Gianni
La mamma: – Ecco il fratellino, Nino…
Nino ha un anno e mezzo, e guarda il piccolo dormire immobile nel lettone.
Lo osserva interessato. Quindi fa, con prudenza: – Biiiglia… (vuole dire “bottiglia”).
– No, Nino, non è una bottiglia per l’acqua calda, non è uno scaldino...
Il neonato si muove un po’ tra le coperte...
Nino continua a guardarlo, e dice con più sicurezza: – Micio… Micio…
– No, Nino, non è un micio, non è un gatto!
A questo punto, il neonato vagisce. E il fratellino, con voce trionfante:
– Pupì... pupì… pupì... (vuole dire “pupo”, “pupetto”: come la bambolina di fichi secchi che
c’è in cucina).
E la mamma, felice: – Un pupììì… Sì, Nino, è un “pupì”, il tuo fratellino è un “pupì”…
Fu così che, per molti anni, Gianvincenzo fu chiamato in famiglia Pupì. Solo dopo… Gianni.
A Luigi Pati
Caro Luigi,
in fin dei conti, se qualcuno avesse voluto registrarla e trascriverla, la nostra lunga telefonata di
alcune domeniche fa su Gianni mio fratello, morto improvvisamente per un infarto il 29 maggio,
quella telefonata avrebbe potuto essere anch’essa una “carta di famiglia”… Un po’ come una
lettera o una pagina di diario… Oppure un certificato di Nascita, di Battesimo, di Prima
Comunione, di Cresima, di Matrimonio e di Morte...
Per me, un dolore assolutamente nuovo, immenso. Un dolore, che cerco di sublimare nel lavoro,
obiettivandolo nei miei pensieri… E penso, che è proprio di fronte alla durezza di una tale
esperienza, mai vissuta né soltanto immaginata prima, che si misura la forza del carattere, l’utilità
della propria cultura, la buona qualità di una prospettiva. La fede che riesci ad avere…
L’impegno a dare di te, a te stesso e agli altri, il meglio, non può venire meno. Ancora di più
adesso, direi, nel ricordo di Gianni. In memoria delle sue migliori qualità, della nostra vita
trascorsa sempre insieme per i primi diciannove anni. Poi, per un quarantennio, ognuno per suo
conto (tranne che nelle Feste comandate e, talvolta d’estate, in vacanza). Infine di nuovo accanto, a
Roma: intensamente vicini, negli ultimi cinque anni, prima di questa morte repentina, inaspettata,
difficile da elaborare.
Ecco perché, Luigi, ripenso alle nostre “Carte di famiglia” come a una risorsa. Vi trovo in
qualche modo un aiuto, un conforto, una possibilità di oggettivazione di un “male personale”. Una
trasparenza di sentimenti e, insieme, la costruzione di un percorso “storico”, la possibilità di non
perdere le tracce del Gianni vivente, ancora, nelle “carte” del suo e del nostro coesistere
quotidiano. Come le schegge di uno specchio andato in frantumi. Come i frammenti della sua
storia d’uomo…
Ricordi il vecchio Dewey, di Logica, teoria dell’indagine?
I dati posson essere memorie e documenti, leggende e storie trasmesse oralmente, sepolcri ed
iscrizioni, urne, monete, medaglie, sigilli, utensili e ornamenti, carte, diplomi, manoscritti, rovine,
edifici e opere d’arte, situazioni dell’ambiente geografico, e così via indefinitamente. Se il passato
non ha lasciato traccia o vestigio alcuno che perdurino nel presente, la sua storia è irrecuperabile.
Le “Carte di famiglia”. Le “bustine di Minerva”. La “grande” e la “piccola” storia…
Addirittura, quella minuta, minima storia di persone e cose… in cui ritrovi gli “indizi” di tutta
un’esistenza: che so io, nella carta d’identità, nella patente automobilistica, nella tessera sanitaria o
dell’autobus, nel passaporto, nei diplomi e in ogni altro tipo di documento pubblico o privato,
riguardante direttamente e/o indirettamente Gianni… Gianvincenzo Siciliani de Cumis, figlio di
Felice e di Giovanna Colosimo, dichiarato all’anagrafe di Catanzaro il 1° gennaio 1945 (ma nato il
28 dicembre 1944). Residente e domiciliato a Roma. Laurea in medicina. Specializzazione in
Chirurgia ricostruttiva. Coniugato con Giulia Bova. Padre di Felice, Francesco, Vittorio.
Ospedaliero a Catanzaro. Libero professionista, per un breve periodo. Quindi dipendente
dell’Università di Trieste. Da poco in pensione. Deceduto a Roma il 29 maggio 2010…
Un dolore tuttavia non “di carta”. Perché la vita non è di carta, come non lo è la morte, di
nessun uomo. Gianni ed io, per così dire, all’incrocio delle nostre comuni matrici biologiche e
culturali, come appartenenti alla stessa famiglia. Alla sua storia vissuta. Alla sua “filologia
vivente”. Alla struttura di un albero genealogico e dei suoi rami, tra ascendenze e discendenze, tra
date a quo e date ad quem. La messa a punto cronologica e topografica di un “lui” e di un “me”, di
un “io” e di un “tu”: e dunque, l’immenso ricordo delle infinite “cose” che ci hanno riguardato e
continuano a riguardarci come persone, come fratelli. Le “carte di famiglia” di noi due, accomunati
e separati dallo stesso e diverso destino.
Destini tuttavia imperfetti, incompiuti. Come quello di chi, fuori d’ogni retorica, “non c’è più” e
“continua ad esserci”. Per l’appunto, a partire da questa massa pressoché incalcolabile di
documenti, d’ambito personale, familiare e civile, che ha accompagnato l’arco di tutta una vita, le
sue varie tappe e, ora, il frangente della scomparsa: cartoline, biglietti, lettere di diverso tipo,
immaginette di Santi, fogli e quaderni di scuola, album di disegno, marginalia e foglietti di
appunti nei libri di testo e di lettura, figurine di calciatori, pagelle scolastiche e diplomi di
maturità, di laurea e di specializzazione; le pubblicazioni di nozze, gli attestati professionali; i
“titoli” di diverso genere, a stampa o non a stampa; le ricerche universitarie, individuali o
collettive, pubblicate o meno con la propria firma, ovvero “a firma congiunta”, con altri ricercatori;
le fotografie, le registrazioni audio e i filmati di esperienze familiari e sociali, le più diverse; le carte
della scrivania e i file del computer…
Insomma, le “prove tangibili”, di tutto un universo vivente umano nelle sue caratterizzazioni
spirituali e materiali, storicamente circoscrivibili, databili, riassumibili nei fatti e negli atti di
un’esistenza: testamenti, contratti, estratti catastali, ricevute, cartelle cliniche, ricette mediche,
pratiche sanitarie, fotocopie e fotocopie da libri, da giornali, da internet (spesso non conservate,
disperse), su un’enorme quantità di argomenti… A cominciare, proprio, dalla storia della nostra
famiglia e dalla caccia alla notizia e alla produzione di informazioni e testi, su questo o quell’altro
parente, più o meno illustre, vivente e non.
Un tipo di storia, questa familiare, che Gianni si dilettava di coltivare da autodidatta e, negli
ultimi anni, parlandone spesso e volentieri con me… Una vicenda umana che, per ciò che lo ha
riguardato e riguarda come “credente in Cristo e in Dio Padre Onnipotente”, non si è conclusa su
questa Terra... Non nel referto dell’unità sanitaria mobile, che lo ha inutilmente soccorso quel
sabato pomeriggio. Non nello strazio di una morte senza addii. Non nell’avviso cittadino listato a
lutto. Non nella fraterna benedizione del sacerdote durante la messa funebre, nella Chiesa di San
Giovanni, a Catanzaro.
Egualmente non si è conclusa, l’esistenza personale di Gianni, nelle tante parole di stima e
d’affetto, che la sua morte ha stimolato nei suoi cari e conoscenti. Né nella toccante preghiera ad
alta voce di familiari ed amici, intorno alla bara, il giorno dopo la sua morte… Né nei nastri neri e
viola delle corone e dei cuscini di fiori, con nomi e frasi in oro; e nemmeno negli innumerevoli
messaggi di condoglianza, nelle telefonate, negli sms, nelle e-mail, nei telegrammi, nei carteggi e
sulla lapide in marmo nella tomba di famiglia…
Non si conclude la vita di Gianni, come dicevo: anzitutto perché egli era un credente, un
cattolico, un uomo “di pace” come amava proporsi agli altri, nella sua peculiare religiosità. Era
stato da poco ad Assisi, dove, come negli anni passati, aveva partecipato alla “Marcia della pace”...
Lo avrebbe umanamente commosso e spiritualmente edificato il messaggio di “sentite
condoglianze”, che mi ha fatto pervenire un’amica, Ersilia, con riferimento ad alcuni particolari
della morte:
Mi dispiace per il dolore che avrà provato per la perdita di suo fratello, ma penso che quel “sto
bene”, che ha detto prima di lasciarvi, può significare che Dio gli ha dato la possibilità di salutare i
propri cari in modo sereno. Forse poi suo fratello sapeva che Gesù, che con “il tuo braccio potente
ci conduca a un approdo di salvezza e di pace”, stava venendo a prenderlo con sé, in un mondo
meraviglioso ed eterno.
La vita di Gianni continua perché lascia “eredità di affetti” a tutti noi, che gli abbiamo voluto e
continuiamo a volergli bene, per come era: per le parole dette e per i suoi silenzi, per le cose fatte e
per quelle che avrebbe voluto fare, per le ricerche compiute, incompiute o solo avviate... Per i tanti
ricordi che conserviamo di lui. Per l’amabilità di qualcuno, di volermene scrivere…
Così, tra i tanti altri, un mio caro amico che vive a Catanzaro, Alfonso. Che, con la sua solita
sensibilità, ha voluto sottolineare l’essenziale del rapporto con mio fratello; e a sua volta
fraternamente additare alcune delle cose “più giuste” da fare oggi per Gianni, per i suoi familiari,
per me:
Caro Nino, come stai?
Ho appreso che è venuto a mancare improvvisamente tuo fratello.
La scomparsa del tuo Gianni è stato un dolore per te, come per i tuoi cari, perché un fratello è
qualcosa che ci tiene uniti, come ho saputo che tu lo eri con lui.
Mio padre mi ha detto che per te era qualcosa di più, che lo trattavi un po’ in modo paterno.
Ma la vita non finisce per lui; non lo conoscevo, ma credo sia stata una persona amabile. Lo so
che è faticoso da accettare, ma pensalo nelle cose belle della sua e della vostra vita; condividevate
oltre all’affetto, interessi di filosofia e di storia.
Pensa a quando eravate bambini. Mi torna alla mente quel racconto su te e lui, della macchinina
che dovevate costruire.
La memoria passata porta malinconia, ma è una presenza che ti è rimasta nel cuore.
E se ti riesce fai una piccola cosa, che a lui avrebbe fatto piacere.
Non ti voglio stancare oltremodo, ti porgo, come ai tuoi familiari, un sentimento di cordoglio e
un abbraccio affettuoso,
il tuo caro Alfonso
Così, la straordinaria vicinanza e il fermo incoraggiamento di un altro mio caro amico, Franco:
Carissimo Nino,
[…] poche note scritte a caldo […] per il bisogno di esserti immediatamente vicino e aiutarti a
gestire il dolore e tutte le equazioni non risolte con un fratello più piccolo, che ha fatto un percorso
che, per molto tempo, vi ha tenuti lontani.
È sicuramente terribile che sia successo proprio quando cominciavate a riavvicinarvi per
ritrovare gli incantamenti propri dell’infanzia, e riabituarvi ad esserci, per scoprire, ognuno di voi,
l’universo dell’altro, inimmaginabile quando si vive un distacco così lungo […].
Adesso, dovrai trovare dentro di te la forza di fare quello che tuo fratello pensava tu fossi
capace di fare. Hai qualcosa di più, che è la scoperta dell’universo di Gianni di cui, come dici nella
tua lettera, avevi “riincontrato una personalità complessissima, contraddittoria, tormentata, ma
capace di volare alto”. Aspetto con ansia che tu possa parlarmene e sono sicuro che riuscirai a
ritrovare nella dimensione dialogica (vedi, abuso di un termine che ti appartiene) le ragioni di un
rapporto ancora aperto.
Con l’affetto di sempre,
Franco.
Sì, Luigi, credo proprio che questo amico abbia bene inteso molte cose di Gianni, di me e del
nostro modo di essere fratelli. E mi gioverà certo riprendere con lui l’argomento, quando ci
rivedremo in Calabria, il prossimo agosto…
Mi fa bene però intanto ricordare, che proprio su “La Famiglia”, mi è già accaduto di raccontare
di Gianni e di me, da bambini… Anni fa, per esempio, ne ho parlato proprio in quella storiellina
pedagogica sul gioco, più sopra ricordata, La macchinina. Oppure, nella puntata precedente a
questa delle “Carte di famiglia”, a proposito della prima trascrizione, a cura di Gianni, di una
lettera di Joan Antonio Cumis, il nostro congiunto gesuita catanzarese del Cinquecento,
missionario in Perù…
D’altra parte, non sono state poche, né irrilevanti, le indagini avviate e/o condotte a buon fine
dallo stesso Gianni sul medesimo tema: 1. nella prima decifrazione di un altro manoscritto
cinquecentesco, concernente Joan Antonio; 2. nella ricostruzione del contesto familiare e
catanzarese, entro cui si è storicamente situata la personalità del nostro antenato; 3. nella
supposizione, sulla base di plausibili differenze e analogie, dei motivi di fede e di ragione, che
possono avere ispirato la scelta missionaria del Cumis…
Ripenso con commozione, a questo riguardo, alle nostre interminabili e ora interrotte
conversazioni in automobile, andando a far visita a nostra madre a Sutri; agli incontri con Padre
Domenico Calarco, dell’ordine dei Francescani Severiani; alle comuni frequentazioni della
Biblioteca della Casa Generalizia a Borgo Pio nella Città del Vaticano; alle nostre sortite nella
Biblioteca del Collegio Romano, nella Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, nell’Archivio
Centrale dello Stato, ecc.
Ma c’erano anche altri ambiti di ricerca di Gianni… C’era il Gianni ordinatore di ingarbugliate
carte di famiglia… Il Gianni indagatore e recensore delle erbe officinali presenti in certi angoli
della Presila catanzarese… Il Gianni, un tempo apprezzato pittore e, da ultimo, studioso della
“malaria dipinta”… Il Gianni, paziente “terapista occupazionale” di nostra madre… Il Gianni dalle
lunghe dissertazioni sulla natura, sulla religione, su santi e chiese, sulle scienze, sulla storia e
sull’arte, sulla famiglia, sull’amicizia, sull’infanzia, sulla salute, sulla sicurezza, sulla pace e sulla
guerra, sulla Festa della Repubblica e sulla bandiera italiana, su Catanzaro e su Trieste, sulla scuola
e sull’università, sulla politica, sull’antropologia, sul folklore, sul tango, su cibi e vini, su uomini e
cose della sua e della nostra vita… Il Gianni, autore di un dossier autobiografico e di deontologia
professionale: due anni di resoconti minuziosi sui metodi e nel merito all’essere “un medico”; e la
ricerca del titolo e del sottotitolo “giusti”…
Ecco mio fratello, Luigi. Le “Carte di famiglia” di Gianni, Gianvincenzo. Del mio fratellino Pupì.
Un caro abbraccio,
Nicola
Roma, 29 giugno 2010
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