48 Spettacoli BRESCIAOGGI Mercoledì 19 Marzo 2008 MUSICA. ILCHITARRISTA BRESCIANOHAINCISO L’ALBUM«MY GIPSY SOUL» CON ILPERCUSSIONISTAPIERANGELO BETTONI TEATRO. PER «AMICICOMPLICIAMANTI» L’anima «zingara» diPoli IldiariodiElvira dall’inferno diSrebrenica Solo brani originali, tra i quali spicca un omaggio a Django Reinhardt, il grande chitarrista belga scomparso nel 1953 Claudio Andrizzi Il jazz bresciano mette a segno un nuovo colpo: la firma è quella di Luciano Poli, chitarrista fra i più quotati del panorama bresciano, che pubblica in questi giorni il suo nuovo album «My gipsy soul». Un disco realizzato a quattro mani con il percussionista Pierangelo Bettoni, e composto interamente da brani originali tra i quali spicca in particolar modo l’omaggio a Django Reinhardt di «Django’s Bottle»: è del resto al grande chitarrista belga, scomparso nel 1953, che da qualche anno Poli sta indirizzando le sue attenzioni artistiche con l’obiettivo di rivisitare quel jazz di estrazione gitana che ha preso le sue mosse proprio dal genio di Reinhardt. Già lo scorso anno Poli aveva del resto dato vita a Le Trio Gitan, insieme a Titti Castrini alla fisarmonica e Mauro Sereno al contrabbasso, e da quella formazione era nato il disco «Surprises». Ora quell’esperienza sembra giungere a piena maturazione con questo album, che si configura anche come un particolare sforzo in sede compositiva proclamando la rivendicazione di un’anima, per l’appunto, «zingara». A questo particolare approdo Poli, classe 1966, è arrivato al culmine di una carriera cominciata sotto le ali di vari maestri, da quelli del Conservatorio di Brescia ai vari Filippo d’Accò, Luciano Zadro, Nino Donzelli e Sandro Gibellini, con i quali si è formato. E’ da sempre molto attivo, sia in ambito funky che in quello jazz, ed ha già alle spalle numerose realizzazioni discografiche: a suo nome ha inciso «Chiacchiere», realizzato in collaborazione con Valerio Abeni, Sandro Massazza, Marco Cremaschini e Mauro Slaviero, e con l’Off Topic Trio, formato nel 1996 insieme a Paolo Mozzoni alla batteria e Marco Cremaschini all’organo, ha inciso l’album «Dove sei» e ne sta realizzando un nuovo intitolato «Alta quota», entrambi sintonizzati su sonorità lounge-bossanova. E’ lunghissima la lista dei musicisti con i quali ha suonato, ed è attivo anche in ambito didattico: ha insegnato nelle scuole Pbm e Sarabanda di Brescia e Cdm di Milano, ed è attualmente titolare del corso di chitarra moderna all’associazione culturale «Altrosuono» di Brescia. Ora, l’avventura di questo nuovo album. f Sul palco Gerardo Ferrara con i musicisti Lezzi e Ornetti Ilchitarrista LucianoPoliha inciso unnuovo album, intitolato«My gipsy soul» «Micky» del cantautore bresciano Alessi«testimonial» dellevittimedellastrada Arriva da Brescia, una delle province in assoluto più colpite d’Italia dalla piaga degli incidenti stradali, il brano scelto dall’Associazione Famigliari Vittime della Strada come colonna sonora e testimonial di una nuova campagna sociale di sensibilizzazione. Si chiama «Micky», è in vendita da qualche giorno in tutta Italia ed è firmato da Massimo Alessi, cantautore bresciano da qualche anno in rampa di lancio, ed ora pronto al debutto sulla lunga distanza: a fine aprile infatti uscirà, sempre su etichetta Blu&Blu Music, il suo primo album, di cui questo singolo rappresenta un primo «antipasto». A rendere ancora più particolare questo progetto è il fatto che in «Micky» Alessi duetta con Marco Ferradini, autore dell’indimenticata «Teorema», molto attivo nella scena della canzone d’autore italiana degli anni ’80. ILTEAMche ha lavorato alla realizzazione del disco è in gran parte bresciano doc: la produzione è stata curata da Paolo Salvarani, da tempo noto alle cronache musicali locali, e Dario Caglioni, e fra i musicisti che hanno suonato con Alessi ci sono molte vecchie conoscenze della scena bresciana come Alfredo Golino, Max Gabanizza e Gogo Ghidelli. Al brano sarà aggiunto un video, in circolazione fra poco. Poi sarà la volta dell’album. Un viaggio tra i ricordi, in un paese dilaniato dalla guerra, di chi è sopravvissuto, di chi ha perso qualcosa di importante e nonostante tutto continua a gridare al mondo, perché non si dimentichi. Il fuori programma offerto lunedì sera alla Cascina Pederzani dall'associazione «AmiciCompliciAmanti», a conclusione della stagione teatrale, ha visto in scena «Al di qua del caos. La guerra siamo noi, la guerra è dentro di noi», tratto dal libro quasi omonimo «Al di là del caos» di Elvira Mujcic, una sorta di diario sul massacro di Srebrenica, compiuto nel luglio 1995 da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic nella zona protetta del villaggio della Bosnia: 15.000 abitanti, in prevalenza musulmani, che si trovava al momento sotto la tutela delle Nazioni Unite, e considerato uno dei più sanguinosi stermini di massa avvenuti in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale. I fatti avvenuti in quei giorni sono considerati tra i più orribili e controversi della storia europea recente e diedero una svolta decisiva al successivo andamento della guerra in Jugoslavia. Il Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia, istituito presso le Nazio- ni Unite, accusò, alla luce dei fatti di Srebrenica, Mladic e altri ufficiali serbi di diversi crimini di guerra tra cui il genocidio, la persecuzione e la deportazione. Gran parte dei principali responsabili della strage siano essi militari o uomini politici, è tuttora latitante. A dieci anni dalla sanguinosa strage solamente sei dei 19 accusati dal Tribunale Penale Internazionale sono stati finora processati e condannati. Il viaggio ripercorso dall'autrice - e narrato sul palco da Gerardo Ferrara, con le percussioni e la fisarmonica di Michele Lezzi e la tastiera di Arianna Ornetti - è quello «fisico», che l'ha portata da Srebrenica all' Italia attraverso la Croazia, e quello «psicologico», per trovare la salvezza mentale. Un continuo cercare un posto per esistere. Un atto d'accusa rabbioso nei confronti di un mondo che si dimostra sempre opportunista e non punisce chi si è macchiato di colpe spaventose, come nel caso dei responsabili del genocidio. Ma anche un modo per «esorcizzare» il male, la paura e la perdita (tutt' ora il corpo del padre dell'autrice non è stato ritrovato), testimoniando al mondo una verità nascosta tra le pieghe più oscure della storia contemporanea. f AL.FA. GIOVANISUONI.FRESCO DIPUBBLICAZIONE L’ALBUM «INSANOLOGY» ALCONSERVATORIO. L’OPERA-ORATORIO ALGRANDE. APPLAUSIPER «NOTORIUS» BorisSavoldelli voce da«grande» «Ilsacrifizio diAbramo»: progettoriuscito DaiQueen a Verdi: nullaèimpossibile peri sopranirock Il musicista bresciano vanta collaborazioni In scena 4 cantanti-studenti eccellenti, come Marc Ribot e Mark Murphy con l’Ensemble Barocco Gianpaolo Laffranchi Fa tutto con la voce, da solo, ma rende come e più di una band. Certo non gli mancano i collaboratori eccellenti: un chitarrista di prestigio come Marc Ribot, uno scrittore-musicista come Alessandro Ducoli. Ma Boris Savoldelli basterebbe e avanzerebbe di per sé. Con i suoi canti e i controcanti, con i filtri e con gli effetti, con le sfumature di un interprete che è innanzitutto un autore. Bresciano, classe ’70, studioso di tecniche vocali fin dall’adolescenza, ha una formazione improntata all’apertura mentale, dal rock al funk, dal pop al jazz, dalla lirica alla sperimentazione. Varie e impegnative le influenze, da Demetrio Stratos a Bobby McFerrin, da Sting a Ian Gillian, da Paul Rodgers a Mark Murphy, che a sua volta considera Savoldelli «una voce superba, fra le più grandi e degne di essere scoperte», e per questo gli ha regalato una canzone contenuta in «Insanology», album fresco di pubblicazione. Irresistibile incrocio fra una sigla anni ’70 e un esperimento dei Manhattan Transfer, «Andywalker» è un’ottima prima traccia anche perché chiarisce subito il concetto. L’Insanologia è materia divertente e BorisSavoldellicon il chitarrista MarcRibot sfiziosa. Orecchiabile e vitale, strizza l’occhio a Kid Creole («Circlecircus»), fa venire voglia di ballare in riva al mare («MinDJoke»), con la chitarra di Ribot che impreziosisce anche la title-track. Il manifesto dell’album non tradisce le attese, ma non sono inferiori «Moonchurch», con il canto limpido di Boris che si fa coro e fa venire i brividi, e «Crosstown Traffic», coraggioso omaggio a Jimi Hendrix. «Bluechild», scritta insieme ad Alessandro Ducoli, è una preghiera alla luna, commovente e appassionata come un vecchio blues. Mark Murphy ed Uli Rennert sono invece gli autori di «In the seventh year», che jazza con sfrontatezza, in serenità, senza fretta. La chiusura di «Io?», subito dopo le versioni spogliate di «MinDJoke» e «Insanology», galleggia nelle orbite più suggestive. Fra i Quintorigo e gli Sparks. Coordinate insolite per una musica inafferrabile. Boris Savoldelli è su Internet con le sue canzoni e le date dei suoi spettacoli (www.borisinger.eu e www.myspace.com/ borisinger). Per contattare Giovani Suoni: [email protected] e www.myspace. com/djjoaorock. Boris Savoldelli - Insanology (Borisinger 2008) Nei giorni scorsi il Conservatorio di musica «Luca Marenzio» di Brescia ha presentato al pubblico il risultato di un progetto pilota realizzato in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia, in vista della Costituzione del «Politecnico Europeo delle Arti». Tutto è ruotato intorno all’allestimento dell’opera/oratorio «Il sacrifizio di Abramo» su musiche di Camilla De Rossi e testo di Francesco Maria Dario. Un lavoro commissionato dall’imperatore Giuseppe I alla compositrice di origine romana, e presentato per la prima volta a Vienna nel 1708. Il progetto è stato coordinato da Ignacio Garcia, docente di regia teatrale all’Accademia Santa Giulia, con lo scopo di permettere agli allievi dei due istituti coinvolti di cimentarsi con il lavoro creativo e artistico in tutti i suoi aspetti: dall’analisi dei materiali musicali e letterari alla concezione visiva, dalla definizione dei personaggi alla creazione dei movimenti e dei materiali scenici. Il frutto di questa sinergia è andato in scena venerdì scorso di fronte ad un salone tutto esaurito, che ha accolto questi artisti e artefici in erba, i quali hanno mostrato una solida capacità di collaborazione. La lettura scenica ha colloca- to al centro della sala un altare sacrificale delimitato agli angoli da quattro bracieri, in una sala buia per permettere la proiezione sulle pareti di immagini ispirate ai momenti salienti del testo poetico. Protagonisti quattro cantanti-studenti del Conservatorio «Marenzio»: Ae-sil An nel ruolo di Sara e Lin Ling Hui in quello dell’Angelo, Annalisa Stroppa nel ruolo di Isacco e Filippo Filipov nel ruolo di Abramo. I quattro giovani artisti, seppur traditi da evidente emozione, hanno mostrato di saper gestire il ruolo assegnato riuscendo a trasmettere la tragicità delle scelte imposte dalla volontà divina. L’opera, infatti, narra della vicenda biblica in cui Abramo, per rispettare la legge divina, è disposto a sacrificare il figlio Isacco il quale, onorando l’immensa fede del padre, non oppone resistenza e accetta il suo destino. Questa doppia dimostrazione di devozione viene premiata dal repentino sopraggiungere dell’Angelo che ferma la mano di Abramo. Il tessuto musicale è stato affidato all’Ensemble Barocco del Conservatorio, coordinato daRaffaello Negri e Giovanna Fabiano. L’opera sarà replicata a Padova in giugno, all’interno del Festival «Il teatro sotto le mura». f N.S. Apprezzata anche l’esibizione dei musicisti e dei ballerini Tre soprani per una rivisitazione rock di famosi pezzi operistici. Ma non solo, come hanno potuto notare gli spettatori, abbastanza numerosi in sala, che hanno assistito sabato sera a «Notorius», uno spettacolo senza dubbio singolare con le tre voci di Sherrita Duran, Romina Novis e Kaori Nagase al centro della vicenda proposta dalla regia di Gian Riccardo Pera. A dire la verità il racconto, il collante drammatico è apparso piuttosto esile, mentre hanno avuto buon esito i vari «numeri» proposti attraverso arrangiamenti originali: basti pensare all'iniziale «Bohemien Rhapsody» dei Queen o a «Because the night» di Patti Smith. Gli arrangiamenti di Gianmaria Scattolin sono risultati efficaci e originali anche quando hanno coinvolto i pezzi lirici in programma, da «Io son l'umile ancella» dall' Adriana Lecouvreur al «Vissi d'arte» dalla Tosca, anche perché in scena c'era un nutrito supporto da parte degli otto danzatori che hanno fatto, per così dire, da colonna non sonora ma gestuale all'intero spettacolo. Certo, bisogna dimenticarsi immediatamente degli «originali», perché se «A little help from my friend» dei Beatles può trovare una sua giusta col- Ilsoprano Sherrita Duran locazione nella versione di Joe Cocker, il «Dies irae» dalla Messa da Requiem di Verdi è ben altra cosa nel suo possente originale con le voci del coro rispetto a una rivisitazione con la chitarra elettrica. Infine, le note della Gazza Ladra di Rossini hanno fatto da sfondo a una citazione dall'Arancia Meccanica di Kubrick. Lo spettacolo è stato apprezzato e applaudito dal pubblico, che ha ammirato la bravura dei musicisti (un chitarrista e un violinista), la buona preparazione dei ballerini, ma soprattutto l'inconsueta prova dei tre soprani, in «versione rock» anche nel loro abbigliamento dark. f L.F.