A06 8/4 Lezioni di Medicina Interna I Scuola di Specializzazione in Medicina Interna QUARTO VOLUME Direttore prof. Francesco Balsano Copyright © MMV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 a/b 00173 Roma (06) 93781065 fax (06) 72678427 ISBN 88–548–0810-5 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. I edizione: ottobre 2006 Indice Capitolo 1 - Ipercalcemia A cura della Dott.ssa Nicoletta Di Lallo 13 Capitolo 2 - Un diabete con segni antichi A cura del Dott. Filippo Tomassetti 41 Capitolo 3 - Ipertensione A cura del Dott. Bruno Albiani 79 Capitolo 4 - Frattura vertebrale A cura del Dott.Antonio Bruno 131 Capitolo 5 - Un addome voluminoso A cura della Dott.ssa Deborah Alivernini 169 Capitolo 6 - Due rari casi di artrite reattiva A cura della Dott.ssa Sonia Bracchita 189 Capitolo 7 - Una febbre esotica A cura del Dott. Marco Barucco 226 Presentazione Francesco Balsano Fino al XIX secolo la gente comune conosceva molto poco della Medicina. I pazienti si affidavano al medico come ci si affida ad uno stregone, non sapevano nulla sulla malattia che li affliggeva né sugli agenti causali o sulle cure più appropriate e soprattutto, nella maggior parte dei casi, gli stessi dottori non ne sapevano molto più dei pazienti. Basti pensare che, per esempio, fino a 60 anni fa era considerato un successo chirurgico il fatto stesso di lasciare vivi la sala operatoria. Sono sotto gli occhi di tutti le grandi conquiste della medicina scientifica: dalla scoperta nel 1963 della doppia elica del DNA da parte di Watson e Crick al sequenziamento del genoma umano, la farmacogenomica, l’identificazione dei microRNA, lo sviluppo di terapie molecolari rivoluzionarie e di vaccini preventivi e terapeutici innovativi, fino all’inizio della medicina rigenerativa con la possibilità di isolare e manipolare le cellule staminali. Gli sviluppi delle nanotecnologie applicate allo studio del menoma e delle sue funzioni sono stati impressionanti e attraverso le nuove metodiche di citogenetica molecolare, di sequenziamento automatico, e genotipizzazione del DNA e, soprattutto, attraverso la definizione dei profili di espressione mediante microarrays si possono già ottenere informazioni clinicamente utili per la diagnosi e la prognosi. E’ tuttavia nato il problema della gestione dei dati, a volte numerosi e non sempre univoci. Per poter applicare le nuove tecnologie allo studio del singolo paziente va ancora migliorata la loro standardizzazione, vanno condotte analisi di coorti di pazienti omogenee ed informative, va diminuita la complessità dei dati analitici e, soprattutto, si deve arrivare ad una sostanziale diminuzione di costi. Il medico si trova oggi, nell’era della post-genomica, a fronteggiare un vero bombardamento di informazioni. In un futuro ormai prossimo potrà avvalersi, anche nella sua pratica clinica, dello studio a livello dell’intero genoma delle mutazioni polimorfiche del DNA, della quantificazione e modificazioni dei livelli di mRNA (trascrittomica) dell’analisi delle proteine e delle loro modificazioni (proteomica) e della valutazione delle disregolazioni dei metaboliti (metabolomica). Dobbiamo ritenere completamente superate l’intuizione del medico e del ricercatore? La capacità di formulare ipotesi sperimentali o cliniche debbono lasciare il passo all’esecuzione di algoritmi ed alla conoscenza dei risultati dell’analisi di megadatabase generati con metodiche eminentemente descrittive? Noi pensiamo di no, in quanto tutte queste metodiche debbono essere piuttosto strumenti idonei ad aiutare il medico nella corretta definizione della diagnosi che ha ipotizzato visitando con accuratezza il paziente e valutando il suo stato psicofisico complessivo. Questo piccolo volume di lezioni tenute dai medici Specializzandi in Medicina Interna conferma che l’approccio clinico, anche se molto aggiornato, non si è modificato ed il ragionamento conserva la sua insostituibile validità. Einstein diceva che “l’immaginazione è più importante della conoscenza”. La gran parte di ciò che i Medici sanno è insegnata loro dai malati. Marcel Proust Capitolo 1 Ipercalcemia A cura della Dott.ssa Nicoletta Di Lallo ANAMNESI Sig.ra E.C., di anni 77. ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA La paziente è giunta alla nostra osservazione per una sintomatologia, insorta da circa un mese, caratterizzata da dolore addominale in sede epigastrica associato ad alcuni episodi di vomito post-prandiale e sensazione di bruciore retrosternale. Riferiva inoltre, da circa 3 mesi, un’intensa astenia che si era aggravata nell’ultimo mese tanto da rendere difficoltosa la deambulazione. ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA Ricorda i comuni esantemi dell’infanzia. A 33 anni intervento di isterectomia per prolasso uterino. A 50 anni intervento per appendicite acuta complicata da peritonite. A 72 anni diagnosi di psoriasi. ANAMNESI FISIOLOGICA Nata a termine da parto eutocico, allattamento materno, regolare sviluppo psico-fisico. Scolarità III media, menarca all’età di 13 anni con cicli di ritorno regolari per quantità e durata. Menopausa chirurgica all’età di 33 anni. Non beve alcolici , non fuma, beve 1 caffè al giorno, segue una dieta povera di latticini da circa un mese. Nicturia (3-4 episodi a notte) e poliuria negli ultimi mesi. Alvo tendenzialmente stitico da circa un mese. 13 14 CAPITOLO 1 ANAMNESI FAMILIARE Padre deceduto all’età di 84 anni. Madre affetta da artrosi deceduta ad età avanzata per causa non meglio precisata. Quinta di 8 germani, 1 fratello deceduto per incidente sul lavoro, 3 fratelli deceduti per patologia neoplastica non meglio precisata, 2 sorelle in apparente buono stato di salute, 1 sorella affetta da diabete mellito e pregresso K mammella. ESAME OBIETTIVO ESAME GENERALE Condizioni generali discrete, psiche lucida, sensorio integro, decubito indifferente, respiro eupnoico, apiretica. Cute: secca; presenza, soprattutto a livello dei gomiti, di placche eritematose con scarsa presenza di squame argentee come da psoriasi; annessi cutanei nella norma per età e sesso, pannicolo adiposo normorappresentato. Stazioni linfonodali esplorabili apparentemente indenni. CAPO E COLLO Capo normoconformato e normoatteggiato,non dolenti né dolorabili i punti di emergenza del V paio di nervi cranici; pupille isocoriche, isocicliche, normoreagenti alla luce e all’accomodazione. Collo cilindrico, non dolente ai movimenti di lateralità e di flessoestensione. Tiroide non visibile, non palpabile. TORACE Presenza di scoliosi, emitoraci normoespansibili con gli atti del respiro. Fremito vocale tattile normotrasmesso su tutto l’ambito, murmure vescicolare fisiologico. Assenza di rumori aggiunti . Mammelle: non si apprezzano tumefazioni patologiche alla palpazione. 15 IPERCALCEMIA CUORE E VASI Itto non visibile, palpabile al V spazio intercostale sinistro sull’emiclaveare, azione cardiaca ritmica, toni netti, presenza di soffio sistolico aspro sul focolaio aortico irradiato ai vasi del collo e di soffio sistolico sul focolaio mitralico. Polsi periferici normosfigmici e simmetrici. ADDOME Addome globoso per adipe, presenza di cicatrice sovrapubica da pregresso intervento chirurgico, addome trattabile, dolorabile alla palpazione profonda in sede epigastrica, cicatrice ombelicale normointroflessa, timpanismo enterocolico nella norma, peristalsi diminuita. Fegato: margine inferiore apprezzabile a 1 cm dall’arcata costale, punto cistico non dolorabile, manovra di Murphy negativa. Milza: non palpabile il polo inferiore. Apparato urinario: punti ureterali superiori e medi non dolorabili, manovra del Giordano negativa. SISTEMA NERVOSO Difficoltà di concentrazione, tono dell’umore depresso, non deficit focali in atto. ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI ESAMI EMATOCHIMICI ALL’INGRESSO IN REPARTO Emocromo con formula: anemia normocitica normocromica (Globuli rossi 3.7x10^6/mcl, Emoglobina 10.8 g/dl, Ematocrito 32.3%, MCV 86.60 fl, MCH 28 pg). Globuli bianchi nella norma e formula leucocitaria rispettata, piastrine nella norma. Coagulazione: nella norma Iposideremia: (41mcg/dl) Funzione epatica nella norma. Funzione renale nella norma. Amilasi e lipasi nella norma. FSH, ft3 e ft4 nella norma. 16 CAPITOLO 1 Albumina e elettroforesi proteine del siero nella norma. Ipercalcemia severa (15 mg /dl), ipopotassiemia (2.98 mEq /l), ipofosfatemia (2.25mg/dl), con valori del Sodio nella norma. Nonostante la paziente presentasse un corteo sintomatologico vario e importante (astenia, epigastralgia, vomito, stipsi, nicturia, labilità emotiva) e una storia familiare estremamente suggestiva di patologie neoplastiche, è opportuno sottolineare che il ragionamento clinico e l’approccio terapeutico non possono prescindere da un valore della calcemia così elevato. Tanto più che valori tali, raggiunti in tempi brevi possono dar luogo a quella che comunemente viene definita crisi ipercalcemica, la quale può assumere una gravità tale da mettere a repentaglio la vita del paziente. Sebbene la nostra paziente non presentasse l’ instabilità emodinamica di tale quadro clinico è stata comunque immediatamente iniziata una terapia atta ad abbassare i livelli di calcemia, e sulla quale mi sembra corretto soffermarsi prima di affrontare il cammino diagnostico. IPERCALCEMIA SINTOMATOLOGIA E APPROCCIO TERAPEUTICO ALL’IPERCALCEMIA SEVERA I principali segni e sintomi del paziente affetto da ipercalcemia grave coinvolgono numerosi apparati: ♦ Segni da deplezione di volume: ridotto turgore della cute si associa a mucose orali aride e globi oculari affossati. ♦ Sintomi cardiologici: tachicardia, aritmie gravi ♦ Sintomi neurologici: compromissione dello stato di coscienza fino al coma ♦ Sintomi gastrointestinali: nausea e vomito Nell’attesa di una corretta diagnosi e quindi di un trattamento definitivo della patologia primaria, la terapia medica va indirizzata ad aumentare l’escrezione renale di Calcio, aumentando l’escrezione di Sodio. Bisogna però tener presente che nell’ipercalcemia l’organismo 17 IPERCALCEMIA è in deficit idrico per la perdita di liquidi indotta dal diabete insipido nefrogenico. Quindi il trattamento di scelta consiste nel ristabilire l’euvolemia con soluzione fisiologica (NaCl 0.9% 250-500 ml/h) inducendo la natriuresi con FUROSEMIDE (20-40 mg ogni 2 ore). Se la funzione renale è compromessa può addirittura rendersi indispensabile il trattamento dialitico. In acuto se necessario o in un secondo momento, soprattutto nei casi di ipercalcemia legata a sindromi neoplastiche, si può intervenire inibendo il riassorbimento di Calcio dalle ossa (PAMIDRONATO 60-90 mg in 500 ml di soluzione fisiologica alla velocità di 15 mg/ora 4-6 ore) o dall’intestino (DESAMETASONE 4 mg x 2 ev/die). FISIOPATOLOGIA L’omeostasi del Calcio nell’organismo è regolata da un complesso sistema chimico-fisico e ormonale. Il calcio circolante è suddiviso in una quota legata alle proteine, una quota complessata ad acidi organici e una quota libera in forma ionizzata, che rappresenta la forma biologicamente attiva. Modificazioni chimico-fisiche quali alterazioni dei livelli circolanti o dell’equilibrio acido-base modulano le concentrazioni di calcio ionizzato. Nella pratica clinica questo risulta essere importante soprattutto per quanto riguarda le variazioni dell’albumina. Una riduzione dell’albumina causa una diminuzione del calcio plasmatico totale, rimanendo invariata la componente di calcio ionizzato. Qui di seguito viene infatti riportata la formula di correzione: Calcemia corretta = calcemia totale + 0.8 x (4 – albuminemia) Il controllo ormonale dell’omeostasi calcica è rappresentato dall’asse Paratormone (PTH)/ vitamina D e calcitonina mediante effetti diretti e indiretti su osso, intestino e rene (figura 1). Il paratormone promuove l’aumento di Calcio e la diminuzione di fosfato. I suoi effetti sono in parte diretti e in parte dovuti all’1,25 (OH) colecalciferolo. La produzione di PTH è inibita dal Calcio e dall’1,25 (OH)colecalciferolo in modo sinergico. Lo sviluppo di ipercalcemia è inizialmente compensato da un progressivo incremento della calciuria. Fino a che il meccanismo di filtrazione riesce a compensare l’ipercalcemia, l’aumento di calcemia sierica risulta minimo. Il continuo e progressivo incremento dell’escrezione calcica nelle urine comporta peraltro una diuresi osmotica con conseguente deplezione di volume e riduzione della quota di filtrazione glomerulare. Lo sviluppo di disturbi 18 CAPITOLO 1 gastrointestinali legati all’aumento della secrezione di gastrina, concorre a peggiorare definitivamente la deplezione di volume. Compare infine il danno neurologico caratterizzato da un progressivo rallentamento ideo-motorio, letargia e disorientamento. Fig.1 19 IPERCALCEMIA EZIOLOGIA Le più importanti cause di ipercalcemia sono elencate nella tabella 1. E’ importante sottolineare che l’iperparatiroidismo primario e le neoplasie coprono circa il 90% di casi di ipercalcemia. Tabella 1- Cause di ipercalcemia Associate ad alterazioni delle Paratiroidi Associate a neoplasie ↑ Vitamina D ↑ Turnover osseo Associate a malattie renali Iperparatiroidismo primitivo Litio Ipercalcemia ipocalciurica familiare Metastasi litiche tumori solidi (mammella, polmone, rene) Neoplasie ematologiche (mieloma, leucemie, linfomi) Ipercalcemia umorale neoplastica (polmone, rene) Intossicazione vitamina D Malattie granulomatose Ipercalcemia idiopatica dell’infanzia Ipertiroidismo Immobilizzazione Tiazidici Intossicazione vitamina A Iperparatiroidismo terziario, Alluminio, Sindrome latte-alcali PTH mediate Non PTH mediate 20 CAPITOLO 1 Ipercalcemia associata a malattie neoplastiche In corso di neoplasie maligne, il riscontro di ipercalcemia è evenienza relativamente comune: generalmente si verifica nella fase avanzata della neoplasia, costituendo quindi un segno prognostico negativo. In generale i meccanismi che conducono all’ipercalcemia in corso di neoplasia maligna possono essere di due tipi: · ipercalcemia osteolitica locale , come si verifica nei pazienti con metastasi scheletriche diffuse (per es. neoplasie della mammella, polmone e rene), e in quelli con coinvolgimento del midollo osseo da parte di una neoplasia ematologica (per es. mieloma multiplo). · ipercalcemia umorale ,dovuta alla produzione, da parte della neoplasia, di PTHrP (parathyroid hormone-related protein) per es. neoplasie del polmone e rene, o di fattori di attivazione osteoclastica (TGF-b) per es.leucemie e linfomi. Il riscontro di ipercalcemia inoltre può essere osservato in pazienti con neoplasie endocrine multiple. La MEN tipo 1 è una patologia endocrina che si manifesta con neoplasie a carico di (occorrono almeno 2 sedi interessate): Paratiroidi Ipofisi Pancreas endocrino iperparatiroidismo primitivo adenomi (PRL, GH, …) gastrinomi, insulinomi, ecc. Si definisce familiare un caso di MEN-1 che si associ ad uno o più parenti di primo grado con neoplasie in una delle 3 localizzazioni tipiche. La malattia si trasmette geneticamente con modalità Autosomica dominante. Ipercalcemia ipocalciurica familiare Sindrome caratterizzata da una solitamente asintomatica alterazione dei valori della calcemia, con relativa ipocalciuria e valori inappropriatamente nella norma di PTH. E’ caratterizzata da un alterato set-point della sensibilità del PTH ai valori della calcemia (resistenza delle paratiroidi all’effetto inibitorio del Ca++ sulla 21 IPERCALCEMIA secrezione di PTH) e da aumentato riassorbimento renale di Ca++ . E’ trasmessa con carattere ereditario, in maniera autosomica dominante, ed esistono rare forme con mutazione in omozigosi, che determinano quadri di severo iperparatiroidismo neonatale. E’ causata da mutazioni inattivanti del recettore del Ca++ (CaR) (figura 2) Figura 2 L’ipercalcemia ipocalciurica familiare deve essere considerata in diagnosi differenziale soprattutto in presenza di condizioni asintomatiche, moderata ipercalcemia (<12 mg/dL), PTH moderatamente elevato o normale ma inappropriato, imaging scintigrafico negativo. DIAGNOSI: Cl(ca)/Cl(cre)<0.01 22 CAPITOLO 1 Ipercalcemia associata alla vitamina D L’ ingestione di più di 50000UI/die,(50 volte superiore al normale fabbisogno fisiologico) comporta un aumento di substrato per la 1 aidrossilasi renale, con aumento del 1,25(OH)2D. Nei pazienti affetti da sarcoidosi, la normale regolazione della produzione dei metaboliti attivi da parte del Calcio o del PTH viene meno, in quanto il luogo di sintesi di 1,25(OH)2D si presume essere il macrofago o altre cellule presenti nel nodulo granulomatoso. Può rientrare nella categoria di patologie dovute all’alterazione del metabolismo della vitamina D la sindrome di Williams neonatale, patologia congenita caratterizzata da ipercalcemia, stenosi aortica, ritardo mentale e facies elfina. Dovuta all’ alterazione dei meccanismi inibitori di feed-back. Ipercalcemia associata ad aumentato rimaneggiamento osseo Questo avviene in tutti quei casi dove esiste una sproporzione tra neoformazione e rimaneggiamento osseo come nell’ipertiroidismo, durante allettamento prolungato, nell’intossicazione da vitamina A (assunzione di 50000 UI/die, pari a 10 volte il fabbisogno giornaliero). Inoltre il trattamento con tiazidici può causare ipercalcemia transitoria, più spesso in pazienti con preesistenti situazioni di rimaneggiamento osseo, interagendo sull’escrezione renale e sull’efficienza d’azione delle paratiroidi. Sindrome da latte e alcali Questa sindrome si manifesta in individui predisposti detti “iperassorbitori”, caratterizzata da ipercalcemia, alcalosi e insufficienza renale è provocata da un’eccessiva ingestione di calcio e alcali assorbibili come il latte o il carbonato di Calcio. 23 IPERCALCEMIA Iperparatiroidismo terziario E’ talora possibile che in corso di iperparatiroidismo secondario datante da lungo tempo, le paratiroidi si svincolino completamente dai meccanismi di controllo della secrezione del PTH divenendo del tutto autonome: si parla in questo caso di iperparatiroidismo terziario. Tale evenienza si verifica di solito in pazienti che sono in insufficienza renale cronica con iperparatiroidismo secondario da anni. I valori di PTH aumentano decisamente così come i valori della calcemia, contrariamente a quello che succede nell’iperparatiroidismo secondario dove la calcemia tende a valori bassi. A livello clinico, le alterazioni ossee divengono ancora più evidenti, e frequenti risultano le calcificazioni dei tessuti molli. ALGORITMO DIAGNOSTICO Di fronte al paziente che presenta una ipercalcemia confermata, il quesito più importante al quale il medico si trova a dover rispondere riguarda la distinzione fra una situazione di ipercalcemia PTH-mediata o non PTH-mediata. Tale distinzione riveste un’importanza clinica fondamentale, in quanto il successivo iter diagnostico-terapeutico nelle due categorie è differente. Il semplice dosaggio della calcemia (eventualmente mediante determinazione del calcio ionizzato) e del paratormone risulta quindi quasi sempre dirimente: valori elevati di entrambi sono indice certo di ipercalcemia PTHmediata, in quanto l’ipercalcemia non dovuta all’attività delle paratiroidi (o alla rara secrezione di PTH ectopico) determina sempre la soppressione della secrezione del PTH endogeno. Considerando la molteplicità di cause quindi, deve essere considerata in fase iniziale una prima suddivisione fra forme ipercalcemiche dipendenti da patologie paratiroidee rispetto a forme ipercalcemiche svincolate dall’asse paratiroidi-calcio. Un esempio può essere dato dalla flow-chart diagnostica in tabella.2. 24 CAPITOLO 1 Approccio diagnostico al paziente con ipercalcemia IPERCALCEMIA escludere errore di laboratorio SI assunzione di farmaci NO sospendere il trattamento eucalcemia Ipercalcemia iatrogena PTH ipercalcemia elevato ridotto Altre cause Iperparatiroidismo primitivo Tabella 2 Figura 3 E’ chiaro quindi che il test singolo fondamentale per la diagnosi differenziale è il dosaggio del PTH. I dosaggi radioimmunologici (RIA)sono sufficientemente sensibili e pratici per la misurazione routinaria del PTH circolante. L’interpretazione dei risultati richiede la comprensione di “cosa” quel particolare antisiero stia misurando. Infatti la maggiorparte del PTH circolante consiste di frammenti inattivi che vengono eliminati dal rene, un accumulo di questi per compromissione renale, potrebbe alterare il test. Attualmente 25 IPERCALCEMIA vengono utilizzati i dosaggi immuno radiometrici a “doppio sito” con la possibilità di misurare il PTH intatto (figura 3) e quindi biologicamente attivo. DIAGNOSI NELLA PAZIENTE Questo test è stato eseguito nella nostra paziente e i valori sono stati derimenti riguardo alla diagnosi di iperparatiroidismo primitivo (PTH 519 pg/ml .vn 10.6-54 pg/ml). Diagnosi supportata ampiamente dalla clinica sulla quale ci soffermeremo più avanti e dagli altri valori laboratoristici quali la ipercalcemia (Ca tot. 15.1 mg/dl, Ca++2.11 mmol/L)e la ipofosfatemia (2.25 mg/dl). Iperparatiroidismo primitivo La prevalenza attuale dell’iperparatiroidismo primitivo è dell’ordine di 0.5/1000 abitanti con più frequente interessamento del sesso femminile (rapporto femmine/maschi 2:1) e della 6° - 7° decade di vita. L’ipersecrezione di PTH nell’iperparatiroidismo primitivo può essere causata da: ♦ ♦ ♦ ♦ adenoma singolo o doppio (75-80%) iperplasia delle cellule principali (20%) carcinoma (1%) forme ereditarie (ipercalcemia ipercalciurica familiare e le neoplasie endocrine multiple di tipo 1 e di tipo 2). MANIFESTAZIONI CLINICHE DELL’IPERPARATIROIDISMO L’iperparatiroidismo può presentarsi clinicamente in diverse forme. Molti casi decorrono in maniera del tutto asintomatica e vengono diagnosticati solamente per il dosaggio occasionale della calcemia. In realtà, anche in questi casi, un’anamnesi attenta e mirata può mettere in evidenza una serie, pur aspecifica, di sintomi quali la facile 26 CAPITOLO 1 faticabilità, la profonda astenia, la cefalea ed il prurito, oltre alla confusione mentale ed alla labilità emotiva. MANIFESTAZIONE RENALI Uno dei sintomi più comuni dell’iperparatiroidismo è la colica renale che si presenta nel 30 – 40% dei casi e che è dovuta alla presenza di calcolosi delle vie urinarie. I calcoli sono in genere costituiti da ossalato di calcio. I fattori che nell’iperparatiroidismo causano la formazione dei calcoli sono sostanzialmente l’ipercalciuria e l’acidosi tubulare renale che favorisce la precipitazione dei sali di calcio. Meno frequentemente si può avere una nefrocalcinosi, con depositi di calcio nel parenchima renale. Generalmente i pazienti che presentano calcolosi renale non presentano nefrocalcinosi e viceversa. MANIFESTAZIONI OSSEE Il PTH aumenta il turnover osseo, ed i suoi effetti possono essere catabolici o anabolici, in relazione all’età del paziente. In generale, l’effetto catabolico prevale, con conseguente demineralizzazione dell’osso : si ha pertanto riduzione del numero delle trabecole ossee, osteolisi per aumento dell’attività degli osteoclasti, sostituzione fibrosa del tessuto osseo: ne consegue un aumentato rischio di fratture, soprattutto a carico delle vertebre. Di raro riscontro oggi sono i caratteristici quadri radiologici dell’osteitefibroso-cistica: mentre in passato tale complicanza si verificava in circa il 50% dei pazienti affetti da iperparatiroidismo, attualmente un reale e significativo coinvolgimento osteitico si rileva circa nel 10% dei soggetti affetti. Più frequentemente si possono rilevare erosioni sottoperiostali a carico delle falangi e demineralizzazione ossea diffusa che simula un quadro di osteoporosi. Clinicamente il paziente può lamentare dolori ossei diffusi o localizzati in caso di fratture spontanee. Più rare le deformità ossee. MANIFESTAZIONI GASTROINTESTINALI L’ipercalcemia di per sé causa un aumento dei livelli di gastrina con conseguente aumento della secrezione acida gastrica: ne consegue la maggior probabilità di patologia dispeptica (quadro molto evidente nella nostra paziente che si presentava con epigastralgia marcata, 27 IPERCALCEMIA nausea e vomito) fino a quadri di ulcera peptica. A ciò possono associarsi quadri di pancreatine cronica, forse per la precipitazione di sali di calcio nei dotti pancreatici e altri disturbi aspecifici come la stipsi (dovuta alla ridotta motilità intestinale) riferita dalla nostra paziente negli ultimi periodi. MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE La labilità emotiva, la depressione, la difficoltà di concentrazione e la riduzione della memoria sono i sintomi neurologici più frequenti dell’iperparatiroidismo. Sintomi che ci hanno particolarmente colpito durante la raccolta dell’anamnesi. Talora i sintomi possono aggravarsi fino alla confusione, all’ottundimento ed alla letargia se i valori della calcemia divengono particolarmente elevati. La profonda astenia e la facile faticabilità, soprattutto a carico dei muscoli prossimali, sono estremamente disturbanti e sono segnalati di frequente. La nostra paziente riferiva un’astenia così marcata da compromettere la deambulazione. MANIFESTAZIONI CARDIOVASCOLARI. L’ipercalcemia causa un aumento dell’altezza del plateau (fase 2)del potenziale d’azione del muscolo cardiaco a causa dell’incremento della corrente lenta d’ingresso del calcio e della corrente del potassio che ripolarizza la cellula: ciò si traduce in un accorciamento del QT all’elettrocardiogramma e una facilità all’automatizzazione. Le figure 4a e 4b mostrano i tracciati elettrocardiografici della nostra paziente ai diversi valori di calcemia. Figura 4a Calcemia 15 mg/dl Fc 70 bpm QT 0.3 sec Figura 4b Calcemia 7.1 mg/dl Fc 70 bpm QT 0.4 sec 28 CAPITOLO 1 ALTRE MANIFESTAZIONI Comprendono poliuria e polidipsia, dovute alla ridotta sensibilità del tubulo distale all’ormone antidiuretico (ADH) per effetto dell’ipercalcemia. Quello che viene ad instaurarsi, così come nella nostra paziente è una forma di diabete insipido nefrogenico ADH resistente. IMAGING DELL’IPERPARATIROIDISMO E’ noto che la diagnosi di iperparatiroidismo (HPT) è clinicolaboratoristica, che l’iperparatiroidismo primitivo può essere curato con l’asportazione del tessuto paratiroideo iperfunzionante (nell’8590 % dei casi si tratta di un adenoma singolo) e che la chirurgia delle paratiroidi è una tecnica dispendiosa in termini di tempo e necessita di una notevole esperienza specifica dell’operatore. Negli ultimi anni lo sviluppo di nuove tecniche chirurgiche come l’esplorazione unilaterale del collo e la chirurgia miniinvasiva video o radioguidata, e la determinazione intraoperatoria del PTH hanno permesso una riduzione del tempo dell’intervento e del ricovero del paziente con evidente risparmio economico e con miglior risultato estetico. Tali procedure richiedono una ottimizzazione delle tecniche di localizzazione pre-chirurgica, tenendo conto che le paratiroidi sono ghiandole endocrine caratterizzate dalla molteplicità (normalmente sono in numero di quattro con incidenza di ghiandole soprannumerarie compresa tra il 2 e il 5 %) e dalla possibilità di localizzazione ectopica (fino al 20 % delle ghiandole iperfunzionanti sono ectopiche). La diagnostica per immagine dell’iperparatiroidismo primitivo è quindi da considerare il link fra la diagnosi e la pianificazione del corretto intervento chirurgico. In ogni caso, una corretta diagnosi di laboratorio e la conferma preliminare di una condizione clinica di iperparatiroidismo primario è del tutto imprescindibile per pianificare uno studio di imaging morfologico e/o funzionale. La scelta dell’imaging per la valutazione delle paratiroidi è attualmente varia: US, TC, RM e medicina Nucleare. Comunque, nessuna delle metodiche diagnostiche, presa singolarmente, risulta valida in tutte le circostanze di qui la necessità di integrare due o più tecniche per ottenere un aumento della sensibilità globale. (tabella 3). 29 IPERCALCEMIA Imaging dell’iperparatiroidismo: strategia integrata. LABORATORIO SCINTIGRAFIA DUBBIA POSITIVA NEGATIVA cervicale ectopica Extratiroidea TC/RMN Intratiroidea ECOGRAFIA CHIRURGIA Tabella 3 SCINTIGRAFIA È una delle metodiche più accurate per la ricerca di adenomi o iperplasie delle paratiroidi, grazie anche alla possibilità di esaminare contemporaneamente la regione cervicale e mediastinica. Come tutte le tecniche di imaging non è in grado di evidenziare le paratiroidi normali Non esistono infatti traccianti che abbiano le paratiroidi come esclusivo organo bersaglio. Quelli impiegati (201Tallio, 99mTc-2-metossi-isobutilisonitrile [MIBI] , 99mTcTetrofosmin) hanno la caratteristica comune di essere captati dalla tiroide e dalle paratiroidi iperfunzionanti, con maggior concentrazione a livello di quest’ultime. L’entità della captazione dipende dal flusso ematico regionale (perfusione) e dalla concentrazione numerica di cellule metabolicamente attive (cellularità). I meccanismi di captazione cellulare differiscono per ognuno dei traccianti e per alcuni aspetti non sono completamente noti. Le procedure più frequentemente usate sono: la scintigrafia con doppio tracciante e tecnica di sottrazione e la scintigrafia in doppia fase. 30 CAPITOLO 1 La scintigrafia con DOPPIO TRACCIANTE e metodica di SOTTRAZIONE si basa sul confronto tra l’immagine ottenuta dopola somministrazione di un tracciante captato prevalentemente a livello della tiroide (99mTc-pertecnetato) e quella rilevata dopo somministrazione di Tallio, MIBI o Tetrofosmin che si accumulano sia a livello tiroide o sia a livello paratiroideo. Nei casi più tipici la presenza di una o più paratiroidi iperfunzionanti è già riconoscibile nella sola immagine ottenuta col tracciante di cellularità, in base alla presenza di una o più aree focali di maggior accumulo della sostanza, cui corrisponde una zona “fredda” nell’immagine tiroidea con tecnezio. Frequentemente la concentrazione dei traccianti a livello delle lesioni paratiroidee è uguale o inferiore a quello della tiroide; in questi casi l’immagine di sottrazione consente di riconoscere la/le paratiroidi iperfunzionanti come aree focali più evidenti rispetto all’attività totale (figura 5). Fig. 5- Tecnica di sottrazione: schema esemplificativo Immagine A ottenuta dopo somministrazione di 99mTc, rappresenta la tiroide Immagine B ottenuta dopo somministrazione aggiuntiva del tracciante di cellularità Immagine C ottenuta mediante sottrazione di B –A 31 IPERCALCEMIA L’accuratezza diagnostica dell’indagine con tecnica di sottrazione è limitata da: • movimento del Paziente durante la registrazione delle immagini (è necessaria l’immobilità prolungata) • presenza di gozzo plurinodulare e/o lesioni “calde” alla scintigrafia tiroidea con Tecnezio, che possono rendere tecnicamente difficile la sottrazione delle immagini • funzione tiroidea inibita da interferenze farmacologiche (trattamento con ormoni tiroidei o recente somministrazione di mdc iodato) o tiroide in tutto o in parte assente per pregresso intervento chirurgico. La tecnica in DOPPIA FASE utilizza il 99mTc- MIBI e sfrutta i diversi tempi di rilascio del radiomarcato dalla tiroide e dalle paratiroidi iperfunzionanti. Il tracciante, iniettato per via endovenosa, raggiunge la massima captazione a livello tiroideo dopo 5-10 minuti e successivamente si allontana in modo relativamente rapido dalla tiroide e più lentamente dalle paratiroidi iperfunzionanti (tale fenomeno è detto wash-out differenziale). Pertanto a distanza di 2-3 ore dalla somministrazione permane una significativa concentrazione di indicatore solo a livello delle paratiroidi iperfunzionanti, mentre l’immagine tiroidea si attenua quasi del tutto (figura 6). 32 CAPITOLO 1 Fig. 6 - Tecnica in DOPPIA FASE Schema esemplificativo Immagine A ottenuta dopo somministrazione di 99mTc-MIBI Immagine B ottenuta dopo 2-3 ore dalla somministrazione Il grafico mostra il meccanismo del wash-out differenziale tra tiroide e paratiroide iperfunzionante Alla scintigrafia con MIBI viene associata l’ecografia (effettuata sempre dopo l’esame scintigrafico, in quanto nettamente più operatore-dipendente della prima): tale abbinamento fornisce elevati livelli di accuratezza (sensibilità 95%, specificità vicina al 100 %). Le due metodiche sono complementari (l’ecografia è la metodica più sensibile, la scintigrafia la più specifica) e sinergiche (all’informazione prevalentemente funzionale fornita dalla scintigrafia si associa il dato morfologico dell’ecografia). 33 IPERCALCEMIA IMAGING NELLA PAZIENTE Nella nostra paziente l’esame scintigrafico effettuato con tecnica dual phase e sottrazione MIBI/99mTc, mediante acquisizioni di immagini planari su collo e mediastino dopo 5min, 1 h e 2h dalla somministrazione del tracciante ha messo in evidenza area di residua captazione del MIBI a livello del mediastino anteriore superiore, in sede paramediana destra. Alta probabilità di adenoma paratiroideo nella regione segnalata. (figura 7) SCINTIGRAFIA Fig.7 ECOGRAFIA L’ecografia ha evidenziato in corrispondenza del lobo di destra due aree rotondeggianti di 4 e 9 mm di diametro, entrambe ipoecogene da riferire a formazioni solide. 34 CAPITOLO 1 TC TORACE Questi esami sono stati poi integrati con una TC torace con e senza mezzo di contrasto che ha evidenziato la presenza di una formazione rotondeggiante con enhancement precoce di 18 mm di diametro in corrispondenza della finestra prevascolare in sede retrosternale, confermando la diagnosi di alta probabilità di adenoma paratiroideo effettuata con la scintigrafia. TERAPIA INDICAZIONI CHIRURGICHE L’intervento di paratiroidectomia è altamente raccomandato per i pazienti con iperparatiroidismo sintomatico, calcolosi renale, patologie ossee e gravidanza. Inoltre le linee-guida revisionate nel 2002 hanno esteso la candidatura all’intervento chirurgico anche ai pazienti apparentemente asintomatici se: 1-Calcemia >1mg/dl del valore normale. 2-Calciuria >400 mg nelle 24 ore. 3-densità ossea < di 2SD del valore normale. 4- età <50 5-resistenza alla terapia medica La nostra paziente è stata quindi sottoposta ad intervento di asportazione dell’adenoma ectopico, con netto miglioramento della sintomatologia clinica e immediato decremento del PTH e della calcemia (PTH 29.2 pg/ml, Ca 6.9 mg/dl). Inoltre l’esame istologico post-operatorio ha confermato la diagnosi di adenoma paratiroideo della varietà a cellule principali. La paziente è stata quindi dimessa con terapia sostitutiva con Calcio e vitamina D. Inoltre vista l’importanza della sintomatologia gastrointestinale è stata eseguita uno esofagogastroduodenoscopia con biopsia e esame istologico che ha evidenziato una gastrite cronica antrale attiva e la presenza di aree focali di metaplasia intestinale. Positiva la ricerca per Helicobacter Pylori. Per cui alla dimissione è stata aggiunta terapia con esomeprazolo, amoxicillina e claritromicina . 35 IPERCALCEMIA TERAPIA MEDICA NEL POST-OPERATORIO La maggior parte dei pazienti dopo l’intervento di paratiroidectomia può presentare segni e sintomi riferibili ad ipocalcemia. In genere i livelli di calcio raggiungono il nadir nel secondo o nel terzo giorno post-operatorio.L’ipocalcemia tenderà ad essere più marcata e prolungata nei pazienti con una più marcata compromissione ossea preintervento. In questi pazienti la riduzione dei livelli di PTH determina una intensa positivizzazione del bilancio calcico e fosforico osseo (hungry bone syndrome) associata ad un aumento del PTH che può persistere per molte settimane. In rari casi (0.5-1%) l’intervento chirurgico è seguito da una ipocalcemia permanente con ipoparatiroidismo permanente. Questo ipoparatiroidismo iatrogeno è più frequente in caso di reintervento sul collo specie per la presenza di una iperplasia. La diagnosi differenziale precoce tra ipoparatiroidismo e “hungry bone syndrome” può essere fatta con il dosaggio del PTH e suggerita dalla fosforemia (in aumento nell’ipoparatiroidismo ed in diminuzione ulteriore nell’hungry bone syndrome). Una lieve ipocalcemia, se non sintomatica, non richiede alcun trattamento. Nelle ipocalcemie più severe e sintomatiche (parestesie delle estremità distali e circumorali, crampi muscolari, tetania latente) si rende necessaria supplementazione calcica (1-3 g/die), cui può essere associato calcitriolo (1-2 mg/die). In qualche caso l’ipocalcemia è molto severa (comparsa di tetania) e può richiedere l’infusione quasi continuativa di calcio e.v. (ad esempio: 0.2-1 g in 10 minuti, seguito da infusione continua con 1-2 mg/kg/ora. TERAPIA MEDICA E FOLLOW-UP IN PAZIENTI NON SOTTOPOSTI A INTERVENTO CHIRURGICO Solo nel 1990 una “consensus conference” internazionale ha stabilito dei criteri precisi che prevedono la possibilità di soprassedere all’intervento chirurgico e di limitarsi ad un’attenta osservazione, in soggetti affetti da iperparatiroidismo primitivo asintomatico, con età superiore a 50 anni, con valori di calcemia non particolarmente elevati e con massa ossea non particolarmente compromessa. In ogni caso, molti dei pazienti che non hanno rigorosa indicazione all’intervento chirurgico, possono comunque trarne beneficio, in quanto esso determinerebbe un netto miglioramento dei sintomi 36 CAPITOLO 1 “neurocomportamentali”, talora difficili da evidenziare, e impedirebbe la progressione della malattia verso una fase sintomatica. Come è evidente dalla tabella 4 sono molti i farmaci di cui disponiamo e che a volte si rendono necessari nel controllo dell’ipercalcemia di qualunque eziologia. Pazienti non sottoposti a intervento chirurgico TERAPIA MEDICA Bifosfonati Corticosteroidi Calcitonina Mitramicina Nitrato di gallio fosfati Calcemia ogni 6 mesi FOLLOW - UP Cretatininemia ogni anno Densità ossea ogni anno Tabella 4 Bifosfonati Il principale effetto farmacologico dei bisfosfonati è quello di inibire il riassorbimento osseo:l’elevata affinità di queste sostanze per i cristalli di idrossiapatite rende l’osso bersaglio elettivo di questi farmaci. Essi vanno ad interagire sulla funzione delle cellule deputate al riassorbimento osseo: gli osteoclasti.Una volta entrati in circolo, i bisfosfonati si legano ai cristalli di idrossiapatite e vengono quindi “fagocitati” dagli osteoclasti. Una volta all’interno degli osteoclasti i bisfosfonati ne bloccano la funzione di riassorbimento osseo. Sono 37 IPERCALCEMIA espressione di questo blocco del riassorbimento la riduzione della secrezione acida degli osteoclasti, la riduzione delle attività enzimatiche e della produzione di interleukina 6; sembra inoltre che essi possano favorire l’apoptosi degli osteoclasti ed il distacco dalle superfici ossee di riassorbimento. Inoltre vi è un secondo meccanismo “indiretto” in quanto i bisfosfonati sono in grado di inibire quei fattori di attivazione degli osteoclasti prodotti normalmente dagli osteoblasti (riduzione del reclutamento degli osteoclasti). Effetti collaterali: – Leucopenia – Iperpiressia – Riduzione livelli di fosfato – Nausea e anoressia Farmaci e dosaggi PAMIDRONATO (AREDIA): 60 mg in 500 cc di soluzione fisiologica o glucosata al 5% alla velocità di 125 ml/h (15 mg/ora.) L’effetto ipocalcemizzante è dose dipendente. Si manifesta dopo 2436 ore dalla somministrazione. Permane per circa 2 settimane. La dose può essere ripetuta non prima di 7 giorni. ACIDO ZOLEDRONICO (ZOMETA): 4 mg in infusione endovenosa in almeno 15 minuti. Maggiore efficacia. Ripetibile dopo 4 settimane. Corticosteroidi Agiscono riducendo l’assorbimento intestinale del calcio, inibendo la risposta infiammatoria nel tessuto granulomatoso e nei mielosi e antagonizzando l’azione della vitamina D. Per questo considerati utili 38 CAPITOLO 1 nel trattamento in acuto dell’intossicazione da vitamina D e A. L’effetto sulla calcemia non è immediato, ma compare dopo alcuni giorni. DESAMETASONE 4 mg due volte al giorno endovena per circa 5 giorni. IDROCORTISONE: 100 mg due volte al giorno endovena per circa 3 giorni. Calcitonina L’effetto ipocalcemizzante persiste per 6-8 ore.Riduce il calcio sierico di circa il 10% (0.5 mg/dl). Dose: 4 UI/Kg sottocute o intramuscolo ogni 12 ore oppure 8 UI/Kg ogni 6 ore se la risposta è insoddisfacente. Effetti collaterali: Nausea, crampi addominali e Flushing Mitramicina Farmaco antibiotico antineoplastico che interferisce con la differenziazione degli osteoclasti (inibisce la sintesi di RNA). Viene utilizzato nei pazienti non responsivi ai bifosfonati. Dose:15-25 mcg/Kg endovena in circa 4 ore per non più di 7 giorni. Effetti collaterali: Disturbi elettrolitici, piastrinopenia, stomatite, necrosi epatocellulare, nausea e vomito. Nitrato di gallio Inibisce il riassorbimento osseo con un’ efficacia pari al pamidronato. Ha una durata d’azione di circa due settimane. Altamente nefrotossico. Dose: 200 mg/m2 superficie corporea endovena per 5 giorni. Fosfati Inibiscono il riassorbimento osseo bloccando l’attivazione della vitamina D. Possono precipitare un’insufficienza renale. Non devono essere somministarti se il prodotto calcio x fosforo è > 70. Agiscono in 6 – 8 ore. Riducono la calcemia di 1 – 5 mg/dl. Dose:1.5 g per 6 – 8 ore. 39 IPERCALCEMIA CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE La nostra paziente è giunta con un quadro clinico particolarmente vario. Se ci fossimo soffermati sulla sintomatologia gastroenterica (nausea, vomito e epigastralgia) avremmo potuto spiegare solo in parte il corteo sintomatologico della paziente non riuscendo ad inquadrare sintomi che seppure aspecifici erano particolarmente importanti (astenia, labilità emotiva e poliuria). All’ingresso in reparto la nostra attenzione è stata attratta dal quadro degli esami ematochimici, che mostravano una ipercalcemia severa. Sulla scorta del valore elevato del paratormone, ci siamo orientati verso un iperparatiroidismo primitivo e abbiamo eseguito una scintigrafia delle paratiroidi e una TC torace che hanno evidenziato la presenza di un adenoma paratiroideo, trattato in seguito chirurgicamente. L’iperparatiroidismo primitivo nell’anziano, spesso rimane misconosciuto perché la presentazione clinica può essere asintomatica o lievemente sintomatica, anche la nostra paziente era stata allarmata dai sintomi gastrointestinali mentre aveva sottovalutato quelli neurologici che inizialmente potevano essere confusi con il normale invecchiamento. I disturbi del comportamento più frequentemente descritti includono disturbi a livello dell’affettività (apatia, mancanza di iniziativa, disturbi del sonno, irritabilità, ideazioni suicide, labilità emotiva) e meno frequentemente delirium o disturbi psicotici quali aggressività e allucinazioni. Anche se la patogenesi dei disordini psichiatrici nell’iperparatiroidismo non è esattamente conosciuta, sembra che il calcio giochi un ruolo cruciale nelle modificazioni del metabolismo delle monoamine nel sistema nervoso centrale. 40 CAPITOLO 1 BIBLIOGRAFIA Bilezikian J.P.: et al., Primary hyperparathyroidism: new concepts in clinical, densitometric and biochemical features. Journal of internal medicine 2005;257:6-17 Caron NR et al: persistent and recurrent hyperparathyroidism. Curr Treat options oncol 2004;5:335 Clark O: editorial: how should patients whit primary hyperparathyroidism be treated? J Clin Endocrinol Metab 2003;88:3011 Kearns AE et al: Medical and surgical management of hyperparathyroidism. Mayo Clin Proc 2002;78:87 Malone JP et al : Hyperparathyroidism and multiple endocrine neoplasia. Otolaringol Clin North Am 2004;37:715 Rao DS et al: Randomized controlled clinical trial of surgery versus no surgery in patients whit mild asymptomatic hyperparathyroidism. J Clin Endocrinol Metab 2004;89:5415. Siperstein A et al : Prospective evaluation of sestamibi scan, ultrasonography, and rapid PTH to predict the success of limited exploration for sporadic primary Hyperparathyroidism. Surgery 2004;136:872 Capitolo 2 Un diabete con segni antichi A cura del Dott. Filippo Tomassetti “Poche osservazioni e molti ragionamenti conducono all’errore; molte osservazioni e pochi ragionamenti alla verità.” ALEXIS CARREL ANAMNESI Sig. D.V., di anni 34, di professione autista di mezzi pubblici. ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA Il paziente, di anni 34, in Agosto us (circa 3 mesi fa) si è recato ad una visita specialistica urologica per l'insorgenza di un problema di erezione dolorosa, con tumefazione della regione peniena, con eritema diffuso a livello della radice delle cosce ed eritema a placche sul glande e sul pene. L'urologo ha posto diagnosi di candidosi genitale. Un'ecografia della regione peniena ha evidenziato una induratio penis plastica, in particolare a livello della tonaca di rivestimento dei corpi 41 42 CAPITOLO 2 cavernosi in sede dorsale. Iniziava terapia con DIFLUCAN e DAKTARIN, sospesa poi dopo miglioramento della sintomatologia locale (1 mese). Nei mesi successivi accusava malessere, cefalea, astenia, seguiti poi da poliuria, polidipsia, anoressia e calo ponderale (circa 6 kg in 3 mesi). Riprendeva inoltre la sintomatologia urogenitale, con eritema e secrezione a livello balano-prepuziale, erezione dolorosa e stranguria. Per questa sintomatologia giunge alla nostra osservazione, inviato dal Medico di Base in regime di ricovero in Day Hospital di Medicina Interna. Il paziente appare sovrappeso, sofferente e preoccupato. Notiamo che è lievemente irritabile ma collaborante, fiducioso nei confronti della nostra equipe medica. ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA Delle comuni malattie esantematiche dell'infanzia, ricorda morbillo e varicella. A 24 anni, intervento chirurgico per cisti branchiale a livello laterocervicale dx. ANAMNESI FISIOLOGICA Nato a termine da parto eutocico. Allattamento materno. Normali i primi atti dell’infanzia e lo sviluppo psicosomatico. Abile alla leva. Scolarità: licenza media inferiore. Alvo regolare, poliuria da 1 mese, stranguria da 3 mesi. Normomangiatore, dieta varia. Fumatore, 40 sigarette/die. Beveva vino ai pasti, non beve più alcool da 2 mesi. 1-2 caffè/die. Nega reazioni allergiche a farmaci. ANAMNESI FAMILIARE Padre deceduto a 56 anni per processo broncopneumonico. Madre vivente di 68 anni, ipertensione arteriosa. 1 sorella di 29 anni in apparente buona salute. 2 figli di 9 e 7 anni, in apparente buona salute. 43 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI ESAME OBIETTIVO ESAME GENERALE Condizioni generali discrete. Psiche lucida. Sensorio Integro. Facies composita. Decubito indifferente. Respiro eupnoico. Cute calda e asciutta. Mucose rosee. Pannicolo adiposo ben rappresentato, distribuzione androide. Lesioni (Fig.1) Regione inguino-scrotale eritematose a Eritema e lesioni maculo-papulari, che nel livello delle pieghe paziente si accompagnavano a lesioni inguino-scrotali e eritematose ed essudative del nel solco balanosolco balano-prepuziale. prepuziale (fig.1). Sistema linfonodale apparentemente indenne. Apparato osteoarticolare apparentemente indenne. CAPO E COLLO Capo normoconformato e normo-atteggiato. Collo non dolente ai movimenti di flesso-estensione e lateralità. Non dolenti né dolorabili i punti di emergenza del V paio di nervi cranici. Lingua lievemente iperemica, si rileva una vescicola biancastra con cercine iperemico al confine tra base e corpo linguale. 44 CAPITOLO 2 CUORE E VASI Itto della punta palpabile al V spazio intercostale sull’emiclaveare. Azione cardiaca ritmica, 98 b/minuto. Toni netti, pause libere. Polsi periferici presenti e normosfigmici. TORACE Torace cilindrico, emitoraci simmetrici e normoespandibili con gli atti respiratori. Basi mobili. Suono chiaro polmonare su tutto l’ambito. MV lievemente aspro, non rumori respiratori aggiunti. ADDOME Addome lievemente globoso per adipe. Cicatrice ombelicale normointroflessa. Assenza di reticoli venosi patologici. Trattabile. Non dolente alla palpazione superficiale e profonda. TEC come di norma. Organi ipocondriaci nella norma. SISTEMA NERVOSO Assenza di deficit sensitivi e motori. ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI ESAMI EMATOCHIMICI VES Glicemia Azotemia Sodio Fibrinogeno FT3– FT4–TSH HBsAg HCV Ab totali 30 324 mg/dL 6,8 mg/dL 136,7 mEq/L 597 mg/dl nella norma Negativo Negativo Elettroforesi Sieroproteica Albumina 50.6% (52-65) 3,85 g/dL 45 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI ESAMI URINE Glucosio= 50,5 g/L Chetoni = +++ Sedimento= Scarsa flora micotica ECG Ritmo sinusale a frequenza cardiaca di 84 bpm. Blocco di branca sinistra completo. ECG DINAMICO SECONDO HOLTER Ritmo sinusale a frequenza cardiaca media di 89 bpm. Sporadici battiti ectopici sopraventricolari e due run sopraventricolari di cui il più lungo di nove battiti. Normale conduzione atrioventricolare. Conferma del blocco di branca sinistra completo. Nessuna sintomatologia durante la registrazione del tracciato. ECOCARDIOGRAMMA Ventricolo sinistro di volume normale con spessori parietali ai limiti superiori della norma, alterata cinesi settale (in presenza di blocco di branca sinistra completo) e funzione sistolica globale conservata. Nella norma atrio sinistro e cavità destre. Apparati valvolari esenti da alterazioni significative. 46 CAPITOLO 2 RAGIONAMENTO CLINICO ELEMENTI ESSENZIALI DA ANAMNESI ED ESAMI CLINICOLABORATORISTICI ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ Sintomi e segni di infezione recidivante dei genitali esterni Poliuria e polidipsia Anoressia e calo ponderale Cefalea e malessere generale Iperglicemia, glicosuria, chetonuria Segni di infiammazione acuta (VES, fibrinogeno) Ipoalbuminemia Blocco di branca sinistra Il paziente mostra i sintomi e i segni di un’infezione genitale, con un quadro di infiammazione sistemica. I valori della glicemia sono già diagnostici di diabete mellito (glicemia >200 mg con sintomi). Al fine di meglio definire la situazione glicometabolica del paziente e precisare la diagnosi della specifica infezione responsabile della sintomatologia genitale prescriviamo i seguenti esami: ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ Dosaggio dell’HbA1c Dosaggio dell’insulinemia basale Studio del profilo glicemico Pattern autoanticorpale: ICA, IAA, Anti-GAD Videat DERMATOLOGICO + esame microscopico a fresco delle lesioni genitali I primi risultati ottenuti dal laboratorio sono i seguenti: HbA1C= 11.2% (4,2-6,5) 47 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI Profilo glicemico: PC=264 mg/dl – DC=280 mg/dl – PP=275 mg/dl – DP=318 mg/dl – PC =280 mg/dl (PC: prima di colazione - DC: dopo colazione - PP: prima di pranzo - DP: dopo pranzo – PC: prima di cena) Videat Dermatologico: Sono visibili le pseudo-ife di Candida albicans, viene pertanto confermata la diagnosi di candidosi genitale. IPOTESI CONSIDERATA Con i valori glicemici riscontrati nel paziente, abbiamo già una diagnosi stabilita di diabete mellito. Dobbiamo precisare di quale forma di diabete si tratti e instaurare la terapia più appropriata. A tale scopo è utile richiamare brevemente alcune nozioni di fisiopatologia e gli elementi clinici di confronto tra le forme più comuni di diabete. Richiami di Fisiopatologia e Clinica del Diabete Mellito Il diabete mellito è una sindrome endocrino-metabolica, caratterizzata da iperglicemia ed alterazioni del metabolismo di carboidrati, lipidi e proteine. L’eziologia è eterogenea: vengono classicamente distinte due forme principali: il diabete tipo 1, dovuto a deficit della secrezione insulinica pancreatica, ed il diabete tipo 2, caratterizzato da una combinazione variabile di resistenza tessutale all’azione insulinica e di deficit della secrezione compensatoria insulinica. L’iperglicemia, il markers distintivo della malattia diabetica, è di grado variabile, correlato con lo stadio e la severità del sottostante processo patologico, nonché con l’efficacia del trattamento. DIABETE TIPO 1 In questa forma, più rara (5-10% dei casi totali di diabete nella popolazione), le beta-cellule delle isole di Langherans del pancreas vengono distrutte da un aggressione autoimmune (90% dei casi) o da un processo idiopatico (10%). Nella prima forma, di gran lunga la più comune, un insulto ambientale (microbico, chimico, dietetico) scatena 48 CAPITOLO 2 una reazione autoimmune specifica verso le cellule beta pancreatiche di un individuo geneticamente predisposto. Gli alleli HLA DR3 e/o DR4 sono infatti presenti nel 90-95% dei diabetici di tipo 1 e solo nel 45-50% della popolazione generale; la concordanza in gemelli monozigoti è del 40%. La distruzione beta-cellulare è un processo prevalentemente cellulo-mediato, ma accompagnato da una reazione umorale, con produzione di autoanticorpi contro costituenti delle isole pancreatiche (ICA:anti-cellule insulari, IAA:anti-insulina, GAD:antiacido glutammico decarbossilasi). Questa reazione anticorpale è utilizzata clinicamente come marcatore di laboratorio nella fase di esordio del diabete di tipo 1. Quando il 90% delle cellule beta sia stato distrutto, la massa cellulare restante non è più in grado di sostenere una secrezione insulinica quantitativamente sufficiente a mantenere il livello glicemico nei limiti della norma e la malattia si manifesta. Dopo la diagnosi e l’istituzione di una terapia isnulinica sostitutiva vi è spesso un certo grado di recupero temporaneo della capacità secretoria beta-cellulare e la richiesta di somministrazione esogena può calare drasticamente, al punto che i pazienti provano l’illusione di essere “guariti” (“luna di miele” della malattia). Dopo un tempo variabile da settimane a mesi, la secrezione insulinica endogena si interrompe completamente ed è necessaria una terapia sostitutiva completa (diabete insulinodipendente). DIABETE TIPO 2 Il diabete di tipo 2 (un tempo denominato imprecisamente non insulino-dipendente) è la forma di diabete più comune nella popolazione. Dalla metà del secolo scorso, con il diffondersi dell’alimentazione eccessiva e della relativa inattività fisica (modello di tipo “occidentale”) sta divenendo una malattia di proporzioni epidemiche, con costi sanitari e di morbilità molto rilevanti. La predisposizione genetica, anche se non ancora definita nelle sue componenti, è ancora più spiccata rispetto al diabete di tipo 1: la concordanza in gemelli monozigoti è dell’80-90%. La fisiopatologia vede in gioco quattro elementi caratteristici: insulino-resistenza, deficit secretorio betacellulare, alterata produzione epatica di glucosio ed anormalità nell’assorbimento intestinale di carboidrati. 49 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI L’insulino-resistenza è il risultato di un difettoso segnale intracellulare post-recettoriale, con susseguente diminuzione dell’espressione dei trasportatori intracellulari del glucosio. L’insulina si lega cioè al suo recettore di membrana, ma la catena di eventi biochimici nelle cellule dei tessuti insulino-sensibili (fegato, muscolo, tessuto adiposo) non si svolge correttamente e non porta all’aumentata espressione dei recettori del glucosio, che dovrebbero rimuoverlo dall’ambiente extracellulare internalizzandolo. In una fase pre-clinica, le cellule beta-pancreatiche sono chiamate a compensare questa resistenza periferica, aumentando la secrezione insulinica (iperinsulinemia) al fine di aumentare l’attività sui recettori e mantenere uno stato euglicemico. Con il tempo, questa secrezione compensatoria decade, vi è quindi un iposecrezione relativa (diversamente dal diabete di tipo 1, dove il deficit secretorio è assoluto) e si manifesta quindi l’iperglicemia con la malattia diabetica conclamata. E’ importante sottolineare che, tra i vari pazienti, la combinazione di insulinoresistenza e deficit secretorio è molto variabile: pazienti con prevalente insulino-resistenza, tendenzialmente obesi, e pazienti con prevalente deficit secretorio, tendenzialmente normopeso o anche magri, che sembrano ricalcare le caratteristiche cliniche dei pazienti con diabete tipo 1. La fisiopatologia è diversa nei due gruppi, ed è necessaria quindi una terapia che sia assolutamente personalizzata al singolo paziente, con farmaci prevalentemente stimolanti la secrezione beta-cellulare o l’azione insulinica periferica, o una combinazione variabile e sinergica tra le due tipologie di farmaci; negli stadi più avanzati è poi necessaria la somministrazione insulinica. DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA LE DUE PRINCIPALI FORME DI DIABETE La distinzione clinica tra diabete di tipo 1 e 2 non è sempre un processo semplice. Vi sono degli schemi sintomatologici caratteristici, che possono però assumere connotazioni sfumate (vedi box). Il deficit assoluto di secrezione insulinica nel tipo 1 conduce, se non trattato, ad uno stato metabolico di chetosi, fino alla vera e propria chetoacidosi diabetica, che è molto più rara nel tipo 2. L’impossibilità ad utilizzare il glucosio circolante attiva vie cataboliche che mobilizzano aminoacidi ed acidi grassi da tessuto muscolare ed adiposo, con conseguente perdita di peso. L’associazione polifagiaperdita di peso è molto indiziaria, potendo dipendere 50 CAPITOLO 2 fondamentalmente da due sole cause principali: diabete mellito tipo 1 ed ipertiroidismo. E’ caratteristica dell’esordio del diabete di tipo 1 la presenza di sintomi eclatanti che si manifestano con un rapido esordio, mentre solitamente il tipo 2 ha un decorso insidioso, che porta spesso ad un ritardo nella diagnosi: frequentemente a questa si giunge dopo aver rilevato la presenza di una complicanza a lungo termine, come la retinopatia periferica o l’insufficienza arteriosa periferica. Abbastanza frequente è anche il rilievo di infezioni genitourinarie croniche (vulvovaginiti). Peggioramento improvviso dei valori di glicemia, slatentizzazione dello stato iperglicemico e sintomi di chetosi possono manifestarsi in caso di infezioni, eventi vascolari acuti, disidratazione e, in linea generale, in tutti casi di aumento di ormoni controregolatori indotti dallo stress (cortisolo, ACTH, adrenalina, GH). Questa situazione metabolica può causare, come vedremo anche nel caso del nostro paziente, quadri clinici meno facilmente inquadrabili in una sindrome o l’altra, rendendo un po’ più laboriosa la ricostruzione fisiopatologica che preclude ad una corretta diagnosi. DIAGNOSI E TERAPIA NEL PAZIENTE Il nostro paziente presenta alcuni aspetti sindromici di un diabete di tipo 1 in esordio: esordio abbastanza brusco dei sintomi, valori glicemici elevati, chetonuria, anamnesi di perdita di peso. Manca però la polifagia (fatto peraltro spiegabile con uno stato chetosico). A favore di un diabete di tipo 2 depone l’assetto corporeo di obesità androide, l’età superiore ai 30 anni, il quadro conclamato di infiammazione genitale esterna. Il nostro laboratorio di Immunologia ci fornisce poi i seguenti referti: Insulinemia basale= 6,3 mIU/ml (2 – 25) Ab anti-Insulina= Negativo Ab anti-GAD= Negativo ICA= Negativo 51 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI CARATTERISTICHE DIFFERENZIALI IN ESORDIO: DIABETE TIPO 1 E 2 In grassetto sono evidenziati gli elementi riscontrati nel nostro paziente Elemento considerato Diabete Tipo 1 Diabete Tipo 2 Esordio Obesità associata Chetoacidosi Insulina endogena Autoanticorpi anti-insulari Polifagia + calo ponderale Infiammazione genitale Neuropatia periferica Enuresi notturna Offuscamento della visione Sintomi eclatanti prev. <30 anni No Si Bassa o indosabile Si ++ + + ++ + Si prev. >30 anni Si No Variabile No ++ ++ ++ Possibili Non ci sono quindi autoanticorpi della fase di esordio del diabete di tipo 1. L’insulinemia basale è nella norma, pur se abbastanza vicina ai limiti inferiori del range. Il paziente dovrà essere studiato maggiormente dal punto di vista metabolico, con una più precisa definizione del suo grado di insulino-resistenza e capacità secretoria beta-cellulare. Dovrà quindi essere sottoposto ad un test da carico di glucosio (OGTT) o eventualmente ad un’esame più completo come la curva glicemico-insulinemica, entrambi da posticipare vista l’attuale situazione di scompenso glicometabolico. L’ipotesi maggiormente suffragata per spiegare il quadro clinico attuale del paziente è che si tratti di un’infezione opportunistica (Candidosi genitale) in un paziente con diabete di tipo 2 in fase di scompenso glicometabolico. Prescriviamo una terapia insulinica come primo approccio, per correggere lo stato iperglicemico e ricreare una corretta omeostasi 52 CAPITOLO 2 metabolica, e una terapia antimicotica locale per eradicare l’infezione genitale. TERAPIA PRESCRITTA: Insulinica: ACTRAPID (insulina rapida)= 10 U x 3 Antimicotica: DIFLUCAN (fluconazolo) 150 mg 1 cp sing.dose MICLAST (cicloprirox) crema 2-3 appl / die Dopo 2 settimane, il paziente presenta una glicemia a digiuno normale. Per la verità la risposta terapeutica ottimale ci sorprende un poco. Non sono stati necessari aggiustamenti né dello schema iniettivo né del dosaggio, ed ogni Internista sa che tale risultato non è sempre così immediatamente ottenibile. Si sospende l’insulina esogena e si inizia con una terapia con ipoglicemizzante orale, della classe delle meglitinidi, che stimolano la secrezione insulinica glucosio-mediata. NOVONORM (repaglinide) 1 mg 1 cp x 3 Sarebbe stato più ortodosso, visto il soprappeso del paziente ed il suo habitus indicante un accumulo di grasso viscerale, iniziare con una biguanide (metformina). D’altra parte, la breve durata d’azione della repaglinide, con un’emivita di 1 ora (quasi mimante un pulse insulinico post-prandiale) e la sua maneggevolezza, ci tranquillizzano circa l’assenza di un effetto iperinsulinemizzante. RIVALUTAZIONE DEL PAZIENTE Dopo 10 settimane di terapia (2 di terapia insulinica ed 8 settimane di ipoglicemizzante orale) il paziente è euglicemico a digiuno. Aveva tenuto un diario delle glicemie domiciliari che dimostra un buon controllo glicemico. Il giorno successivo eseguiamo in Day Hospital 53 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI un profilo glicemico circadiano, per verificarlo in una situazione controllata, e monitorizziamo l’emoglobina glicata. Il risultato è molto soddisfacente: Profilo glicemico: PC=93 mg/dl – DC=151 mg/dl – PP=105 mg/dl – DP=135 mg/dl – PC=98 mg/dl (PC: prima di colazione - DC: dopo colazione - PP: prima di pranzo DP: dopo pranzo – PC: prima di cena) HbA1c= 7,50% (4,2-6,5) Il valore dell’emoglobina glicata è sceso drasticamente (dall’11,2% iniziale), dimostrando il buon controllo glicometabolico nei due mesi precedenti. La nostra rivalutazione internistica evidenzia una situazione laboratoristica quasi ottimale, ma dal punto di vista semeiologico e clinico ci sono ancora degli elementi da risolvere. Il paziente non è più poliurico ma continua ad accusare un aspecifico “malessere” e lieve cefalea in tutto l’arco della giornata. Continua il dolore all’erezione, nonostante il drastico miglioramento locale per effetto della terapia antimicotica. Ad una successiva vistita, dopo contatto telefonico, si rendono obiettive alcune lesioni maculari piane, Fig 3. Esame Obiettivo del paziente Lesioni maculari palmari 54 CAPITOLO 2 di 0,4-1 cm color rosso scuro a livello del cuoio capelluto. Durante l’esame clinico, osservando le mani del paziente si rilevano altre piccole lesioni maculari a livello palmare, lievemente eritematose ed ipercheratosiche (fig.3). Singoli reperti simili a quelli presenti nelle mani erano già presenti sulla superficie estensoria delle gambe alcune settimane prima, al tempo della prima visita. Queste lesioni cutanee rappresentano adesso un nuovo importante elemento, che rendono indispensabile una nuova valutazione diagnostica e fisiopatologica. L’approccio integrato, di tipo internistico, ci sembra il metro di giudizio più utile per ridefinire il caso clinico che stiamo seguendo con attenzione. Risolta la situazione più urgente e ripristinato uno stato euglicemico, richiamiamo alla mente alcuni elementi: la sintomatologia sistemica, il quadro infiammatorio, le alterazioni cardiache evidenziate dall’ECG e dall’ecocardiogramma. Richiediamo pertanto un pattern di test immunologici (ANA, antiDNA nativo, antiSM, anti-Ro/SSA), per escludere una patologia autoimmune, insieme all’esecuzione di una biopsia del cuoio capelluto. Inoltre, le lesioni palmari ci sembrano fortemente suggestive di una patologia infettiva specifica a trasmissione sessuale. Approfondiamo l’anamnesi sessuale del paziente, che riferisce un rapporto occasionale non protetto, risalente a circa 4 anni prima, con la tipologia di un contatto a rischio. Il referto dell’esame istopatologico sulla biopsia del cuoio capelluto è il seguente: Atrofia dell’epidermide con ipercheratosi, infiltrato linfo-istiocitario a disposizione perivascolare e periannessiale e a banda, che localmente oscura l’interfaccia dermo-epidermica. Tali reperti orientano verso la diagnosi di lupus discoide subacuto. Il nostro sospetto è che si tratti invece di sifilide, una patologia che è riemersa prepotentemente all’attenzione del mondo Occidentale negli ultimi 20 anni, in particolare nella seconda metà degli anni ’80 e nella prima metà degli anni ’90. Andiamo adesso a rivedere le sue caratteristiche essenziali. 55 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI Sifilide NOTE GENERALI ED EPIDEMIOLOGIA La sifilide è una malattia infettiva sistemica cronica appartenente al gruppo delle malattie sessualmente trasmesse, causata dal Treponema pallidum. Oltre al contagio sessuale, rara modalità di infezione è rappresentata dal contatto stretto interpersonale (es. ostetriche, ginecologi, dermatologi). Altre modalità di contagio sono l’emotrasfusione e la trasmissione per via transplacentare, possibile dopo la 20a settimana di gravidanza (sifilide congenita). Si tratta di una malattia non più rara. Dopo la riduzione di incidenza dovuta ai programmi di Sanità Pubblica, posti in essere durante e dopo la II Guerra Mondiale, vi è stata negli anni ’80 una ripresa dell’incidenza, parallelamente all’incremento registrato per altre malattie a trasmissione sessuale, compresa l’allora emergente AIDS. Dopo il 2001 si è registrata una nuova diminuzione dell’incidenza. Mentre negli anni ’80 erano principalmente colpiti i maschi omosessuali, l’infezione interessa ora con uguale prevalenza gli eterosessuali. CENNI STORICI Le prime descrizioni chiare della malattia sifilitica risalgono alla fine del XV secolo, periodo di una pandemia europea e asiatica. Solo nel 1910 fu introdotto un composto terapeuticamente efficace, l’arsfenamina (SALVARSAN). Girolamo Fracastoro (1478-1553) Medico italiano e filosofo che propose una prima teoria di germi come origine di malattia. Nominò la sifilide in un piccolo e famoso poema del 1530, “Syphilis sive morbus Gallicus”, dove citò anche il "legno santo", la resina di 56 CAPITOLO 2 guaiaco, che avrebbe favorito l'eliminazione del "materia peccans". Altro suo lavoro notevole, De Contagione (1546), diede una prima spiegazione logica del fatto che la malattie potessero essere trasmesse da persona a persona da piccoli oggetti infettanti auto-moltiplicantesi. EZIOLOGIA E PATOGENESI L’infezione è causata dalla spirocheta Treponema pallidum, un microrganismo di forma spiroide della famiglia delle Treponematacee, comprendente i generi Treponema, Borrelia e Leptospira. Questa specie, patogena solo per l’uomo, ha la capacità di penetrare molto facilmente attraverso le mucose e la cute lesa: degni di nota sono gli studi che hanno evidenziato una Dose Infettante (ID50) di 57; un numero di microrganismi così esiguo è in grado di determinare l’infezione, colonizzando potenzialmente ogni organo e tessuto del corpo umano, causando manifestazioni cliniche proteiformi e gravi danni anatomo-patologici. Come vedremo, vi sono stadi precoci e stadi tardivi della malattia, che progredisce per anni. Le lesioni degli stadi iniziali sono ricche di spirochete in attiva moltiplicazione, con una reazione tessutale minima. La risposta immunologica è complessa, con la sintesi di anticorpi reagenti contro i treponemi ed anticorpi reagenti contro normali costituenti tessutali, ma nella maggioranza dei casi non sembra in grado di eradicare l’infezione, pur conferendo una relativa resistenza alla reinfezione. Negli stadi avanzati la risposta immune contribuisce alla distruzione tessutale; è di nota il fatto che le lesioni tardive, al contrario di quelle degli stadi precoci, contengano poche spirochete dimostrabili ma mostrino una reazione tessutale severa. CLASSIFICAZIONE ♦ ♦ ♦ ♦ Sifilide Primaria Sifilide Secondaria Sifilide Latente Sifilide Terziaria 57 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI SIFILIDE PRIMARIA ELEMENTI CLINICI: ♦ Sifiloma primario ♦ Linfoadenopatia regionale Questo fase rappresenta lo stadio di prima invasione dell’organismo da parte del Treponema pallidum, dopo l’inoculo iniziale, e può anche passare inosservata. La lesione tipica è il sifiloma primario, che si accompagna spesso ad una linfoadenopatia consensuale a livello dei linfonodi regionali. Fig 3. Sifiloma primario Tipica lesione sul solco balano-prepuziale, caratterizzata da un ulcera non dolente, biancastra, circondata da alone eitematoso e di consistenza pseudo-cartilaginea. Tale lesione si accompagna spesso a linfoadenopatia regionale, con linfonodi duri e non dolenti. 58 CAPITOLO 2 Sifiloma Primario E’ localizzato più frequentemente su pene, labbra vaginali, cervice o regione anorettale, ma più raramente può manifestarsi a livello labiale od orofaringeo. Dopo 2-6 settimane dal contagio (incubazione media 21 gg), possibile attraverso la mucosa integra o la cute abrasa, si manifesta come un’ulcera non dolente con base detersa e margini netti, rilevati ed induriti. Questa lesione persiste per 4-6 settimane, poi va incontro a risoluzione spontanea, a volte con un mancato allertamento medico. Il rischio di contagio dopo un contatto sessuale con una lesione primaria è del 50% circa. E’ buona pratica considerare un paziente con ulcere genitali come affetto da sifilide fino a prova contraria. Linfoadenopatia Regionale La linfoadenopatia compare dopo circa 1 settimana dalla lesione primaria. Generalmente interessa il linfocentro inguinale, quando la lesione primaria sia a livello genitale. Le linfoghiandole sono dure e non dolenti, non aderenti a piani superficiali e profondi. Può persistere per mesi dopo la scomparsa del sifiloma primario. E’ quindi opportuna un’indagine anamnestica dettagliata quando il medico si trovi ad osservare una linfoadenopatia inguinale con queste caratteristiche. ELEMENTI ESSENZIALI DELLA SIFILIDE PRIMARIA ♦ Storia di contatto sessuale non protetto ♦ Ulcera indolente in area genitale, rettale, lingua, labbra, 2-6 settimane dopo il contatto ♦ Linfoadenopatia regionale non dolente ♦ Campioni dalle lesioni positivi per Treponema pallidum all’esame microscopico in campo oscuro o all’immunofluorescenza ♦ Test sierologici spesso positivi (RPR pos. nel 60% dei casi) 59 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI SIFILIDE SECONDARIA ELEMENTI CLINICI ♦ ♦ ♦ ♦ Lesioni mucose e cutanee Linfoadenopatia generalizzata Lesioni di altri organi Sintomi generali Lo stadio secondario della malattia compare mediamente intorno a 6-8 settimane dopo il sifiloma, ma è stato osservato un ampio range di variabilità nel tempo di esordio (9-90 giorni). Può anche mancare del tutto e l’infezione entra direttamente nello stadio latente. Rappresenta la disseminazione e l’attecchimento nei vari tessuti ed organi del T. pallidum¸ con produzione di lesioni distinte e di sintomi sistemici, come febbre e linfoadenopatia generalizzata. Le più comuni manifestazioni sono le lesioni cutanee e mucose. Nella cute si notano lesioni più frequentemente di tipo maculopapulare, ma a volte anche pustolose. Il rash cutaneo è di tipo simmetrico. Il coinvolgimento palmare e plantare è un segno semeiologico altamente indiziario della malattia, al punto che è consigliabile considerare in prima istanza l’ipotesi di infezione sifilitica. Frequente, anche se in misura minore, è anche il coinvolgimento del cuoio capelluto,. Nelle aree intertriginose ed umide (cavo ascellare, pieghe inguinali e scrotali) si formano lesioni più grandi, grigiastre con eritema periferico, definite condilomi lati o piani. Le mucose presentano placche ed ulcere (labbra, cavità orale, faringe, genitali), ma anche un quadro più semplice di iperemia, tanto da simulare patologie più banali (es. faringite, vaginite). Possono essere coinvolti molti altri organi: gastrite, epatite, nefrite, spesso come lesioni mediate da immunocomplessi antigene-anticorpo, così come uveite ed iridociclite. Anche il sistema nervoso centrale può essere coinvolto, con un quadro di meningite asettica. A volte è repertabile alla rachicentesi una pleiocitosi liquorale, ma i test specifici sul liquor sono positivi solo nel 5% dei casi. Si può manifestare anche la paralisi di nervi cranici. 60 CAPITOLO 2 Fig 3. Rash della fase secondaria Eruzione maculo-papulare generalizzata, interessante tronco e arti. Le lesioni d’organo sono accompagnate a volte da sintomi generali come i seguenti: ♦ Anoressia e calo ponderale (2-20%) ♦ Cefalea (10%) ♦ Febbre (5-8%) ELEMENTI ESSENZIALI DELLA SIFILIDE SECONDARIA ♦ Rash cutaneo maculo-papulare generalizzato ♦ Placche ed ulcere mucose, ♦ Lesioni papulari essudative grigio-eritematose in aree umide (condilomi piani) ♦ Linfoadenopatia generalizzata non dolente ♦ Campioni dalle lesioni positivi per Treponema pallidum all’esame microscopico in campo oscuro o all’immunofluorescenza ♦ Test sierologici sempre positivi 61 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI SIFILIDE LATENTE La diagnosi di sifilide latente viene posta quando la malattia si trova nella fase quiescente che fa seguito allo stadio secondario e prima dell’esordio dei sintomi dello stadio terziario, che peraltro può non verificarsi. Nelle ultime classificazioni sono stati individuati due sotto-stadi: il precoce e il tardivo, il primo dei quali (sifilide latente precoce) contenuto al primo anno dopo l’infezione (2 anni secondo altri autori), con possibile presenza dei sintomi di una ricaduta della sifilide secondaria. Per definizione, la diagnosi di sifilide latente tardiva deve invece essere stabilita sulla base dell’assenza di sintomi in presenza di test sierologici positivi (escludendo i possibili falsi-positivi) e negatività all’esame del liquido cerebrospinale e dell’apparato cardiovascolare. ELEMENTI ESSENZIALI DELLA SIFILIDE LATENTE ♦ Storia di sifilide trattata non adeguatamente ♦ A volte è mancata completamente l’espressione delle fasi precedenti ♦ Definita latente precoce se compare a < 1 anno dalla primaria e latente tardiva se > 1 anno ♦ Nessun segno o sintomo specifico tranne in fase latente precoce, dove i sintomi sono quelli di una ricaduta della secondaria (avviente nel 25% dei pazienti) ♦ Test sierologici positivi 62 CAPITOLO 2 SIFILIDE TERZIARIA ELEMENTI CLINICI ♦ Gomme ♦ Sifilide Cardiovascolare ♦ Neurosifilide Questo stadio tardivo di malattia può manifestarsi dopo un arco di tempo molto variabile (1-10 anni) in circa il 15-20% dei casi non trattati. Le lesioni tardive rappresentano principalmente un fenomeno di ipersensibilità ritardata tessutale, che si evidenzia in due tipologie principali: lesioni ben localizzate, come le gomme, a sviluppo rapido e prontamente rispondenti alla terapia antibiotica penicillinica, che determinano una malattia meno aggressiva dal punto di vista della mortalità (sifilide tardiva “benigna”), e lesioni infiammatorie di tipo diffuso delle grandi arterie e del sistema nervoso centrale, con sviluppo insidioso, che in assenza di trattamento cagionano esiti potenzialmente fatali (sifilide cardiovascolare e neurosifilide). GOMME SIFILITICHE Sono formazioni nodulari che infiltrano cute ed organi interni, prevalentemente ossa e fegato, ma anche stomaco, apparato respiratorio. Guariscono con cicatrici deturpanti a livello cutaneo e sequele morfo-funzionali a livello degli organi interni. Sono attualmente molto meno frequenti che nel passato, a causa della spiccata sensibilità di queste lesioni ai farmaci anti-treponemici. Dal punto di visto anatomo-patologico, evidenziano focolai di infiammazione granulomatosa (con cellule epitelioidi e linfociti che circondano una zona di necrosi centrale). 63 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI Gomme sifilitiche epatiche - Esame istopatologico Nel fegato, gomma tipica attiva, con area centrale di necrosi N, circondata da cellule tipiche dell’infiammazione granulomatosa (cellule epitelioidi, linfociti). SIFILIDE CARDIOVASCOLARE E’la manifestazione più frequente della sifilide terziaria (10% dei casi non trattati). Si manifesta a partire da circa 5-10 anni dall’infezione. Il coinvolgimento usualmente inizia a livello dell’aorta ascendente e dell’arco aortico come un’arterite che determina: -indebolimento della parete del vaso, con formazione di aneurismi soggetti a rottura -retrazione infiammatoria dei lembi valvolari aortici, con insufficienza della valvola stessa -restringimento degli ostii coronarici, con insorgenza di dolori anginosi e possibile infarto miocardico acuto. 64 CAPITOLO 2 AORTITE SIFILITICA ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ Endo-arterite obliterante dei vasa-vasorum Degenerazione della tonaca media aortica Aneurisma aortico Insufficienza aortica Insufficienza coronarica per stenosi ostiale Aneurisma aortico (Leipzig, Germany, 1894). Nel XIX secolo, la sifilide terziaria era la prima causa di aneurisma aortico. Nel caso fotografato, l’aneurisma andò incontro a rottura causando il decesso della paziente. 65 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI NEUROSIFILIDE La neurosifilide è determinata dagli effetti fisopatologici della localizzazione del Treponema pallidum a livello del sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale) e periferico (gangli sensitivi e radici posteriori). Si può manifestare dopo un arco di tempo più o meno lungo dopo l’infezione primaria (5-35 anni), nel 7% dei casi circa dei pazienti non trattati. Come vedremo, l’interessamento del sistema nervoso si esprime con sintomi meningei, cerebrovascolari, atassia, parestesie e dolore neuropatico, psicosi e demenza, che possono avere una combinazione variabile nel singolo paziente. I sintomi psichici tendono spesso ad essere più eclatanti rispetto a quelli neurologici. E’ possibile classificare la neurosifilide in 4 tipi che possono presentarsi comunque in associazione (specialmente tabe dorsale e paralisi progressiva): ♦ ♦ ♦ ♦ Asintomatica Meningovascolare Tabe Dorsale Paresi Generalizzata o Progressiva 66 CAPITOLO 2 ASINTOMATICA Questa forma è caratterizzata dall’anormalità laboratoristica del liquido cerebrospinale (sierologia positiva, pleiocitosi, a volte proteinorrachia) senza sintomi o segni di coinvolgimento neurologico. MENINGOVASCOLARE 5-10 anni dopo l’infezione possono evidenziarsi sintomi di meningite cronica (cefalea, irritabilità, paralisi dei nervi cranici per interessamento basilare), alterazione dei riflessi pupillari, crisi comiziali. Sono possibili anche manifestazioni di insufficienza cerebrovascolare in caso di coinvolgimento vasale arteritico esteso. Il liquor è usualmente positivo ai test sierologici specifici. TABE DORSALE La progressiva degenerazione neuronale a livello delle corna dorsali del midollo spinale e delle radici sensitive (10-15 anni) è la base delle manifestazioni cliniche di questa forma. L’alterazione della propriocezione si esprime con andatura atassica, a base larga, con impossibilità a camminare ad occhi chiusi. Si possono manifestare parestesie o analgesia agli arti inferiori, a volte fugaci dolori parossistici (“folgoranti”). Altro tipo di sintomatologia dolorosa sono le cosiddette “crisi tabetiche”, a livello gastrointestinale (vomito, diarrea), laringeo (tosse parossistica e dispnea), urinario (spasmo vescicale), che esordiscono bruscamente, possono durare ore o giorni, e bruscamente cessano. La perdita di sensibilità periferica può determinare ulcere trofiche nei punti di carico del piede e danni articolari (articolazioni di Charcot). Comuni sono le alterazioni dei riflessi pupillari (90%), sino al quadro caratteristico della pupilla di Argyll-Robertson (25%). Il liquor presenta positività variabile a test sierologici. PARALISI PROGRESSIVA Il coinvolgimento infettivo-infiammatorio a livello encefalico, prevalentemente corticale, determina un danno progressivo delle funzioni cognitive, nell’arco di 10-20 anni dall’infezione primaria, usualmente con decremento delle capacità di concentrazione, perdita 67 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI di memoria, disartria, irritabilità, cambiamenti di personalità: il paziente può divenire irresponsabile, con sintomi maniacali (espansività, autoesaltazione) e tendenze psicotiche. Autori americani hanno coniato l’acronimo PARESIS, che ben focalizza le alterazioni chiave della paresi generalizzata: ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ P ersonality (personalità) A ffect (emozioni) R eflex (riflessi) E eye (alterazioni oculari) S ensory (sensorio) I ntellect (demenza) S peech (linguaggio) Fig 3. Pupille di Argyll-Robertson. Assenza del riflesso fotomotore con conservazione della miosi indotta dall’accomodazione-convergenza. 68 CAPITOLO 2 Fig. 4 – Neurolue Immagine storica di un paziente con tabe dorsale e paralisi progressiva ELEMENTI ESSENZIALI DELLA SIFILIDE TERZIARIA ♦ ♦ ♦ ♦ Storia di infezione sifilitica Lesioni nodulari tendenti all’ulcerazione (gomme) Aortite, aneurisma aortico, insufficienza aortica Alterazioni del sistema nervoso centrale, comprendenti: • • • • ictus cerebrovascolari parestesie - dolori areflessia osteotendinea – atassia psicosi – demenza 69 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI DIAGNOSI DELLA SIFILIDE L’agente infettivo della sifilide non può essere coltivato in vitro. La diagnosi è basata sui test sierologici su sangue e liquor e sull’identificazione microscopica del Treponema pallidum nelle lesioni. ♦ Test Sierologici ♦ Esame Microscopico ♦ Esame Del Liquor TEST SIEROLOGICI Vi sono due tipi di test: (1) test su antigeni non treponemici - (2) test su anticorpi treponemici. Test su Antigeni non Treponemici Identificano l’esistenza di anticorpi verso antigeni lipoidei presenti sia nell’ospite che nel Treponema. Correntemente si usano preparazioni di cardiolipina-colesterolo-lecitina, che sono più pure rispetto asgli estratti di cuore e fegato usati precedentemente e danno una minor percentuale di falsi positivi. I puù comunemente usati cono: ♦ VDRL (Veneral Disease Research Laboratory) ♦ RPR (Rapid Plasma Reagin) Questi esami sono a basso costo, rapidi e facili da effettuare. La quantificazione della diluizione utilizzata nel test è anche utile per valutare l’efficacia del trattamento, dal momento che il titolo della diluizione correla con l’attività della malattia. E’ indicato utilizzare sempre lo stesso tipo di test nel medesimo paziente (RPR o VDRL) e possibilmente lo stesso laboratorio. I test risultano positivi circa 4-6 settimane dopo l’infezione (1-3 settimane dopo il manifestarsi della lesione primaria). Dati ricavati da studi in cui si effettuavano trattamenti farmacologici più intensivi rispetto a quelli attuali indicavano un decremento del VDRL di 4 volte in 3 mesi e di 8 volte in 6 mesi, con una 70 CAPITOLO 2 sieronegatività a 2 anni del 97% nei casi di sifilide primaria e del 76% nelle forme secondarie. Dati più recenti, con gli schemi di trattamento attuali, documentano invece una sieronegatività a 3 anni del 72% nelle forme primarie e del 56% nelle forme secondarie. Falsi positivi sono possibili in diverse condizioni: Disordini connettivali – Malaria – Lebbra – Endocaditi Infettive Epatite C – Uso di droghe per via endovenosa – Gravidanza Generalmente sono a basso titolo e possono essere distinti dai veri positivi con l’utilizzo dei test su anticorpi treponemici. Test su Anticorpi Anti-Treponemici ♦ FTA-ABS (Fluorescent Treponemal Antibody Absorption) ♦ TPHA (Treponema Pallidum Haemo-Agglutination) ♦ BEIA (ELISA quantitativo) L’FTA-ABS misura la capacità del siero del paziente di reagire (dopo adsorbimento con estratti di treponemi non patogeni) con Treponema pallidum ucciso. E’ molto utile per escludere i falsi positivi identificati con i test non treponemici. Inoltre, dal momento che è molto sensibile, può svelare i casi più tardivi di sifilide che siano invece risultati negativi ai test non treponemici nonostante l’evidenza clinica. Risulta positivo nella maggioranza dei pazienti con sifilide primaria e virtualmente tutti i casi di sifilide secondaria. Può negativizzare, anche se più raramente rispetto ai test non treponemici, dopo la terapia adeguata. In uno studio, l’11% dei pazienti era negativo dopo 1 anno da un primo episodio di sifilide primaria, ed il 24% lo era a 3 anni. Il TPHA ed il TPPA (Treponema Particle Agglutination Test) sono comparabili in specificità e sensibilità all’FTA-ABS. Il TPPA sta soppiantando l’FTA-ABS per la sua facilità di esecuzione. Altri test come EIA (ELISA), Syphilis Fast, PCR identificano direttamente gli antigeni del Treponema e sono molto sensibili e specifici anche se ancora meno utilizzati dei precedenti. 71 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI SENSIBILITÀ DI ALCUNI TEST SIEROLOGICI IN RAPPORTO AI VARI STADI DI MALATTIA TEST Primaria Secondaria Terziaria VDRL 77% 98% 73% FTA-ABS 86% 100% 96% ESAME MICROSCOPICO L’esame microscopico contente di identificare i Treponemi secondo due modalità: Microscopia In Campo Oscuro ♦ Campioni da lesioni cutanee e mucose o aspirati linfonodali sono generalmente molto ricchi di treponemi nella sifilide primaria e secondaria ♦ Le lesioni orali possono contenere Treponemi saprofitici Microscopia In Immunofluorescenza ♦ Sta soppiantando il precedente test per semplicità e convenienza ♦ Identifica più specificamente il Treponema pallidum, escludendo i saprofiti ESAME DEL LIQUOR I reperti nel liquido cerebrospinale sono variabili. Nei casi classici abbiamo elevazione delle proteine totali, pleiocitosi linfocitaria, con VDRL positivo, ma può anche osservarsi una completa normalità del liquor in casi di neurosifilide con isolamento del Treponema, con VDRL negativo. I VDRL è molto specifico, ma poco sensibile. Un test VRDL negativo non esclude quindi la neurosifilide. I falsi positivi sono invece molto rari. I test su anticorpi anti treponemici sul liquor (FTA-ABS) sono più sensibili e meno specifici. La diagnosi di neurosifilide si deve quindi basare dalla combinazione dei vari test e sull’interpretazione clinica: la positività all’esame chimico-fisico e citologico e un VDRL positivo ne sono i cardini. Una 72 CAPITOLO 2 negatività del VDRL può porre indicazione, secondo molti autori, all’uso di FTA-ABS, meno specifico ma altamente sensibile. Altri test (ELISA) si stanno aggiungendo all’armamentario diagnostico. Riassumendo i dati: Esame Chimico-Fisico del Liquor ♦ Aumento della proteinorrachia ♦ Aumento della quota linfocitaria ♦ Negativo nel 20% di casi in cui T.pallidum fu isolato dal liquor Sierologia Specifica VDRL Negativo nel 30-70% dei casi di neurosifilide FTA-ABS – EIA (ELISA) Molto sensibili, se negativi escludono virtualmente la neurosifilide Indicazioni allo studio sierologico del liquor • Segni neurologici in pazienti con diagnosi di sifilide • Sifilide non trattata di durata > 1 anno o sconosciuta • Mancata risposta al trattamento – Terapia non penicillinica • Titoli sierici VRDL o RPR > 1:32 Considerare anche lo studio del liquor: in sifilide secondaria e in latente precoce (perché lo schema terapeutico comporta una scarsa azione treponemicida nel liquor) 73 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI RAGIONAMENTO CLINICO ED ITER DIAGNOSTICO Abbiamo sulla carta i risultati negativi degli esami immunologici e la diagnosi di lupus discoide sulla biopsia del cuoio capelluto. Questo dato in particolare ci sembra un elemento da considerare con cautela e suscettibile di ulteriore interpretazione internistica. Il sospetto di infezione sifilitica viene concretizzato con l’esecuzione dei seguenti test: RPR – TPHA (ricerca antigeni non treponemici) RPR ++++ TPHA Positivo >1:2560 BEIA (ricerca anticorpi anti-treponemici) BEIA IgM Positivo BEIA IgG Positivo Si rende quindi palesemente evidente una conferma sierologica di sifilide. Secondo le indicazioni della letteratura, per la durata dell’infezione non trattata (molto probabilmente superiore ad 1 anno, considerando i dati anamnestici) e gli alti titoli anticorpali ed antigenici vi è indicazione ad eseguire una rachicentesi per la ricerca di una localizzazione neurologica del Treponema pallidum. Inoltre eseguiamo il test per HIV per ricercare un’eventiale confezione. I nuovi risultati sono i seguenti: Studio sierogico del liquor: RPR= Negativo TPHA= Positivo >1:160 BEIA IgM= Positivo BEIA IgG= Positivo Test per la coinfezione da virus dell’immunodeficienza umana: HIV= Negativo 74 CAPITOLO 2 STADIAZIONE DEL PAZIENTE La stadiazione del paziente pone l’ultimo importante quesito clinico, dimostrando ancora una volta la molteplicità di fattori da tenere in considerazione prima di un atto medico su base razionale. Abbiamo le manifestazioni cliniche cutanee di una sifilide secondaria. Pur tenendo presente che un’anamnesi non può essere considerata verità evangelica e tantopiù scientifica (per la cultura e le propensioni personali di un paziente a rivelare con maggior o minore esattezza i suoi trascorsi sessuali), ci sembra di aver instaurato un ottimo rapporto medico-paziente e dobbiamo quindi tener presente le sue dichiarazioni. Il numero degli anni trascorsi dal probabile contagio è un elemento a favore di una ricaduta della sindrome cutanea e sistemica (sifilide latente precoce). In ultimo, la positività del liquor ai test specifici (TPHA, BEIA IgG ed IgM) depongono per una localizzazione del Treponema pallidum a livello del sistema nervoso centrale. Valutati tutti gli elementi clinici e di laboratorio giungiamo quindi alla conclusione razionale di una sifilide che sta entrando in uno stadio terziario. La nostra diagnosi completa è la seguente: ♦ Sifilide terziaria. Diabete mellito di tipo 2 in fase di scompenso. Prescriviamo quindi la terapia eziologia specifica (vedi sezione seguente), che dopo le prime settimane conduce alla risoluzione del quadro clinico e sintomatologico del paziente. Attualmente egli è seguito per il follow-up al nostro Day Hospital di Malattie Infettive e dovrà ancora essere studiata in dettaglio la sua situazione endocrinometabolica. 75 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI TERAPIA SIFILIDE PRIMARIA – SECONDARIA – LATENTE PRECOCE Penicillina G benzatina (DIAMINOCILLINA) - 2,4 MU im una dose / Cextriaxone (ROCEFIN) - 250 mg im/die x 10 gg Di seconda scelta in pazienti allergici alla penicillina: Tetraciclina idrocloruro (AMBRAMICINA) - 500 mg os x 4/die x 14 gg / Doxiciclina (BASSADO) - 100 mg os x 2/die x 14 gg SIFILIDE LATENTE TARDIVA – TERZIARIA Penicillina G benzatina (DIAMINOCILLINA) - 2,4 MU/sett im x 3 settimane Di seconda scelta in pazienti allergici alla penicillina: Tetraciclina idrocloruro (AMBRAMICINA) - 500 mg os x 4/die x 4 settimane / Doxiciclina (BASSADO) - 100 mg os x 2/die x 4 settimane NEUROSIFILIDE O FORME PRECEDENTI CON LIQUOR ANORMALE Penicillina G acquosa - 2,4 MU ev /die x 10-14 gg Di seconda scelta in pazienti allergici alla penicillina: Cextriaxone (ROCEFIN) - 2 g im/die x 10-14 gg / Tetraciclina idrocloruro (AMBRAMICINA)-500 mg os x 4/die x 30 gg 76 CAPITOLO 2 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Ciò che balza all’attenzione del Medico preparato e animato da passione scientifica è la ricchezza degli elementi clinici e patologici di un simile caso (ma quale caso clinico, in fondo, non è prodigo di elementi didattici?), un caso che pone anche qualche riflessione di carattere epidemiologico. Un’interpretazione in chiave fisiopatologica dei sintomi e dei segni iniziali nel paziente è stata in grado di superare la frammentarietà della visione iper-specialistica. L’urologo aveva posto diagnosi, corretta dal punto di vista eziologico, di Candidosi genitale. L’istopatologo aveva potuto osservare le lesioni tipiche di un lupus discoide a livello del materiale prelevato dal cuoio capelluto. Fermandosi a quel livello interpretativo non si sarebbero evidenziate le vere cause di tali reperti, il “grande occulto” iniziale. C’era il diabete mellito, ma c’erano anche segni “antichi” della disciplina medica dei secoli scorsi, segni che aggiungevano altri elementi da considerare. Una sola diagnosi a volte non basta. L’infezione da Treponema pallidum, attraverso i meccanismi dell’infiammazione sistemica, aveva slatentizzato il diabete mellito, misconosciuto dal paziente, sino a far registrare i livelli glicemici visti al momento del ricovero. Le alterazioni glicometaboliche avevano a loro volta determinato l’instaurarsi di un’infezione opportunistica genitale da Candida albicans. Fino a qui tutto sembrava concorde, vi era un razionale rapporto causa-effetto. Ma vi erano ulteriori reperti della semeiotica fisica che solleticavano ricordi della dottrina medica. Le lesioni cutanee, specie quelle che si resero evidenti a livello palmare con la buona pratica della ripetizione dell’esame obiettivo, erano infatti quasi patognomoniche di infezione sifilitica. Come inquadrare la diagnosi istopatologica di lupus discoide? Le lesioni del cuoio capelluto erano dovute ad un processo vasculitico lupus-simile prodotto dagli immunocomplessi antigene-anticorpo presenti a livello cutaneo, un fenomeno abbastanza tipico nelle lesioni della sifilide in fase avanzata, dove predominano gli aspetti della risposta immunitaria (reazioni di tipo III di Gell-Coombs) rispetto alla proliferazione vivace delle spirochete tipica delle fasi iniziali. Riportiamo un caso dalla letteratura medica in cui le lesioni della sifilide terziaria furono diagnosticate per anni come lupus discoide: 77 UN DIABETE CON SEGNI ANTICHI Case Report: Tertiary Syphils of the face J Am Acad Dermatol. 1991 May;24(5 Pt 2):832-5. TERTIARY SYPHILIS OF THE FACE. Chung G, Kantor GR, Whipple S. Hahnemann University School of Medicine, Philadelphia, PA. We report a case of noduloulcerative tertiary syphilis that had gone misdiagnosed as discoid lupus erythematosus for many years. This case is noteworthy for (1) a Jarisch-Herxheimer-like reaction, (2) a dramatic response to penicillin therapy despite the presence of longstanding disease, and (3) posttreatment granulomas of possible hypersensitivity origin. Publication Types: Case Reports PMID: 2050849 [PubMed] Il blocco di branca sinistra visto ell’elettrocardiogramma, con le alterazioni della cinesi settale registrate dall’esame ecocardiografico, erano altri elementi importanti, a favore di un coinvolgimento cardiovascolare dell’infezione, tipico della fase terziaria, che spesso si esprime inizialmente con alterazioni della conduzione atrioventricolare. La cefalea può essere causata potenzialmente dalla manifestazione vascolare sistemica, così come dall’interessamento diretto meningeo da parte del processo infettivo (sifilide meningovascolare), avvalorato anche dal reperto anamnestico ed obiettivo di un certo grado di irritabilità del paziente (“ultimamente litigo spesso con mia moglie, mi rode sempre”), e confermato poi dalla positività sierologica sul liquor. Questa discussione non è, ci preme sottolinearlo, un facile gioco del “senno del poi”. La medicina è una scienza difficile, specie quando si incontrano malattie “antiche” con le quali non sempre i sanitari, specialisti e non, hanno particolare dimestichezza. A patologie come la sifilide, per esempio, non si pensa facilmente. Eppure non si tratta di malattie scomparse, di antiche pesti eradicate che non possano trovar posto nell’asettico mondo moderno. La superata illusione di una definitiva eradicazione delle malattie infettive ha lasciato ormai da anni il posto ad una moderna concezione dell’interazione patogenoospite, sempre mutevole nel tempo, così come mutevoli sono le condizioni epidemiologiche e la biologia di popolazione. Un’approccio integrato al malato, che preservi aspetti olistici e riduzionistici della medicina -complementari e non in antitesi - qual’è 78 CAPITOLO 2 per antica tradizione e per indirizzo di scuola quello fisiopatologico della Medicina Interna, è spesso indispensabile per giungere ad una corretta diagnosi. ENDPIECE So long as we have human beings as house officers, ordinary mortals for medical students and modified angels for nurses, we shall have typhoid contagion from one patient to another in the wards of our hospitals. SIR WILLIAM OSLER Il corpulento paziente veniva verso me: non sembrava corrispondere al derelitto habitus di un sifilitico in fase terziaria. Con l’aria di essersela goduta un mondo, quasi con orgoglio mi apostrofò: “Caro professore! Io sono un vecchio luetico!” PROF. FRANCESCO BALSANO BIBLIOGRAFIA Kimberly A. Workowski, MD; Stuart M. Berman, MD. Sexually Transmitted Diseases Treatment Guidelines, 2006. MMWR. 2006;55(30):1-94. Centers for Disease Control and Prevention (CDC) Golden MR, Marra CM, Holmes KK. Update on syphilis: resourgences of an old problem. JAMA 2003;290:1250 Lorraine Doherty et al. Syphilis: old problem, new strategies. BMJ 2002 July 325: 153-156 LM Tierney Jr, SJ McPhee, MA Papadakis. Current Medical Diagnosi And Treatment 2006; Cecil’s Textbook of Medicine, 22h Edition Chung G, Kantor GR, Whipple. Tertiary syphilis of the face. J Am Acad Dermatol. 1991 May;24(5 Pt 2):832-5. Capitolo 3 Ipertensione A cura del Dott. Bruno Albiani ANAMNESI Sig.ra S.G., di anni 28, nubile, imprenditrice. ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA La paziente, affetta da ipertensione arteriosa da circa alla nostra osservazione per il persistere di valori nonostante l’assunzione di terapia farmacologia Riferisce inoltre astenia, difficoltà alla respirazione, del sonno. Terapia domiciliare NEBIVOLOLO: 1cpr al giorno TELMISARTAN 20 mg: 1 cpr al giorno 3 anni, è giunta pressori elevati antipertensiva. ansia e disturbi ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA Delle comuni malattie esantematiche dell’infanzia ricorda il morbillo e la varicella. Nega traumi, interventi chirurgici e patologie di rilievo. ANAMNESI FISIOLOGICA Nata a termine da parto eutocico, allattamento artificiale, sviluppo psicofisico regolare. Menarca a 13 anni, cicli mestruali regolari per ritmo, quantità e durata. Laurea, nubile, imprenditrice. Dieta varia per qualità e quantità. Beve saltuariamente alcolici. Quattro tazzine di caffè al giorno. Fuma dieci sigarette al giorno da circa dieci anni. Digestione regolare. Alvo tendenzialmente stitico. Diuresi fisiologica. Nega allergie a farmaci e/o alimenti. 79 80 CAPITOLO 3 ANAMNESI FAMILIARE Padre di anni 59 affetto da ipertensione arteriosa e carcinoma intestinale in fase metastatica. Madre di anni 57 affetta da ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica e diabete mellito di tipo 2. Due sorelle di cui una, di 33 anni, affetta da sclerosi multipla e l’altra, di 26 anni, affetta da ipertensione arteriosa. ESAME OBIETTIVO ESAME GENERALE Condizioni generali buone. Facies composita. Psiche lucida. Sensorio integro. Decubito indifferente. Respiro eupnoico. Cute rosea, normoelastica, normoidratata. Mucose visibili rosee. Annessi cutanei normorappresentati. Sottocutaneo normorappresentato e ben distribuito. Sistema linfoghiandolare apparentemente indenne. Apparato locomotore apparentemente indenne. CAPO E COLLO Capo normoconformato. Non dolenti né dolorabili i punti di emergenza del V° paio di nervi cranici. Globi oculari in asse. Pupille isocoriche e isocicliche, normoreagenti alla luce e alla convergenzaaccomodazione. Lingua sporta in asse, normoidratata. Faringe roseo, tonsille intraveliche. Collo cilindrico, non dolente né dolorabile ai movimenti attivi di flesso-estensione e lateralità. Tiroide non palpabile. TORACE Torace cilindrico. Emitoraci simmetrici e normoespandibili. FVT normotrasmesso su tutto l’ambito. Basi mobili. Suono chiaro polmonare su tutto l’ambito. Murmure vescicolare aspro. CUORE E VASI Itto della punta palpabile al V° spazio intercostale sinistro sull’emiclaveare. Aia cardiaca nei limiti della norma. Azione cardiaca ritmica. Toni netti. Presenza di click meso-telesistolico. Arterie periferiche esplorabili normosfigmiche. 81 UN CASO DI IPERTENSIONE Pressione arteriosa: 170/130 mmHg. Frequenza cardiaca: 70 battiti per minuto. ADDOME Addome piano, trattabile. Cicatrice ombelicale normointroflessa. Timpanismo enterocolico come di norma. Peristalsi presente e valida. Fegato limite superiore al V spazio intercostale sull’emiclaveare destra di consistenza parenchimatosa. Margine inferiore non palpabile. Murphy negativo. Milza limite superiore al IX spazio intercostale sull’ascellare media sinistra. Limite inferiore non palpabile. Reni non palpabili. Giordano negativo. SISTEMA NERVOSO Non deficit di forza e sensibilità agli arti superiori e inferiori. Riflessi osteotendinei normoevocabili. Romberg negativo. ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI Al momento del ricovero sono stati eseguiti esami ematochimici di routine risultati nella norma ad eccezione di un incremento della sideremia (Tab.1,2,3,4) 82 CAPITOLO 3 TAB. 1 ESAMI EMATOCHIMICI Glicemia: 99 mg/dl Azotemia: 13,5 mg/dl Uricemia: 2,64 mg/dl Creatininemia: 0,97 mg/dl Bilirubina totale: 0,61 mg/dl Bilirubina diretta: 0,20 mg/dl GOT: 16U/L GPT: 20,5 U/L Gamma-GT: 25,5 U/L Fosfatasi alcalina: 99,80 U/L CPK: 66 U/L LDH: 110,60 U/L Sideremia: 225,5 mcg/dl Ferritina: 53 ng/m Sodio: 142,6 mEq/L Potassio: 4,19 mEq/L Calcio: 9,52 mg/dl Fosfati: 3,69 mg/dl Proteine totali: 6,90 g/l Colesterolo: 200,8 mg/dl Colesterolo HDL: 70,50 mg/dl Colesterolo LDL: 106,26 mg/dl Trigliceridi: 120,20 mg/dl FT3: 3,20 pg/ml FT4: 1,10 ng/dl TSH: 3,60 micro UI/ml VES: 10 mm/1 ora INR: 0,95 PT: 11 sec Fibrinogeno: 284 mg/dl PTTratio: 0,83 TAB. 2 ESAME EMOCROMOCITOMETRICO Eritrociti: 4.630.000 mm3 Emoglobina: 13,9 g/dl Ematocrito: 41,1% MCV: 88,7 fl MCH: 30,1 pg MCHC: 33,9 g/dl RDW: 12,6% Leucociti: 7.300 mm3 Neutrofili: 59,1% Linfociti: 28,4% Monociti: 6,9% Eosinofili: 5,2% Basofili: 0,4% Piastrine: 240.000 mm3 MPV: 8,7 fl RDW: 15,7 PCT: 0,21 83 UN CASO DI IPERTENSIONE TAB. 3 ELETTROFORESI SIEROPROTEICA Frazioni Albumina Alfa 1 Alfa 2 Beta 1 Beta 2 Gamma Rapp. A/G % 52,9 4,4 15,1 8,7 4,5 14,4 1,12 Interv. di rif. % 52,0-65,0 1,5-4,0 9,0-14,0 6,0-11,0 2,0-6,0 10,0-22,0 g/dl 3,65 0,30 1,04 0,60 0,31 0,99 Prot. Tot. 6,9 g/dl TAB. 4 - ESAME URINE Aspetto: opalescente Colore: giallo paglierino Peso specifico: 1.016 Ph: 5,5 Proteine: assenti Glucosio: assente Chetoni: assenti Bilirubina: assente Sangue: tracce Nitriti: assenti Urobilinogeno: tracce Esame microscopico del sedimento Discreta flora batterica Alcuni filamenti di muco Alcuni leucociti Rare emazie Alcune cellule RX TORACE La radiografia del torace non ha posto in evidenza alcuna alterazione a carico dei campi polmonari. L’immagine cardiovascolare è risultata di aspetto normale. ECG L’elettrocardiogramma ha documentato un ritmo sinusale e una frequenza di 70 battiti per minuto (Fig. 1). 84 CAPITOLO 3 Fig. 1 ECG ECOCARDIOGRAMMA L’Ecocardiogramma ha evidenziato un ventricolo sinistro di normali dimensioni, con normale cinesi parietale (FE=60%). Le cavità atriali e il ventricolo destro sono apparse nei limiti della norma. È stata rilevata una lieve insufficienza mitralica da lieve prolasso valvolare. MONITORAGGIO PRESSORIO Considerati gli elevati valori pressori rilevati nella paziente al momento del ricovero, è stato eseguito il monitoraggio dinamico non invasivo della pressione arteriosa. Il profilo pressorio delle 24 ore è risultato al di sopra dei valori di riferimento considerati normali (medie totali 151/103 mmHg con deviazione standard di 19/22 mmHg). Il valore massimo di PAS è stato registrato alle ore 15:00 (184 mmHg) durante il lavoro di ufficio mentre il valore massimo di PAD si è stato rilevato alle ore 20:45 (148 mmHg) durante lo svolgimento delle attività domestiche. La caduta pressoria notturna è risultata presente. Le variazioni della frequenza cardiaca non sono risultate correlate alle variazioni della pressione arteriosa (Fig. 2). 85 UN CASO DI IPERTENSIONE Fig. 2. - Monitoraggio dinamico non invasivo della pressione arteriosa VIDEAT OCULISTICO E’ stata inoltre eseguita una visita oculistica, in cui il visus dell’occhio destro è risultato pari a 10/10 nat mentre il visus dell’occhio sinistro a 7/10 nat. L’esame del fondo dell’occhio ha documentato essudati cotonosi al polo posteriore, e in particolare di un essudato cotonoso maculare e di due emorragie a fiamma a livello dell’occhio sinistro.. È stata pertanto posta diagnosi di retinopatia ipertensiva di 3° grado. RAGIONAMENTO CLINICO Quale sintomo guida è stato pertanto considerato l’ipertensione arteriosa. Essa viene definita come una condizione patologica caratterizzata da un aumento dei livelli pressori al di sopra dei valori che sono comuni nella popolazione normale. L’incremento dei valori pressori può riguardare sia i livelli della pressione sistolica che quelli della pressione diastolica. (Tab. 5) 86 CAPITOLO 3 Ipertensione Arteriosa Tab. 5 CLASSIFICAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA IN SOGGETTI ADULTI (18-65 anni) CLASSIFICAZIONE PAS (mmHg) PAD (mmHg) Ottimale <120 <80 Normale <130 <85 Normale-alta 130-139 85-89 Ipertensione Grado 1(lieve) Grado 2 (moderata) Grado 3 (severa) 140-159 160-179 =180 90-99 100-109 =110 Ipertensione sistolica isolata Grado 1(lieve) Grado 2 (moderata) Grado 3 (severa) 140-159 160-179 = 180 =90 =90 =90 ESH-ESC: Guidelines for the management of arterial hypertension. Guidelines Committee. Journal of Hypertension 2003; 21: 1011-1053 CENNI STORICI Si è iniziato a parlare di ipertensione arteriosa nel 1769 quando il reverendo Stephen Hales misurò la pressione arteriosa incannulando l’arteria femorale di un cavallo con un tubo di vetro connesso all’arteria attraverso un tratto di trachea di oca. Nel 1847 Karl Ludwig ideò il Chirografo. Nel 1860 venne ideato il Cardiometro e successivamente l’Emodrometro o misuratore della velocità circolatoria costruito dallo stesso Ludwig. Tali apparecchi misuravano direttamente la pressione arteriosa attraverso l’incannulazione diretta del vaso arterioso. 87 UN CASO DI IPERTENSIONE Dopo numerosi tentativi per ottenere una misurazione non invasiva un italiano, Scipione Riva-Rocci, allievo di Carlo Forlanini, nel 1896, utilizzando semplici oggetti (un calamaio, del mercurio, un tubo di biciclette), mise a punto il suo sfigmomanometro. Tale strumento consentiva, inizialmente, la sola misurazione della pressione arteriosa sistolica. L'uso dello sfigmomanometro fu poi perfezionato e insieme all’utilizzo dell'auscultazione dei toni cardiaci, scoperti dal russo Nicolaj Sergievich Korotkov nel 1905 fu, così possibile misurare anche la pressione arteriosa diastolica. Il concetto di ipertensione arteriosa essenziale nacque nel 1827, quando Richard Bright si accorse che, ogni qualvolta faceva l’autopsia di un soggetto con importanti alterazioni renali, trovava anche ipertrofia del cuore sinistro e ne dedusse che in vita il paziente doveva essere stato affetto da ipertensione arteriosa. Nel 1872 Gull e Sutton parlarono di “fibrosi arterio-capillare” caratterizzata da ipertensione, ipertrofia cardiaca ed alterazioni vascolari non associate a malattia renale. Nel 1877 Johnson introdusse il concetto di aumento delle resistenze (“stopcock”) come causa di ipertrofia cardiaca nell’elevata “tensione arteriosa”. Successivamente tra il 1881 e il 1893 Mahomed e Van Bash studiarono la pressione arteriosa con metodiche complesse e parlarono di “arteriosclerosi latente” sempre in assenza di danni renali. Nel 1911 Frank coniò il termine di ipertensione essenziale (“essentielle hypertonie”). Nel 1914 Volhard e Fahr studiarono i danni renali provocati dell’ipertensione arteriosa e parlarono per la prima volta di “fase benigna e maligna della nefroangiosclerosi”. Infine, nel 1915, Albutt diede la definizione di “hyperpiesis” una malattia nella quale “la pressione arteriosa sale eccessivamente nell’età media, con un decorso proprio, e che merita il nome di affezione”. Albutt aveva veramente compreso tutta la particolarità dell’ipertensione essenziale, la quale deve essere distinta dalla malattia indicata da Bright, secondaria a nefropatia, dalla malattia aterosclerotica generalmente associata ad ipertensione arteriosa tipica della tarda età, dall’ipertensione da feocromocitoma, da morbo di Conn e da altre cause note. 88 CAPITOLO 3 FISIOPATOLOGIA SISTEMI DI CONTROLLO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA Il meccanismo omeostatico dela pressione arteriosa è regolato da una serie di sistemi di controllo; le variazioni improvvise di pressione mettono in moto tali meccanismi che hanno velocità e caratteristiche di risposta di volta in volta diverse (Fig. 3). Fig. 3 Sistema complessivo di regolazione della pressione arteriosa Una risposta immediata viene ad opera del barocettore che tende ad entrare in azione in circa 8 secondi. Poi interviene la risposta ischemica del SNC, la quale entra in azione per valori pressori molto bassi (50 mmHg) e costituisce l’ultima trincea dell’organismo contro il calo pressorio. Vi sono poi i chemocettori che agiscono in circa 15 secondi. Il rilasciamento da stress inizia immediatamente ma impiega molto tempo a modificare la pressione arteriosa mentre il sistema renina-angiotensina-aldosterone inizia ad agire solo dopo qualche ora perché la sua azione tramite l’aldosterone, si attua nel tubulo distale. 89 UN CASO DI IPERTENSIONE In merito a tali meccanismi di controllo, ciò che è importante conoscere non è tanto in tempo impiegato da ciascuno addentrare in azione, quanto il cosiddetto feedback gain, ovvero il guadagno di questi meccanismi che è legato alla capacità di riportare nella norma il valore pressorio modificato. Esso è dato dal rapporto tra la modificazione che si sarebbe avuta senza il meccanismo di controllo e quella che effettivamente si verifica. Tutti i meccanismi prima elencati hanno un guadagno finito (barocettori 7, risposta ischemica 11, chemocettori 4, rilasciamento da stress 2,8, spostamento di liquidi dai capillari 2,5, sistema renina angiotensina-aldosterone: 1,6) ma vi è un sistema che ha un feedback gain infinito e che permette alla pressione arteriosa di ritornare proprio ai livelli iniziali. Il sistema reni-liquidi ha un gain infinito. Questo sistema, per qualsiasi valore pressorio continuerà a lavorare finché la pressione arteriosa non ritorna ai livelli di partenza. Un tipico esempio è dato dall’apertura di una fistola artero-venosa: la pressione arteriosa non si modifica se non nell’immediatezza dell’apertura, giacché il rene farà in modo che l’aumento di portata e di flusso attraverso la fistola non produca aumento della pressione arteriosa. Lo stesso si ha quando viene chiusa la fistola per l’intervento opposto sempre da parte del rene. Per comprendere il complesso sistema di controllo dela pressione arteriosa, prendiamo ora in esame singolarmente i vari meccanismi iniziando da quello che entra in attività più precocemente e rapidamente, il sistema dei barocettori. Il barocettore serve a mantenere un flusso costante ai vari organi e per tale motivo esso è più un “custode” dell’ipotensione che dell’ipertensione, e reagisce di più alle sollecitazioni ipotensive che a quelle ipertensive. I barocettori o pressocettori sono terminazioni nervose del tipo ad efflorescenza che vengono stirate quando sottoposte a trazione. Sono situati nelle pareti delle arterie carotidi interne un poco al di sopra della biforcazione delle carotidi comuni (seni carotidei) e nella parete dell’arco aortico (seni aortici). Gli impulsi provenienti da ciascun seno carotideo vengono trasmessi tramite il N. di Hering al N. glossofaringeo e quindi alla regione bulbare del tronco dell’encefalo. 90 CAPITOLO 3 Gli impulsi provenienti dall’arco aortico sono condotti al bulbo dai nervi vaghi (Fig. 4). Fig. 4 - Attività barocettoriale Quando si ha una diminuzione della pressione arteriosa pochi treni di onde, in partenza dai barocettori dei seni carotidei e del bulbo aortico, raggiungono il nucleo del tratto solitario il quale viene inibito ed esercita scarsamente la propria funzione eccitatoria sul nucleo del X° paio di nervi cranici. Vi sarà di conseguenza un certo defrenamento del centro vasomotore laterale il quale, attraverso il nucleo simpatico e quello bulbo spinale, esercita la sua azione simpatica (quindi adrenergica) sui vasi periferici determinando un aumento della frequenza cardiaca e vasocostrizione, entrambi meccanismi intesi a riportare alla norma la pressione arteriosa. Quando si ha un aumento della pressione arteriosa una maggiore quantità di treni di onde arriva al nucleo del tratto solitario; esso una volta eccitato finisce per inibire il centro vasomotorio laterale e per stimolare il nucleo del X° paio di nervi cranici. Ne deriva che il nucleo simpatico e quello bulbospinale riceveranno meno impulsi stimolanti dal centro vasomotorio laterale e prevarrà la tendenza alla 91 UN CASO DI IPERTENSIONE vasodilatazione e alla diminuzione della frequenza cardiaca per stimoli provenienti dal nucleo del X paio. Il barocettore quindi svolge la sua azione tramite il sistema simpatico (n. simpatico e n. bulbospinale). Il sistema nervoso adrenergico è quindi implicato nel controllo della pressione arteriosa; a confermarlo sono osservazioni ciniche di ipertensioni da feocromocitoma e da tumori cromaffini e la possibilità sperimentale di provocare ipertensione con adrenalina o noradrenalina. Se ad un animale (solitamente un gatto) distruggiamo il nucleo del tratto solitario, esso diventa fortemente iperteso. Lo stesso accade se interrompiamo le afferente tra il barocettore e il nucleo del tratto solitario: ciò dimostra l’importanza del barocettore e di tale nucleo nel mantenere bassa la pressione arteriosa (Fig. 5). D’altra parte stimolando chimicamente o per mezzo di elettrodi il nucleo del tratto solitario si ha una diminuzione della pressione arteriosa. Anche se queste osservazioni confermano l’importanza del bulbo nella regolazione della pressione arteriosa non è solo questa la regione del SNC che interviene nel controllo pressorio. 92 CAPITOLO 3 Fig. 5 - Attività barocettoriale Infatti se si inietta a livello ipotalamico, nei ventricoli laterali, 6OH-dopamina (un depletore di catecolamine a livello soprabulbare) ad animali che abbiano una lesione sperimentale del nucleo del tratto solitario, l’aumento pressorio è minore di quello che si ottiene con la sola lesione nucleare. Ciò indica che c’è un controllo pressorio a livello superiore di quello bulbare, sicuramente a livello ipotalamico (Fig. 6). 93 UN CASO DI IPERTENSIONE Fig. 6 - Attività barocettoriale CHEMOCETTORI I chemocettori sono cellule chemosensibili localizzati in corrispondenza delle biforcazioni delle arterie carotidi comuni (corpi carotidei) e a ridosso dell’aorta (corpi aortici). I chemocettori trasmettono l’eccitamento a fibre nervose che decorrono, con le fibre provenienti dai barocettori, lungo i nervi di Hering e i vaghi raggiungono il centro vasomotore. Ogni corpo carotideo o aortico riceve sangue attraverso una piccola arteria cosicché i chemocettori sono sempre in stretto contatto con il sangue arterioso. Ogni qualvolta che la pressione arteriosa scende al di sotto di un livello critico, vengono stimolati i chemocettori dalla ridotta disponibilità di ossigeno e dall’accumulo di CO2 e di idrogenioni a seguito del rallentato flusso sanguigno attraverso i corpi carotidei e aortici. Dai chemocettori i segnali trasmessi lungo le fibre afferenti vanno ad eccitare il centro vasomotore provocando in via riflessa un aumento della pressione arteriosa. Il meccanismo di controllo tramite i chemocettori entra in funzione aumentando la PA anche in tutte quelle condizioni in cui nel sangue arterioso la concentrazione dell’ossigeno scende al di sotto dei valori normali oppure aumentano al di sopra dei valori normali le concentrazioni di anidride carbonica e di idrogenioni. 94 CAPITOLO 3 SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE L’ipotesi di un ruolo del rene nel determinismo dell’ipertensione arteriosa nacque, nel 1897, con l’osservazione di Tigerstedt R. e Bergman P.G. Essi triturarono i reni di un coniglio e, fattone un infuso, lo inocularono ad altri conigli, ottenendo l’insorgenza di ipertensione. Dedussero perciò che esisteva una sostanza, che chiamarono “renina”, capace di provocare ipertensione. A questo esperimento fece seguito, nel 1933, quello di Harry Goldblatt il quale mettendo una pinza su di un’arteria renale di cane, rilevò che l’animale diveniva iperteso. Era possibile riportare la pressione alla normalità rimuovendo l’occlusione entro 6-8 settimane, mentre la rimozione più tardiva non era più idonea a riportare i valori pressori alla normalità. Goldblatt ridava così corpo alle osservazioni di Tigerstedt e Bergman, mostrando che effettivamente il rene produce una sostanza ipertensivante, liberata in misura maggiore quando si opera una stenosi dell’arteria renale. La renina è un enzima proteolitico altamente specifico, sintetizzata nelle cellule della macula densa dell’apparato iuxtaglomerulare renale, che scinde il legame leucina-valina dell’angiotensinogeno o substrato della renina (alfa2-globulina plasmatica), una glicoproteina prodotta quasi esclusivamente dal fegato e presente in circolo in quantità tale (800-1500 ng/ml) da non limitare l’attività del sistema. Si forma così un decapeptide, l’angiotensina I. Quest’ultima priva di attività biologica, viene immeditamente trasformata in angiotensina II (octapeptide) dall’enzima di conversione (angiotensin convertine enzyme: ACE), detto anche chininasi II, in quanto responsabile anche dell’attivazione delle chinine. L’ACE è situato soprattutto sulla superficie dell’endotelio di rivestimento dei vasi polmonari, ma in realtà ha una distribuzione praticamente ubiquitario. L’angiotensina II è presente in circolo che in condizioni fisiologiche è di circa 20-60 pg/ml ed ha una emivita di pochi secondi, in quanto viene immediatamente degradato dalle angiotensinasi tissutali. Una di queste, l’angiotensinasi A2 o aminopeptidasi A, distacca dall’angiotensina II, l’acido aspartico aminoterminale determinando la formazione dell’angiotensina III (esapeptide) che, a differenza degli 95 UN CASO DI IPERTENSIONE altri prodotti di degradazione dell’angiotensina II è ancora biologicamente attiva (Fig. 7). Fig. 7 Sistema Renina-Angiotensina Il sistema renina-angiotensina-aldosterone, è controllato dal SNC, attraverso il mediatore noradrenalina, che agisce sui recettori beta-1 dell’arteriola afferente glomerulare, modificando la quantità di sangue che giunge nell’unità di tempo all’apparato iuxtaglomerulare. La quantità di renina liberata è anche sotto il controllo della concentrazione del sodio a livello della sostanza iuxtaglomerulare ed inoltre è condizionata dalla riduzione del volume dei fluidi extracellulari (emorragie, vomito, diarrea e sindromi edemigene come scompenso cardiaco congestizio, cirrosi epatica ascitogena ecc), dalla riduzione della pressione arteriosa nelle arterie renali e dal passaggio dal clino all’ortostatismo. 96 CAPITOLO 3 La liberazione di renina è anche regolata da un feed-back negativo operato dall’angiotensina. L’angiotensina II esercita la sua azione attraverso il legame con due recettori, detti AT1 ed AT2. Il recettore AT1 media gli effetti vascolari ed endocrini, mentre quello AT2 interviene sulla differenziazione e nella crescita cellulare (Tab. 6). Tab. 6 Recettori dell’angiotensina II Recettori AT1 Recettori AT2 Effetti: Effetti: - Stimolazione del SN simpatico: azione cronotropa e inotropa positive, vascocostrizione (indiretta) - Azione su arterie di medio e piccolo calibro: vasocostrizione (diretta) - Azione sulle placche neuromuscolari: sintesi, escrezione e ricaptazione di noradrenalina - Azione sul rene: ritenzione idro-salina - Azione sul corticosurrene: rilascio di aldosterone - Azione sulla midollare del surrene: rilascio di catecolamine - Aumentata espressione di protooncogeni, produzione di fattori di crescita e sintesi di matrice extracellulare - Stimolazione alla liberazione di ADH e del senso della sete - Vasodilatazione - Inibizione della crescita cellulare Oltre al rene numerosi altri organi e tessuti, quali il SNC, l’ipofisi, le ghiandole surrenali, il testicolo, le ghiandole salivari e soprattutto il cuore e le pareti arteriose contengono la renina e il corrispondente RNA messaggero (Tab. 7). 97 UN CASO DI IPERTENSIONE Tab. 7 Sistema Renina-Angiotensina tissutali e relative funzioni TESSUTO Rene Vasi Cuore Surrene Cervello Ipofisi Ovaio Testicolo Utero Chorion Placenta Intestino Ghiandole salivari FUNZIONI Emodinamica glomerulare, riassorbimento di sodio Tono e ipertrofia vascolare Metabolismo miocardico, ipertrofia, contrattilità, ritmo Secrezione di aldosterone, release di catecolamine (?) Sete, comportamento, pressione arteriosa, release di AVP Secrezione di ACTH, gonodotropine, prolattina Ovulazione (?), produzione di estrogeni(?) Produzione di androgeni (?) Flusso utero-placentare, contratttilità Sconosciuto Flusso utero-placentare, ormoni placentari (?) Assorbimento di acqua Sconosciuto Il contributo di questi organi alla concentrazione plasmatica di renina è trascurabile, dal momento che l’attività reninica plasmatica cade a zero dopo nefrectomia bilaterale. A livello renale l’angiotensina II (AII) determina una contrazione mesangiale che è legata all’aumento della concentrazione del calcio (Ca++) citosolico, secondaria all’attivazione di fosfolipasi C ed alla liberazione di Ca++ dai depositi intracellulari. Il calcio è pertanto considerato il secondo messaggero dell’azione di AII. L’azione costrittrice dell’AII è inoltre rivolta sull’arteriola efferente: oltre al suo effetto sul filtrato glomerulare, diminuisce la pressione idrostatica capillare peritubulare, mentre aumenta la frazione di filtrazione e la pressione osmotica peritubulare capillare. Tutto ciò determina una riduzione della retrodiffusione del Na, trasportato negli spazi intercellulari, e quindi un aumento del riassorbimento netto. A sua volta l’aumentato riassorbimento del sodio, aumenta l’osmolarità midollare con conseguente incremento del riassorbimento passivo di cloruro di sodio nel tratto ascendente dell’ansa di Henle. 98 CAPITOLO 3 L’Angiotensina II, inoltre, agisce sui vasa recta con conseguente effetto sui periciti situati nella parte iniziale di tali vasi. In tal modo si ha una riduzione del flusso attraverso la regione midollare e un aumento del gradiente di concentrazione midollare che si rende responsabile di un incremento del riassorbimento dei liquidi (Fig. 8). Fig. 8 Azione renale dell’angiotensina II L’azione dell’aldosterone si svolge a livello della parte terminale dell’ansa di Henle e nel tubulo contorto distale. L’azione dell’aldosterone sul riassorbimento del Na* avverrebbe tramite la sintesi di RNA-DNA dipendente, di proteine carrier dell’elettrolita e la attivazione di enzimi, soprattutto la Na*/K* ATPasi. L’enzima Na*/K* ATPasi è indispensabile per formare, tramite la scissione dell’ATP in ADP l’energia per il passaggio attivo 99 UN CASO DI IPERTENSIONE del sodio nel compartimento interstiziale che avviene contro un gradiente elettrolitico ad opera della pompa cellulare baso-laterale (Fig. 9). Fig. 9 Azione renale dell’Aldosterone Giacché l’intervento del sistema renina-angiotensina-aldosterone si riduce ad un’azione vasocostrittrice e ad un aumento della volemia, può essere importante conoscere il comportamento del sodio. Sperimentalmente nell’ipertensione alla Goldblatt a due reni, il rene controlaterale a quello con la stenosi riesce a mantenere in equilibrio il bilancio del sodio e, conseguentemente, somministrando un inibitore dell’angiotensina si ha il ritorno alla norma della pressione arteriosa (Fig. 10) 100 CAPITOLO 3 Fig. 10 Ipertensione alla Goldblatt a due reni Se però si associa alla stenosi l’asportazione del rene controlaterale, il bilancio del sodio diviene positivo, dopo un primo periodo di attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Se somministriamo l’inibitore del’angiotensina II nel momento in cui il bilancio sodico è già diventato positivo, la pressione arteriosa non torna più alla norma e per vederla scendere, è indispensabile rimuovere la stenosi dell’arteria renale del rene residuo (Fig. 11). Fig. 11 Ipertensione alla Goldblatt a un rene 101 UN CASO DI IPERTENSIONE L’interazione tra vasocostrizione ed aumento della volemia, causate entrambe dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone trova un modello naturale nell’ipertensione maligna. In essa un rene ischemico produce molta renina e quindi angiotensina II. Questa provoca vasocostrizione ed increzione di aldosterone, che condiziona sodioritenzione. Quest’ultima e la vasocostrizione s’influenzano reciprocamente: la sodioritenzione provoca ipervolemia; vasocostrizione ed ipervolemia determinano un ulteriore aumento della pressione arteriosa che peggiora ancora la situazione del rene ischemico (fig. 12) Fig. 12 Ipertensione maligna Ma il sistema renina-angiotensina-aldosterone non spiega tutto. In animali con asportazione di entrambi i reni non si può più avere attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, non si ha aumento della volemia e non è certa una positivizzazione del bilancio sodico, ma si ha comunque una grave ipertensione, che può essere 102 CAPITOLO 3 riportata alla norma non solo con il trapianto del rene (che normalizza i parametri del bilancio sodico) ma anche con il solo trapianto di cellule della midollare renale. Il fattore ipotensivante renale viene somministrato con il trapianto di cellule della midollare e ciò spiega il ritorno alla norma dei valori pressori (Fig. 13) Fig. 13 Ipertensione renopriva Entrano così in gioco altre sostanze, le prostaglandine (PG) quali fattore ipotensivante di origine renale. La PGI2 (prostaciclina) determina un incremento della pressione di perfusione renale, un incremento del flusso plasmatici renale, ma opera, al contrario, una riduzione del coefficiente di ultrafiltrazione capillare glomerulare (Kf). L’azione vasodilatatrice e l’aumento del Kf indotte dalla PGI2 sono mascherate dal contemporaneo aumento dei livelli di Angiotensina II secondario alla PGI2 stessa. A livello renale le PGE2 aumentano il flusso ematico renale, la natriuresi e la diuresi senza modificazione del filtrato glomerulare (Fig. 14). 103 UN CASO DI IPERTENSIONE Fig. 14 Azione renale delle prostaglandine L’azione delle PGE2 viene potenziata dalle chinine quando il bilancio del Na è positivo mentre se il bilancio sodico è negativo, le chinine favoriscono uno sbilanciamento tra PG vasodilatatrici e costrittrici a favore delle PGF2alfa, diminuendo l’escrezione sodica. Queste osservazioni documentano che anche il sistema delle chinine svolge un ruolo nel controllo renale della pressione arteriosa (fig. 15). 104 CAPITOLO 3 Fig. 15 Rapporti PGE2-Chinine Le chinine si formano per trasformazione del chininogeno ad opera dell’attività chininogenasica della callicreina. Sono note due callicreine, una plasmatica e l’altra ghiandolare: quella plasmatica trasforma un chininogeno ad alto peso molecolare (197.000), mentre la callicreina ghiandolare ne trasforma uno dal peso molecolare di 57.000. La callicreina ghiandolare può però agire anche sul chininogeno 197.000 formando bradichinina, oltre che sul chininogeno 57.000 formando lisil-bradichinina (callidina) e, attraverso un enzima convertitore bradichinina. Ad opera di una chininasi II, simile al converting enzyme, avviene la demolizione a peptidi inattivi. La bradichinina che si trova nel rene è sicuramente prodotta in loco. Nel rene produce vasodilatazione, aumento del flusso ematico renale, della natriuresi e della diuresi. Tali azioni sono in parte correlate agli effetti esercitati sulla muscolatura liscia, ma in parte dipendono anche dalla stimolazione, attraverso i vasi e le cellule interstiziali del rene, alla produzione di PG (Fig. 16) 105 UN CASO DI IPERTENSIONE Fig. 16 - Sistema Callicreina-Chinine Una chiara correlazione è stata dimostrata tra il sistema reninaangiotensina e quello delle PG in quanto è stato osservato che l’angiotensina I e l‘angiotensina II producono un aumento delle PG renali, mentre gli antagonisti dell’angiotensina inibirebbero la sintesi di PGE2. Infatti somministrando angiotensina I o II si ha un aumento dell’acido arachidonico e delle prostaglandine urinarie mentre, se si somministra dopo l’angiotensina anche saralasina (antagonista dell’AII), non si verifica l’aumentata escrezione di prostaglandine. D’altra parte, l’inibizione della prostaglandinsintetasi con indometacina produce una chiara inibizione anche della sintesi di renina (Fig. 17). 106 CAPITOLO 3 Fig. 17 Rapporti tra Renina e Prostaglandine A fugare qualsiasi dubbio fra i rapporti esistenti tra queste sostanze è venuto un modello naturale costituito dalla sindrome di Bartter. In essa vi è un’attivazione del SRA con iperaldosteronismo ma con pressione arteriosa normale per un coesistente aumento di PGE2 e di chinine, vasodilatatrici. La controprova viene dall’osservazione che somministrando ad un paziente con sindrome di Bartter, indometacina, che blocca la produzione di PG, non si ha l’atteso aumento pressorio per il bilanciamento operante fra PG e chinine (Fig. 18). 107 UN CASO DI IPERTENSIONE Fig. 18 - Sindrome di Bartter Fra i vari meccanismi che presiedono al controllo della pressione arteriosa ricordiamo il peptide natriuretico atriale (ANP) e l’ormone antidiuretico (ADH) o vasopressina. PEPTIDE NATRIURETICO ATRIALE (ANP) Scoperto nel 1981 da De Bold e coll è un peptide costituito da 28 aminoacidi, sintetizzato dai miociti atriali ed in misura minore anche da altre cellule, localizzate nella parete dell’arco aortico, nel polmone, nel rene, nelle ghiandole surrenali, nell’ipofisi e nel SNC, dove funge da neurotrasmettotore. Svolge numerose funzioni: Vasodilatazione arteriolare Inibizione della liberazione di Renina Inibizione della sintesi e della secrezione di Aldosterone Antagonizza l’azione vasocostrittrice dell’Angiotensina II e della Noradrenalina Riduce il ritorno venoso agendo sui vasi venosi di resistenza e aumento della permeabilità capillare. Gli effetti che ne conseguono saranno pertanto rappresentati dalla riduzione delle resistenze periferiche, dalla riduzione della volemia centrale, della gittata cardiaca e del lavoro del cuore. 108 CAPITOLO 3 Rispetto alle azioni renali, l’ANP è in grado di modulare il flusso ematico renale, il filtrato glomerulare e il riassorbimento tubulare degli elettroliti. L’ANP determina, infatti, un aumento della perfusione renale e un notevole incremento del filtrato glomerulare, attraverso un’azione integrata sulle due arteriole glomerulari. Mentre l’arteriola afferente viene dilatata dal peptide, quella efferente risulta costretta, con conseguente aumento della pressione idrostatica nel capillare glomerulare e marcato incremento della quota di acqua e soluti a livello del tubulo prossimale. A ciò si aggiunge un aumento del coefficiente di ultrafiltrazione glomerulare (Kf) attraverso una dilatazione delle cellule mesangiali. Rispetto al riassorbimento tubulare degli elettrolit, l’ANP determina la perdita di Na, di Cl e in misura assai minore di K. Inoltre l’ANP inibisce il cosiddetto feedback tubulo-glomerulare. Normalmente l’incremento del sodio nel tubulo distale conduce ad una caduta più o meno evidente della filtrazione glomerulare. Questo semplice meccanismo è inibito dall’ANP, così che per una data quota di sodio che viene filtrata ne venga escreta una percentuale il più possibile elevata (Fig. 19). Infine l’ANP inibisce la liberazione di renina e la sintesi e secrezione di aldosterone. Tutte queste azioni considerate collettivamente tendono a proteggere il circolo ed in particolare il distretto venoso centrale e polmonare da sovraccarichi di volume e/o di pressione. 109 UN CASO DI IPERTENSIONE Fig. 19 Azione renale dell’ANP ORMONE ANTIDIURETICO (ADH) O VASOPRESSINA L’ormone antidiuretico è un nonapeptide prodotto dai neuroni magnocellulari situati nei nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo anteriore. Viene messo in circolo in risposta a numerosi stimoli, tra i quali il più importante è quello osmotico ovvero l’aumento della pressione osmotica nei liquidi extracellulari. La funzione principale dell’ADH è infatti quella di regolare l’osmolalità dei liquidi corporei, soprattutto tramite i suoi effetti sul riassorbimento di acqua a livello del dotto collettore corticale e midollare. Il secondo stimolo valido per la liberazione di vasopressina è la deplezione di volume. 110 CAPITOLO 3 L’ADH interviene anche nella regolazione dei vari parametri fondamentali per l’integrità della funzione cardiocircolatoria, tra cui il volume del liquido extracellulare e plasmatico ed il tono vascolare (vasocostrizione) (Tab. 8) Tab. 8 - Fattori che inducono la liberazione di ADH STIMOLI OSMOTICI - Alterazione del bilancio idrico (iper- e iponatremia) - Soluzioni ipo- o ipertoniche - Iperglicemia - Sostanze osmoticamente attive STIMOLI EMODINAMICI Riduzione del volume plasmatico totale o efficace: - Emorragia - Vomito - Diarrea - Sindromi edemigene - Diuretici - Ipotensione ortostatica - Reazioni vasovagali - Vasodilatatori STIMOLI EMETICI - Nausea - Mal di mare - Chetoacidosi - Farmaci: apomorfina ALTRI FATTORI Dolore, stress fisici e psichici ipossia, ipercapnia, acidosi FARMACI - Clorpropamide - Carbamazepina - Clofibrato - Nicotina - Oppiacei - Barbiturici - Indometacina - Fenotiazine - Aloperidolo La secrezione di ADH indotta da stimoli emodinamici (secrezione non osmotica) si verifica sempre nel contesto di una attivazione, spesso marcata, del sistema renina-angiotensina-aldosterone e di quello nervoso simpatico. Ciò suggerisce che l’ADH svolge un ruolo assai modesto nel regolare la pressione arteriosa in condizioni fisiologiche, ma interviene solo quando la riduzione della PA (o del volume plasmatici) è di grado assai marcato e gli altri sistemi vasoattivi si sono dimostrati inefficaci a riportarla alla norma. 111 UN CASO DI IPERTENSIONE Una riduzione particolarmente marcata della PA stimola anche il senso della sete. Gli stimoli emodinamici influenzano la secrezione di ADH attraverso i recettori a bassa pressione situati nel compartimento venoso cardiotoracico e quelli ad alta pressione situati nell’arco aortico e nel seno carotideo. Gli impulsi nervosi provenienti da queste strutture decorrono lungo il nervo vago e quello glossofaringeo fino a raggiungere il nucleo del tratto solitario nel bulbo; da qui originano le vie post-sinaptiche (noradrenergiche, oppioidoergiche e GABAergiche) per i nuclei sopraottico e paraventricolare. Gli effetti renali dell’ADH si esercitano attraverso due classi di recettori renali (Fig. 20). I recettori V1 sono stati localizzati nel mesangio glomerulare, nei vasi renali, nelle cellule interstiziali midollari. Il messaggero dell’azione della vasopressina su questi siti recettoriali è rappresentato dal Ca** intracellulare. Tali recettori inducono vasocostrizione e produzione di PG. I recettori V2 sono presenti nel segmento sottile del tratto ascendente dell’ansa di Henle e nei tubuli collettori corticali e midollari. Questi recettori controllano l’effetto idro-osmotico della vasopressina. Per quanto riguarda il rene l’effetto costrittore della vasopressina si esplica sulle cellule mesangiali riducendo il Kf dei capillari glomerulari. Occorre ricordare che i recettori V1 stimolano la sintesi di PG, sia nelle cellule mesangiali che nelle cellule interstiziali midollari. Le PG si oppongono alla contrazione dei vasi mesangiali indotta dalla vasopressina ed al suo effetto tubulare, contrastando l’aumento della permeabilità all’acqua del tubulo collettore causata dal peptide. Il ruolo svolto dalla vasopressina sull’escrezione urinaria di sodio (natriuresi) si realizza attraverso la stimolazione dei recettori V1 e di conseguenza della sintesi delle PGE2. Queste ultime, tramite la loro azione tubulare, sono responsabili del ridotto riassorbimento del sodio e quindi della natriuresi. In conclusione le variazioni della PA e della volemia che si verificano in condizioni fisiologiche sono troppo modeste per influenzare la secrezione di ADH, che dipende quindi largamente da stimoli di natura osmotica. Qualora la secrezione di ADH aumenti per far fronte ad un aumento dell’osmolarità plasmatici, oltre all’effetto diuretico si 112 CAPITOLO 3 verifica vasocostrizione legato alla stimolazione dei recettori V1 a livello vasale. Fig. 20 - Recettori renali dell’ADH 113 UN CASO DI IPERTENSIONE CLASSIFICAZIONE DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA IPERTENSIONE SISTOLICA - Arteriosclerosi dell’arco aortico - Insufficienza aortica - Anemia - Fistole arterovenose - Ipertiroidismo IPERTENSIONE SISTODIASTOLICA Ipertensione essenziale: 95% Ipertensione secondaria: 5% IPERTENSIONE SECONDARIA ENDOCRINA Feocromocitoma Iperaldosteronismo primitivo Sindrome di Cushing Sindromi adrenogenitali Acromegalia RENALE Renovascolare Parenchimatosa: glomerulonefrite acuta - glomerulonefrite cronica pielonefrite cronica - rene policistico - nefropatia diabetica nefropatia da farmaci -tumori secernenti renina NEUROGENA COARTAZIONE AORTICA PREECLAMPSIA POLICITEMIA IPERTENSIONE DA FARMACI 114 CAPITOLO 3 L’ipertensione costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza di aterosclerosi: si tratta di una forma di arteriosclerosi, che colpisce prevalentemente le arterie di grande e medio calibro, in particolare le coronarie. Rilevanti aumenti pressori sono in grado di provocare una sofferenza anche a livello delle arteriole (arteriolosclerosi). CLINICA Generalmente, il paziente iperteso, nel caso che l’ipertensione arteriosa non sia secondaria ad altre affezioni, risulta del tutto asintomatico. Viene descritta in alcune occasioni, in particolare in soggetti con ipertensione arteriosa grave, cefalea, prevalentemente occipitale, talvolta pulsante, e spesso più intensa al mattino al risveglio. Alcuni pazienti riferiscono vertigine soggettiva, acufeni, sensazione di instabilità, ma tali sintomi non sono costanti. A carico dell’apparato cardiocircolatorio, i primi segni di una compromissione sono rappresentati da facile affaticabilità e dispnea da sforzo. In alcune occasioni l’ipertensione arteriosa può essere svelata da un dolore anginoso e da un infarto acuto del miocardio. Un sintomo piuttosto comune è costituito altresì dall’epistassi, anch’essa imputabile a danno vascolare, così come da disturbi visivi, per compromissione retinica (visione offuscata, scotomi, mosche volanti). EFFETTI DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA Cuore L’incremento dei valori pressori comporta un aumento del lavoro del ventricolo sinistro del cuore. Il protrarsi nel tempo di una tale situazione provoca ipertrofia del ventricolo sinistro e successivamente dilatazione, fino ad un quadro di scompenso cardiocircolatorio. Oppure può determinare l’insorgenza di manifestazioni anginose di cui la massima espressione è rappresentata dall’infarto del miocardio. 115 UN CASO DI IPERTENSIONE Encefalo A livello encefalico, l’ipertensione arteriosa, può determinare ictus ischemico, ictus emorragico oppure encefalopatia ipertensiva. L’ictus ischemico è favorito dal’aterosclerosi, mentre quello emorragico, è il frutto della rottura di microaneurismi cerebrali, in presenza di elevati livelli di pressione. L’encefalopatia ipertensiva sembra dovuta a difetti dell’autoregolazione vasale nel circolo cerebrale, con l’instaurazione di numerose, minute lesioni diffuse dovute a edema o a piccole emorragie. Essa è caratterizzata da cefalea acuta, nausea vomito e disturbi della coscienza (stato confusionale, coma accompagnato da convulsioni). Rene La sofferenza renale in corso di ipertensione è stata considerata a lungo conseguenza della ridotta irrorazione glomerulare dovuta a processi di arteriosclerosi ed arteriolosclerosi. Le moderne conoscenze sulla progressione della insufficienza renale cronica tendono piuttosto a valorizzare il danno emodinamico impartito ai glomeruli dall’aumento della tensione nei capillari glomerulari. Retina Le alterazioni retiniche (retinopatia ipertensiva) sono state convenzionalmente suddivise in quattro gradi in rapporto alla loro gravità (Keith-Wagener-Barker). Il I° grado è caratterizzato da una costrizione dei vasi arteriosi a causa della autoregolazione vasale; il rapporto (tra i diametri delle arteriole e vene) AV pari a ½ circa. Si può individuare qualche stenosi arteriolare precoce e circoscritta. Una sclerosi generalizzata appare come un aumento della luminosità (riflesso alla luce accentuato) delle arteriose con una modesta compressione delle vene al’incrocio con le arteriole. Il II° grado è caratterizzato da un calibro ulteriormente ridotto delle arteriole (rapporto A-V 1/3); la stenosi è localizzata ma più cospicua. Le arteriole cominciano ad assumere un aspetto a filoni rame con una compressione più evidente delle vene agli incroci con le arterie. Nel III° grado la costrizione arteriolare focale e generalizzata appare cospicua (rapporto AV ¼). La sclerosi apare come una superficie argentea (filo d’argento). I vasi venosi sono obliterati in corrispondenza dell’incrocio con le arteriole. Presenza di emorragie a fiamma e di essudati cotonosi disseminati. 116 CAPITOLO 3 Nel IV° grado le alterazioni sono spiccate a filo di rame od a filod’argento unitamente ad una notevole dilatazione distale delle vene. Sono presenti emorragie a fiamma, essudati cotonosi, particolarmente cospicui nell’area maculare, ed edema della papilla. RAGIONAMENTO CLINICO Considerati i dati clinici e la giovane età della paziente è stato posto il sospetto clinico di ipertensione arteriosa secondaria. In relazione alle cause eziologiche abbiamo potuto escludere le cause farmacologiche (corticosteroidi, carbenoxolene, inibitori delle monoaminoossidasi, contraccettivi orali e liquirizia), le cause neurogene, la coartazione aortica, la preeclampsia e la policitemia. Restavano pertanto da indagare le forme di ipertensione arteriosa secondarie a cause endocrine e da patologie renali. Nell’ambito delle forme secondarie di natura endocrina, data l’esiguità degli elementi clinico-semeiologici e considerato il profilo pressorio evidenziato del monitoraggio pressorio delle 24 h, è stato possibile escludere il feocromocitoma, la sindrome di Cushing, le sindromi adrenogenitali e l’acromegalia. Comunque, indipendentemente dalla causa responsabile dell’ipertensione arteriosa, nella nostra paziente sono stati eseguiti tests di funzionalità renale, risultati nella norma: Creatinina: 0,96 mg/dl (v.n. 0,7-1,5) Creatininuria: 109,7 ng/ml (v.n. 50-150) Creatinina clearance: 149,69 ml/min Creatininuria: 2,08 g/24h (v.n. 0,8-2,1) Quantità urine 24h: 1900 ml Abbiamo pertanto considerato l’ipotesi di ipertensione renovascolare. Questa è causata da ipoperfusione renale, dovuta a stenosi dell’arteria renale o di uno dei suoi rami principali, e sostenuta dall’attivazione del sistema renina-angiotensina (il rene stenotico aumenta la liberazione di renina). Nel 66% dei casi la stenosi dell’arteria renale è prodotta da una placca ateromasica mentre nel 33% dei pazienti, è secondaria al una 117 UN CASO DI IPERTENSIONE malformazione caratterizzata dalla presenza di un cuscinetto di tessuto iperplastico, costituito da tessuto fibroso, tessuto connettivo e cellule muscolari lisce. Si parla, in questo ultimo caso, di iperplasia fibro-muscolare. La diagnosi di ipertensione renovascolare si basa su elementi e caratteristiche cliniche suggestive. Rispetto agli elementi clinici suggestivi si considerano il soffio addominale, la resistenza al trattamento antipertensivo, la comparsa di insufficienza renale in seguito all’uso di ACE-inibitori. Fra gli esami di laboratorio, elementi molto suggestivi sono gli elevati valori dell’attività reninica plasmatici e la proteinuria. In relazione alle caratteristiche cliniche viene definito l’indice di sospetto clinico, distinto in basso, moderato ed elevato (Tab. 9). 118 CAPITOLO 3 Tab. 9 - Ipertensione renovascolare: indice di sospetto clinico BASSO (prevalenza < 1%): nessun esame specifico Ipertensione borderline, lieve o moderata, in assenza di indizi clinici MODERATO (prevalenza 5-15%): raccomandati esami non invasivi Ipertensione grave (PAD >120 mmHg) Ipertensione resistente alla terapia tradizionale Esordio improvviso di ipertensione persistente, moderata-grave Ipertensione con soffio addominale caratteristico (lungo, ad alta frequenza) Ipertensione moderata in un fumatore, in un paziente con ats (cerebrovascolare, coronarica, periferica) o in un paziente con aumento inspiegato ma stabile della creatinina Normalizzazione della pressione arteriosa per mezzo di ACE-inibitore in pazienti con ipertensione moderata o grave (soprattutto se fumatore o con ipertensione di recente esordio) ELEVATO (prevalenza > 25%): può essere presa in considerazione l’esecuzione immediata di arteriografia. Ipertensione grave (PAD >120 mmHg) con insufficienza renale o refrattaria ad un trattamento aggressivo (specialmente in paziente fumatore o con evidenza di arteriopatia occlusiva) Ipertensione accelerata o maligna (retinopatia grado III o IV) Ipertensione con aumento recente della creatininemia, sia inspiegato che indotto reversibilmente da un ACE-inibitore Ipertensione (moderata, grave) con riscontro di asimmetria pari o maggiore di 2cm delle dimensioni renali In sintesi la diagnosi di ipertensione renovascolare si fonda su un preciso protocollo e algoritmo. (Tab. 10 e Fig. 21). 119 UN CASO DI IPERTENSIONE Tab. 10 - Ipertensione renovascolare: protocollo diagnostico Ricercare elementi clinici suggestivi: - soffio addominale - resistenza al trattamento antipertensivo - comparsa di insufficienza renale in seguito all’uso di ACE-inibitori Dosaggio dell’attività reninica plasmatica Test al captopril Scintigrafia renale (associata con test al captopril) Eco-color-doppler delle arterie renali Angio-RM, Angio-TC spirale delle arterie renali Angiografia renale Dosaggio della renina nel sangue refluo delle vene renali Urografia e.v. Fig. 21 - Ipertensione renovascolare: algoritmo diagnostico 120 CAPITOLO 3 Nella nostra paziente è stato quindi eseguito il dosaggio dell’attività reninina plasmatica in clino- e ortostatismo e della potassiemia risultati nella norma. Attività Reninica Plasmatica (PRA) Clinostatismo: 1,91 ng/ml/h (v.n.0,2-2,7) Ortostatismo: 2,55 ng/ml/h (v.n.1,5-5,6) Potassiemia: 4,19 mEq/L ECOGRAFIA ADDOME È stata inoltre sottoposta a ecografia renale e surrenalica nella quale i reni apparivano in sede e risultavano normali per morfologia, volume, risposta ecogena parenchimale e spessore cortico-midollare. Bilateralmente non sono state rilevate ectasie pielo-caliceali né segni di litiasi. Lo studio delle regioni surrenaliche non ha mostrato formazioni espansive ecograficamente apprezzabili. ECODOPPLER ARTERIE RENALI È stato inoltre eseguito un ecocolorDoppler delle arterie renali che ha evidenziato la pervietà e l’assenza di stenosi a carico di entrambe le arterie ranali con normali valori velocimetrici e profilo spettrale. IPOTESI DIAGNOSTICA Dai risultati laboratoristici e strumentali è stato quindi posto il sospetto clinico di iperaldosteronismo. È stato quindi eseguito il dosaggio dell’aldosterone sierico in clino- e ortostatismo e il dosaggio della potassiuria e dell’aldosteronuria nelle urine delle 24 ore. Aldosterone - Clinostatismo: 739 pg/ml (v.n. 7,5-150) - Ortostatismo: 342,4 pg/ml (v.n. 35-300) 121 UN CASO DI IPERTENSIONE Esame Urine Delle 24 Ore - Potassiuria: 30 mEq/L (v.n. 26-123) - Aldosteronuria: 25 mcg(v.n. 3-15) Diuresi: 1270 ml Il quadro laboratoristico orientava pertanto verso una forma di ipertensione arteriosa secondaria da iperaldosteronismo. Iperaldosteronismo Primitivo L’iperaldosteronismo primitivo è una sindrome ipokalemicoipertensiva dovuta ad ipersecrezione primitiva di Aldosterone, non conseguente ad un aumento di nessuno dei fattori di stimolo, in particolare la Renina. È dovuta nella maggior parte dei casi ad un adenoma monolaterale (75-80%), talora ad un’iperplasia bilaterale (20-25%) e molto più raramente a varianti di queste due forme (iperaldosteronismo idiopatico) (Tab. 10). L’iperaldosteronismo primario rappresenta una causa rara di ipertensione arteriosa, essendo responsabile di circa l’1% di tutte le anomalie pressorie. La malattia è molto più comune nel sesso femminile con un rapporto all’incirca di 2:1 e con un’età di insorgenza media compresa tra i 35 e i 50 anni. EZIOLOGIA Adenoma surrenalico: - Monolaterale - Bilaterale Iperplasia nodulare corticale idiomatico: - Micronodulare - Macronodulare Iperplasia surrenale bilaterale bilaterale o iperaldosteronismo 122 CAPITOLO 3 Carcinoma surrenalico (<1%) Iperaldosteronismo familiare (FH) (<1%): - FH-1: aldosteronismo sopprimibile con glucocorticoidi (GRA) - FH-2: adenoma secernente aldosterone - Iperaldosteronismo idiopatico: entrambe le condizioni FISIOPATOLOGIA Le conseguenze cliniche della malattia sono legate essenzialmente all’aumentata produzione di aldosterone: l’azione principale di tale ormone, come noto, si esplica a livello del tubulo distale del rene, ove esso promuove il riassorbimento del sodio in cambio della escrezione di potassio e di idrogeno-ioni. L’aumento della concentrazione del sodio provoca due importanti effetti ipertensivi: in prima istanza si ha un aumento del volume del liquido extracellulare, e quindi della volemia; in secondo luogo, l’ipernatremia rende più sensibili le cellule muscolari lisce delle pareti arteriolari agli stimoli di vasocostrizione. Questo aumento del sodio nel compartimento extracellulare nell’iperaldosteronismo, caratteristicamente non si accompagna alla presenza di edemi. Nell’iperaldosteronismo primitivo questo non si verifica perché interviene un meccanismo di “sfuggita” che arresta la ritenzione di sodio e di acqua ad un nuovo punto di equilibrio, sufficiente a produrre ipertensione senza che si arrivi alla formazione di edemi. La sfuggita è determinata da una riduzione del riassorbimento di sodio nei tubuli renali prossimali ad opera del peptide natriuretico atriale (ANP), la quale compensa l’incremento del suo riassorbimento che ha luogo nei tubuli distali per effetto dell’aldosterone prodotto in eccesso (Fig. 22). Pertanto clinicamente si ha Ipertensione sisto-diastolica (100%) con assenza di edemi periferici (“escape” del tubulo renale), cefalea (50%) e retinopatia ipertensiva (20%). 123 UN CASO DI IPERTENSIONE Fig. 22 - Ipertensione arteriosa nell’iperaldosteronismo primitivo La perdita di potassio non è soggetta al fenomeno di “sfuggita” e produce alcalosi metabolica con tetania latente (segno di Chvostek e Trousseau: 20%) in quanto il tubulo distale tende a secernere idrogenioni in sostituzione di ioni potassio deficienti. Per ciascuno ione H+ escreto con le urine un HCO3– viene riassorbito nel plasma; di conseguenza, la promozione dello scambio tra Na+ e H+ operata dall’aldosterone conduce ad un eccesso di bicarbonati nel sangue. 124 CAPITOLO 3 L’aumento della concentrazione di HCO3– provoca un innalzamento del pH ematico, un’alcalosi metabolica, che viene compensata da meccanismi regolatori i quali inducono un aumento della PCO2. Ad un aumento dei bicarbonati nel sangue, tuttavia, può corrispondere un aumento dei bicarbonati nelle urine. È quindi usuale, nei pazienti affetti da iperaldosteronismo, riscontrare un aumento della concentrazione dei bicarbonati nel sangue e nelle urine, che risultano pertanto avere spesso un pH neutro o alcalino. Un’altra conseguenza dell’ipopotassiemia è legata al fatto che essa provoca una diminuita sensibilità dei dotti collettori dei nefroni all’ormone antidiuretico, condizionando un’alterazione del meccanismo di concentrazione delle urine, con comparsa di poliuria, nicturia e ipostenuria (80%). Seguono alcune manifestazioni cliniche legate all’ipopotassiemia presenti soltanto nel 75-80% dei casi, caratterizzate da astenia e adinamia (80%), parestesie e dolori muscolari crampiformi (20%), paresi o paralisi transitorie (<10%) e stitichezza (50%). DIAGNOSI NELLA PAZIENTE Nella nostra paziente è stata pertanto eseguita una RM surrenalica allo scopo di individuare la lesione primitiva, risultata nella norma. A questo punto abbiamo valutato di nuovo i dati laboratoristici e preso in considerazione un algoritmo diagnostico (Fig. 23). Quindi: Potassiemia: 4,19 mEq/L (v.n.3,5-5,3 mEq/L) Attività Reninica Plasmatica (PRA) - Clinostatismo: 1,91 ng/ml/h (v.n. 0,2-2,7) - Ortostatismo: 2,55 ng/ml/h (v.n. 1,5-5,6) Aldosterone - Clinostatismo: 739 pg/ml (v.n. 7,5-150) - Ortostatismo: 342,4 pg/ml (v.n. 35-300) 125 UN CASO DI IPERTENSIONE ESAME URINE delle 24 ore - Potassiuria: 30 mEq/L (v.n. 26-123) - Aldosteronuria: 25 mcg (v.n. 3-15) Diuresi: 1270 ml Fig. 23 – Iperaldosteronismo primitivo: algoritmo diagnostico Come mostrato dall’algoritmo, la TC con mdc e scanner ad alta risoluzione, e la RM sono le tecniche di scelta, in quanto capaci di visualizzare formazioni nodulari superiori a 0,5 cm di diametro (circa l’80% degli aldosteronomi). Se le immagini sono probanti e in accordo con i tests funzionali, la diagnosi può essere considerata certa. Nel caso di dubbio si ricorre alla scintigrafia surrenale eseguita con colesterolo marcato con radioiodio o selenio previa soppressione della funzione glucocorticoide con desametazone (4 mg/die per una settimana) per 126 CAPITOLO 3 evitare l’accumulo del tracciante nelle zone fascicolata e reticolare ACTH-dipendenti. Il tracciante si concentrerà in modo nettamente predominante nell’eventuale adenoma, essendo la funzione glucocorticoide e mineralcorticoide soppresse nel surrene controlaterale. Seguendo il regime di somministrazione standard del desametazone, la ghiandola surrenale normale non si visualizza prima del 5° giorno. La visualizzazione monolaterale precoce (prima del 5° giorno) indica la presenza di un adenoma, mentre la visualizzazione di entrambi i surreni prima del 5° giorno suggerisce una iperplasia bilaterale. La visualizzazione monolaterale tardiva è tipica del carcinoma aldosterone secernente. La visualizzazione dei surreni dopo il 5° giorno non è diagnostica, potendosi riscontrare sia nel raro iperaldosteronismo glicocorticoidesensibile che in condizioni normali. È evidente come, nell’iperaldosteronismo primitivo, l’utilità dela scintigrafia surrenalica risieda nella possibilità di differenziare l’adenoma dal’iperplasia (Tab. 11). Tab. 11 - Iperaldosteronismo primitivo: quadri scintigrafici QUADRO SCINTIGRAFICO DIAGNOSI EZIOLOGICA Visualizzazione monolaterale precoce (< 5gg) Adenoma surrenalico Visualizzazione bilaterale precoce (< 5gg) Iperplasia surrenale bilaterale Visualizzazione monolaterale tardiva Carcinoma surrenalico (≥ 5gg) Visualizzazione bilaterale tardiva (≥ 5gg) Quadro normale Iperaldosteronismo glicocorticoidesensibile Nell’iperaldosteronismo primitivo l’accuratezza diagnostica dell’esame scintigrafico effettuato con desametazone è interno al 90%. 127 UN CASO DI IPERTENSIONE Per l’adenoma la sensibilità è 88% e dipende essenzialmente dalle dimensioni della lesione; per l’iperplasia bilaterale è 90%. La paziente è stata pertanto sottoposta a scintigrafia renale corticale con acquisizioni di immagini planari statiche al 4° e al 7° giorno. L’esame scintigrafico ha potuto rilevare una fissazione precoce del tracciante al 4° giorno che si è mantenuta, intensificandosi, sino al 7° giorno. L’esame ha permesso così di porre diagnosi certa di iperaldosteronismo primitivo da iperplasia surrenale bilaterale. TERAPIA In presenza di adenoma monolaterale, la terapia di elezione è quella chirurgica che consiste nella surrenectomia monolaterale oggi ben eseguibile anche con tecnica laparoscopica. La surrenectomia monolaterale determina la guarigione clinica della maggior parte dei pazienti. Nei casi di adenoma è buona norma far procedere all’intervento una terapia con anti-aldosteronici. Il più utilizzato è lo spironolattone (200-400 mg/die per circa un mese). La terapia riduce la pressione arteriosa, corregge il quadro elettrolitico e diminuisce molto il rischio di complicanze post-operatorie. Dopo l’intervento di solito la potassiemia si normalizza e il sistema renina-angiotensina-aldosterone riprende lentamente la sua responsività. La pressione arteriosa si normalizza nel 50% dei casi e migliora in un altro 25%, mentre rimane invariata in un quarto dei pazienti; questo può essere dovuto alla presenza di alterazioni vascolari non regredibili o alla concomitanza di una ipertensione essenziale. La terapia chirurgica è altrettanto indicata nel trattamento dei carcinomi secernenti aldosterone, seguita da terapia medica con l’adrenolitico mitotane. La sopravvivenza media dopo la resezione chirurgica combinata con la somministrazione di mitomane è di circa 6 anni, rispetto ai 2 anni dei pazienti trattati solo con mitotane e inferiore a 1 anno in quelli trattati soltanto con intervento chirurgico. 128 CAPITOLO 3 La terapia medica a lungo termine è selettivamente indicata, al contrario, nei casi di iperplasia bilaterale. La dose iniziale di spironolattone (200-400 mg/die) va progressivamente ridotta sono ad ottenere la minima dose di mantenimento (25-50 mg/die). Sono da ricordare gli effetti collaterali dello spironolattone che riguardano soprattutto l’attività antiandrogena, che può causare, nel sesso maschile, ginecomastia e riduzione della potenza sessuale, e nel sesso femminile polimenorrea, mastalgie e nodularità mammarie. Il kanrenoato di potassio ha minori effetti antiandrogeni, ma è peggio tollerato dal punto di vista gastrico. A livello renale, tutti gli anti-aldosteronici sono potenzialmente lesivi sull’epitelio tubulare. Nell’iperpalsia bilaterale, il risulato terapeutico non sempre è soddisfacente per quanto riguarda l’ipertensione; si può allora associare la somministrazione di un calcio-antagonista diidropiridinico (nifedipina). Il razionale di questa terapia risiede nell’ipersensibilità delle cellule aldosterone-secernenti al’AG II; i calcio-antagonisti sono i principali mediatori dell’azione del peptide. Oltre allo spironolattone oggi disponiamo di un altro farmaco antagonista selettivo dei recettori dell’aldosterone denominato eplerenone (Inspra®) Nei pazienti che non tollerano gli anti-aldosteronici, può essere utile la somministrazione alterativa dell’amiloride, un diuretico risparmiatore di potassio, che si usa alla dose di 20-40 mg/die. Nella nostra paziente esendo stata posta diagnosi di iperaldosteronismo primitivo da iperplasia surrenale bilaterale è stata somministrata terapia medica: spironolattone 50 mg e nifedipina 20 mg al giorno che ha prodotta la completa remissione della sintomatologia. 129 UN CASO DI IPERTENSIONE BIBLIOGRAFIA Balsano F. Lezioni di Clinica Medica. SEU, Roma 1983 Balsano F. Lezioni di Clinica Medica. SEU, Roma 1991 Balsano F. Il rene e l’ipertensione essenziale. Edizioni Luigi Pozzi, Roma 1990 Cherie Ligniere G. Dizionario illustrato di Reumatologia. Masson, Milano 1995 Dovellini E.V. Percorso diagnostico dei pazienti ipertesi. 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Università di Ancona, Dipartimento di Medicina Clinica, Endocrinologia Mucelli Pozzi RS, Cova M, Meduri S. Cortico-surrene: corretto impiego delle metodiche medico-nucleari e radiologiche nella diagnosi e nel follow-up. Metodiche funzionali di imaging e test “in vitro”. Università Cattolica S. Cuore, Istituto di Medicina Nucleare, Roma Rufini V, Garganese MC, Ottalevi F, Verrillo A, Troncone L. Corticosurrene: corretto impiego delle metodiche medico-nucleari e radiologiche nella diagnosi e nel follow-up. Metodiche anatomostrutturali di imaging. Università di Trieste, Istituto di Radiologia Tierney LM, McPhee SJ, Papadakis MA.. Current: medical diagnosis & treatment. McGraw-Hill, Milano 2005 130 CAPITOLO 3 Volpe M. Ruolo dell’angiotensina II nella progressione del “continuum cardiovascolare”. Benefici con gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II. Edizioni Interaction, Milano 2003 Young F. Primary aldosteronism. Changing concepts in diagnosis and treatment. Endocrinology 2003; 144: 2208-2213 Capitolo 4 Frattura vertebrale in un paziente con carcinoma prostatico a cura del Dott. Antonio Bruno ANAMNESI ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA Paziente di 75 anni, affetto da ipertensione arteriosa, adenocarcinoma prostatico dal 2002, è giunto alla nostra osservazione per la comparsa, da 40 giorni, di dolore in sede lombare e a livello della cresta iliaca di destra, che si accentua con il movimento e si attenua con il riposo a letto. Per tale motivo il paziente si è sottoposto, presso lo studio di uno specialista ortopedico, ad una procedura laser per il trattamento di una presunta ernia discale. Tale trattamento è risultato privo di alcun beneficio. Terapia domiciliare: Leuprorelina (Enantone Depot): 3,75 mg/4 sett. i.m. Bicalutamide (Casodex): 150 mg/die per os ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA Appendicectomia all’età di 10 anni Diagnosi di iperplasia prostatica benigna nel 2000 Intervento di legatura dell’arteria iliaca interna destra per aneurisma nel 2000 131 132 CAPITOLO 4 Diagnosi di carcinoma prostatico non infiltrante non metastatico nel 2002, in trattamento con terapia medica anti-androgenica Il paziente porta in visione una documentazione clinica in cui si evidenzia la recente comparsa, all’elettroforesi sierica, di una componente monoclonale, che, all’immunoelettroforesi, è risultata essere una IgM con catena leggera ?. ANAMNESI FISIOLOGICA Nato a termine da parto eutocico. Allattamento materno. Sviluppo psico-somatico regolare. Servizio di leva normalmente espletato. Coniugato, 4 figli, 2 maschi e 2 femmine in buona salute. Normomangiatore. Beve 4 bicchieri di vino/die, 1 caffè/die. Alvo regolare. Diuresi fisiologica. Minzione regolare. Ex forte fumatore: ha fumato 40 sigarette al dì per 40 anni circa, ha smesso 6 anni fa. Nega allergie a farmaci. ANAMNESI FAMILIARE Madre morta a 79 per cause non specificate. Padre morto a 75 anni per cause non specificate. Primo di 3 figli, 1 fratello e 1 sorella in buona salute. 4 figli, 2 maschi e 2 femmine in buona salute. ESAME OBIETTIVO ESAME GENERALE Condizioni generali: buone. Sensorio: integro. Psiche: lucida. Facies: composita. Decubito: indifferente. Respiro: eupnoico Cute e annessi: cute rosea, normo-elastica, sollevabile in pliche di medio spessore. Annessi normodistribuiti per età e sesso. Pannicolo adiposo sottocutaneo: normo-rappresentato. Temperatura cutanea: apiretica. Mucose visibili: rosee, umide, normoirrorate. Cavo orale: Lingua: umida, protrusa in asse. Palato molle mobile. Tonsille intraveliche. Faringe roseo. Sistema linfoghiandolare: presenza di tumefazione linfonodale a livello inguinale destro, di consistenza elastica, non dolente né dolorabile, mobile sui piani superficiali e profondi, della grandezza di circa 1 cm 133 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO Apparato muscolare: normo-trofico e normo-tonico. Apparato scheletrico: dolorabilità a livello della cresta iliaca di destra CAPO E COLLO Capo: normoconformato e normoatteggiato. Non dolenti né dolorabili i punti di emergenza del V paio di nervi cranici. Globi oculari in asse; pupille isocoriche, isocicliche, normoreagenti alla luce e alla accomodazione Collo: cilindrico, non dolente né dolorabile ai movimenti attivi e passivi di flesso-estensione e lateralità. Tiroide non visibile, non palpabile. TORACE Torace: troncoconico. Emitoraci simmetrici, normo-espandibili con gli atti del respiro. Fremito vocale tattile normo-trasmesso su tutto l’ambito. Suono chiaro polmonare su tutto l’ambito. Apici in sede. Basi mobili. Murmure vescicolare ridotto su tutto l’ambito. CUORE E VASI Cuore: itto non visibile, palpabile al V spazio intercostale sull’emiclaveare di sx. Aia cardiaca nei limiti. Azione cardiaca ritmica. Toni parafonici. Pause libere. Polsi periferici: normosfigmici, ritmici e sincroni. Non valutabili i polsi pedidi e tibiali posteriori bilateralmente ADDOME Addome: piano, trattabile alla palpazione superficiale e profonda. Cicatrice ombelicale normo-introflessa. Timpanismo entero-colico come di norma. Peristalsi presente e valida. Presenza di cicatrice lunga 5 cm obliqua in fossa iliaca destra, e di cicatrice di 10 cm longitudinale che parte dalla cicatrice ombelicale e arriva fino alla linea bisiliaca. Fegato: limite superiore al V spazio intercostale sulla emiclaveare di dx, margine inferiore non palpabile. Milza: polo superiore al IX spazio intercostale, polo inferiore non palpabile. 134 CAPITOLO 4 Apparato urinario: punti ureterali superiori, medi non dolorabili. Dolorabilità a livello del punto costo-lombare di Guyon destro. SISTEMA NERVOSO Sistema nervoso: non deficit di forza e di sensibilità. ROT come di norma. Assenza di riflessi patologici. Prove cerebellari nella norma. ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI ESAMI EMATO-CHIMICI Gli esami di laboratorio eseguiti all’ingresso in reparto sono riportati in Tabella. Hb 13.5 g/dl RBC 4.320.000/mm MCV 93.4 fl MCHC 30.2 pg Hct 40.4% WBC 8500/mm3 Neu 75.2% Lin 13.4% Mon 10% Eos 1.2% Bas 0.2% PLT 185.000/mm3VES 18 Sideremia 25.5 mcg/dl Glicemia 65 mg/dl Azotemia 21.6 mg/dl Creatinina 0.79 mg/dl Uricemia 3.07 mg/dl Colesterolo tot. 174 mg/dl Colesterolo HDL 57 mg/dl Colesterolo LDL 92 mg/dl Trigliceridi 127 mg/dl Sodio 137 mEq/L Potassio 4.38 mEq/L Calcio 8.27 mg/dl Fosfati 2.84 mg/dl Fibrinogeno 578 mg/dl INR 0.84 aPTT ratio 0.88 GOT 22 UI/L GPT 48 UI/L Gamma-GT 29 UI/L FA 181 UI/L LDH 171 UI/L CK 28 UI/L Bilirubina Tot. 0.9 mg/dl Bilirubina diretta 0.3 mg/dl Amilasi 59 UI/L Lipasi 167 UI/L Il protidogramma elettroforetico rilevava un aumento delle proteine di fase acuta e una banda monoclonale in zona gamma (Fig.1). 135 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO Fig.1. Protidogramma elettroforetico L’esame delle urine e del sedimento urinario erano privi di alterazioni di rilievo. Nel complesso, gli esami di laboratorio effettuati mettevano in evidenza un quadro di flogosi associato alla presenza di una componente monoclonale. SINTESI DEL PAZIENTE Il sintomo d’esordio del nostro paziente era rappresentato dal dolore lombare. Le strutture dolorifiche responsabili di un dolore localizzato in tale sede sono molteplici, le più importanti delle quali sono la cute, le strutture osteo-muscolari, le radici nervose dei nervi spinali, le strutture viscerali e diverse strutture cerebrali. Al fine di poter individuare l’origine di una sintomatologia dolorosa è utile dividere il dolore in 2 grandi categorie: dolore parietale (osteomuscolare) e dolore riferito (dolore di origine viscerale): 136 CAPITOLO 4 Il dolore parietale proviene dalla stimolazione di terminazioni nocicettive situate in sede superficiale (cute e sottocute, muscoli, articolazioni, sierose, ecc.), da cui prendono origine fibre mieliniche di grosso calibro, del tipo Ad, in grado di condurre l’impulso a grande velocità verso il corno posteriore del midollo spinale. La sensazione che ne deriva assume le caratteristiche di un dolore puntorio, ben localizzabile. Il dolore viscerale origina dalle strutture profonde, dagli organi interni, innervati da fibre nocicettive amieliniche di piccolo calibro (fibre C), capaci di trasmettere l’impulso nervoso molto lentamente. La stimolazione di queste fibre si traduce in una sensazione dolorifica sorda, mal localizzabile. Questo tipo di dolore può anche essere “riferito” ad una zona cutanea corrispondente, per il meccanismo della convergenza, sullo stesso neurone di II ordine situato a livello del corno posteriore del midollo spinale, di afferenze nervose provenienti sia da strutture parietali che profonde (Fig.2). Spesso le caratteristiche cliniche di queste differenti entità rendono possibile una loro differenziazione, permettendo un immediato orientamento diagnostico (Tab.2). Fig.2. Meccanismi del dolore riferito 137 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO Tab.2. Diagnosi differenziale del dolore Dolore osteo-muscolare Dolore riferito (organi viscerali) Descritto spesso come di tipo lancinante Descritto come profondo, mal localizzato Viene avvertito a livello o accanto alla parte della colonna interessata Non si accentua con la palpazione o la percussione della colonna vertebrale Si accentua con la pressione e la percussione di zone delle strutture superficiali E’ minimo o assente durante i movimenti della colonna Variabile con la posizione e l’attività Viene esacerbato dalla palpazione della struttura interessata Può associarsi una contrattura della muscolatura para-vertebrale Spesso rappresenta l’irradiazione di un dolore primariamente addominale o pelvico Il quadro clinico del paziente ci permette senza ombra di dubbio di orientarci verso un dolore di tipo osteo-muscolare, a causa della correlazione della sintomatologia con il movimento e con il riposo, e della dolorabilità alla pressione di strutture ossee come la cresta iliaca. Pertanto il quadro riassuntivo di questo caso (Fig.3) è rappresentato da un paziente di 75 anni, affetto da un carcinoma prostatico in trattamento farmacologico, che presenta un dolore di tipo osteomuscolare di lunga durata e, agli esami di laboratorio, un quadro flogistico e un picco monoclonale in zona gamma. Fig. 3 138 CAPITOLO 4 1A IPOTESI DIAGNOSTICA I dati clinico-laboratoristici raccolti ci hanno orientati, in primo luogo, a interpretare il dolore lamentato dal paziente come la spia di una probabile metastasi da tumore della prostata che, dopo anni di terapia farmacologica, sarebbe diventato insensibile al trattamento. Il quadro flogistico e il picco monoclonale rappresenterebbero la reazione del sistema immunitario verso le cellule trasformate e in attiva moltiplicazione. Carcinoma prostatico EPIDEMIOLOGIA Il carcinoma prostatico è la neoplasia più frequente fra gli Americani ed è la seconda causa di morte cancro-correlata. Nell’anno 2001 negli Stati Uniti furono diagnosticati 198.000 nuovi casi di tumore della prostata, e le morti furono 31.500. Comunque, l’incidenza clinica di questa neoplasia non è corrispondente alla prevalenza rilevata tramite esame autoptico, che dimostra come il 40% degli uomini al di sopra dei 50 anni presenti foci di carcinoma prostatico. Queste evidenze sono a supporto del fatto che la maggior parte di questi tumori sono limitati alla ghiandola prostatica e solo una piccola percentuale di essi è destinata a diventare clinicamente e prognosticamente rilevante. L’incidenza del cancro della prostata aumenta con l’età, ed è stimato che circa il 30% degli uomini tra i 60 e i 69 anni sviluppa la malattia. Sebbene l’eziologia sia sconosciuta, alcuni dati epidemiologici hanno messo in evidenza alcuni fattori predisponenti, quali la familiarità, il consumo di grassi e di vitamina A, alcune attività lavorative (macchinisti, lavoratori della gomma, chimici, minatori) e l’utilizzo di erbicidi nel settore agricolo. ANATOMIA PATOLOGICA La prostata è una ghiandola tubuloacinosa divisa in lobuli circondati da uno stroma connettivale. L’acino è composto da 2 diverse porzioni: il compartimento epiteliale, formato da cellule epiteliali, cellule basali e cellule neuroendocrine, e quello stromale, composto da fibroblasti e cellule muscolari lisce. L’antigene prostatico specifico (PSA) e la 139 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO fosfatasi acida prostatica (FAP) sono prodotte dalle cellule epiteliali. Tutti i tipi cellulari esprimono recettori per il testosterone e dipendono da esso per la crescita. All’interno della ghiandola, questo ormone viene trasformato dall’enzima 5a-reduttasi in diidro-testosterone, che rappresenta la forma biologicamente più attiva. Un aumento di volume della prostata si verifica normalmente durante la pubertà e dopo i 55 anni, ed è dovuto principalmente a crescita della porzione peri-uretrale della ghiandola. Il cancro prende invece origine a livello della zona periferica della ghiandola, dove spesso è apprezzabile mediante esplorazione digitorettale. Il 95% dei tumori maligni della prostata è costituito da adenocarcinomi, mentre il restante 5% include carcinoma squamoso, carcinoma a cellule transizionali, carcinosarcoma e tumori secondari. All’esame istologico l’adenocarcinoma presenta aree a differente grado di differenziazione, caratteristica che rende lo score di Gleason il più diffuso metodo di gradazione e differenziazione. Esso si basa su criteri architetturali: la morfologia delle ghiandole e le modificazioni dello stroma. Siccome più del 50% dei tumori prostatici presenta più di un grado secondo Gleason, si individuano i 2 pattern istologici più rappresentati, quindi si assegna a ciascuno dei due un punteggio (da 1 a 5: da ben differenziato a indifferenziato). Dalla somma dei 2 punteggi si ottiene lo score di Gleason, che fornisce importanti informazioni riguardo l’aggressività della neoplasia: ♦ Gleason (2-10) < 5 : 10% diffusione linfonodale ♦ Gleason (2-10) > 5 : 70% diffusione linfonodale ANTIGENE PROSTATICO SPECIFICO (PSA) Il PSA è un enzima ad attività serin proteasica il cui ruolo biologico è quello di indurre la liquefazione del coagulo seminale. Viene sintetizzato dalle cellule epiteliali prostatiche, sia normali che neoplastiche, anche se le cellule tumorali sono in grado di sintetizzarne una quantità circa 10 volte maggiore. E’un enzima organo-specifico e non tumore specifico, pertanto un suo aumento può essere causato da prostatiti, iperplasia prostatica benigna, cancro della prostata, biopsia prostatica. Usualmente i suoi livelli non sono 140 CAPITOLO 4 significativamente modificati dall’esecuzione della esplorazione digito-rettale. L’enzima circola nel siero in forma libera e in forma complessata con l’a 1-antichimotripsina e con la ß2-macroglobulina, e la sua emivita è di circa 2-3 giorni. La sua concentrazione plasmatica è normalmente contenuta tra 0 e 4 ng/ml. Per quanto concerne più specificatamente la patologia tumorale i livelli di PSA sono correlati con la quantità di tessuto neoplastico, pertanto sono direttamente proporzionali sia alla estensione del cancro primitivo che alla presenza di eventuali metastasi. La utilità clinica di questa molecola si estrinseca a differenti livelli: Diagnosi: un aumento dei livelli di PSA al di sopra di 4 ng/ml in un soggetto sopra i 50 anni deve sempre essere guardato con alto indice di sospetto per adenocarcinoma prostatico e, un valore superiore a 10 ng/ml deve porre immediatamente indicazione per una biopsia prostatica. Sono stati elaborati altri indici al fine di migliorare la sensibilità di questo marker, particolarmente per aumenti sierici di entità moderata: - Densità del PSA (PSAD): il razionale di questo indice si basa sul presupposto che le cellule neoplastiche producano una quantità maggiore di PSA per unità di volume di ghiandola prostatica, pertanto si calcola dividendo il valore plasmatico di PSA per il peso della ghiandola stimato mediante esame ultrasonografico. Valori inferiori a 0,10 sono indicativi di iperplasia prostatica benigna, mentre un indice > 0,15 è suggestivo di adenocarcinoma - Velocità del PSA: è un indice che si basa sull’aumento dei livelli di PSA nel tempo, ed è indicativo di patologia neoplastica per incrementi superiori a 0,75 ng/ml per anno. E’particolarmente utile nel caso di valori di PSA nell’ambito della norma che mostrano una tendenza all’aumento nel tempo. - Rapporto PSA libero/PSA totale: si basa sul principio che l’adenocarcinoma sintetizza una forma di PSA dotata di maggiore tendenza a complessarsi con le proteine plasmatiche rispetto alla sua controparte normale, pertanto il rapporto tra PSA libero e PSA totale risulta diminuito rispetto alla norma. Sono considerati significativi valori inferiori a 0,15, che saranno a favore dell’esecuzione di una biopsia. 141 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO Stadiazione: la valutazione quantitativa dei valori di PSA può rappresentare un utile ausilio nella valutazione dell’estensione della malattia. Un PSA minore di 10 ng/ml è indicativo di malattia organoconfinata con una probabilità del 70-80%, mentre soltanto un 10% dei casi risulta correlato con diffusione linfonodale, e una percentuale molto minore con metastasi ossee. D’altro canto, un PSA > 40 ng/ml esprime alta probabilità di metastasi linfonodali e a distanza. Valori intermedi sono purtroppo di limitata utilità clinica, pertanto indispensabile risulterà l’integrazione con altre metodiche di stadiazione. Risposta alla terapia: particolare importanza assume il dosaggio del PSA sierico nei casi sottoposti a prostatectomia radicale, nei quali dopo circa 4 settimane dall’intervento i valori dell’enzima dovrebbero essere pressoché indosabili. Si considera un fallimento terapeutico il caso in cui persistano valori di PSA superiori a 0,2 ng/ml. Di limitata utilità è invece la valutazione del PSA sierico a seguito di terapia radiante, in quanto gli elementi ghiandolari sopravvissuti alle radiazioni continueranno a secernere l’enzima, che resterà dosabile anche qualora tutte le cellule neoplastiche siano state eliminate. In questi casi si considera un successo terapeutico una caduta del PSA al di sotto di 1 ng/ml. Nei pazienti sottoposti a terapia anti-ormonale, chirurgica o farmacologica, si ottiene solitamente un ritorno dei valori di PSA nel range della norma in una percentuale del 60-70%. Spia di recidive: un PSA in progressivo aumento, in almeno 3 misurazioni consecutive, in soggetti sottoposti a terapia chirurgica o radiante per carcinoma prostatico, assume il significato di probabile ripresa di malattia, a livello locale e/o sistemico, e pertanto impone sempre l’esecuzione di ulteriori approfondimenti diagnostici. METASTASI L’adenocarcinoma prostatico è in grado di coinvolgere numerosi organi, tra cui, in ordine decrescente: ♦ Linfonodi: otturatori > iliaci interni > iliaci comuni > presacrali > para-aortici ♦ Ossa: pelvi > vertebre lombari > vertebre toraciche > coste > femore ♦ Visceri: polmone > fegato > surreni/reni 142 CAPITOLO 4 Metastasi ossee. Per quanto concerne più specificatamente le ripetizioni a livello scheletrico, oggetto di discussione del nostro caso clinico, numerosi punti sono stati chiariti riguardo ai meccanismi fisiopatologici in questione. Attualmente è noto che le cellule neoplastiche sono in grado di produrre e secernere alcuni fattori chiave per lo sviluppo delle classiche lesioni ossee, e tra questi il PSA e l’urokinase-type plasminogen activator (u-PA) rappresentano sicuramente i più importanti. Sia il PSA che l’u-PA sono in grado di aumentare l’attività degli osteoblasti, ma il PSA svolge anche un’azione di clivaggio e inattivazione sul parathyroid-hormone related peptide (PTH-RP). Questa sostanza, che condivide con il paratormone parte della struttura molecolare, viene sintetizzata pressoché ubiquitariamente e la sua azione si esplica su numerosi tipi cellulari, quali osso, cartilagine, ghiandola mammaria, cute, sistema nervoso centrale, muscolatura liscia vasale, placenta. A livello scheletrico è in grado di favorire la proliferazione e la differenziazione degli osteoclasti, con conseguente aumento della loro attività osteolitica. Ben si comprende come l’azione combinata del PSA e uPA, tramite incremento della osteogenesi e inibizione del riassorbimento osseo, induca la formazione di lesioni osteoblastiche pure, che pertanto rendono l’esame scintigrafico la procedura d’elezione per la loro identificazione. TERAPIA Il trattamento del carcinoma prostatico si avvale della chirurgia, della radioterapia e della terapia anti-ormonale, sia chirurgica che farmacologia, come schematizzato nella Figura 4. 143 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO Fig.4. Opzioni terapeutiche del carcinoma prostatico La soppressione degli androgeni si basa sul presupposto che il carcinoma prostatico è, almeno nelle fasi iniziali, ormone-dipendente, pertanto una deprivazione ormonale può indurre una regressione o quanto meno una stabilizzazione della malattia per un periodo di tempo più o meno lungo. Vi sono varie modalità d’intervento con le quali si può ottenere questo effetto, e quella più utilizzata attualmente, che corrisponde anche alla terapia effettuata dal nostro paziente, è conosciuta sotto il nome di blocco androgenico totale, che si avvale dell’utilizzo combinato di due farmaci di classe differente: ♦ Analogo dell’LHRH (goserelin, buserelin, leuprorelide, triptorelina): agisce a livello centrale, stimolando l’ipofisi a produrre le gonadotropine FSH e LH. La continua azione di stimolo sulle cellule ipofisarie ne determina dopo breve tempo un esaurimento funzionale, con conseguente arresto della sintesi ormonale. ♦ Anti-androgeno periferico(flutamide, bicalutamide): è un inibitore competitivo dei recettori nucleari degli androgeni. 144 CAPITOLO 4 Il razionale di questa combinazione si basa sul fatto che i farmaci della prima categoria non sono in grado di inibire la sintesi di androgeni da parte del surrene, che invece vengono bloccati dall’antiandrogeno periferico a livello del loro sito d’azione. L’uso clinico di questo trattamento, una volta limitato agli stati avanzati di malattia come terapia adiuvante, viene oggi utilizzato sempre più frequentemente anche nelle fasi precoci e nelle recidive. Nel sospetto diagnostico di riattivazione del tumore prostatico a livello scheletrico, il paziente ha eseguito il dosaggio del PSA sierico, che è risultato di 3,02 ng/ml, e un scintigrafia ossea, che ha mostrato la presenza di una zona di iperfissazione nel tratto di passaggio dorsolombare. Il dato di un valore così basso di PSA rende poco probabile la natura ripetitiva della lesione rilevata all’indagine scintigrafica, in considerazione del fatto che, nell’ambito diagnostico del carcinoma prostatico, i veri positivi sono molto rari per valori di PSA inferiori a 8 ng/ml. E’stata comunque eseguita una TC del rachide lombare, che ha rilevato modica deformità a cuneo del soma di L1 su verosimile base osteoporotica, in assenza di alterazioni osteo-addensanti sui somi in esame. 2A IPOTESI DIAGNOSTICA Per la persistenza del dolore in sede lombare destra e particolarmente a livello del punto costo-lombare il paziente ha eseguito una ecografia addominale completa, che ha evidenziato in sede retroperitoneale, nel contesto dell’ileo-psoas destro, un’ampia raccolta o ematoma con asse maggiore disposto longitudinalmente, delle dimensioni di 77 mm di diametro longitudinale, 35 mm di diametro trasversale e 27 mm di diametro antero-posteriore. L’evidenza di una frattura vertebrale in associazione ad una raccolta possibilmente ascessuale in sede retroperitoneale, insieme ad un quadro laboratoristico di flogosi e alla componente M, ha immediatamente suggerito il sospetto di una osteomielite tubercolare che quasi sempre si accompagna alla formazione di un ascesso paravertebrale. 145 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO Morbo di Pott CENNI STORICI Sebbene il merito di un’accurata descrizione della spondilite tubercolare viene attribuito a Sir Percival Pott (1779), la tubercolosi ha iniziato a colpire l’umanità molto tempo prima. In Liguria furono ritrovati i resti di un uomo di 15 anni seppellito durante la prima metà del IV millennio a.C., il quale presentava lesioni tubercolari della colonna vertebrale. Reperti simili furono trovati tra le mummie d’Egitto del 3400 a.C. Circa nel 400 a.C., Ippocrate, nel suo lavoro De Articulis, descriveva dettagliatamente il gibbo deformante e i tragitti fistolosi in pazienti affetti da spondilite tubercolare, nonché le metodiche di trazione manuale utilizzate come trattamento palliativo (Fig.6). Altre descrizioni le dobbiamo a Galeno, Diechamp e Severino, sino a Robert Koch, che nel 1892 correttamente identificò il Micobacterium tuberculosis come agente eziologico della malattia. Nel 1944 l’introduzione della streptomicina per opera di Schatz e Waksman permise a migliaia di pazienti di uscire dai sanatori e 146 CAPITOLO 4 ridusse la mortalità post-operatoria, rendendo l’intervento chirurgico una valida opzione terapeutica. Infine nel 1963 fu fondato il Medical Research Council (MRC), finalizzato a dirigere sistematicamente la ricerca sulla epidemiologia, diagnosi e trattamento della tubercolosi. Fig.6. Per secoli molti di coloro che sopravvivevano alla tubercolosi restavano deformati dal gibbo. Il trattamento della cifosi era limitato a manovre di riduzione manuali effettuate su un tavolo da trazione, introdotto dai medici della scuola Ippocratica. 147 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO EPIDEMIOLOGIA Attualmente nel mondo vi sono oltre 40 milioni di casi di malattia tubercolare in fase attiva, ed è stato stimato che ogni anno ne compaiano 8-10 milioni di nuovi. La tubercolosi ossea e articolare rappresenta circa l’1-2% dei casi in toto, e circa il 10% delle forme a interessamento extra-articolare. Tra le varianti descritte, sicuramente la spondilite tubercolare o morbo di Pott rappresenta quella più nota e più debilitante da un punto di vista funzionale. Attualmente colpisce oltre 800.000 persone in tutto il mondo, e la sua prevalenza è in costante aumento negli ultimi anni, a causa dell’incremento di specifiche popolazioni, quali gli anziani in istituti di lungo-degenza, i senza-tetto, i soggetti infetti da HIV e infine gli immigranti dal Sud Est Asiatico e dall’America Centrale. FISIOPATOLOGIA La tubercolosi è una malattia cronica causata dal Micobacterium tuberculosis, Micobacterium bovis o Micobacterium africanum. Il M. tuberculosis è l’agente eziologico più comune ed appare, all’esame batterioscopico eseguito con la colorazione di Ziehl-Nielsen, come un bacillo alcol-acido resistente. Il polmone è l’organo più colpito, particolarmente come localizzazione primaria, a causa delle caratteristiche metaboliche del germe che, essendo un aerobio obbligato, trova a livello alveolare un microambiente favorevole per il suo sviluppo. Da questa sede i bacilli possono disseminarsi virtualmente in qualsiasi organo. Il morbo di Pott viene definito come la localizzazione tubercolare a livello della colonna vertebrale e dei dischi intervertebrali, dovuta o a riaccensione di foci disseminati per via ematogena o a trasmissione per contiguità dei bacilli di Koch da linfonodi paravertebrali adiacenti. La conseguenza del coinvolgimento spinale è la formazione della lesione granulomatosa, costituita da una necrosi centrale circondata da un infiltrato mononucleare composto prevalentemente da cellule di Langhans. In un secondo momento all’interno della lesione compaiono microascessualizzazioni che, a seguito di confluenza, esitano nella formazione di un ascesso. 148 CAPITOLO 4 Le modalità dell’interessamento spinale possono essere differenti, ma nell’adulto ne sono stati descritti 4 pattern principali: ♦ Paradiscale: è il pattern più comune, rappresenta approssimativamente il 50% dei casi. Il focus d’infezione è situato al livello della metafisi vertebrale, dalla quale il granuloma in accrescimento determina dapprima erosione del piatto vertebrale, e successivamente si porta all’interno del disco intervertebrale, compromettendo la vertebra contigua. ♦ Granuloma anteriore: si sviluppa dietro al legamento longitudinale anteriore e da qui si diffonde a diversi segmenti vertebrali. Sebbene l’azione destruente diretta sull’osso sia minore rispetto agli altri tipi di lesione, il sollevamento del periostio può indurre devascolarizzazione della porzione anteriore della vertebra con conseguente necrosi e formazione precoce dell’ascesso. ♦ Lesione centrale: il corpo vertebrale viene completamente coinvolto, e la conseguente perdita dell’integrità strutturale esita inevitabilmente in fratture patologiche e gravi deformità. Questo tipo di lesione comunemente interessa 2 o 3 vertebre. ♦ Lesione appendicolare: colpisce le lamine, i peduncoli, le faccette articolari delle articolazioni interapofisarie e i processi spinosi, determinandone dapprima l’espansione e successivamente la frattura. La spondilite tubercolare può interessare qualsiasi tratto della colonna vertebrale, con una frequenza differente in funzione della sede interessata: il tratto toracico risulta coinvolto nel 75% dei casi, il tratto lombo-sacrale e quello cervicale rispettivamente nel 20% e nel 5% dei casi. L’ascesso rappresenta parte integrante della storia naturale della tubercolosi spinale poiché la sua formazione, per quanto possa essere precoce o tardiva, è virtualmente inevitabile. Gli ascessi si estendono normalmente tra i piani tissutali, sebbene possano interessare il canale vertebrale a qualsiasi livello; sono in grado di formare aderenze con strutture neurovascolari e viscerali, determinandone compressione o erosione; possono farsi strada fino alla cute dando origine a tragitti fistolosi. 149 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO Le complicanze che ne derivano sono determinate principalmente dalla regione topografica interessata: 1. Collo (più comunemente nel bambino): compressione di trachea ed esofago 2. Torace: invasione del polmone, formazione di aderenze pleuriche e diaframmatiche 3. Zona lombare: attraversamento del muscolo psoas e formazione di una“colata” fino al trigono femorale. 4. Regione sacrale: invasione delle strutture perineali e dei glutei COMPLICANZE Le lesioni granulomatose del morbo di Pott e le formazioni asessuali che da esse derivano possono dare origine ad una serie di complicazioni, in relazione alla loro localizzazione ed estensione, le più frequenti delle quali sono rappresentate da: A. Compressione diretta dei nervi B. Invasione del parenchima midollare C. Meningite tubercolare D. Dislocazione/sublussazione di elementi ossei E. Compromissione vascolare (trombosi, compressione) F. Cifosi e deformità osteo-articolari G. Formazione di tragitti fistolosi H. PRESENTAZIONE CLINICA Il quadro clinico del morbo di Pott comprende sintomi sistemici quali febbre, perdita di peso e malessere generale, che di solito precedono le manifestazioni osteo-articolari di alcuni mesi, e disturbi specifici in relazione alla localizzazione delle lesioni granulomatose, alla presenza dell’ascesso e alla eventuale compromissione delle strutture nervose. Il sintomo iniziale più frequente è il dolore, ad esordio insidioso, la cui sede localizza in maniera abbastanza precisa il tratto spinale interessato. Frequentemente presenta 2 componenti: dolore sordo, presente anche a riposo e durante le ore notturne, dovuto all’azione continua del processo infiammatorio sulle strutture osteo-articolari, e 150 CAPITOLO 4 un dolore ben localizzato che si accentua con i movimenti e la palpazione della colonna, causato dalla stimolazione di aree strutturalmente danneggiate. La compromissione neurologica, rilevata nel 10-61% dei soggetti a seconda della casistica studiata, si manifesta prevalentemente con alterazioni sensitive, debolezza muscolare e disfunzione degli sfinteri rettale e vescicale. La paraplegia, fortunatamente abbastanza rara all’esordio, accompagna più spesso la localizzazione toracica. DIAGNOSI L’indice di sospetto deve essere elevato ogni qual volta che ad un dolore localizzato alla colonna vertebrale si accompagnano sintomi sistemici e/o evidenze radiologiche di una raccolta paravertebrale. Gli esami emato-chimici possono essere di ausilio, evidenziando solitamente una normale conta dei globuli bianchi e soprattutto un aumento della VES, che risulta superiore a 20 mm/ora nell’80-100% dei soggetti. L’intradermoreazione di Mantoux risulta di solito positiva, anche se non pochi sono i falsi negativi, specialmente in soggetti anergici. Gli studi per immagini, in particolare la TC e la RMN, vengono frequentemente utilizzati per evidenziare alterazioni suggestive, quali rarefazione, deformità, riduzione dello spessore discale, crolli vertebrali, raccolte asessuali. La scintigrafia ossea con 99 tecnezio, sebbene sia una metodica estremamente sensibile, è fortemente limitata da una scarsa specificità. La certezza diagnostica si raggiunge con l’esame colturale su biopsia dell’osso e del disco interessati, anche se gravata dai lunghi tempi di coltura e da una sensibilità piuttosto bassa, che si aggira intorno al 50%. La polymerase chain reaction (PCR), eseguita su aspirato o campione istologico, rappresenta una recente metodica che ha suscitato nuove speranze in termini di rapidità e accuratezza diagnostica. Inoltre, tramite questa indagine è possibile identificare mutazioni del DNA batterico responsabili di resistenze ai comuni farmaci antitubercolari. Il paziente presentava una VES di 18 mm/1h, inoltre l’intradermoreazione di Mantoux era risultata negativa. Una radiografia del torace, effettuata al fine di trovare immagini suggestive di lesioni tubercolari, non aveva avvalorato il sospetto clinico, così come la TC del rachide lombare, che non aveva evidenziato alterazioni ossee indicative di osteomielite. 151 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO 3A IPOTESI DIAGNOSTICA Per la ricostruzione di un ulteriore orientamento diagnostico abbiamo messo in luce la gammapatia monoclonale, dato già noto dall’anamnesi e poi riconfermato al protidogramma elettroforetico. Alla base delle gammapatie monoclonali vi è quasi sempre una stimolazione antigenica cronica, che in questo caso sarebbe rappresentata dalle cellule prostatiche trasformate. Una risposta immunitaria persistente può esitare nella selezione di un clone linfocitario, la cui prima manifestazione è la produzione di immunoglobuline monoclonali, la seconda lo sviluppo di una neoplasia plasmacellulare. Nell’ambito di questa interpretazione abbiamo ipotizzato nel nostro paziente l’insorgenza di un mieloma, la cui crescita sarebbe responsabile del crollo vertebrale, del quadro flogistico, nonché della formazione di una raccolta ematica paravertebrale. Fig.7. Ipotesi di plasmocitoma 152 CAPITOLO 4 Plasmocitoma Il mieloma, plasmocitoma o malattia di Kahler-Bozzolo, è una malattia neoplastica della linea linfoide B caratterizzata da accumulo di plasmacellule sintetizzanti immunoglobuline monoclonali. L’ampliamento delle conoscenze scientifiche sulla biologia molecolare ha permesso di superare la precedente visione ontogenetica del mieloma, che fino al 1970 era ritenuto una malattia delle sole plasmacellule. Numerose evidenze, tra cui il rilievo nel siero e del midollo di pazienti affetti da mieloma multiplo di linfociti B le cui immunoglobuline di superficie presentavano gli stessi determinanti isotipici e idiotipici delle plasmacellule neoplastiche, hanno portato a considerare il plasmocitoma come una patologia a carico dell’intero sistema linfoide B. Alcune osservazioni hanno suggerito che l’evento mutageno possa colpire i linfociti B della memoria o plasmablasti, quelle cellule che hanno già superato la fase di maturazione antigene-dipendente. Il passo successivo sarebbe la migrazione dei plasmablasti neoplastici da centri germinativi degli organi linfoidi periferici fino al midollo osseo e la maturazione a plasmacellule. La localizzazione delle cellule tumorali a livello midollare sarebbe favorita dall’espressione, sulla superficie cellulare, di un particolare corredo di molecole di adesione. Il midollo osseo offrirebbe, tramite la sintesi di IL-6 e altre citochine da parte delle cellule stromali, il microambiente adatto per la proliferazione delle cellule neoplastiche. Oggetto di studio è il ruolo di alcuni oncogeni nello sviluppo e nella progressione della patologia. Mutazioni puntiformi dei geni K-ras, N-ras, rb-1 e della p53 sono stati ritrovati nel 30% dei pazienti, in particolare negli stadi avanzati di malattia. EPIDEMIOLOGIA L’incidenza del plasmocitoma aumenta con l’età, raggiungendo un picco della 6-7 decade di vita. A seconda delle casistiche l’età media della popolazione colpita è 65-70 anni, mentre meno del 10% dei pazienti giunge alla diagnosi nella 2-4 decade. I maschi sono colpiti più frequentemente rispetto alle femmine e la razza negra in misura doppia rispetto alla razza bianca. Come fattori di rischio per lo sviluppo della malattia sono stati chiamati in causa retrovirus e oncogeni, radiazioni ionizzanti, la stimolazione antigenica persistente 153 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO e infine alcune sostanze tossiche, quali benzene, asbesto, pesticidi, monossido di carbonio, derivati del petrolio. Fisiopatologia e Clinica Le complesse alterazioni fisiopatologiche e le manifestazioni cliniche del plasmocitoma possono essere spiegati da alcuni fattori fondamentali, costituiti dall’espansione della massa neoplastica, dalla presenza della paraproteina e della sua catena leggera, dalla secrezione di citochine e altri mediatori (Fig.8) Fig.8. Fisiopatologia del mieloma Le manifestazioni scheletriche, in particolare il dolore osseo, sono presenti all’esordio nel 60-70% dei casi, e sono dovute alla secrezione da parte della neoplasia di alcuni mediatori in grado di alterare il metabolismo osseo. La secrezione di IL-1, IL-6, MIP-1alfa, RANKL determina un’attivazione degli osteoclasti e di conseguenza un aumento del riassorbimento osseo, mentre il rilascio di TNF-alfa e l’espressione sulla superficie cellulare di DKK1 inducono una inibizione della crescita e della differenziazione degli osteoblasti 154 CAPITOLO 4 ostacolando la neoformazione di osso. Questa combinazione di eventi porta alla formazione di una lesione osteolitica pura, caratteristica del plasmocitoma, che può essere evidenziata con la radiografia convenzionale. Le complicanze più frequenti dell’interessamento osseo sono la comparsa di fratture patologiche, specialmente a livello costale, e i sintomi neurologici da compressione sul midollo spinale, delle radici nervose o dei nervi periferici, dovuti a crolli vertebrali o a compressione da parte di masse mielomatose a crescita extra-ossea. Le sedi scheletriche più colpite sono quelle con alto contenuto di midollo rosso, quali il rachide, le coste, il bacino. Anche il cranio viene coinvolto con elevata frequenza. L’insufficienza renale è la più grave e frequente complicanza del mieloma, presente nel 20% dei soggetti al momento della diagnosi, mentre in un 20-30% dei casi insorge durante il decorso della malattia.. La fisiopatologia della compromissione renale vede come ruolo centrale la catena leggera della paraproteina, la quale viene prodotta in eccesso rispetto alla componente M, circola liberamente nel siero e successivamente viene filtrata dal glomerulo, comparendo nelle urine come proteina di Bence Jones. I meccanismi mediante i quali questa proteina è in grado di causare un danno renale sono principalmente 3: 1) Precipitazione intratubulare, per modificazioni de pH urinario e per saturazione dei meccanismi di riassorbimento delle cellule tubulari 2) Danno diretto o indiretto (mediato da enzimi lisosomiali) sull’epitelio tubulare 3) deposizione lungo la membrana basale glomerulare e tubulare 4) Infiltrazione renale da parte delle cellule mielomatose I quadri clinici che scaturiscono da queste alterazioni sono rappresentati principalmente dal “rene da mieloma” e dalla “malattia da deposito delle catene leggere. Il rene da mieloma è il quadro di più frequente osservazione e si presenta comunemente come insufficienza renale cronica o lentamente progressiva, molto più raramente (in una percentuale inferiore al 10%) esordisce in maniera acuta. La patogenesi va ricercata nella formazione di cilindri intratubulari, costituiti dalla catena leggera o da suoi frammenti, che inducono una reazione infiammatoria con 155 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO formazione di un infiltrato cellulare reattivo, costituito prevalentemente da macrofagi. La malattia da deposito di catene leggere è caratterizzata da deposizione di catene leggere a livello della membrana basale glomerulare e tubulare, che determina ispessimento delle membrane basali e un quadro di glomerulo sclerosi nodulare. Il quadro clinico è quello di una tubulopatia associata a proteinuria glomerulare di diverso grado. Come fattori aggiuntivi nell’aggravamento del danno renale concorrono in diversa misura l’ipercalcemia, la disidratazione, i farmaci nefrotossici, l’iperuricemia e le infezioni. Le infezioni batteriche, e in modo particolare polmoniti e pielonefriti, sono considerate la causa primaria di morte nel mieloma. La frequenza annuale di episodi infettivi nel singolo paziente è da 7 a 15 volte superiore a quella di soggetti sani di controllo. La patogenesi dell’aumentata suscettibilità ad episodi infettivi è multifattoriale, dovuta in parte ad una soppressione della linfocitopoiesi B da parte della massa neoplastica in espansione, in parte ad un aumentato catabolismo delle immunoglobuline indotto dalla ipergammaglobulinemia, che esita in una insufficiente immunità umorale. La componente M, inoltre, è in grado di interferire con i meccanismi di opsonizzazione e fagocitosi. Per di più, se si esclude la paraproteinemia, la concentrazione di immunoglobuline è ridotta. L’ipercalcemia, causata dall’aumentato riassorbimento osseo, viene rilevata nel 30% dei pazienti, e si manifesta con anoressia, astenia, poliuria, polidipsia, disturbi neurologici fino a quadri di encefalopatia ipercalcemica nei casi più gravi. La componente M può essere responsabile di una serie di complicanze, tra cui la sindrome da iperviscosità (prevalentemente IgA per la spiccata tendenza alla polimerizzazione di questo isotipo) e la crioglobulinemia di tipo I. Un quadro di amiloidosi primitiva può comparire se la catena leggera della componente M possiede la capacità di precipitare formando aggregati con morfologia a foglietto ß-pieghettato, definiti amiloide. La pancitopenia è un manifestazione piuttosto rara e compare più frequentemente in uno stadio avanzato di malattia, quando l’espansione della massa tumorale determina una soppressione massiva della normale emopoiesi. 156 CAPITOLO 4 DIAGNOSI I cardini principali per la diagnosi di plasmocitoma si basano su : ♦ Dimostrazione della massa neoplastica tramite presenza all’esame citologico o istologico del midollo osseo di una percentuale di plasmacellule superiore al 10% della popolazione mononucleata totale o, in alternativa, la dimostrazione istologica di infiltrazione plasmacellulare di tessuti prelevati biopticamente. ♦ Dimostrazione della componente M sierica e/o urinaria e sua quantificazione tramite elettroforesi e immunoelettroforesi ♦ Dimostrazione dell’aumentato riassorbimento osseo tramite la presenza delle caratteristiche lesioni osteolitiche scheletriche alle tecniche per immagini Questi criteri devono essere combinati tra loro per poter effettuare una diagnosi di mieloma (Tab.3). Nella diagnosi vanno sempre tenute in considerazione alcune varianti, che si discostano dalla presentazione classica del plasmocitoma per un comportamento particolarmente aggressivo ovvero per determinati difetti di sintesi o di secrezione della componente M. Tra queste le più importanti sono: Mieloma multiplo Mielomatosi Mieloma solitario Mieloma smouldering Mieloma micromolecolare Mieloma non producente/non secernente Mieloma a mezze molecole Mieloma biclonale Leucemia plasmacellulare 157 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO CRITERI DIAGNOSTICI (SWOG-1975) Criteri Maggiori I. Plasmocitoma alla biopsia dell’osso o di tessuti molli II. Infiltrazione plasmacellulare midollare > 30% III. Concentrazione sierica della componente M >3,5 g/dl (IgG); >2 g/dl (IgA); Concentrazione urinaria della componente M (κ o λ) >1 g/24h Criteri Minori a) Infiltrazione plasmacellulare midollare 10-30% b) Concentrazione sierica o urinaria della componente M inferiore ai livelli sopra riportati c) Lesioni osteolitiche d) Immunoglobuline normali <0,6 g/l (IgG), <0,1 g/l (IgA), <0,05 g/l (IgM) Combinazioni necessarie per la diagnosi • 1 criterio maggiore + 1 criterio minore • almeno 3 criteri minori, due dei quali siano a + b. Tab 3. Criteri per la diagnosi di mieloma L’immunoelettroforesi, eseguita sul siero del paziente, ha rilevato la presenza di una componente monoclonale di tipo IgG a catena leggera Kappa. La mancanza di un numero di plasmacellule indicativo per patologia linfoproliferativa all’aspirato midollare, l’assenza della proteinuria di Bence Jones e la negatività della radiografia delle ossa piatte hanno permesso di eliminare anche l’ipotesi di un plasmocitoma. 158 CAPITOLO 4 DIAGNOSI DEFINITIVA Dopo aver escluso le diagnosi più probabili sulla base delle indagini effettuate, una rivisitazione dei dati anamnestici del paziente ha permesso di giungere ad una diagnosi definitiva. In primo luogo, la terapia anti-ormonale effettuata per il controllo del carcinoma prostatico rappresenta un importante fattore di rischio per osteoporosi, a causa della inibizione del favorevole effetto trofico del testosterone sugli osteoblasti. Questo fattore ha determinato l’aggravamento di una preesistente osteoporosi senile di cui il paziente di 75 anni era probabilmente affetto, determinando un crollo vertebrale. In secondo luogo, la scorretta interpretazione della sintomatologia del paziente come ernia discale, peraltro non dimostrata con esami radiologici, ha condotto all’esecuzione di una procedura laser non indicata, da cui è risultata la formazione di un ematoma retroperitoneale. La stimolazione antigenica persistente dovuta alla raccolta ematica, probabilmente in concerto con la neoplasia prostatica, ha determinato l’insorgenza della componente monoclonale e del quadro laboratoristico di infiammazione. 159 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO PROCEDURE SPINALI PERCUTANEE Procedure microinvasive utilizzate per il trattamento della malattia degenerativa discale, della protrusione o dell’ernia discale, quando sintomatiche e non responsive al trattamento conservativo, allo scopo di ridurre l’incidenza di complicanze procedurali e infettive legate all’intervento di chirurgia maggiore. DISCO INTERVERTEBRALE Il disco intervertebrale è una struttura fibrocartilaginea avascolare popolata da cellule ancora scarsamente caratterizzate, che presentano caratteristiche simili ai condrociti e ai fibrociti, immerse in estesa matrice extracellulare. I fibrociti si localizzano prevalentemente a livello dell’anello fibroso, mentre i condrociti si trovano nei rimanenti strati. Queste cellule sintetizzano la matrice, costituita da macromolecole, quali collagene proteoglicani, immerse in un’abbondante quantità di acqua, che costituisce il microambiente ideale per la diffusione di sostanze nutrienti e lo smaltimento di prodotti di degradazione. Fig.10. Struttura del disco intervertebrale 160 CAPITOLO 4 Il disco è costituito da numerosi strati concentrici, i più esterni dei quali formano un involucro compatto denominato anello fibroso, mentre la zona più interna, più lassa, viene definita nucleo polposo (Fig.10). L’anello fibroso è formato da fibrocartilagine ricca di fasci di collagene intercalate da fibre elastiche, che descrivono anse la cui concavità è rivolta verso il nucleo polposo. Il terzo esterno di questa struttura contiene i terminali delle fibre sensitive nocicettive (Ad) del nervo di seno-vertebrale di Luschka. Il nucleo polposo, costituito da fibro-cartilagine ricca di sostanza fondamentale, rappresenta la porzione gelatinosa del disco. Le fibre collagene non sono organizzate in fasci compatti e ordinati ma descrivono un intreccio apparentemente irrego-lare. Una perfetta interazione tra le due parti, possibile soltanto in una struttura anatomicamente integra, è di fondamentale importanza per le funzioni del disco intervertebrale: il nucleo polposo, contenuto dagli intrecci fibrosi dell’anello, si sposta durante i movimenti della colonna permettendo una certa inclinazione tra le parti; Funziona inoltre da ammortizzatore elastico, assorbendo le sollecitazioni meccaniche e ridistribuendole uniformemente alla periferia. DEGENERAZIONE DISCALE La malattia degenerativa discale è una condizione estremamente diffusa nella popolazione generale. La sua principale espressione clinica è il dolore lombare. L’80% degli adulti almeno una volta nella vita sarà colpito da un episodio di dolore lombare, mentre il 5% manifesterà disturbi persistenti. L’eziopatogenesi di questa condizione presenta ancora alcuni punti oscuri, nonostante le ricerche in quest’area siano molto numerose. E’unanimemente condiviso che gli eventi cruciali nel determinismo delle alterazioni responsabili della patologia siano da ricercare nella compromissione della diffusione di nutrienti, ossigeno e prodotti di smaltimento attraverso il disco (Fig.11). Numerosi sono stati i fattori indagati al fine di chiarire le basi fisiopatologiche delle alterazioni riscontrate: ♦ Fattori intrinseci: malattie vascolari, diabete, fumo di sigaretta sono in grado di determinare una riduzione del flusso sanguigno a livello del piatto vertebrale. 161 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO ♦ Fattori estrinseci: deformità della colonna, esposizione a vibrazioni o a grossi carichi inducono una disidratazione del disco intervertebrale. ♦ Fattori genetici, ancora poco definiti sembrano condizionare una particolare struttura della matrice Il risultato di queste multiple azioni si traduce un’alterazione della struttura della matrice extracellulare, particolarmente del rapporto keratansolfato/condroitin solfato a favore del primo, il quale possiede una bassa affinità per le molecole d’acqua. La conseguente disidratazione discale rappresenta un grosso ostacolo alla diffusione di numerose sostanze e soprattutto dell’ossigeno. Il metabolismo anaerobio e l’acidosi intradiscale che da questo deriva sono i veri determinanti delle modificazioni strutturali che caratterizzano la degenerazione discale: riduzione dello spessore del disco, indurimento del nucleo polposo e formazione di fissurazioni. Fig.11. Patogenesi della malattia degenerativa discale 162 CAPITOLO 4 La sintomatologia dolorosa insorge quando le lacerazioni raggiungono le terminazioni nervose sensitive del nervo seno-vertebrale, situate a livello del terzo esterno dell’anello fibroso. Le conseguenze della malattia da degenerazione discale sono a carico di 2 strutture: 1) Disco intervertebrale: il nucleo polposo indurito, non più contenuto adeguatamente dalle fibre danneggiate dell’anello fibroso, si fa strada attraverso un locus minori resistentiae, esitando in protrusione o erniazione, con conseguenze rilevanti sulle radici nervose dei nervi spinali e talora sulla cauda equina. 2) Colonna vertebrale: le modificazioni strutturali e la riduzione dello spessore del disco determinano un’alterazione della distribuzione delle forze di carico a livello dei segmenti vertebrali colpiti e un eccessivo avvicinamento delle articolazioni interapofisarie, con esito in una severa condizione di spondilartrosi. RAZIONALE DELLE PROCEDURE SPINALI PER CUTANEE La pressione eccessiva esercitata dal nucleo polposo sulle fibre dell’anulus viene considerata uno dei fattori centrali nella genesi del dolore e delle complicanze caratteristiche della discopatia degenerativa. Le procedure percutanee si propongono di intervenire proprio su questo movente patogenetico, mediante la riduzione delle dimensioni del nucleo polposo o della sua porzione erniata (Fig.12). Lo scopo di questo intervento è quello di ridurre considerevolmente la pressione intradiscale, permettendo una retropulsione del nucleo e pertanto un riavvicinamento delle fibre dell’anello. Il presupposto da cui si parte è che piccole riduzioni di volume producono importanti diminuzioni pressorie. 163 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO In tal modo si otterrebbe una notevole riduzione della stimolazione sulle terminazioni delle fibre dolorifiche di Luschka e pertanto della sintomatologia dolorosa. Inoltre, l’accollamento delle fibre dell’anulus, precedentemente alterate, avrebbe come conseguenza il graduale ripristino di parte della capacità di contenimento dell’anello fibroso, che contribuirebbe a ridurre la probabilità di recidive. Procedure principali La termoablazione, l’ablazione a Fig.12. Razionale delle radiofrequenza, l’ablazione procedure spinali mediante laser (PELD), la percutanee crioablazione e la chemodiscolisi rappresentano le tecniche più comunemente utilizzate. Sebbene queste metodiche sfruttino principi chimico-fisici differenti, condividono tutte quante lo stesso scopo, che consiste nella riduzione del volume e della pressione intradiscali. Il nostro paziente è stato sottoposto a procedura di ablazione mediante laser (PELD), pertanto sarà questa tecnica l’oggetto della discussione seguente. PERCUTANEOUS ENDOSCOPIC LASER DISCECTOMY (PELD) L’uso del laser Nd:YAG come alternativa alla chirurgia convenzionale per il trattamento della malattia degenerativa discale fu descritto per la prima volta nel 1985. I primi risultati clinici già suggerivano la validità della metodica nella riduzione del dolore causato dalla discopatia. Choy et al furono i primi a valutare gli effetti meccanici, termici e morfologici del trattamento con laser effettuato su nucleo polposo bovino, e descrissero le alterazioni irreversibili a carico della matrice extra-cellulare responsabili del cambiamento di forma e della riduzione di volume del disco. 164 CAPITOLO 4 Tecnica. Dopo aver effettuato una incisione cutanea, previa anestesia locale, a livello della vertebra interessata, un endoscopio accoppiato con il laser Ho:YAG (o alternativamente con l’Nd:YAG) viene inserito all’interno del disco intervertebrale. Dopo una corretta individuazione endoscopica del nucleo polposo si procede all’ablazione e successivamente al controllo dell’esito della procedura. Risultati clinici. Choy et Fig.13. al hanno descritto la più Percutaneous endoscopic laser discectomy grande casistica riportata (PELD) sulla PELD, durante 17 anni di esperienza. Delle Fig.13. 2400 procedure eseguite Percutaneous endoscopic laser discectomy su 1275 pazienti la (PELD) percentuale di successo nella risoluzione del dolore è stata dell’89%. L’unica complicazione riportata dallo studio è stata la discite, con una frequenza dello 0,4%. Le ricorrenze sono state dell’ordine del 5%, la maggior parte delle quali in relazione a eventi traumatici. Non sono stati descritti casi di morte, danno alle strutture nervose periferiche o al midollo spinale. McMillan et al hanno riportato i risultati sull’efficacia della PELD su una casistica 30 pazienti affetti da dolore lomabare e/o sciatica. Dopo 165 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO 3 mesi di follow-up l’80% dei soggetti riferiva un significativo miglioramento della sintomatologia preoperatoria. E’ da rilevare che la qualità di gran parte delle informazioni circa l’utilizzo della PELD è limitata a ristrette casistiche e a periodi di follow-up relativamente brevi. Inoltre, sebbene siano stati dimostrati risultati soddisfacenti sull’utilizzo della metodica, vale la pena sottolineare l’importanza dell’esperienza dell’operatore, che può influenzare fortemente gli esiti della procedura e l’eventuale insorgenza di complicanze. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Questo caso rappresenta un validissimo esempio di ragionamento ipotetico-deduttivo, mediante il quale abbiamo potuto sospettare e successivamente escludere tre importanti e potenzialmente letali cause di frattura vertebrale. Inizialmente il nostro ragionamento si è focalizzato, sulla base delle notizie anamnestiche e della sintomatologia clinica, sulla ipotesi più ovvia di metastasi ossea da tumore prostatico. Successivamente, sebbene la positività della scintigrafia ossea, indagine altamente sensibile ma poco specifica, sembrasse confermare il nostro sospetto, i normali valori di PSA sierico, così come l’assenza di immagini sospette per neoplasia alle indagini radiologiche mirate hanno portato ad escludere questa prima ipotesi. La successiva dimostrazione di una raccolta paravertebrale ci ha indotti a considerare il morbo di Pott come probabile responsabile del quadro clinico in questione, tuttavia il valore della VES, soltanto modicamente aumentato, la negatività del test di Mantoux e il mancato riscontro di alterazioni suggestive di localizzazione primaria o secondaria della tubercolosi alle tecniche di diagnostica per immagini ci hanno costretti ad abbandonare anche questo intrigante percorso diagnostico. Infine abbiamo ricostruito il nostro ragionamento inserendo la componente monoclonale del paziente nell’ambito del complesso quadro del plasmocitoma, ma l’assenza di alterazioni significative all’aspirato midollare e all’esame radiografico delle ossa piatte e la negatività della proteinuria di Bence Jones ci hanno permesso di scartare anche questa ipotesi. 166 CAPITOLO 4 L’esclusione di queste tre patologie, che in prima istanza rappresentavano le più probabili alternative diagnostiche, ci ha apparentemente condotti in un vicolo cieco. Soltanto l’accurata rivisitazione delle notizie anamnestiche, e in particolar modo la riconsiderazione della procedura laser come fondamentale elemento patogenetico di questo caso, hanno permesso di ricostruire il quadro clinico e le sue varie sfumature: in primo luogo la condizione di osteoporosi senile e la terapia anti-androgenica effettuata per il controllo della neoplasia prostatica sono stati con ogni probabilità la causa del crollo vertebrale documentato alle tecniche di diagnostica per immagini; in secondo luogo l’esecuzione della procedura ablativa mediante laser, effettuata in assenza di indicazione e in più di dubbia adeguatezza tecnica, ha determinato la formazione della raccolta ematica paravertebrale responsabile della sintomatologia del paziente, del quadro infiammatorio e possibilmente della formazione della componente M. Questo caso rappresenta un esempio di patologia conseguente a danno iatrogeno, che attualmente rappresenta una causa spesso sottovalutata di misdiagnosi, e che pertanto dovrebbe essere sempre considerata dal medico nella diagnosi differenziale. 167 FRATTURA VERTEBRALE IN UN PAZIENTE CON K PROSTATICO BIBLIOGRAFIA Roodman GD. Mechanisms of bone metastasis. N Engl J Med 2004 Apr 15;350(16):1655-64. Thurairaja R, McFarlane J, Traill Z, Persad R. State-of-the-art approaches to detecting early bone metastasis in prostate cancer. BJU Int. 2004 Aug;94(3):268-71. Harrison’s Principles of Internal Medicine 16th Edition S. Tura. Lezioni di Ematologia. 5a Edizione Khoo LT, Mikawa K, Fessler RG. A surgical revisitation of Pott distemper of the spine. Spine J. 2003 Mar-Apr;3(2):130-45. Dinc H, Ahmetoglu A, Baykal S, Sari A, Sayil O, Gumele HR. Imageguided percutaneous drainage of tuberculous iliopsoas and spondylodiskitic abscesses: midterm results. Radiology. 2002 Nov;225(2):353-8. 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Capitolo 5 Un addome voluminoso a cura della Dott.ssa Deborah Alivernini ANAMNESI Sig.ra A.A. di anni 58. ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA La paziente giunge alla nostra osservazione per una sintomatologia caratterizzata da aumento di volume dell’addome, associato ad astenia e dolore nei quadranti inferiori e nella regione lombare in posizione eretta. Dimagrimento (10 kg negli ultimi 5 mesi). Inoltre riferisce di aver ridotto autonomamente la terapia diuretica (da 100 mg/die a 50 mg/die) per ipotensione da circa 15 giorni. ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA Settembre 2004: ricovero presso il nostro reparto per stato anasarcatico. Diagnosi di timoma. Ottobre 2004 timectomia seguita da un unico ciclo chemioterapico. Esame istologico: “infiltrazione della neoplasia a tutto spessore della capsula timica e del tessuto adiposo pericapsulare; esenti da compromissione neoplastica il frammento di pericardio, il linfonodo del peduncolo frenico ed il tessuto adiposo della loggia timica prelevati durante l’intervento.” Febbraio 2005 Scintigrafia con Octreoscan:iperaccumulo del tracciante nella regione mediastinica anteriore. Febbraio e Marzo 2005: pleurodesi chimica destra e sinistra rispettivamente, per versamento pleurico massivo resistente alla terapia farmacologica. 169 170 CAPITOLO 5 Il secondo intervento è stato complicato da emorragia interna per cui è stato necessario eseguire un ulteriore intervento chirurgico non meglio specificato. Dal febbraio 2004 è in terapia con octreotide 20 mg 1 fl im ogni 15 giorni. In stato di discreto benessere fino al giugno u.s. ANAMNESI FISIOLOGICA Sviluppo psico-fisico regolare. Scolarità III media, impiegata. 2 gravidanze a termine, vedova. Oliguria nelle ultime 2 settimane. Alvo regolare ESAME OBIETTIVO ESAME GENERALE PA: 100/60 mm/Hg – FC: 80 b/min – FR: 18 atti/min Condizioni generali scadute.Psiche lucida, sensorio integro.Facies lunaris.Edema delle congiuntive. Modesto turgore delle giugulari in clinostatismo. Apparato muscolare: ipotonico, ipotrofico. Lievi edemi declivi. CUORE E VASI Polsi periferici presenti ed isosfigmici Cuore:Azione cardiaca ritmica, toni parafonici, pause apparentemente libere. TORACE Ipofonesi basale bilaterale; MV ridotto diffusamente, assente nei campi polmonari inferiori bilateralmente. Presenza di edema nella regione lombo-sacrale. 171 UN ADDOME VOLUMINOSO ADDOME Imponente aumento di volume per ascite; non dolente, né dolorabile alla palpazione superficiale e profonda; peristalsi presente e valida; presenza di reticoli venosi sopra e sotto-ombelicali; organi ipocondriaci non valutabili. SISTEMA NERVOSO Nella norma. ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI EMATOCHIMICI EMOGASANALISI GB: 10.800/mm3 Az: 24.4 mg/dl Glic: 120 mg/dl Creat: 1.47 mg/dl Na: 128.8 mEq/l Cl: 94.5 mEq/l gammaGT: 123.6 U/L ALP: 681 U/L Prot: 5.8 g/dl Alb: 2.09 g/dl alfa1: 7.4 % alfa2: 22.2 % VES: 72 mm/h FBG: 836 mg/dl pH: 7.52 pCO2: 34.7 mm/Hg pO2: 75.8 mm/Hg HCO3-: 28.4 mmol/l sO2: 97.1% 172 CAPITOLO 5 ECG Documentava bassi voltaggi del QRS e anomalie aspecifiche dell’onda P e T.(fig.1) RAGIONAMENTO CLINICO ED ITER DIAGNOSTICO Osservando il quadro clinico abbiamo preso come segno guida l’ascite. Analizzando le varie cause di ascite e prendendo in considerazione l’anamnesi, l’esame obiettivo e gli esami eseguiti la prima ipotesi che possiamo considerare è che si possa trattare di una pericardite costrittiva. 173 UN ADDOME VOLUMINOSO Pericardite costrittiva E’ provocata in genere dagli esiti cicatriziali di una pericardite fibrinosa o sierofibrinosa acuta o di un versamento pericardio cronico che determinano obliterazione della cavità pericardica, con formazione di tessuto di granulazione che poi lentamente si trasforma in tessuto cicatriziale che avvolge il cuore e interferisce con il riempimento dei ventricoli. In passato un’alta percentuale dei casi era di origine tubercolare ma attualmente è una causa molto poco frequente. La pericardite costrittiva può essere provocata anche da infezioni purulente, traumi, interventi cardiaci, irradiazioni mediastiniche, neoplasie(in particolare della mammella, polmonari e linfomi), artrite reumatoide, LES ed è frequente in corso di insufficienza renale cronica con uremia in pazienti sottoposti a dialisi. In molti casi comunque l’eziologia è sconosciuta. Nei pazienti sintomatici la caratteristica fisiopatologia più importante è rappresentata dall’inadeguato riempimento ventricolare nel corso della diastole a causa della costrizione del pericardio. Ne consegue aumento della pressione nelle cavità destre che determina congestione dei sinusoidi epatici e riduzione della volemia efficace con conseguente ritenzione di acqua e sodio a livello renale. Il quadro clinico è caratterizzato da debolezza, affaticamento, aumento ponderale e della circonferenza addominale, disturbi addominali ed edemi. I pazienti hanno un aspetto cachettico, caratterizzato da riduzione della massa muscolare e da addome globoso. La dispnea è evidente sottosforzo e spesso si osserva anche un ortopnea. Non si osserva quasi mai episodi di insufficienza ventricolare sinistra. Il turgore giugulare è evidente e non recede anche dopo intensi trattamenti diuretici e la pressione venosa non si riduce in corso dell’inspirazione(segno di Kussmaul). La pressione differenziale può essere ridotta, in un terzo dei casi è presente polso paradosso. L’epatomegalia è sempre presente e in genere si accompagna a un deterioramento della funzione epatica; è comune il riscontro di ascite. I toni cardiaci sono distanti e spesso si apprezza chiaramente un terzo tono precoce che compare immediatamente dopo la componente aortica del secondo tono e che coincide con una brusca decelerazione del riempimento ventricolare. In genere non si apprezzano soffi. La malattia può inoltre essere complicata gastroenteropatia proteino- 174 CAPITOLO 5 disperdente, provocata dall’alterato drenaggio linfatico a livello dell’intestino tenue, nonché dalla sindrome nefrosica con marcata proteinuria e ipoalbuminemia. Spesso l’elettrocardiogramma mostra una riduzione dei voltaggi del QRS e alterazioni diffuse della ripolarizzazione con appiattimento o inversione dell’onda T. In pazienti con ritmo sinusale spesso si osserva una P mitralica e in un terzo dei pazienti si riscontra fibrillazione striale. L’ecocardiogramma tipicamente evidenzia un ispessimento pericardico, un ingrandimento striale, la dilatazione della vena cava inferire e della vena epatiche e un riempimento improvviso nel riempimento ventricolare nella fase precoce della diastole, mentre la funzione ventricolare sistolica risulta normale. Nello studio emodinamico la pressione media di incuneamento ("wedge") polmonare, la pressione diastolica dell’arteria polmonare, la pressione telediastolica del ventricolo destro e la pressione atriale destra hanno di solito valori compresi tra 10 e 30 mmH. Le curve della pressione atriale mostrano di solito un’accentuazione delle deflessioni x e y e le curve della pressione ventricolare mostrano un avvallamento ("dip") diastolico ripido in corrispondenza della fase di riempimento ventricolare rapido L’esame ecocardiografico non consente di escludere la diagnosi in via definitiva; in questo contesto la RM e la TC, in particolare quest’ultima, ci aiutano a confermare la diagnosi e mostrano un ispessimento pericardico maggiore di 5 mm. Quando si rileva un tale ispessimento in presenza delle caratteristiche emodinamiche sopra descritte, può essere diagnosticata una pericardite costrittiva. ECOCARDIOGRAMMA NELLA PAZIENTE Nel caso della nostra paziente l’esame ecocardiografico mostrava un ventricolo sinistro di volume normale con normali spessori parietali e buona cinesi globale. Atrio sinistro e cavità destre normali. Apparati valvolari normali. Minimo ispessimento dei foglietti pericardici con minima separazione. Tale esame negativo ci consente di escludere la nostra prima ipotesi. A questo punto naturalmente riconsiderando il quadro clinico e quindi l’anamnesi, l’esame obiettivo e gli esami ematochimici dobbiamo prendere in considerazione le altre cause di ascite quali la cirrosi 175 UN ADDOME VOLUMINOSO epatica, la trombosi portale, l’occlusione delle vene epatiche e le neoplasie. Per aiutarci nella diagnosi abbiamo quindi sottoposto la paziente ad una paracentesi esplorativa, esame che va sempre eseguito in un paziente ascitico; il liquido aspirato deve essere valutato riguardo al suo aspetto macroscopico; devono essere determinati contenuto proteico, numero di cellule e tipizzazione cellulare e devono essere effettuate la colorazione di Gram e quella per batteri alcol/acido-resistenti, accompagnate da colture batteriche. Non va trascurato l’esame citologico e del sedimento che per esempio può consentire la diagnosi di un carcinoma non sospettato. PARACENTESI Nel nostro caso il liquido si presentava con le caratteristiche di un’ascite chilosa; torbido, lattescente, con un alto contenuto di trigliceridi(1229,7 mg/dl), un basso contenuto di colesterolo(54,1 mg/dl), un contenuto di glucosio pari a 183 mg/dl, di proteine totali pari a 1,4 g/dl con albumina di 0,5 g/dl. L’esame citomorfologico evidenziava numerosi neutrofili, numerosi elementi istiomacrofagici, rari linfociti, rari monociti e rare emazie. L’esame batterioscopico negativo, l’esame colturale per germi comuni negativo, la tipizzazione linfocitaria (34 % della popolazione leucocitaria totale) presentava il 31% di elementi linfoidi a fenotipo NK (CD8/CD16/CD56/CD158-b positivi, CD3 negativi). Citomorfologicamente si osserva il 50% di cellule LGL. Ascite chilosa Si forma per stravaso di chilo nella cavità peritoneale per trauma od ostruzione del sistema linfatico. ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL SISTEMA LINFATICO I vasi linfatici provvedono al trasporto dei fluidi e delle proteine dai tessuti al sistema vascolare, hanno inoltre un ruolo fondamentale nel ripulire l’interstizio di detriti e batteri che vengono trasportati nel linfonodo dove vengono opsonizzati o fagocitati. I vasi linfatici del tratto gastrointestinale hanno anche il ruolo di trasportare l’acqua e i lipidi assorbiti nel sistema circolatorio. 176 CAPITOLO 5 Fig. 2 e 3 I vasi linfatici di minori dimensioni vanno a costituire i tronchi linfatici intestinale, toracico discendente, epatico e lombare destro e sinistro che si uniscono a formare la cisterna chili tra l’aorta e la vena cava inferiore a livello della prima vertebra lombare. La cisterna chili continua poi con il dotto toracico che passa attraverso lo iatus aortico e si porta nel mediastino posteriore. A livello della quinta vertebra toracica si porta a sinistra nel mediastino superiore proseguendo dorsalmente all’arco dell’aorta. Il dotto toracico entra quindi nel sistema venoso a livello della giunzione tra la vena succlavia sinistra e la vena giugulare interna(fig.2 e fig.3). Sebbene sono presenti diverse valvole nella circolazione linfatica, solo una valvola bicuspide, localizzata a 2 cm nella parte terminale del dotto toracico, previene il reflusso venoso. Sono presenti diverse comunicazioni tra il sistema linfatico e la circolazione venosa (canali linfaticovenosi). Questi vasi collaterali sono presenti a livello della vena cava inferiore, delle vene renali, epatiche, ma anche nel torace. Normalmente non sono funzionali eccetto quando vi è un incremento della pressione linfatica. Questi canali devono essere ostruiti per determinare all’interno del sistema linfatico una pressione tale da determinare stravaso di liquido nel peritoneo. Più della metà della 177 UN ADDOME VOLUMINOSO linfa totale del corpo proviene dai visceri addominali, specialmente dal piccolo intestino e dal fegato.Fra le funzioni più importanti dei linfatici dell'intestino è il mantenimento e la composizione dei fluidi interstiziali ed il trasporto dei lipidi (chilimicroni). Gli acidi grassi a catena media e corta entrano direttamente nella circolazione portale by-passando la circolazione linfatica. FISIOPATOLOGIA L’ascite chilosa si può formare per tre meccanismi principali; Per essudazione (o perdita dopo rottura) di chilo dai vasi linfatici dilatati della parete intestinale e del mesentere causata dall'ostruzione dei linfatici alla base del mesentere o della cisterna chili (es: infiltrazione neoplastica). Questo processo conduce comunemente ad una enteropatia protido-disperdente. Per perdita diretta di chilo attraverso una fistola linfoperitoneale determinata quasi sempre da un alterazione dei vasi linfatici retroperitoneali (es: distruzione dei vasi linfatici in seguito ad un trauma o intervento chirurgico). Per essudazione di chilo tramite le pareti del linfatici retroperitoneali, con o senza una fistola visibile (es: linfangiectasia congenita o ostruzione toracica del condotto). L’ostruzione dei linfatici intestinali può determinare alterazione delle vene mucose e sottomucose e perdita di liquido nel lume intestinale. Un’ipertensione cronica può inoltre determinare ipertrofia della membrana basale con riduzione della funzione di assorbimento che determina diarrea, malnutrizione, steatorrea ed ipoproteinemia. Si possono osservare anche disordini immunologici (perdita di linfa ricca di linfociti e aumento di linfociti immaturi in circolo), con un lieve aumento di suscettibilità verso alcune malattie batteriche e virali. CLASSIFICAZIONE L’ascite chilosa viene classificata in: ascite chilosa vera caratterizzata da un alto contenuto di trigliceridi; in ascite chiliforme in cui il liquido ascitico contiene complessi di lectina-globulina derivati dalla degenerazione grassa delle cellule e infine in ascite pseudochilosa costituita da un liquido ascitico color latte per la presenza di pus. ELEMENTI CLINICI E LABORATORISTICI Per quanto riguarda la sintomatologia clinica essa è caratterizzata da aumento di volume dell’addome, dolori addominali, anoressia, 178 CAPITOLO 5 perdita di peso, astenia, nausea, dispnea, linfoadenopatia, febbre, sudorazione notturna e sintomi correlati alla malattia di base (cirrosi, neoplasia). I test di laboratorio sono rappresentati da ipoalbuminemia, linfocitopenia, anemia, iperuricemia, aumento delle transaminasi, gammaGT e ALP, iponatriemia mentre la colesterolemia e trigliceridemia sono nella norma. L’esame del liquido ascitico di tipo chiloso è caratterizzato da: - - COLORE: bianco latte PESO SPECIFICO: 1.010-1.054 CONTENUTO DI GRASSI: 4-40 g/L. TRIGLICERIDI: 218-8100 mg/dL. GLUCOSIO E AMILASI: nella norma COLESTEROLO: basso LEUCOCITI: 232-2560 cells/mm3 (LINFOCITOSI) PROTEINE TOTALI: variano da 1.4-6.4 g/dL, con una media di 3.7 g/dL (questa variazione riflette la proteinemia e le abitudini dietetiche). COLTURE: negative Determinare la causa che ha portato alla formazione di questo tipo di ascite è un fattore di particolare importanza perchè influenza l’evoluzione e il trattamento a cui deve essere sottoposto il paziente. Le malattie che possono manifestarsi con ascite chilosa sono innumerevoli, è stata quindi organizzata una classificazione che provvede a suddividere le varie cause in: Congenite Acquisite 179 UN ADDOME VOLUMINOSO ASCITE CHIOSA: FORME ACQUISITE INFIAMMATORIE Tubercolosi Filariosi Irradiazione della pelvi Pericardite costrittiva (aumento formazione liquido linfatico + diminuito drenaggio) Pancreatite Fibrosi retroperitoneale idiopatica Sarcoidosi Mesenterite Malattia di Whipple NEOPLASTICHE Linfoma (distruzione, invasione, compressione o ostruzione) Carcinoma (pancreas, rene, ovaio, prostata, colon e stomaco) Carcinoidi intestinali Linfoangiomiomatosi CHIRURGICHE Aneurisma aorta addominale Dissezione linfonodi retroperitoneali Nefrectomia radicale Vagotonia TRAUMATICHE OSTRUTTIVE Volvolo intestinale Aneurisma dell’aorta addominale EMODINAMICHE Cirrosi Trombosi portale, giugulare, succlavia Sindrome nefrosica Colangite sclerosante 180 CAPITOLO 5 DIAGNOSI La diagnosi di ascite chilosa viene fatta attraverso la paracentesi e l’esame completo del liquido ascitico, naturalmente oltre a questo, per individuare la malattia di base che l’ha determinata, possono essere utilizzati altri esami : ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ TAC Biospia linfonodale Laparotomia Linfoscintigrafia Linfangiografia Studio del tratto gastroenterico con bario Studio del midollo osseo La nostra paziente quindi ha eseguito una TAC total-body che ha evidenziato: TORACE :Versamento pleurico diffuso con caratteristiche saccate (di entità ridotta rispetto ad un precedente esame eseguito in data 7/4/2005) che si sviluppa soprattutto a destra nello sfondato e lungo il profilo mediastinico; evidenza di componente intrascissurale a sinistra. Assenti lesioni focali parenchimali. Non linfonoadenopatie ilo-mediastiniche. ADDOME-PELVI: Quota di versamento libero endoperitoneale che si raccoglie lungo la maggior parte dei recessi peritoneali. Fegato diminuito di dimensioni e con diffusa alterazione della densità parenchimale in assenza di lesioni focali di significato patologico attivo. Cisti displasica di 38 mm a carico del I segmento. Vena porta pervia e di calibro regolare. Non dilatate le vie biliari. Non aspetti patologici di rilievo a carico del pancreas, milza, surreni e reni. Non linfoadenopatie sottodiaframmatiche. Raccolta fluida che scompagina le fibre dei muscoli dell'intera parete addominale anterolaterale di sinistra. 181 UN ADDOME VOLUMINOSO L’esame quindi ci ha fatto escludere la nostra seconda ipotesi che si potesse trattare cioè di una cirrosi epatica o di una occlusione delle vene epatiche o ancora di malattia neoplastica. Inoltre la paziente è stata sottoposta ad una linfoscintigrafia, eseguita con acquisizioni pecoci (fino a 3 ore) e completata con acquisizioni tardive a 24 ore, dove non si è osservata dispersione del radiofarmaco in sede peritoneale durante tutto lo studio. La terapia dell’ascite chilosa prevede il trattamento della malattia di base naturalmente quando identificata, terapia di supporto per il controllo dei sintomi, quindi paracentesi evacuativa insieme all’utilizzo di diuretici(spironolattone), restrizione di sale e acqua, utilizzo di calze elastiche e una dieta povera di grassi e ricca di trigliceridi a catena media. Se il paziente non dovesse rispondere positivamente a questo tipo di terapia si passerà ad una nutrizione parenterale per un periodo variabile dalle 2 alle 4 settimane. Candidati allo shunting peritoneale sono i pazienti che non rispondono alla terapia medica, pazienti che presentano linfangiomiomatosi o altri disordini cronici non responsivi o ancora cause traumatiche o nel corso del post-intervento. La laparotomia è essenziale per la diagnosi e il trattamento di peritoniti chilose acute, la chirurgia è fondamentale inoltre in caso di chiloperitoneo per cause congenite od ostruttive.(tav 1 e tav.2) 182 CAPITOLO 5 Tav.1 e 2 183 UN ADDOME VOLUMINOSO Per quanto riguarda la nostra paziente, si è iniziata immediatamente dieta con trigliceridi a catena media, dopo circa un mese in assenza di risposta positiva a questo tipo di alimentazione si è iniziata nutrizione parenterale (2000 ml/die) e si è posizionato catetere peritoneale a permanenza eseguendo una paracentesi evacuativa, si è assistito così ad una riduzione progressiva del versamento ascitico fino alla totale scomparsa. Dopo 3 settimane si è ricominciata alimentazione orale con comparsa nuovamente di liquido ascitico chiloso, quindi si è rimosso catetere peritoneale e si è posizionato catetere di Denver con shunt peritoneo-venoso. Nel frattempo però per quanto riguarda la diagnosi della causa che ha determinato nella nostra paziente la formazione dell’ascite chilosa siamo al punto di partenza. Adesso però abbiamo un esame TC che mette in evidenza un fegato diminuito di dimensioni e con diffusa alterazione della densità parenchimale. Questo dato accompagnato agli alti valori di gammaGT e fosfatasi alcalina ed alta positività per anticorpi anticitoplasma dei neutrofili, pANCA(+++) ci hanno spinto ad eseguire una biopsia epatica che ha mostrato una variabile infiammazione linfomonocitaria e granulocitaria neutrofila degli spazi portali, marcata reazione duttulare, interessamento della parete dei dotti biliari interlobulari con fenomeni di colangite; fibrosi moderata senza formazione di setti; in sede intralobulare dilatazione dei sinusoidi perivenosi, presenza di granuli di lipofuscina nel citoplasma degli epatociti centrolobulari, significativa stasi di colati in sede centrolobulare. Quadro compatibile con colangite su base autoimmune. Colangite sclerosante E’ una malattia caratterizzata da flogosi cronica delle vie biliari con andamento progressivamente ingravescente fino a determinare la graduale insorgenza di sindrome colestasica ed, eventualmente, l’evoluzione in cirrosi epatica con ipertensione portale ed insufficienza epatica di grado elevato. EPIDEMIOLOGIA Interessa di regola l’intero sistema biliare(87% dei casi), mentre molto più raramente sono coinvolte le sole vie biliari intraepatiche(11%), ancor meno(2%), solo quelle extraepatiche(l’interessamento isolato delle più fini ramificazioni biliari intraepatiche viene più 184 CAPITOLO 5 correttamente definito pericolangite); la colecisti ed il dotto cistico sono interessati in circa il 15% dei casi. La colangite sclerosante può esistere come entità clinica a se stante oppure può associarsi ad altre malattie: in quest’ultimo caso, che poi è l’evenienza più comune(otre 80% dei casi), essa si riscontra soprattutto nell’ambito delle malattie infiammatorie croniche intestinali e in particolar modo nella rettocolite ulcerosa piuttosto che nel morbo di Crohn. In altri casi la colangite sclerosante insorge nell’ambito di sindromi fibrosclerotiche ma è stata osservata anche in associazione con la celiachia, la tiroidine di Riedel, la pancreatine cronica, la sindrome di Sjogren, l’artrite reumatoide, il diabete mellito, varie vasculiti. Più rara l’associazione con le ipogammaglobulinemia comune variabile,l’istiocitosi X, la malattia di Hodgkin, il timoma. La colangite sclerosante è una malattia piuttosto rara, la sua prevalenza è compresa tra 1 e 6 casi/100.000 abitanti; è più frequente nell’uomo che nella donna e l’età di massima incidenza è tra la terza e la quinta decade di vita. EZIOPATOGENESI La causa della malattia è sconosciuta anche se sono state fatte diverse ipotesi. Fattori infettivi: molto interessante è l’associazione tra la colangite sclerosante e le malattie infiammatorie croniche intestinali. Studi di modelli animali suggeriscono che queste ultime possano essere interpretate come espressione di una particolare interazione tra certi difetti geneticamente determinati del sistema di immunoregolazione e le difese dell’ospite con conseguente riduzione delle resistenze nei confronti delle infezioni batteriche così da permettere a qualche microrganismo facente parte della normale flora intestinale di acquisire particolare virulenza e di innescare il processo infiammatorio caratteristico di queste malattie. Le caratteristiche patogenetiche della colangite sclerosante potrebbero essere simili dal momento che la bile normalmente non è sterile ma contiene batteri di provenienza intestinale, si può supporre che la combinazione di un infezione microbica e di una particolare suscettibilità alle infezioni, congenita o acquisita, possa condurre ad una cronica infezione delle vie biliari. 185 UN ADDOME VOLUMINOSO Anche alcuni virus sono stati chiamati in causa come il cytomegalovirus, il reovirus 3 e il virus della rosolia ma non si è trovata alcuna attendibile conferma. Fattori tossici: sono stati considerati vari agenti tossici ma per nessuno di essi sono state trovate prove significative. Fattori genetici: l’esistenza di una predisposizione genetica è avvalorata in primo luogo dal frequente riscontro in questi pazienti di alcuni antigeni di istocompatibilità come HLA-B8 o HLA-DR3. Fattori immunitari: hanno verosimilmente un ruolo patogenetico determinante anche se i precisi meccanismi del loro intervento non sono ben conosciuti. Sono state descritte alterazioni sia della immunità umorale sia di quella cellulare; tra le prime la presenza di ipergammaglobulinemia, elevati livelli di IgM, anticorpi antimucosa del colon, anticorpi antimuscolo liscio(ASMA), anticorpi antinucleo(ANA). Più di recente grande interesse ha suscitato il grande riscontro di pANCA. ANATOMIA PATOLOGICA Gli aspetti istologici non sono patognomici in genere, ma sono stati identificati quattro stadi in rapporto alla progressiva evoluzione della malattia. ♦ ♦ ♦ ♦ Stadio I: epatite portale Stadio II: epatite periportale Stadio III: fibrosi settale Stadio IV: cirrosi biliare. Nel primo stadio è presente degenerazione delle cellule epiteliali dei dotti biliari che vengono infiltrati da neutrofili; a volte si osserva proliferazione dei dotti biliari negli spazi portali, vacuolizzazione delle cellule dell’epitelio duttulare e la formazione delle cosiddette lesioni a bulbo di cipolla costituite da anelli concentrici di tessuto connettivo che circondano i dotti biliari. Nel secondo stadio la fibrosi e il processo infiammatorio coinvolgono il parenchima periportale. I dotti biliari in questo stadio sono già francamente diminuiti e la fibrosi periportale è l’alterazione più caratteristica. 186 CAPITOLO 5 Nel terzo stadio si formano setti fibrosi che connettono tra loro gli spazi portali con comparsa di necrosi “a ponte”. Il quarto stadio infine è caratterizzato da vera e propria cirrosi. CLINICA Può essere molto varia, i pazienti presentano in maniera progressivamente ingravescente sintomi e segni di ostruzione biliare quali ittero, prurito, dolore addominale, soprattutto in ipocondrio destro e, talvolta, febbre. L’insieme del dolore al quadrante addominale superiore destro, ittero e febbre costituisce la cosiddetta triade di Charcot. L’ittero può essere constante o intermittente, la bilirubina nel siero è usualmente compresa tra 2 e 10 mg/dl. Nelle fasi più avanzate di malattia possono comparire, ostruzione biliare completa, cirrosi biliare secondaria con epatosplenomegalia, insufficienza epatica, ipertensione portale. DIAGNOSI Può essere posta sulla base del reperto colangiografico che evidenzia l’aspetto irregolare dell’albero biliare con ispessimento dei dotti e con alternanza di tratti stenotici e di tratti dilatati dei rami intraepatici ed extraepatici delle vie biliari con tipico aspetto “a rosario” o “a filo di perle”. La biopsia epatica è utilizzata per la conferma e per determinare lo stadio evolutivo della malattia. Gli esami di laboratorio mostrano aumento della fosfatasi alcalina e della gammaGT, le transaminasi sono aumentate ma non in modo rilevante, la bilirubina può rimanere per lungo tempo normale ed un suo persistente aumento sembra avere un valore prognostico negativo. DECORSO E PROGNOSI La malattia ha decorso cronico ed estremamente vario con pazienti che restano asintomatici per anni. La sopravvivenza media dal momento della diagnosi è di circa 12 anni. Le principali complicanze a breve e a lungo termine sono rappresentate dalle colangiti batteriche ricorrenti, litiasi biliare, sindrome da malassorbimento(soprattutto di lipidi e vitamine liposolubili), osteoporosi secondaria a deficit di vitamina D e diatesi emorragica da deficit dei fattori della coagulazione, emorragie digestive per rottura di varici gastroesofagee a seguito di ipertensione portale. 187 UN ADDOME VOLUMINOSO TERAPIA Dato che l’eziologia e la patogenesi della colangite sclerosante sono a tutt’oggi ancora sconosciute la terapia è difficile; sono stati valutati diversi trattamenti medici, come per esempio l’uso dell’acido ursodessossicolico da solo o in associazione con prednisolone e azatioprine, l’uso di corticosteroidi e i munosoppressori, basato sull’ipotesi di un origine immunologica alla determinazione della malattia. Anche l’ERCP ha la sua importanza quando utilizzato per prevenire l’ostruzione biliare che sembra essere la causa di cirrosi in questi pazienti. Il trapianto di fegato rimane comunque l’unica terapia definitiva. ITER TERAPEUTICO NELLA PAZIENTE La paziente, dimessa dal nostro reparto dopo aver posizionato il catetere di Denver con shunt peritoneo-venoso per ascite chilosa refrattaria al trattamento medico, torna alla nostra osservazione per aumento di volume dell’addome. Un’indagine radiografica conferma l’ostruzione dello shunt a livello del tratto addominale e la TC total body evidenzia la presenza di colata trombotica nel lume della vena cava superiore. Durante la degenza si è presentato un episodio di encefalopatia epatica ed è stata quindi iniziata terapia con lattulosio somministrato sia per os che tramite clisteri. Per confermare la presenza di un’ipertensione portale, è stata eseguita la misurazione della pressione nella vena porta mediante cateterismo, che ha mostrato valori pressori in atrio destro di 2 mmHg ed a livello della porta di 25 mmHg. Nonostante l’indicazione al posizionamento di una TIPS, è stato preferito procrastinare l’intervento considerando il rischio di nuovi episodi di encefalopatia epatica. 188 CAPITOLO 5 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Il motivo della formazione di ascite chilosa nella nostra paziente sembrerebbe quindi secondaria all’ipertensione portale. Negli spazi portali infatti originano anche i vasi linfatici che seguendo il tragitto delle vie biliari, convergono nell’ilo epatico insieme ad altri vasi linfatici che si fanno strada nel connettivo tra i lobuli, visto che il processo patologico che ha determinato l’ipertensione è a livello degli spazi portali, si avrà un ostacolo alla raccolta di linfa e quindi possibile formazione di ascite di tipo chiloso. BIBLIOGRAFIA Harrison’s Principi di medicina interna XV edizione, Mendell Aalami, Allen and Organ, Chylous ascites a collective review, Surgery 2000; 128:5-765 Press O, Press N, Kaufman S Evolution and management of chylous ascites, Ann Intern Med 1982; 96:258-64 Varga J, Palmer R, Koff R, Chylous ascites in adults, Sout Med J 1985; 78: 1244-7 Porticasa P, Vacca M, Moschetta A, Petruzzelli M, Palasciano G, van Erpecum KJ, Primari sclerosing cholangitis: Updates in diagnosis and therapy, World J Gastroenterol 2005; 11(1): 7-16 Capitolo 6 Due rari casi di artrite reattiva a cura della Dott.ssa Sonia Bracchitta Caso Clinico 1 ANAMNESI 1° paziente: Sig. L.G. – 67 anni ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA Il paziente è giunto alla nostra osservazione per il persistere, da circa 7 anni, di una sintomatologia articolare caratterizzata da dolore intenso, calore, tumefazione e impotenza funzionale a carico delle ginocchia e delle caviglie, prevalentemente di destra. Il paziente fa risalire l’inizio di tali disturbi al 1999. Da questo momento in poi nella sua storia anamnestica sono riportati diversi ricoveri in ambiente ospedaliero che non hanno portato ad una diagnosi definitiva e, quindi, ad una risoluzione della sintomatologia. Un primo ricovero è datato 1999. In tale occasione gli esami di laboratorio hanno documentato un aumento degli indici di flogosi (PCR 8.18 mg/dl, VES 100, Fibrinogeno 615 mg/dl), una leucocitosi neutrofila (GB 12100, Neutr. 80%), un lieve aumento delle transaminasi (GOT 60 UI/L, GPT 62 UI/L) ed una ipergammaglobulinemia policlonale. La ricerca degli autoanticorpi (ANA, ENA, FR, antiDNA nativo) è risultata negativa. Sono stati, inoltre, eseguiti: Rx ginocchio dx, iniziali alterazioni gonartrosiche con segni di osteoporosi dei capi articolari; Scintigrafia ossea, incremento dell’attività osteblastica ai capi articolari del ginocchio dx, della caviglia sx, delle ossa tarsali a carattere aspecifico e di probabile natura artropatica; 189 190 CAPITOLO 6 Artroscopia ginocchio dx, sinovite ipertrofica emorragica e meniscosi esterna del ginocchio dx. Il paziente è stato quindi dimesso con “diagnosi” di: Sinovite villonodulare in paziente con meniscosi esterna del ginocchio destro. Il paziente riferisce inoltre di essere stato ricoverato nel maggio 2005 per la medesima sintomatologia. Gli esami di laboratorio hanno evidenziato un aumento degli indici di flogosi (VES 80, PCR 2,07 mg/dl, Fibr. 484 mg/dl), iperuricemia (7,8 mg/dl), un lieve aumento delle transaminasi (GOT 65 UI/L, GPT 57 UI/L), una lieve iperglicemia (138 mg/dl) ed un’ipergammaglobulinemia policlonale. E’ risultata, inoltre, positiva la ricerca degli anticorpi anti-HCV. Gli esami strumentali hanno evidenziato: Rx piedi, alluce valgo bilaterale, artrosi medio-tarsica bilaterale, esiti di pregressa frattura a carico dell’epifisi distale del I metatarso dx e dell’epifisi prossimale della I falange del I metatarso dx; ecocardiogramma, iniziale dilatazione endocavitaria di ambedue gli atri, ipertrofia ventricolare sx, insufficienza mitralica lieve, insufficienza aortica moderata, insufficienza tricuspidalica lievemoderata; ecografia addominale, fegato normale per dimensioni e profili a impronta fibrotica con assenza di lesioni focali; ecocolordoppler venoso agli arti inferiori, insufficienza venosa profonda. Alla dimissione la “diagnosi” è stata: Ipertensione arteriosa, insufficienza venosa arti inferiori, gotta, alluce valgo bilaterale, artrosi medio-tarsica bilaterale, steatosi epatica, intolleranza agli idrati di carbonio in paziente hcv positivo. ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA 1959: intervento di gastroresezione sec. Billroth II per ulcera duodenale sanguinante 1990: appendicectomia 2003: ernioplastica inguinale sx 191 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA ANAMNESI FISIOLOGICA Nato a termine da parto eutocico, allattamento materno. Non ha espletato il servizio di leva perché figlio di invalido di guerra. Ex fumatore di 10 sig/die per 35 anni, fino a maggio u.s. Beve 2 caffè/die e un bicchiere di vino ai pasti. Alvo tendenzialmente stitico. Diuresi fisiologica. Alimentazione varia per quantità e qualità. ANAMNESI FAMILIARE Padre deceduto a 83 aa per occlusione intestinale. Madre deceduta a 69 aa per cause imprecisate. Ultimo di 5 figli di cui un fratello morto a 85 aa per cause imprecisate, una sorella morta a 80 aa per cause imprecisate, una sorella e un fratello in vita diabetici. ESAME OBIETTIVO ESAME GENERALE Condizioni generali buone. Sensorio integro. Psiche lucida. Facies composita. Decubito indifferente. Respiro eupnoico. Cute e annessi: cute rosea, normo-elastica, sollevabile in pliche di medio spessore. Annessi normodistribuiti per età e sesso. Temperatura cutanea: apiretico. Mucose visibili: rosee, umide, normoirrorate. Cavo orale: lingua umida, protusa in asse. Pannicolo adiposo sottocutaneo: normorappresentato. Apparato osteoarticolare: ginocchio dx tumefatto, caldo e dolente ai movimenti attivi e passivi. Caviglia dx tumefatta, calda e dolente ai movimenti attivi e passivi. Ginocchio sx e caviglia sx lievemente tumefatti e dolorabili. CAPO E COLLO Capo normoconformato e normoatteggiato. Non dolenti né dolorabili i punti di emergenza del V paio di nervi cranici. Globi oculari in asse, pupille isocoriche e isocicliche, normoreagenti alla luce e all’accomodazione. 192 CAPITOLO 6 Collo cilindrico, non dolorabile ai movimenti attivi e passivi di flessoestensione e lateralità. TORACE Torace tronco-conico. Emitoraci simmetrici. Apici in sede, basi mobili. FVT normotrasmesso su tutto l’ambito. SCP su tutto l’ambito. MV fisiologico. CUORE Azione cardiaca ritmica. Toni cardiaci netti. Pause libere. ADDOME Addome lievemente globoso. Presenza di cicatrice piana, ben consolidata in sede xifo-ombelicale. Presenza di cicatrice piana, ben consolidata in fossa iliaca dx. Trattabile alla palpazione superficiale e profonda. TEC come di norma. Peristalsi presente e valida. Fegato e milza: non palpabili. App. urinario: ndr. SISTEMA NERVOSO Nella norma ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI Gli esami di laboratorio eseguiti all’ingresso hanno documentato: Anemia normocromica normocitica (Hb 10,5 gr/dl, GR 3.670.000, MCV 86,1 fL, MCH 30 pg) Iposideremia (34,7 mcg/dl) Ipoferritinemia (23 ng/ml) Ipotransferrinemia (174 mg/dl) Aumento degli indici di flogosi (VES 84, PCR 3,14 mg/dl, fibrinogeno 504 mg/dl) Ipoalbuminemia (3 g/dl) e Ipergammaglobulinemia (28,5 %) Notevole ipereosinofilia (18,7%) 193 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA Sono risultati nella norma i dosaggi dell’acido urico (4,05 mg/dl) e delle transaminasi (GOT 31 U/L, GPT 35,9 U/L). Positiva la ricerca degli anticorpi anti-HCV. EGDS Nulla all’esofago. Giunzione esofago-gastrica in sede. Stomaco resecato ampiamente con anastomosi secondo Billroth II ben pervia e regolare. Diffusa iperemia della mucosa per gastrite cronica attiva. Si raggiunge il bulbo duodenale e si visualizza la papilla che è normale. Si effettuano biopsie ed il prelievo di bile duodenale. RX GINOCCHIA-CAVIGLIE Irregolarità delle spine tibiali, modesta reazione osteofitaria del margine superiore rotuleo più evidente a destra. Note di artrosi tibiotarsica. ECOGRAFIA GINOCCHIA-CAVIGLIE Presenza di lieve versamento articolare a carico dell’articolazione tibio-astragalica e dell’articolazione talo-navicolare. Irregolarità delle superfici articolari di dubbia interpretazione (erosioni?). Presenza di falda fluida peritendinea a carico dei tendini peronieri, come per tenosinovite. A livello della regione inserzionale calcaneare del tendine di Achille, bilateralmente, presenza di calcificazione intratendinea (diam.max cm 0,270 a sx, cm 0,117 a dx). Bilateralmente, presenza di lieve versamento a livello del recesso sottoquadricipitale, con segni di lieve proliferazione sinoviale locale. Riduzione di spessore ed irregolarità della cartilagine articolare femorale, bilateralmente. Irregolarità delle superfici articolari femorale e tibiale, bilateralmente. Il quadro è da riferire, in parte, a presenza di osteofiti ed in parte a fenomeni erosivi. Bilateralmente, ma prevalentemente a sx, aumento di spessore del tendine rotuleo; in corrispondenza della sua regione inserzionale tibiale si rileva un’ipoecogenicità diffusa, un’iperemia locale e la presenza di multiple piccole calcificazioni intratendinee; inoltre, sono evidenti segni di grossolani fenomeni erosivi a livello della superficie tibiale, in corrispondenza dell’inserzione tendinea (ENTESITE). A carico del 194 CAPITOLO 6 poplite presenza bilateralmente, di cisti di Baker comunicante con il cavo articolare (a dx cm 3,52x1,02x1,08 ; a sx cm 3,38x0,481x1,14). Caso Clinico 2 ANAMNESI Sig. B.C. – 64 anni ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA Il paziente, affetto da gotta e ipertensione arteriosa, è giunto alla nostra osservazione per la comparsa, da circa 3 mesi, di una sintomatologia articolare migrante, caratterizzata da dolore intenso, calore, rossore, tumefazione e impotenza funzionale, che interessa, nel seguente ordine, ginocchio destro, caviglia destra, piede destro, piede sinistro e nuovamente piede destro. ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA Riferisce i comuni esantemi dell’infanzia. 1965: puntura di zecca sull’addome 1971: asportazione testicolo destro per tumore benigno 1981: appendicectomia 1982: tonsillectomia 2001: puntura di zecca sulla gamba dx. ANAMNESI FISIOLOGICA Nato a termine da parto eutocico. Allattamento materno. Scolarità medie superiori. Ha espletato il servizio di leva. Ex fumatore di 4-5 sig/die per 23 aa, fino a 20 aa fa. Non beve più alcolici e superalcolici da circa 3 mesi (precedentemente il consumo era moderato). Alvo regolare. Diuresi fisiologica. Alimentazione varia per quantità e qualità. 195 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA ANAMNESI FAMILIARE Madre deceduta a 88 aa per senectus. Padre deceduto a 47 aa per incidente. Secondo di 3 germani di cui un fratello deceduto a 37 aa per incidente, un fratello deceduto a 56 aa per cause imprecisate. 3 figli di 28, 26 e 24 aa in abs. ESAME OBIETTIVO ESAME GENERALE Condizioni generali buone. Sensorio integro. Psiche lucida. Facies composita. Decubito indifferente. Respiro eupnoico. Cute e annessi: cute rosea, normo-elastica, sollevabile in pliche di medio spessore. Annessi normodistribuiti per età e sesso. Temperatura cutanea: apiretico. Mucose visibili: rosee, umide, normoirrorate. Cavo orale: lingua umida, protusa in asse. Pannicolo adiposo sottocutaneo: normo-rappresentato. Apparato osteoarticolare: caviglia dx e piede dx tumefatti, caldi e dolenti ai movimenti attivi e passivi. CAPO E COLLO Capo normoconformato e normoatteggiato. Non dolenti né dolorabili i punti di emergenza del V paio di nervi cranici. Globi oculari in asse, pupille isocoriche e isocicliche, normoreagenti alla luce e all’accomodazione. Collo cilindrico, non dolorabile ai movimenti attivi e passivi di flessoestensione e lateralità. TORACE Torace: tronco-conico. Emitoraci simmetrici. Apici in sede, basi mobili. FVT normotrasmesso su tutto l’ambito. SCP su tutto l’ambito. MV fisiologico. 196 CAPITOLO 6 CUORE E VASI Azione cardiaca ritmica. Toni cardiaci netti. Pause libere. ADDOME Addome lievemente globoso. Trattabile alla palpazione superficiale e profonda. TEC come di norma. Peristalsi presente e valida. Fegato e milza: non palpabili. App. urinario: punti ureterali superiori e medi non dolorabili. Giordano negativo bilateralmente. SISTEMA NERVOSO Non deficit di forza e di sensibilità. ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI Gli esami di laboratorio eseguiti all’ingresso hanno documentato: Leucocitosi neutrofila (GB 11.600, Neutr. 74 %) Aumento degli indici di flogosi (VES 24, PCR 0,85 mg/dl, fibrinogeno 547 mg/dl) Iperuricemia (7,6 mg/dl) Ipertrigliceridemia (186 mg/dl) Aumento delle ß2 (6,6 %) Gli altri valori sono risultati nella norma. ECOCARDIOGRAMMA Ventricolo sx di volume normale con ipertrofia parietale (10 mm) e buona cinesi globale (FE 65%). Atrio sx dilatato (47 mm). Cavità dx normali. Apparati valvolari esenti da alterazioni significative. RX GINOCCHIA-CAVIGLIE-PIEDI Modesti segni di gonartrosi bilateralmente. La rima articolare della caviglia è conservata mentre si osservano segni di artropatia intertarsale. Piccoli speroni calcaneari all’inserzione achillea. A livello dell’unione III prossimale - III medio della diafisi tibiale, bilateralmente, è presente una lesione ossea sclerotica, a margini regolari, che non coinvolge la compatta articolare. Tale lesione è da 197 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA attribuire in prima ipotesi a dismorfismo (turbe di accrescimento? isole di compatta spongiosa?). ECOGRAFIA DELLE CAVIGLIE Presenza di lieve versamento a livello dell’articolazione tibio-tarsica bilateralmente, con segni di proliferazione della membrana sinoviale. Assenza di alterazioni a livello delle strutture tendinee esaminate. RAGIONAMENTO CLINICO ED ITER DIAGNOSTICO Considerando il quadro clinico di entrambi i pazienti, abbiamo preso come sintomi guida il dolore, il calore e il rossore, la tumefazione e l’impotenza funzionale. Prima di formulare delle ipotesi diagnostiche vogliamo ricordare, brevemente, come un corretto approccio clinico-strumentale in pazienti con sintomi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico permetta di effettuare una diagnosi corretta nel 90% dei casi. Di fronte ad un paziente con tali disturbi la prima cosa da valutare è se, effettivamente, i sintomi sono localizzati a livello articolare o extraarticolare. Tra le strutture articolari (membrana sinoviale, liquido sinoviale, cartilagine articolare, legamenti intraarticolari, capsula articolare ed osso juxtaarticolare) particolarmente ricca di fibre algogene risulta essere la capsula articolare; al contrario la cartilagine articolare e la membrana sinoviale sono prive di terminazioni nervose. Tra le strutture extra-articolari quelle che determinano dolore sono i legamenti, le fasce, i tendini, il periostio e l’endostio. (Figura 1 – Articolazione del ginocchio) 198 CAPITOLO 6 Qui di seguito riportiamo una tabella che riassume le principali caratteristiche che permettono di differenziare una patologia articolare da una extra-articolare: SEDE ARTICOLARE EXTRA-ARTICOLARE dolore profondo e/o diffuso localizzato in strutture extraarticolari mobilità ai movimenti attivi e passivi ridotta ad entrambi ridotta solo ai movimenti attivi instabilità presente rara crepitii presenti rari tumefazione presente rara (Tabella 1) I nostri pazienti riferiscono dolore diffuso e riduzione della mobilità ai movimenti attivi e passivi; inoltre, le articolazioni interessate sono tumefatte. Quindi, in entrambi, possiamo confermare l’origine articolare del processo patologico ed escludere patologie peri-articolari come le fratture traumatiche, la fibromialgia, la polimialgia reumatica, le borsiti e le tendiniti. Siamo quindi già in possesso del primo dei numerosi tasselli che nel loro insieme ci permetteranno di effettuare una diagnosi corretta. In un secondo momento ci dobbiamo chiedere se i sintomi perdurano da più (ARTRITE CRONICA) o meno (ARTRITE ACUTA) di 6 settimane. Nel 1° paziente, i sintomi sono comparsi nel 1999, mentre nel 2°, 3 mesi prima del nostro ricovero. In entrambi i casi si parlerà di ARTRITE CRONICA. In tal modo viene scartato il grande capitolo 199 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA delle artriti acute (artriti settiche, fasi iniziali della gotta, della pseudogotta e delle artriti reattive). Ci rimane, quindi, che ragionare sulle artriti croniche e determinare se il processo è di natura infiammatoria o non infiammatoria (degenerativa) sulla base dei dati clinici, strumentali, di laboratorio ottenuti dal sangue e dall’eventuale liquido sinoviale. ARTROPATIE CRONICHE ARTROPATIE CRONICHE FLOGISTICHE NON FLOGISTICHE Gotta, pseudogotta Artrite reumatoide Artrite psoriasica Artriti reattive infettive Artriti reattive asettiche LES Sclerodermia Polimiosite Febbre reumatica Osteoartrosi Osteonecrosi Artropatia di Charcot (Tabella 2) 200 CAPITOLO 6 Qui di seguito, riportiamo delle tabelle riassuntive che ci permettono di differenziare le artropatie flogistiche da quelle degenerative sulla base del differente quadro sintomatologico e di laboratorio: ARTROPATIA FLOGISTICA ARTROPATIA NON FLOGISTICA dolore presente a riposo o durante il movimento presente solo al movimento o in seguito a carico articolare tumefazione presente delle epifisi ossee (se presente) rossore presente assente calore presente assente rigidità mattutina prolungata (>60 minuti) variabile (<60 minuti) sintomi sistemici (fatica, febbre, calo ponderale) frequenti assenti SINTOMI (Tabella 3) LABORATORIO ARTROPATIA FLOGISTICA ARTROPATIA NON FLOGISTICA VES aumentata normale ALBUMINA normale o diminuita normale a 2-GLOBULINE aumentate normale ?- GLOBULINE aumentate (se la flogosi è di natura immunologica) normale LIQUIDO SINOVIALE flogistico normale o infiammatorio (Tabella 4) 201 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA I sintomi guida individuati sono tipici delle artropatie flogistiche. In entrambi i casi clinici, abbiamo un aumento degli indici di flogosi (1° paziente: PCR 3,14 mg/dl, VES 84, fibrinogeno 504 mg/dl; 2° paziente: PCR 0,85 mg/dl, VES 24, fibrinogeno 547 mg/dl). In aggiunta, nel 1° caso abbiamo un’anemia normocromica normocitica (Hb 10,5 gr/dl, GR 3.670.000, MCV 86,1 fL, MCH 30 pg) con iposideremia (34,7 mcg/dl), ipoferritinemia (23 ng/ml) e ipotransferrinemia (174 mg/dl); all’elettroforesi proteica ipoalbuminemia (3 g/dl) e ipergammaglobulinemia (28,5%). Nel 2° caso, è presente una leucocitosi neutrofila (GB 11600, Neutr. 74%). Sia nel 1° che nel 2° paziente, non è stato possibile effettuare il prelievo del liquido sinoviale in quanto insufficiente. Riportiamo, per completezza, le principali alterazioni del liquido sinoviale e le patologie corrispondenti: ESAME DEL LIQUIDO SINOVIALE TIPO GB/mm3 COLORE ASPETTO VISCOSITA’ I <2000 giallo chiaro limpido conservata 2000-5000 giallo chiaro sublimpido moderatamente ridotta 5000-50000 giallo carico torbido ridotta >50000 giallo verdastro opaco variabile non infiammatorio II moderatamente infiammatorio III Francamente infiammatorio IV infettivo (Tabella 5) 202 CAPITOLO 6 Tipo I Tipo II Tipo III Tipo IV non infiammatorio Moderatamente infiammatorio francamente infiammatorio infettivo LES sclerdermia reumatismo articolare acuto sinovite villonodulare pigmentosa AR artrite psoriasica gotta, pseudogotta artriti reattive osteoartrosi osteocondrite osteonecrosi asettica trauma artrite infettiva AR (talvolta) gotta (talvolta) (Tabella 6) ESAME RADIOGRAFICO Anche il quadro strumentale (RX, ecografia) ci permette di effettuare la distinzione tra artropatia flogistica e degenerativa. Nell’artropatia degenerativa riscontriamo: RIDUZIONE SPESSORE DELL’INTERLINEA ARTICOLARE di tipo asimmetrico; OSTEOSCLEROSI SUBCONDRALE, che rappresenta un fenomeno reattivo presente soprattutto nelle zone con alterato carico, dovuta a reazione osteoproduttiva dell’osso subcondrale (soprattutto nell’osteoartrosi secondaria); OSTEOFITI, che rappresentano l’espressione più tipica dell’osteoartrosi. Secondo alcuni rappresentano un tentativo di compensare l’eccessivo carico mediante l’incremento della superficie di contatto; GEODI (CISTI) SUBCONDRALI, dovuti alla penetrazione di liquido sinoviale nella spongiosa ossea attraverso le discontinuità presenti nella cartilagine patologica. 203 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA (Figura 2 - Riduzione spessore dell’interlinea articolare) (Figura 3 – Osteofiti) 204 CAPITOLO 6 Nell’artropatia flogistica riscontriamo: EROSIONE, segno di reumatismo infiammatorio cronico, provocata da perdita di osso subcondrale o subperiostale in sede intra o iuxtaarticolare; RIDUZIONE SPESSORE DELL’INTERLINEA ARTICOLARE, che interessa tipicamente tutta l’interlinea (riduzione simmetrica). Al contrario nelle forme degenerative la riduzione è asimmetrica (criterio di distinzione); ISPESSIMENTO PARTI MOLLI PERIARTICOLARI, che può essere dovuto ad un aumento del contenuto endoarticolare (VERSAMENTO, PANNO SINOVIALE) o extra-articolare (noduli, tofi); OSTEOPOROSI JUXTA-ARTICOLARE di tipo distrettuale, che è provocata da un aumentato turnover dell’osso conseguente alla flogosi sinoviale; CALCIFICAZIONI E/O OSSIFICAZIONI DI TENDINI E LEGAMENTI, tipiche delle spondiloartriti sieronegative. Si trovano spesso in sede di entesi (ENTESITI), struttura specializzata dove legamenti e tendini si inseriscono sull’osso. Se l’ossificazione legamentosa si trova a livello paravertebrale si parla di SINDESMOFITI. (Figura 4 – Erosione) 205 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA IPOTESI DIAGNOSTICHE NEI DUE PAZIENTI Prestando attenzione agli esami strumentali dei nostri pazienti, possiamo notare come nel 1° siano presenti erosioni, calcificazioni, versamento e proliferazione sinoviale, nel 2° versamento e proliferazione. Ciò ci indirizza verso una patologia articolare infiammatoria. Alla luce di quanto esposto, possiamo affermare che, sia nel 1° che nel 2° caso, ci troviamo di fronte ad un processo patologico di natura infiammatoria con interessamento poliarticolare. In particolare, nel 1° paziente, si tratta di una poliartrite (>3 articolazioni) infiammatoria prevalentemente simmetrica, mentre nel 2°, di una poliartrite infiammatoria asimmetrica. Sono presenti, altresì, alterazioni caratteristiche delle artropatie degenerative (1° paziente: osteofiti, note di artrosi; 2° paziente: segni di gonartrosi, piccoli speroni calcaneari) ma così modesti da non giustificare il quadro clinico. Poliartriti SIMMETRICHE Artrite Reumatoide LES Sclerodermia Polimiosite Gotta, Pseudogotta Artriti reattive asettiche Artriti reattive infettive ASIMMETRICHE Artrite psoriasica Artriti reattive asettiche Artriti reattive infettive (Tabella 7) Nel primo paziente, essendo presente in anamnesi una diagnosi di gotta ed essendo positivi gli anticorpi anti-HCV, abbiamo optato per le seguenti due ipotesi diagnostiche: ♦ Artrite Reattiva ad HCV ♦ Attacco acuto di Gotta 206 CAPITOLO 6 Nel secondo paziente, avendo riportato in anamnesi una puntura di zecca nel 2001 ed avendo riscontrato valori elevati di acido urico, abbiamo formulato le seguenti ipotesi: ♦ Attacco acuto di Gotta (anche se simmetrica); ♦ Malattia di Lyme. Gotta La gotta è un’artrite infiammatoria indotta da microcristalli di urato monosodico monoidrato (UMS) che si depositano sottoforma di aggregati in vari organi e tessuti. La storia naturale della gotta evolve attraverso 4 stadi: 1. Iperuricemia asintomatica; 2. Episodi ricorrenti di artrite acuta; 3. Periodi intercritici; 4. Gotta cronica tofacea con poliartrite e nefropatia. L’iperuricemia asintomatica è una condizione, sia primitiva che secondaria, caratterizzata da valori plasmatici di acido urico maggiori di 7 mg/dl (v.n. uomo 5-6 mg/dl, donna 4-5 mg/dl), con rischio di precipitazione di urati nelle articolazioni e nei tessuti. Iperuricemia e gotta non sono sinonimi, in quanto la prima non determina necessariamente la seconda. Il pool miscibile di acido urico, pari a 1000 mg, presenta un ricambio ogni 24 ore. Le entrate sono rappresentate dalle purine alimentari (200 mg), dalla sintesi endogina (700 mg) e dal catabolismo degli acidi nucleici tessutali (100 mg). Le uscite sono rappresentate dall’eliminazione intestinale (100-200 mg) e dalla escrezione urinaria che, nelle 24 ore, è pari a 300-600 mg dopo 3 giorni di dieta povera di purine o a circa 600-900 mg con una dieta normale. Pertanto, l’iperuricemia può essere dovuta sia ad un’aumentata sintesi di acido urico sia ad una diminuita escrezione dello stesso. Iperuricemie di notevole grado sono in genere dovute a una diminuita clearance renale degli urati, specialmente in quei pazienti in terapia 207 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA diuretica da molto tempo e in quelli con una malattia renale che fa abbassare il VFG. Un’aumentata sintesi di purine può verificarsi come patologia primaria oppure può essere secondaria ad un aumentato turnover delle nucleoproteine come accade nelle malattie ematologiche (ad esempio: linfoma, leucemia o anemia emolitica) o in tutte quelle situazioni in cui vi è un aumentato indice di proliferazione e morte cellulare (ad esempio: psoriasi). Il motivo dell’aumentata sintesi di acido urico ex novo è sconosciuto nella maggior parte dei casi di gotta, ma una piccola parte è attribuibile ad un deficit dell’ipoxantina-guanina fosforibosil-transferasi o a un’aumentata attività della fosforibosilsintetasi. La prima anomalia enzimatica è associata a urolitiasi, nefropatia e grave gotta nella prima infanzia; inoltre, in caso di deficit completo, sono presenti alterazioni neurologiche come coreatetosi, spasticità, ritardo mentale e atteggiamenti automutilanti (sindrome di Lesch-Nyhan). Anche le purine assunte con la dieta influiscono sui livelli sierici di acido urico. Un notevole aumento di acido urico spesso segue un pasto abbondante di cibi ricchi di purine, specialmente se accompagnato da bevande alcoliche. L’etanolo induce sia l’aumento del catabolismo del nucleotide nel fegato, sia un aumento della formazione di acido lattico che, come altri acidi organici, blocca la secrezione di urati da parte dei tubuli renali. Tuttavia, una dieta povera di purine abbassa i livelli basali di uricemia solo di 1 mg/dl. CLASSIFICAZIONE IPERURICEMIE 1. Primarie (30%) I.Da difetti molecolari indefiniti (idiopatiche) Escrezione urinaria ridotta (90%) Escrezione urinaria aumentata (10%) II.Associate a difetti enzimatici (<1%) A. Aumento attività PRPP sintetasi (X-linked) B. Deficit parziale HGPRT (s. Kelley-Seegmiller) 2. Secondarie (70%) I.Da iperproduzione di ac. urico 208 CAPITOLO 6 A. B. Deficit completo di HGPRT (s. Lesch Nyhan) Aumento turnover ac. nucleici Aumento degradazione ATP II.Da ridotta escrezione renale A. Nefropatie croniche (? filtrazione glomerulare) B. Farmaci (diuretici, salicilati: ? secrezione tubulare) C. Acidosi metabolica (? secrezione tubulare) L’artrite gottosa acuta si presenta normalmente all’improvviso. Può essere precipitata da micro traumi, da un eccesso di cibo ricco di purine o di alcol, dalla fatica o da un intervento chirurgico. Il dolore mono- o meno spesso poliarticolare acuto, prevalentemente notturno, è generalmente il primo sintomo. Il dolore diventa progressivamente più grave ed è spesso insopportabile. I segni clinici somigliano a quelli di un’infezione acuta con calore, rossore, tumefazione e dolore vivo. La cute sovrastante è tesa, calda, lucida e di colore rosso porpora. L’articolazione metatarso falangea dell’alluce è in genere coinvolta (podagra), ma l’arco plantare, la caviglia, il ginocchio, il polso e il gomito sono anche sedi comuni. Possono verificarsi febbre, tachicardia, brividi, malessere e lecocitosi. 209 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA Patogenesi dell’attacco acuto deposito dei cristalli di UMS nei tessuti ? chemiotassi dei neutrofili ? fagocitosi dei cristalli ? lisi dei leucociti ? rilascio di citochine ? INFIAMMAZIONE Le caratteristiche cliniche di un’artrite gottosa acuta sono talmente distintive che si può abitualmente fare diagnosi in base all’anamnesi e all’esame obiettivo. Un’uricemia elevata (>7mg/dl) rafforza la diagnosi ma non è specifica. Circa il 30% dei pazienti ha un normale livello di urati sierici al momento dell’attacco acuto. La dimostrazione, attraverso il microscopio a luce polarizzata, della presenza di cristalli di urato nel tessuto o nel liquido sinoviale, liberi nel liquido o inglobati dai fagociti, è patognomonica. Tali cristalli presentano una particolare luminosità (birifrangenza), hanno una caratteristica forma ad ago (lungh. 2-40 μm, spesso di dimensioni superiori fino a 2-3 volte il diametro del globulo bianco). I globuli bianchi possono contenere i cristalli più piccoli al loro interno oppure possono ritrovarsi “infilzati” dai cristalli più lunghi. 210 CAPITOLO 6 Una rapida risposta, spesso, fa seguito entro 24 ore alla terapia con colchicina. Comunque, non tutti gli episodi acuti gottosi rispondono così sensibilmente, mentre una risposta rapida si verifica nella pseudogotta, nella tendinite calcifica o in altre condizioni, cosicché questo test diagnostico è divenuto obsoleto. I primi rari attacchi, generalmente, colpiscono una singola articolazione e durano solo diversi giorni, ma quelli successivi, se non trattati, possono colpire diverse articolazioni simultaneamente o sequenzialmente e durare settimane. I sintomi e i segni locali, infine, regrediscono e la funzione articolare torna normale. Gli intervalli asintomatici tra gli attacchi acuti di artrite gottosa variano notevolmente, ma tendono a essere più brevi col progredire della malattia. Senza un’adeguata profilassi possono verificarsi, nel corso di un anno, numerosi attacchi e svilupparsi sintomi articolari cronici (gotta cronica tofacea) con deformazione erosiva permanente delle articolazioni. La limitazione dei movimenti interessa numerose articolazioni delle mani e dei piedi, anche contemporaneamente; di rado vengono coinvolte le spalle, le articolazioni sacroiliache e le sternoclaveari o della colonna cervicale. Depositi di urato sono frequenti nelle pareti delle borse sierose e nelle guaine tendinee. I tofi, aggregati di cristalli di UMS, inizialmente interessano l’elice del padiglione auricolare, i gomiti, il tallone; in seguito anche le mani e i piedi. Le dimensioni vanno da quelle di una capocchia di spillo a quelle di un’arancia, con consistenza per lo più dura, ma talora molliccia e con tendenza all’ulcerazione e alla fuoriuscita di materiale biancastro. Sono abbastanza grandi da poter essere prima documentati radiologicamente come lesioni “a stampo” dell’articolazione e più tardi da poter essere visti o sentiti alla palpazione come noduli sottocutanei. Nella malattia cronica grave, i cristalli di UMS possono depositarsi in vari parenchimi, tra cui il rene, determinando nefrolitiasi, nefropatia uratica (dovuta alla deposizione dei cristalli di UMS nell’interstizio) e nefropatia da acido urico (rara, si verifica quasi esclusivamente in pazienti sottoposti a dosi elevate di chemioterapici. Rappresenta una forma reversibile di insufficienza renale acuta causata dalla precipitazione dei cristalli nei tubuli, nei dotti collettori, nella pelvi e negli ureteri, ostacolando, così, il flusso urinario). 211 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA La terapia dell’iperuricemia-gotta è riassunta nella seguente tabella: STADIO IPERURICEMIA ASINTOMATICA ARTR. ACUTA GOTTOSA GOTTA INTERCRITICA GOTTA TOFACEA OBIETTIVO TERAPIA evitare sovrasaturazione ac. urico dieta/idratazione ipouricemizzanti (ac. urico>10-13 mg/dl) risolvere prontamente l’attacco FANS colchicina prevenire la recidiva dell’attacco ipouricemizzanti FANS dieta/idratazione eliminare i tofi correggere complicanze d’organo ipouricemizzanti dieta/idratazione trattamento complicanze (Tabella 8) La diagnosi di gotta nei nostri pazienti non può essere confermata per la mancata dimostrazione dei cristalli di UMS nel liquido sinoviale e per la presenza di altri motivi potenzialmente responsabili di artrite. Artriti Reattive Nel 1916 l’osservazione di Hans Reiter che descrisse la comparsa di poliartrite, congiuntivite ed uretrite in un giovane uomo sofferente per diarrea sanguinolenta, inaugurò il capitolo delle artriti connesse ad episodi infettivi localizzati in regioni corporee distanti dalle articolazioni. Il termine di artrite reattiva venne, invece, introdotto circa trenta anni or sono da Ahvonen per indicare un’artrite non suppurativa, conseguente ad un’infezione intestinale da Yersinia 212 CAPITOLO 6 enterocolitica, sviluppatasi grazie ad un supposto meccanismo patogenetico immuno-mediato. Con il passare del tempo, la stessa definizione fu impiegata per identificare quadri flogistici articolari che facevano seguito (dopo un periodo di una o poche settimane) ad infezioni determinate anche da altri germi (localizzati prevalentemente a livello genito-urinario o intestinale). Permaneva, comunque, l’obbligo che tali forme mantenessero le caratteristiche di sterilità del liquido sinoviale (artrite asettica). Recentemente, grazie allo sviluppo di tecniche diagnostiche sempre più raffinate come la PCR e la PCR INVERSA, all’interno delle articolazioni colpite da flogosi sono stati riscontrati sia componenti microbiche che germi vivi (seppur non coltivabili). Alla luce delle nuove conoscenze, è stata introdotta una nuova e più completa definizione di artriti reattive e cioè artropatie infiammatorie che fanno seguito (da 1 a 3 settimane) ad infezioni determinate da germi (batteri, virus, miceti, parassiti) localizzati a distanza e nel cui liquido sinoviale possono essere identificati germi interi (seppure non coltivabili) o solamente loro parti (DNA, RNA, Ag vari). Alcuni autori, inoltre, individuano 2 forme di artriti reattive: ♦ Artriti Reattive Infettive, provocate da microrganismi a crescita lenta, con virulenza attenuata (al contrario di quelli che provocano l’artrite asettica), molto difficili da coltivare (non identificabili con i comuni metodi microbiologici). Tali microbi (ad esempio, CHLAMIDIA, MYCOPLASMA, BORRELIA), provenienti da un focolaio infettivo distante, entrano nella cavità articolare durante la batteriemia o attraverso i monociti e possono sopravvivere in piccoli numeri, in uno stato vegetativo, con periodi intermittenti di replicazione. ♦ Artriti Reattive Asettiche, provocate dalla persistenza di antigeni microbici (LPS, proteine dello shock termico, frammenti di DNA e RNA) che determinano l’insorgenza della reazione infiammatoria articolare (ad esempio, YERSINIE, SALMONELLE). L’ipotesi più accreditata è che questi batteri sopravvivano in un luogo extra-articolare (ad esempio, mucose e linfonodi del tratto digestivo) e che i loro antigeni vengano veicolati, ricorrentemente, dai monociti nelle articolazioni dove possono persistere anche per periodi molto lunghi. 213 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA In entrambi i casi, l’infezione a distanza innescante il processo patogenico conserva la sua importanza come luogo di provenienza dei germi o di loro parti antigeniche artritogene, trasportate nel torrente ematico all’interno di cellule fagocitiche quali neutrofili e monociti o come componenti di immunocomplessi. Pertanto, sembrano diventare sempre più indistinti i confini tra Artriti propriamente Infettive e Artriti Reattive (sia infettive che asettiche), sebbene si ritenga ancora che termini quali artrite infettiva, settica, purulenta o suppurativa debbano rimanere riservati alle forme in cui sia possibile ottenere una coltura batterica dal liquido sinoviale. I microrganismi che, nel corso del tempo, sono apparsi maggiormente implicati nella genesi delle artriti reattive sono Chlamidia trachomatis, Yersinia enterocolitica, Salmonella enteritidis, Shigella flexeneri e Campylobacter jejuni ma ne vengono aggiunti sempre di nuovi. AGENTI ARTRITOGENI VECCHI Chlamidia trachomatis Ureaplasma urealyticum Yersinia enterocolitica Yersinia pseudotubercolosis Shigella flexneri Shigella sonnei Salmonella typhimurium Salmonella enteritidis Campylobacter jejuni NUOVI Chlamidia pneumoniae Mycoplasma hominis Neisseriae gonorrhoeae Borrelia burgdorferi Clostridium difficile Helicobacter pylori Escherichia coli Streptococchi ß-emolitici Brucella abortus Leptospira Gardnerella vaginalis PARASSITI VIRUS (HBV, HCV) (Tabella 9) 214 CAPITOLO 6 Le artriti reattive possono essere, inoltre, suddivise in 2 gruppi, ARTRITI RETTIVE TIPICHE e ARTRITI REATTIVE ATIPICHE, sulla base della presenza o meno dell’antigene di istocompatibilità HLA-B27. RUOLO DELL’HLA-B27 AGENTI ASSOCIATI AD HLA-B27 Chlamydia trachomatis Yersinia enterocolitica Yersinia pseudotubercolosis Salmonella typhimurium Salmonella enteritidis Shigella flexneri e sonnei Campylobacter jejuni Clostridium difficile AGENTI NON ASSOCIATI AD HLA-B27 Ureaplasma urealyticum Neisseria gonorrhoea Streptococco ß-emolitico Borrelia burgdorferi Brucella abortus e mellitensis Parassiti Virus (HBV, HCV) (Tabella 10) Le artriti del primo gruppo tendono ad interessare le grandi e piccole articolazioni dagli arti inferiori in maniera simmetrica, ad avere un decorso di tipo sostitutivo con rapida successione ad intervalli variabili da pochi giorni a 2 settimane, a presentare frequenti localizzazioni entesitiche (tendine di Achille, ginocchio, fascia plantare ed estensore lungo dell’alluce). Le artriti reattive atipiche, più rare delle prime, si manifestano come poliartrite simmetrica o asimmetrica con interessamento prevalente delle ginocchia. Non esistono pareri uniformi sui test da utilizzare per l’identificazione dei germi innescanti le artriti reattive. La PCR e la PCR INVERSA vengono utilizzate per la ricerca del genoma dell’agente artritogeno nel liquido sinoviale. 215 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA Artrite da Hcv Tra i numerosi virus capaci di determinare artrite reattiva, troviamo il virus dell’epatite C. L’infezione da HCV è spesso associata a manifestazioni extra-epatiche, tra le quali molto frequente è l’artrite (presente nel 20% degli individui infetti). Tale artrite può essere provocata da un’invasione diretta del virus della cavità articolare (artrite reattiva infettiva), oppure da immunocomplessi in soggetti geneticamente predisposti (ARTRITE REATTIVA ASETTICA) oppure può far parte della sindrome da crioglobulinemia mista. Dal punto di vista clinico, si manifesta come una poliartrite infiammatoria simmetrica delle piccole articolazioni oppure come una mono-oligoartrite delle grandi articolazioni. La diagnosi di artrite reattiva ad HCV viene posta con l’ausilio di: anticorpi anti-HCV, HCV RNA qualitativo e quantitativo, immunocomplessi circolanti, crioglobuline, PCR con ricerca del genoma virale nel liquido sinoviale, escludendo altre cause di poliartrite infiammatoria simmetrica (ricerca di micro cristalli nel liquido sinoviale, ricerca di autoanticorpi come FR, ANA, ENA, antiSM, anti DNA nativo, anti-citrullina). Nel 1° paziente, essendo positiva la ricerca degli anticorpi anti-HCV, abbiamo effettuato: – HCV-RNA PCR: positivo; – HCV-RNA QUALITATIVO: 2°/2c; – HCV-RNA QUANTITATIVO: 7.378.246 gen/ml. Gli immunocomplessi circolanti e le crioglobuline sono risultati negativi. Non è stato possibile effettuare il prelievo del liquido sinoviale in quanto insufficiente. Pertanto, non possiamo attribuire all’HCV, con sicurezza, la responsabilità nella genesi di questa artrite. Durante il ricovero, il riscontro di una notevole ipereosinofilia ci ha indotto a effettuare l’esame parassitologico delle feci che ha documentato la presenza di una piccola ameba: ENDOLIMAX NANA. A questo punto, ci siamo chiesti se tale parassita potesse essere responsabile della sintomatologia artralgica. 216 CAPITOLO 6 Artriti da Parassiti Le artriti da parassiti sono dei processi flogistici che interessano le strutture articolari, estremamente rari, dovuti a FILARIA, GIARDIA, SCHISTOSOMA, TOXOCARA CANIS, TAENIA SAGINATA. Il parassita provoca la lesione attraverso vari meccanismi: ♦ danno diretto (artrite reattiva infettiva) per localizzazione, nelle articolazioni dell’agente patogeno che vi giunge attraverso i vasi sanguigni o linfatici; ♦ immunocomplessi o reazione immunologica (artrite reattiva asettica) legata all’infestazione. ENDOLIMAX NANA, considerata da sempre un semplice commensale dell’intestino umano, è una delle più piccole amebe (6-12 μm), con una prevalenza nel mondo vicina al 15%. Nel suo ciclo si distinguono 2 fasi: TROFOZOITI, (8-10 μm) compaiono nelle feci più frequentemente delle cisti. Si muovono attraverso pseudopodi. CISTI, (6-8 μm) rotonde od ovali, spesso si presentano con 4 nuclei, raramente 5-8 nuclei, con un cariosoma eccentrico e compatto. (Figura 9 – Endolimax nana) Recenti studi affermano che può provocare diarrea, dolori addominali, orticaria e artrite. 217 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA In letteratura è riportato un singolo case report di artrite provocata da tale parassita. Viene riportato il caso di un veterano della guerra del Vietnam di 38 aa che presentava episodi intermittenti, della durata di settimane, di poliartrite simmetrica coinvolgente le piccole articolazioni delle mani e dei polsi. A questi episodi si associavano rigidità mattutina e positività al FR. Inoltre, il pz lamentava diarrea cronica, ematochezia e dolorabilità all’ipocondrio dx. L’esame obiettivo dimostrava sinovite a livello delle articolazioni interessate e confermava la lieve dolorabilità all’ipocondrio dx. EMOCROMO: nella norma (EOS 5%) VES: 33 FR: positivo GOT: 94 GPT: 38 HBV: negativo RX POLSI E MANI: nella norma ESAME COLTURALE FECI: documentava la presenza di numerosi trofozoiti e rare cisti di ENDOLIMAX NANA. ECOGRAFIA FEGATO E COLECISTI: nella norma COLONSCOPIA: (eseguita fino a metà del colon ascendente) non mostrava segni di colite amebica. BIOPSIA FEGATO: evidenziava moderata infiammazione delle vie biliari intraepatiche ed epatite cronica persistente. Il pz. iniziava, pertanto, terapia con METRONIDAZOLO (750 mg 3 volte/die). Dopo 7 giorni di terapia i sintomi articolari, il dolore addominale e la diarrea scomparirono. L’esame colturale delle feci, ripetuto più volte, risultò negativo per la ricerca di ENDOLIMAX NANA. La diagnosi di artrite provocata da parassiti si basa sull’esame parassitologico delle feci, sugli immunocomplessi circolanti e sulla PCR con ricerca del germe nel liquido sinoviale. Nel 1° caso, l’unico dato presente è la positività dell’esame parassitologico delle feci. Tuttavia, il paziente è stato trattato con METRONIDAZOLO (500 mg x 3/die) che ha determinato un notevole miglioramento della sintomatologia (diagnosi ex adiuvantibus). Nel 2° paziente, essendo riportata in anamnesi una puntura di zecca nel 2001, è stata presa in considerazione la malattia di Lyme. 218 CAPITOLO 6 Malattia di Lyme FISIOPATOLOGIA La malattia di Lyme è un’infezione causata dalla spirocheta BORRELIA BURGDORFERI, bacillo spiraloide (20-30x 0.2-0.3μm), Gram-, microaerofilo, flagellato, appartenente alla famiglia delle Treponemataceae, ordine Spirochetales. (Fig. 10 – Borrelia Burgdorferi) E’ stata identificata nel 1975 per il verificarsi, in tempi ravvicinati, di un gruppo di casi nella città di Lyme, nel Connecticut. Da allora è stata notificata in 49 stati degli USA, anche se oltre il 90% dei casi si verifica tra il Massachussetts e il Maryland, nel Wisconsin e nel Minnesota, in California e nell'Oregon. Per diversi anni la malattia di Lyme è stata la malattia trasmessa con morso di zecca più diffusa negli USA. La malattia di Lyme si verifica anche in Europa, nei paesi dell'ex URSS, in Cina e in Giappone. L'esordio si verifica generalmente in estate e all'inizio dell'autunno. Sono colpite persone di ogni età e di entrambi i sessi che effettuano attività di escursionismo, di campeggio o di caccia e con la residenza in aree rurali e boschive. Gli antigeni principali della Borrelia sono: 219 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA – – – – – OSP A (proteina della superficie esterna A) (30 kD): protegge la Borrelia sia dall’azione delle proteasi presenti nell’intestino tenue della zecca sia dall’azione litica del Complemento dell’ospite; OSP B (proteina della superficie esterna B) (34 kD); OSP C (proteina della superficie esterna C): responsabile della disseminazione della malattia a distanza in quanto permette l’adesione del batterio alla proteine della matrice extracellulare, alle integrine ed ai glicosamminoglicani; PROTEINA FLAGELLARE (41 kD); LPS (endotossina). 220 CAPITOLO 6 Tale microrganismo viene trasmesso con la puntura di zecche del genere IXODES (IXODES SCAPULARIS, Stati Uniti centrali ed orientali; IXODES PACIFICUS, Stati Uniti occidentali; IXODES PERSULCATUS, Asia; IXODES RICINUS, Europa). CLINICA Il quadro clinico evolve attraverso 2 fasi : – FASE PRECOCE, che comprende un’infezione localizzata (I stadio) ed un’infezione disseminata (II stadio), la cui patogenesi sembra essere legata all’azione diretta della Borrelia; – FASE TARDIVA (III stadio o infezione persistente). Durante tale periodo, le diverse manifestazioni cliniche sembrano essere innescate, più che dall’azione diretta del batterio, da una RISPOSTA AUTOIMMUNE scatenata da Ag della Borrelia basata sul MIMETISMO MOLECOLARE. In condizioni normali, LFA-1(Ag 1 associato ai leucociti), un’integrina espressa sulla superficie di linfociti, monociti, PMN, e presentato dalle APC ai linfociti T tramite molecole HLA di classe II viene ignorato dal sistema immunitario (TOLLERANZA IMMUNITARIA VERSO IL SELF). L‘omologia tra l’antigene della Borrelia OSP-A e LFA1, nei soggetti predisposti geneticamente (HLADR4), può determinare una reazione autoimmunitaria nei confronti di LFA1 e quindi innescare un’artrite autoimmune. I STADIO (infezione localizzata): caratterizzato dalla localizzazione della Borrelia nella cute. Si manifesta con il caratteristico eritema cronico migrante, linfoadenopatie e sintomi generali modesti. L’eritema cronico migrante all’inizio è costituito da una piccola maculopapula eritematosa che, poi, si estende (dai 3 ai 68 cm) fino a formare una vasta lesione anulare a bordi tenuemente rilevati. Al centro si nota, spesso, un’area indurita di colorito rosso acceso, o invece francamente vescicolosa o anche necrotica (nerastra). All’interno dell’area eritematosa originaria, in seguito, si possono rinvenire altre, sempre di morfologia anulare. Queste manifestazioni cutanee sono calde al termotatto, ma di regola non dolenti quindi possono sfuggire facilmente. Le sedi più frequenti sono cosce, inguine e ascelle, tronco. Compare da 3 a 32 giorni dopo il morso della zecca e permane per alcune settimane. E’il principale indicatore clinico 221 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA della malattia. Spesso può risultare come un’infezione localizzata indolente e quindi può rimanere misconosciuta. (Fig. 12 – Eritema cronico migrante) Nel II STADIO (infezione disseminata), caratterizzato dalla disseminazione delle Borrelie attraverso il sangue, vengono interessati diversi organi: Sistema nervoso (15% dei pz.): – meningoencefalite a liquor limpido (pleiocitosi liquorale linfocitaria, circa 100 cell/mm3, con glicorrachia normale e iperproteinorrachia) – paralisi di Bell (paralisi dei nervi cranici, anche bilaterale, soprattutto del Facciale) – polineurite periferica. L’interessamento neurologico dura diversi mesi ma tende a risolversi completamente. Cuore (8-10% dei pz.): – blocco atrioventricolare (vari gradi di blocco AV) – miopericardite – lieve disfunzione ventricolare sx – cardiomegalia (rara). L’interessamento cardiaco è di solito breve (3 gg/6 settimane). 222 CAPITOLO 6 Cute: – eritemi secondari (chiazze eritematose di morfologia anulare che rassomigliano all’eritema cronico migrante, ma sono di solito più piccole, migrano meno e non presentano centri induriti.) – eritema diffuso orticarioide. Apparato muscolo-scheletrico: – dolore migrante alle articolazioni, ai tendini, osseo o ai muscoli – brevi attacchi artritici. Sist. linfatico: linfoadenopatia regionale o diffusa. Occhi: irite, coroidite. Fegato: epatite lieve, ricorrente. Rene: ematuria microscopica, proteinuria. Vie aeree: faringodinia, tosse. Sintomi generali: malessere e stanchezza di grado rilevante. III STADIO (infezione persistente): In questo stadio i sintomi sono a carico principalmente di: Apparato muscolo-scheletrico: – artrite intermittente oligoarticolare asimmetrica che interessa soprattutto le articolazioni maggiori e, in minor misura, le piccole articolazioni; – artrite cronica delle articolazioni maggiori che interessa una o entrambe le ginocchia e che, nei soggetti predisposti geneticamente, porta l’erosione della cartilagine e dell’osso. Sistema nervoso: – encefalopatia subdola che colpisce la memoria, il sonno ed il tono dell’umore; – encefalomielite (rara) che si manifesta con paraparesi spastica, disfunzione vescicale, lesioni a livello della sost. bianca periventricolare (ricorda il decorso della neurosifilide terziaria); 223 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA – polineuropatia assonale (parestesie distali, dolore radicolare spinale). Cute: acrodermite cronica atrofizzante (+++ donne anziane) caratterizzata da lesioni cutanee localizzate a livello della superficie acrale delle braccia e delle gambe, di colorazione rosso-violacea che con il passare del tempo diventano sclerotiche o atrofiche. DIAGNOSI La diagnosi di malattia di LYME si basa sul riconoscimento delle caratteristiche della malattia in un paziente con storia di possibile esposizione all’agente causale, su test sierologici con ricerca degli anticorpi specifici (ELISA, WESTERN BLOT), sulla coltura della Borrelia nel terreno di Barbour-Stoenner-Kelly, che spesso risulta risolutiva nelle biopsia delle lesioni cutanee ma che riesce di rado nel materiale prelevato da altre sedi e sulla identificazione tramite PCR del DNA spirochetale nel materiale prelevato (buoni risultati si ottengono dal liquido sinoviale). TERAPIA In caso di artrite, eritema cronico migrante, acrodermite, blocco A-V di I e II grado e di paralisi isolata del nervo facciale, la terapia è la seguente: 1° scelta età> 12 aa, no gravidanza ? DOXICICLINA 100 mg 2 volte/die/OS età<12 aa ? AMOXICILLINA 50 mg/kg/die/OS 2° scelta AMOXICILLINA 500 mg 3 volte/die/OS (adulti) 3° scelta CEFUROXIMA AXETILE 500 mg 2 volte/die/OS (tutte le età) 4° scelta ERITROMICINA 250 mg 4 volte/die/OS (tutte le età) 224 CAPITOLO 6 La durata della terapia orale è di 20 giorni in caso di eritema cronico migrante, 30 giorni in caso di acrodermite e infezione disseminata precoce e 30-60 giorni in caso di artrite. Nella meningite, nell’encefalopatia, nella polineuropatia e nel blocco A-V di III grado, la terapia è la seguente: 1° scelta CEFTRIAXONE 2 g/die/EV 2° scelta CEFOTAXIMA 2 g ogni 8 h/EV 3° scelta PENICILLINA G 5 milioni di U ogni 6 h/EV. Sia in caso di interessamento neurologico che cardiaco, la terapia dovrà essere proseguita per 30 giorni. Quando il paziente non presenta più blocco A-V di grado elevato, si può passare alla terapia per OS. Nelle fasi avanzate della malattia, in soggetti predisposti geneticamente, si può avere una resistenza alla terapia antibiotica che, pertanto, dovrà essere interrotta e sostituita con una terapia immunosoppressiva. Nel nostro 2° paziente la ricerca degli anticorpi anti Borrelia è risultata positiva (ELISA, IgG 99 U/mL, IMMUNOBLOT IgG positivo). Anche in questo caso non è stato possibile prelevare liquido sinoviale. Il paziente è stato trattato con DOXICICLINA (100 mg 2 volte/die/OS) per 21 giorni. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE In entrambi i pazienti una valutazione superficiale dei dati ottenuti durante il ricovero e la presenza in anamnesi di una storia di iperuricemia, poteva indirizzare verso una diagnosi di gotta. Inoltre, 225 DUE RARI CASI DI ARTRITE REATTIVA tale diagnosi, anche se possibile, non poteva essere confermata sia per la mancata dimostrazione dei cristalli di UMS nel liquido sinoviale ma anche per la presenza di altri motivi potenzialmente responsabili di artrite. Nel 1° caso clinico abbiamo riscontrato sia un’infezione da HCV che da Endolimax Nana ma anche questa volta non confermabili in quanto mancanti i dati per la diagnosi di certezza. Il paziente ha però presentato un miglioramento del quadro clinico dopo terapia con metronidazolo (diagnosi ex adiuvantibus di artrite da Endolimax Nana?). Nel 2° caso clinico la positività degli anticorpi contro la Borrelia Burgdorferi ha consentito di effettuare la diagnosi di malattia di Lyme. BIBLIOGRAFIA Toivanen A. Toivanen P., Reactive arthritis. Curr Opin, Rheumatol 2000 ; 12: 300-5. Kuipers JG, Kohler L., Zeidler JJ, Reactive or intectious arthritis, Ann Rheum Dis 1999; 58:661-4. Schumacher JJR jr, Reactive arthritis, Rheum Dis Clin North Am 1998; 24:261-73. Toivanen A. Toivanen P., Two forms of reactive arthritis?, Ann Rheum Dis 1999; 58:737-41. Sieper J. et al., Problems and advances in the diagnosis of reactive arthritis, J Rheumatol 1999; 26:1222-24. Pacheco – Tena C. et al., A proposal for the classification of patients for clinical and experimental studies on reactive arthritis, J Rheumatol 1999; 26: 1338-46. Wormser JP, Clinical practice. Early Lyme disease, J Med 2006; 29: 2794-801. Aguero et al., Diagnosis of Lyme Borrelliosis, Clin Microbiol Rev 2005 ; 18: 484-509. Todesco – Gamberi, Malattie reumatiche, terza ed., McGrawHill 2002. Harrison, Principi di Medicina Interna, prima ed. it. della quattordicesima. Cecil, Trattato di Medicina Interna, ventesima ed., Verducci editore. Capitolo 7 Una febbre esotica a cura del dott. Marco Barucco ANAMNESI ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA La paziente è una donna, di 36 anni, giunta alla nostra osservazione per la comparsa di una lesione bottonosa non dolente né pruriginosa al livello del quadrante addominale inferiore sinistro. Tale lesione, nei due giorni successivi è diventata dolente alla palpazione. La lesione è stata accompagnata dalla comparsa di febbre elevata (39°c). Insieme alla febbre compariva anche una tumefazione dolente in sede inguinale. La paziente, inoltre, riferiva un viaggio in Africa una settimana prima dell’inizio della sintomatologia. ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA Ricorda esclusivamente un intervento di chirurgia plantare correttiva nel 2004 ed una colica renale nel 1998. ANAMNESI FISIOLOGICA Nata a termine da parto eutocico. Allattamento materno. Menarca a 13 anni, cicli di ritorno normali per quantità, durata e frequenza. Nullipara. Alvo regolare, diuresi fisiologica. Beve saltuariamente alcolici, 4 caffè al giorno. Fuma da 19 anni 12 sigarette al giorno. Nega allergie a farmaci e altri alimenti. ANAMNESI FAMILIARE Madre deceduta a 64 anni per K mammario. Padre di 64 anni, iperteso. 1 sorella di 31 anni in apparente buona salute . 226 227 UNA FEBBRE ESOTICA ESAME OBIETTIVO ESAME GENERALE Condizioni generali buone. Psiche lucida. Sensorio integro, facies composita. Cute rosea, normoidratata. Mucose normoirrorate. Presenza di lesione bottonosa circondata da zona iperemica a livello del terzo inferiore del fianco SX dolente alla palpazione. Presenza di 3 linfonodi palpabili, aumentati di consistenza e volume mobili sui piani sottostanti e dolenti alla palpazione in sede inguinale sinistra. Linfonodo palapabile a livello del cavo ascellare sx, mobile e non dolente. CAPO E COLLO Capo normoconfrormato e normoatteggiato. Globi oculari in asse pupille isocoriche isocicliche, normoreagenti alla luce ad all’accomodazione. Lingua impaniata, sporta in asse, presenza di afta a livello del margine laterale sinistro, altra afta a livello della mucosa buccale. Collo cilindrico, non dolente ai movimenti di attivi e passivi. Assenza di rigor nucalis. CUORE E VASI Azione cardiaca ritmica, soffio sistolico 1/6 al centrum. TORACE Emitoraci simmetrici, normoespansibili. FVT normotrasmesso. SCP. MV aspro. ADDOME Addome piano, trattabile, non dolente alla palpazione eccetto la zona perilesionale. TEC come di norma. Peristalsi presente. Fegato palpabile all’arcata costale, di consistenza normale. Murphy negativo. Milza non palapabile. Giordano negativo, polsi periferici presenti e validi. 228 CAPITOLO 7 ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI I dati degli Esami di laboratorio non mostravano alterazioni di particolare rilievo eccetto un innalzamento della percentuale dei monociti: Emocromo RBC: 4510000/ml HB: 13,4 g/dl HCT: 38,8% MCV:85,8 fl MCH: 29,8 pg WBC: 3000/ml NEU: 47,4% LINF: 37,5% MON: 14,5% EOS: 0,1% BAS: 0,5% PLT: 179000/ml GLIC: 78 mg/dl URIC: 2,19 mg/dl BIL T: 1,31 mg/dl BIL D: 0,3 mg/dl FA: 120,8 U/l AST: 25 U/l ALT: 25U/l gamma-GT: 14,2 U/l CALCIO: 9,01 mg/dl FOSFATI: 4,44 mg/dl POTASSIO: 4,5 mEq/l SODIO: 143 mEq/l SIDEREMIA: 52,8mcg/dl VES:16 mm/h AZOT: 32 mg/dl CREATININA: 0,9 mg/dl INR: 0,97 PT: 12,1 sec PTT: 0,91 RATIO PTTs: 28,61 sec FIBR: 437 Elettroforesi Alb: 57% alfa1:3,1% alfa2: 10,8% beta1:7,8% beta2: 5% gamma: 15,9% PR. TOT: 6,9 g/dl 229 UNA FEBBRE ESOTICA RAGIONAMENTO CLINICO A questo punto la presentazione clinica della paziente può essere riassunta in quattro Dati salienti: Lesione cutanea Febbre Linfoadenopatia Viaggio in Africa Sulla base di questi quattro elementi significativi, emersi attraverso un accurata raccolta dell’anamnesi ed un attento esame obiettivo si può già formulare un razionale sospetto diagnostico. L’insieme dei dati, infatti, porta logicamente a sospettare una patologia infettiva trasmessa da un vettore (lesione da inoculo). Tale riflessione ci ha portato ad approfondire in tal direzione l’indagine anamnestica, dalla quale è emerso un ulteriore dato essenziale: la paziente interrogata in merito, ha ricordato la puntura di una zecca. A questo punto sono stati eseguiti gli esami laboratoristici, per ricercare un infezione trasmessa da zecca. ZECCHE – NOTE TASSONOMICHE Le zecche fanno parte del Phylum Artropoda, Classe Aracnidi, Ordine Acarina. Si distinguono due famiglie: Ixodidae e Argasidae. Tale distinzione è importante, essendo la maggior parte delle patologie trasmessa da zecche della famiglia delle Ixodidae. Le Ixodidae (Zecche dure) hanno un caratteristico scudo dorsale chitinoso e in Italia comprendono 6 generi: Ixodes, Boophilus, Hyalomna, Rhipicephalus, Dermacentor, Haemaphysalis. Le Argasidae (Zecche molli) sono sprovviste di scudo dorsale, sono presenti con due generi: Argas ed Ornithodorus Il ciclo vitale si completa in un periodo di uno o più anni e passa attraverso 4 stadi: uovo, larva, ninfa e adulto. 230 CAPITOLO 7 Solo attraverso il pasto di sangue mutano da uno stadio all’altro e le femmine sono in grado di deporre le uova. In tutti gli stadi le zecche per compiere il pasto si attaccano al primo ospite utile. Le zecche assumono un pasto per stadio. Gli stadi immaturi ed i maschi succhiano senza interruzione. Le femmine si nutrono in due stadi: uno lento che dura per giorni, ed uno finale rapidissimo, che si compie solo dopo la fecondazione. Un esempio di zecca dura, tipico delle nostre zone è Ixodes ricinus. Ha come ospiti tutti i mammiferi, e gli uccelli. Ha un ampia area di distribuzione: Europa, Australia, Sud Africa in abitat a foresta densa e frequentati da animali selvatici.Tende a localizzarsi alle ascelle, inguine, muso, orecchie. PUNTURA DI ZECCA – RIMOZIONE DEL PARASSITA (linee guida dell’università dell’Ohio) 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Evitare di rimuovere la zecca con le mani nude; usare delle pinzette o strumenti appositi. Se ciò non è possibile, usare guanti in lattice, plastica o almeno un fazzoletto. Se necessario, anestetizzare la zona con anestetico locale. Disporre le pinzette o lo strumento attorno all’area dove la bocca entra nella pelle. Con movimento deciso ma lento tirare la zecca via. Non torcere, stringere, schiacciare o pungere la zecca. Dopo la rimozione mettere la zecca direttamente in un contenitore sigillabile. Disinfettare la zona attorno alla lesione. Tenere la zecca viva per un mese, nel caso si sviluppino sintomi di malattia nel paziente Alcune informazioni possono essere ricavate dall’esame della zecca stessa: Specie diverse di zecca trasmettono differenti patogeni. Quindi conoscere la specie può essere utile per orientare la diagnosi Livello di replezione: la trasmissione del patogeno non avviene subito, la zecca deve rimanere attaccata per diverse ore. Per la Febbre delle Montagne Rocciose 4-6 h, per il morbo di Lime 24-48 h, ecc. Il livello di replezione è un indicatore relativo della durata del pasto ematico. 231 UNA FEBBRE ESOTICA 9. Stato infettivo: ovviamente una zecca può trasmettere l’infezione solo se è a sua volta infetta. 10. Una zecca che viene trovata semplicemente sulla pelle del soggetto non può aver trasmesso l’infezione a meno che non appaia repleta. In quel caso la zecca potrebbe essersi nutrita per giorni per staccarsi ultimato il pasto. L’opinione attuale è che, nel caso di puntura di zecca, il trattamento antibiotico profilattico è da evitare. In assenza di sintomi gli esami sierologici eseguiti immediatamente dopo la puntura sono inutili. MALATTIE TRASMESSE DA ZECCHE Le patologie trasmesse da zecche sono molteplici e non tutte caratterizzate. Gli studi a riguardo fanno sì che vengano identificate continuamente nuove malattie. Il seguente è un elenco certamente non esaustivo delle più note: ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ Morbo di Lyme (Borrellia burgdorferi) Febbre delle Montagne rocciose (Rickettsia rickettsii) Febbre bottonosa (Rickettsia conorii) Ehrlichiosi (Ehrlichia sennetsu, Anaplasma phagocytophilum, Ehrlichia chaffeensis) Rickettsialpox (Rickettsia akari) African tick bite fever (Rickettsia afriche) TIBOLA (Rickettsia slovaca) Tularemia (Francisella tularensis) TBRF (16 diverse Borrelie) Paralisi da puntura di zecca (tossine delle specie Ixodes) Babesiosi (Babesie) Febbre da zecca del Colorado, Febbre emorragica di CrimeaCongo, Encefalite da puntura di zecca (Virus). Tra queste si distingue per la sua origine non infettiva la Paralisi da zecca. È dovuta ad una neurotossina simile alla tossina botulinica che agisce principalmente a livello delle giunzioni neuromuscolare e dei gangli 232 CAPITOLO 7 autonomici. presente nella saliva delle zecche del genere Ixodes (Ixodes holocyclus). La sua potenziale letalità e la gravità delle manifestazioni cliniche fanno sì che vada conosciuta e considerata nel caso di pazienti provenienti da zone endemiche (America, Australia). Colpisce prevalentemente i bambini, ma sono riportati casi anche negli adulti. La presentazione clinica è caratterizzata da paralisi flaccida ascendente, con forte riduzione dei riflessi tendinei, specialmente al livello degli arti inferiori e caratteristico interessamento dei nervi cranici con midriasi, oftalmoplegia, areattività pupillare. I pazienti presentano, inoltre, obnubilamento del sensorio con rallentata attività cerebrale all’EEG. Possono essere presenti vomito e paralisi vescicale. La causa di morte più frequente è la paralisi respiratoria (sono riportati anche casi di arresto cardiaco). Caratteristico un peggioramento 24-48 ore dopo la rimozione della zecca, che di solito viene trovata dietro l’orecchio. Il recupero è completo, ma lento: diverse settimane. Altre possibili Complicanze sono la Miocardite e la Miosite. Per quel che riguarda l’approccio terapeutico è necessario effettuare un accurata ricerca di altre zecche attraverso un attento esame clinico e predisporre per un eventuale assistenza respiratoria. La terapia farmacologica si basa sulla somministrazione dell’anti-tossina. IPOTESI DIAGNOSTICHE Tornando alla paziente è necessario tenere presente ed esaminare brevemente quali sono le patologie che possono essere state contratte attraverso il morso della zecca. Tularemia Causata da: Francisella tularensis. Gram negativo di 0,2x0,7mcm, aerobio, intracellulare facoltativo. Può sopravvivere per mesi in fango, acqua, e carcasse di animali. È trasmessa da: Dermatocentor andersoni, variabilis, occidentalis, Ambylomma americanum. La zecca trasmette la malattia pungendo zone di cute contaminate con le proprie feci. 233 UNA FEBBRE ESOTICA E’ estremamante infettante e il contagio può avvenire anche attraverso inalazione di aerosol, ingestione di carni infette, e contatto con carcasse attraverso lesioni cutanee (cacciatori). PATOGENESI Dopo l’inoculazione, si moltiplica localmente, formando entro 2-5 giorni una papula eritematosa, dolente e pruriginosa che evolve in un ulcera con base nera. La diffusione ai linfonodi determina una linfoadenopatia suppurativa. Attraverso la batteriemia può diffondere agli organi distanti. CLINICA Si distinguono varie forme a seconda della modalita di ingresso del patogeno. Tutte hanno in comuna febbre, cefalea, mialgie e artralgie: ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ Tularemia ulceroghiandolare (o linfoghiandolare) Tularemia oculoghiandolare Tularemia orofaringea e gastrointestinale Tularemia polmonare Tularemia tifoidea Altre manifestazioni sono: meningite, epatite, peritonite, endocardite, osteomielite. La forma più frequente è la linfoghiandolare con lesione ulcerativa e linfoadenopatia. È la modalità tipica di presentazione nel caso di ingresso percutaneo del patogeno. DIAGNOSI ♦ Test di agglutinazione su provetta (=1:160) ♦ L’emocoltura è poco sensibile TERAPIA STREPTOMICINA 7,5-10 mg/kg ogni 12 ore per 7-10 giorni. 234 CAPITOLO 7 Malattia delle Montagne Rocciose Rappresenta il paradigma delle febbri bottonose, di cui è la forma più grave. Causata da Rickettsia rickettsii, trasmessa da: Dermatocentor variabilis, Dermatocentor andersoni, Rhipicephalus sanguineus, Amblyomma cajennense. Infetta l’uomo principalmente in primavera. PATOGENESI I germi vengono inoculati dopo 6 h dall’inizio del pasto. Diffondono attraverso i linfatici ed i vasi ematici evengono internalizzati dalle cellule endoteliali. Fuoriescono dal fagosoma e iniziano a replicarsi, diffondendo da cellula a cellula. Dopo 3-12 giorni si formano numerosi focolai di cellule endoteliali infette che si manifestano come lesioni Il germe diffonde anche alla muscolatura liscia vascolare, determinando aumento della permeabilità, edema, emorragie, ipovolemia. CLINICA Fase iniziale di circa 3 giorni con febbre, cefalea, malessere, mialgie, nausea, vomito, anoressia. Manifestazioni cutanee solitamente dopo almeno 3 gg. Con macule ai polsi e alle caviglie che si estendono fino ad interessare le palme delle mani e le piante dei piedi. In seguito da edema le macule diventano maculopapule, che con la progressione diventano emorragiche al centro. Nella metà dei casi invece si formano petecchie. Possono esserci svariati segni di interessamento multiorganico: Edema polmonare non cardiogeno: dovuto ad interessamento del microcircolo polmonare Aritmie: 16%. Per interessamento cardiaco. Encefalite e Meningoencefalite: 25%. Confusione e letargia, che evolvono verso stupore o delirium, atassia, coma, convulsioni. Paralisi dei nervi cranici, perdita dell’udito, vertigini, nistagmo, afasia, clono del piede, Babinski, iperrreflessia, spasticità, fascicolazioni, 235 UNA FEBBRE ESOTICA atetosi, vescica neurologica, emiplegia, paraplegia, paralisi completa. Insufficienza renale: conseguente all’ipovolemia. Nei casi più gravi lo shock può portare alla necrosi tubulare acuta Sanguinamento: conseguenza del grave danno vascolare. Potenzialmente letale. 30% anemia, 10% si rileva sangue nelle feci e nel vomito. LABORATORIO Emocromo: numero normale di globuli bianchi,con aumento delle cellule mieloidi immature. Aumento delle proteine della fase acuta: PCR, Fibrinogeno, Ferritina ecc. Iponatremia: 56%. Da inappropriata secrezione di ADH. Aumento di CPK: presenza di miosite. Aumento di creatinina: IRA Pleiocitosi liquorale: In caso di meningoencefalite. Solitamente con predominanza di monociti. Con 10-100 cell/mcl, ma possono essercene anche più di 100 con perdominanza di polimorfonucleati. DIAGNOSI ♦ Esame immunoistochimico da biopsia cutanea: è l’unico esame attendibile nella fase acuta. ♦ Immunofluorescenza indiretta: positivo tra il VII e il X giorno di malattia. ♦ Agglutinazione su lattice: positivo una settimana dopo l’esordio. ♦ Weil-Felix: meno sensibile e specifico. TERAPIA DOXICICLINA: 200 mg/die in due dosi. CLORAMFENICOLO (donne in gravidanza e bambini): 50-75 mg/kg/die. 236 CAPITOLO 7 Febbre bottonosa del Mediterraneo Causata da Rickettsia colorii. Trasmessa da Rhipicephalus sanguineus. È la forma nostrana di febbre bottonosa, presente nell’Europa meridionale, in tutta l’Africa e nella parte sudoccidentale e centromeridionale dell’Asia. CLINICA La presentazione clinica si basa su una triade semeiologica: 1) Febbre elevata 2) Eruzione cutanea bottonosa 3) Tache noire: tipica escara nerastra a livello del punto di inoculo. DIAGNOSI ♦ Immunofluorescenza indiretta(IgM=1:64 o IgG=1:128) ♦ PCR su biopsia ♦ Weil-Felix Strettamente collegate a tale patologia sono: Febbre africana da morso di zecca: forma più lieve. Causata da Rickettsia africae. Caratterizzata da 2-5 giorni di febbre e tache noire. Febbre bottonosa giapponese: Rickettsia japonica. Febbre, eruzione cutanea ed esacra nella zona di inoculo TERAPIA DOXICICLINA: 100 mg x 2 per 1-5 giorni CIPROFLOXACINA: 750 mg x 2 per 5 giorni 237 UNA FEBBRE ESOTICA Ehrlichiosi Si distinguono due forme causate da due differenti patogeni: ♦ Ehrlichiosi monocitica ♦ Ehrlichiosi granulocitaria Ehrlichiosi monocitaria Causata da Ehrlichia caffeensis. Trasmessa dalla zecca stella solitaria: Ambylomma americanum. Presente in America, Europa e Africa CLINICA Solo 1/3 delle persone che presentano sieroconversione si ammala. Il periodo di incubazione è di 9 giorni. La malattia dura per un periodo medio di 23 giorni. Il 2-3% dei malati muore. La sintomatologia clinica, non specifica comprende: Febbre: 97% Cefalea: 81% Mialgie: 68% Anoressia: 66% Nausea: 48% Vomito: 37% Eruzione cutanea: 36% Tosse: 26% Faringite: 26% Diarrea: 25% Linfoadenopatia: 25% Dolore addominale: 22% Confusione mentale: 20% Le possibili complicanze, nelle forme più severe sono: insufficienza respiratoria (possibili infiltrati polmonari), interessamento neurologico: convulsioni, coma, pleiocitosi liquorale, IRA, Emorragie gastrointestinali, Infezioni opportunistiche. LABORATORIO Trombocitopenia 238 CAPITOLO 7 Leucopenia Aumento di AST e ALT Midollo osseo iperplastico: spesso con granulomi. Inclusioni morulari da Ehrlichia nel midollo, milza, fegato, linfonodi, polmone, rene e liquor. Questi dati laboratoristici indicano un interessamento multisistemico. DIAGNOSI ♦ Immunofluorescenza indiretta: durante la convalescenza. Ad un titolo superiore o uguale a 64. ♦ PCR nel sangue: durante lo stadio acuto Ehrlichiosi granulocitaria Causata da Ehrlichia equi, pacificus, phagocytophila.Trasmessa da diverse zecche del genere Ixodes. Presenta un picco di incidenza in Giugno-Luglio. CLINICA Incubazione di 8 giorni. La durata della malattia è di circa 3-11 settimane con una mortalità del 5%. I pazienti presentano una sintomatologia di tipo simil influenzale: Febbre: 100% vomito: 34% Brividi: 98% Tosse: 29% Malessere: 98%Confusione: 17% Cefalea: 85% Nausea: 39% Raramente eruzione cutanea e convulsioni. Nelle forme severe è possibile riscontrare come complicanza la presenza di polmonite fungina. 239 UNA FEBBRE ESOTICA LABORATORIO Trombocitopenia Leucopenia Anemia Aumento di AST e ALT Midollo ipercellulare o normale DIAGNOSI ♦ Immunoflorescenza diretta: utile retrospettivamente, in convalescenza ♦ Striscio periferico: può mostrare neutrofili contenenti vacuoli con Ehrlichie. ♦ PCR sul sangue. TERAPIA DOXICICLINA: 100 mg due volte al giorno RISULTATO ANALISI DELLA PAZIENTE REAZIONE DI WEIL FELIX positiva. A questo punto il campo delle possibilità si restringe alle sole rickettsiosi. 240 CAPITOLO 7 Rickettsiosi Le infezioni da Rickettsie possono essere divise in 5 gruppi: 1: Febbri bottonose 2: Gruppo del Tifo 3: Tifo dei boschi 4: Ehrlichiosi 5: Febbre Q Rickettsie: bacilli Gram-negativi, di dimensioni ridotte: 0,3x0,7mm. Crescono esclusivamente all’interno di cellule eucariotiche, difficili da coltivare. Si propagano da serbatoi animali e sono trasmesse all’uomo da vettori. Tra le febbri bottonose la Febbre delle montagne rocciose e la Febbre bottonosa del mediterraneo ed il Rickettsialpox. Rickettsialpox Causata da Rickettsia akari. Trasmessa da un acaro che infesta i topi: Liponyssoides sanguineus. È caratterizzata da: 1. Lesione papulare a livello del morso: al centro si forma una vescicola che si trasforma in una crosta nera, circondata da un alone eritematoso. 2. Linfoadenopatia locoregionale 3. Sintomi influenzali: febbre, malessere, cefalea e mialgie, dopo 10 gg di incubazione. 4. Eruzione cutanea: dopo 2-6 gg. Maculare, evolve in papule, vescicole, croste che guariscono senza cicatrici. DIAGNOSI ♦ Immunofluorescenza indiretta: sieroconversione a titolo=1:64 o titolo unico=1:128 241 UNA FEBBRE ESOTICA TERAPIA DOXICICLINA: 100 mg x 2 per 1-5 giorni CIPROFLOXACINA: 750 mg x 2 per 5 giorni CLORAMFENICOLO: 500 mg x 4 per 7-10 giorni Le malattie del gruppo del tifo comprendono: Tifo murino, Tifo epidemico, Tifo dei boschi trasmesso dagli acari. Tifo murino Causato da Rickettsia tiphi. Trasmesso dalla pulce dei ratti: Xenopsylla cheopis. L’infezione avviene attraverso le feci della zecca che penetrano attraverso la puntura della pulce. L’incubazione dura 8-16 gg. CLINICA Esordio brusco: febbre e brividi, nausea e vomito. Eruzione cutanea: non in tutti i pazienti. Iniziale eruzione maculare alle ascelle e nella superficie interna delle braccia. Successivamente diviene maculopapulare e interessa il tronco. Raramente petecchiale, raramente interessa volto, piante dei piedi e palme delle mani. Frequente l’interessamento polmonare: 35% tosse insistente. 23% polomonite interstiziale, versamento pleurico, infiltrati alveolari. Altri segni e sintomi presenti con minor frequenza sono: dolore addominale, confusione, stupor, convulsioni, atassia, ittero. Le possibili complicanze sono: Insufficienza respiratoria, ematemesi, emorragia cerebrale Emolisi: in pazienti con favismo o con emoglobinopatie LABORATORIO Anemia e leucopenia: nelle fasi iniziali. Leucocitosi Trombocitopenia 242 CAPITOLO 7 Iponatremia Ipoalbuminemia Lieve aumento delle transaminasi IR prerenale DIGNOSI ♦ Immunofluorescenza indiretta: incremento di 4 volte fino a un titolo =1:64 o titolo unico =1:128 ♦ Immunoistochimica su biopsia cutanea ♦ PCR sul sangue. TERAPIA DOXICICLINA: 100 mg x 2 per 7-15 giorni CLORAMFENICOLO: 500 mg x 4 per 7-15 giorni Tifo epidemico Causato da Rickettsia prowazekii. Trasmesso dal pidocchio del corpo: Pediculus humanus corporis. L’infezione avviene attraverso le feci del pidocchio che penetrano attraverso la puntura del pidocchio. Si associa a povertà, freddo, guerra e disastri e attualmente prevale nelle zone montagnose di Africa, Sudamerica e Asia. Incubazione di 1 settimana CLINICA Esordio brusco: prostrazione, cfalea, rapido incremento della temperatura (38,8-40°C) Eruzione cutanea: inizia al quinto giorno di febbre, a livello della parte superiore del tronco. In seguito diviene generalizzata diffondendo a tutto il corpo eccetto il volto le palme delle mani e le piante dei piedi. Inizialmente è maculare, se non tarttata diviene maculopapulare, petecchiale e confluente. In casi gravi può verificarsi necrosi cutanea e gangrena delle dita. Fotofobia e dolore oculare, 243 UNA FEBBRE ESOTICA possibili complicanze sono: Insufficienza renale e manifestazioni neurologiche: 12%. La mortalità nei casi non trattati arriva fino al 40%. DIAGNOSI ♦ Immunofluorescenza indiretta: titolo =1:128 TERAPIA DOXICICLINA: 200 mg come singolo dose o fino a che il paziente rimanga afebbrile per 24h. Tifo dei boschi trasmesso dagli acari Causato da Orientia tsutsuganushi. Trasmessa dagli acari del genere Leptotrombidium Le larve sole infestano gli animali. Infezione endemica nell’Asia orientale e meriodionale, nell’Australia settentrionale e nelle isole dell’oceano Pacifico occidentale. Gravità variabile da forme lievi a mortali CLINICA Incubazione di 6-21 giorni.presenta una gravità variabile, da forme lievi a risoluzione spontanea a forme fatali. La sintomatologia classica è caratterizzata da: 1. Esordio brusco: febbre, cefalea, mialgie, tosse e sintomi gastrointestinali. 2. Escara nel sito di inoculo e linfoadenopatia locoregionale: meno del 50% dei casi. 3. Eruzione cutanea maculopapulare: al 4°-6° giorno. In meno del 40% dei casi. Le possibili complicanze sono: Encefalite, polmonite interstiziale, emolisi: nei casi di favismo. 244 CAPITOLO 7 DIAGNOSI ♦ Immunofluorescenze indiretta: titolo =1:200. ♦ PCR sul sangue. TERAPIA DOXICICLINA: 100 mg x 2 per 7-15 giorni CLORAMFENICOLO: 500 mg x 4 per 7-15 giorni Febbre Q Causata da Coxiella burnetii. Caratterizzata dalla capacità di formare spore. Può sopravvivere nel terre per un mese. Principali sorgenti : bovini, ovini. L’uomo si infetta ingerendo latte contaminato o respirando l’aerosol. CLINICA Febbre Sintomi simil-influenzali Polmonite Epatite Diarrea Pericardite Miocardite Meningoencefalite Nausea, vomito Eruzione cutanea Oltre a queste possono essere presenti anche manifestazioni meno frequenti quali: Neurite ottica Guillain-barrè 245 UNA FEBBRE ESOTICA SISADH Orchite, epididimite Priapismo Anemia emolitica Linfoadenopatia mediastinica Pancreatite Eritema nodoso Panniculite mesenterica Si distingue, inoltre una forma cronica, indice di endocardite, caratterizzata da: Vegetazioni visibili all’ecocardio transtoracico nel 12% dei casi. Febbre spesso assente Epato e/o splenomegalia FR, VES aumentata, aumento PCR, aumento delle gammaglobuline LABORATORIO Piastrinopenia (25%) Trombocitosi reattiva: durante la convalescenza DIAGNOSI ♦ Ricerca di anticorpi tramite ♦ PCR su campioni bioptici immunoflorescenza indiretta TERAPIA DOXICICLINA: 100 mg x 2 per 14 giorni Nella forma cronica: Aggiungere RIFAMPICINA: 300 mg/die e continuare il trattamento per almeno 3 anni. 246 CAPITOLO 7 DIAGNOSI PROBABILE NELLA PAZIENTE Sulla base della localizzazione geografica, e della presentazione clinica caratterizzata da: Assenza di rash, Tache noire, scarsa compromissione generale, è razionale supporre una diagnosi di Febbre africana da morso di zecca. La nostra rimane, comunque, una diagnosi prettamente clinica data la non disponibilità degli esami laboratoristici che ci avrebbero permesso una diagnosi certa. BIBLIOGRAFIA Frisch J. E. Towards a permanent solution for controlling cattle ticks. International Journal for Parasitology 1999. Regassa A. The use of herbal preparations for tick control in western Ethiopia. Journal of the South African veterinary association-Tydskrif Van Die, Suid Afrikaanse veterinere verenigin 71 (4): 240-243 DEC 2000. Beugnet, F.a;Chardonnet, L. Tick resistance to pyrethroidsin NewCaledonia. Veterinary Parasitology 1995. Richard B. Hornick. Tularemia. In Drazen, Gill, Griggs, Kokko, Mandell, Powell, Schafer, eds. CECIL Textbook of Medicine, W.B. Saunders Company, Philadelphia, 2000, p.1876-1878. Richard B. Hornick. Malattie trasmesse da rickettsie. In Drazen, Gill, Griggs, Kokko, Mandell, Powell, Schafer, eds. CECIL Textbook of Medicine, W.B. Saunders Company, Philadelphia, 2000, p.1950-1962. Wayne X. Shadera, MD, & Samuel A. Shelburne, III, MD. Rickettsial Diseases. In Lawrence M. Tierney Jr, Stephen J McPhee, Maxine A. Papadakis, eds. Current Medical Diagnosis & Treatment, McGraw-Hill, USA 2003, p.1337-1338. Finito di stampare nel mese di dicembre del 2011 dalla « Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. » 00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15 per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma