scheda tecnica durata: 110 MINUTI nazionalità: USA anno: 2010 regia: JOEL & ETHAN COEN soggetto: CHARLES PORTIS sceneggiatura: JOEL & ETHAN COEN fotografia: ROGER DEAKINS musica: CARTER BURWELL produzione: ETHAN COEN, JOEL COEN, SCOTT RUDIN, STEVEN SPIELBERG distribuzione: UNIVERSAL PICTURES attori: JEFF BRIDGES (MARSHAL REUBEN J. COGBURN), MATT DAMON (LA BOEUF), JOSH BROLIN (TOM CHANEY), HAILEE STEINFELD (MATTIE ROSS), BARRY PEPPER (“LUCKY” NED PEPPER), DOMHNALL GLEESON (MOON), ELIZABETH MARVEL (MATTIE ROSS DA ADULTA), ED CORDIN (BEAR GRIT), NICHOLAS SADLER (SULLIVAN), DAKIN MATTHEWS (IL COLONNELLO STONEHILL), PAUL RAE (EMMETT QUINCY), JOE STEVENS (AVVOCATO GOUDY), MARY ANZALONE (SIGNORA DI MEMPHIS), BRIAN BROWN (COKE HAYS), BRUCE GREEN (HAROLD PARMALEE), MIKE WATSON (FARREL PARMALEE) la parola ai protagonisti Giovanni Bogani intervista il cast Per voi, questo è un ritorno a Berlino con Jeff Bridges dopo Il grande Lebowski. Che sensazioni avete? Joel & Ethan Coen: Beh, quella volta non c'era Jeff. Il grande Lebowski ha avuto più successo in Europa che in America. Speriamo che anche questo... Questo è già diventato il vostro maggior successo. A cosa credete sia dovuto? Jeff Bridges: Beh, è facile: i Coen sono dei maestri, e adesso – dopo che i festival europei hanno fatto molto per farli conoscere – se ne è accorto anche il grande pubblico. I dialoghi a volte sono molto difficili, pieni di risonanze anche misteriose, di riferimenti biblici. Come è stato affrontarlo? Jeff Bridges: Non è stato semplice, lo confesso. Neanche per me era facile capire che cosa volessero dire, in certi casi. Magari ci vorrebbero dei sottotitoli anche per la versione in inglese! Avete rivisto Il Grinta con John Wayne, per girare il vostro film? Joel & Ethan Coen: No. Il film con Wayne era un ricordo lontano, qualcosa visto da ragazzini. Ma la vera fonte di ispirazione è stata per noi il romanzo. I temi che trattava ci hanno appassionato. L'idea di farne un film è nata dal libro. C'è spazio anche per la adolescente Hailee, rivelazione assoluta del film. Come è stato per lei trovarsi sul set del film? Hailee Staifeld: Non ero sola: c'era sempre mia madre, e c'era la mia insegnante. All'inizio avevo un po' di paura. Ma Jeff, Josh e Matt sono stati una guida, e un sostegno continuo... Jeff Bridges: Ogni volta che ci scappava una parolaccia sul set, lei ci multava. Credo che alla fine ci abbia guadagnato parecchio! – ride Ethan Coen: Hailee non si stupiva mai di niente. Le dicevamo: adesso dovrai cadere in un crepaccio di venti metri, e lei: ok... Che importanza ha ed aveva, per voi, John Wayne? Joel Coen: Era un attore fantastico, ma non credo che oggi la sua influenza sulle nuove generazioni sia così grande. Mio figlio ha sedici anni e non sa neanche chi fosse. È stato grandissimo, ma non ha lasciato un segno fuori dal mondo del cinema Josh Brolin: Io l'ho conosciuto: le sue idee politiche erano straordinarie, wow! - e ride - No, scherzavo. È un pezzo di storia americana, come Ronald Reagan. Rappresenta un sistema di valori che molti americani hanno avuto. Joel & Ethan Coen I due fratelli sono come siamesi: difficile, veramente difficile capire chi fra i due effettivamente scriva, diriga e produca, anche se formalmente Joel appare sempre come regista e Ethan come produttore e sceneggiatore. Eppure entrambi lavorano come montatori sotto il falso nome di Roderick Jaynes. Quindi, a noi spettatori, non rimane altro che smettere di chiederci chi ha fatto cosa e limitarci a guardare il prodotto, costituito da: umorismo asciutto, ironia acuta, un impianto visivo scandalosamente di gusto, dialoghi insolitamente loquaci o a volte assolutamente laconici. E poi ancora le descrizioni di città, stati e regioni americane che diventano componenti integranti, quasi protagonisti, delle loro pellicole: da una distintiva Arizona fino alla caotica e burrosa Los Angeles, dall'intellettuale e incasinata New York fino alle contee polverose del Texas e del New Mexico, fotografate con lenti grandangolari o disegnate in storyboard che contengono completamente il film. Frastornanti, volutamente dilatati, debordanti e slabbrati, con immagini iperrealistiche ed eccessive e ritmi esplosivi che puntano al grottesco e alla parodia, i Coen, e in particolare Ethan, ci narrano della casualità ingovernabile della violenza disegnandola, a tratti, come incantevole e divertente. Joel e il fratello minore Ethan Coen (entrambi nati a Minneapolis, rispettivamente nel 1954 e nel 1957), figli di un economista e professore universitario ebreo e di un'insegnante di storia dell'arte, a soli 10 anni si mette a stampare con il fratello un opuscolo di quattro pagine: THE SENTINEL che trattava solo di cinema e che aveva il costo di 2 cents. La passione per la messa in scena strabordava fin dall'infanzia. Ancora bambini, con i soldi risparmiati dai loro lavoretti, riescono ad acquistare una cinepresa Super-8 che sarà il loro primo vero occhio cinematografico. È proprio grazie al Super-8 che realizzano cortometraggi da loro stessi definiti «astratti e surrealisti», nonché rifacimenti amatoriali dei film visti alla tv come La preda nuda (1966) di Cornel Wilde e Tempesta su Washington (1962) di Otto Preminger. Joel – seguito passo per passo dal fratello – è alunno del Simon's Rock Early College, e si iscrive poi alla New York Univerisity per studiare cinema (mentre Ethan una volta diplomato preferirà studiare filosofia nella prestigiosa università di Princeton) e, proprio fra quei corridoi, all'inizio degli Anni Settanta, conoscerà future grandi personalità del cinema americano come i registi Sam Raimi e Scott Spiegel e gli attori Bruce Campbell, Holly Hunter, Kathy Bates e Frances McDormand, poi divenuti tutti membri del club Society for Creative Filmmaking. Raggiunta la laurea grazie al corto di 30 minuti Soundings – che narrava di una donna impegnata a fare sesso con il suo ragazzo, mentre verbalmente faceva fantasie sessuali sul migliore amico di questo, che invece ascoltava nell'altra stanza -, Joel comincia a lavorare come assistente e aiuto montatore di diversi film horror a basso costo, molto spesso di Raimi - come nel caso de La casa (1981) con il suddetto Campbell. Dopo il matrimonio con l'attrice Frances McDormand nel 1984, Joel capisce che non può lavorare senza suo fratello, così, mettendo insieme la loro passione comune per il cinema, i due firmano la loro opera prima: Blood Simple – Sangue facile (1984) con Frances McDormand e M. Emmet Walsh. Ethan, entrato in contatto con il regista Sam Raimi grazie al fratello firma per lui la sceneggiatura de I due criminali più pazzi del mondo (1985), in cui recita anche Joel – che quello stesso anno sul set del divertente Spie come noi (1985). I Coen creano una ristretta cerchia "familiare" attorno a sé, che gli permetterà anche nel futuro di lavorare ai propri progetti audio-visivi con più facilità: dal comico Arizona Junior(1987) con Nicolas Cage al gangsteristico Crocevia della morte(1990), da Barton Fink – È successo a Hollywood – che otterrà sia la Palma d'Oro come miglior film sia quella per la miglior regia – fino a Mister Hula Hoop (1994) con Tim Robbins e Paul Newman. Il 2 ottobre 1993 Ethan sposa la montatrice Trincia Cooke. Il trhiller Fargo (1996) li vedrà trionfare nuovamente a Cannes con una seconda Palma d'Oro per la regia, ma anche all'Academy con l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Inoltre una pioggia di nominations ai BAFTA cade su di loro, con tanto di premio David Lean per la regia che li consacrerà definitivamente due dei registi più amati in Europa. Il capolavoro arriva nel 1998, quando raccontano le avventure di un reduce del movimento hippy che si trova invischiato in noir Anni Quaranta coi colori sgargianti e il gusto coreografico di un musical dei tempi d'oro. È arrivato Il grande Lebowski (1998): la summa della loro bravura. Dopo questo capolavoro, Ethan firma la sceneggiatura de Lo spezzaossa (1998), passando alla pubblicazione di una collezione di racconti dal titolo "Gates of Eden". I due fratelli realizzano poi l'omerico Fratello, dove sei? (2000), candidato sia agli Oscar che ai BAFTA per la miglior sceneggiatura con la quale affrontano l'odissea di tre evasi del Mississippi, ma anche alla fotografia in bianco e nero del simil-noir L'uomo che non c'era (2001) che farà loro vincere la terza Palma d'Oro per la regia e il David di Donatello per il miglior film straniero. Il tutto prima di arrivare a quella che è forse la loro commedia più sofisticata, remore del retaggio Katherine Hepburn e Spencer Tracy (o Cary Grant) con Prima ti sposo, poi ti rovino (2003). Accanto al lavoro come registi e sceneggiatori, i Coen da sempre sono produttori dei loro stessi film, ma anche di opere dirette o con i loro amici come Babbo Bastardo e il bellissimo musical italo-americano Romance & Cigarettes (2005) con Susan Sarandon e Christopher Walken. Dopo il grande insuccesso di Ladykillers (2004) con Tom Hanks, - rifacimento de La signora omicidi – prediligono piccoli progetti come nel caso di Paris, je t'aime (2006) con il corto Tuileries e il corto World Cinema appartenente all'opera multimanuale A ciascuno il suo cinema, dove hanno collaborato con Jane Campion, Michael Cimino, David Cronenberg, Manoel de Oliveira, Takeshi Kitano, Lars von Trier, Wim Wenders, Wong Kar-Wai, Zhang Yimou, David Lynch, Nanni Moretti, Roman Polanski e Théo Angelopulos. Ruggiranno ancora con un altro capolavoro, tratto dall’omonimo romanzo di Cromac McCarthy: Non è un paese per vecchi (2007) thriller di qualità e profondamente morale con Tommy Lee Jones, Javier Bardem, Josh Brolin e Woody Harrelson, rinnovandosi per creatività e armonia e vincendo meritatamente il Golden Globe per la migliore sceneggiatura e il BAFTA per la miglior regia, ma promettendo di tornare a temi più leggeri con Burn After Reading (2008) con Brad Pitt e John Malkovich. Il 2009 è l'anno di A serious Man, dove Michael Stuhlbarg interpreta Larry Gopnik, professore di fisica con molti guai. Nel 2011 arriva Il Grinta, brillante rifacimento dell'omonimo western di Henry Hathaway con Jeff Bridges e Matt Damon. Filmografia Joel Coen (1984) Blood simple – Sangue facile (1996) Fargo (1985) Spie come noi (attore) (1997) Il grande Lebowski (1987) Arizona Junior (2000) Fratello, dove sei? (1989) Crocevia della morte (2001) L’uomo che non c’era (1991) Barton Fink – È successo a Hollywood (2003) Prima ti sposo, poi ti rovino (1994) Mister Hula Hoop (2004) Ladykillers (2006) Paris, je t’aime (film collettivo) (2008) Burn After Reading – A prova di spia (2007) Non è un paese per vecchi (2009) A Serious Man (2007) A ciascuno il suo cinema (film collettivo) (2010) Il grinta Filmografia Joel Coen (1987) Arizona Junior (2004) Ladykillers (1989) Crocevia della morte (2006) Idiocracy (1991) Barton Fink – È successo a Hollywood (2006) Paris, je t’aime (film collettivo) (1996) Fargo (2007) Non è un paese per vecchi (1997) Il grande Lebowski (2007) A ciascuno il suo cinema (film collettivo) (2000) Fratello, dove sei? (2008) Burn After Reading – A prova di spia (2001) L’uomo che non c’era (2009) A Serious Man (2003) Prima ti sposo, poi ti rovino (2010) Il grinta Recensioni Roberto Escobar - L'Espresso Serrandosi al petto Manie Ross Hailee Steinfeld), il vecchio Rooster “Grinta” Coghurn (Jeff Bridges) costringe il suo cavallo a galoppare fino alla morte. La ragazzina è stata morsa da un serpente a sonagli. Le occorre un medico. Tutt’attorno c’è lo spazio libero e aperto del territorio indiano, nell’Arkansas. Sopra dì loro, vasto e profondo come il mito del West, il cielo nero è un trionfo di stelle. È questa l’inquadratura più intensa, più epica di "Il Grinta" (“True Grit’), che Ethan e Joel Coen hanno tratto da un romanzo di Charles Portis (ora edito da Neri Pozza). Forse, è proprio quel cielo stellato il “motivo” per cui i due geniali fratelli hanno riportato sullo schermo la storia dello sceriffo monocolo, quarant’anni dopo il film famoso di Henry Hathaway. Allora, nel 1969, Cogburn aveva i tratti gigioneschi di John Wayne. Oggi ha quelli sornioni, e commoventi, di un grande Bridges. Molto più fedeli a Portis degli sceneggiatori di Hathaway, i Coen ne hanno comunque “asciugato” il racconto, e così spingono ancora più in evidenza la nostalgia che lo percorre. Siamo nel 1878. Da qui a dieci o vent’anni non ci saranno più territori indiani. Già ora, si rammarica Cogburn, nelle pianure non corrono che gli ultimi bisonti. E lui, il violento uomo di legge che ben potrebbe essere bandito, è quasi tutto quel che rimane di un passato che muore. Al suo fianco c’è Mattie, una quattordicenne cocciuta e svelta che vuole vendicare la morte del padre. Gli potrebbe essere figlia, Mattie, se nella sua vita avesse mai pensato d’averne. Ma è solo, da sempre. Lo è come ogni eroe. E come per ogni eroe, il suo tempo non è un futuro che gli stia davanti, ma un presente che se ne corre via, senza Storia. E lo stesso vale per il ranger texano LaBeuf (Matt Damon), più giovane, ma anch’egli niente più che ricordo e nostalgia. Insieme, i tre lasciano la città – i suoi treni, i suoi giudici, le sue forche, i suoi boia – e tornano nello spazio libero dell’avventura. L’assassino del padre di Mattie s’è rifugiato nel territorio indiano, e lì loro lo inseguono. Guadato un fiume, d’un tratto non ci sono più confini, non ci sono più leggi, il valore di un uomo, come anche quello di una ragazzina, ora sta solo nel suo cuore, e nel suo coraggio avventato. Poco conta che, 25 anni dopo, dell’uno e dell’altro, del cuore e del coraggio, a Mattie non resti che il rimpianto. Il tempo ci sfugge, dirà sulla tomba di Cogburn. Ma nella memoria tutto è ancora vasto e profondo come un nero cielo di stelle. Valerio Caprara - Il Mattino Panorami struggenti, personaggi scolpiti, pistole, cavalli e duelli al sole. «Il Grinta», remake dell’omonimo western del ’69, è ricco di tali e tante fiammate epiche, raffinate citazioni e saette di humour nero da rendere letteralmente estasiasti gli spettatori come noi nostalgici del cinema classico e della sua primigenia solennità. I fratelli Coen, del resto, erano gli unici registi contemporanei in grado di riavvicinarsi con classe e convinzione al romanzo «Un vero uomo per Mattie Ross» di Charles Portis da cui è tratto il prototipo di Henry Hathaway: il loro film, infatti, ricrea le mitologie di fondazione americane con un sentimento dell’umana avventura e della riflessione esistenziale che non risponde a velleità revisionistiche, ma sembra scaturire da una prospettiva moderna e motivata. Naturalmente il valore dell’operazione è strettamente collegato alla prova meravigliosa degli attori, tutti in grado di diventare sullo schermo «più grandi della vita» come indicava il primo comandamento dell’età dell’oro hollywoodiana. A cominciare dalla quattordicenne interpretata da Hailee Steinfeld, fresca orfana del padre assassinato da un bandito che è subito fuggito in una delle «terre desolate» alla T.S. Eliot ben note ai cultori dell’ex genere americano per eccellenza. Indomita e determinata, la giovinetta assolda per braccarlo senza pietà lo sceriffo malandato, alcolizzato e dalla pistola facile Cogburn che sembra inventato su misura per il grandissimo Jeff Bridges che, nella voce (se la cava splendidamente, però, anche il super-doppiatore italiano Rodolfo Bianchi), l’aspetto, gli atteggiamenti e le battute risulta addirittura superiore a un predecessore ingombrante come «Il Duca» John Wayne. L’improbabile coppia, che si addentra nelle atmosfere spettrali del territorio indiano dei Choctaw, è accompagnata dal cacciatore di taglie interpretato da un Matt Damon capace ogni volta di sorprenderci per il suo mirabolante trasformismo. Con la pertinente complicità della fotografia di Roger Deakins e le musiche di Carter Burwell, «Il Grinta» scavalca le angustie e i complessi dell’immaginario anni Duemila e si riunisce per via diretta ai poemi di Ford, Hawks, Walsh e ai tormentati e rabbiosi neowestern del più giovane e disilluso Sam Peckinpah («Sfida nell’Alta Sierra»). Si sarà capito a questo punto come il film sprigioni tutta la geometrica potenza – in apparenza un po’ statica, in quanto lontana anni luce dal frenetico movimentismo dell’odierno blockbuster – che serve e metaforizzare tematiche pregnanti come il rapporto tra giustizia e vendetta, la fine e la rinascita dello spirito di frontiera e, in quest’ultimo senso, l’eterno incontro/scontro tra l’anima americana zelante, espansionista e democratica e quella originaria e pionieristica, anarchico-individualista e libertaria. Maurizio Acerbi - Il Giornale La giovane Mattie ingaggia il ruvido sceriffo Cogburn per dare la caccia al pistolero Chaney che ha ucciso suo padre. A questo strano duo si unirà anche un Texas Ranger di nome LaBoeuf. Jeff Bridges ce la mette tutta per non sfigurare nel ruolo che fu di John Wayne e che gli valse l’Oscar ma sarebbe un errore far paragoni con l’originale. È già una buona notizia che il western sia stato rispolverato anche se i Coen non sempre convincono nella loro regia. Da applausi è sicuramente Hailee Steinfeld, dura e implacabile vendicatrice dalla lingua svelta. Gian Luigi Rondi - Il Tempo La prima volta dei Coen, Ethan e Joel, a confronto con il western. Secondo gli schemi classici, rivisti però con una fervida autonomia creativa. Lo spunto l'hanno trovato in un romanzo di successo di Charles Portis, «True Grit», che in italiano si è potuto leggere con il titolo «Un uomo vero per Mattie Ross» e che già nei Sessanta era diventato un film più fedelmente intitolato qui da noi «Il Grinta», regista Henry Hathaway, protagonista John Wayne. Al centro, una ragazza, Mattie appunto, cui da un bandito è stato ucciso il padre, pronta adesso a vendicarlo assoldando uno sceriffo piuttosto male in arnese e dedito all'alcol. All’impresa, ma con altri scopi, si aggiunge un cacciatore di taglie texano che, all’inizio, non lega molto con gli altri due, finendo però per unirsi convinto al loro piano assecondando soprattutto la vendetta di Mattie, conquistato dall’impeto delle sue ragioni. Anche se nel romanzo di Portis e nel film di Hathaway il protagonista era decisamente lo sceriffo pagato per uccidere, nel film dei Coen, pur formalmente rispettoso dei fatti esposti sulla pagina scritta, gli spazi maggiori (e più intensi) finisce per ottenerli il personaggio della ragazza, così decisa, indomita, disposta a tutto con tale audace disinvoltura da farsi quasi identificare anche lei con il Grinta del titolo. È lei che conduce l’azione (grazie anche a una sua voce narrante), è lei che, persino più agguerrita dei due uomini, mostra di saper superare le tante difficoltà in cui si imbattono: incomprensioni, aggressioni degli inseguiti, incidenti di viaggio, sparatorie,. Mentre, attorno, le note cornici del West, quasi sempre sotto insolite nevicate, si dilatano in immagini di forte suggestione visiva, secondo una gamma cromatica che sa sempre abilmente trascorrere dall’ocra al seppia, l’avventura, certo, ma anche le emozioni e le tensioni, fatte emergere soprattutto dal coinvolgimento di quella ragazza (addirittura quattordicenne) che con la forza della sua personalità vince ogni ostacolo. Le dà volto una giovanissima esordiente, Hailes Steinfeld, forse più fragile del suo personaggio, ma sicuramente plausibile. Lo sceriffo è, con cipigli rudi e benda nera su un occhio, Jeff Bridges, più convincente che non a suo tempo John Wayne. Il texano è Matt Damon, con barba e baffi da cowboy. Elisa Battistini - Il Fatto Quotidiano Mattie Ross, quattordicenne di rara determinazione, vuole vendicare il padre ucciso vigliaccamente da un balordo, Tom Chaney. Per farlo deve ingaggiare un bravo cacciatore di taglie. Marshall Cogburn (Jeff Bridges), fama di spietato tiratore, pare l’uomo che fa al caso suo. Ma la ragazza non lo manda solo: anche lei vuole cavalcare nei territori degli indiani, fino a scovare Chaney. Ricercato anche dal Texas Ranger La Boeuf (Matt Damon), di cui né Mattie né Cogburn si fidano troppo. Ecco Il Grinta dei fratelli Coen, fedele al romanzo di Charles Portis più che al film di Hathaway con John Wayne (unico premio Oscar della sua carriera), che i due fratelli di Minneapolis dicono di non aver neppure rivisto. Ancora una volta i Coen riescono a depistare le aspettative. Perché, in fondo, era molto più un western Non è un paese per vecchi questo di Grinta. Dove, nella prima parte, i protagonisti sono impegnati soprattutto in estenuanti contrattazioni. Nel West dei Coen si mercanteggia su tutto e si parla tantissimo. Non esiste accordo, di nessun genere, che non passi per un lungo negoziare dialettico di cui Mattie è incontrastata regina. È lei stessa a farcelo presente quando, nel prologo, la sua voce fuori campo ci informa che a questo mondo nulla è gratuito “eccetto la grazia di Dio”. E la bellezza del film è proprio nel saper arrivare alla grazia di Dio raccontando i rapporti tra la ragazzina più tosta del West, l’ormai malandato “grinta” e La Boeuf. Quando si diventa una squadra si ha meno bisogno di parlare perché si è protetti dal tocco divino. Il Grinta è commovente e intelligente. Ed è bello, bello. Grandi attori e grandissimi Coen. Che depistano ma non tradiscono mai. Paolo D'Agostini - La Repubblica Arriva sugli schermi già circondato da un alone leggendario per via delle dieci candidature all' Oscar. E poi anche per via del suggestivo passaggio di testimone: dal genere western di una volta- ma già in versione crepuscolare - alla moderna e carismatica mano dei fratelli Coen, e da una delle sue principali icone, John Wayne, a Jeff Bridges ormai abbastanza maturo per il confronto. Si tratta di Il Grinta. Il precedente, datato 1969 e diretto dal veterano Henry Hathaway, appartiene appunto alla stagione finale del pistolero per definizione del cinema americano classico. E fu, su misura per lui che una decina d’anni prima della morte ne ottenne il solo Oscar della sua gloriosa carriera, il ruolo di un vecchio sceriffo ormai in disarmo e dalla non specchiata fama – ubriacone, decisamente fuori forma e senza un occhio – il quale finisce per accettare l’improbabile incarico affidatogli da una ragazzina testarda e volitiva che vuole vendicare l’uccisione del padre da parte di un balordo che poi si è dato alla macchia in territorio indiano. Per uscirne – va da sé che l’attore altrimenti non avrebbe accettato il ruolo e appannato il suo eroico curriculum – a testa alta e con orgoglio. La rilettura di oggi non può più avere lo stesso tono e neanche lo stesso esito finale, perché non corrisponderebbe a una sensibilità mutata dopo il tramonto del sogno. Di mezzo, negli anni di poco successivi al Grinta originale, c’è stata l’ondata antiwestern alimentata dalla Nuova Hollywood contestatrice che vedeva proprio in John Wayne un simbolo reazionario da abbattere. Film come Piccolo grande uomo, Soldato blu… insomma il cosiddetto neowestern dalla parte degli indiani,. Che, con tutti i loro ideologismi e la loro demagogia da senso di colpa, facevano cadere un velo e hanno costituito una linea spartiacque. Insieme con il modello del western italiano (meno eccentrico e più ironico), ha definitivamente ucciso le ragioni di un genere narrativo che per l’America aveva rivestito un’importanza identitaria. Allora come si regolano i Coen? Danno un colpo al cerchio e un altro alla botte. Tentano sia di salvare la demistificazione dell’universo western della tradizione con la sua legge dell’onore e dell’individualismo coraggioso ma nella verità fatto di fango sudore e polvere da sparo, slealtà, disonore e sterminio, sia di recuperarne i presunti valori, la forza trascinatrice ed entusiasmante. Ma le due cose non stanno insieme. Roste Cogburn, che chiamano sceriffo ma è un cacciatore di taglie, uno che si vende e vende la propria abilità a sparare e uccidere, così come tutti coloro e tutto ciò che lo circondano nel West dell’immediato dopoguerra civile, visti nella loro miserabile realtà sono la disarmante dichiarazione di quale materia sia fatta la giovane storia della nazione americana: soprusi, violenza, chi pecora si fa lupo se la mangia. E dunque è impossibile riproporre un modello, che si reggeva soltanto su un tacito patto di falsità storica, spogliato della sua appagante leggenda.