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CINEFORUM DI
SAN BONIFACIO (VR)
MAGIC IN THE MOONLIGHT
La storia di un mago del palcoscenico (interpretato da Colin Firth) negli anni Venti del Novecento, la cui fiducia nel mondo empirico è messa alla prova da una giovane donna molto attraente (Emma Stone) che sostiene di essere una medium.
"Fine anni ’20. Stanley (Colin Firth), nome d’arte Wei Ling Soo, è il mago, il prestidigitatore, l’illusionista più celebre al mondo, e non c’è da stupirsi: solo lui può far scomparire un elefante dal palcoscenico. Eppure, Stanley è un razionalista duro e puro, uno scienziato, poco incline a farsi illudere, a credere in una realtà altra FOTOGRAFIA
rispetto a quella sensibile e logicamente comprensibile: Stanley è convinto che ogni Darius Khondji
fenomeno abbia una spiegazione qui e ora, e pazienza se l’infelicità personale ne è logica conseguenza. Ma la situazione sta per evolvere repentinamente: viene MONTAGGIO
chiamato in Costa Azzurra da un amico, mago pure lui, perché smascheri una bella Alisa Lepselter
ragazza americana, Sophie (Emma Stone), che si accredita facoltà sovrannaturali, tra cui il parlare con l’aldilà. Ma è davvero la truffatrice che si direbbe? Sul caso indaga INTERPRETI
Stanley, ma è una missione ad alto rischio, in primis cardiaco… Emma Stone,
E’ tornato Woody Allen, ed è in un discreto stato di forma: Magic in the Moonlight è Colin Firth,
fresco, romantico, delizioso. Innanzitutto, le battute vanno a segno con una certa Marcia Gay Harden,
facilità, per esempio questo scambio tra Stanley e Sophie è da ricordare: “Non ti Hamish Linklater,
posso perdonare, solo Dio può” – “Ma hai appena detto che Dio non esiste” – Jacki Weaver,
“Appunto”. I costumi, firmati da Sonia Grande, sono stupendi: complice la naturale Eileen Atkins,
Erica Leerhsen,
eleganza, Firth è il gentiluomo (misantropo, ma quello è un altro discorso) per Simon McBurney,
antonomasia, e le mise della Stone non sono da meno. Jeremy Shamos,
Dopo la performance da Oscar in Birdman, un’altra prova di bravura per l’attrice Kenneth Edelson
americana, vezzosa come lo scenario richiede. Insomma, quasi tutto bene, a parte il palese imbarazzo di Firth nelle scene più affettuose: l’attore inglese ha 54 anni, la PRODUZIONE
Stone 26, forse i 28 anni di differenza pesano, e non ci riferiamo solo alla Perdido Productions
“credibilità” poetica. Eppure, Woody Allen non se ne cura, e non ci sorprende: tra lui e la moglie Soon Yi corrono 34 primavere. Ma son dettagli, c’è davvero qualcosa di DISTRIBUZIONE
magico sotto la,luna: si chiama amore, effetto vintage.” Warner Bros. Italia
(Federico Pontiggia – Cinematografo) PAESE
"Nel nuovo di Woody Allen, atmosfere tra il Charleston e l’adorato Jazz, paillettes e USA 2014
tazzine da tè in lussureggianti ville sulla Costa Azzurra” GENERE:
(Anna Maria Pasetti – Il Fatto Quotidiano) Commedia
"(...) Piacerà agli alleniani da sempre, naturalmente. Troveranno tutto o quasi tutto il DURATA
repertorio di Woody. La nostalgia degli anni 20 e il romanzo 'Dicembre‐Maggio'. Le 98’
reminiscenze letterarie (i personaggi secondari tradiscono volutamente echi fitzgeraldiani). E la componente turistica che ormai sembra inevitabile nell'opera del Woody (la 'Côte' è messa in pellicola con un amore che solo un regista americano può esprimere). E naturalmente, il tema fisso da almeno otto lustri: l'inganno, la “Piccola patria” di Alessandro fantasia, sempre e comunque preferibili all'arida realtà. Certo gli alleniani a corrente Rossetto, film forte e necessariamente sgradevole, ambientato in un Triveneto di fango e fuliggine, capannoni industriali, terreni agricoli, alberghi sgraziati. Qui si muove un’umanità meschina, avida, ansiosa di alternata (quelli che vorrebbero ogni anno un 'Blue Jasmine' o un 'Match Point') non fuggire. “Schei”, soldi, è la parola d’ordine, e al dialetto veneto e al linguaggio brutale Rossetto è il caso che coltivino grandi illusioni. Questo è un Woody di ordinaria amministrazione, che se a volte s'accende inaspettatamente è per merito di Emma Stone, che ha l'aria di reclamare un posto d'onore tra le muse allenane." (Giorgio Carbone ‐ Libero)
REGIA e
SCENEGGIATURA
Woody Allen
“Malinconia e dubbio possono sembrare cupe qualità da fondere in un romp amoroso. Ma quel colpo di gravità è ciò che rende Magic in the Moonlight memorabile e tipicamente WoodyAlleniano..” (Peter Travers – Rolling Stones) Colin Firth: “Vi racconto io la magia (di Woody)" “Odiava la realtà, ma realizzò che era l’unico posto dove trovare una buona bistecca”, è una delle vecchie battute di Woody Allen che mi è capitato di rubare di recente. Da ragazzo lo facevo sempre, era il mio modo per cercare di essere divertente. Sono un grande fan di Woody, è stato importante per me avere il ruolo principale nel suo flm». Colin Firth è il protagonista di Magic in the Moonlight, l’ultima opera del prolifico e discontinuo genio di Manhattan. Negli ultimi dieci anni Allen ha diretto 11 flm, alcuni riusciti (come Match Point, Basta che funzioni o Blue Jasmine), altri meno (per esempio Vicky Cristina Barcelona). Magic in the Moonlight appartiene al primo gruppo: divertente, toccante, è ambientato nella Costa Azzura del 1928 dove l’illusionista inglese Stanley, impregnato di razionalismo, viene chiamato a smascherare l’incantevole medium americana Sophie (Emma Stone). Se il flm è all’altezza dei classici di Allen il merito è del copione e della regia, della fotografa di Darius Khondji, e della grande prova da attore di Colin Firth. Com’è stato girare con uno dei suoi miti? Come si comporta Allen sul set? Se è contento, non dice niente. Oppure, «bene», e si va avanti. Se non è soddisfatto, allora può̀ diventare molto concentrato sui dettagli, parla un sacco, e si fanno infinite riprese finché non arriva quella giusta. Ci sono state scene più difficili di altre? Sì, ma nel film non sono rimaste. Tutto quello che abbiamo girato il primo giorno è andato al macero, Allen era chiaramente insoddisfatto di come stavamo facendo le cose. Ci ha pensato su, abbiamo rigirato da capo le stesse scene, ma comunque non sono finite nel film. Perché le piace tanto Woody Allen? Ho letto tutti i suoi libri, ascoltato le registrazioni delle stand up comedies degli anni Sessanta, più e più volte. Il primo film che ho visto è stato Bananas, qui a Parigi, e ricordo benissimo con chi ero, in quale cinema, l’emozione di scoprire questo fantastico esempio di arte dell’assurdo. Era anticonvenzionale, eccezionale. Noi britannici abbiamo fatto a lungo esperimenti con l’assurdo, dal Goon Show (andato in onda sulla Bbc negli anni ’50, ndr) ai Monthy Python, ma vederlo fare in un altro modo, attraverso un’altra strada, fu una grande esperienza. Poi lui ha cambiato stile e ho cominciato ad amare anche cose come Stardust Memories. Grazie a Woody ho scoperto Bergman, Gershwin, Fellini, Buñuel... Il suo amore per le cose è contagioso. Le sue influenze diventano le tue influenze. In Magic in the Moonlight a un certo punto scoppia a piovere e lei e Emma Stone vi rifugiate in un planetario, questa volta sulla strada per Nizza. E' una citazione voluta di Manhattan? A dire il vero non credo sia stato fatto apposta. Non era nella sceneggiatura, è dipeso da un problema solo pratico: nel copione, quando si mette a piovere, ci rifugiamo sotto la macchina. Ma l’auto era troppo bassa, non ci stavamo con le cineprese, abbiamo dovuto trovare rapidamente una soluzione alternativa, e il planetario lungo la strada ci è sembrato perfetto. Il film parla del rapporto tra ragione e fede, delle visioni opposte di chi crede in un aldilà e di chi lo nega. Lei che pensa, per esempio, del suo connazionale ateo militante Richard Dawkins? L’evangelismo e lo scetticismo militanti sono entrambi molto lontani dal mio modo di vedere le cose. Ho sfiducia nelle certezze, non penso che l’essere sicuri al cento per cento sia una posizione filosofica ragionevole. La parola «credere» è molto strana, sono andato a cercarla sul dizionario mentre giravamo questo film. La definizione è considerare qualcosa come vera senza averne la prova o verifica. Ma il suo opposto, il disbelief, è la stessa cosa. Trovo bizzarri anche quelli che ripetono non credo non credo non credo. A 54 anni lei ha già recitato in film molto diversi, da “Il diario di Bridget Jones” e “Love Actually” a “A Single Man”, da “Mamma Mia!” a “Il discorso del Re” per il quale ha vinto l’Oscar come miglior attore. Come sceglie i ruoli? Ha in mente un percorso per la sua carriera? No, è impossibile, non si possono seguire strategie. Sono attratto dall’inaspettato, dal caso. Ho scelto di girare il film di Woody Allen perché era Woody Allen. Altre volte ho accettato una parte in una storia che andava raccontata, anche se il ruolo non era perfetto... Oppure posso recitare in un film per amicizia. Ogni volta i criteri cambiano. (Stefano Montefori) 
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