Violino I Fabio Rodella - Violino II Adriana Ginocchi
Viola Miho Yamagishi - Violoncello Francesco Ramolini.
Comunicato Stampa
Progetto
STABAT MATER
Una riflessione nel clima di EXPO 2015.
Segreteria operativa
A Mirabello di Senna Lodigiana con “LA VERDI” DI MILANO, nella chiesa
parrocchiale di San Bernardino, chiesa affrescata da Felice Vanelli di Lodi, dove ha
steso un ciclo di affreschi di oltre 1000/metri quadri.
Lo STABAT MATER di Giovanni Battista Pergolesi, testo sacro unico nella storia
della musica, è una riflessione interiore, nutrimento dell’anima, al tema generale di
EXPO: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.
Il progetto Stabat Mater ci porta ad una riflessione “Miglioriamo L’alimentazione”, nei luoghi dove l’agricoltura ha la sua migliore tradizione colturale e simbiotico con il territorio ed i suoi abitanti, della vasta plaga agricola.
La campagna lodigiana: frutto di lavoro degli avi che nello spirito benedettino,
“dell’ hora et labora”, hanno reso fertile questa plaga incrociata nei fiumi Lambro,
Adda e Po, hanno nei secoli realizzato con la rotazione dei terreni: verdi pascoli, e
allevamenti, (tante mucche, latte e latticini), senza impoverire o sconvolgere il paesaggio, ma riproponendo la rotazione delle colture dando forza biodinamica ai terreni
coltivati.
La chiesa parrocchiale di Mirabello è posta nel centro della ruralità lodigiana
luogo ideale ed inedito per realizzare l’evento, rappresentare un tema sacro in un
luogo che unisce le opere di un autore contemporaneo in uno spazio della campagna
lodigiana che ha una tradizione storica e dove nei secoli ha saputo valorizzare il territorio salvaguardando l’ambiente, il paesaggio e lo sviluppo agricolo trasmesso dagli
avi della“civiltà contadina”, carica di valori e di umanità: dalla natura il riverbero
alla musica come messaggio di nutrimento delle emozioni.
Il progetto musicale sviluppato da un “sogno” e concretizzato dalla direzione artistica della Verdi che ha scelto per questa particolale location lo Stabat Mater di
G.B. Pergolesi, un capolavoro della riflessione musicale. con interpreti di alto livello: soprano, controtenore ed Il Quartetto de la Verdi,
Il programma si arricchirà con la partecipazione del Maestro Muscista Dante Vanelli, che eseguirà una sua composizione al pianoforte: OMAGGIO ALLA VERDI
PER L’EXPO.
Un apprezzamento al Parroco di Mirabello Sangalli don Alfredo, che con entusiasmo ha incoraggiato la realizzazione del progetto: portare al centro della ruralità
una riflessione per nutrire l’anima.
del Progetto
STABAT MATER
Tel 0371- 423265
Mail:
[email protected]
Facciata dellla parrocchiale di San Bernardino .
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Pasqualino Borella
“Nella musica, nel panorama della natura, nel sogno notturno”
Sabato 20 giugno 2015 ore 16.00
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Il più grande Amen di tutta la musica:
per soprano, controtenore, archi e continuo de la Verdi di Milano.
STABAT MATER
di Giovanni Battista Pergolesi
Soprano Valentina Varriale - Controtenore Filippo Mineccia
Il QUARTETTO DE LA VERDI:
Violino I Fabio Rodella - Violino II Adriana Ginocchi
Viola Miho Yamagishi - Violoncello Francesco Ramolini .
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Stabat Mater dolorosa - La madre Addolorata stava, il testo dello Stabat Mater dolorosa fu scritto da Ja-
copone da Todi (1230? - 1306), poeta e mistico quando si ritirò nel convento di Sant’Angelo in Pantanelli.
Questo testo ha attraversato i secoli proprio per la sua straordinaria umanità: la prima parte della
preghiera, che inizia con le parole Stabat Mater dolorosa ("La Madre addolorata stava") è una meditazione sulle sofferenze di Maria, madre di Gesù, durante la crocifissione e la Passione di Cristo. La seconda parte della preghiera, che inizia con le parole Eia, mater, fons amóris ("Oh, Madre, fonte d'amore") è una
invocazione in cui l'orante chiede a Maria di farlo partecipe del dolore provato da Maria stessa e da Gesù durante la
crocifissione e la Passione.
Recitata in maniera facoltativa durante la messa dell’Addolorata (15 settembre) le sue parti formano gli inni latini
della stessa festa. Prima della Riforma liturgica era utilizzata nell’ufficio del venerdi’ della settimana di passione e
accompagnava il rito della Via Crucis e la processione del Venerdi’ Santo.
Un canto amatissimo dai fedeli, non meno che da intere generazioni di musicisti colti, (si pensi solo a Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi, Rossini, Liszt).
Da notare che il testo è in latino, la struttura ritmica è quella del latino medievale e che poi sarà anche dell'italiano:
non si hanno sillabe lunghe e brevi, ma toniche e atone, in una serie di ottonari e senari sdruccioli, che rimano secondo
lo schema AAbCCb (oltre ad alcune rime interne).
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La composizione dello Stabat Mater fu commissionata a Pergolesi nel 1735 (a qualche mese dalla morte), dalla laica confraternita napoletana dei Cavalieri della Vergine dei Dolori di San Luigi al Palazzo, per officiare alla liturgia della Settimana
Santa.
Essa avrebbe dovuto sostituire la precedente versione di Alessandro Scarlatti, commissionata dalla medesima confraternita
vent'anni prima.
Nella stesura Pergolesi si mantenne fedele in linea di principio con l'esperienza di Scarlatti: simile è la strumentazione per
archi e basso continuo, inalterata la presenza nelle parti solistiche delle due sole voci di soprano e contralto.
Entrambi i compositori suddividono la sequenza in una serie di duetti ed arie solistiche, così come era di prassi nel XVIII
secolo: i numeri musicali infatti sono 12 per Pergolesi e ben 18 per Scarlatti. Ciò indica quanto la versione pergolesiana sia più
breve e più concisa rispetto alla precedente: infatti, considerando l'intera sequenza composta da 20 stanze, il rapporto fra i
diciotto numeri musicali di Scarlatti è quasi di un numero per stanza.
Il lavoro di Pergolesi quindi è più compatto, ma al contempo non rinuncia alla struttura tradizionale così accentuata in quello
precedente, nonostante le concezioni armoniche e melodiche risultino innovative ed al passo con le tendenze della musica di
scuola napoletana ed europea. In effetti, può essere stata questa la ragione che spinse la confraternita a sostituire il lavoro di
Scarlatti con una composizione “alla moda”.
Le innovazioni nel campo della musica sacra, sebbene incontrino maggior difficoltà ad attecchire rispetto a quelle di altri
generi, trovano invece una unitaria compostezza nello Stabat Mater di Pergolesi: ciò avviene da un punto di vista stilistico
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grazie all'approdo ad una prospettiva più squisitamente sentimentale (Teoria degli affetti), incentrata sul pathos del testo sacro
e, da un punto di vista tecnico-compositivo, grazie all'alleggerimento degli austeri toni presenti nella versione scarlattiana.
Ciò non implica un completo abbandono delle forme tipiche della tradizione sacra - presente per esempio nei richiami arcaicizzanti di alcuni passaggi del “Fac, ut ardeat cor meum" - ma esse si compendiano in un perfetto bilanciamento con i drammatici trilli del “Cujus animam gementem” o nell'interpretazione dei toni dell'anima con il “Fac me vere tecum flere”.
Tali caratteristiche, fanno di questo lavoro uno dei più importanti esempi della musica italiana del '700.
Lo Stabat Mater ha sempre goduto di una certa notorietà.
Molti musicisti si ispirarono ad esso in alcune loro composizioni, quali ad esempio Giovanni Gualberto Brunetti, Camillo
De Nardis e Giovanni Paisiello. Johann Sebastian Bach nella sua cantata Tilge, Höchster, meine Sünden (BWV 1083) utilizzò
la musica dello Stabat Mater di Pergolesi con piccole modifiche di strumentazione e portando l'Amen finale nel modo maggiore
e la adattò al testo del Salmo 51.
Joseph Eybler, amico di Mozart e maestro di cappella a Vienna, sostituì alcuni duetti ed ampliò l'orchestra in un suo riadattamento.
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Giovanni Battista Draghi detto Pergolesi (Jesi, 4 gennaio 1710 – Pozzuoli, 17 marzo 1736) fu un compositore, organista e violinista
italiano di opere e musica sacra dell'epoca barocca.
Infanzia nelle Marche e trasferimento a Napoli, ìl soprannome Pergolesi deriva dal nonno Francesco, un artigiano originario della
cittadina di Pergola (PU) trasferitosi nel 1635 nella città natale di Giovanni Battista. Col tempo il soprannome Pergolesi divenne di uso comune per designare la sua famiglia.
La posizione del padre, amministratore statale, consentì al giovane Giovanni Battista di avere una giovinezza relativamente agiata ed
una prima formazione musicale.
Fece i primi studi di organo e violino nella città natale, durante i quali mostrò notevole talento musicale. All'età di quindici anni, grazie
al mecenatismo del vescovo di Larino e Governatore della Santa Casa di Loreto Carlo Maria Pianetti, fu ammesso nel celebre Conservatorio
di Santa Maria di Loreto a Napoli, dove ebbe modo di studiare composizione con alcuni dei più celebri autori della Scuola musicale napoletana, come Francesco Durante e Gaetano Greco.
Napoli nella prima metà del Settecento era senza dubbio una delle città più vivaci dal punto di vista musicale: artisti come Alessandro
Scarlatti, Nicola Porpora o Leonardo Leo avevano proposto con successo lo stile musicale napoletano nelle corti di tutta Europa e non è
sorprendente che nel 1739 lo scrittore e politico francese Charles de Brosses riferendosi alla città partenopea, la definisse la capitale mondiale
della musica.
In virtù del suo talento come violinista, Pergolesi fu nominato nel 1729 capo paranza dell'orchestra del conservatorio, titolo che si
potrebbe associare all'attuale primo violino.
Si diplomò nel 1731 a ventuno anni, componendo, come saggio finale, l'oratorio La conversione e morte di San Guglielmo; nell'ultimo
anno di studi aveva già composto altre opere di pregio come l'oratorio La Fenice sul rogo, ovvero la morte di San Giuseppe (la cui attribuzione è considerata dubbia da alcuni studiosi), una Messa in Re e l'opera Salustia (messa in scena 2 anni dopo), che gli diedero una certa
fama e lo posero nel novero dei più promettenti giovani compositori napoletani. Proprio per questa notorietà, al termine degli studi fu
assunto dal Principe Stigliano Colonna (appartenente al ramo napoletano della nota famiglia nobile) con l'incarico di maestro di cappella,
godendo inoltre della protezione dell'influente duca di Maddaloni.
Lo Stabat Mater e la morte (1736)
In tutta la sua breve carriera, parallelamente all'attività operistica, Pergolesi fu un fecondo autore di musica sacra, ma è solo ai suoi
ultimi mesi di vita che dobbiamo la composizione di quelli che sono considerati il suo lascito più importante in questo ambito: si tratta del
suo Salve Regina del 1736 e soprattutto del coevo Stabat Mater per orchestra d'archi, soprano e contralto, che la tradizione vuole sia stato
completato il giorno stesso della sua morte.
Se questo aneddoto sia realistico o si tratti di un ulteriore ricamo romantico fiorito attorno alla figura del Pergolesi è di secondaria importanza. È invece certa, come si rileva nello studio dell'autografo, una grande fretta di scrivere, confermata da numerosi errori, parti di
viole mancanti o soltanto abbozzate, e più in generale un certo disordine tipico di chi ha poco tempo davanti a sé.
Tanto che in calce all'ultima pagina dello spartito scrisse di suo pugno “Finis Laus Deo”, quasi a mostrare il sollievo per aver avuto “il
tempo necessario per concludere l'opera”.
Da notare il fatto che quest'opera fosse commissionata dai Cavalieri della Vergine dei dolori della Confraternita di San Luigi al Palazzo
per sostituire lo Stabat Mater di Alessandro Scarlatti, che veniva tradizionalmente eseguito nel periodo quaresimale: che una composizione
del celebre Alessandro Scarlatti, datata 1724, fosse sostituita è indicativo della rapida evoluzione del gusto musicale nella Napoli settecentesca
e di come composizioni di pochi anni più antiche fossero considerate di stile arcaico rispetto allo stile proposto da musicisti come Pergolesi.
Da ricordare come la musica dello Stabat Mater pergolesiano sia da sempre estremamente apprezzata, tanto che Johann Sebastian Bach
la utilizzò per farne una parafrasi (modificando l'orchestrazione della viola ed aggiungendovi l'uso di un coro), nel suo salmo Tilge, Höchster,
meine Sünden (BWV 1083).
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La parabola artistica di Pergolesi, afflitto dall'infanzia da seri problemi di salute - si ritiene fosse affetto da spina bifida o da poliomielite,
come mostra la caricatura di Ghezzi che lo raffigura con la gamba sinistra più corta e sottile della destra - si compì in appena cinque anni.
Morì di tubercolosi a soli 26 anni, nel 1736, nel convento dei cappuccini di Pozzuoli. Fu sepolto nella fossa comune della Cattedrale di
San Procolo.
Scarna e di dubbia attribuzione è l'attività nella musica strumentale: quello che era considerato il suo lascito più notevole, la raccolta I
Concerti Armonici, è definitivamente risultata essere opera del compositore dilettante fiammingo Unico Wilhelm Van Wassenaer da
quando, nel 1979, ne sono stati rintracciati gli originali autografi presso il castello di Twickel, nei Paesi Bassi.
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Gli Affreschi di Felice Vanelli a Mirabello di Senna Lodigiana
1980- 1984
Sono passati oltre 30 anni dall’affresco del catino absidale, 1983, in particolare dell’Assunta che assurge al cielo: i lavori di
affresco iniziarono da lì.
In quel caldo luglio - agosto, Vanelli si dedicò con foga a questo lavoro: già dal 1980 aveva sviluppato tutti i disegni
preparatori, i cartoni, gli spolveri per fare la sinopia (traccia di posizionatura di collegamento delle varie scene).
I lavori complessi per cambiare l’architettura della chiesa, con soluzioni murarie ne avevano rallentato la decizione.
Dopo notti insonni il Parroco don Lino Biffi, un prete che aveva assorbito molto prima dei confratelli presbiteri del clero lodigiano, gli insegnamenti del Concilio Vaticano II, un parroco che era un vero operaio nella vigna del signore, uno che aveva
il profumo delle pecore, anche se poche di questa frazione, spopolata dalla fuga della manodopera agricola, verso l’industria
ed il terziario.
Don Lino un prete “francescano”, ma come Francesco che aveva per la chiesa e le funzioni, il piacere di essere circondato
dalla ricchezza, tradotta nei paramenti, nei decori, nella liturgia.
Un bel luogo per favorire l’incontro e la preghiera.
Come nelle grandi cattedrali, dove da secoli le pregevoli opere hanno favorito l’incontro e fatto comunità e fede.
Dopo questo incontro con il suo gregge, don Lino scelse un progettista, e studiò le tecniche meno costose e più appropriate
per abbassare la chiesa, creando una struttura tubolare di acciaio, con una navata a botte ed una cupola con catino, dove Vanelli,
già al lavoro di disegno aveva consigliato.
La Chiesa diventò un cantiere, i vari pezzi furono montati all’interno della chiesa, e poi con argani portata in altura e fissata
su grandi molle. Al tubolare, si fissò una sottile rete, una lamella con proprietà di trattenere l’intonaco, che permettesse di fissare
una sinopia ed il relativo affresco.
Alla fine saranno oltre 1000 metri quadri: si interessarono perfino i quotidiani nazionali e Famiglia Cristiana, ed in una lettera
privata indirizzata all’artista, un sacerdote del clero lodigiano scriveva “…pochissimi pittori sono in grado di aggiungere queste
metrature, qui l’opera c’è! Ed è meravigliosa perché altamente teologica, impregnata di incarnazione ed è profondamente piacevole perchè imbevuta di colori e di speranza”…
Negli affreschi, Vanelli ha saputo premiare i mirabellesi, immortalandoli nei vari temi con i loro vestiti ed i loro volti, un
anelito di umanità che si snoda lungo dieci lunette della navata, sequenze umane con i suoi stati d’animo: speranza, angoscia,
solitudine, anche di ammonimento: non uccidere.
Vanelli in questa chiesa ha avuto la regia di tutte le decorazioni, sculture e disegni dalle finestre al pavimento: un’unicum
che ha dato la grande soddisfazione all’esecutore, una gioia morale, vista la grande fatica fisica di stare appeso tra pareti e volte
con il pennello in mano e l’affresco che si asciuga. L’arte è la spia dello spirito, e Vanelli, prima ha esplorato e poi tradotto nelle
vorticose figure, lo specchio dell’inquieta umanità di oggi.
La solitudine dell’uomo si trasforma con il vorticoso volo alla ricerca del compagno fedele, che sta su ed è Dio, nella sua
trinicità di Padre, Figlio e Spirito Santo.
Mirabello ha insegnato che se c’è un vero pastore, che sa dialogare, anche le persone, in presenza di difficoltà e con poco
reddito o addirittura distanti dalla chiesa, hanno subito con entusiasmo detto si!
Nessuno si è tirato indietro, hanno contibuito e pagato la loro quota: considenando il valore anche sociale di essere una vera
comunità, e poi gli uomini sino all’ultimo istante della loro esistenza, possono redimersi e diventare testimoni di Cristo, o no?
Notizie storiche
Il nome Mirabello è di origine guerriera (come Miradolo, Mirandola), ricorda località che, fin dai tempi romani, erano poste a guardia
di importanti snodi viari (mira = attenti, in guardia). Mirabello, infatti, sorgeva sulla strada regina che collegava Piacenza a Milano,
passando per Laus Pompeia, e Piacenza a Pavia.
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Nel 1703 la signoria di Mirabello fu concessa ai conti della Somaglia.
Alcune terre e l’oratorio appartenevano, però, alla commenda di S. Giovanni in Cremona. Questi beni vennero soppressi dal governo
cisalpino e acquistati dal principe di Belgioioso nel 1808.
Dalla metà dell’Ottocento l’oratorio di S. Bernardino (oggi non esiste più), conservava parte delle decorazioni provenienti dalla cappella
della Certosa presente nel Castello di San Colombano al Lambro.
Gli affreschi commissionati a Bernardino Campi dal priore della Certosa, Don Ippolito Turrato, vennero fatti trasportare a Mirabello
nel 1846, dall’allora proprietario Francesco Mancini.
Fino al 1869, Mirabello fu sede di libero e autonomo comune.
Da questa data, con decreto regio di Re Vittorio Emanuele III, divenne frazione del comune di Senna Lodigiana, insieme a Corte S.
Andrea.
Oggi è una borgata di 500 abitanti, la cui attività prevalente è quella agricola.
LA CHIESA PARROCCHIALE
dedicata a San Bernardino da Siena
STORIA:Mirabello divenne parrocchia il 19 gennaio 1919, fino a quella data era una cappellania di Somaglia.
Fu l’aumento della popolazione che convinse il vescovo a dar vita ad una parrocchia autonoma: in quegli anni avevano la residenza
in paese 1200 persone.
La cappella fatiscente dei conti Mancini venne demolita e nel 1952 fu iniziata la costruzione della nuova chiesa. Al tetto si arrivò nell’estate del 1954 e lo stesso anno si celebrò la prima messa.
Gli abitanti fecero grandi sacrifici per innalzare la chiesa, ma a quella data era rimasta senza intonaco, senza pavimento e priva di volta.
Negli anni ’80 il parroco Don Lino Biffi, diede notevole impulso alla ripresa dei lavori . Fu la “ vera anima dei lavori “di completamento
dell'edificio sacro.
Dopo aver visionato tutti i preventivi per la volta (tutti molto alti), decise di preparare una volta speciale ” APPESA “ al soffitto, chiusa
in una particolare struttura metallica da intonacarsi.
Il costo rimaneva comunque molto alto, tuttavia i parrocchiani incoraggiarono molto Don Lino nel dare vita al progetto.
La parrocchia contava allora 600 anime e la spesa sarebbe stata di mezzo milione di lire a testa (erano presenti 172 famiglie e alcuni
vivevano soli), ma tutti contribuirono all'impresa.
Edificio a Croce Latina riprogettata dall’ architetto Romano Gozzi.
Notevole è la volta, lavoro innovativo, pubblicato su diverse riviste specialistiche d’ingegneria.
La realizzazione è affidata allo Studio Tecnico d’Ingegneria di Genova, a cura degli ingegneri Repetto e Marino. Lo studio,
in quegli anni, si occupava di progettazioni anche di centrali nucleari. Aveva lavorato ad una grande centrale nello Yemen e
ad un dissalatore nel Kuwait.
E’ un lavoro mai eseguito per una chiesa : la struttura della volta non appoggia su niente, ma è appesa al soffitto. Non
esistono opere di sottomurazione o altro. L’intelaiatura di acciaio, rivestita da un reticolato speciale metallico, è stata successivamente intonacata e dipinta.
Opera del pittore lodigiano FELICE VANELLI, la data inizio dei lavori risale al 1983, i lavori proseguono fino al 1986, coprendo una
superficie di 1000’m2.
Vanelli Felice, nato a Lodi, ha frequentato la scuola di affresco del Castello Sforzesco di Milano e la scuola libera de nudo dell’Accademia
di Brera a Milano.
Pittore e affreschista, ha lasciato pregevoli affreschi nel battistero di Dovera e nella chiesa di Camairago. La sua prima mostra personale
è del 1977 a Milano, Oltre alle opere citate sono numerosissimi gli affreschi dell'artista presenti nel lodigiano e fuori provincia.
Nel contempo non ha tralasciato di spostare la sua vena artistica verso la scultura, ha modellato formelle in cotto e in bronzo, statue e
monumenti, porte bronzee.
Fra gli ultimi lavori troviamo la scultura equestre dedicata a Federico Barbarossa, posta sul Colle Eghezzone a Lodi in occasione delle
celebrazioni dell’850° anniversario della fondazione di Lodi (2009).
Artista serio e vigoroso ha concepito l’arte come operosità caparbia e costante fatica.
Dotato di naturale capacità disegnative ha affrontato ampie decorazioni ad affresco, tenendo fermo il culto dell’antico con un' insistita
foggiatura di stile sul modello michelangiolesco. Gli affreschi di Mirabello sono fra le sue testimonianze pittoriche più rilevanti per grandezza e complessità del disegno: abside, volti, pennacchi sono coperti con perizia da Maestro rinascimentale.
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