo problema, cioè il ripristino formale attraverso raddrizzamenti meccanici dei pezzi, sono stati impiegati strumenti tradizionali, quali martelli di vario tipo, in una azione graduale consistente nella distribuzione del minor numero possibile di sollecitazioni meccaniche preventivamente studiate per limitare gli stress, e con l’ausilio di apporto termico mediante irraggiamenti infrarossi (fino ad incirca 70°C). Spesso si è resa necessaria la realizzazione di “controforme” in legno o metallo per ogni fase di raddrizzamento ed effettuarne il ripristino attraverso pressioni applicate mediante una morsa sui singoli pezzi. Per risolvere il secondo problema, invece, è stata applicata una tecnica d’intervento assolutamente inedita: la saldatura a mezzo laser. Per individuare i requisiti di tenuta meccanica e qualità estetica nella ricongiunzione di migliaia di frammenti caratterizzati da sezioni molto ridotte, mediamente 0,7 mm di spessore, è stata effettuata una lunga ricerca sulle possibili tecniche da attuare. Eliminate le possibilità di applicazione delle tecni- F FORMAZIONE che tradizionali come la saldatura a stagno-piombo, o l’incollaggio attraverso l’uso di resine aventi diverse caratteristiche per la loro scarsa efficacia, sia dal punto di vista estetico sia da quello meccanico, si è iniziata a prendere in considerazione la saldatura laser, di cui era già noto l’utilizzo solo in campo odontotecnico e nelle più avanzate industrie orafe. Una volta avuta visione della macchina e del suo funzionamento si è consolidata la convinzione dell’opportunità di intraprendere questa nuova tecnica le cui premesse lasciavano intravedere la risposta più adeguata al restauro dell’Ostensorio palermitano. Si è, quindi, iniziato lavorando su campioni preparati allo scopo, effettuando numerose simulazioni per mettere a punto i parametri e le modalità di intervento idonee ai vari casi 7. I risultati di questa ricerca empirica, sono stati poi confermati dall’IFAC-CNR (Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” del Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Firenze, il quale ha successivamente effettuato alcune indagini scientifiche sui campioni. La saldatura a mezzo laser avviene sotto osservazione al microscopio binoculare in ambiente inerte creato dalla emissione di gas argon. La perfetta messa a fuoco del punto interessato è fondamentale per la buona riuscita dell’intervento perché attraverso essa viene determinata la giusta distanza tra l’oggetto e la sorgente laser (Fig. 5). I vantaggi tecnici che offre la saldatrice laser sono numerosi e soprattutto insostituibili: la possibilità di effettuare la saldatura tenendo in mano i pezzi sotto il microscopio e quindi di controllare il giusto attacco e l’inclinazione dei frammenti; la possibilità di focalizzare punti di saldatura molto piccoli (0,25-2,5mm di diametro) e quindi di poter saldare anche in prossimità degli smalti, delle pietre, della doratura e di altri componenti del manufatto; la velocità dell’operazione; la possibilità di perfezionare l’andamento tridiFig. 1 Fig. 5 Fig. 3 mensionale degli oggetti sottoposti all’intervento. L’irreversibilità delle tracce della saldatura a mezzo laser è stata giudicata irrilevante, in quanto non appariva auspicabile in alcun caso il ritorno alle condizioni precedenti, quanto invece lo era il consolidamento dell’opera. Solo dopo aver effettuato molte prove sui campioni, considerati attentamente i vari fattori che condizionano l’esito finale dell’operazione e messi a punto i vari parametri operativi per ogni condizione di intervento, si è cominciata a effettuare la saldatura sui pezzi originali. Sono stati ben ottocento i punti dove si è intervenuti con la saldatura laser: a ciascuna zona di intervento, corrisponde un numero generalmente molto elevato di punti di saldatura. Ognuno di questi punti era caratterizzato da una densità materica diversa da tutti gli altri poiché i punti da congiungere sono il risultato di fratture avvenute in seguito alle più svariate sollecitazioni meccaniche e quindi, i lembi da ricongiungere erano sgranati e frastagliati. Per questo motivo, si è reso necessario reimpostare i parametri operativi (tempo, intensità, spot), per ogni irraggiamento laser: ciò costituisce una prassi operativa che differenzia interventi come quello in questione da altre applicazioni produttive che utilizzano il laser, dove la densità materica delle parti da unire è generalmente costante e i parametri di saldatura possono essere automatizzati. Altro momento significativo per il recupero di quest’opera è stato quello della integrazione 8 delle numerose parti mancanti o danneggiate, soprattutto quelle strutturali e interessate al sistema di assemblaggio. Per ripristinare l’integrità dell’opera sono stati realizzati oltre 160 pezzi, aventi forma e funzioni varie, come, per esempio, i tubi da inserire all’interno delle parti strutturali allo scopo di rinforzare la tenuta, i prolungamenti delle viti, dadi aventi testa a forma di fiore, perni, agganci etc. Tali integrazioni, attualmente quasi invisibili, sono state realizzate per mezzo di lavorazione di fili e lastre in argento e in oro e in alcuni casi saldati a laser. Le integrazioni degli elementi “visibili”, invece, hanno riguardato i tre elementi fitomorfi sul piede e tre elementi vegetali sulla parte intermedia del fusto. Questi elementi sono stati realizzati in argento dorato 9 mediante fusione Fig. 4 45 F FORMAZIONE Fig. 2 a cera persa da modelli ottenuti dalla calcatura con elastomeri siliconici da elementi originali10. Le integrazioni degli elementi a volute fitomorfe erano indispensabili perché essi costituiscono supporto degli angeli alati del piede. Le integrazioni degli elementi vegetali nella parte intermedia del fusto si sono rese necessarie per questioni di ordine estetico in quanto le lacune di questa area avrebbero squilibrato la lettura della intera opera. Osservando l’ostensorio dopo il restauro non è spesso possibile individuare i molti interventi di saldatura poiché la maggior parte di essi riguardano parti che risultano invisibili una volta assemblato l’oggetto (Fig.6). Anzi, nonostante l’effetto spettacolare del risultato raggiunto, sono stati soprattutto gli interventi non visibili a consentire di fatto il recupero di quest’opera nella sua struttura e nella sua forma originaria. Si tiene a precisare che dopo l’intervento tutti gli elementi dell’Ostensorio sono ritornati ad essere smontabili come erano stati realizzati dall’autore, mediante avvitatura, imperniatura ed incastri. Infatti sono state saldate solamente le linee di frattura nel rispetto della tipologia costruttiva originale (Fig.7). Poiché la tecnica di saldatura utilizzata costituiva nel campo del restauro in oreficeria uno strumento inedito e mancando conseguentemente qualsiasi riferimento a proposito, si è deciso di effettuare alcune prove di carico, in particolare sul ricettacolo raggiato, per verificarne la resistenza una volta sottoposto al peso degli elementi decorativi che deve sostenere. Per tali prove sono state applicate su ogni raggio lastre di piombo aventi pesi leggermente superiori rispetto agli elementi decorativi originali: le prove di carico sono state superate (Fig.8). La tecnica di saldatura a mezzo laser, acquisita nell’esperienza del restauro dell’Ostensorio, è stata in seguito utilizzata in numerosi altri restauri: è attualmente considerata indispensabile, in alcuni casi specifici, nel laboratorio delle oreficerie dell’O.P.D11. * Restauratrice, Firenze - (mariyanagi.yahoo.it) 46 Fig. 6 IL PERCORSO DEL RECUPERO DELL’OSTENSORIO PUÒ ESSERE SINTETIZZATO NELLE SEGUENTI OPERAZIONI: 1. Catalogazione campionatura di tutti i frammenti, con lo scopo di individuare la loro collocazione originaria. 2. Smontaggio totale negli elementi costitutivi dei pezzi rimasti precariamente assemblati. 3. Realizzazione grafica di una immagine “virtuale” dell’opera. Tale ipotesi di ricostruzione era il primo obiettivo di questo restauro in assenza di qualsiasi documentazione che ci tramandasse l’aspetto originario dell’Ostensorio. 4. Ripristino formale dalle deformazioni (raddrizzamenti meccanici). 5. Ricongiungimento delle fratture mediante la saldatura a mezzo laser preceduto dalle sperimentazioni su campioni. 6. Consolidamento ed integrazioni strutturali mediante la realizzazione dei pezzi in argento e argento dorato (tubi strutturali, viti, perni, ganci e dadi). 7. Pulitura. 8. Consolidamento degli smalti. 9. Incollaggio dei diamanti. 10. Integrazione di alcuni elementi figurativi in argento dorato realizzati mediante la fusione a cera persa dal modello prodotto mediante la calcatura sugli elementi originali con elastomeri siliconici. 11. Prove di carico al fine di verificare l’efficacia della saldatura laser. 12. Rimontaggio finale. * l’operazioni 4 e 5 spesso sono state effettuate parallelamente. F FORMAZIONE NOTE BIBLIOGRAFIA: L’ostensorio raggiato è stato realizzato tra il 1640 e il 1641 dall’orafo palermitano, Leonardo Montalbano (Abbate 2003, pp.34-59). Abbate et. al. 2001 V. Abbate, C. Innocenti, L. Masotti, G. Pieri, M. Yanagishita, A. Zanini, Prime considerazioni sulla saldatura con il laser nel restauro di una oreficeria: il caso dell’ostensorio di Palermo, in “O.P.D. restauro” , Rivista scientifica dell’Opificio delle pietre dure, 13, 2001, pp. 35-59. 1 2 Il restauro è stato finanziato dalla Regione Siciliana e dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. La direzione del restauro è stata di Clarice Innocenti, il restauro stesso è stato eseguito da Mari Yanagishita con la consulenza e il contributo del Giogo Pieri. Le analisi scientifiche sono state effettuate dal Laboratorio Scientifico dell’O.P.D; Consulenza per gli aspetti fisici di Roberto Pini, Istituto di Fisica Applicata del CNR di Firenze; Analisi gemmologiche di Renza Trosti Ferroni, Chiara Emiliani, Giulio Russo, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Scienza della terra; Fotografie: Alfredo Aldrovandi, Marco Brancatelli dell’O.P.D. Dalla analisi non distruttiva e semiquantitativa effettuata mediante il SEM la lega dell’oro dell’Ostensorio è mediamente 875/1000 (titolo comune odierno è 750/1000). 3 Dall’analoga analisi effettuato sull’oro la lega media dell’argento utilizzato risulta 940/1000 (titolo comune odierno è 925/1000). 4 5 Per i risultati delle numerose analisi effettuate sugli smalti (Lanterna 2003, pp. 153-158). Per i risultati delle analisi sui diamanti (Trosti Ferroni, Russo 2003, pp. 159-161). 6 Il sistema laser da noi utilizzato per la saldatura dei metalli è a Neodimio:YAG, laser a stato solido (cristallo) con emmissione nel vicino infrarosso alla lunghezza d’onda di 1064 μm. I parametri operativi da impostare sono: durata d’impulso \ da 1 ms a 20 ms ( ms = millisecondi ); tensione \ da 200 v a 450 v ( v = voltage ); dimensione del punto di saldatura (sopt) \ da 0.25mm a 2.5mm. Per approfondimenti tecnici sulla saldatura a mezzo laser (Yanagishita 2008, pp.75-85). 7 L’integrazione viene effettuata, nel laboratorio delle oreficerie dell’OPD, in linea di principio, solo nei casi di necessità strutturale dove altrimenti i pezzi originali non possono essere assemblati. Le lacune esclusivamente decorative non vengono generalmente integrate per rispettare l’autenticità dell’opera. Si fa eccezione, nei limiti del possibile, nei casi in cui tale lacune risultino troppo deturpanti da compromettere la lettura della opera. 8 I pezzi di integrazione realizzate in argento dorato si differenziano dagli originali per l’assenza degli smalti. 9 La calcatura è stata effettuata attenendosi rigorosamente il protocollo realizzato dal Laboratorio Scientifico dell’O.P.D. 10 L’applicazione di questa tecnica nel restauro deve essere effettuata esclusivamente dopo la fase simulativa di intervento preparando campioni che abbiano uno stato chimico-fisico simile a quelli originali poiché la propagazione del calore all’interno del metallo si differenzia a seconda di molteplici fattori. Tale simulazione è fondamentale anche per verificare l’aspetto estetico delle tracce di saldatura e la loro resistenza meccanica. 11 Abbate 2003 V. Abbate, La sfera d’oro, in La sfera d’oro. Il recupero di un capolavoro dell’oreficeria palermitana, Catalogo della mostra (Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, 10 aprile-20 luglio 2003), a c. di V. Abbate e C. Innocenti, Napoli 2003, pp. 34-59. Innocenti et. al. 2003 C. Innocenti, G. Pieri, M. Yanagishita, R. Pini, S. Siano, A. Zanini, Application of laser welding to the restoration of the ostensory of the martyr St.Ignatius from Palermo. Atti del IV Incontro internazionale di LACONA, Paris, 11-14 settembre 2001, “Jounal of Cultural Heritage”, IV, 2003, suppl. I, pp. 362366. Innocenti 2003 C. Innocenti, un’esperienza senza precedenti nel restauro delle oreficerie, in La sfera d’oro,cit, pp. 99-109. Innocenti, Yanagishita 2007 C. Innocenti e M. Yanagishita, Il restauro della crocetta in argento e smalti, in Il Cristo ritrovato dalla Basilica dei Santi Felice e Fortunato di Aquileia alla Cappella Bresciani di Cervignano del Friuli. Confronti e restauri, a c. di S. Blason Scarel, Aquileia 2007, pp. 196-207. Lanterna 2003 G. Lanterna, Le analisi scientifiche sull’ostensorio, in La sfera d’oro, cit, pp. 153-158. Pini 2003 R. Pini, Caratterizzazione della tecnica di saldatura laser per l’impiego nel restauro, in La sfera d’oro, cit. pp. 148-152. Trosti Ferroni, Russo 2003 R. Trosti Ferroni e G. Russo, I diamanti, in La sfera d’oro,cit, pp. 159-161. Yanagishita, Pieri 2003 M. Yanagishita, G. Pieri, Il restauro dell’ostensorio di Sant’Ignazio Martire: le tappe del suo recupero, in La sfera d’oro, cit. pp. 111-145. Yanagishita 2007 M. Yanagishita, L’ostensorio di Sant’Ignazio Martire, il restauro, in Ori, argenti, gemme. Restauri dell’Opificio delle Pietre Dure, Catalogo della Mostra (Firenze, Palazzo Medici Riccardi, 30 settembre 2007- 8 gennaio 2008), a c. di C. Innocenti, 2007, Firenze, pp.160-165. Yanagishita 2008 M. Yanagishita, Applicazione della saldatura a mezzo laser nel restauro delle oreficerie: esperienze maturate presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, in Atti del Convegno nazionale Applicazioni laser nel restauro. 47 INCONTRI & DIBATTITI LE TERRE CRUDE NEL MEZZOGIORNO Dalla Sicilia nuovi sviluppi per una architettura sostenibile Maria Luisa Germanà* 1 2 egli ultimi decenni si è sviluppato un crescente interesse per l’architettura in terra cruda del passato, che comprende esempi numerosi e differenti (per ubicazione, datazione, tipologia, tecnica costruttiva) ponendo specifici problemi conoscitivi e conservativi. Ancora oggi, una quota consistente della popolazione mondiale vive in edifici in terra cruda; anche in Italia alcune aree (in Regioni come la Sardegna, la Calabria, il Piemonte, l’Abruzzo, le Marche) presentano un importante patrimonio costruito realizzato prevalentemente con questo materiale (Detier, 1982; Galdieri, 1982; Scudo, Sabbadini, 1997; Bertagnin, 1999). Allo stesso tempo, la terra cruda ha assunto sempre più importanza come materiale costruttivo attuale, con notevoli potenzialità in quanto incontestabilmente sostenibile. Infatti le diverse tecniche del crudo sono accomunate dall’uso di terra argillosa (prelevata direttamente dal sito ed impastata con inerti e stabilizzanti) e lasciata asciugare senza processi di cottura (Houben, Guilland, 1989; Germanà, Panvini, 2008). L’interesse per la terra cruda nelle costruzioni negli ultimi anni si è incrementato anche in Italia: i campi di indagine si sono ampliati e la sensibilità ha iniziato a coinvolgere comunità ed istituzioni. Significativa la fondazione del CeDTerra, Centro di documentazione permanente sulle case in terra, con sede a Casalincontrada (CH), che raccoglie documentazione sia riferita al contesto locale abruzzese sia di carattere generale, fornendo supporto divulgativo all’A.I.C.A.T. (Associazione Italiana Cultori dell’Architettura in Terra, coordinatore nazionale Eugenio Galdieri). Ancora, indicativa è l’istituzione dell’Associazione Nazionale dei Comuni della Terra Cruda denominata Città della Terra Cruda, con sede a Samassi (CA), formalizzata nel 2002 ma operativa sin dal 1996, a cui oggi aderiscono Comuni delle Regioni Abruzzo, Marche, Piemonte oltre che Sardegna. In tante occasioni di studio, approfondimento e divulgazione sull’architettura di terra cruda in Italia era mancata sinora la Sicilia, Regione dove in effetti non si riscontra alcuna forma vitale di tradizione costruttiva in crudo, né spiccano esempi appariscenti in cui si attesti tale materiale costruttivo, ad eccezione delle mura di Capo Soprano a Gela (IV sec. a. C.), possente fortificazione in cui l’elevato in mattoni crudi, alto mediamente oltre 3 metri, si sviluppa per ben 180 metri di lunghezza. Lo scorso 3 ottobre per la prima volta Palermo ha ospitato un Convegno nazionale sul tema Architettura in terra cruda nell’Italia del Sud: un evento N 48 3 4 Foto 1/2 Le mura di Capo Soprano a Gela. Vedute e particolari foto di Letizia Di Pasquale, 2007 Foto 3/4 Reperti di mattoni crudi nell’area K di Mozia foto di Marilù Schiera, 2007 INCONTRI & DIBATTITI 5 6 7 Foto 5/6 Mattoni crudi nelle fortificazioni di Mozia (foto di Marilù Schiera, 2007). Foto 7 Mattoni crudi di nuova produzione posti in opera nel sito di Nora (CA) (foto di Maddalena Achenza). che deriva da alcuni recenti sviluppi dell’argomento che hanno iniziato a coinvolgere la nostra Regione, patrocinato dall’Università degli Studi di Palermo, dalla Facoltà di Architettura, dal Dipartimento Progetto e Costruzione Edilizia e dall’Assessorato Regionale BB.CC.AA. (Dipartimento dei BB.CC.AA. e dell’Educazione Permanente e Dipartimento per l’Architettura e l’arte Contemporanea). Il Convegno è stato promosso per divulgare gli esiti di una ricerca, svolta nel biennio 2005/07 con finanziamento del MIUR, che ha coinvolto, assieme a due Unità di ricerca dell’Università di Firenze e ad una dell’Università di Pescara, un’Unità della Facoltà di Architettura di Palermo. I lavori (dopo i saluti del Rettore Roberto La Galla, del Direttore del Dipartimento Progetto e Costruzione Edilizia Giovanni Fatta e del Decano della Facoltà di Architettura Alberto Sposito) sono stati aperti da un’ampia introduzione di Eugenio Galdieri, indubbiamente il più autorevole conoscitore dell’argomento in Italia. Galdieri con l’abituale chiarezza ha sintetizzato i principali temi collegati al tema della terra cruda nelle costruzioni, sottolineandone l’interesse storico ma anche il valore di alta tecnologia specifica. Le considerazioni di ordine generale sono state presentate ripercorrendo l’esempio delle mura di Capo Soprano a Gela, a partire dall’inaspettata scoperta di sessant’anni fa, che produsse una sorta di abbagliamento al quale Galdieri attribuisce l’inadeguatezza degli sforzi conoscitivi e conservativi messi in atto, almeno fino a quando, con il coinvolgimento della Soprintendenza di Caltanissetta diretta da Rosalba Panvini, nei primi anni ’90 sono stati compiuti interventi finalmente consapevoli delle specificità del materiale. Galdieri opportunamente ha ricordato due importanti iniziative della Soprintendenza di Caltanissetta: le Giornate di studi Grandi strutture in terra cruda nell’antichità del 1997 e La terra cruda nelle costruzioni. Dalle testimonianze archeologiche all’architettura sostenibile del 2007, che mi risultano le uniche occasioni di approfondimento sulla terra cruda in Sicilia occorse prima del Convegno di Palermo, escludendo alcuni seminari dell’ANAB, tutti orientati ai nuovi impieghi. La prima sessione dei lavori è stata dedicata a presentare i risultati della ricerca Conoscenze scientifiche, sperimentali e tacite e azioni di conservazione di architetture in terra cruda in Italia del Sud: sviluppo, sperimentazione e validazione di uno strumento web-based di Knowledge management. Saverio Mecca, coordinatore nazionale del gruppo, si è dilungato sulle implicazioni immateriali delle tecniche costruttive in crudo, riferendosi al ruolo degli operatori e dei contesti produttivi, con rimandi al valore attuale che il materiale tutt’oggi assume in alcuni scenari extraeuropei. A partire dal motto Possiamo salvare il nostro futuro, non il nostro passato, Mecca si è soffermato sulla necessità di diffondere le informazioni, decentralizzando le conoscenze, allo scopo di rendere concreta l’attuazione di architetture in crudo anche in realtà come quelle più vicine a noi, ormai dominate da modelli produttivi improntati dall’industrializzazione e da approcci sia tecnici sia normativi troppo rigidi. Silvia Briccoli Bati ha esposto le indagini svolte sugli aspetti strutturali delle costruzioni in crudo, condotte mediante analisi sperimentali mirate a ricavare la caratterizzazione fisico-meccanico del materiale terra e attraverso prove meccaniche applicate su modelli in scala di pareti in blocchi di terra e listature di laterizio, tipiche in edifici del territorio di Lamezia Terme, in Calabria. Maria Cristina Forlani ha contribuito alla ricerca coordinando l’Unità di Pescara, che - sviluppando studi condotti da decenni sulle case in terra dell’Abruzzo - ha approfondito l’aspetto delle prestazioni ambientali delle tecniche costruttive, confrontando soluzioni tradizionali ed innovative. Rispetto alle altre Unità di ricerca, quella di Palermo - coordinata da chi scrive - ha seguito un percorso piuttosto diverso: il punto di partenza era caratte49 INCONTRI & DIBATTITI rizzato dalla scarsezza di conoscenze sulla terra cruda in Sicilia ed era abbastanza condizionato dall’esclusione (esplicita o implicita) della Regione dalle già citate pubblicazioni che avevano trattato il fenomeno a scala nazionale. Il lavoro condotto ha dimostrato che l’architettura in terra cruda in Sicilia è un patrimonio consistente, ancora da esplorare con sistematicità. Innanzitutto, la Regione custodisce reperti numerosi risalenti ad epoche che vanno dalla preistoria all’età romana e riferibili a tipologie costruttive varie: dagli edifici residenziali ed artigianali con relativi annessi alle fortificazioni; dagli edifici religiosi alle sepolture. In più, molti esempi siciliani nei quali sono stati realizzati interventi di protezione e conservazione negli ultimi cinquant’anni forniscono spunti significativi per riflettere sulle specificità di simili obiettivi riferiti alla terra cruda in contesti antichi. Avendo individuato l’ambito archeologico come campo di indagine fondamentale per studiare l’impiego della terra cruda in Sicilia, è stato ritenuto indispensabile coinvolgere le Soprintendenze BB.CC.AA., in quanto tali istituzioni, da cui dipende la tutela dei siti interessati, gestiscono ogni intervento che li riguarda. In più, tali enti vedono impegnati qualificati operatori (a diretto contatto con un patrimonio di cui conoscono bene tutti i tipi di emergenze) da cui si è giustamente ritenuto di poter ricavare dati certi e circostanziati. La seconda sessione del Convegno è stata testimonianza dell’importante contributo degli Enti che in Sicilia soprintendono alla tutela dei beni culturali, presso cui sono stati trovati interlocutori interessati a condividere approfondimenti sull’argomento della terra cruda, oltre che disponibili ad agevolare le ricognizioni effettuate durante il biennio di ricerca: oltre a quanti intervenuti al Convegno, più avanti citati, vanno ricordati Rossella Giglio, Giovanni Di Stefano, Lavinia Sole e Pamela Toti. La sessione è stata aperta dal contributo di Guido Meli, il quale - inquadrando il tema nella più generale attività del Centro Regionale per il Restauro che dirige - ha illustrato l’impegno del Centro nei futuri sviluppi della ricerca sulla terra cruda in Sicilia. Grazie ad un Protocollo d’intesa, siglato con il Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia dell’Università di Palermo, si intende sviluppare un censimento delle testimonianze in crudo presenti nel patrimonio architettonico siciliano, attraverso la compilazione di schede nelle quali riportare tutte le informazioni già disponibili e quelle da raccogliere, allo scopo di creare le basi di processi conoscitivi condivisi e soprattutto funzionali a strategie efficienti di conservazione, nell’ottica più ampia della Carta del Rischio. Le costruzioni in terra cruda, specie quelle in stato di rudere, sono infatti caratterizzate da un elevatissima vulnerabilità intrinseca; inoltre, i relativi interventi conservativi sono esposti ad un particolarmente alto rischio tecnico, ovvero alla possibilità di non raggiungere gli effetti voluti o addirittura di comprometterli, a causa di fattori, anche concomitanti, riconducibili alle diverse fasi processuali (Germanà, 2003). Per quanto riguarda i più remoti impieghi della terra cruda in Sicilia, è stato determinante il contributo di Sebastiano Tusa, che ha fornito la propria competenza sui siti preistorici: basti citare i suoi studi sui reperti risalenti al mesolitico (Grotta dell’Uzzo), sugli intonaci e le piattaforme di età neolitica (Mursia), sulle affascinanti ipotesi di configurazione delle coperture delle capanne circolari di Mokarta (Tusa, 2008; Tusa, c.d.s.). Rosalba Panvini ha esposto alcune inedite scoperte di costruzioni in terra cruda nel territorio gelese (i quartieri residenziali nei pressi delle fortificazioni di Capo Soprano), inquadrandole nell’insieme di un sito che è particolarmente rappresentativo della diffusione di questo materiale nella Sicilia antica: la relativa lontananza di cave da cui estrarre materiale lapideo fecero della terra cruda il materiale prevalente nell’antica Gela; in più i reperti sono giun- 50 8 9 10 Foto 8 Edifici in mattoni crudi a Serramanna (foto di Maddalena Achenza). Foto 9 Edificio a due piani in mattoni crudi ad Acquaro (foto di Rosario Chimirri). Foto 10 Intervento di consolidamento su edificio tradizionale in crudo (foto di Rosario Chimirri). INCONTRI & DIBATTITI ti a noi in eccellente stato di conservazione, grazie alla coltre di sabbia che li ricoprì sin nella tarda antichità o in epoca medievale (Panvini, 2008). Francesca Spatafora ha presentato i frutti di un lavoro condotto da un gruppo di Archeologi della Soprintendenza di Palermo (Alba M. G. Calascibetta, Monica Chiovaro, Laura Di Leonardo, Stefano Vassallo), dimostrando la diffusione della terra cruda - dalla preistoria al medioevo - nella Sicilia occidentale (Spatafora et al., c.d.s.). La terza sessione è stata dedicata ad illustrare le esperienze di altre Regioni dell’Italia del Sud. Maddalena Achenza, Coordinatrice dell’Associazione Nazionale Città Terra Cruda e del Labterra dell’Università di Cagliari, ha riferito dell’architettura in terra cruda di cui è ricca la Sardegna meridionale: un patrimonio ancora vitale, radicato nell’identità paesaggistica del territorio e connotato da precise tipologie, sul quale sono stati compiuti numerosi studi, anche finalizzati a determinare le più appropriate tecnologie di recupero. In Sardegna le tecniche costruttive sono tutt’oggi utilizzate, sia per intervenire sul costruito esistente (la Achenza ha riportato l’esempio del sito romano di Nora, nei pressi di Cagliari, dove sono state ricostruite porzioni di abitato in mattoni crudi), sia per costruzioni di nuovo impianto. Maurizio Manias ha illustrato un’interessante esperienza di attualizzazione delle tecniche costruttive in mattoni crudi (diffusamente utilizzate in Sardegna fino alla metà del secolo scorso), maturata nell’ambito di una collaborazione tra l’Università di Cagliari (Prof. Ulrico Sanna) e alcuni imprenditori (la BioArch di Ales, Oristano), e liberi professionisti locali. A partire dalla caratterizzazione fisico-meccanica del materiale di base e continuando con una razionalizzazione del processo produttivo, mirata ad eliminare la stagionalità dei sistemi tradizionali di essiccazione, sono stati prodotti e messi in opera mattoni crudi a costi competitivi, dimostrando le potenzialità attuali della millenaria tecnica dell’adobe. Rosario Chimirri ha presentato una relazione sugli usi della terra cruda in Calabria, sottolineando la varietà di tecniche, il legame con l’identità tradizionale del territorio, la continuità dalle testimonianze archeologiche alla metà del secolo scorso. Scoraggiante la documentazione sulle sorti della maggior parte di edifici in crudo calabresi, alterati da interventi snaturanti; solo le costruzioni in abbandono, paradossalmente, mantengono l’originaria essenza tecnica. Chimirri ha concluso con margini di ottimismo, riportando gli avanzamenti delle conoscenze e ipotizzando alcuni scenari per la conservazione. A tal riguardo, si può citare la nota inviata da Francesco Cicioni, Assessore del Comune di Lamezia Terme, impossibilitato a partecipare ai lavori, nella quale si illustra l’impegno profuso dall’Amministrazione comunale per il patrimonio in terra cruda che caratterizza il centro storico calabrese. Alla fine del Convegno sono state presentate due pubblicazioni, entrambe testimonianza del ruolo della Sicilia nei più recenti sviluppi del tema dell’architettura in terra cruda nell’Italia del Sud: Terra/terre. Il futuro di una tecnologia antica, edita da ETS Pisa e La terra cruda nelle costruzioni. Dalle testimonianze archeologiche all’architettura sostenibile, pubblicata da Nuova Ipsa Palermo. Il Convegno di Palermo, di cui si auspica possano presto essere pubblicati gli atti, ha costituito una prova di quanto possa essere producente la collaborazione tra Università e Soprintendenze per gli sviluppi della ricerca sul patrimonio architettonico con valore culturale: una collaborazione che è opportuno sviluppare, sia per il reciproco potenziamento delle iniziative comuni sia per una più efficiente utilizzazione delle sempre più esigue risorse disponibili. *Università degli Studi di Palermo; Dipartimento Progetto e Costruzione Edilizia; Facoltà di Architettura. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Bertagnin 1999 M. Bertagnin, Architetture di terra in Italia. Tipologie, tecnologie e culture costruttive, Monfalcone (GO) 1999. Briccoli Bati, Forlani, Germanà, Mecca, c.d.s.: S. Briccoli Bati, M. C. Forlani, M. L. Germanà, S. Mecca, cur., Terra/terre. Il futuro di una tecnologia antica, Pisa c.d.s. Dethier 1982 J. Dethier (a. c. di), Architetture di terra, Catalogo della mostra presentata al Centre Georges Pompidou, Parigi 1981, Milano 1982. Galdieri 1982 E. Galdieri, Le meraviglie dell’architettura in terra cruda, Roma-Bari 1982. Germanà 2003 M. L. Germanà, Significati dell’affidabilità negli interventi conservativi, in A. Sposito (a c. di), La conservazione affidabile per il patrimonio architettonico, Tavola Rotonda Internazionale, Palermo, 27-28 SET. 2002. Atti, a c. di Maria Luisa Germanà, Palermo 2003, pp. 24-31. Germanà 2008 M. L. Germanà, La terra cruda nelle costruzioni: passato, presente e futuro tra entusiasmi e pregiudizi, in Germanà, Panvini, 2008. Germanà, Panvini 2008 M. L. Germanà, R. Panvini (a c. di), La terra cruda nelle costruzioni. Dalle testimonianze archeologiche all’architettura sostenibile. Atti della Giornata di studi Caltanissetta 29 giugno 2007, Palermo 2008. Houben, Guilland 1989: H. Houben, H. Guilland (EAG-CRATerre), Traité de construction en terre, Marseille 1989. Panvini 2008 R. Panvini, Strutture in mattoni crudi dell’antica Gela, in Germanà, Panvini 2008. Scudo, Sabbadini 1997 G. Scudo, S. Sabbadini (a c. di), Le regioni dell’architettura in terra in Italia, Rimini 1997. Sabbadini 1997 S. Sabbadini, Costruzioni in terra cruda in Italia, in “Ambiente costruito”, 2, pp. 56-59. Spatafora et al., c.d.s.: F. Spatafora et al., L’uso della terra cruda nella Sicilia centro-occidentale: attestazioni e documentazioni, in Briccoli Bati, Forlani, Germanà, Mecca, c.d.s. Tusa 2008 S. Tusa, Origini e primi sviluppi dell’architettura in crudo nell’area euroasiatica, in Germanà, Panvini 2008. Tusa, c.d.s.: S. Tusa, Origini e primi sviluppi dell’architettura in crudo in Sicilia nel contesto mediterraneo, in Briccoli Bati, Forlani, Germanà, Mecca, c.d.s. 51 RECENSIONI LA CATENA DELLE TORRI Fortificazione costiera tra storia e ambiente Antonio Casano L’opera di cui trattiamo ci fornisce un quadro completo e dettagliato di informazioni sul sistema turrito fortificato siciliano: sintesi di un lavoro a monte che complessivamente consta all’incirca di sette anni di ricerche, ottomila immagini digitali (di cui duemila riprese dal mare), mille diapositive e 464 tavole fra planimetrie, cartografie, e rilievi grafici. È, inoltre, arricchita da uno “schedario” che compendia le oltre duecento torri recensite lungo gli oltre mille km di costa: ogni singola scheda è congegnata come un saggio-breve che nella sua essenzialità contiene, tuttavia, dati ed indicazioni utili per ulteriori approfondimenti. Un lavoro, quello della schedatura, che ha visto la partecipazione di numerosi collaboratori che –in uno con i contributi specialistici di studiosi fra i più accreditati nel campo della ricerca storica, paesaggistica ed architettonica- hanno fatto rivivificare un patrimonio inestimabile, unitamente a quella memoria ancora echeggiata nelle comunità costiere nei primi decenni del Novecento. Le torri assieme alle tonnare divennero elementi imprescindibili del paesaggio costiero, esempi potremmo dire oggi- di una equilibrata intersecazione antropica negli ecosistemi naturali, con un impatto ambientale del tutto sostenibile che arricchisce, anzi, la percezione astratta dei campi visuali senza alterarne la conte52 stualità oggettuale. Certo non sappiamo quanta consapevolezza vi fosse nell’ingegneria costruttiva di allora sui criteri valutativi impattanti ma, a posteriori, possiamo ben dire che la pressione sul territorio, anche quando attorno le torri si insediavano agglomerati urbani, era ben lungi dal limite di sostenibilità toccato nella modernità. Non è un caso che nell’epoca contemporanea, quando si disquisisce di tutela del paesaggio culturale ed ambientale, si guarda a questi beni con la stessa attenzione protettiva riservata a quelli naturali, come insieme del patrimonio comune da salvaguardare. La catena delle torri costiere, dislocata lungo le oltre 450 miglia dei litorali dell’isola, aveva una tale valenza strategico-militare che nel XVI secolo in seno alla Deputazione del Regno alla quale venivano affidate importanti funzioni amministrative nell’ordinamento siciliano - fu istituito un Commissariato Generale delle fabbriche delle torri, articolato in Uffici Tecnici per la edificazione e la manutenzione, la cui responsabilità era attribuita al Capo Mastro delle fabbriche, e presidi logistici comandati da Sopraintendenti posti al capo di torrari, artiglieri, munizioneri e cavallari. A cavallo tra il ‘500 e il ‘600 l’attività della suddetta amministrazione regia fu così intensa che ad essa si deve, oltre alla manutenzione dell’apparato Torre della Colombara, Trapani foto CRICD - Fabio Militello preesistente, l’incremento costruttivo di una quarantina di “torri di Deputazione”, su un progetto di fortificazione ideato e sviluppato da due vere autorità del ramo Tiburzio Spannocchi e Camillo Camilliani. La nuova tipologia architettonica, abbandonata la tradizionale forma cilindrica, era riconoscibile per gli standard omogenei, modellata secondo la logica progettuale di vere e proprie “piccole fortezze” a base quadrata, dov’era facilitato l’uso dell’artiglieria (cfr. GAMBINO, pp. 195 e ss.). LE TORRI NEI PAESAGGI COSTIERI SICILIANI (SECOLI XIII-XIX). STORIA - ARCHITETTURA - AMBIENTE A cura di F. Maurici, A. Fresina, F. Militello CRICD-Palermo, 2008, volumi 3 RECENSIONI Con la fine della “guerra grande” tra la Lega Santa (promossa da Pio V, composta dal blocco ispanoasburgico con l’adesione –fra gli altri- delle repubbliche marinare di Venezia e Genova) e l’Impero Ottomano per la dominazione del Mediterraneo, sancita con le tregue successive alla vittoria della coalizione cattolica nella battaglia navale di Lepanto (1571), il conflitto tra la cristianità e l’islam proseguirà per molto tempo ancora nella forma della pirateria o della corsa che avrà per teatro principale l’area centrale del bacino mediterraneo. Questo è il periodo che fino alla metà del ‘600 vedrà registrare l’apice della guerra corsara (cfr. BONO, p.35), una guerriglia -cioè quella forma di guerra “secondaria e degradata” per dirla alla Braudel, così come ci ricorda Maurici (p. 83)organizzata dalle genti dell’Ifriqiya berbera che con altrettanta fermezza veniva rintuzzata dal mondo cristiano. Sostanzialmente, ancor più di prima, questa guerriglia marinara si manifestava come una sorta di prolungamento –perlomeno nel Mediterraneo occidentaledella secolare lotta tra i due mondi monoteisti, venutisi a trovare in posizione dominante nello scenario storico dopo il travagliato lungo declino dell’Impero romano. Quindi prosecuzione di una guerra non più regolata secondo i canoni belligeranti tra entità parimenti sovrane, ma regolamentata secondo le rispettive fonti normative, in base alle quali una stessa azione di saccheggio veniva codificata giuridicamente, o legittima o illegale. Infatti se supportata dal rilascio di patenti di corsa -nel caso delle “licenze” concesse dalle autorità governative poste sotto l’egida della cristianità- il bottino conquistato (schiavi e beni) era considerato alla stregua del profitto da ripartire in dividendi, secondo le quote d’investimento conferite dai finanziatori delle spedizioni della corsa (tale compartecipazione finanziaria era assai diffusa non solo tra i ceti nobiliari ma anche fra gli alti prelati della Chiesa); diversamente le incursioni barbaresche venivano definite atti di pirateria. Appare del tutto ovvio che dal punto di vista dei corsali musulmani le azioni di saccheggio venivano riconosciute come pienamente legittime. D’altro canto non v’è da stupirsi né da dare giudizi di valore su cotanta crudezza. Siamo in un tempo in cui nelle più grandi città di entrambi i fronti religiosi fiorivano grandi mercati di schiavi, e le stesse pratiche di riscatto dei prigionieri (molte confraternite sorsero allo scopo) venivano considerate attività di scambio fra le altre. Si era in presenza di una condizione sociale di stato di guerra permanente, di cui l’economia era parte integrante non solo come motivazione originaria (oltre quella religiosa dalla quale discendevano sia precetti dottrinali che assetti sociali, dalla proprietà alla famiglia), bensì anche come fattore di capitalizzazione del conflitto. “La guerra per mare, che fin dalle crociate aveva convogliato interessi e nazioni all’assalto del mondo arabo-islamico, dal XV secolo comincia a vedere l’Occidente in difensiva ed in prima linea le terre insulari e meridionali, i coltivi ed i prodotti. Non solo i viaggi erano sempre a rischio di mare e di corsari, ma ora anche le terre con le loro manifestazioni economiche (fiere e mercati), le attività lavorative (pesca e salature del pesce, raccolta e cottura dello zucchero, etc.), vengono colpite nell’iter produttivo a causa degli appostamenti barbareschi e dei raid. Pure gli uomini sono presi come merce, ai fini di uno scambio, che alimenterà un redditizio commercio di prigionieri”(SCARLATA, p. 124). Va ribadito ancora che le motivazioni della lotta religiosa costituivano la sovrastruttura ideologica di questo conflitto politico ed economico e i proseliti confessionali erano l’altra faccia dell’azione di “guerriglia marinara”. Infatti molti saranno i casi di conversione, dall’una e dall’altra parte, anche perché essa era decisiva ai fini del trattamento riservato ai rapiti. Bisogna tuttavia riconoscere che diverso era lo status riconosciuto al convertito: nelle patrie islamiche al cristiano convertitosi all’islam venivano attribuiti interamente gli stessi diritti goduti dal musulmano, financo quello di occupare posizioni sociali prestigiose e incarichi pubblici di elevata responsabilità, anche militare. Di converso però per il musulmano convertitosi al cristianesimo la condizione servile sostanzialmente non mutava, al più gli veniva riservato un trattamento misericordioso piuttosto che la catena. “Ben raramente uno schiavo musul- mano –ci dice Bono nel suo bel contributo- diventava ‘famoso’ in terra cristiana, dove vigeva una gerarchia sociale molto rigida. La più illustre eccezione per la Sicilia è quella di un figlio di schiavi, divenuto francescano e per la sua santità asceso sino alla beatificazione, Benedetto da San Fratello, in quel di Messina, detto Benedetto Negro o il Moro” (p.42). La necessità delle torri costiere quindi è sì parte della politica di difesa dei confini di un’autorità sovrana a protezione del proprio territorio contro le minacce di occupazione di un nemico esterno, ma così come ci viene ricordato sopra dalla Scarlata- il sistema difensivo turrito già nel ’400 assume prevalentemente il tratto di appendice dell’iter produttivo, senza il quale uomini e merci si trovano alla mercè dei predatori barbareschi che della pirateria, a loro volta, avevano fatto una dell’economie principali. Quel che però va annotato è che la rete delle torri non era soltanto un sistema logistico difensivo dalle minacce esterne, essa risponde anche alla necessità del controllo sociale interno. “Non vi è dubbio infatti -osserva Mauriciche la paura del ‘turco inimico’ fu occasione per realizzare opere di fortificazione utili anche al controllo delle città siciliane, alla dissuasione e alla repressione di sommovimenti politici” (p.87). Insomma un vero e proprio processo di militarizzazione del territorio con uno scopo ambivalente: di protezione della frontiera da un lato, di mantenimento dell’ordine politico dall’altro. 53 rassegna libri curata da A. Casano Maria Grazia Branciforti (a cura di) ANTIQUARIUM. L’AREA ARCHEOLOGICA DI SANTA VENERA AL POZZO – ACIUM Regione Siciliana-Assessorato Regionale dei Beni Culturali Ambientali e della Pubblica Istruzione / Dipartimento dei Beni Culturali Ambientali e dell’educazione Permanente / Area Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Catania- Servizio per i Beni Archeologici, Palermo 2006, pp.222 “L’ipotesi di lavoro, che indirizza la ricerca archeologica, è che nella media età imperiale romana l’abitato ora individuato, dotato, dunque, di un impianto termale, fosse inserito in un ampio latifondo, servito dalla via pubblica che da Messina conduceva a Catania e posto alla confluenza di strade che mettevano in comunicazione la costa ionica con la zona pedemontana etnea (PATANÈ 1992, pp. 132-133), nel cui interno poteva anche trovarsi la residenza del proprietario. Vale la pena ricordare a tal proposito le insistenti notizie circa ritrovamenti di mosaici, purtroppo ad oggi non confermate, nelle proprietà attualmente confinanti con quella demaniale. Esse indurrebbero ad ipotizzare la presenza di un grande edificio con caratteristiche di residenza signorile. È interessante il confronto di questo complesso archeologico con la ben nota statio di Philosophiana, ubicata a pochi chilometri dalla Villa del Casale di Piazza Armerina. Citata nell’Itinerarium Antonimi, lungo la strada che da Catania conduceva ad Agrigento (MILLER, I, col. LVII, II. 88-94, 402), è stata identificata con l’insediamento antico che, sito in contrada Sofìana, è caratterizzato dalla presenza, tra i vari fabbricati scoperti, di un piccolo edificio termale (ADAMESTEANU 1955). Studi recenti hanno ampiamente affrontato il tema del rapporto tra la statio, ubicata sulla strada, e la Villa, residenza estiva di un ricco proprietario terriero, che dovevano far parte, entrambe, dello stesso latifondo (A. CARANDINI, A. RICCI, M. DE VOS 1982). In età tardo antica (III-IV secolo d.C.) il centro continua a vivere e si caratterizza per l’impianto di fornaci, realizzate utilizzando le strutture di un grande edificio (Edificio 1), di recente messo in luce nel settore settentrionale dell’area demaniale. Esse producono vasellame di uso comune e laterizi da costruzione. Le Terme ricevono un nuovo assetto architettonico e, rimanendo ancora legate alla loro funzione originaria, si ampliano con la realizzazione di nuovi ambienti. Le recenti indagini archeologiche hanno permesso di acquisire dati importanti sulla 54 sopravvivenza di questo centro almeno sino al VI secolo d.C. quando tutto sembra cadere in uno stato generale di abbandono che determinerà il crollo degli edifici ad eccezione dei due ambienti termali che, per la robustezza delle fabbriche, si conserveranno sino ai nostri giorni diventando ancora una volta oggetto di studio” (Maria Grazia Branciforti). Accademia delle Scienze di Ferrara, IASOS IN ETÀ ROMANA MISCELLANEA STORICO-ARCHEOLOGICA TLA Editrice, Ferrara, 2008, pp. 133 L’opera curata da Fede Berti è una miscellanea dedicata all’antica città turca Iasos, alla stesura della quale hanno contribuito studiosi che hanno collaborato ad una campagna di indagini promossa dalla Missione italiana di ricerche archeologiche in Turchia. Il volume si pone idealmente in continuità con una precedente pubblicazione dell’Accademia delle Scienze di Ferrara titolata Iasos tra VI e IV a.c., anch’essa una miscellanea storico-archeologica editata nel 2004. Infatti “la complementarietà ideale tra i due volumi –precisa Adami presidente dell’Accademia- è data dalla circostanza che se il quadro cronologico del primo abbracciava il periodo che intercorre tra il VI e IV secolo avanti l’era volgare, i contributi contenuti nel secondo tendono, invece, a mettere in luce aspetti monumentali, epigrafici e materiali della fase medio-imperiale della città di Iasos, documentando la vivacità della stessa anche in tale periodo” Maria Concetta Di Natale (a cura di) MARIA ACCASCINA E IL GIORNALE DI SICILIA 1934-1937. CULTURA TRA CRITICA E CRONACHE Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta 2006, pp. 427 Il libro raccoglie i contributi elaborati dalla studiosa -in qualità di storico e critico d’arte- per la testata palermitana durante il periodo centrale degli anni trenta. Al lavoro -così come anticipato dalla Di Natale- seguirà un saggio di completamento della raccolta degli articoli fino al 1941, anno sostanzialmente conclusivo della collaborazio- ne col quotidiano, con l’eccezione di qualche altra presenza nelle pagine del giornale nei periodi successivi. La Accascina nei suoi articoli -nota la curatrice“passava con straordinaria disinvoltura da argomenti di arte decorativa e arte sacra nelle Madonie ad altri monografici su pittori dell’Ottocento siciliano, da quelli sul patrimonio artistico isolano, ad esempio sull’arte ericina e trapanese, a quelli che recensivano mostre d’arte regionali o di rilievo nazionale, come Biennali, Triennali, Quadriennali, da quelli sui grandi pittori del Risorgimento, ad altri di archeologia. Gli articoli erano sempre arricchiti da fotografie, segno dell’importanza che la studiosa attribuiva al sussidio fotografico per la conoscenza, la divulgazione e lo studio dell’opera d’arte” G. Coppola, E. D’Angelo, R. Paone (a cura di) MEZZOGIORNO & MEDITERRANEO. TERRITORI, STRUTTURE, RELAZIONI TRA ANTICHITÀ E MEDIOEVO, Artemisia Comunicazione, Napoli ,2006, pp.335 Il volume pubblica gli atti di un convegno internazionale, tenutosi a Napoli nel giugno 2005, e si inserisce all’interno di un progetto di ricerca interdisciplinare che ha come punto di osservazione il Mediterraneo, uno spazio comune nel quale il nostro Mezzogiorno affonda le sue radici culturali. Il Progetto di ricerca “M&M”, messo in cantiere dalle Università di Napoli “Federico II” e “Suor Orsola Benincasa” e dall’Università degli Studi di Salerno, consta già di numerosi lavori scientifici realizzati, i cui risultati sono fruibili nel mercato editoriale: il lungo elenco di monografie, saggi su riviste, in atti di convegni e in miscellanee, è consultabile fra le pagine del libro. I contributi del convegno napoletano sono stati raccolti in tre ricche sezioni (archeologica, storico-architettonica e storico-letteraria) che si snodano lungo un percorso che va dall’antichità classica all’epoca medievale (dal basso impero alle soglie delle modernità). Nella fattispecie il teatro in cui si sviluppano i saggi è essenzialmente quello del Meridione della penisola italica, dove si riflettono e si incrociano le influenze artistico-culturali e socio-paesaggistiche delle civiltà mediterranee e quelle dei popoli del nord, normanni in primis: gli assetti urbani, l’incastellamento territoriale, i contesti pittorici antichi, la medievistica letteraria sono fra gli argomenti principali che animano la pubblicazione. P. Pancaldi, S. Marvelli, M. Marchesini (a cura di) MUSEO ARCHEOLOGICO AMBIENTALE Comune di San Giovanni in PersicetoAssessorato alla Cultura Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna La guida segnalata è una interessante iniziativa, una buona pratica gestionale che dimostra come si possa intervenire nei piccoli centri cercando di valorizzarne il territorio con l’istituzione di presidi culturali collegati, capaci di coniugare l’interesse conservativo ambientale e paesaggistico con la memoria di una comunità, e farne al tempo stesso strumento ad uso didattico socialmente formativo. Quello del polo museale è un modello che risponde all’esigenza di legare le emergenze archeologiche della pianura felsinea con l’ideazione espositiva in sedi decentrate, integrate però in un itinerario comune. Quello di San Giovanni in Persiceto “costituisce dunque il primo nucleo di una rete muesale”, la cui tramatura rimane aperta alle aggiunzioni di nuove maglie, non a caso la fase di costruzione del sistema sovracomunale comprende altre realtà della zona occidentale bolognese c.d. “Comuni di Terre d’Acqua”. Articolata nelle sezioni romana, medievale e rinascimentale, questa esposizione “vuole fornire una chiave di lettura dei dati scaturiti dalle indagini archeologiche e dallo studio delle emergenze storico-ambientali”. I curatori della guida nell’indicare le linee espositive evidenziano che i materiali contenuti “tendono a fornire un quadro vivo ed esauriente del popolamento” nel territorio, soprattutto “tenendo conto delle trasformazioni ambientali che l’uomo stesso ha contribuito a realizzare: dai primi disboscamenti all’agricoltura, dalla centuriazione alla creazione di reti viarie, dall’introduzione di nuove specie vegetali e animali alle bonifiche”. C. Mìccichè, S. Modeo, L. Santagati (a cura di) LA SICILIA ROMANA TRA REPUBBLICA E ALTO IMPERO ATTI DEL CONVEGNO DI STUDI Siciliantica, Caltanissetta, 2007, pp.247 Giorgio Schifani (a cura di) POTENZIALITÀ ED OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO DEL SETTORE AGRICOLO NELLE AREE PROTETTE. IL CASO STUDIO DEI PARCHI SICILIANI Collana Sicilia Foreste, Palermo, 2007, pp.193 I saggi pubblicati sono gli atti del convegno di studi tenutosi il 20-21 maggio 2006 a Caltanissetta. I contributi raccolti, sebbene interrelati tra loro, si dipanano dentro due sezioni specifiche: una archeologica l’altra storica. Sul versante della prima sono stati messi in evidenza quegli aspetti caratterizzanti la trama del rapporto Città/Campagna, ovvero quelle connessioni di scambio sociale ed economico che hanno contrassegnato lo sviluppo in alcune aree territoriali che determinarono il mutamento del paesaggio: insediamenti abitativi, vie di comunicazione, canalizzazioni, aree sacre, apparati produttivi per lo sfruttamento delle risorse e sistemi monetari per favorire il commercio delle merci. Queste tracce archeologiche, data la complementarietà paritaria del rapporto interdisciplinare, non possono essere trascurate ovviamente dalla ricerca storica, il cui apporto non è legato solo ai grandi temi politici, etici, giuridici, economici e sociali. Non a caso, partendo dal contributo di Giorgio Bejor, relativo alle indagini sugli insediamenti rurali siciliani nel periodo romano, e, più specificamente, dall’individuazione della ricerca archeologica di quell’alternarsi dei fenomeni al tempo stesso demografici e comunitari -“l’esplosione del popolamento rurale disperso” e “la rarefazione degli insediamenti rurali nelle fasi iniziali dell’impero”, Calogero Miccichè, nelle sue conclusioni, ci avverte dell’importanza fondamentale dei risultati delle indagini condotte nelle varie aree della Sicilia “per consentire allo storico una più chiara intersecazione fra dati microstorici e la loro utilizzazione in chiave più ampia”, al fine anche di chiarire le cause, le motivazioni e la cronologia dei processi di trasformazione nello spazio temporale esaminato dai lavori. Quello dei parchi siciliani è un caso di studio con il quale Giorgio Schifani propone un approccio metodologico olistico posto alla base della gestione del territorio, elaborando una idea dello sviluppo possibile capace di cogliere il valore d’uso delle risorse naturali offerte da quelle aree vincolate nell’interesse pubblico e collettivo (Parchi, Riserve naturali, Aree naturali protette, Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS), nonché Riserve ed Aree marine protette), senza metterne a rischio la riproducibilità, valorizzando al tempo stesso quelle vocazioni produttive che coniugano la tutela del paesaggio e il mantenimento delle biodiversità, “attraverso il recupero di quegli elementi di continuità riconducibili proprio all’agricoltura di qualità e tipica, al turismo e all’agriturismo, alla ricchezza culturale e del patrimonio architettonico, archeologico, naturale e paesaggistico, che contraddistingue l’intero ambito d’indagine”. Il modello di sviluppo esplicitamente richiamato da Schifani è quello del distretto rurale, una struttura produttiva a scala comprensoriale, formata da presidi locali che interagiscono in rete, mettendo così in comunione il valore delle diverse attività integrate dalla valorizzazione aggiuntiva dei beni comuni ereditati dai processi di trasformazione culturali e naturali. Vi sono tuttavia alcune aree specifiche la cui fruizione (data la loro peculiarità, giacché gli ecosistemi mal tollererebbero pressioni esterne di forte impatto ambientale) dovrà essere necessariamente limitata al solo ambito di ricerca, trattate come veri e propri laboratori naturalistici che, in ogni caso, avranno un ritorno nell’accrescimento del patrimonio cognitivo sociale. 55 Le pubblicazioni del Centro 1. Il tempio dei re. Con la ristampa anastatica compattata del “De principe templo panormitano (1728) di G.M. Amato”. A cura di Gianfilippo Villari, Guido Meli. Palermo, 2001 2. Mappa Mundi. Progetto di restauro sperimentale di due mappamondi di Mattheus Greuter. Palermo, 2001. Videocassetta VHS; 3. La sicurezza dei beni culturali nel Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626. A cura di Marco Salerno, Jolanda Marescalco Lo Cascio. Palermo, 2002 4. Tauromenion. Progetto Carta del Rischio per il recupero del patrimonio culturale ed ambientale della regione Siciliana. VHS. Palermo, 2002 16. Il teatro greco-romano di Taormina: progetto pilota: analisi, studi ed indagini. Prima fase. AA.VV. Palermo, 2004; 17. Il suono delle parole di pietra: conservazione ed uso dei teatri antichi in Sicilia. AA.VV. Palermo, 2004; 18. Le architetture teatrali in Sicilia. DVD. AA.VV. Palermo, 2004 19. La festa di Santa Lucia. Palermo, 2005 5. Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia. Ristampa anastatica con aggiornamento nomenclaturale dei taxa di ammoniti. A cura di Carolina D’Arpa, Elena Scalone. Palermo, 2002 20. Per una mappa del patrimonio tessile: “Progetto intreccio”: ricerca sperimentale sulla conservazione, la tutela e il restauro del baldacchino tessile della Basilica di S. Francesco di Palermo. DVD. Palermo, 2005 6. Il sarcofago dell’Imperatore. [1] Studi, ricerche e indagini sulla tomba di Federico II nella Cattedrale di Palermo, 1994-1999. [2] I regali sepolcri del Duomo di Palermo. Ristampa. AA.VV. Palermo, 2002 21. Per una mappa del patrimonio tessile: “Progetto intreccio”: ricerca sperimentale sulla conservazione, la tutela e il restauro del baldacchino tessile della Basilica di S. Francesco di Palermo. VHS. Palermo, 2005 7. I Quaderni di Palazzo Montalbo, n. 1. AA.VV. Palermo, 2002 22. Piano di riqualificazione territoriale della Sicilia. AA.VV. Palermo, 2005 8. Le cinquecentine della Biblioteca dell’Archivio di Stato di Palermo. A cura di Rita Di Natale. Palermo, 2003 23. Il cipresso di san Benedetto “il Moro”: datazione dendrocronologica di un antico albero di Palermo. Palermo, 2006 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 5) 9. La Biblioteca comunale di S. Agostino. Interventi per la salvaguardia e la conservazione del patrimonio. Atti della giornata di studio “L’intervento d’avanguardia. Deacidificazione a libro integro. AA.VV. Palermo, 2003 10. Carta del rischio del patrimonio culturale e ambientale. Taormina progetto pilota (I quaderni di Palazzo Montalbo; 2). AA.VV. Palermo, 2003 11. BNA Bollettino Nuove Accessioni. Biblioteca. Palermo, 2003 12. BNA Bollettino Nuove Accessioni. Biblioteca Tematica della Carta del Rischio. Palermo, 2003 13. BNA Bollettino Nuove Accessioni. Biblioteca. Palermo, 2004 14. Mappa Mundi. Progetto di restauro sperimentale di due mappamondi di Mattheus Greuter (I quaderni di Palazzo Montalbo; 3). AA.VV. Palermo, 2004. 15. Apparati musivi antichi nell’area del Mediterraneo: conservazione programmata e recupero: contributi analitici alla Carta del Rischio: atti del 1. Convegno 56 internazionale di studi La materia e i segni della storia: Piazza Armerina, 913 aprile 2003 (I quaderni di Palazzo Montalbo ; 4). AA.VV. Palermo, 2004. 24. Il monitoraggio microclimatico: Galleria regionale della Sicilia “Palazzo Abatellis” Palermo, Galleria regionale di “Palazzo Bellomo” Siracusa, Museo regionale di Messina. Palermo, 2006 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 6) 25. Il travertino di Alcamo: proposta per l’istituzione di un geosito. Palermo, 2006 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 7) Pietro Novelli. Palermo, 2007 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 10) 29. Progetto di recupero e conservazione della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina. Palermo, 2007 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 12. I grandi restauri; 1) 30. Carta tematica di rischio vulcanico della Regione Sicilia: costruzione di un modello di indagine a scala locale. Palermo, 2007 (pubblicazione realizzata insieme all’Assessorato Territorio e Ambiente, Dipartimento Territorio e Ambiente) 31. Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia. Seconda ristampa anastatica delle tavole con aggiornamento nomenclaturale dei taxa figurati di Ammoniti, Brachiopodi, Gasteropodi e Bivalvi. A cura di Carolina D’Arpa, Elena Scalone. Palermo, 2007 32. L’intervento di deacidificazione “a libro integro” sul patrimonio bibliografico della Biblioteca Comunale S. Agostino di Taormina: un metodo di conservazione preventiva. Progetto pilota. Palermo, 2008 33. A tuorcia: la festa di san Basilio a San Marco d’Alunzio: il paesaggio festivo siciliano: contributi analitici alla carta del rischio. Palermo, 2008 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 13. Le feste; 2) 34. Il restauro conservativo del contrabbasso “Panormo”. Palermo, 2008 35. Studio tematico della Carta del Rischio del Patrimonio Culturale della Regione Siciliana Architetture teatrali siciliane di età antica. Fase della conoscenza - I PARTE 36. Architetture teatrali siciliane di età antica. Il Teatro greco romano di Taormina, AA.VV., Palermo, 2008 - II PARTE 26. “U circu” e “A bannera”: le feste di san Sebastiano a Cerami: il paesaggio festivo siciliano: contributi analitici alla carta del rischio. Palermo, 2006 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 8/1) 37. Modelli di studio a scala locale della Carta del Rischio del Patrimonio Culturale ed Ambientale della Regione Siciliana - Poggioreale Vecchia. AA.VV., Palermo, 2008 27. La festa dei morti. Palermo, 2006 Teatri antichi nell’area del Mediterraneo: conservazione programmata e fruizione sostenibile: contributi analitici alla Carta del Rischio: atti del II Convegno internazionale di studi la materia e i segni della storia, Siracusa, 13-17 ottobre 2004. Palermo, 2007 (I quaderni di Palazzo Montalbo; 9) 38. Modelli di studio a scala locale della Carta del Rischio del Patrimonio Culturale ed Ambientale della Regione Siciliana - Waterfront urbani di Catania, Messina, Palermo, Siracusa e Trapani. AA.VV., Palermo, 2008 28. Cronaca di un intervento di restauro: il restauro di due dipinti murali di 39. Modelli di studio a scala locale della Carta del Rischio del Patrimonio Culturale ed Ambientale della Regione Siciliana - Taormina, Castelmola, Giardini Naxos. AA.VV., Palermo, 2008 novità editoriali 2008 I V O L U M I D E L L A C A RTA D E L R I S C H I O C.R.PinR. forma rivista semestrale del centro regionale progettazione e restauro 5/6 C.R.PinR. forma on line www.centrorestauro.sicilia.it Regione Siciliana • Assessorato Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione 2008