LA STORIA DI ARGO E ULISSE Raccontata e illustrata dalla classe V Di Via S. Uguzzone • Questa è una storia d’amore, di guerra e di avventura tratta dal libro di Mino Milani. • Le avventure dell’Odissea e il viaggio del suo protagonista sullo sfondo. • Lo stretto legame tra un uomo e il suo cane, in primo piano. • L’amore che unisce Argo al suo padrone Ulisse è più forte della morte. PAURA DEI CANI • Paura dei cani. Sì, l’aveva, fino ad allora solamente Anceo, l’uomo che lo addestrava alle armi, se ne era accorto. Gli altri li aveva sempre ingannati senza fatica: quando un cane gli si avvicinava, fingendo di scherzare s’era sempre tirato indietro o gli aveva gettato un pezzo di pane per allontanarlo. Per lui i cani erano soltanto quello: animali pronti a mordere e quindi pericolosi. Perché? Perché, se tanti altri ragazzi, anche suoi amici, avevano cani con i quali passeggiavano, giocavano, correvano? Perché se c’era gente, giovane, vecchia, che con i cani addirittura parlava? • Ma come era possibile parlare con i cani? • Questo Ulisse proprio non lo capiva, anzi, gli sembrava una cosa pazza o almeno stravagante. ULISSE INCONTRA ARGO • Ulisse sedette con le spalle contro un tronco. • E solo allora si accorse d’avere ancora con se il cucciolo che aveva strappato alla terra. • Ne fu stupefatto: quasi non vi credette, dapprima. Un cane! Lui aveva preso un cane, se l’era tenuto stretto e adesso lo teneva là, tra le mani. Possibile? • Certo, possibile. Guardò, ancora stupefatto, quel cucciolo che aveva salvato. • Un piccolo cucciolo, cosi piccolo che l’avrebbe potuto tenere sul palmo della mano. Aveva muso aguzzo, lunghe orecchie, coda corta, zampette che tremavano, occhi pieni di terriccio e di lagrime. AMICIA TRA ULISSE E ARGO • Ulisse gli sorrise: che cos’hai da tremare? - Mormorò, - Non devi aver paura di me, non devi aver più paura di nulla, adesso. • Tutto cambiò, da quel momento. • Parve al giovane Ulisse che il mondo si fosse fatto più bello. Non appena poteva, andava a passeggiare per l’isola con il suo cagnolino, che diveniva grosso a vista d’occhio. • Erano sempre insieme; ed ecco quello che fino ad allora era mancato a Ulisse: un compagno con il quale dividere non le parole (di amici ne aveva e con essi parlava ogni giorno), ma i pensieri o almeno certi pensieri. Non sempre un ragazzo, o un uomo, può tenere certe idee segrete solo per sé: deve rivelarle parlando. Ulisse parlavo con Argo. Durante le passeggiate gli parlava, gli confidava i suoi desideri e le sue speranze, i suoi sogni e anche le sue paure; e concludeva sempre dicendo: - Hai capito, Argo? STORIE DI CACCIA • • • • • Argo era davvero un cacciatore nato, e apprese ben presto quello che Ulisse voleva da lui. Nel giro di qualche settimana imparò a entrare nella foresta senza alcun rumore. Capì di dover fiutare la selvaggina e di annunciarla al padrone fermandosi di colpo e guardando fisso verso il punto nel quale essa si trovava; capì che a un segnale, doveva stanare la lepre spaventandola e facendola uscire dal nascondiglio, in modo che il padrone potesse vederla bene, prendere la mira e scagliare la sua freccia. Sapeva anche che non doveva mangiare la lepre o la colomba trafitti dal dardo, ma prenderli per i denti e portarli al padrone. Era felice quando Ulisse gli mormorava: - Bravo, bravo, Argo – e lo carezzava. Si sentiva pieno di gioia senza limite. Tutto avrebbe fatto, per il suo padrone. IL TEMPO DELL’AMORE • • • Erano passati cinque anni. Erano stati anni meravigliosi, per Argo. Il vecchio Laerte, con la moglie Anticlea, s’era ritirato in una casa di campagna, passando la corona ad Ulisse: Argo era dunque il cane del re. Amava molto la regina Penelope. Argo le si accucciava accanto e quietamente abbassava il capo tra le zampe. Tutti credevano che dormisse: in realtà era più sveglio che mai. Le sue orecchie non perdevano un solo rumore, i suoi occhi erano soltanto socchiusi e non perdevano un movimento. Fu felice, come può esserlo un cane, quando (dopo due strani giorni d’agitazione, con donne che andavano e venivano nelle stanze di Penelope, e con Ulisse che camminava taciturno in su e in giù e non badava più a nulla) s’era fatto un gran silenzio e in esso erano risuonati quei lamenti non diversi da quelli dei cuccioli che avevano appena aperto gli occhi. Erano i vagiti di un bambino appena nato: lo seppe quando vide Ulisse uscire dalla reggia esultante, tenendo alto nelle forte mani suo figlio e annunciando alla folla in attesa: - È nato il principe Telemaco! ODORE DI PARTENZA • - Argo, se hai paura, ti lascio, a casa e non ti porto in guerra con me. Capito? • Argo s’immobilizzò, gli occhi d’un tratto scintillanti. Sì, aveva capito; il padrone aveva minacciato di lasciarlo a casa, andandosene da solo in guerra chissà dove. Tacque e restò perfettamente in mobile senza un solo guaito, mentre il padrone gli detergeva la ferita. • Quando la cosa fu fatta, Ulisse fece: - Ecco, adesso le cose vanno meglio. Andiamo al porto, Argo. Vediamo come procedono i preparativi. LA GUERRA SI AVVICINA • • • • • • • • • • • • • • • Qualche giorno più tardi, mentre sedevano alla tavola, Ulisse mormorò: - Anche tu fai come le altre donne di Itaca, Penelope? Anche tu non parli? La giovane regina cercò di sorridere, ma non vi riuscì. Rispose con una domanda: - Hai visto mai Elena, moglie di Menelao re di Sparta? –Sì, una volta, un paio di anni fa. - È bella come dicono? - È molto bella, certo. Al punto di … di provocare una guerra? Ulisse si strinse nelle spalle: - Non lo so. So invece che se fosse fuggita ad Atene, piuttosto che a Troia, la guerra non ci sarebbe. I Greci vogliono distruggere Troia, Penelope, e quella di Elena è una scusa. Tu, in ogni modo, sei più bella. Penelope sorrise : Dicono che tu sei molto astuto, Ulisse, ed è vero, e io so che sai mentire bene. Ma ora, dimmi la verità -. Si oscurò in volto e chiese: Quella contro Troia sarà una guerra lunga, vero? Sì, credo di sì. Sarete lontani … Un anno? Due? – Penelope parlava con un filo di voce. Un anno, due. Ma forse tre. • • • • • • • T’aspetterò. Andrò ogni giorno alla Punta del Mattino, a guardare il mare, a vedere se…Penelope non poté continuare, perché con dolcezza Ulisse le posò l’indice sulle labbra; mormorò poi: Non devi farlo, Penelope. O non devi farlo prima di un anno. Argo!Esclamò, perché il cane era entrato impetuosamente, e latrava guardandolo con occhi pieni d’allarme. Seguirono il cane fino al promontorio dell’ulivo, e restarono a guardare in silenzio il mare. Penelope chiese: Allora… è la partenza? Ulisse prese la moglie tra le braccia. I PREPARATIVI PER IL VIAGGIO • • • Nel giro di tre mesi, furono pronte dodici navi, ognuna capace di portare sessanta guerrieri ognuna con vele nuove e volenterosi: Troia era molto lontana, il viaggio sarebbe stato assai lungo. All’eccitazione dei primi giorni erano seguiti una calma pesante e un gran silenzio. A non parlare erano soprattutto le donne, che di lì a un po’ avrebbero visto partire i figli, i mariti, e i fidanzati non era la prima guerra che Itaca e le sue isole affrontava, quella: non sarebbe stata una guerra come le altre. Questo tutti lo sapevano. ULISSE PARTE PER LA GUERRA DI TROIA • Poco dopo la nave, sotto la spinta dei remi, si staccò dalla riva. • Argo, immobile sotto l’albero, la guardava. • Restò a guardarla fino a quando non fu che un punto lontano e indistinto sul mare. Restò ancora là, immobile. All’orizzonte tremolante non si vide più nulla. • Solo allora, avvilito, deluso, ferito si mosse e s’avviò adagio alla reggia IL PRIMO ANNO DI GUERRA • • • Era trascorso un anno, dalla partenza di Ulisse. I greci erano sbarcati sulla costa troiana, avevano tirato a secco le navi, preparandosi a piantare le loro tende di fronte alle orgogliose mura della città, che si vedeva là, infondo, alta e possente. Lo stesso giorno dello sbarco, Ettore aveva condotto i suoi guerrieri al primo attacco contro i nemici; Ulisse e gli Itacesi si erano trovati in combattimento quando ancora avevano i sandali bagnati d’acqua di mare s’era sparso il primo sangue, e tutta via s’erano anche alzate le prime tende. • • • • • Il supremo capo dei Greci, Agamennone, aveva ordinato che tutto attorno alle tende si piantasse una grande palizzata; per procurarsi il legname necessario, i Greci avevano abbattuto un’intera foresta che sorgeva sulle vicine colline. Nel giro di sei mesi, alle grandi pietre che cingevano Troia s’erano contrapposti i tronchi formidabili che proteggevano il campo greco. I comandanti dei vari contingenti si radunavano ogni giorno per discutere le operazioni da farsi. Ogni giorno gruppi di cavalieri galoppavano verso Troia, si scontravano coi nemici, uccidevano ed erano uccisi. S’era compreso subito che la guerra sarebbe stata lunga e dura. Dalla Punta del Mattino, ogni giorno Argo guardava il mare. NOSTALGIA • C’era ad Itaca un promontorio che si spingeva a picco sul mare: la Punta del Mattino, • lo chiamavano, perché di là lo sguardo spaziava verso oriente e quindi, quando il sole • sorgeva, lo si vedeva emergere dalla linea dell’orizzonte come un perfetto disco scintillante. Ogni giorno, dalla partenza delle navi, Argo si recò sulla Punta del Mattino, e là s’ accucciava sotto un grande olivo stormente, e guardava il mare. • Non si stancava di guardarlo, gli occhi fissi alla incerta linea sulla quale esso incontrava il cielo. Laggiù era scomparsa la nave del suo adorato padrone: laggiù quindi, egli sarebbe tornato. Un giorno sarebbe apparsa la sua nave, carica di trofei di guerra e del bottino della vittoria, e sarebbe stato bello vederla avvicinarsi; e vedere poi il padrone scendere per primo… LA LUNGA GUERRA CONTRO TROIA • Era trascorso il secondo anno di guerra. • Era come se vi fossero due città, ora, una davanti all’altra. I Greci avevano tentato di portarsi più davanti e di serrare Troia d’assedio, ma avevano presto abbandonato l’idea. Impossibile rimanere troppo a lungo fuori dalla palizzata, non v’era da mangiare, a torno a Troia e nemmeno da bere perché tutte le sorgenti e pozzi erano stati avvelenati. • In settimane e settimane nulla accadeva: per ingannare il tempo i Greci organizzavano gare di corsa, di lotta, di salto, e lo stesso facevano i Troiani nella loro città. • Poi, forti schiere contrapposte andavano l’una contro l’altra nella pianura, si davano battaglia, e di nuovo l’aspro terreno beveva giovane sangue. • Se i Greci avevano fiducia nella vittoria, i Troiani non credevano alla sconfitta: il nemico, imprigionato nel suo stesso campo, tra il mare e l’imprendibile Troia, sarebbe stato prima o poi costretto ad andarsene. 10 ANNI DI GUERRA • • • • • Sette, otto, nove anni di guerra. Nessuno dei guerrieri greci era più come quand’era partito. La guerra aveva reso tutti più forti, più duri, più crudeli. Tutti ormai stanchi di combattere, nessuno però voleva cedere. Il decimo anno fu il più duro, ma fu quello decisivo. Cominciò male per i Greci perché, avendo litigato con Agamennone, Achille si rifiutò di tornare in battaglia, depose le armi e con i suoi guerrieri rimase nel suo campo, come un indifferente spettatore della guerra. Ma quando Achille seppe che Patroclo, suo diletto amico, era stato ucciso in battaglia per mano di Ettore, fu travolto dal dolore; il dolore si tramutò in terribile ira di guerra: riprese le armi, pensando ben più a vendicare la morte dell’amico che non alla guerra. Il giovane eroe fece strage di nemici, affrontando e uccidendo lo stesso Ettore, di cui straziò il cadavere, legandolo sul carro, e trascinandolo nella polvere attorno all’atterrita Troia. Nemmeno questo, tuttavia bastò a far cadere la città. Gli altri figli di Priamo continuarono nella difesa: e toccò a Paride, il rapitore della bella Elena, di far vendetta di Ettore. Una sua freccia colpì e uccise Achille. La guerra dunque continuò. Finché non intervenne Ulisse con la sua astuzia. IL CAVALLO DI TROIA • I Greci fecero come aveva detto Ulisse. • Fabbricarono un gigantesco cavallo di legno, nel cui ventre si nascosero i più audaci tra i capitani; tutti gli altri, con tutte le navi, salparono abbandonando il campo e mostrando di rinunciare all’assedio di Troia. • Proprio come aveva detto Ulisse, i Troiani uscirono guardinghi dalla città, s’avvicinarono al grande cavallo che i Greci avevano lasciato sulla spiaggia quale dono a Poseidone. Lo trascinarono nella città, non sapendo di trascinare, con esso, anche i più terribili dei loro nemici. • A notte fonda, costoro uscirono dal cavallo, abbatterono le sentinelle, aprirono le porte di Troia: a un segnale, tutte le navi greche tornarono. • Troia fu invasa e distrutta. • La guerra, che la forza delle armi non era riuscita a concludere, fu conclusa dall’astuzia di Ulisse. IL VIAGGIO DI RITORNO • Quando Troia fu un cumulo di rovine, i Greci alzarono le vele e tornarono alla loro terra. Argo attendeva sulla Punta del Mattino. • Non poteva certo sapere che il suo modo di comportarsi durante la caccia aveva ispirato al suo padrone l’idea di prendere Troia. Nella sua mente però. Tornava spesso il ricordo delle cacce al cinghiale … come lontani erano quei tempi,sempre più lontani! • La notizia della caduta di Troia si sparse rapida. • Ad Itaca l’emozione fu grande. Ulisse stava rientrando finalmente a casa. Sua era la gloria! Argo era corso alla punta del Mattino, s’era messo sotto l’olivo e aveva fissato gli occhi all’orizzonte. Nessuna nave, ancora. Ma era questione di settimane, di qualche mese e la flotta sarebbe apparsa. Argo sentiva il cuore pulsargli forte nel petto. Il padrone stava tornando! L’ISOLA DEI CICLOPI • Le dodici navi di Ulisse avevano fatto rotta a Nord, giungendo in una strana terra, sovrastata da un monte dal quale salivano al cielo colonne di densi vapori grigi: - Un vulcano, - aveva mormorato qualcuno, - potremmo essere dunque nell’isola dei Ciclopi … • I Ciclopi: giganti con un solo occhio nel mezzo della fronte, pastori di capre e pecore, ma selvaggi, feroci e capaci di nutrirsi di carne umana. • Ulisse ne aveva sentito parlare e volle andarli a vedere, lasciando le navi in una piccola baia, prendendo terra con dodici compagni, e avviandosi senz’altro verso la caverna che apriva nella montagna la sua bocca nera e sinistra. • Quanto seguì fu terribile. POLIFEMO • • Ulisse e i suoi vennero sorpresi dal ciclope Polifemo che, furioso di vederli nella grotta ove conservava le sue cose, le sue greggi e i suoi formaggi, agguantò due Itacesi, li sfracello contro la roccia, li divorò, per poi sazio addormentarsi, dopo aver chiuso l’ingresso della sua tana con un macigno così enorme che nemmeno cento uomini avrebbero potuto smuovere. Il mattino seguente, il ciclope uccise e mangiò altri due uomini, per poi togliere il macigno e sospingere fuori il suo gregge; lo stesso fece a sera, quando tornò. • • • Quella stessa orrenda sorte sarebbe toccata a Ulisse e ai suoi compagni superstiti, se egli non avesse impiegato la sua intelligenza e la sua astuzia: mentre Polifemo dormiva, infatti, lo accecò piantandogli un tronco rovente nell’unico occhio. Sfuggiti alle mani del ciclope, che urlando di dolore e di disperazione rabbiosamente frugava la caverna, Ulisse e i suoi uscirono da quella tetra prigione, tenendosi aggrappati al lungo vello del ventre delle pecore. Polifemo, ormai cieco, chiese vendetta a Poseidone, suo padre: - Vendicami! Non lasciare che Ulisse torni alla sua isola! O se ritornerà. Fa’ in modo che sia ridotto ad essere un mendicante! LA MAGA CIRCE • • • • • • La nave d’Ulisse era approdata, di lì a qualche tempo, all’isola Eea, il piccolo regno di Circe, la maga. Aleggiava, in quell’isola, un senso di mistero; Ulisse l’aveva sentito, e aveva deciso di procedere all’esplorazione del posto con molta cautela, dividendo i suoi uomini in due schiere, una guidata da lui, l’altra del fedele Eurìloco. Fu questi a scoprire in un silente bosco il palazzo dove Circe viveva: era custodito da lupi, leoni, bestie feroci: ma che feroci non erano e che, visti gli uomini, si erano fatte loro incontro uggiolando come cani. Eurìcolo s’era allarmato; e quando subito dopo le porte del palazzo s’erano aperte, e sfolgorante di bellezza era apparsa Circe, che aveva invitato tutti ad entrare e a sedere alla sua tavola, egli diffidente non s’era fatta avanti. Nascosto, poi, aveva visto ciò che era accaduto: dopo un lauto banchetto, Circe aveva offerto agli ospiti uno strano liquore, strano davvero perché chi l’aveva bevuto, al tocco di una bacchetta che la maga teneva nella mano, s’era trasformato in maiale. Era stato un branco di maiali quello che Circe, sprezzante e crudele, aveva sospinto in un recinto pieno di fango … ULISSE E TIRESIA • • “Vai oltre il ritorno. Porta sulle spalle un remo, abbandona la casa e vai errante nel sole fino a gente che non batte il dorso del mare, che non conosce i cibi conditi col sale, che confonderà il remo con un ventilabro, Il rastrello per spargere intorno sementi per pettinarle nelle crine dei venti. Lì poserai il remo, offrirai sacrifici a Poseidone. La morte ti coglierà dal mare, consunto da splendente vecchiezza, tra gente felice attorno. Questo ti dico senza tema né dubbio” ARGO ALLA PUNTA DEL MATTINO • • • • • • • • • Ogni giorno, prima dell’alba, usciva dal cortile della reggia e andava svelto alla Punta del Mattino: svelto, per non perdere nemmeno un minuto di luce; restava là sotto l’olivo fino al tramonto, poi rassegnato tornava a casa. Anche se lo sapevano, i servi gli chiedevano: - Dove sei stato, cagnaccio? – E la regina Penelope gli mormorava: - È inutile andare alla Punta, Argo, prima che torni dovrà passare molto tempo…Ma lui sapeva che il giorno seguente avrebbe fatto lo stesso. La gente s’era abituata a vederlo compiere quella strada. Dopo un po’, anzi, smisero di chiamarlo Argo e lo chiamarono “Il cane della Punta del Mattino”. LE SIRENE • Ebbene, quando la nave era stata sul punto di passare davanti all’isola delle sirene, Ulisse aveva ordinato ai suoi uomini di turarsi le orecchie con tappi di cera, perché fossero sordi al canto irresistibile: ma lui, ansioso di udirlo, s’era fatto legare all’albero maestro: - Mi vedrete parlare - aveva detto, - E forse smaniare: non badate a me. Non udrete la mia voce, ma sappiate che vi ordino solo di remare con più forza. • Così era accaduto; legato all’albero, Ulisse aveva udito il canto delle sirene, era stato conquistato, stregato vinto da esso: aveva gridato che lo sciogliessero, per gettarsi poi in mare e nuotare fino all’isola incantata dalla quale esse lo chiamavano: ma i suoi, fedeli agli ordini, avevano remato con maggior lena, fino a quando le voci delle irresistibili fanciulle non s’erano intese più. Così Ulisse fu l’unico uomo a sentir le sirene cantare e a restare vivo. ULISSE E LE VACCHE SACRE • Ma le sventure non erano finite. • Superato lo stretto tra Scilla e Cariddi, Ulisse e superstiti infatti erano giunti nell’isola di Tinacria: “Laggiù, - aveva ammonito Circe, vedrete splendide mandrie, bellissimi greggi: attenti a non abbattere, per saziare la vostra fame, nemmeno una di quegli animali! Sono sacri a Zeus. Chi alza su di essi la mano, è destinato ad essere inesorabilmente distrutto”. • Ulisse aveva dunque ordinato ai suoi di non toccare quelle giovenche sacre a Zeus, quegli splendidi tori, quei vitelli che liberi pascolavano in verdissimi prati, e per qualche tempo i suoi ordini erano stati rispettati; ma un giorno che egli profondamente dormiva, i suoi uomini avevano disubbidito, catturando, macellando ed arrostendo diversi di quei sacri animali. • Quando Ulisse s’era destato ed aveva visto i suoi banchettare, un’angoscia infinita era scesa su di lui: - Zeus, - aveva gridato al cielo,- non io t’ho offeso! Non io sono colpevole! E voi, sciagurati, voi che non avete rispettato i miei comandi, avanti, mettete in mare la nave! Via subito di qui, dove commettereste altre follie! Forse, Zeus avrà pietà di noi … • No. Zeus non avrà avuto pietà di loro. • Il fulmine che egli scagliò sulla nave, incendiandola ed affondandola in un turbine di schiuma, solo un uomo tra tutti risparmiò: Ulisse CALIPSO • • Faccia all’ingiù nella sabbia, Ulisse sarebbe probabilmente morto, se Calipso non lo avesse visto, non fosse accorsa a sollevarlo, a medicargli le ferite, non gli avesse dato da bere e da mangiare. L’aveva poi condotto nella grotta dove abitava, nascosta da un intrico di verdi alberi, e di cespugli fioriti, tra i quali scorrevano ruscelli d’acqua freschissima. Era, quella di Calipso, un’isola tanto remota quanto bella: bianche spiagge, rilucenti scogliere, boschi, prati fioriti, alberi carichi di frutta. Vi s’udiva solo il rumore del mare, del vento, e il cinguettio degli uccelli. • • • • • • Un posto meraviglioso, per viverci; e la ninfa era bella, con i lunghi capelli biondi, e cantava dolcissimamente : il suo canto non era però traditore, come quello delle Sirene. Ella non voleva tenere Ulisse come prigioniero: ma come ospite. E dove sarebbe potuto andare, Ulisse, senza una nave? Come avrebbe potuto riprendere il mare? Dov’era, l’isola di Calipso? In quale mare? E dov’era la sua Itaca? Quale rotta avrebbe dovuto seguire, per giungervi? Così Ulisse s’arrese. Rimase diversi anni con Calipso, cui era riconoscente. Ma col cuore, era altrove: era ad Itaca, nella sua reggia, con Penelope, con Telemaco; era nelle sue foreste, con Argo… ULISSE NELLA TERRA DEI FEACI • In diciassette giorni, Ulisse fu in vista d’una grande isola, che raggiunse anche se Poseidone, irriducibile nella vendetta, suscitò una bufera che mandò in frantumi la zattera. • Naufrago, ma salvo, Ulisse si trovò nella terra dei Feaci, che lo accolsero con onore, udirono da lui il racconto delle sue incredibili avventure, e di lì a qualche giorno apprestarono la nave destinata a raggiungere Itaca. ITACA FINALMENTE! • La stella del mattino brillava chiarissima. • Non v’era una sola nube, nel cielo. Il mare era calmo e liscio, e in esso si specchiava Itaca. • C’era in Itaca una piccola baia, la baia di Forchis: due punte di costa rocciose si protendevano nel mare, come braccia tese a dar benvenuto alle navi; anche quando lo Ionio s’agitava livido di tempesta, nella baia l’acqua era tranquilla. • Fu dritta alla baia di Forchis che andò la nave dei Feaci, trasportando il dormiente Ulisse, che deposero sotto i rami d’un antico ulivo, tra le foglie secche, sulla morbida sabbia. • Accanto a lui, in un mucchio prezioso, sistemarono i doni che gli avevano fatto. • Poi ripresero il mare. RITORNO A ITACA • Ulisse si destò quando il sole era ormai alto nel cielo. Ancora seduto sulla sabbia, si guardò introno. “Dove sono?” si chiese. • Non riconosceva Itaca: da troppo tempo ne era lontano. Pensò: “Se questa fosse Itaca, Argo m’avrebbe fiutato, sarebbe già venuto da me …” • Argo. Ma era ancora vivo? I cani non vivono più di vent’anni e proprio vent’anni lui era stato lontano … Lo prese un senso di malinconia. IL RACCONTO DI EUMEO • • • Ulisse pensò di fingersi straniero e si tolse l’abito che indossava, lo fece a brandelli, lo calpestò, rivestendosi poi con quegli stracci; si coprì il capo on la polvere, imbiancando i capelli, prese un ramo, e reggendosi ad esso come un bastone, andò curvo e zoppicando verso la casa di Eumeo. Eumeo accolse Ulisse, nella sua casa, prese qualche pezzo di carne, lo pose su alcune foglie e lo porse a Ulisse: - Mangia vecchio, devi essere forte, se vuoi ascoltare la brutta storia che sto per narrarti. E cominciò a parlare. Gli disse di Argo. “Il cane di Ulisse, da quando il suo padrone era partito, la bestia andava ogni giorno alla Punta del Mattino, e stava lì a scrutare il mare per vedere se comparivano le dodici navi che riportavano a casa il re… Non l’ho più visto, deve essere morto…” LA TELA DI PENELOPE • • E continuò col suo racconto, disse dei Proci, dei pretendenti alla mano di Penelope, di come sfruttavano le ricchezze di Itaca gozzovigliando nel palazzo di Ulisse. “Penelope è fedele al suo sposo, certa che tornerà, e fino ad ora ha respinto tutte le offerte, i doni e anche tutte le minacce dei Proci, ma … non potrà continuare a farlo perché qualcuno a svelato ai pretendenti il segreto della regina. Vedi vecchio, Penelope aveva trovato un sistema per rimandare la sua decisione. Diceva ai Proci che stava tessendo il lenzuolo funebre per Laerte, il vecchio re, padre di Ulisse, e che avrebbe scelto chi sposare solo quando la tela fosse finita. • Di giorno, davanti a tutti filava la tela, di notte, segretamente, disfaceva il lavoro.” INCONTRO CON ARGO • • • • • • Che cos’era quello che sentiva? Perché il suo vecchio cuore s’era messo a pulsare così? Perché sembrava che il sangue gli si rimescolasse nelle antiche vene? Argo alzò adagio la testa e fiutò l’aria. Nulla. E che cos’era allora, quel senso d’allarme che lo aveva preso? Che cosa stava per accadere? Forse il padrone … La testa del cane tornò ad abbassarsi. No. Il padrone non c’era più. Meglio così. Non avrebbe voluto farsi vedere da lui, ridotto com’era, vecchio miserabile cane buono a nulla e pieno di zecche e nutrito con ossa già spolpate e poveri rifiuti buttati là, accanto a quel cumulo di fradicia paglia dal quale non riusciva più nemmeno ad alzarsi. • • • • • Eumeo e Ulisse giunsero davanti alla reggia di marmo; e nel rivedere la sua dimora, Ulisse fu travolto dalla commozione. Eumeo gli parlava ma Ulisse non aveva udito neppure una parola. Immobile, stava fissando verso la grande porta della reggia. Aveva visto Argo. Argo. Una stretta al cuore, un senso di smarrimento. Argo. Stava su quel mucchio di vecchia paglia, addossata al muro; magro, inzaccherato, con il vecchio muso posato sulle due zampe anteriori, gli occhi chiusi, in un atteggiamento di rassegnazione e d’abbandono; era, pensò sgomento Ulisse, un cane cui nessuno dava nulla e che aspettava solo di morire. • Lo rivide fulmineamente come quando lo aveva lasciato, bello, forte, attento, scattante. Ah, quanto era mutato da quello! • Ulisse non aveva versato lacrime quando s’era accorto d’essere a Itaca, non quando aveva saputo di ciò che accadeva a sua moglie, né quando aveva visto suo figlio Telemaco. Da anni non piangeva. • Ora sentiva improvvise lacrime bagnargli le ciglia. • “Non devo piangere, Argo” si disse; e con uno sforzo supremo vinse l’impulso di correre verso il cane, di chiamarlo, di abbracciarlo, di prendergli il muso tra le mani: se l’avesse fatto, avrebbe rivelato chi era e sarebbe stato perduto. ARGO MUORE • Improvvisamente Argo lo sentì, e un brivido lo scosse dalla testa alla coda: un brivido ben più profondo di quello che aveva provato prima; ben più di prima il vecchio cuore pulsò forte, e l’antico sangue gli balzò nelle vene. Che cos’era? • Argo allargò le narici, fiutò l’aria … Quell’odore che non sentiva da anni … che accadeva? Era possibile, era vero? … Fiutò ancora: ma quello … ma quello era … quello era l’odore del suo padrone! Il brivido divenne più intenso, Argo aprì gli occhi, guardò … • Eccolo. Ulisse, il padrone. Lui. • Era lui, era tornato! Non c’erano errori; diverso da quando se ne era andato, sì: un vecchio, sembrava; ma era lui, e lo stava guardando. • Il brivido divenne solo gioia, Argo mosse la coda, e da quanto tempo non lo faceva? Alzò le orecchie: era tutto così bello! La vita ricominciava! Il padrone era tornato, era là, lo guardava, doveva correre da lui … • Argo cercò di muoversi, di alzarsi … Invano. • Lo sgomento lo conquistò. Non riusciva a muoversi nemmeno ora che vedeva il suo padrone: come era possibile? No, no, doveva alzarsi, correre, mostrare d’averlo riconosciuto, di essere quello di sempre … • Chiamò a raccolta tutte le sue forze, e continuava a muovere la coda; sì, padrone, ora corro da te, lo vedi? Muovo la coda, ti mostro di essere felice, sono felice. • Troppo felice. La troppa felicità uccide. • Argo sentì qualcosa che si rompeva in lui; il fiato gli mancò, la luce gli mancò; nell’ombra che scese rapida su di lui ebbe ancora la visione del suo padrone. • Poi più nulla. • Ulisse comprese. ULISSE E LA SUA BALIA • Ulisse entrò nella reggia da mendicante straniero. Nessuno lo riconobbe, anzi, venne deriso e picchiato dai Proci. Penelope intervenne dicendo che nella casa di Ulisse tutti avevano diritto ad essere ben accolti. Così Penelope chiamò Euriclea e le chiese di lavare i piedi allo straniero, come era in uso a quel tempo. • Euriclea era stata la balia di Ulisse e lo aveva visto crescere. Con un bacile colmo d’acqua tiepida, gli si avvicina. Inginocchiatasi davanti a lui, ancor prima di cominciare a lavarlo mormora, con gli occhi rossi di pianto: “Ah, straniero! Di tanta gente che è venuta qui … ebbene, mai nessuno ho visto che somigliasse tanto a Ulisse!” • “Boh, i vecchi si somigliano tutti!” • “Dammi dunque la tua gamba. Forse è proprio come dici tu.” • Ulisse porge la gamba ad Euriclea, che comincia a lavarla. Ma, improvvisamente, l’eroe si ricorda d’avere, proprio su quella gamba, una cicatrice, ricordo di una apertagli dalla zanna di un cinghiale molti molti anni prima, durante una partita di caccia, fatta con Argo. • Euriclea ben conosceva quella cicatrice, perché cento e cento volte gli aveva lavato le gambe … • Fa per alzarsi. Troppo tardi. Lavando la gamba Euriclea ha raggiunto la cicatrice, e la sta toccando, con mani che tremano e la riconosce. Ha un brivido, lascia cadere stupefatta e senza fiato, il piede di Ulisse; l’acqua del bacile, urtato, si sparge per terra; con angoscia e gioia insieme Euriclea sta per gridare, ma riesce soltanto a balbettare. ULISSE TENDE IL SUO ARCO • La vendetta che l’accecato ciclope Polifemo aveva implorato, era stata compiuta interamente da Poseidone, dio del mare. • Era entrato nel suo palazzo come un mendicante, ora, mentre tendeva l’arco, pensava “ Nella vendetta per le offese che Proci e servi infedeli hanno fatto a me, a mia moglie e a mio figlio, vendicherò anche te, fedele Argo” ULISSE E TELEMACO AFFRONTANO I PROCI • Con l’aiuto di Telemaco, di Eumeo e di qualche altro servo fedele, Ulisse sterminò i Proci liberando dalle loro prepotenze la sua reggia e la sua isola. ULISSE RIABBRACCIA PENELOPE • Ulisse ritrovò intatto l’amore di Penelope. • Stanco di battaglie, in Itaca visse da re, dopo aver appeso al muro della grande sala le sue armi. • Non riprese però ad andare a caccia, come aveva fatto in gioventù. • E quando qualcuno gli diceva: • - Ulisse, hanno visto un enorme cinghiale nel bosco vicino alla baia di Taxos – rispondeva soltanto con uno strano sorriso. RICORDO DI ARGO • • • • Poi si alzava, e tutto solo andava fino alla Punta del Mattino. Là, sotto il grande olivo, aveva sepolto Argo, dopo averlo liberato dalle zecche, dopo averlo lavato e avvolto in un telo candido. Sedeva sull’erba, guardava il mare, ne ascoltava il rumore incessante, parlava sommessamente, narrando episodi della guerra di Troia, o del suo lunghissimo viaggio di ritorno. Qualche pastore che passava di là per caso, vedendolo e sentendo la sua bassa voce, rimaneva stupefatto, e pensava “il re parla da solo”. No, Ulisse non parlava da solo. Parlava ad Argo, ed era cerco che il cane lo ascoltasse.