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Numero 163
29 Luglio 2014
97 Pagine
Novità
Nuovo Piaggio
Mp3 300 ABS
Kymco Agility R16 Plus
| prova scooter tre ruote |
Yamaha Tricity
da Pag. 30 a Pag. 45
Periodico elettronico di informazione motociclistica
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Nico Cereghini
MX Repubblica Ceca
Racconta gli anni
Ottanta. Sesta
puntata: le Replica,
le Turbo e le Trial
Van Horebeek vince il
suo primo GP. Cairoli
è sul podio. Chiara
Fontanesi è iridata
| confronto scooter tre ruote |
la prova
del nove
da Pag. 2 a Pag. 29
SPECIALE
3 RUOTE
Piaggio MP3 300, Quadro 350S, Peugeot Metropolis 400
All’Interno
NEWS: Furti moto: rubate qui, rivendute in Ucraina | M. Clarke La storia della Norton Commando | USA Il grande Sud
N. Cereghini A sessanta sui passi dolomitici | MOTOGP: Valentino telefona a Giacomo Agostini | SBK: Test a Portimao
Piaggio MP3 300 LT, Quadro 350S, Peugeot Metropolis 400 RS
confronto scooter
tre ruote
La prova
del Nove
E’ quella che vede sotto la lente l’agile Piaggio
MP3 300 LT, lo sportivo Quadro 350S e il lussuoso
Peugeot Metropolis 400 RS. Tre scooter a tre ruote dei
quali vi raccontiamo i punti forti ma anche quelli deboli
di Maurizio Tanca
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chilometri più a nord, a Vacallo, appena oltre il
confine elvetico. E l’anno scorso è arrivato anche il Peugeot Metropolis 400, ovviamente realizzato con l’importante consulenza del reparto
auto. Ma oggi è della partita anche Yamaha (per
la quale lo stesso Luciano Marabese aveva già
realizzato anni fa il rivoluzionario prototipo dal
quale è nato il concept Teseract a quattro ruote),
che lo scorso novembre ha presentato a Milano
il simpatico e compattissimo Tricity, che però,
almeno per un po’, sarà disponibile nella sola
versione da 125 cc. Ma è doveroso aggiungere al
novero anche l’italiana Adiva, il cui interessante
veicolo, cabinato e decapottabile con motore da
300 cc, è ormai una realtà, anche se non siamo
riusciti ad ottenerne uno per allargare questa nostra comparativa. Nel frattempo è il nuovo Piaggio MP3 500 profondamente rivisitato, che può
orgogliosamente fregiarsi di essere il primo dei
tripodi finalmente dotato non solamente di ABS,
ma anche del controllo di trazione ASR, alzando
dunque di colpo la classica asticella rispetto alla
concorrenza. Il nostro confronto, dunque, verte
Media
D
opo un lungo periodo di assuefazione “visiva” da parte
del pubblico e degli utenti, iniziato nel 2006 con l’avvento
del capostipite Piaggio MP3,
gli scooter a tre ruote non
sono ormai più considerati degli strani veicoli
alieni che gironzolano impudenti nelle nostre metropoli, ma rientrano nella normalità, perlomeno
nelle grandi città. Difficile, insomma, vedere ancora qualcuno che si giri a guardarli stupefatto,
ma semmai incuriosito da un eventuale nuovo
modello. Piaggio vanta quindi la progenitura di
questo progetto, che a molti sembrerà anche
astruso se non buffo (o anche molto peggio),
ma che in verità ha rivoluzionato la concezione
di scooter e di mobilità urbana, riuscendo pian
piano a farsi apprezzare dal mercato per le sue
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Prove
sul Piaggio MP3 300 Sport LT, il Quadro 350S ed
il Peugeot Metropolis 400. Tutti e tre con il loro
bravo pedale del freno sulla pedana destra, le
frecce distanziate dalla carrozzeria e soprattutto la carreggiata anteriore allargata (ad almeno
465 mm) per poter essere legalmente utilizzati
anche da chi detiene la sola patente B: ovvero
gli automobilisti, che sono considerati l’obiettivo primario per i succitati costruttori, tanto che
Peugeot, Quadro e la maggior parte della gamma Piaggio a tre ruote (Gilera Fuoco compreso)
sono configurati come sopra.
Guidare e piegare a tre ruote
Chi conosce bene questo tipo di veicoli, saprà
perfettamente che in sella ad essi si scoprono
sensazioni nuove, sia arrivandoci da automobilisti mai saliti su una moto o su uno scooter,
piuttosto che da scooteristi più o meno di lungo
corso. Ma anche da motociclisti esperti, magari scettici sull’argomento, non fosse altro che
per meri motivi di immagine personale. Chi usa
da tempo un “3 ruote” a tutto campo, sia per
innegabili doti di superiore sicurezza rispetto ai
normali mezzi a due ruote. Cosa che, com’è ormai ben noto, i nostri vicini di casa francesi hanno
recepito ed apprezzato molto più rapidamente e
quasi a furor di popolo, rispetto agli altri mercati, diventandone quello di riferimento assoluto.
Eh già, perché dal 2006 ad oggi i francesi hanno comprato più della metà degli oltre 150.000
Piaggio a tre ruote - principalmente MP3 (125,
250, 300, 400 e 500), ma anche Gilera Fuoco
500 – circolanti sul pianeta Terra. Ma ormai son
diventati cinque i costruttori che hanno intrapreso questa strada: già da qualche tempo, infatti, la
famiglia Marabese (già profondamente coinvolta
fin dagli inizi nel progetto di Piaggio) ha fondato la Quadro Vehicles, che dallo scorso anno si
è trasferita dalla sede originaria della Marabese
Design di Cerro Maggiore (nel milanese) pochi
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Pur conoscendo più d’uno che un “tre ruote” se
l’è comprato e rivenduto dopo pochissimo (dichiarandosi addirittura intimorito dal tipo di guida…bah), come moltissimi altri che ne sono rimasti entusiasti fin dai primi metri, vi garantiamo
che, dopo un periodo più o meno lungo di affiatamento in sella a qualunque di questi mezzi, anche chi vi si approcci per la prima volta si troverà
a suo agio almeno come su un omologo scooter
tradizionale. Anzi, quasi sempre molto di più.
Stiamo parlando di veicoli che, in effetti, talvolta
possono anche trasmettere un senso di instabilità, dipendente anche dal tipo di pneumatici (dal
profilo più o meno “agile”), magari affrontando
a bassissima velocità una rotonda e/o su fondi
non perfetti: in tal caso è facile avvertire un certo rollio dell’avantreno, in base al mezzo ed alla
dimensione della rotonda stessa. Ma è una sensazione che non inficia mai la gran solidità che
due ruote anteriori ben poggiate a terra garantiscono a chi guida: un sicurezza in appoggio che
peraltro porta spesso ad esibirsi in pieghe che
con scooter normali, e magari anche in moto,
andarci al lavoro su percorsi anche non brevissimi, piuttosto che per muoversi più che altro
in città, difficilmente si sentirà di abbandonare
questo tipo di commuter. Ovviamente, come in
tutte le cose della vita, anche questi astrusi veicoli hanno i loro pro ed i loro contro. Tra i “contro” inseriamo più che altro il maggior ingombro
dell’avantreno, rispetto a quelli degli scooter a
due ruote: un particolare che, a causa della fretta o semplicemente per distrazione o traffico
molto intenso, prima o poi porterà sicuramente
gli utenti più frettolosi a strisciare con le ruote
anteriori contro un marciapiede, piuttosto che
un “panettone” di cemento o che altro: in questi casi è generalmente il fianco della gomma
che va strisciare sull’ostacolo. Ma non nel caso
del Peugeot. I designer transalpini, infatti, hanno
pensato bene di peggiorare la situazione, realizzando per il loro Metropolis dei bei cerchi in lega
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Prove
sicuramente molti non oserebbero nemmeno
pensare. Ma la cosa che personalmente adoro è
la maggior tranquillità che si prova affrontando
una delle situazioni peggiori per noi moto/scooteristi, in particolare in città, e mettiamoci anche
di sera e sotto la pioggia: il perfido abbinamento
tra pavé bagnato, quasi mai in buono stato, e i
binari del tram. Avantreni solidi, dunque, e ben
più sicuri anche in caso di asfalto pieno di buche:
“dos è meglio che uan”, recitava un giovanissimo Stefano Accorsi gustandosi un noto gelato,
ma il suo simpatico tormentone vale anche qui.
Due ruote, insomma, sono meglio di una, specie se sono basse, quindi più inclini a piantarsi
in una buca particolarmente ostica. Vogliamo
poi parlare dell’appoggio anteriore in frenata
nettamente superiore, specie potendo contare
su sistemi idraulici combinati? Per non parlare
della facilità di parcheggiare “a spina di pesce”
o di traverso anche in salita o discesa, bloccando comunque in verticale lo scooter e inserendo ovviamente il freno a mano (che sul Peugeot è elettrico). Quanto ai parcheggi, se gli spazi
leggera, fedeli al family feeling della auto di famiglia ma purtroppo sensibilmente sporgenti (per
circa 5 mm) oltre il limite esterno degli pneumatici anteriori: e quindi soggetti a rovinarsi presto
nel marasma cittadino quotidiano, in base appunto alla fretta ed al “quoziente di distrazione”
di chi guida. Ma il maggiore ingombro frontale,
logicamente, influisce pesantemente anche sul
CX (il coefficiente aerodinamico) dei nostri “3
ruote”, penalizzandone prestazioni e, soprattutto, i consumi massimi. Questo test, ovviamente,
ha chiaramente evidenziato le doti di guidabilità
dei nostri tre mezzi in ogni condizione: anticipiamo dunque che l’MP3 si conferma subito il più
agile ed intuitivo, seguito dal ben più pesante
Metropolis e dal Quadro: il quale è il più largo del
trio e, almeno al primo impatto, il più inerziale
da inclinare (cosa che comunque si rivelerà anche un suo pregio), pur essendo il più leggero.
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limiti: quindi ci si può cadere, specie esagerando
in piega fino a perdere il retrotreno, con probabile high-side. Oppure, con le gomme poco in ordine, si può anche perdere aderenza in frenata
o in curva, come del resto accade in auto: anche
sui simpatici tripodi, in sostanza, è fondamentale conoscere bene il limiti del mezzo, oltre che il
proprio. Concludo citando un esperimento che
feci a suo tempo quando provai il primo MP3
250: sgonfiai quasi completamente una gomma anteriore, verificando che si poteva comunque procedere senza grossi problemi, meglio
se a bassa velocità, naturalmente. Ma andiamo
a presentarli questi tre protagonisti del nostro
confronto, che si sono sfidati anche nella prova
di maneggevolezza tra i birilli, con in sella il nostro top rider Francesco Paolillo, il sottoscritto
e l’amico Eliano Riva, esperto “ex regolarista”
(quindi ai tempi in cui l’Enduro ancora non esisteva) e pistaiolo, che per anni è stato anche tester per alcune riviste del nostro settore. Ma che
cittadini riservati a moto e scooter vi appaiono
troppo stretti, o se nel vostro box avete lo spazio minimo indispensabile per infilarci lo scooter
a fianco dell’auto, sia il Piaggio che il Peugeot vi
aiuteranno grazie al blocco elettronico di verticalità, cioè il marchingegno che al semaforo consente di non poggiare i piedi a terra azionando
con il pollice un apposito deviatore manubrio.
Un’operazione facile, ma che richiede un minimo
di pratica, e soprattutto attenzione al “cicalino”,
che segnala il blocco avvenuto con un “bip” prolungato, e/o alla più affidabile spia sul cruscotto,
visto che il segnale acustico nel traffico spesso è
inudibile. Una volta bloccato lo scooter in verticale, basta spingerlo nel suo posticino e bloccare
il freno a mano tirando l’apposita leva sul retroscudo. Da notare che il Metropolis, per segnalare
il blocco avvenuto, utilizza lo stesso cicalino che
segnala l’inserimento delle frecce, il che, in effetti, potrebbe creare un po’ di confusione: anche
qui, dunque, meglio tener d’occhio la già citata
8
Prove
era al debutto assoluto in sella a mezzi del genere, e anche con una certa dose di scetticismo.
La nostra Cristina Bacchetti ci ha accompagnati
invece in veste di passeggera e di cronometrista nella triplice prova di slalom, effettuata sul
piazzale del motodromo pavese di Castelletto di
Branduzzo (di cui ringraziamo il direttore, Adriano Monti, per la gentile ospitalità concessaci).
Piaggio MP3 Sport LT 300i.e
Iniziamo dal più “piccolo” della combriccola,
spinto dal noto motore Quasar monoalbero a 4
valvole, raffreddato a liquido, da 278 cc effettivi,
alimentato ad iniezione elettronica e accreditato
di 22,5 cv (16,5 kW) a 7.500 giri, con una coppia massima di 2,37 kgm (23,2 Nm) a 6.500. A
livello ciclistico, l’MP3 ha un telaio a doppia culla
(sia superiore che inferiore) in tubi d’acciaio, con
interasse di 1.490 mm. Davanti lavora il sistema
di sospensione anteriore a quadrilatero articolato, composta da quattro bracci in alluminio che
spia. Il Quadro, invece, è privo di gadget elettronici: per rimanere in equilibrio al semaforo,
infatti, o si tengono tirati forte i freni, o si impara
a gestire quello a mano (sul retroscudo) esattamente nel momento in cui il mezzo si ferma,
e viceversa per ripartire. Logico che una volta
frenato il 350S in verticale, diventa impossibile
dunque impossibile spingerlo, il che non agevola i parcheggi in spazi angusti. Tutti i “3 ruote”
del nostro test, come già detto, hanno anche il
pedale del freno sulla pedana destra, cosa che
Piaggio sta estendendo a tutta la gamma, eliminando pian piano i modelli tradizionali. Il più scomodo per il piede è quello dell’MP3, che anche
dal punto di vista ergonomico è il più compatto
del terzetto e, di conseguenza, ha anche le pedane meno spaziose. Frenare con i pedali, in ogni
caso, vien poco naturale, sebbene possa essere
più intuitivo per chi è abituato all’auto. A questo punto è doveroso sottolineare chiaramente
che anche questi mezzi hanno comunque i loro
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Quadro 350S
sostengono due tubi sterzo; il cinematismo della
sospensione è a bielletta tirata, con una coppia
di ammortizzatori con escursione di 85 mm e
ruote anteriori 120/70x12”, mentre la posteriore è da 140/60 su cerchio da 14”, naturalmente
tutte tipo tubeless, gommate Michelin City Grip.
I due ammortizzatori posteriori sono regolabili,
e hanno una corsa di 110 mm. Per quanto concerne l’impianto frenante, basato su tre dischi da
240 mm, il pedale gestisce la frenata integrale,
mentre le leve al manubrio lavorano “tradizionalmente”: la sinistra comanda infatti solo il disco
posteriore, mentre la destra si occupa della coppia anteriore.
Altri dati interessanti riguardo agli ingombri
(giusto per chi avesse problemi di spazio nel
box) sono la lunghezza del veicolo - 2.160 mm e la larghezza massima, dichiarata in 780 mm al
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manubrio, esattamente come l’altezza da terra
del piano sella. Le altre misure da noi rilevate
sono di 850 agli specchietti, 660 alle “frecce” anteriori, e 585 mm ai fianchi esterni delle gomme.
Quanto al peso, che Piaggio non dichiara, abbiamo rilevato 236 kg col pieno di 12 litri (dei quali
1,8 di riserva).
Alla voce “tagliandi”, per gli MP3 300, fino ai
40.000 km l’articolata tabella di Piaggio indica il
primo check up a 1.000 km (durata prevista 120
minuti), seguito a 5.000 dal controllo del livello
olio e della pressione pneumatici, (15’); seguono
il tagliando dei 10.000 km (165’), il controllo olio
e gomme a 15.000, che però prevede anche la
sostituzione della cinghia di trasmissione (75’), il
tagliando dei 20.000 (135’), altri due controlli da
15 minuti a 25.000 e 35.000 km e due tagliandi a
30.000 (185’) e 40.000 (135’).
La creatura italo-elvetica si avvale del monocilindrico Aeon da 346 cc, con testata monoalbero a
4 valvole e ovviamente alimentato tramite iniezione elettronica, con 27 cv (19,8 kW) a 7.000
giri e una coppia di 3 kgm (28,8 Nm) a 5.500
giri. Il “mono” costruito a Tainan City (Taiwan)
è anch’esso imperniato ad solido telaio in tubi
d’acciaio a doppia culla sovrapposta, con interasse di 1.560 mm, anch’esso dotato posteriormente di una coppia di ammortizzatori regolabili
in precarico, con escursione di 100 mm. Com’è
noto, il Quadro è dotato del sistema sospensivo anteriore attualmente più semplice e leggero adottato su un “3 ruote”, che, naturalmente,
gode di un brevetto internazionale fin dal 2009:
si tratta di un dispositivo oleo-pneumatico denominato HTS (Hydraulic Tilting System), costruito in Italia e poi inviato alla Aeon per l’assemblaggio del mezzo, ed è costituito da una coppia di
ammortizzatori oleopneumatici che compensano reciprocamente la loro azione quando il veicolo scende in piega. L’escursione delle ruote
anteriori qui è di 100 mm (con carico di 400 kg).
Il Quadro monta ruote più grandi, rispetto agli altri due: sono da 2,75x14” davanti e 3,75x15” dietro, dotate rispettivamente di pneumatici Duro
Prove
Racing da 110/80 e 140/70. L’impianto frenante
è composto da una coppia di dischi anteriori da
240 mm e un posteriore da 246 mm, le cui pinze
sono azionabili sia dalle due leve sul manubrio
che dal pedale: il quale ne comanda l’azione simultanea, mentre la leva destra aziona solo i due
dischi anteriori.
La leva sinistra, invece, aziona anch’essa la frenata combinata anteriore/posteriore, ma anticipando la seconda fino a quando l’aumento di
pressione sulla leva va ad attivare anche l’anteriore. Le quote misurate del 350S riportano 845
mm al manubrio, 860 agli specchietti, e 660 sia
alle frecce che ai fianchi degli pneumatici. Il veicolo è lungo 2.270 mm, ha un angolo di sterzata
dichiarato di ben 40°, e il piano sella anteriore a
780 mm dal terra. Quanto al peso rilevato, siamo
a 229 kg col pieno di 13,5 litri (200 kg dichiarati
a secco). Il breve elenco degli accessori dedicati
al 350S contempla un capiente bauletto da ben
50 litri, l’immancabile parabrezza più alto e protettivo, la copertina copri gambe (realizzata in
neoprene) ed i consigliabili paraspruzzi da applicare alle ruote anteriori. L’assistenza periodica
stabilita da Quadro Vehicles prevede anche qui il
primo check a 1000 km, seguito da tagliandi stabiliti ogni 5.000 km.
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Peugeot Metropolis 400 RS
Lo scooter francese, esordiente di lusso nel
mondo a tre ruote, forte di un marchio addirittura bicentenario com’è quello del leone rampante,
e con la non trascurabile “spintarella” del reparto
R&D auto, ha partecipato alla nostra comparativa nell’attraente versione RS dal piglio più sportivo. Com’è ormai noto, sul Metropolis esordisce
il nuovo monocilindrico LFE a 4 tempi da 399 cc
con distribuzione monoalbero a 4 valvole, naturalmente raffreddato a liquido e alimentato ad
iniezione elettronica. Un motore che chiaramente si pone in cima al terzetto a livello di prestazioni pure, grazie ai suoi 37,2 cv (27,4 kW) erogati
a 7.250 giri, con un picco massimo di coppia di
3,9 kgm (38,1 Nm) a 5.500 giri. Quanto al telaio,
per favorire la capacità di carico, la Casa francese ha optato per la sempre gradita soluzione
della pedana piatta (unico esempio, in questo
segmento), che però ha costretto ad una struttura che punta sulla sola culla inferiore, sempre
in tubi d’acciaio - evidentemente maggiorati per
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supplire, almeno in parte, al classico rinforzo
che normalmente è nascosto dal tunnel centrale – e con un interasse di 1.500 mm. Il sistema
di sospensione anteriore, di derivazione auto,
si chiama DTW (Dual Tilting Wheels): si tratta
anche qui di un parallelogramma deformabile,
composto da elementi in alluminio pressofuso:
due sinuosi bracci verticali sono “linkati” ad elementi snodati superiori ed inferiori, con un solo
ammortizzatore trasversale piazzato in cima al
“castelletto dinamico”. L’escursione delle ruote
anteriori, in questo caso, è di ben 150 mm (120
mm quella dei rispettivi corpi ammortizzanti),
e posteriormente lavorano due ammortizzatori regolabili. Quanto alle ruote, anche i francesi
hanno scelto la soluzione di Piaggio: quindi 12”
davanti e 14” dietro, ovviamente con pneumatici
Michelin, che sul mezzo messoci a disposizione
però erano stranamente i City Grip in versione
Winter, anziché gli standard, nella classiche misure 120/70 e 140/70. Il “triruotato” transalpino beneficia del sistema frenante combinato e
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Prove
servo assistito SBC (Syncro Braking Concept),
che aziona in simultanea i dischi anteriori da 200
mm e il posteriore da 240 usando anch’esso la
leva sinistra oppure il pedale sistemato a destra
sulla pedana. La leva di destra, invece, comanda
solo la frenata anteriore. Grazie alla presenza dei
servofreni, il sistema “simula” il comportamento
di un ABS, che comunque è previsto in futuro.
Come ingombri, abbiamo 2.152 mm di lunghezza
dichiarata, mentre in larghezza abbiamo rilevato
750 mm al manubrio, 910 agli specchietti, 650
alle frecce e 605 alle estremità dei cerchi ruota
che, come già detto, sporgono oltre le gomme.
Il peso dichiarato è di 256 kg a secco, mentre
quello da noi rilevato è di 274 kg, col pieno di 13,5
litri. Quanto ai tagliandi, anche Peugeot prevede
un primo check a 1000 km e successivi interventi di routine ogni 10.000. La Casa francese non
dichiara tempistiche di lavorazione, dichiarando
però costi di manodopera variabili dai 25 ai 50
euro orari, a seconda del concessionario. Tuttavia, per i ricambi necessari all’effettuazione del
tagliando dei 10.000 km è prevista una spesa di
circa 210 euro, iva compresa.
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candela - è il più capiente dei tre esaminati: infatti può ospitare ben due caschi integrali (uno
davanti e l’altro nel “baule” posteriore accessibile sollevando il coperchio, ma comunque comunicante per poter inserire oggetti stretti e lunghi), e anteriormente avanza ancora uno spazio
notevole per tute impermeabili o altro. E su un
lato è incastonato un cassettino contenente gli
attrezzi. Gradevole il coperchietto estetico che
nasconde alla vista la pinza meccanica ausiliaria del freno a mano, sita sul disco posteriore e
solitamente bruttina da vedere. Come bruttina è
la struttura in plastica studiata per illuminare la
targa. L’impianto illuminante anteriore, con lenti
azzurrate, è decisamente imponente: peccato
però che solo il faro destro sia in funzione, sovrastato da due lucine diurne, mentre la piccola luce
di posizione è piazzata alla base del musetto.
Estetica e finiture
MP3
(N.B. Tutti i voti prevedono il
cinque come valutazione massima)
L’MP3 è ben rifinito, in particolare in questa versione più recente, peraltro in fase di pensionamento – e quindi presumibilmente conveniente
da acquistare - in vista dell’arrivo del nuovo modello (omonimo e di pari cilindrata), gemello del
500 recentemente presentato. Il parabrezza è
regolabile in altezza su tre posizioni, operazione relativamente rapida effettuabile smontando
e rimontando tre viti. Tra parabrezza e cockpit
è stata ricavata una “tasca” portaoggetti tripla,
che ospita anche una presa USB protetta da
cappuccio in gomma, e torna utile per infilarci
magari i guanti durante una sosta (o comunque oggetti che debbano rimanere a portata di
mano). Non manca il classico e sempre comodo
gancio portaborse estraibile, che qui è al centro
del retro scudo, proprio sopra la comoda leva del
14
freno a mano, mentre a destra c’è il blocchetto
di accensione. La chiave codificata (l’immobilizer è di serie) può sbloccare meccanicamente
il coperchietto che cela il tappo di rifornimento,
al centro del tunnel; e può anche azionare elettricamente le serrature indipendenti del vano
sottosella e del baule posteriore, operazione comunque effettuabile anche tramite una coppia di
pulsanti piazzati al centro del manubrio. Da notare che nel fondo in plastica della sella è alloggiata
un’utile copertura antipioggia per la sella stessa.
Quest’ultima è anche dotata di poggia schiena e
maniglioni per il passeggero.
Quanto ai retrovisori – peraltro presenti su parecchi altri modelli del gruppo Piaggio, comprese
le Aprilia V4 - il campo visivo è solo sufficiente.
Elegante e comoda la leva del freno a mano, al
centro dello scudo Quanto alla capacità di carico, il vano sottosella – illuminato e con fondo in
moquette asportabile, per poter accedere alla
Quadro
½
Il nuovo 350S notoriamente deriva dal 350D – il
primo Quadro messo in produzione, con motore da 313 cc anziché 346 – rispetto al quale dal
quale è stato oggetto di ben 21 interventi tecnici e stilistici, ed è distinguibile a colpo d’occhio
per via del silenziatore differente e della nuova
struttura portapacchi-maniglioni, molto più comoda per il passeggero. Ed è il più “spartano”
del trio, ma anche quello con il look decisamente
ed apprezzabilmente più sportivo, e oltretutto
dotato di un efficace doppio faro anteriore attivo. Però non è ancora stato ancora modificato
il parabrezza per renderlo regolabile in altezza,
così come dal display di bordo è ancora assente
l’indicatore di consumo ed autonomia residua, e
dal blocchetto elettrico di destra è assente l’interruttore che spegne il motore in casi d’emergenza, utilizzato invece per la funzione hazard.
Come del resto è rimasto, sempre sul blocchetto
destro, il deviatore delle luci anteriori da anabbagliante ad anabbagliante, cosa ormai obsoleta
almeno per il nostro mercato, dove teoricamente da anni sarebbe in vigore l’obbligo di viaggiare
sempre con gli anabbaglianti accesi. Cosa che in
Prove
molti di fatto non fanno, vuoi per ignoranza, vuoi
per distrazione. Il blocchetto di sinistra, simmetrico al destro, alloggia il devio-luci anabbagliante/abbagliante, il comando delle frecce e, ovviamente, il pulsante del clacson. Invariato il resto:
il retro scudo ospita la leva del freno a mano, un
portaoggetti stretto rettangolare, abbastanza
profondo, e uno orizzontale più largo, con presa
a 12Volt interna, entrambi con chiusure a scatto;
più sotto sono presenti due feritoie orizzontali
che in inverno, tolti i relativi “tappi” in gomma,
consentono al calore proveniente dal radiatore
di uscire verso le gambe, specie se si monta la
classica copertina. Al centro scudo è piazzato il
blocchetto di accensione, dal quale si gestisce
sia la serratura dello scattante tappo di rifornimento – incernierato orizzontalmente sulla sinistra del largo tunnel centrale - sia quella della
sella. Quest’ultima, completamente ridisegnata,
è sempre ampia e ancora più accogliente, grazie
alla nuova imbottitura, pur mantenendo la seduta anteriore a 780 mm da terra, il che consente a
piloti di statura media di poggiare tranquillamente i piedi a terra. Il vano sottosella è in grado di
contenere due caschi demi-jet, o in alternativa
un casco integrale e un demi-jet, piuttosto che
un demi-jet e una borsa di ampie dimensioni. Da
notare le pedane posteriori in lega leggera, incastonate nella carrozzeria ed estraibili a scatto
(e successivamente richiudibili) dal passeggero
con un tocco di tallone. Gli specchietti retrovisori
sono sufficientemente ampi e validi, mentre un
appunto negativo va al cavo che aziona la pinza
posteriore del freno di stazionamento, che svetta poco elegantemente sotto la pedana.
Metropolis
½
Giocando col family feeling di famiglia – vedi musetto, strumentazione di bordo, retrovisori con
superfici asferiche per ampliare il campo visivo,
lo stile dei cerchi in lega, e alcuni altri dettagli
che riportano alle varie cugine a quattro ruote gli stilisti francesi, hanno creato certamente un
prodotto che, per come è fatto e per quello che
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offre, è certamente da considerare di livello Premium. Basta guardare il suo poderoso impianto
illuminante da far invidia ad un’auto: un potente
doppio faro attivo (da 55/60W), commutabile
con le luci diurne costituite dalle ormai consuete file di led inserite nei fari stessi, e con la geniale aggiunta di un’altra striscia di led sotto al
musetto (denominata DRL, Daytime Running
Lamp), piazzata verticalmente tra le due ruote.
Idem per il posteriore, molto simile al cofano di
una piccola auto, con sfoggio di led rossi ai lati.
Notevole il parabrezza, che qui è rapidamente
regolabile in altezza, con un’escursione totale di
140 mm: lo si fa premendo contemporaneamente due grossi pulsanti anteriori piazzati davanti ai
montanti. Come già detto, inoltre, il Metropolis è
l’unico mezzo del genere dotato di pedana piatta, con i pro ed i contro che, come vedremo, questa scelta comporta. C’è molta gestione elettronica/elettrica di servizio, sul Metropolis, facente
capo alla smart-key che viene riconosciuta in un
raggio di 2 metri. Smart-key preziosamente realizzata e ovviamente dotata di transponder, che
ovviamente va tenuta preferibilmente in tasca
piuttosto che in un portaoggetti nello scooter
(opzione però sconsigliabile per i distratti cronici), e che al suo interno cela anche una chiave
classica, nel caso di defezione della batteria. Il
sistema presiede dunque all’avviamento, effettuabile ruotando la grossa manopola dello start
(illuminata anularmente per l’utilizzo serale)
sopra lo scudo; al funzionamento del sistema
anti-tilting, a quello del freno di stazionamento
(azionabile tramite l’icona scorrevole del leone
posta al centro del manubrio, vicino al pulsante dell’hazard); alle serrature dei portaoggetti e a quelle della sella e del baule posteriore,
apribili premendo i pulsanti sulla sinistra dello
scudo. Il vano sottosella, con luce di cortesia, è
comunicante col baule, e quindi piuttosto ampio i generale: ma può ospitare solo un casco
demi-jet con visiera e magari l’abbigliamento
da pioggia, piuttosto che una sacca da tennis o
che altro; però lo spazio posteriore, anch’esso
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Prove
illuminato, può arrivare ad ospitare un casco
integrale o modulare, ma dipende dai modelli .
Quanto ai portaoggetti anteriori, nel retroscudo
è ricavato un largo cassetto capace di contenere,
a titolo di esempio, un libro e un’agenda, mentre
un’altra tasca, con inclusa presa a 12 Volt, può
contenere l’ormai classica bottiglietta d’acqua.
Il passeggero gode di ampie pedane estraibili a
piattaforma da 50 cmq di superficie, di due maniglioni molto comodi e di un supporto lombare,
implementabile con uno schienalino. E un supporto lombare, regolabile longitudinalmente per
40 mm, è riservato logicamente anche al pilota.
Strumentazione e comandi
MP3
½
Il cruscotto dell’MP3 è il solito, serioso ed elegante al pari del mezzo, e composto da due strumenti analogici simmetrici a fondo nero, con al
centro il classico display LCD, e sotto una decina di spie luminose. Niente indicatori di consumo, ma tutto ben leggibile. Quindi, tachimetro a
sinistra (con all’interno il mini led dell’antifurto
immobilizer, che è di serie) e contagiri a destra,
che ospita l’indicatore di livello del carburante,
anch’esso “a lancetta”. Il display riporta la temperatura del motore, l’orario, due trip alternabili
alla temperatura esterna, e al chilometraggio
residuo in riserva, oltre al chilometraggio totale
fisso. Quando si inserisce la riserva, si accende
la spia gialla sottostante, e inizia da zero il conteggio dei chilometri relativi. Appena sotto al
display, in mezzo ai pulsanti di settaggio dell’orologio, figura la spia gialla del sistema di tilting,
che lampeggia quando il blocco non è inserito e
diventa fissa quando lo è, accompagnata da un
lungo suono dell’apposito cicalino. In caso di
avaria del sistema, si accende un’altra spia rossa con il medesimo simbolo, sistemata più sotto
assieme a quelle dell’olio, della riserva, degli indicatori direzionali, dell’iniezione, del baule aperto,
del freno a mano inserito etc. Sempre eleganti
anche i blocchetti al manubrio satinati, anch’essi simmetrici: il sinistro alloggia il deviatore
anabbagliante/abbagliante con funzione lampeggio, il clacson e il deviatore delle frecce: queste possono funzionare anche simultaneamente
come hazard, premendo l’apposito pulsante
rosso sottostante. Sulla destra invece abbiamo il
ben accetto interruttore di sicurezza, il deviatore
che inserisce e disinserisce il tilting, il pulsante
di start e quello tondo del Mode, che gestisce le
funzioni variabili del display (TripA/ TripB/temperatura ambientale). Spendendo 154 euro in
più per l’apposita centralina aggiuntiva, il cockpit
dell’MP3 può diventare il top grazie all’app gratuita PMP - Piaggio Multimedia Platform – il cui
elaborato software permette di visualizzare sugli
smartphone (che chiaramente necessitano di
supporto – quello per l’iPhone costa 37 Euro - e
cablaggi per l’alimentazione) parecchie informazioni utili, sebbene alcune siano già fornite dalla
strumentazione di serie. Abbiamo tachimetro
e contagiri, ma anche l’erogazione istantanea
di potenza e coppia del motore, accelerazione longitudinale, angoli di piega, consumo di
carburante istantaneo e medio, voltaggio batteria, giusto per citarne alcune. Un lampeggio
del cruscotto virtuale di PMP può avvisare di un
possibile indicatore di direzione dimenticato acceso. Nel caso il carburante scarseggi, il sistema
segnala, in automatico, i distributori più vicini,
impostando il percorso da seguire direttamente
sulle app di navigazione. PMP memorizza automaticamente l’ultima posizione del veicolo prima dello spegnimento del motore, aiutando così
a ritrovarlo nel caso in cui non si ricordi dove sia
parcheggiato. Inoltre è possibile memorizzare
tutti i dati di un viaggio per analizzare in maniera
semplice il proprio stile di guida tramite il numero di parametri acquisiti in tempo reale dalla app.
Dulcis in fundo, è anche possibile sfogliare il manuale di uso e manutenzione del proprio veicolo.
Quadro
Il compatto cruscottino stile supersport verte
sul classico contagiri analogico, che ospita l’indicatore di livello carburante sovrapponendosi
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spilungoni si troveranno facilmente con le ginocchia contro lo scudo, mentre i medi di statura tutto sommato godranno di una seduta abbastanza
comoda, ma con una postura che non concede
per nulla di muovere i piedi in avanti. I più bassi,
invece, soffriranno un po’ per l’ampiezza della
sella, la quale è confortevolmente imbottita e
non scivolosa, ma che comunque è leggermente
in discesa, quindi prima o poi ci si trova seduti
in punta. Dulcis in fundo, il pedale del freno sul
Piaggio è il più invadente e il meno comodo da
azionare. L’eventuale passeggero, specie se non
troppo corpulento, siederà comodamente, con
un buon poggia schiena (ma un top case chiaramente sarebbe meglio), però seduto più in alto
di una buona mezza spanna e con pedane poggiapiedi non molto larghe. In compenso, in sella
al silenziosissimo MP3 si viaggia come su un cuscino d’aria, senza alcuna vibrazione e ben protetti dal parabrezza già nella posizione standard,
cioè l’intermedia. Molto buono il comfort delle
sospensioni anteriori, anche sul pavé più feroce,
mentre gli ammortizzatori posteriori sono solo
onesti.
parzialmente al display LCD: quest’ultimo indica
orario, velocità, chilometraggio totale e due trip
parziali. Ai lati del cruscotto, però, sono stati alloggiati i termometri digitali per la temperatura
ambientale (a sinistra) e del motore (a destra).
Il tutto piacevolmente illuminato in un bell’azzurro. A fianco del contagiri troviamo sette spie di
servizio, tra le quali quella della riserva.
Metropolis
½
Anche il cruscotto del francesino punta su una
coppia di elementi analogici con al centro il computer di bordo digitale: dunque tachimetro e
contagiri a lancette, con le spie che segnalano
l’attivazione del sistema di blocco anti-tilting, il
freno di stazionamento inserito, l’apertura del
vano sottosella e di quello posteriore, gli indicatori direzionali, la pressione dell’olio e la diagnostica dell’iniezione. Il computer LCD informa
18
invece su chilometraggio totale e parziale, livello
carburante, consumi istantaneo e medio, i km di
autonomia residua, temperatura esterna (con
segnalazione di probabile ghiaccio quando la
temperatura scende sotto ai 3°C), temperatura
del motore e intervalli di manutenzione. Ed effettua pure il controllo permanente della pressione
delle gomme, con espressa segnalazione luminosa nel caso si verifichi una perdita pressione
importante.
Ergonomia e comfort
MP3
½
Il progenitore dei “3 ruote” fin dagli inizi non ha
mai abbondato in termini di ospitalità, rispetto ai
due colleghi con cui va a confrontarsi: tant’è che
Piaggio, con i due nuovi 300 e 500 di quest’anno,
ha corretto il tiro proprio per rimediare a questo
aspetto, perlomeno in parte. Diciamo che gli
Quadro
½
Come il predecessore 350D, anche il 350S gode
di una sella notevolmente accogliente, sia per chi
guida – grazie al piano di seduta che non tende
a farlo scivolare fastidiosamente verso la punta - che per l’eventuale passeggero, che però è
seduto abbastanza in alto, a causa della ruota
posteriore di maggior diametro. Inoltre, la sella è
ancor meglio imbottita e confortevole, e con maniglioni posteriori più comodi. Le pedane posteriori a scomparsa, però, hanno il fastidioso vizio
di ripiegarsi all’indietro se il passeggero muove
le gambe. La postura comunque è buona per
entrambi, col pilota in posizione naturale, appoggiato senza stress a un manubrio (volutamente)
largo – 5 cm in più rispetto al Metropolis e 6,5 in
più dell’MP3, poi vedremo perché – e con la possibilità di spostare discretamente bene le gambe le gambe, un pochino in avanti, abbastanza
Prove
all’indietro: a tal proposito, sul Quadro il piede
destro non va ad interferire più di tanto col famigerato pedale del freno, che all’occorrenza
richiede comunque una discreta pressione per
ottenere una buona decelerazione dall’azione
combinata, peraltro consigliabile sul bagnato. La
protezione aerodinamica del parabrezza di serie
ci è parsa soddisfacente, almeno per chi guida;
peccato però che il plexiglas, nella primissima
apertura del gas - tipo quando ci si muove lentamente nel traffico intenso - sia vittima di qualche
risonanza nella fase critica di “attacco” della frizione. Solo agli alti regimi, invece, si manifestano
delle vibrazioni piuttosto sensibili sulla pedana.
Sempre facendo riferimento al nostro usuale
tratto di pavé a lastroni piuttosto mal messo, anche qui il comfort offerto dell’apparato sospensivo anteriore del Quadro è decisamente positivo,
sebbene la risposta sia più “gommosa” rispetto
al sistema del Piaggio. Gli ammortizzatori, invece, sono più secchi di quelli dell’MP3.
Metropolis
Lo scooter francese accoglie alla grande pilota
e passeggero, regalando ad entrambi un ottimo
assetto: posizione naturale del busto e gambe
angolate il giusto per entrambi, e con un’ottima protezione dall’aria già con il parabrezza
in posizione bassa, tanto da poter tenere tranquillamente la visiera del casco sollevata. Il Metropolis, insomma, è decisamente più ospitale
dell’MP3, rispetto al quale consente al pilota di
sedere in posizione naturale, si, ma più arretrato,
col pedale meno invasivo e più comodo da usare, e con più agio per muovere le gambe. Anche
il passeggero apprezzerà certamente – oltre alle
faraoniche pedane reclinabili ad esso riservate la gran comodità della sella, l’assenza assoluta di
vibrazioni e la buona protezione dall’aria anche
ad andatura autostradale. Accettabili gli ammortizzatori posteriori, mentre l’avantreno, sullo
sconnesso soffre non poco, e fa soffrire parecchio anche le braccia di chi guida: il che, influisce
negativamente sul giudizio parziale.
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Accessori
MP3
½
Oltre al già citato ed esclusivo software PMP,
per l’MP3 sono ovviamente previsti anche tutti
gli accessori tipici per muoversi anche ad ampio
raggio: ovvero il kit bauletto (grande e medio) a
sgancio rapido, il parabrezza medio e il monumentale parabrezza comfort bombato, la copertina copri gambe, il telo copri veicolo, l’antifurto
elettronico E-power, il kit fissaggio multimedia
(per utilizzare il PMP), la sella comfort altezza
standard (720 mm) e maggiorata, le piastre poggiapiedi in alluminio, l’antifurto blocca manubrio
e pure il casco Copter demi-jet.
Quadro
Non è ancora lunghissima la lista di prodotti atti
a coccolare l’acquirente del Quadro, però c’è
quasi tutto ciò che basta per goderselo tutto
l’anno. Ovvero: capiente bauletto da ben 50 litri;
l’immancabile parabrezza più alto e protettivo
per chi pretende di non avvertire il minimo refolo
d’aria; chiaramente la copertina copri gambe dedicata, qui realizzata in neoprene, e gli utili paraspruzzi da applicare alle ruote anteriori.
Metropolis
½
Peugeot Scooters dispone di un listino accessori
particolarmente ricco, dove troviamo: parabrezza alto con paramani; deflettori aria laterali; bauletto da 47 litri, nero o con “cover” in tinta (disponibili anche a parte); borsa morbida interna
per bauletto; poggi schiena per bauletto; poggia
schiena indipendente per passeggero; portapacchi; copri pedane in acciaio inox; copertine
paragambe ad alta visibilità, invernale o “mezza
stagione”; copri manopole invernali; coprisella
impermeabile; cintura Grip’n’Ride; supporto per
smartphone; telo coprimoto; lucchetto a doppia
U.
Prezzi
MP3
½
In questa versione Sport LT, l’MP3 è in listino a
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Prove
6.870 euro franco concessionario, in tre colorazioni “siderali”: Bianco Stella, Nero Opaco Carbonio e Grigio Opaco Nebulosa. Ed è anch’esso
implementabile con il sistema PMP
(Piaggio Multimedia Platform, che ha esordito
lo scorso anno con l’elegante maxiscooter X10),
che permette di connettere il software originale
ad uno smartphone, rendendolo praticamente
un completissimo computer di bordo – funge
perfino da inclinometro! - alimentabile tramite la
presa USB inserita nell’apposita tasca portaoggetti.
Quadro
Il Quadro 350S costa 7.190 euro franco concessionario, nelle quattro colorazioni denominate
Blue Ocean, White Snow, Steel Grey e Raw Black.
Metropolis
Il Metropolis 400 standard è disponibile in quattro colorazioni: Pearly Black, Safron Red, Pearly
White e Shining Titanium, al prezzo di 8.050 euro
franco concessionario. L’RS, che costa 210 euro
in più, si distingue per il suo look più sportivo,
accentuato dal parabrezza sport fumé, sempre
regolabile in altezza, dalle pedane poggiapiedi in
acciaio inox, dalla calandra bordata di arancione,
come i profili dei cerchi ruota e le cuciture della
sella, e anche per lo scarico stilisticamente più
semplice. Quanto ai colori, si può scegliere tra la
candida versione Snow White (“Biancaneve”) e
la più grintosa Titanium, come quella da noi utilizzata. Peugeot fornisce una garanzia di ben 4
anni, due dei quali assicurati da Mapfre Warranty;
tramite Mapfre Assistance, poi, si è coperti per
due anni per l’assistenza stradale Per promuovere il suo “3 ruote, Peugeot Scooter ha studiato la
seguente formula di finanziamento tramite Findomestic: una volta versato un acconto di 1.150
Euro, il pagamento viene dilazionato in 36 rate
da 213,81 Euro in 36 rate (Tan fisso 7,24%, Taeg
7,48%); versate le prime 6 rate, sarà possibile
aumentare e/o diminuire l’importo mensile anche tutti i mesi, e saltare una rata fino a tre volte.
Il tutto senza costi aggiuntivi e tramite un SMS,
una telefonata oppure on-line.
Prestazioni
Rispetto ad omologhi modelli tradizionali, gli scooter a tre ruote vengono logicamente penalizzati
in termini di aerodinamica, proprio per via del
loro avantreno nettamente più ingombrante: la
loro resistenza all’avanzamento di conseguenza
risulta nettamente superiore, e chiaramente percepibile spingendo al massimo in autostrada. Diciamo che gli stessi motori, montati su omologhi
scooter a due ruote, potrebbero tranquillamente
spingerli a punte massime di velocità superiori di
almeno una decina di km/h. Ma la penalizzazione
più pesante, per chi utilizzi spesso l’autostrada a
tutto gas per muoversi rapidamente con questi
mezzi, riguarda l’elevato consumo di carburante, che peraltro penalizza maggiormente i motori
di minor cilindrata.
Di seguito, ecco i dati da
noi rilevati in merito.
MP3
½
Il triciclo italiano non può certo vantare velocità
di trasferimento superlative, tant’è che la punta
massima da noi rilevata (intesa come media dei
passaggi nei due sensi), guidando in posizione
eretta, è stata di 121 km/h (oltre 130 indicati) a
8.600 giri. Per quanto riguarda la precisione del
tachimetro, i 50 km/h effettivi corrispondono a
58 indicati, ed i 90 effettivi a 100 indicati.
Quadro
Lo scooter italo-svizzero, che ha qualche cavallo
in più de Piaggio, raggiunge la velocità massima
effettiva di 126,5 km/h (138 indicati) a 7.900 giri.
Il Quadro viaggia a 50 km/h effettivi quando il
suo tachimetro ne indica 54, e a 90 veri ne corrispondono 98.
Metropolis
Ovvio che il Peugeot sia stato nettamente il più
veloce, nonostante la sua stazza importante.
Con 139 km/h effettivi (circa 160 indicati, a circa
8.000 giri), è dunque l’unico dei tre contendenti
a poter tenere il passo autostradale di 130 orari
effettivi (quasi 150 indicati) senza sentirsi tirato
per il collo.
Per muoversi a 50 km/h reali, il suo tachimetro
deve indicarne 57, mentre i 90 corrispondono a
105 indicati.
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Consumi
MP3
Con l’MP3 300, in città abbiamo percorso mediamente 21,8 km/l, mentre sul nostro percorso
extraurbano tipo il valore è salito a 26,5. Il consumo medio autostradale corrisponde chiaramente a quello massimo: 18 km/l. Mentre il consumo
medio totale del nostro test si è attestato sui 22
km/l. L’MP3 ha un serbatoio da 12 litri, quindi la
sua autonomia media dovrebbe aggirarsi sui 210
km (riserva di 2,5 litri esclusa).
Quadro
½
Il 350S in città si è attestato su una percorrenza
media di 18 km con un litro di super, saliti a 23,7
in ambito extraurbano. Pesante il riscontro autostradale, chiaramente effettuato anche qui a
tutto gas: 14/km/l! Il consumo medio del nostro
test invece è risultato di 18,6 km/l: con 13 litri di
super nel serbatoio, dunque, l’autonomia media
prevedibile dovrebbe aggirarsi sui 190 km, al
netto dei 3 litri di riserva.
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Metropolis
½
Il triciclo transalpino ci ha piacevolmente sorpresi: 20 km/l la sua percorrenza media cittadina,
27,4 sul percorso extraurbano, e 21 km/l come
consumo medio del test: con il pieno di 13,5 litri, il
Metropolis dovrebbe dunque percorrere mediamente almeno 200 km, esclusa riserva (4 litri).
Un’ottima resa chilometrica, dunque, grazie a un
motore che in condizioni normali evidentemente lavora a dovere faticando poco per muovere
il mezzo. Tuttavia, pur facendo meglio degli altri
due, anche il Peugeot in autostrada paga pegno,
con risultati da maximoto di cilindrata più che
doppia: a 130 orari effettivi (circa 150 indicati)
percorre infatti 15,5 km/l, che scendono a 14,3
viaggiando al massimo.
Comportamento in città
MP3
Scorrazzare in mezzo al traffico con l’MP3 300 è
davvero divertente. Il suo motore è dolce, ma ha
uno spunto tutto sommato brillante, in rapporto
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al peso (perlomeno con in sella il solo pilota, e
di taglia normale), ed è piacevolmente silenzioso. E lo scooter è pure agile e molto rapido, sia
nello scendere in piega che nei cambiamenti di
inclinazione, tanto da richiedere inizialmente un
minimo di confidenza, perché sulle prime sembra quasi di cadere: complici, senz’altro anche
i Michelin City Grip, dal profilo notoriamente
svelto. Dei tre protagonisti del nostro confronto, dunque, l’MP3 è certamente quello dinamicamente più vicino a un normale scooter a due
ruote (basse) di pari cilindrata. Frenare col pedale non è ergonomicamente comodo né molto
“comunicativo” dal punto di vista della sensibilità, tuttavia la frenata integrale sul bagnato, magari in caso di “panic stop” nel traffico intenso, è
senz’altro consigliabile per tenere il mezzo ben
equilibrato. Usando classicamente le leve al manubrio, invece, la coppia di dischi anteriori regala
decelerazioni senz’altro soddisfacenti; l’azione
del posteriore invece è spugnosa e poco sensibile, e pecca in progressività, bloccando con fin
troppa facilità: la classica frenatona in emergenza, specialmente in discesa, può quindi far intraversare facilmente il mezzo, a maggior ragione
sul bagnato. Col passeggero a bordo, tuttavia,
la situazione si equilibra parecchio. La città, più
che mai, è anche il luogo dove è più frequente imbattersi in fondi stradali spesso parecchio messi
male: rispetto ad uno scooter tradizionale, l’MP3
è nettamente vincente, anche sul pavé dissestato, dove chiaramente è consigliabile andar piano,
ma dove il Piaggio consente di viaggiare con molta più tranquillità.
Quadro
Del nostro terzetto di tripodi, il Quadro 350S è
costituzionalmente il più largo anteriormente,
e, per via del suo sistema oleopneumatico HTS,
risulta il meno rapido nelle sue reazioni. Il che,
chiaramente, costringe ad un periodo di affiatamento più lungo rispetto agli altri due, in particolare per muoversi nel traffico con un minimo.
Fatta la mano, e assimilati i tempi di reazione del
Prove
veicolo, non ci si fa più caso e ci si muove anche
abbastanza agevolmente (ricordiamo che questo è il più leggero dei tre), soprattutto con la
netta sensazione, percepita in particolare da chi
magari conosce già i “3 ruote” di Piaggio, di poter
contare su un avantreno ancor più rassicurante,
senz’altro grazie anche alle ruote più alte. Ad
aiutare nelle manovre e nella fase di affiatamento ci pensa appunto il manubrio, volutamente più
largo rispetto ai concorrenti proprio per offrire
un maggior braccio di leva e ridurre quel piccolo
sforzo che in effetti, dopo un’oretta di conoscenza, sembra svanire nel nulla. La frenata a pedale
del Quadro, anche qui combinata, è piuttosto potente, mentre la leva che comanda i dischi anteriori ottiene solo rallentamenti poco incisivi: per
quanto ci riguarda, dunque, molto meglio usare
la leva sinistra, che comanda tutti e tre i dischi
ritardando però leggermente (e volutamente)
l’azione dell’anteriore a favore del posteriore.
In ogni caso, bisogna sempre premere forte, tenendo conto del fatto che pedale e leve usano gli
stessi circuiti idraulici: frenando con entrambi,
dunque, solitamente il primo minimizza sensibilmente l’azione delle seconde, e viceversa.
Quanto a buche, pavé e asfalto “post invernale”, quindi disastrato, anche il Quadro se la cava
decisamente bene, in particolare davanti: l’HTS,
più del sistema di Piaggio, ha un assorbimento
piacevolmente “gommoso” delle asperità, mentre dietro si sente la necessità di un paio di ammortizzatori meglio calibrati nella prima fase di
assorbimento.
Metropolis
½
Nonostante il suo notevole peso - e contrariamente alle prime impressioni del nostro primo
test dello scorso anno - il nuovo Peugeot risulta
abbastanza intuitivo al primo approccio, anche
nel muoversi nel traffico intenso. In sella del resto ci si sta molto bene, la postura è naturale, e
lo scooter appare anche fin troppo agile. Ma se è
vero che ci si muove subito con buona disinvoltura, è meglio non esagerare nelle manovre molto
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strette, e in particolare nella classica inversione
ad U effettuata in fretta e furia: complice anche
l’elevato angolo di sterzata, infatti, la massa
anteriore notevole può facilmente costringere
a puntare il piede a terra . Cosa che si è puntualmente verificata durante le nostre prove di
slalom tra i birilli. Chiaramente anche qui è questione di abitudine, e una volta presa la giusta
confidenza col mezzo tutto viene decisamente
più facile. L’impianto frenante è potente, specialmente col pedale, ed effettivamente è molto
difficile arrivare a bloccare le ruote. Ovviamente
anche con la leva di sinistra, seppur con un certo
sforzo, si decelera poderosamente, mentre con
la destra, che lavora solo davanti, anche qui la
decelerazione è si rivela poco incisiva. Ma ecco
che entra in gioco il tallone d’Achille del Metropolis, il cui telaio sullo sconnesso si sobbarca le
maggiori asperità che il quadrilatero anteriore
fatica ad assorbire, scaricandole sul telaio stesso e sulle braccia del pilota, che dunque avrà il
suo bel da fare per tenerlo a bada in attesa che il
fondo torni liscio. Sul pavé, insomma, col Metropolis è meglio andar più piano.
Comportamento in autostrada
MP3
½
In autostrada, come già detto, con l’MP3 300 si
va tranquilli e di conserva, ben protetti dall’aria,
senza alcuna vibrazione, e con una buona stabilità, perlomeno in assenza di vento e di mezzi pesanti e relativi vortici noiosi. A 120 orari, insomma, è decisamente meglio starsene buoni buoni
sulla destra e scordarsi la fretta ed i sorpassi.
Quadro
½
Il 350S a tutto gas è molto stabile, e soffre meno
il vento rispetto al Piaggio. Come già detto, il parabrezza protegge abbastanza bene un pilota di
altezza media; il passeggero, seduto ben più in
alto, si troverà invece certamente più esposto.
Ma anche in questo caso, come sul Piaggio, se
proprio ci si vuol muovere in autostrada è meglio prendersela calma, anche perché la benzina
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costa e, oltretutto, a tutta birra qualche vibrazione sulla pedana si fa sentire.
Metropolis
½
Anche il Peugeot è praticamente “asettico” a livello di vibrazioni, e accoglie i suoi ospiti come
un tappeto volante. La protezione dall’aria è notevole davanti e buona anche dietro, e tenendosi
sui 120 effettivi si riesce anche a non consumare
come su una moto di cilindrata più che doppia.
Viaggiando al massimo, però, l’influenza del vento un pochino si avverte, e sui curvoni l’avantreno
oscilla ritmicamente, sebbene senza eccedere: il
che però potrebbe anche dipendere dalle Michelin “invernali” (quindi col battistrada più scolpito)
del mezzo che ci è stato consegnato.
Comportamento nel misto
MP3
Scorrazzando allegramente su strade tortuose,
magari in collina o sul lungolago, l’MP3 si conferma ulteriormente come il più facile, agile e
maneggevole del gruppetto. Si guida veramente
rilassati, col piccolo mono che spinge a sufficienza per muoversi più che dignitosamente, tutto
sommato anche in salita. E se venisse voglia di
strafare - chiaramente dopo averne ben identificato i limiti, - ci si può anche lasciar prendere la
mano mettendo il malcapitato sotto pressione.
Se si è soli in sella e scatta l’invisibile molla, ci si
trova presto con i piedi poggiati all’indietro, a far
gli spiritosi in discesa con la ruota posteriore a
filo d’asfalto, strizzando per benino i freni anteriori nel puntare i tornanti e magari col retrotreno che scodinzola allegramente: sempre che dietro non abbiate un passeggero (preferibilmente
molto accondiscendente), la cui presenza tenga
la ruota motrice posteriore ben piantato a terra.
Ma questi, chiaramente, son più che altro discorsi da vecchi smanettoni in fase di astinenza…
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dolcezza e un motore logicamente più tonico
rispetto al Piaggio. E anche nel momento in cui
scatti il cosiddetto “fun factor”, il pupillo di Marabese fa valere le sue doti di controllo e stabilità
nettamente superiori rispetto agli altri due mezzi
provati, sfoggiando una guida che definirei quasi “motociclistica”, ergo davvero divertente. Lo
svizzerotto frena bene anche quando ci si dà
dentro, sia in piano che in discesa è difficile sentirlo scomporsi e, una volta entrati in sintonia
con esso, si mostra solido e preciso tra le curve,
lungo le rotonde e nelle pieghe a fondo corsa,
dove lo si pianta alla massima inclinazione senza
alcuna remora. Tant’è che sullo stretto si spera
sempre di incontrare qualche “avversario” da
andare a tampinare…Come i ragazzini, insomma…
Metropolis
Dei tre attori della nostra prova, il Peugeot è
certamente il più prestazionale, ma anche il più
tranquillo, il più pacioso, il più comodo, quindi
quello più adatto a anche a lunghe gite. Un lussuoso GT, nel suo genere, che sul misto si comporta bene anche ad andature tutt’altro che
lente. La sua massa, però, non aiuta molto la
Prove
precisione di guida a veicolo molto inclinato: tipo
nelle classiche rotonde, dove magari si piega un
po’, tanto per divertirsi, e bisogna correggere costantemente il sottosterzo; e sconsiglia andature
troppo disinvolte su percorsi pieni di curve in rapida successione, dove i frequenti cambiamenti
di inclinazione, abbinati ad una guida brillante,
possono arrivare a scomporne l’assetto. Il che
sarebbe anche veniale finché il fondo stradale è
perfetto: ma non appena si piomba sullo sconnesso, ecco che l’avantreno torna a saltellare
sensibilmente. Sia comunque chiaro che davanti
ci sono sempre due ruote a dar man forte, e la
differenza a favore, rispetto ad uno scooter normale, rimane comunque significativa ed impagabile. Il Peugeot, insomma, va guidato con ferma
dolcezza godendosi il suo gradevolissimo motore, dolce ma tonico fin da subito con un’ottima
progressione e allunga altrettanto bene. Come
già detto, i freni del Metropolis sono i più efficaci
in termini di potenza decelerante e modulabilità,
sia usando il pedale che le leve al manubrio; tenendo però conto, qui ancor più che sul Quadro,
del già citato effetto compensazione tra le due
modalità: quindi, o pedale, o leve, con netta preferenza per quella sinistra.
Quadro
Chiaro che fuori città il Quadro si trovi più a
suo agio, lasciandosi condurre con armonica
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Prove
Lo slalom tra i birilli
Per confrontare tecnicamente le doti di maneggevolezza dei nostri tre scooter, ne abbiamo rilevato i tempi di percorrenza attorno ai birilli in
tre situazioni differenti, ricavandone poi la media
individuale. Ecco i risultati:
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Velocità massima: 121 km/h
Consumo al massimo: 18 km/l
Consumo medio città: 21,8 km/l
Consumo medio extraurbano: 26,5 km/l
Consumo medio autostrada: 18 km/l
Consumo medio durante il test: 22 km/l
Peso: 227 kg con serbatoio vuoto - 236 kg
con il pieno
Quadro 350S
Velocità massima: 126,5 km/h
Consumo al massimo: 14 km/l
Consumo medio città: 18 km/l
Consumo medio extraurbano: 23,7 km/l
Consumo medio autostrada: 14 km/l
Consumo medio durante il test: 18,6 km/l
Peso: 219,5 kg con serbatoio vuoto - 229 kg
con il pieno
Scheda tecnica
Prestazioni rilevate
Pregi: Qualità generale | Versatilità
Maneggevolezza | Consumi | Capacità
di carico
Difetti: Ergonomia pilota migliorabile
Freno posteriore troppo esuberante
Peugeot Metropolis 400 RS
Velocità massima: 139 km/h
Consumo al massimo: 14,3 km/l
Consumo medio città: 20 km/l
Consumo medio extraurbano: 27,4 km/l
Consumo medio autostrada: 15,5 km/l
Consumo medio durante il test: 21 km/l
Peso: 263,5 kg con serbatoio vuoto - 274 kg
con il pieno
Pregi: QErgonomia e protezione | Frenata
Qualità/prezzo | Comfort sul liscio | Consumi
Capacità di carico
Difetti: Sospensioni anteriori sullo
sconnesso | Peso penalizzante nelle
manovre molto strette
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Scheda tecnica
Prestazioni rilevate
Pregi: Abitabilità | Frenata | Guida sul veloce
Capacità di carico
Difetti: Vibrazioni pedana al massimo
Ammortizzatori rigidi | Assenza indicatore di
consumo e interruttore on-off motore
Prezzo poco competitivo
Prove
Piaggio MP3 300 LT € 6.645
Tempi: 4
Cilindri: 1
Cilindrata: 278 cc
Raffreddamento: a liquido
Avviamento: E
Potenza: 22.5 cv (16.5 kW) / 7500 giri
Coppia: 23.2 Nm / 6500 giri
Marce: AV
Freni: DD-D
Misure freni: 240-240 mm
Misure cerchi (ant./post.): 12’’ / 14’’
Normativa antinquinamento: Euro 2
Peso: 206 kg
Lunghezza: 2160 mm
Larghezza: 760 mm
Altezza sella: 780 mm
Capacità serbatoio: 12 l
Segmento: Scooter Ruote alte
Quadro 350S € 7.190
Tempi: 4
Cilindri: 1
Cilindrata: 346 cc
Disposizione cilindri: Orizzontale
Raffreddamento: a liquido
Avviamento: E
Potenza: 27 cv (19.8 kW) / 7000 giri
Coppia: 28.8 Nm / 5550 giri
Marce: AV
Freni: DD-D
Misure freni: 240-256 mm
Misure cerchi (ant./post.): 14’’ / 15’’
Normativa antinquinamento: Euro 3
Peso: 200 kg
Lunghezza: 2270 mm
Larghezza: 800 mm
Altezza sella: 780 mm
Capacità serbatoio: 13 l
Segmento: Scooter Ruote alte
Peugeot Metropolis 400 € 8.050
Tempi: 4
Cilindri: 1
Cilindrata: 399 cc
Raffreddamento: a liquido
Avviamento: E
Potenza: 37.2 cv (27.4 kW) / 7250 giri
Coppia: 3.9 kgm (38.1 Nm) / 5250 giri
Marce: AV
Freni: DD-D
Misure freni: 200-240 mm
Misure cerchi (ant./post.): 12’’ / 14’’
Normativa antinquinamento: Euro 2
Peso: 256 kg
Lunghezza: 2152 mm
Larghezza: 775 mm
Altezza sella: 775 mm
Capacità serbatoio: 13.5 l
Segmento: Scooter Ruote alte
ABBIGLIAMENTO
Piaggio MP3 300 LT
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Scheda tecnica
Prestazioni rilevate
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Caschi: Caberg Duke Hivizion - Premier
JT4 Allroad - Schuberth C3
Giacche: Alpinestars - Rev’it! Legacy Spidi
Guanti: Alpinestars - Rev’It! - Spidi
Pantaloni tecnici: Spidi
Scarpe: TCX
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Yamaha Tricity
PREGI
Prezzo e facilità
DIFETTI
Forma sella e interruttore di emergenza
Prezzo 3.490 €
prova scooter tre ruote
Buona la prima
Il “3 ruote e 3 diapason” ci è piaciuto molto per
compattezza, leggerezza ed estrema facilità d’uso.
Molto interessante il prezzo di 3.490 euro. C’è però
solo nella cilindrata 125 e nella sua essenzialità
manca il freno a mano
di Maurizio Tanca
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principalmente utenti meramente cittadini e
magari mai saliti nemmeno su un ciclomotore,
quindi con patente A1 o B. Ed era noto anche che
Yamaha dichiarò un peso decisamente inavvicinabile da qualunque concorrente: e infatti siamo
a soli 152 kg col pieno di benzina, dunque ci siamo alla grande. Ma la notizia bomba riguarda il
prezzo definitivo, visto che a Milano si era accennato a meno di 4.000 euro. Esatto, ma parecchio
meno, però: il Tricity infatti costa 3.490 euro!
Quindi 900 meno del cuginetto Xenter 125 (rispetto al quale monta un motore a 2 valvole anziché 4, (però spinge più in basso) e 1.000 euro
più del 150. Non si può’ certo dire, dunque, che il
prezzo di questo sempre più interessante Tricity
non sia molto allettante! E lo è anche in virtù del
fatto di non disporre delle varie peculiarità che
contraddistinguono i concorrenti più “grandi” e
costosi: leggi blocco della verticalità, che consente di non poggiare i piedi a terra, e freno a mano.
Qui si parla di un semplice scooter senza troppi
Media
L
a ricerca di soluzioni sempre
più efficaci atte a migliorare i
problemi di urbanizzazione e
movimentazione di massa nelle grandi città (risolverli appare
fantascientifico) in alternativa
alle auto, è ovviamente instancabile. Una delle
possibili alternative, lanciata da Piaggio nel 2006
con l’MP3, è senz’altro quella degli scooter a tre
ruote, considerati da molti una panacea per chi
si muove quotidianamente in modo autonomo,
con ogni tempo e condizioni stradali. Una strada
ora intrapresa anche da Yamaha, che in perfetta assonanza con i tre diapason che formano il
suo celebre marchio ha realizzato l’interessantissimo Tricity: il suo primo “triciclo” di 125 cc, e
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Prove
fronzoli, che però davanti ha un efficacissimo sistema sterzante e sospensivo anteriore. Quanto
alla cilindrata, è logico prevederne una versione
con motore da 150 cc («più’ grande non ci starebbe, in questa configurazione», dicono i progettisti) per chi voglia muoversi frequentemente
anche sulle varie tangenziali. Altro particolare di
questo nuovo prodotto Yamaha sta nel fatto che
il test di lancio non sia stato organizzato a Parigi,
la città’ più cannibale del mondo in tema di mezzi
a tre ruote, bensì ad Amsterdam, sede di Yamaha Europe. Quanto ai francesi, avranno facoltà di
scegliere tra il Tricity e il gemello Triptik marcato
MBK, marchio non più attivo da anni, in Italia. Col
suo simpatico veicolo, insomma, Yamaha conta
di acquisire nuovi clienti a caccia di un mezzo
facile da guidare, leggero e contenuto nelle dimensioni, agile nel traffico e capace di garantire
una sensazione di grande stabilità e sicurezza
in ogni situazione, senza dover impegnare cifre
da far storcere il naso. E ci sembra che il target
anche il primo componente della nuova famiglia
“New Mobility” (il che dà per certo che prima o
poi vedremo altri modelli) nato per regalare alla
causa della mobilità urbana uno scooter più sicuro di un normale “due ruote”. Il che di per sé
non direbbe nulla di realmente nuovo, visto che
oltre a Piaggio oggi circolano gli omologhi Quadro, Peugeot, e pure qualche raro Adiva decappottabile, che vantano tutti le stesse credenziali.
Ricordando che il Tricity apparve come concept
lo scorso novembre, all’EICMA milanese, verrebbe dunque spontaneo chiedersi dove sia la vera
notizia. Era già noto e visibile che il Tricity sarebbe stato il più compatto del lotto, e inizialmente disponibile solo nella cilindrata 125 (peraltro
abbandonata da Piaggio), proprio per attirare
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usi lo scooter per andare frequentemente a far
la spesa. Soprattutto chi consuma parecchia acqua, vien da dire, visto che il principale acquisto
di riferimento sembra essere la classica confezione blisterata da 6 bottiglie… Quanto al vano
sottosella da 20 litri può ospitare un casco integrale. Mentre il gancio estraibile sul retro-scudo
tornerà senz’altro utile per appendere un secondo casco (jet), una borsa o che altro. L’ampio
cruscotto full LCD in stile hi-tech, di derivazione
Xenter, ospita il tachimetro al centro, affiancato
da orologio, indicatore della temperatura atmosferica, contachilometri totale, due trip parziali, il
“belt trip” che tiene conto dei chilometri percorsi
dalla cinghia di trasmissione (da sostituire ogni
20.000), e quello che indica quando va sostituito
l’olio motore. E quando l’apposita icona nell’indicatore di livello benzina inizia a lampeggiare,
compare anche il conteggio dei chilometri che si
sia stato perfettamente centrato. Lo conferma il
fatto che il mercato Thailandese, dove il Tricity è
stato lanciato lo scorso marzo, ne ha già assorbiti 4.000 esemplari. E in Giappone ci sono già
oltre 2.000 ordini: non male, visto che in patria
il lancio è avvenuto solo una ventina di giorni fa...
Colori e accessori
Il nuovo Yamaha arriverà da noi in agosto in 4
diverse colorazioni: Anodized Red, Mistral Grey,
Competition White e Midnight Black. E per lui
sono naturalmente già pronti parecchi accessori
per il comfort e l’utilizzo a tutto campo. Per proteggersi dalle intemperie abbiamo un parabrezza alto, i paramani trasparenti e la copertina coprigambe. Per il comfort di pilota e passeggero
ecco la sella meglio imbottita, le manopole termiche e il poggiaschiena posteriore. Per aumentare la capacità di carico, è ovviamente previsto
un portapacchi, un bauletto da 39 litri ed una
borsa da pedana. Per comodità sono disponibili
il supporto per il GPS e una copertina coprisella.
34
Prove
percorrono in riserva. Il display riporta cifre molto ben leggibili, e superiormente ospita anche
una serie di 5 spie luminose per informare il pilota in modo rapido e chiaro. La tecnologia LED,
inoltre, è applicata alle luci di posizione anteriori
e posteriori, per una maggior visibilità’ passiva in
ogni condizione atmosferica. I comandi al manubrio sono essenziali: a sinistra troviamo il devioluci anabbagliante/abbagliante, il comando delle
frecce (con pulsante di annullamento) e il pulsante del clacson, dalla “voce” decisamente tonica.
A destra invece c’è solo il pulsante d’avviamento,
mentre purtroppo manca quello di sicurezza per
spegnere rapidamente il motore in caso di emergenza. Al centro dello scudo troviamo solo il
blocchetto di avviamento, con congegno anti-intrusione magnetico: la chiave ovviamente blocca
anche lo sterzo, e sblocca la serratura della sella.
L’esclusivo sistema LMW (Leaning Multi Wheel)
E per i più sfiziosi ecco il piccolo plexiglas Sports
fumé ed i poggia piedi in alluminio per la pedana.
I must del Tricity
La carrozzeria, bella e aggressiva con i parafanghi ad artiglio, è leggera, ben rifinita sia nella
verniciatura sia nelle plastiche opache di contrasto, resistente e facile da pulire: caratteristica, quest’ultima, che non ricordo sia mai stata
evidenziata riguardo a una moto, o scooter che
sia, ma che comunque farà piacere agli utenti
più meticolosi. Ovviamente, lo scudo poco profondo – per gli ovvi motivi tecnici anteriori e per
consentire il maggior spazio possibile a chi sta
in sella, non può ospitare portaoggetti, che non
siano il classico gancio estraibile per borse o che
altro. La forma dello scudo e la pedana piatta
consentono dunque al pilota spazio e accessibilità: in particolare, la pedana piatta - condivisa
solamente col Peugeot Metropolis 400 - farà
senz’altro comodo alle signore che vogliano guidare indossando la gonna; ma anche a chiunque
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verte su un cinematismo brevettato progettato
per creare la sensazione di massima stabilità, e
donare a, fin dai primi metri, gran confidenza e
facilità di guida anche a ai neofiti. Il sistema di
Yamaha punta su un semplice parallelogramma deformabile i cui componenti sono collegati
al cannotto di sterzo e all’apparato sospensivo:
il quale praticamente è formato da una speciale
forcella teleidraulica di tipo “tandem”, con una
coppia di steli separati da 33 mm di diametro
per ciascuna ruota:quelli anteriori fungono da
guida, mentre i posteriori hanno funzione ammortizzante, con escursione di 90 mm. Dietro,
invece, troviamo la classica coppia di ammortizzatori verticali a molle esterne, regolabili. Il sistema LMW consente angoli sterzata notevoli, e la
possibilità’ di piegare in fino a 38 gradi effettivi,
prima di strisciare a terra col cavalletto laterale.
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La frenata integrale UBS (UnifiedBrake System),
è uno dei pregi più apprezzabili su uno scooter
del genere, spesso utilizzato da utenti di estrazione automobilistica. Il sistema è composto da
due dischi anteriori da 220 mm ed uno posteriore
da 230 mm, con la leva sinistra del manubrio che
li aziona simultaneamente e la destra che si occupa solo dell’avantreno. Il che rende molto più’
facile e spensierata la guida ma assicura anche
frenate molto La tecnologia intelligente UBS non
solo rende Tricity facile da guidare, ma assicura
anche decelerazioni molto pronte, progressive e
ben bilanciate, riducendo al minimo il rischio di
blocco delle ruote, perlomeno su fondi stradali in
buone condizioni. Le ruote in lega leggera, da 14”
davanti e 12” dietro , riducono i pesi non sospesi
favorendo la guidabilità e, soprattutto, il lavoro
delle sospensioni stesse. Gli pneumatici sono
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Prove
Ci sali, ti muovi, e ti senti ancor
meglio che a casa, definendo
naturalmente “casa” un valido
scooter di pari cilindrata, come
potrebbe essere lo Xenter 125
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lubrificante. Il controllo dei consumi è affidato all’esclusiva iniezione elettronica Yamaha
YMJET-FI, a doppia farfalla, che assicura l’elevata efficienza della combustione ed accelerazioni
progressive sin dai bassi regimi, insieme con una
risposta immediata e un’erogazione corposa a
regimi medi ed elevati. E anche un consumo medio rilevato durante l’omologazione di 41 km/l.
La prova sul pavé di Amsterdam
Nel mondo dei cosiddetti “three wheelers”, il
compattissimo Yamaha appare come un bel
giocattolino. La sua compattezza instillerà qualche dubbio agli alti di statura, ma tutto sommato l’ospitalità in sella è accettabile, sia davanti
che dietro. Come del resto ci ha confermato
un collega alto 1,92, che non ha accusato alcun
problema di ergonomia, considerando anche l’utilizzo a corto raggio prevedibile per la maggior
parte dei futuri utenti. Peccato che, come molto
Maxxis, rispettivamente da 90/80 e 110/90.
La carreggiata anteriore è di 385 mm (contro i
465 dell’MP3 300 LT), l’interasse è di 1.310 mm
e il piano sella è a 780 mm da terra. L’ingegner
Kazuhisa Takano , 52 anni, Project Leader del
Tricity, vanta una ragguardevole esperienza ultra ventennale in Yamaha, accumulata prevalentemente al seguito delle competizioni. Takano
iniziò infatti con la Parigi-Dakar, seguendo lo sviluppo della formidabile monocilindrica YZE 750
cc affidata a Stephane Peterhansel nel 1987, per
poi passare ai GP di velocità’ occupandosi della
250 per 8 anni, poi seguì le YZR500 di Biaggi e
Checa, e successivamente le M1 di Rossi e Lorenzo. Ed è in base a quest’ultima esperienza che ha
Takano san a creare un “tre ruote” leggerissimo
e col baricentro perfettamente centralizzato, e
con una distribuzione dei pesi equamente bilanciata tra anteriore e posteriore: 50/50, insomma, proprio come sulla M1 ufficiale, per godere
della massima guidabilità su un mezzo così’ particolare, a differenza di alcuni concorrenti il cui
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Prove
spesso accade (e ogni volta ci chiediamo il perché...), anche la sella del Tricity tenda a “spingere” in avanti il pilota, che in breve si troverà
a sedere in punta, magari con le ginocchia poggiate contro lo scudo. Sella che comunque non è
scomodissima, anche se personalmente opterei
senza dubbi per quella più imbottita, disponibile
nella lista accessori. La seduta del passeggero che dispone di due appigli ai lati della sella, ma
che senz’altro prima o poi chiederà di usufruire
di un poggia schiena, o bauletto che sia - è invece naturale, non troppo più in alto del pilota, ma
comunque con una buona visibilità. Ero davvero
curioso di muovere i primi “giri di ruota” con l’interessante Tricity. E ho capito fin da subito che
Yamaha ha colpito nel segno. E con il trascorrere
dei chilometri, parecchi in giro per la magnifica
Amsterdam, e una cinquantina a spasso per un
paesaggio da favola tra verde, animali, canali,
barchette e bagnanti, in una torrida giornata di
peso è maggiormente concentrato anteriormente. Il baricentro del Tricity è esattamente sotto
la parte anteriore della sella, in corrispondenza
del serbatoio, e rende ancor più’ facile issare lo
scooter sul cavalletto centrale. A tal proposito,
ricordiamo che qui non è previsto alcun sistema
di blocco della verticalità: ai semafori, insomma,
si poggiano normalmente i piedi a terra. Il nuovo
motore da 125 cc a 4 tempi, raffreddato a liquido e alimentato tramite iniezione elettronica, ha
misure differenti da quello dello Xenter, e ha la
distribuzione a 2 valvole anziché 4. Progettato
per offrire accelerazioni pronte già ai regimi più
bassi e un’erogazione progressiva salendo di regime, adotta un cilindro speciale sviluppato con
le più avanzate tecnologie Yamaha per la pressofusione. Realizzato in lega di alluminio con una
specifica percentuale di silicio, il cilindro è molto leggero e non ha la canna in acciaio. Questa
soluzione garantisce un’eccellente distribuzione
del calore, che contribuisce a stabilizzare le prestazioni del motore e a prolungare l’efficacia del
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sole, è risultato evidente che ad Iwata hanno
davvero alzato l’immaginaria asticella, stabilendo un nuovo riferimento tra i commuter cittadini.
«Il Tricity fa esattamente quello che tu ti aspetti
da lui...» dichiarano con orgoglio i suoi progettisti. Anche di più, mi sento di aggiungere: ci sali,
ti muovi, e ti senti ancor meglio che a casa, definendo naturalmente “casa” un valido scooter di
pari cilindrata, come potrebbe essere lo stesso
Xenter 125, per rimanere in famiglia. Ma Tricity
si muove parecchio meglio anche di qualunque
suo concorrente a tre ruote. Piega col pensiero,
senza alcuna reazione anomala dell’avantreno,
fosse anche un alleggerimento, un tentativo di
shimmy, un’incertezza in fase di inclinazione, o
di cambiamento di inclinazione. Forse è un pelo
più inerziale di uno Xenter, ma l’avantreno è una
roccia, anche innescando volutamente zig zag
secchi e rapidi col manubrio. L’inevitabile test
della rotatoria ampia, da percorrere ovviamente in gran piega costante, rivela una ciclistica
molto neutra e precisa. Tanto di cappello, vien
da dire! Ma anche l’assorbimento delle asperità
è davvero superiore: le forcelle - stavolta si può
usare il plurale, visto che sono due... - lavorano
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Prove
molto bene, affondano dolcemente e assorbono
allegramente i numerosi dossi di rallentamento
olandesi (che però non sono perfidamente bastardi come i nostri: sono anche altini, però dolci
a progressivi). E non si spaventano certamente
neppure nelle frenate più vigorose, mantenendo
sempre equilibrato l’assetto. Anche gli ammortizzatori sono promossi, perlomeno guidando
senza passeggero: sono dolci e morbidi, ma non
sono regolabili, e talvolta mi sono parsi vicini al
limite del fondo corsa. Ma senza mai arrivarci.
Tuttavia, potendo scegliere avrei utilizzato anche sul Tricity l’apprezzabile sospensione posteriore Monocross dello Xenter. Ma immagino che
il prezzo ne avrebbe sofferto. Ma anche il pavé
di Amsterdam il Tricity se lo beve come un bicchiere d’acqua fresca: va però detto che il pavé
olandese (piuttosto che svedese, danese e via dicendo) è sempre perfettamente in ordine, niente
a che vedere con quella sorta di campo minato
che ci ritroviamo, per esempio in zona Navigli
a Milano, dove sono curiossissimo di mettere alla prova il Tricity. Agile e molto divertente,
ma anche davvero rilassante, il Tricity gode di
una frenata combinata tutto sommato efficace.
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Yamaha Tricity 125 € 3.490
Tempi: 4
Cilindri: 1
Cilindrata: 124.8 cc
Disposizione cilindri: Orizzontale
Raffreddamento: a liquido
Avviamento: E
Potenza: 11.02 cv (8.1 kW) / 9000 giri
Coppia: 1.06 kgm (10.4 Nm) / 5500 giri
Marce: AV
Freni: DD-D
Misure freni: 220-230 mm
Misure cerchi (ant./post.): 14’’ / 14-12’’
Normativa antinquinamento: Euro 3
Peso: 152 kg
Lunghezza: 1905 mm
Larghezza: 735 mm
Altezza sella: 780 mm
Capacità serbatoio: 6.6 l
Segmento: Scooter Ruote alte
ABBIGLIAMENTO
Pur considerando il limitato chilometraggio degli
scooter che abbiamo usato, la prova del “panic
stop” con entrambe le leve tirate al massimo
ha portato a decelerazioni più che soddisfacenti, arrivando addirittura allo “stoppie”. Quella di
destra svolge un onesto lavoro sull’avantreno,
mentre la sinistra, che serve i tre dischi, ottiene ovviamente risultati migliori, sempre senza
scomporre l’equilibrio del veicolo. Nel caso non
si fosse capito, muoversi in città con il piccolo triscooter Yamaha proprio una pacchia. Il suo motore chiaramente non dispone di pozioni miracolose, e fa onestamente il suo lavoro con dolcezza
e un piacevole spunto che spinge abbastanza in
fretta fino agli 80 orari indicati. Per andare oltre,
ci vuole più spazio. Un motore silenzioso, questo,
con una trasmissione dolce e prova di strappi e
naturalmente parco bevitore. Usciamo dalla città
dirigendoci verso la campagna e il mare. Qui si
può arrivare anche sui 90/95 orari, ma è quando si imbocca qualche arteria un po’ più trafficata che, col gioco delle scie, si riesce a superare
i 115 senza rannicchiarsi. Velocità che il piccolo
spoiler anteriore tutto sommato gestisce dignitosamente, deviando un po’ d’aria verso l’alto.
Non mancano alcune sottili vibrazione ad alta
frequenza avvertibili sulle manopole in accelerazione e rilascio: nulla di ché, se non fisime per
super-pignoli. Da notare che il sistema sospensivo anteriore qui è molto meno invasivo rispetto
a quelli concorrenti: tra le forcelle, infatti, c’è un
ampio ed alto “tunnel” libero che incanala l’aria
sotto alla scocca, quindi il vantaggio aerodinamico rispetto ai concorrenti, già superiore anche
per via della compattezza del Tricity, della carreggiata e delle gomme più strette, a mio avviso
è notevole. Fuori città si è anche preso nota della
buona stabilità del mezzo sulle curve lunghe, anche ad inclinazione quasi massima. Tutto sempre sotto controllo, insomma. Chissà quale sarà
il prossimo passo di Yamaha verso l’ampliamento della famigliola New Mobility....
Prove
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SCHEDA TECNICA
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Casco: GiVi HX03
Giacca: REV’IT! Legacy GTX
Guanti: OJ
Jeans tecnici: OJ Sole
Sneakers tecniche: Stylmartin Sunset
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Nuovo Piaggio Mp3 300
Con ABS e controllo trazione
Piaggio introduce nella gamma scooter a tre ruote MP3 la versione 300
cc, ora offerta di serie con sistema di frenata ABS e controllo di trazione
ASR. Disponibile ad agosto in due versioni, Business e Sport
D
opo 150.000 esemplari venduti con
punte di diffusione straordinarie nelle grandi metropoli europee, Piaggio
lancia la nuova gamma di scooter a
tre ruote Mp3. A pochi mesi di distanza dall’introduzione del rivoluzionario Piaggio Mp3 500,
arriva sul mercato anche la versione 300. Il
nuovo Piaggio Mp3 è così ora disponibile in due
diverse cilindrate, ognuna delle quali declinata
in due allestimenti – Sport e Business – a completare una vera e propria famiglia di veicoli a tre
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ruote, in grado di soddisfare qualsiasi esigenza di
mobilità quotidiana. Il propulsore da 300 cc 4T,
4 valvole, a iniezione elettronica, raffreddato a liquido, fornisce una potenza di 16.5 kW (22,5 CV)
a 7.500 giri ed eroga una coppia massima di 23,2
Nm a 6.500 giri.
Nuovo telaio, corpo e funzionalità
Il telaio di Piaggio Mp3 è stato ridisegnato con
il duplice obiettivo da una parte di garantire
buone doti di stabilità e precisione nella guida e
dall’altra di accrescere la fruibilità del veicolo.
L’attento e completo restyling delle forme contribuisce ad aumentare la comodità a bordo.
La sella assume proporzioni sontuose: piatta e
comoda consente una seduta, anche in coppia,
più confortevole rispetto alla precedente generazione di Piaggio Mp3. Ne beneficia tutta l’ergonomia, a partire dalla posizione delle gambe, più
distese e rilassate. In particolare la nuova triangolazione manubrio-sella-pedana guadagna misure che rendono più facile la guida e il completo
controllo del mezzo. Pensato come vera alternativa all’auto, il Piaggio Mp3 della nuova generazione offre al passeggero ancora più comfort:
lo spazio a sua disposizione è ulteriormente ampliato, mentre la posizione assunta da seduto è
più rilassata, oltre a beneficiare dei vantaggi offerti dalle nuove pedane poggiapiedi estraibili. Il
grande vano sotto la sella, dotato di presa 12 volt,
luce di cortesia e tappetino, è stato ridisegnato
ed è ora più sfruttabile, grazie alla forma regolare e tendenzialmente rettangolare, senza scalini
o divisioni, così da renderne pienamente fruibile
ogni centimetro quadrato, può così alloggiare
comodamente due caschi integrali o una borsa
porta computer. L’apertura della sella è come di
consueto elettrica e assistita da un comodo ammortizzatore che accompagna in modo pratico
e sicuro il movimento di apertura della stessa. Il
codone piatto e slanciato rende agevole il montaggio e l’utilizzo dell’eventuale bauletto (previsto nella ricca gamma di accessori dedicata), il
quale eleva ulteriormente la già spettacolare capacità di carico del nuovo Piaggio Mp3.
Disponibile con ABS e ASR
Oggi il nuovo Piaggio Mp3 si propone come il
primo tre ruote disponibile con sistema frenante anti bloccaggio ABS integrato dal controllo
di trazione ASR (Acceleration Slip Regulation).
Il sistema ASR è un controllo di trazione elettronico che regola il coefficiente di slittamento
della ruota motrice. L’ASR, che è facilmente disinseribile, garantisce la sicurezza evitando lo
News
slittamento della ruota posteriore su fondi particolarmente insidiosi quali l’asfalto bagnato o
su fondi a bassissima aderenza, permettendo di
avere in qualsiasi condizione la massima presa a
terra del pneumatico posteriore. Il sistema ABS,
sviluppato specificamente per Piaggio Mp3,
adotta una centralina Continental e tre canali
che consente di gestire singolarmente il comportamento delle tre ruote modulando soltanto
la forza frenante della ruota (o delle ruote) sulla quale si verifica perdita di aderenza. Anche la
nuova versione di Piaggio Mp3 adotta un impianto frenante integralmente a disco sulle tre ruote,
ma il diametro dei dischi anteriori aumenta da
240 a 258 mm, contribuendo ad aumentarne la
potenza e l’efficacia, diminuendo gli spazi di frenata.
Due versioni
Come in precedenza, Piaggio Mp3 è disponibile
nelle versioni Business e Sport, contraddistinti
da allestimenti e gamma colori a ognuno dedicate. La versione Business, elegante e metropolitana, caratterizzata dalla targhetta “Business”
sulla parte posteriore della coda, si distingue per
alcuni particolari di pregio, quali la protezione
dello scarico cromata, la nuova sella di colore
marrone dal rivestimento realizzato in doppio
materiale, gli specchietti dedicati e per le finiture
in grigio lucido del tunnel centrale, del manubrio
e delle maniglie del passeggero. Piaggio Mp3
300 Business è sottolineata dalle due varianti cromatiche cui è disponibile: Bianco Iceberg
e Nero Universo. La versione Sport di Piaggio
Mp3 300, si distingue per la targhetta “Sport”
sulla parte posteriore della coda e per i numerosi particolari dalla finitura nera lucida, come la
protezione del terminale di scarico, le maniglie
per il passeggero, il manubrio e la modanatura del tunnel centrale. Anche la sella nera della
versione Sport vanta il rivestimento realizzato in
due diversi materiali. Tre le varianti dedicate alla
versione Sport del nuovo Piaggio Mp3 300: Nero
Carbonio, Argento Cometa e Blu Laguna.
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guida ancora più appagante
-più capacità di carico, grazie all’ampio vano
sottosella e al bauletto in tinta che si apre con la
chiave di avviamento
-più abitabilità: il passeggero dispone di nuove
pedane estraibili
-più accessori e tanta funzionalità, con la presa
12V e l’orologio
-più economia d’esercizio, grazie alla centralina
elettronica riprogrammata
-più tecnologia, grazie alle luci di posizione a LED
-più autonomia, per merito del nuovo serbatoio
da 7 litri invece che da 6.
Nella versione con motore 200, Agility 16 R Plus
esce dai confini della città, per rispondere alla
esigenze di mobilità anche su strade extraurbane. Agility R 16 Plus, quindi, nasce per la città ma
non si pone limiti. Gli ingegneri Kymco lo hanno
News
progettato con la massima attenzione alla versatilità: con tre cilindrate (50 e 125, 200i) permette, infatti, di soddisfare qualsiasi esigenza di
mobilità. Non da meno sono le versioni 50cc: il
4T rappresenta il veicolo urbano per eccellenza,
mentre il 2T, prestante e grintoso, si esprime al
massimo per una guida giovane e divertente.
Ciclistica e freni
Agility 16 R Plus si avvale della pluriennale
esperienza Kymco nella costruzione di telai per
scooter anche ad alte prestazioni. Una struttura robusta e razionale di tubi di acciaio ad al ta
resistenza forma i l telaio. La forcella teleidraulica con steli da ben 33 mm di diametro assicura precisione e assorbimento ottimale dei colpi.
Grazie all’escursione di 95 mm, pavé, asfalto
dissestato e tombini non sono un p ro b lema.
Kymco Agility R16 Plus, 50 e 200
Colorazioni e prezzi
Kymco Agility R16 PLUS è ora disponibile presso i rivenditori nelle
versioni 125-200i, anche nelle versioni 50cc a 2 tempi e a 4 tempi
con tre nuove colorazioni
K
YMCO Agility R16 PLUS è disponibile
presso i rivenditori nelle versioni 125200i e ora anche nelle versioni 50cc
motorizzate a 2 tempi (2T) e a 4 tempi (4T). Agility R 16 Plus è completamente nuovo
e reinterpreta il concetto di scooter a ruota alta
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sotto il segno “più”:
-più agilità, grazie alla ruota posteriore da 14”
-più protezione, con la pedana maggiorata
-più comfort: sella ridisegnata, sospensione posteriore a maggior escursione e tappo del serbatoio riposizionato garantiscono un’esperienza di
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50 R16 4T Plus è il veicolo urbano per eccellenza.
La cura progettuale e l’attento studio sull’efficienza della combustione rendono questo motore particolarmente parco nei consumi, oltre che
ecologico. Rapido al semaforo, grazie ai suoi 2,4
kW (3,3 CV) offre consumi irrisori infatti, con un
solo litro di benzina si percorrono oltre 43 km,
un’autonomia che permette letteralmente di dimenticarsi del benzinaio. Per Agility 50 R16 2T
Plus il motore prestante e grintoso permette una
guida divertente e mai in imbarazzo nemmeno
sulle salite più ripide. Il motore sviluppa una potenza massima di 2,5 kW (3,4CV) a 7.000 giri/
min e il serbatoio da 7,0 litri assicura un’ottima
autonomia.
Il gruppo motore - trasmissione funge anche da
forcellone e muove un doppio ammortizzatore
(singolo ammortizzatore su Agility R 16 Plus 50)
regolabile su 5 posizioni. L’escursione maggiorata rispetto ad Agility 16 (da 75 mm a 81 mm)
migliora ulteriormente il comfort su ogni genere
di fondo stradale. La ciclistica di nuova progettazione include nuove ruote. La ruota anteriore
con diametro da 16 pollici è calzata dallo pneumatico 100/80. La ruota posteriore è invece da
14 pollici, per consentire un miglioramento delle
capacità di carico del vano sottosella, contenere
l’altezza della sella a soli 780 mm e regalare un
ulteriore “Plus”, maggiore agilità. La gommatura generosa (pneumatico 120/80) incrementa
comfort e tenuta di strada. A dispetto del prezzo molto concorrenziale, Agility 16 R Plus non si
fa mancare nulla quando si parla di sicurezza,
50
News
Prezzi, colori e promozioni
Tre colorazioni, argento Zebrù, bianco Ice e
nero Maggiore. Un altro Plus di questo nuovo,
inimitabile Kymco. Disponibile presso i Rivenditori KYMCO: Agility 125 R16 Plus al prezzo di
€ 1.900, mentre Agility 200i R16 Plus al prezzo
di € 2.200. Agility R16 Plus 50cc 2T e 4T sono
invece disponibili al prezzo di € 1.800. Kymco
Agility R16 Plus è offerto con bauletto incluso nel
prezzo ed affianca il modello già a listino. Inoltre,
fino al 30 settembre 2014 è attiva la promozione
“ZERO INTERESSI E ZERO PENSIERI”(TAN FISSO 0,0%, TAEG 3,53%) che rende più semplice
e accessibile l’acquisto di un Agility 125-200 R16
PLUS.
raggiungendo gli standard più elevati sul mercato. Proprio la frenata è, infatti, uno dei punti di
forza di Agility R 16 Plus, che utilizza due dischi
di grande diametro. L’anteriore è da 260 mm,
con pinza flottante, il posteriore da 240 mm con
pinza a doppio pistoncino. La versione 50 cc offre, invece, un impianto di tipo “misto” con disco
anteriore e tamburo posteriore. Agility 200i R16
Plus è la punta di diamante della gamma, con i
suoi 8,2 kW (11,2 CV) a 7.500 giri e una coppia
massima di 12 Nm a 5.500 giri. Agility 125 R16
Plus, con i suoi 6,6 kW di potenza e un’erogazione della coppia estremamente favorevole, rientra nei limiti di legge per la guida con patente B.
La potenza disponibile, insieme alla leggerezza
globale del mezzo, consentono di muoversi rapidamente nel traffico e di spuntare prestazioni più
che soddisfacenti per qualsiasi esigenza. Agility
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2014 vs 2013
Chi sale e chi scende
nelle immatricolazioni
di Maurizio Gissi | Quali sono le marche che nei primi sei mesi di
quest’anno hanno venduto più moto e più scooter in Italia? Ecco chi
sale e chi scende rispetto al 2013
L
e immatricolazioni di moto e scooter
nella prima metà di quest’anno sono
andate meglio rispetto al 2013. Non
accadeva dal 2006 che il bilancio ritornava in attivo. Nel 2006 - ricordiamo che è stato
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quello l’anno del record assoluto per le immatricolazioni in Italia - si sfiorarono le 455mila unità
vendute e di queste erano 161mila le moto. L’anno
scorso il totale delle immatricolazioni ha faticato
a raggiungere le cifra di 154mila unità fra scooter
(101mila) e moto. Da gennaio a giugno del 2014
c’è stato però un piccolo miglioramento rispetto al 2013: il mercato ha fatto segnare un +4,4%,
passando da 91.453 a 95.614 unità. Il segmento
scooter ha visto un +2,7%, passando da 57.656
a 59.296. Le moto sono andate decisamente meglio con 36.318 immatricolazioni, pari al +7,3%
sul primo semestre del 2013. Come abbiamo
già avuto modo di scrivere (vedi qui), va osservato che nel 2013 il calo complessivo del primo
semestre era stato del 23,8% rispetto all’analogo periodo del 2012, con gli scooter a -28% e le
moto a -14,9%.
L’andamento delle marche
premiato dalle novità
Non tutte le case, com’è normale quando le
Attualità
variazioni sono contenute, hanno beneficiato
della ripresa. Ripresa che ha invece riguardato
chi ha proposto le novità più interessanti o che
l’anno scorso aveva sofferto proprio a causa della
mancanza di nuovi modelli competitivi. A fronte
di Honda, rimasta al primo posto per volumi –
vale da sola il 24% circa del mercato – a crescere
nettamente sopra la media del +4,4% sono state
la Yamaha (ha guadagnato il 19% rispetto all’anno scorso) e che grazie a questa prestazione è
ritornata al secondo posto nella classifica delle
vendite, superando la Piaggio di un soffio. Fra i
top seller per incrementi ci sono poi BMW, sempre con un +19%, e Suzuki con circa un +20% ma
con volumi inferiori. Di rilievo anche il risultato di
Kymco: +11% rispetto al 2013 e consolidamento del quarto posto in classifica generale. Con il
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Attualità
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segno positivo, considerando le prime venti posizioni, ci sono poi Kawasaki, Harley-Davidson,
KTM, SYM, MV, Beta e Benelli. Le marche che,
in termini percentuali, hanno perso più terreno
a dodici mesi di distanza sono LML, -32%, Aprilia (con un -23%) e Ducati che ha lasciato sul
campo il 12%. Con cali contenuti ci sono anche
Husqvarna, Triumph e Moto Guzzi.
Tra le moto è questa la classifica
Nella graduatoria che riguarda le moto più vendute si nota che soltanto otto delle prime 15 marche
hanno migliorato le immatricolazioni rispetto ai
primi sei mesi del 2013. Quelle che hanno incrementato maggiormente il proprio giro d’affari, il
54
dato medio delle moto vale un +7,3%, vedono al
primo posto Yamaha che ha avuto un’impennata
pari a +84%, grazie soprattutto alle nuove MT-09
e MT-07, seguita da Suzuki (+62% grazie alla VStrom 1000 che è una novità) e BMW (+22%).
Yamaha è così passata dalla settima posizione
del 2013 alla terza attuale. Suzuki ha guadagnato solo una posizione, ma ha recuperato molto in
termini di volumi. Passando alle marche che hanno perso terreno vanno segnalate la Kawasaki
(-15%), poi Ducati (-12%), Honda e Triumph con
-10%. Honda ha quindi lasciato il primo posto a
BMW, che anche l’anno scorso era finita al primo
posto ma soltanto verso fine anno. Cali importanti anche per Aprilia (-14%) e Husqvarna (-18%)
ma che veleggiano con volumi a sole tre cifre. Ducati sta vendendo globalmente di più rispetto al
2013 e questo lo deve solo all’esportazione.
La torta scooter va a quattro big
La categoria scooter è controllata per il 50% dalla coppia Honda e Piaggio. E se alle due marche in
testa si uniscono Kymco e Yamaha, a tutte le altre
case resta da spartirsi appena il 18% del mercato
scooter. Nei prime sei mesi di quest’anno, Kymco
è cresciuta dell’11% e ha consolidato la sue terza
posizione alle spalle di Honda e Piaggio (la marca
giapponese è cresciuta maggiormente di quella italiana), distanziando Yamaha che è rimasta
sostanzialmente con le stesse immatricolazioni.
Incremento a doppia cifra anche per SYM (+11%)
e poi Honda con un +5,5% a chiudere il terzetto
di chi se l’è passata meglio in questa prima metà
d’anno. Ad avere peggiorato rispetto a un anno fa
sono LML (-35%), Aprilia (-29%) e BMW, -13%.
La Top 50 delle marche nel 2014
Quella che segue è la classifica delle prime cinquanta marche in Italia, ottenuta sommando le
immatricolazioni di scooter e moto, da gennaio a
giugno di quest’anno. Nel dato Honda sono accorpati come sempre i numeri delle moto importate con quelle prodotte in Italia, essenzialmente
si tratta degli scooter SH.
Guarda la classifica
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Furti di moto in Italia
tante finiscono nell’Est Europa
di Andrea Perfetti | Il fenomeno dei furti in Italia di moto che poi
prendono la via dell’est Europa (Ucraina in particolare) continua in
modo allarmante. Il nostro lettore Riccardo ci segnala un sito estero
dove sono vendute le moto rubata da noi
L
a piaga dei furti di moto che prendono
poi la via dell’est Europa non è certo
nuova, anzi. Come vi ha già spiegato Moto.it nel dicembre del 2010, il
traffico delle moto rubate ha una corsia preferenziale che punta verso Est. Proprio nel 2010
vi avevamo descritto il sequestro operato dalla
Polizia ungherese di due furgoni carichi fermati alla frontiera, uno con 9 moto rubate, l’altro
56
con 12. Nel 2012 la scena si è ripetuta e ha visto
all’opera la nostra Polizia Stradale. Lungo l’autostrada A4, all’altezza del comune di Porpetto, la
Polizia Stradale di Palmanova (Udine) ha fermato un autocarro con targa ucraina. Nel vano posteriore gli agenti hanno trovato 8 moto di grossa cilindrata smontate e alcuni pacchi di merce
di contrabbando. Il valore delle moto, risultate
tutte rubate nell’hinterland romano, si aggirava
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Attualità
intorno ai 40mila euro. Per F. M., 29 anni, di nazionalità ucraina sono scattate le manette con
l’accusa di ricettazione ed è stato condotto al
carcere di Udine. A due anni di distanza siamo
purtroppo qui a raccontarvi ancora l’ennesimo
scempio a danno dei cittadini. I furti infatti proseguono e hanno spesso, spessissimo come
meta finale sempre quell’Ucraina che è fuori
dall’Unione Europea (e per questa ragione è in
corso uno scontro durissimo con la vicina Russia, ma questo è un altro discorso). Essere fuori
dall’Europa implica che la nostra polizia può fare
ben poco affinché le forze dell’ordine locale intervengano per recuperare le moto rubate agli
italiani. La strafottenza dei criminali ucraini è tale
che le moto rubate in Italia vengono inserzionate tra gli annunci del sito www.motosale.com.ua
come se nulla fosse, con tanto di targa italica. Il
fatto ci è stato segnalato dal lettore Riccardo B.,
vittima di un furto nell’ottobre del 2012. Riccardo
ci scrive: “Denunciato immediatamente il furto
alla questura territorialmente competente, non
ho più sperato di rivedere la mia amata moto. A
distanza di quasi due anni, a inizio giugno 2014
ho rivisto la mia moto, esattamente come il giorno in cui me l’hanno rubata (accessori e adesivi
compresi) in vendita su questo sito ucraino. Assieme alla mia moto ve ne sono altre centinaia
e centinaia, tutte vendute “senza documenti” e
alcune hanno ancora ben visibili la targa italiana, che, ovviamente, a una visura sul sito della
polizia, risulta collegata ad una denuncia per
furto. Ho provveduto, quindi, a fare integrazione
di denuncia presso la questura a cui avevo fatto la prima denuncia e poi, su loro consiglio, ho
fatto anche denuncia alla polizia postale, per segnalare il sito”. Polizia e Carabinieri italiani non
possono fare intervenire le forze di polizia di un
Paese extra Unione Europea, è necessario che
intervenga l’Interpol. Perché ciò avvenga però
non basta la denuncia di un singolo, ma bisogna
dare massimo risalto – anche sulla stampa – a
questa attività criminale che prosegue ormai da
(almeno) 4 anni.
57
Nico Cereghini racconta
gli anni Ottanta
Sesta puntata:
Replica, Turbo
e Trial
Anni Ottanta, sesta puntata! Per chiudere ci siamo
tenuti qualche chicca come le due tempi GP replica,
le Turbo e poi un altro fenomeno dell’epoca: il trial
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resto le Bultaco Sherpa nelle due cilindrate 250
e 350. Ma fu la Honda a stupire. Fin dalla metà
degli anni Settanta la Honda aveva in catalogo
due quattro tempi – le TL 125 e 250 -, che però
per potenza e soprattutto per il peso non potevano competere con la concorrenza europea. La
svolta arriva nei primi anni Ottanta, quando Eddy
Lejeune, giovane e forte pilota belga, prende a
vincere le gare con modelli Honda sempre più
efficaci. Tre titoli di fila per lui, dall’82. E allora vi
presento almeno una Honda, è la RTL 250S del
1984 con il suo efficiente monoammortizzatore
progressivo al retrotreno.
Ma le Turbo...
Ma le turbo hanno suscitato ancora più entusiasmo e ora vi porto a Colonia, 1980. Al salone tedesco, Honda propone la prima moto
A
nni Ottanta, sesta puntata! Per
chiudere ci siamo tenuti qualche
chicca come le “due tempi GP replica”, le Turbo e poi un altro fenomeno dell’epoca: il trial. Che già dalla metà degli
anni Settanta si stava diffondendo anche da noi
e fin dal ’76 aveva un modello-simbolo tricolore:
la Fantic Motor 125.
Esplode il Trial
Qui negli Ottanta il trial esplode davvero, e il terzetto spagnolo di Bultaco, Montesa e Ossa viene surclassato da una decina di marchi italiani
e dalla Honda. La pioniera Fantic Motor mantiene il vantaggio anche nelle vendite: dal 1980 ha
una gamma completa che va dal 50 fino al 200,
che poi cresce al 240 Professional e poi al 300
nell’83; ora l’evoluzione è rapidissima, le piccole
50 e 125 diventano dei gioiellini e il top di gamma
vince le gare ed è aggiornato anno dopo anno.
Il modello 303 dell’88, per esempio, replica la
moto che Thierry Michaud ha portato al titolo
l’anno prima. E sono tre i titoli della Fantic Motor con il francese tra l’85 e l’88. Bisogna però
60
Anni 80
sovralimentata: la preziosa CX 500 Turbo, bicilindrica a liquido, a V trasversale di 80 gradi, aste
e bilancieri, 4 valvole per cilindro e cardano, accreditata di 82 cavalli a 10.000 giri. L’impressione è enorme e la rincorsa pronta: l’anno dopo arrivano anche la Yamaha XJ 650 T, e poi la Suzuki
XN 85, entrambe a quattro cilindri. La Yamaha
è piuttosto deludente: mantiene gli ammortizzatori al retrotreno, scalda parecchio, non offre
grandi prestazioni: soltanto 10 kmh in più della
moto aspirata… La Suzuki, con la sua XN 85 650,
propone due meraviglie ciclistiche dell’epoca: la
ruota anteriore da 16 pollici e l’antidive alla forcella. Due soluzioni che diventeranno di moda in
quel periodo ma si riveleranno poco consistenti.
La sigla 85 indica i cavalli della potenza massima, e questa Suzuki si fa apprezzare anche per la
maneggevolezza e la precisione di guida.
dire che la prima casa italiana a conquistare il
campionato mondiale trial fu la SWM, con Gilles
Burgat nell’81. Fu un’impresa, perché le spagnole dominavano la scena ininterrottamente dal
’68! Molto attiva fu anche l’Aprilia, che ha già il
suo bellissimo 340 nell’81 (ma il titolo, il primo
per Aprilia, arriverà soltanto dieci anni dopo con
Ahvala e la Climber raffreddata a liquido, nata
nell’89); a Noale seguono cin molta passione
anche il progetto del 50 per i ragazzini. E non
si riesce a citare tutte le trial italiane, purtroppo, perché sono decine: ma bisogna ricordare
la Beta e almeno la sua bella TR 34 260 dell’86,
campione del mondo con Jordi Tarres dall’89 al
’91; la Italjet con la 350T dell’82 e una delle più
belle “Motoalpinismo”: la Scott Excursion 350
dell’87. Poi la TRL 329 della SVM (ex SWM), la
Garelli Trial 320 Section, la Cagiva TR 350 DG, e
l’artigianale Villa 348 Everest.
Naturalmente le case spagnole, seppure in difficoltà, reagivano al fermento italiano: le Montesa
Cota erano un classico, belle soprattutto la 123 C
e la 348T dell’83; le Ossa Yellow 250 e 350 (o la
TU YO 350 sono ricercate anche ora, come del
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leggere pesa 188 kg a secco, telaio a travi d’acciaio (alluminio solo per il Giappone), tre dischi,
ruote a razze da 16 e con 18 pollici. E’ la replica
della OW 70 del mondiale, solo con le lamelle al
posto della valvola rotante. La proviamo per primi in Italia, Tanca, Gissi ed io, ed è l’unica volta
che fatichiamo a passarcela. Supera i 220, si
guida bene, ha una voce fantastica, ottiene un
grande successo: tremila moto costruite in tre
stagioni. Questa volta la Honda arriva seconda:
la sua NS/R 400 è però più efficace su strada.
Tre cilindri a V di 90°, uno solo verticale all’opposto della 500 da GP che era stata di Spencer,
questa due tempi ha le lamelle all’aspirazione e
il sistema ATAC allo scarico che migliora la progressione ai bassi. 72 cavalli a 10.000 giri, 163
chili a secco, e il telaio d’alluminio che si rivela
ottimo. Gran moto, più umana e più versatile della RD 500. E infine per la stagione 1985 arriva la
Suzuki RG 500 Gamma, la più evoluta di tutte.
La Gamma è la più vicina all’originale da Gran
Premio e vanta 95 cavalli a 9.500 giri, che è la
Nel settembre 1983 arriva anche la Kawasaki
GPZ 750 Turbo: è la più sportiva, ha una bella linea e altissime prestazioni, è la più potente delle
turbo con 112 cavalli, la più veloce, ma anche la
meno brusca nella risposta del turbo; bialbero
due valvole per cilindro, è raffreddata ad aria e
pesa 225 chili. Ma le Turbo sono state meteore.
Soltanto la Honda si dedicò all’evoluzione del
suo modello proponendo la CX 650 T da 100 cavalli per la stagione ’83. Eppure queste quattro
moto hanno catalizzato l’entusiasmo di stampa
e appassionati per almeno due stagioni; la promessa era quella di ottenere le prestazioni di una
supermoto da una media cilindrata e ci avevamo
creduto. Ma poi ci hanno delusi il peso eccessivo, i consumi elevati, difficile fare più di dieci km
con un litro, e soprattutto l’erogazione: i cavalli
arrivavano di botto alla ruota, e per di più con
un certo ritardo alla risposta. In curva, a moto
62
Anni 80
stessa potenza della prima RG campione del
mondo 1975 con il grande Barry Sheene; e poi
pesa soltanto 158 chili a secco, trenta chili meno
della Yamaha. Ha i quattro cilindri disposti in
quadrato, l’ammissione a disco rotante, sfiora
i 240 con tutta l’adrenalina dell’erogazione racing. Telaio in tubi quadri e forcella Kayaba con
l’antidive; dei tre dischi, la coppia anteriore ha
già le pinze a 4 pistoncini. Verrà prodotta fino
al ’90, in quasi diecimila esemplari. E molti non
possono dimenticare la bellissima sorella minore, la Gamma 250 che è persino precedente alla
mezzo litro. Prima con il bicilindrico parallelo da
46 cavalli nel telaio bitrave d’alluminio, poi ancora più affascinante nell’88: la RGV 250 Gamma,
motore a V di 90°, 58 cavalli a 10.000 giri, 128
chili a secco. Quel delizioso bicilindrico equipaggerà più avanti anche la Aprila 250 RS.
Le emozioni degli anni Ottanta sono state tante,
lo avete visto in questo viaggio in sei puntate, e
le due tempi “replica” sono state, per quasi tutti
noi, le più emozionanti in assoluto…
piegata, erano cavoli amarissimi…
In Italia soltanto la Moto Morini inseguì questa
illusione: la 500 da 70 cavalli fu presentata a Milano nell’81 ed era già funzionante, ma poi non
se ne fece nulla. Peccato, anche perché si dice
che furono proprio le sue ricerche internazionali
di una piccola turbina a incuriosire e scatenare i
tecnici della Honda…
Le Replica GP
E le due tempi da competizione portate sulla
strada? A Parigi 1983, da non credere, il simbolo
della fantasia e del coraggio degli anni Ottanta
entra nella storia e si chiama Yamaha RD 500
LC, la prima replica a due tempi delle moto da
Gran Premio. Una meraviglia che ti trasforma
in Kenny Roberts: V4 di 50° raffreddato a liquido, distribuzione lamellare e valvola allo scarico,
88 cavalli a 9.500 giri. Con magnesio e leghe
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verso il termine del 1948 è stata la volta della
Royal Enfield e della Norton (con il modello 7,
progettato da Bert Hopwood ed entrato in produzione l’anno successivo). La bicilindrica del
gruppo AMC (ovvero AJS e Matchless) è arrivata
qualche mese dopo, con inizio della fabbricazione nel 1949. Tutte queste moto avevano motori
di 500 cm3, ma ben presto è apparso chiaro che
una buona fetta del mercato richiedeva prestazioni superiori, il che rendeva necessario un incremento della cilindrata. Nel 1949 la Triumph
ha presentato la sua 650 (modello 6T Thunderbird) e l’anno seguente è stata la volta della BSA,
con il modello A 10. Questa stessa strada è stata
ben presto seguita anche dalle altre case.
Norton gonfia i muscoli
Nella Norton Commando, qui nella versione Fastback, il gruppo motore-cambio era collegato
al telaio tramite tamponi in gomma che assorbivano le vibrazioni
Massimo Clarke
“La storia della Norton Commando”
Autentica regina delle mitiche bicilindriche britanniche, ha segnato
il punto finale di una linea evolutiva iniziata nel 1949
P
er quasi tutti gli anni Sessanta le
grosse moto inglesi sono state il
sogno degli appassionati. In giro di
quella cilindrata e con quelle prestazioni non c’era nient’altro, se si esclude la BMW
R 69S, che però era di un tipo diverso, con il suo
motore boxer e la sua trasmissione finale ad albero, e tutto sommato si rivolgeva a un’altra categoria di utenti. Le bicilindriche Laverda e Guzzi
sono apparse solo verso la fine del decennio e le
pluricilindriche giapponesi da noi sono arrivate
all’inizio degli anni Settanta. Ma non si trattava
64
solo di dimensioni e di cavalli; le inglesi avevano
un fascino particolare… A mostrare la strada del
motore a due cilindri paralleli frontemarcia, in
un mondo dominato dai grossi mono e dai bicilindrici a V, era stata la Triumph nel 1937, anno
di presentazione della famosa 5T Speed Twin.
Il successo era stato tale che, una volta terminata la seconda guerra mondiale, anche gli altri
costruttori britannici si sono affrettati a realizzare moto dello stesso tipo, cioè con un motore di architettura e cilindrata analoghe. Alla fine
del 1946 la BSA ha presentato la A7 Star Twin e
La Norton ha aumentato la cilindrata del suo
bicilindrico solo nel 1956, quando ha messo in
produzione il modello 99 di 600 cm3. Il successivo passo è stato quello di portare la cilindrata
a 650 cm3, con la Dominator 650 SS, apparsa
nel 1961. La versione di 750 è entrata in scena
alla fine del 1962 con il modello Atlas. Il celebre
telaio Featherbed a doppia culla continua aveva
fatto la sua comparsa sui modelli di serie a partire dal 1951, con il modello 88, versione sportiva
della 500. È interessante osservare che i bicilindrici Norton hanno continuato a impiegare una
testa in ghisa fino alla fine del 1954; quella in lega
di alluminio infatti è stata montata solo a partire dall’anno seguente. Il motore a due cilindri
paralleli era realizzato seguendo largamente i
classici dettami della scuola britannica. L’albero
a gomiti, con manovelle a 360°, era in tre parti
(due semialberi più un grosso volano centrale) che venivano unite mediante viti con dadi; a
supportarlo provvedevano due cuscinetti di banco (quello destro era a sfere e quello sinistro a
rulli). Le bielle erano forgiate in lega di alluminio
contenente il 2% di rame. La distribuzione era ad
aste e bilancieri, con l’albero a camme collocato
nella parte anteriore del basamento e azionato
da una corta catena a rulli. I due cilindri erano
Pagine di storia
incorporati in un’unica fusione in ghisa; pure la
testa era costituita da una fusione singola, in
lega di alluminio ad alta conduttività termica. Per
ogni cilindro vi erano due valvole, inclinate tra
loro di 58°. La lubrificazione era a carter secco
con doppia pompa a ingranaggi. La Norton Atlas era sicuramente una moto straordinaria, in
fatto di prestazioni, quando è entrata in scena.
La potenza del motore, che aveva un alesaggio
di 73 mm e una corsa di 89 mm, era da record;
veniva infatti indicata in ben 52 cavalli a 6800
giri/min. Era però afflitta da vibrazioni tremende e inoltre dopo qualche tempo i segni dell’età
hanno cominciato ad essere evidenti, a livello di
parte ciclistica e di estetica. La Norton, che non
è mai stata una azienda di grandi dimensioni, era
stata acquisita dal gruppo AMC nel 1952. Attorno alla metà degli anni Sessanta questo gruppo
industriale di notevoli dimensioni è entrato in
una seria crisi finanziaria. La sua fine è arrivata
nel 1966, con un cambio di proprietà e la nascita della Norton Villiers. La nuova dirigenza ha
subito varato un programma teso alla realizzazione di una nuova ammiraglia, di impostazione
moderna sia sotto il profilo stilistico che sotto
quello tecnico. Il compito di progettare il nuovo
modello di punta, in meno di 12 mesi (la presentazione doveva avvenire al Salone di Londra del
1967), è stato affidato a Stefan Bauer, che proveniva dal settore aeronautico. È stato così realizzato un nuovo telaio, a doppia culla continua e
con un tubo superiore di rilevante diametro (ben
57 mm), all’interno del quale il motore veniva
montato con i cilindri non più verticali ma sensibilmente inclinati in avanti. La cosa era possibile senza alcun problema grazie al fatto che la
Norton continuava ad impiegare la classica ma
arcaica soluzione del cambio separato. Tanto la
BSA quanto la Triumph per le loro bicilindriche
erano passate al cambio in blocco all’inizio degli
anni Sessanta (e in seguito quando si è trattato
di realizzare un motore di 750 cm3, non hanno
fatto ulteriormente crescere la cilindrata dei
loro bicilindrici, ma hanno realizzato un nuovo
65
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Pagine di storia
Il motore, qui in vista esplosa, era separato
dal cambio. Aveva la distribuzione ad aste e
bilancieri e la lubrificazione a carter secco
La Norton Atlas a suo tempo è stata una delle sportive più ambite.
Sul finire degli anni Sessanta però appariva superata come linea e come ciclistica
modello a tre cilindri). Per risolvere il problema
delle vibrazioni, i tecnici della Norton Hooper e
Trigg hanno ideato un sistema che prevedeva la
realizzazione di un gruppo costituito dai tre componenti fondamentali, ovvero il motore, il cambio
e il forcellone oscillante, collegati rigidamente tra
loro da grosse piastre di acciaio. Il tutto veniva
vincolato al telaio per mezzo di elementi elastici
in gomma. Questi silentblock risolvevano quindi il problema delle vibrazioni; per evitare che il
forcellone potesse avere un movimento laterale
eccessivo, deleterio per la tenuta di strada, era
necessario effettuare una accurata regolazione
mediante rasamenti di adatto spessore. A livello
meccanico, vanno segnalati, rispetto all’Atlas, il
passaggio a una catena triplex per la trasmissione primaria e l’adozione di una frizione dotata di
molla a diaframma. Per il resto, tutto rimaneva
praticamente invariato.
Arriva la Commando
La Norton Commando è entrata in produzione
nel 1968 destando subito un grande interesse
66
tra gli appassionati. Aveva una estetica straordinaria e prestazioni entusiasmanti; inoltre
le doti della ciclistica e l’elasticità del motore la
rendevano godibilissima nell’uso. La casa dichiarava per questa moto una potenza di 58 cavalli
a 6800 giri/min. La versione originale, con l’innovativo codino, è stata ben presto denominata
Fastback; ad essa è stata affiancata nel 1969 la
S, che poi si è evoluta nella Roadster. I problemi di gioventù per la nuova Norton non sono
mancati; alcuni sono stati risolti, ma altri… Dopo
meno di un anno dall’inizio della produzione il telaio è stato modificato nella zona dietro il cannotto di sterzo, per eliminare il rischio di cedimenti
(qualche caso si era infatti verificato). Nel corso
del 1969 i contatti del ruttore sono stati collocati
in corrispondenza della estremità destra dell’albero a camme (prima erano dietro la base dei
cilindri, dallo stesso lato). L’impianto elettrico
non è mai stato un punto di forza, per le moto
inglesi (non per nulla i motociclisti d’oltremanica
avevano soprannominato “principe delle tenebre” il sig. Lucas); il Commando non faceva certo
eccezione, sotto questo aspetto. Se è vero che
le vibrazioni non venivano trasmesse alla moto,
è altrettanto vero che il motore continuava a vibrare; in diverse occasioni questo ha creato non
trascurabili problemi ai carburatori. Per lo stesso motivo il tubetto che portava l’olio alla testa,
in origine rigido, è stato in seguito sostituito da
un altro flessibile, che non si rompeva più. Ben
presto è stata realizzata una versione destinata
alle gare per le moto derivate dalla serie, denominata Commando PR. Nel 1972 ha fatto la sua
comparsa la Interstate, versione con estetica riveduta e serbatoio di grande capacità, destinata
a impiego granturistico. Su di essa, come pure
sui modelli Fastback e Roadster è stato montato
il motore Combat, dotato di una potenza più elevata, ben 65 cavalli. Non si è trattato di una decisione saggia perché questo variante più spinta
del classico bicilindrico ha accusato seri problemi di affidabilità e di durata (talvolta i cuscinetti
di banco cedevano dopo percorrenze inferiori
ai 10.000 km!), cosa che ha portato la Norton
a fare retromarcia, adottando motori più tran-
quilli e riveduti in alcuni particolari per l’annata
successiva. Attorno alla metà del 1972 il freno
anteriore a tamburo è stato sostituito da uno a
disco. Il 1973 è stato l’ultimo anno di produzione
per il motore di 750 cm3. Ad aprile è apparsa la
nuova versione di 850 cm3, ottenuta portando
l’alesaggio a 77 mm. La potenza veniva indicata
in 60 cavalli a 6200 giri/min, ma si trattava di un
valore piuttosto ottimistico; nel 1975 il dato ufficiale è diventato 58 cv a 5900 giri/min. La produzione è proseguita ancora per un paio di anni,
accompagnata da un drammatico calo delle vendite, e la situazione economica dell’azienda si è
andata facendo sempre più disperata. Nel 1975,
che è stato l’ultimo anno di “vera” attività della
casa, sono stati adottati il comando del cambio a
sinistra e l’avviamento elettrico (che faceva rapidamente scaricare la batteria). Dopo, si è andati
avanti per inerzia, in maniera discontinua, fino a
che, nell’ottobre del 1977, è stato montato l’ultimo esemplare di questa gloriosa bicilindrica.
Pare che qualche altra moto sia stata assemblata con i ricambi giacenti nel magazzino.
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USA (lo so, lo so...) per cui se sognate di visitare
Miami questo non è l’itinerario per voi. Per quella particolare destinazione vi consiglio di volarci
direttamente e noleggiare una moto per fare
le Everglades e le Florida Keys fino a Key West.
Bellissimo, ma piuttosto monotono dal punto di
vista motociclistico. Il “nostro” giro parte invece
da Atlanta, da dove prendete la I-85 verso Sudovest (Montgomery) fino ad incrociare la I-185 che
vi porta a Columbus. Qui uscite dall’autostrada
e prendete la Highway 431 Sud (GA1), attraversando le basse colline al confine tra Georgia ed
Alabama. La prima tappa è Eufaula, una cittadina
minuscola adagiata tra le anse del Chattahocchie River, con ancora tanti palazzi e meravigliose case in stile coloniale. Molte sono lasciate
andare ma alcune sono dei musei visitabili ed in
perfetto stato di conservazione.
Per pranzo consiglio il ristorante/bar Cajun
On the road
Corner su Main Street (ci passate davanti anche se non volete). Non solo serve dell’ottimo
cibo in stile New Orleans, ma si trova all’interno
di un vecchio albergo che sembra uscito da una
finestra spazio-temporale. È un po’ pericolante
ma il trucco per dare un’occhiata all’atrio è deviare mentre state andando alla toilette, lo fanno
tutti. Da Eufaula proseguite sulla HWY431 fino a
Dotham, dove si congiunge alla HWY231. Questa
vi porta a tagliare il confine con la Florida e dritti
fino a Panama City. Questa zona della Florida si
affaccia sul Golfo del Messico ed è denominata
“Panhandle” ovvero il manico della padella, vista
la sua forma sulla carta geografica.
Da qui prendete la Hihgway 98 e lanciatevi ad
Ovest, seguendo la costa. Le località balneari si
alternano a tratti di spiagge semivuote, ma state
attenti perché a Navarre poco prima di Pensacola, dovete girare a sinistra sul lungo ponte della
USA
Consigli per una vacanza in moto
negli Stati Uniti. Il grande Sud
di Pietro Ambrosioni | Dal punto di vista motociclistico vero e proprio
il Sud degli Stati Uniti non offre moltissimo, ma se parliamo di storia,
“americanate” e paesaggi suggestivi, poche aree degli USA reggono il
confronto
D
al punto di vista motociclistico vero
e proprio il Sud degli Stati Uniti non
offre moltissimo, ma se parliamo
di storia, “americanate” e paesaggi suggestivi, poche aree degli USA reggono il
confronto. Per questo giro vi invito a considerare
l’opzione di volare da e per Atlanta. La capitale
della Georgia è sede dell’aeroporto più trafficato al mondo (4.4 milioni di passeggeri al mese!)
ed è anche hub della Delta. Il che vuol dire voli
diretti da Milano e Roma a prezzi ragionevoli se
68
prenotate con un buon anticipo.
La base del giro che vi propongo richiama molte
tappe che ho fatto con una Yamaha XT600 nel
2012, ma come sempre ci sono delle gustose
“allungatoie” se siete in vena di spararvi qualche
centinaio di miglia in più. Prima di iniziare desidero sottolineare un paio di cose: il Sud è prevalentemente piatto, con strade dritte come fusi, per
cui preparatevi a qualche trasferimento noioso
sulle Interstate, purtroppo è inevitabile.
La Florida del sud non è considerata “Sud” negli
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FL399 che vi porta sull’isola di Santa Rosa. Prendete a destra e dopo qualche casa entrerete tra
le incredibili dune del Navarre State Park, un paesaggio lunare ed affascinante. In pratica è una lingua di terra coperta di dune bianchissime, strette
tra la laguna ed il golfo.
Seguite la strada fino in fondo dove si prende il
ponte per Gulf Breeze e un secondo ponte che vi
porta a Pensacola.
Da lì la 98 diventa noiosa per cui consiglio di salire fino alla I-10 e percorrerla fino a Mobile, dove si
passa in Mississippi. Proseguite fino a raggiungere l’uscita per Biloxi, la principale località balneare dello stato, piena purtroppo di casinò e resort
di cemento fin sulla spiaggia. Niente paura però,
perché da li parte la mitica Highway 90 che dona
bellissimi scorci sul golfo e stupende case coloniali protette da querce secolari.
Se vi piacciono le ostriche la fermata d’obbligo è
Shaggy, appollaiato su una palafitta che domina
il porticciolo di Pass Christian. Da li la HWY90
attraversa il lungo ponte sula Bay St. Louis e
prosegue verso la Louisiana. Se arrivate in questa zona nel tardo pomeriggio vi assicuro che lo
70
Periodico elettronico di informazione motociclistica
spettacolo del tramonto sulle paludi è un’esperienza unica, a patto che vi piacciano le zanzare.
Continuate sulla HGY90 fino a raggiungere New
Orleans dove vi consiglio di passare almeno un
paio di giorni. Fate attenzione a trovare un albergo con il garage chiuso dove tenere la moto
perché qui i furti sono all’ordine del giorno. Per
muovervi in città potete usare il tram o il taxi e
ricordatevi di visitare il French Quarter (Bourbon
Street) e di fare un giro sul Mississippi su una delle tante steamboat, i vecchi traghetti a pale.
Da New Orleans il giro prosegue a nord, andando
a prendere il Causeway, il ponte da 22 miglia che
attraversa il Lago Pontchartrain fino a Mandeville.
È uno dei ponti più lunghi del mondo. Da Mandeville prendete la I-12 a Ovest e raggiungete la I-55
che vi riporta in Mississippi. Passate Jackson la
capitale e proseguite a Nord fino a Winona, dove
si esce per inoltrarsi nel cosiddetto Delta del Mississippi, sulla HWY82 West.
La denominazione “Delta” non ha nulla a che
vedere con la foce del grande fiume (che si trova
centinaia di miglia più a Sud, sotto New Orleans):
per Delta si intende il terreno alluvionale creato
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dalla V tra i due fiumi Yazoo e Mississippi, appunto. Un terreno fertilissimo perfetto per la coltivazione del cotone, una delle colture che più impoveriscono il terreno. Qui c’erano nel 1700 e 1800
le piantagioni dove lavoravano decine di migliaia
di schiavi e qui è nato il Blues.
Basta dare un’occhiata alla cartina e vedrete
molti nomi noti agli appassionati: Greenwood
(dove è sepolto Robert Johnson), Indianola (dove
è nato BB King) ed infine Clarksdale, la città da
cui arrivano John Lee Hooker e il grande Muddy Waters. Ci arrivate seguendo la Highway 49.
A Clarksdale consiglio una serata al juke joint di
proprietà dell’attore Morgan Freeman, il Ground
Zero Blues Club. Per gli appassionati due tappe
obbligatorie sono ovviamente il Delta Blues Museum e l’incrocio tra la HWY49 e la HWY61 (noterete il monumento) dove la leggenda dice che
i bluesmen andassero a fare il patto col diavolo.
Da Clarksdale il giro prosegue fino a Memphis, in
Tennessee, dove c’è Graceland, la villa/museo di
Elvis Presley. Molto kitsch, ma visto che siete qui
non potete evitare una visita. In città vale la pena
passare una serata su Beale Street, la via dei
locali dove si suona dal vivo. Qui c’è il BB King’s
Blues Club e una serie di altri bei posti dove mangiare bene, bere una birra ed ascoltare del gran
Blues. Fate però MOLTA ATTENZIONE perché
Memphis è una delle città più violente degli USA:
non a caso il tratto dei locali di Beale Street, fino
al W.C. Handy Park, è chiuso al traffico e per accedervi ogni passante deve sottostare ad una
On the road
perquisizione e passare sotto al metal detector...
Da Memphis la tappa successiva è Nashville, seguendo la I-40 ad Est. La capitale del Tennessee
è la patria del Country, ma il suo rappresentante
più illustre, Johnny Cash, è universalmente riconosciuto anche come il padrino del Rockabilly.
Qui c’è un bel museo dedicato a lui, mentre alla
sera è d’obbligo lo “struscio” su Broadway, dove
ci sono tutti i locali di musica live e una miriade di
negoziati che vendono di tutto, dalla paccottiglia
a bellissimi stivali artigianali e strumenti musicali.
Siamo quasi alla fine del giro, ma adesso arriva il
bello, dal punto di vista motociclistico. Per tornare ad Atlanta potreste prendere la via più semplice, a Sud sulla I-24 ed I-75 passando da Chattanooga, oppure...
Oppure tirate dritto a est sulla I-40 verso Knoxville ed uscite a Kingston. Da lì andate fino a Maryville dove prendere poi la TN33 South. Occhi aperti
perché poco dopo sulla sinistra inizia la HWY129,
che attraversa le Smokey Mountains tra curve e
tornanti, la famosa Tail of the Dragon, una delle
strade mitiche per i motociclisti americani.
Arrivati a Robbinsville, in North Carolina, prendete la NC143 Cherohala Skyway, che vi riporta
in Tennesse a Tellico Plains. Ormai è fatta, da li ci
sono ancora un po’ di belle curve fino ad Atlanta,
che si raggiunge seguendo la TN68 che diventa
GA60 una volta passati in Georgia. L’ultimo tratto è sulla noiosa GA400, una delle direttrici che
collegano il centro di Atlanta ai ricchi quartieri a
nord della città.
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I Racconti di Moto.it
“Raccontala ad un altro”
di Antonio Privitera | Io questa signora non la conosco, lei forse sì
perché mi fissa a nemmeno quaranta centimetri da me. Faccio finta
di nulla, ma sono a disagio...
S
iamo vicini l’uno all’altra in un angolo dell’officina e attendiamo che
ci vengano restituite le rispettive
motociclette con gli pneumatici
nuovi, appena montati. Io questa signora non la
conosco, lei forse sì perché mi fissa a nemmeno
quaranta centimetri da me. Faccio finta di nulla
e mi trastullo con lo smartphone, ma sono a disagio. Mi mettono sempre a disagio le persone
che mi fissano. Lei prende fiato, poi con una voce
delicata come un’arpa ma profonda come una
chitarra baritona, inizia: - È una notte di luglio dei
primi anni ’90 e Nadia ha diciotto anni, con suo
fratello di otto anni più grande di lei percorre in
motocicletta una rapida strada lungo le colline
fresche, mentre una macchina con a bordo due
giovani uomini li travolge con un frontale mentre
percorrono una curva veloce. Giulio rimane ucciso, la sua naked 900 distrutta, mentre lei non
si riprende e smette di camminare a causa delle
gravi fratture alle gambe. Pausa. Io mi guardo
intorno, siamo soli. Poco più in là gli alacri gommisti. La osservo e mi chiedo cosa prende alla
gente con la stagione calda… quindi con molta
gentilezza mi permetto di osservare:
- Senta signora, io sto aspettando che cambino
le gomme alla moto, non mi interessano queste
storie. E poi, mi scusi tanto, ma lei parla come un
telegiornale.
La donna mi guarda, sorride e infierisce:
- Segue un processo per omicidio dal quale
Aleksandr e Thomas, i due uomini sull’automobile, escono puliti perché dichiarano che alla guida
72
dell’auto era Aleksandr, il figlio di un importante funzionario dell’ambasciata russa in Italia; il
padre di Aleksandr trama e minaccia il caso diplomatico, scomoda amici potenti, fa inserire la
vicenda del figlio sul piatto della bilancia di alcuni
importanti accordi commerciali tra Italia e Russia e alla fine il figlio viene totalmente prosciolto
dall’accusa di omicidio anche perché il suo tasso
alcolemico nel sangue al momento dell’incidente non era oltre il limite consentito dalla legge;
al contrario, lo stesso test su Thomas rivela che
aveva bevuto troppo, ma non era lui alla guida.
Thomas e Aleksandr sono colleghi, lavorano
entrambi per un famoso marchio italiano della
motocicletta. Grazie alle pressioni del papà di
Aleksandr e al fatto che Thomas sostiene davanti
ai giudici che la moto di Giulio aveva oltrepassato
la striscia continua al momento dell’impatto fatale, circostanza tra l’altro confermata da Nadia,
tutto viene rubricato come un semplice incidente stradale. A causa dell’urto Aleksandr riporta
alcuni lievi traumi alla testa e non ricorda nulla
di tutto quello che è accaduto, mentre Thomas
pochi giorni dopo sta già benissimo; la macchina,
di proprietà della Casa motociclistica, viene sequestrata dalla magistratura per tutta la durata
del processo e poi demolita con la speranza di
demolire assieme a lei pure i brutti ricordi. Questa donna parla come se versasse un bicchiere
d’acqua. Scorre fluida, non si arresta, è calma,
rilassa. Io faccio fatica ad ritenerla inopportuna
perché se anche declamasse l’elenco delle fermate della metro di Milano resterei ad ascoltarla
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incantato dalla sua voce e dal tono colloquiale.
Ma rispolvero la mia dignità di ascoltatore che
non desidera essere oggetto di confidenze non
richieste: - Mi perdoni signora, innanzitutto i
complimenti: bella trama; ora mi dica, è il film
che ha visto ieri sera con suo marito? È una sua
invenzione, oppure gliel’hanno raccontata ed è
come una catena di S. Antonio e lei deve passarla ad altre cinque persone? In tutti questi casi, mi
faccia il sacrosanto piacere di lasciarmi in pace.
Replico così, come punto da uno sciame di api.
Lei non fa un plissè:
- In seguito al trauma della perdita del fratello,
Nadia abbandona gli studi di medicina appena
iniziati e su suggerimento di Thomas la Casa
motociclistica le propone un lavoro come segretaria di direzione; ne nasce così una storia
toccante che le testate giornalistiche anche extra settore si affrettano a raccontare, la Casa
motociclistica ottiene un ritorno di immagine
straordinario sulla carta stampata. Lei accetta
e per cinque anni non cambia mansione, nemmeno quando Aleksandr stesso viene nominato
direttore generale. Thomas, invece, continua ad
occuparsi del marketing. I rapporti tra i tre sono
gentili, forse un po’ troppo attenti alle formalità,
forse pure un po’ falsi, con Thomas che assume
il ruolo di paciere tra Aleksandr e Nadia quando
le intemperanze del direttore generale, ma forse dovremmo chiamarlo “zar”, la feriscono fino
ad umiliarla. La blocco con la mandibola che mi
cade verso il pavimento. Questa parte della storia mi sembra di averla già sentita molti anni fa,
dovrei verificare su Internet. Lei non mi degna
di un minimo di pietà o di comprensione e avanza tetragona e indifferente come un Dyna Glide
sulla Ruote 66; si vede che sta godendo, proprio
come una Harley nei lunghi rettilinei delle statali
americane.
- Col passare del tempo, il nervosismo di
Aleksandr si fa sempre più isterico: toni sempre
alti e pronto ad arrabbiarsi con tutti, Nadia suo
malgrado ne è il parafulmine dato che lavora
sempre a stretto contatto con lui ma non riesce
La lettura
più a sopportare la situazione e se ne lamenta
con Thomas, il quale cade dalle nuvole. Un giorno di giugno durante un pausa caffè Nadia incontra Lucrezia, la fidanzata di Aleksandr spesso
di passaggio negli uffici della direzione generale. Lucrezia ha molta tenerezza verso Nadia e
quando quest’ultima le confida del nervosismo
di Aleksandr, delle sue reazioni al limite della
violenza, della sua apparente bipolarità data da
momenti di incredibile irascibilità seguiti da lunghi minuti di triste mutismo, Lucrezia riferisce
che anche con lei Aleksandr è diventato strano
e quasi paranoico. L’unica cosa che Aleksandr
le ha detto per giustificarsi, nelle notti degli ultimi mesi, è che inizia ad avere qualche ricordo
dell’incidente e si sente angosciato e confuso,
forse è una sindrome da stress post traumatico,
oppure la memoria comincia a tornargli e sta rimettendo tutto in discussione. La donna fa una
pausa. Prende fiato, o forse coraggio. Cerco di
non dire nulla per non turbare un equilibrio che
spero mi porti fino alla fine di questa storia, fino
alla convinzione che sia totalmente inventata
e sentire la donna, che mi sembra di circa una
quarantina d’anni, farsi una gran risata gratificata dall’avermi preso per il naso. Comunque non
c’è scampo da una storia che ha anche solo una
parvenza di verità:
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- Tre giorni sono sufficienti a Nadia per capire
che l’aria che tira sta per diventare oltremodo
pesante. La goccia che fa traboccare il vaso è
l’ascolto di una conversazione tra Thomas e
Aleksandr che intercetta lasciando aperto l’interfono nell’ufficio di Aleksandr, nella quale Thomas diventa insistente sui ricordi dell’incidente
che Aleksandr ripete di non avere nitidi ma di
fare sogni strani e angoscianti, nei quali rivive la
scena dell’incidente vedendo alla guida Thomas
e non se stesso.
«Zitto! Se per caso ti venisse mai in mente di raccontare a qualcuno ‘ste cose, saremmo finiti tutti
e due! E’ andata come ho raccontato io al processo e basta! Tu guidavi e quel coglione ci è venuto addosso invadendo la nostra corsia! Basta!
Capisci basta?!! E che cazzo, non ti ricordi niente
per cinque anni e ora vieni assalito dai dubbi? Dai
rimorsi? Ascolta, russo del cazzo, è già pesante
far restare Nadia qui con quel suo sguardo da
pesce morto e l’allegria di un cadavere, vediamo di seppellire questa storia come abbiamo
seppellito la macchina demolita e tiriamo avanti.
Del resto l’unico testimone dell’incidente sono
io: uno è morto, tu hai perso la memoria, Nadia
non ha capito quasi nulla. La moto ci è venuta
addosso abbagliandoci, è stato un attimo. Fatti
bene i conti e vedi chi ci rimetterebbe a cambiare
la versione dei fatti. Senti, Aleksandr: io ti voglio
bene e ti dico che la tua figura qui in azienda sta
perdendo autorevolezza; vedi di calmarti e dedicati al lavoro, “intelligenti pauca!”». Thomas
esce dall’ufficio di Aleksandr con il muso ingrugnito. Pausa pranzo delle tredici, uffici e piazzali
deserti: l’ora di mettersi all’opera. Nadia annuncia al proprio capo che sta per arrivare, lascia la
propria scrivania portando con sé uno zainetto e
pochi secondi dopo quasi sfonda la porta dell’ufficio del direttore generale con le nocche.
«Che violenza! Entra, Nadia. Allora, di cosa volevi parlarmi?». Aleksandr Tukmanovic continua a
leggere in piedi, di fronte la propria scrivania, fogli sfusi sull’andamento del mercato; non guarda
la sua segretaria che ha appena bussato. «Allora,
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mi hai sentito? Che volevi dirmi? Mi hai portato il
pranzo?» continua a testa china sui fogli. Nessuna risposta, solo un fruscio di vestiti.
«Nadia, sei pure sorda oltre che storpia?»
Il proiettile lo raggiunge freddandolo; Nadia abbassa la pistola silenziata, esce dall’ufficio e
scende di un piano, invade le sale destinate alle
riunioni alla ricerca di Thomas Valeri, lo trova,
isolato da tutti, intento in una conversazione
telefonica piuttosto agitata. Thomas la vede avvicinarsi con lo sguardo assassino e la sottovaluta forse non ritenendo pericolosa una ragazza
di ventitré anni. «Fai buon viaggio, Thomas» gli
sussurra alle spalle poco prima di premere il
grilletto, spegnendolo come un cerino in un bicchiere d’acqua. Lo vede andare a fondo, avere
uno scatto, calmarsi. Ora deve andare, è tutto
pronto. Scende ancora più giù, al piano cantinato nel deposito veicoli dove giace da molti anni
la naked 900 pazientemente restaurata a spese
della Casa motociclistica proprio dai suoi tecnici, gli stessi che l’hanno costruita molti anni fa.
Nadia l’ha sempre voluta pronta a partire, batteria carica, pieno, gomme ok, diceva che era nel
caso il fratello fosse tornato e avesse avuto voglia di fare un giro e nessuno ha mai avuto voglia
di scontentare una povera ragazza sulla sedia a
rotelle. Nadia si guarda intorno, la moto è lì, rossa e sferragliante appena il motore viene avviato.
Tra i pochi addetti rimasti nell’enorme deposito
veicoli il rumore non insospettisce nessuno. Si
alza dalla sedia a rotelle e sale sulla motocicletta,
dallo zaino estrae un casco, guanti, un giubbotto
leggero con i colori dell’Azienda; ci mette un po’ a
riprendere confidenza con il manubrio e le pedane ma le basta un minuto, del resto non ha molto
tempo per scappare, ma ha un vantaggio: tutti
cercheranno una ragazza sulla sedia a rotelle,
nessuno una virago su un 900 a carburatori. Nadia non ha mai smesso di camminare: solo, dopo
l’incidente le serviva un piano b che le garantisse
una via d’uscita. Ha ingannato tutti, pure i medici, le fratture alle gambe erano gravi ma in qualche modo sono guarite permettendole di stare in
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piedi, non di correre ma almeno di camminare.
- Perché? Perché ha trascorso tutti quegli anni
su una sedia a rotelle? – chiedo alla donna.
- Non ho finito. Stia zitto e ascolti. Nadia esce
dalla fabbrica e si dirige verso sud, più in fretta
che può, riesce a fare perdere le sue tracce e
scompare per sempre.
- E poi?
- Passato un anno, scrive una lettera dove racconta la sua versione dei fatti; la manda a tutti i
giornali di motociclette, ma nessuno le dà credito e la lettera non viene mai pubblicata ritenendola opera di un mitomane.
- Sì, ma poi? Insomma perchè Nadia ha ammazzato quei due? Ok, lo capisco pure io che forse
alla guida dell’auto al momento dell’incidente
c’era Thomas e che quando Aleksandr ha iniziato a recuperare la memoria Thomas temeva che
il collega perdesse di lucidità, rimettesse tutto in
discussione mettendo Thomas nella probabilità
di essere accusato di omicidio colposo, oggi diremmo “omicidio stradale”, ma perché Nadia li
ha fatti fuori? Che interesse poteva avere? Vendetta? Poteva farlo prima, allora! Insomma, se lo
faccia dire da me che ogni due settimane me ne
invento una, questa storia era partita bene ma
adesso non regge! Se la pubblicassi avrei tutti
addosso a farmi le pulci!
- Lei è supponente – smette di fissarmi e guarda in basso – e anche precipitoso. La lettera che
Nadia ha mandato ai giornali gliela sto recitando
passo per passo. Credo di averle dato troppa fiducia, l’ultima parte preferisco tenerla per me.
- Faccia come vuole - …e vada da uno bravo, mi
viene da aggiungere, ma desisto. La donna rimane appoggiata al muro, io mi allontano risentito
e anche decisamente deluso dal non avere potuto conoscere l’epilogo della vicenda di Nadia.
Nel frattempo la mia moto è pronta, la portano
spingendola. Che bello avere la moto con le gomme nuove! Almeno altri 8000 km di strade e di
passione, non sto più nella pelle! Sbrigo le formalità con un assegno, salgo sulla moto ed esco
dall’officina, mi sono preso la mattina libera per
La lettura
rodare ben benino gli pneumatici, un bel giretto
non me lo leva nessuno. Dieci minuti dopo sono
già in collina con le orecchie per terra; ma il mio
ego viene ridimensionato istantaneamente da
un 1200 rosso che mi fa un esterno da manuale:
un gran manico, non c’è dubbio, che dopo poco
vedo fermo a bordo strada e farmi un cenno. Riesco a fermarmi qualche metro più in là, il pilota
del 1200 scende dalla sella e avanza verso di me
zoppicando e ancheggiando in modo innaturale.
Sfila il casco, è la donna di prima. Il mio primo
istinto è di chiamare il 112, questa deve essere
un po’ tocca. - Sa una cosa?- esordisce – lei non
vale niente come scribacchino ma come motociclista è ancora peggio. - Ho i miei limiti in tutto
- rispondo piccatissimo - Speravo che almeno lei
mi ascoltasse. - Signora, io non credo in niente.
Valuto solo se una storia ha un minimo di verosimiglianza. La sua, abbia pazienza, è una cavolata. Perdoni il francesismo, ma è il minimo quando
mi sento seguito e braccato da una sconosciuta.
- Lei ha poca fantasia. - E lei è una maleducata!
- No, sono solo disperatamente sola e ho bisogno di fissare i mei ricordi, di essere creduta e di
sentirmi viva, è troppo tempo che vivo in clandestinità. Io sono sempre stata cosciente, anche
nel momento dell’incidente. Ricordo molto bene
Thomas che scende sanguinante dal lato guida,
Aleksandr che rimane dentro la vettura svenuto, Giulio immobile col casco crepato. Io ero cosciente e ho visto tutto, pure la faccia da beota
di Thomas mentre invado la loro corsia, illuminata dagli abbaglianti della 900 di mio fratello. Ho
visto tutto e non ho potuto dire nulla, perché la
moto la guidavo io. Senza patente, senza esperienza. Ho preferito non rischiare e aspettare. Io
ero viva, e questo bastava. Se Aleksandr avesse ricordato sarei finita in carcere. Forse anche
Thomas, o forse lui se la sarebbe cavata come se
l’è cavata Aleksandr. - Nadia…?
- La racconti lei, questa storia. Forse a lei crederanno. E congedandosi con due dita a “V” come
non ne vedevo da tempo, mi abbandona sulla
strada. Questo è tutto quello che ricordo.
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Nico Cereghini
A sessanta sui
passi dolomitici
Nuovi limiti di velocità
dappertutto. E capisco la
necessità di ridurre gli incidenti,
che purtroppo coinvolgono
sempre più motociclisti, ma la
strada scelta è miope. Mi sa che
serve soprattutto a far cassa
Media
C
iao a tutti!
Al
passo
Gardena,
la scorsa
settimana,
pochi motociclisti nonostante il meteo
favorevole. Qualche carovana
di tedeschi o di austriaci (indovinate la moto più diffusa),
pochi italiani isolati. Le marche
più rappresentate sono due:
l’ovvia BMW e poi, sempre più
numerosa, l’Harley-Davidson.
Ma poca roba in realtà, perché anche sulle montagne più
belle del mondo, patrimonio
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dell’umanità, il turista sente la
crisi. Soprattutto il turista nostrano. I ristoratori si lamentano: dicono che i tedeschi
spendono poco, il minimo indispensabile, e gli italiani non si
vedono. Protestate con i vostri
amministratori, dico io. Sessanta chilometri orari di limite
massimo. Provincia di Bolzano.
Sui passi trentini è la stessa
cosa. Seguo due GS, bavaresi
anche di targa, guidate da due
tipi corpulenti e tranquilli che
salendo si guardano intorno.
Dietro le visiere dei caschi integrali indovino i loro estasiati
“Schon!” e io diligente, invece
del gruppo Sella e della Val de
Mezdi che conosco a memoria,
sorveglio il tachimetro. Registro
venti all’ora circa nelle curve a
gomito da prima, poi sul dritto,
tra un tornante e l’altro, quelli
danno un filo di gas, seconda,
terza. E io leggo novanta! Aiuto,
due pazzi travestiti da turisti!
Tremo di paura. Dove sono i
Carabinieri? Dove si nascondono i Forestali? Ci fosse la forza pubblica allora sì: nessuna
pietà e giustizia sarebbe fatta.
Perbacco. Io credo di rappresentare il prototipo del buon
turista. Sono innamorato delle
Dolomiti che ho camminato in
lungo e in largo, sulle ferrate
metto imbragatura e caschetto,
quando faccio pipì nascondo il
fazzolettino di carta sotto i sassi; oggi sono equipaggiato con
una moto silenziosa, nessun
sorpasso azzardato, sono pronto a fermarmi a tutte le strisce
nell’attraversamento dei paesi.
Li vedo anch’io quei quattro o
cinque idioti, quello che oggi mi
supera a 150 all’ora sul breve
rettilineo con la sua GSX-R e il
quattro-in-uno racing, quell’altro che ho appena passato e
che i limiti forse li rispetta tutti,
non tocca i sessanta, ma con
la sua Harley svuotata, abilmente impegnato nella tipiche
sgassate a vuoto, fa tremare i
pinnacoli di roccia tra le mani
di chi arrampica mille metri più
su. Ma perché mai devo pagare
anche per loro? Se in questo
preciso momento, dietro ai due
tedesconi, mi fotografassero
a novantadue km/h, io sarei
severamente punito mentre
l’amico più indietro, lo sgasatore a salve, se la riderebbe. Lo
capisco, fissare un limite di velocità molto basso è il modo più
semplice per tentare di mettere
ordine sulle trafficatissime (e
sempre più incidentate) strade
di montagna. Ogni anno, credetemi, decine di vittime, soprattutto tra i motociclisti. E allora
basta nascondere un autovelox, seguire una moto con l’auto civetta, e il gioco è fatto. Ma
io non vedo traccia di controlli
Editoriale
sulla rumorosità delle Harley,
non vedo pattuglie dietro le
curve più belle, quelle che invogliano di più perché sembra di
girare in pista. E allora concludo che l’operazione “sessanta
all’ora” serve soprattutto a far
cassa. Inutile girarci intorno.
Cari operatori turistici delle Dolomiti, la crisi morde certo, e poi
molti di noi decidono di viaggiare altrove. Fate una bella cosa:
andate a lamentarvi con i vostri
amministratori.
Fissare un limite di
velocità molto basso è il
modo più semplice per
tentare di mettere ordine
sulle trafficatissime
strade di montagna
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MotoGP
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Valentino Rossi
telefona a Giacomo Agostini
per dirgli che...
Una telefonata fra il 15 volte campione del mondo Giacomo Agostini e il
9 volte iridato di Tavullia. Per il Rossi nazionale c’è in ballo una decisione
importante
N
on capita tutti i giorni di ricevere
una telefonata da Valentino Rossi. Anche se ci si chiama Giacomo
Agostini. Ma non è stata soltanto
per la sorpresa che Ago ha parlato convinto di
essere al telefono con il vero Rossi, è che Mauro
Tononi, l’imitatore del Vale nazionale, ci sa fare
per davvero. Innescato da Nico Cereghini, Mauro-Vale ha coinvolto il buon Agostini su consigli e Leggi l’intervista
altre questioni. Del 15 volte campione del mondo, a Mauro Tononi
questa volta abbiamo apprezzato la presenza di
spirito: non se l’è presa quando Nico l’ha richiamato per dirgli che era caduto nella trappola di
uno scherzo, anzi ci ha riso sopra. Grande Mino,
anche in questo.
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Superbike
ha dimostrato di essere tornato in forma con ben
93 giri a referto tra ieri e oggi. Gli altri piloti EVO
Alessandro Andreozzi (Team Pedercini Kawasaki) e Jeremy Guarnoni (MRS Kawasaki) hanno
avuto parecchio tempo in pista per continuare
ad accrescere il feeling con le proprie EVO ZX10R. Per quanto riguarda la Pirelli, la casa italiana ha portato a Portimao alcune nuove soluzioni,
utilizzabili con le alte temperature. Il responso è
stato positivo anche se il numero dei piloti era
limitato e, come spesso accade in questi test,
l’attenzione dei team era maggiormente rivolta
alla messa a punto delle rispettive moto, in vista
del finale di stagione.
Test SBK a Portimao
Sykes chiude in testa
Alla fine della due giorni di test ufficiali all’Autodromo International do
Algarve, davanti a tutti c’è Tom Sykes grazie al crono di 1’42.719s
L
a due giorni di test ufficiali DWO si è
chiusa ieri a Portimao presso l’Autodromo International do Algarve con
Tom Sykes (Kawasaki Racing Team)
ancora una volta davanti a tutti grazie al crono
di 1’42.719s messo a referto già in mattinata.
L’attuale Campione del Mondo e il compagno di
squadra Loris Baz si sono concentrati su linee e
set-up della ZX-10R già che nessuno dei due aveva nuove componenti da provare al contrario del
leader EVO David Salom, che si è invece occupato di testare parti che faranno probabilmente
parte della Kawasaki del prossimo futuro. Marco
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Melandri e Sylvain Guintoli (Aprilia Racing Team)
hanno invece potuto completare un programma
di prove iniziato in pre-season, anche se le prove
dell’italiano e del francese sono state interrotte
da una caduta di troppo. Se ieri era stata la volta
del 33, oggi è toccato al numero 50 chiudere la
due giorni in anticipo, dopo una scivolata sul finire della sessione mattutina. Il Ducati Superbike
Team ha completato senza intoppi la due giorni
con Davide Giugliano e Chaz Davies alle prese
con nuove e vecchie soluzioni di messa a punto. Dopo aver saltato l’ultimo round di Laguna
Seca, Claudio Corti (MV Agusta Reparto Corse)
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SPECIALE motocross
gp DELLA
REPUBBLICA
CECA
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A Van Horebeek il GP
ma Cairoli è sul podio
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considero il migliore e che penso quest’anno si
meriti il titolo». Fatto sta che ormai il tempo per
riprendere la posizione del battistrada non c’era più, considerando che giustamente l’ufficiale
KTM ha dovuto anche pensare ad evitare il benchè minimo incidente che come si è visto anche
da poco con Jeffrey Herlings è sempre dietro
l’angolo, come ha spiegato Cairoli. Al messinese il terzo posto dietro a Strijbos è comunque
stato bene, considerando che il prossimo fine
settimana si porta sulla pista di Lommel, dove è
ancora vivo l’eco della sua vittoria al Nazioni del
2012, con 57 punti di vantaggio sul pilota della
Yamaha. Quarta piazza per il rientrante Gautier
Paulin davanti a Shaun Simpson e al compagno
di squadra Steven Frossard. Giornata difficile per
gli altri due azzurri della MXGP: Davide Guarneri
ha passato una brutta prima manche dove è arrivato fuori dalla zona punti a causa di due scivolate, ma si è riscattato nella seconda dove è terminato settimo nonostante una caduta dopo un
contatto con Frossard, mentre David Philippaerts si è infortunato ad un piede sbattendo conto
Motocross
un rivale e non ha corso. In convalescenza per la
frattura del femore, i rincalzi hanno approfittato dell’assenza di Jeffrey Herlings per mandare
in porto una gara tiratissima che si è conclusa
in favore del numero due del campionato Jordi
Tixier, mattatore di Gara 1 e quarto nella seconda
frazione.
Seconda piazza per Valentin Guillod grazie a due
terzi posti, e ultimo gradino del podio per Christophe Charlier che ha dato un colpo di spugna
alla sua stagione di alti e bassi con la vittoria della seconda manche. Sfortunato Dylan Ferrandis,
rimasto fuori dai punti in apertura a causa del
russo Brylyakov che gli è volato sopra spezzandogli il silenziatore, ma che in quella successiva
è stato autore di una forsennata rimonta che lo
ha portato al secondo posto. Giunta all’appuntamento finale con quattro punti di vantaggio su
Meghan Rutledge, Chiara Fontanesi ha mantenuto il sangue freddo e ha mandato in porto una
gara quasi perfetta la quale l’ha premiata con il
suo terzo titolo iridato.
Guarda tutte le classifiche
di Massimo Zanzani | Il belga si aggiudica il suo primo gran premio
della classe regina, ma Tonino aggiunge altri punti preziosi per la
rincorsa al titolo; a Tixier la MX2 e alla Fontanesi il titolo femminile
I
l suo maestro Stefan Everts, che lo ha
seguito sin da quando era un ragazzino
volenteroso ma inesperto, lo aveva avvertito: devi portare pazienza e vedrai che
prima di fine stagione arriva anche il tuo momento. Parole soppesate alla perfezione, quelle riferite a Jeremy Van Horebeek che ha visto esaudito
il suo sogno sulla insidiosa pista di Loket. Secondo nella prima manche dietro a Kevin Strijbos e
davanti ad Antonio Cairoli, in quella decisiva per
le sorti del GP ha stato incollato a Tonino per
84
tutta la gara con la speranza di un passo falso
del siciliano che è arrivato a due giri dalla fine
a causa del ritmo che col passare dei giri si era
fatto sempre più veloce. Una staccata un po’
troppo irruente, la traiettoria allargata in un punto più scivoloso ed a quel punto il belga che da
inizio stagione attendeva questo momento non
si è fatto scappare l’occasione «A quel punto non
ho più pensato allo stile ne alla prudenza, era la
mia grande occasione e l’ho presa al volo senza
però fare nessuna scorrettezza a Tony che lo
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Motocross
tony Cairoli
“Avevo il GP in mano, all’ultimo giro
ho commesso un errore e dato la
vittoria a Jeremy”
«
di Massimo Zanzani | Al messinese il terzo posto dietro a Strijbos è
andato bene, considerando che il prossimo fine settimana correrà sulla
pista di Lommel, dove è ancora vivo l’eco della sua vittoria al Nazioni
del 2012
«Ciao a tutti gli amici di Moto.it,
siamo qui a Locket per la quattordicesima tappa del mondiale. E’andata bene, fino ad un
giro e mezzo dalla fine, avevo il
Gran Premio in mano poi ho fatto un piccolo errore in una curva con Jeremy Van Horebeek
che stava girando veramente
forte. Mi sono allargato troppo,
prendendo un canale sbagliato
e a quel punto Jeremy mi ha
infilato. La vittoria è andata a
lui però in questo momento del
86
campionato è molto importante pensare ai punti per la stagione che è quasi in dirittura di
arrivo».
Questa pista non è tra le tue
preferite.
«Questa pista non lo è sia per
me che per il 350, è molto difficile stare al passo delle 450 in
questi strappetti in salita dove
si scivola molto. Siamo contenti lo stesso, Van Horebeek ha
fatto una bellissima gara e ha
meritiato la vittoria».
Adesso la prossima tappa
sarà sulla sabbia di Lommel e
ci aspettiamo un altra grande
gara.
«Lommel è una pista che mi
piace molto e speriamo ci siano
tantissimi fans, anche italiani e
che sia una bella gara».
Così per chiudere in bellezza il
mondiale?
«Speriamo!»
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chiara Fontanesi
“Un terzo titolo mondiale sudato
più di tutti”
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Motocross
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di Massimo Zanzani | Chiara Fontanesi ha mandato in porto una gara
quasi perfetta, che l’ha premiata con il suo terzo titolo iridato. “Forse il
primo mondiale ad essere riuscita a vincere veramente” ha dichiarato
T
Terzo titolo mondiale, finalmente ce l’hai fatta!
«Ciao a tutti i ragazzi di Moto.
it, sono molto contenta per essere riuscita a portare a casa
il terzo titolo, sicuramente è
stato quello più sudato di tutti, quasi il primo mondiale ad
essere riuscita a vincere veramente. Sono contenta perchè
comunque sono state presenti
durante l’anno tutte le migliori
ragazze del mondo, così nessuno può dire che ho vinto il
mondiale perchè non c’era
una o l’altra. E’ stata dura fin
da subito perchè ho fatto una
brutta partenza in Qatar ed è
stata una stagione un po’ così.
Mi sono preparata benissimo
per l’ultima gara, sapevo che di
testa potevo arrivarci più pronta degli altri, forse anche per
l’esperienza. Non mi piaceva la
pista ma mi sono preparata per
questo tipo di terreno, ho dato
tutto sabato perchè volevo
vincere e portarmi più distante possibile, di punti, rispetto
alla Rutledge. Oggi è stata dura
88
guidare perche non riuscivo,
ero rigidissima, avevo la mia rivale davanti a me e non occorreva andare a rischiare di più,
ho vinto il terzo titolo e adesso
sono contentissima».
Il sogno si è avverato. Sei stata anche bravissima perchè
hai avuto due partenze poco
buone e dei gran recuperi.
«La prima è stata una partenza
allucinante, la seconda è stata
peggio, però considerando che
contavo molto sulla partenza
nella prima manche mi sono
trovata spiazzata, ho dato tutto
quello che avevo nel primo giro
e infatti sono uscita dal doppio
in discesa alla fine del primo
giro in testa e negli ultimi tre
giri ho amministrato la gara.
La seconda manche è partita
ancora peggio, sapevo che non
dovevo vincere, mi bastava
fare terza se Rutledge avesse
vinto. Ho visto che era davanti
a me, facevo fatica a guidare, e
non serviva andare a rischiare.
Sono contenta nonostante la
brutta partenza. E’ stato ancora più bello vincere sabato
partendo dietro e arrivando
prima».
Ormai bisogna pensare anche
al quarto titolo?
«Oggi non ci penso, mi godo un
po’ il terzo, dopo vado in vacanza e voglio fare il Supercross
di Ginevra a dicembre e quindi per quest’anno ho un’altro
obiettivo a cui pensare e ci tengo a fare bene».
Lo dedichi a qualcuno questo
titolo?
«Li ho sempre dedicati a tutta
la mia famiglia, agli sponsor e a
tutte le persone che mi stanno
vicino. E’ il terzo, ne ho già dedicati due e penso che quest’anno va esclusivamente dedicato
ad un amico che ho perso a
gennaio che correva in moto.
Penso di aver avuto un aiuto
speciale dal paradiso e so che
mi ha guardato dal posto più
bello del mondo. Per me è dedicato tutto a lui.»
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al CIV di Misano
Pioggia, sole e gare avvincenti
di Carlo Baldi | Come se non bastasse l’incertezza che da sempre
caratterizza le varie classi del Campionato Italiano di Velocità, a Misano
ci si è messo anche il meteo a rendere ancora più difficili ed avvincenti
la settima e l’ottava prova di questo CIV 2014
L
a pioggia era attesa sin dalle prove che
invece si sono svolte sull’asciutto. Il
risultato è stato che quando, proprio
all’inizio della gara della Moto3 di sabato, la pioggia è iniziata a cadere, ha colto di sorpresa piloti e tecnici. Come sappiamo la pioggia
sconvolge i valori emersi nelle prove e ne abbiamo avuto la conferma anche al Misano World Circuit, dove i piloti che avevano conquistato la pole
position non sono riusciti ad imporsi sulla pista
90
bagnata di sabato, ma hanno poi vinto le gare della domenica (fatta eccezione per la PreMoto3 2T
dove il poleman Arbolino non ha vinto nessuna
gara). Gare interessanti con tanti giovani di valore
specialmente in Moto3, dove erano presenti sei
wild card tra le quali spiccavano Bulega e Manzi. I
due giovanissimi italiani, entrambi quattordicenni, dopo essersi messi in luce nel CIV negli anni
passati, ora hanno scelto il Campionato nazionale Spagnolo, il CEV, per compiere un ulteriore
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passo in avanti sulla strada che porta al mondiale. Pole position per Manzi che rispetto allo scorso anno è cresciuto moltissimo e... non solo in
altezza. Dopo aver dominato le prove ed essere
stato escluso dalla gara bagnata di sabato a causa di un’assurda scelta di gomme (slick), Stefano
domenica non ha dato scampo ai suoi avversari,
dominando dal primo all’ultimo giro. Il giovanissimo pilota della Mahindra ha girato su un passo
insostenibile per tutti gli altri ed è sceso sotto il
muro del 1’45 solo negli ultimi due giri, quando
ormai la vittoria non poteva più sfuggirgli. Anche
Bulega è maturato molto e dopo aver dominato
la gara sul bagnato, dove servono coraggio e sensibilità di guida, domenica ha dimostrato anche
di saper sopportare il dolore. Vittima di un high
side nel corso del warm up, Niccolò si è presentato al via dolorante al costato, ma è stato più forte del dolore e si è aggiudicato il secondo posto
dietro a Manzi, dopo una dura lotta con l’altra
wild card, lo spagnolo Rodrigo Castillo. E i piloti del CIV? L’unico ad essere andato forte sotto
CIV
la pioggia e sotto il sole è stato Stefano Valtulini. Dopo il divorzio consensuale dal Kymco Oral
Cruciani Racing team, Stefano è tornato in quel
team Fiveracing AX#52 che lo aveva lanciato lo
scorso anno ed alla guida di Honda del team Gresini, sabato è riuscito nell’impresa di risalire dalla
trentacinquesima (penalizzato per aver sostituito oltre tre motori dall’inizio del campionato) alla
seconda posizione, mentre domenica ha chiuso
sesto, secondo dei piloti CIV, preceduto solo da
un velocissimo Manuel Pagliani, che ha girato costantemente con i tempi delle wild card. Quando
mancano solo le due gare del Mugello, che si disputeranno a metà Ottobre, la classifica vede in
testa Bezzecchi (sesto e nono a Misano) con 102
punti, seguito da Pagliani con 99, Dalla Porta con
94 e Mazzola con 88. La lotta per il titolo sembra
limitata a questi quattro piloti, anche se con 50
punti ancora da assegnare, la matematica non
esclude nemmeno Groppi a 66, Valtulini a 57 e
Gabellini a 56. Sabato la Superbike ci ha regalato una gara incerta sino all’ultima curva. Sotto la
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CIV
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pioggia le Michelin si sono rivelate davvero performanti, tanto che i primi quattro utilizzavano
proprio le gomme della casa francese. Dopo una
bella lotta Vizziello ha avuto la meglio su Polita.
Terzo Saltarelli che ha perso contatto con i primi due solo nei giri finali. Quarta posizione per
Schiavoni, vera rivelazione della Superbike 2014.
Il pilota del team 2R by Antonellini, partito dalla
diciannovesima posizione in griglia, si è concesso il lusso di mettersi alle spalle i due piloti che
si contendono il titolo Baiocco e Goi, che hanno
chiuso nell’ordine al quinto e sesto posto, davanti
alle Aprilia di Clementi e Calia. Musica completamente diversa la domenica e con la pista asciutta
le Pirelli hanno ripreso il sopravvento. Ma è stato soprattutto Baiocco a fare la differenza. Allo
spegnersi del semaforo rosso la sua Ducati si era
imbizzarrita e le impennate hanno costretto il pilota di Osimo a dover sgomitare per prendere al
terzo giro la leadership della corsa ed imporre un
ritmo, che ha subito chiarito che avrebbe vinto
questa gara del CIV Superbike. Con Baiocco saldamente in testa, il leader del campionato Ivan
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Goi, ha dovuto sudare sette camicie per risalire
la classifica, ma ha trovato in Calia un ostacolo
insormontabile. Il giovane pilota del team Nuova M2 ha guidato la sua Aprilia con una grande
determinazione e dopo aver subito il sorpasso di
Goi a due giri dal termine, ha replicato a poche
curve dal traguardo, salendo sul secondo gradino
del podio. Quarto Saltarelli, mentre più staccati
hanno concluso Vizziello, Conforti e l’inossidabile Corradi. In classifica Goi comanda ancora
ma con soli 14 punti su Baiocco. Anche in questa
classe la matematica ancora non condanna Calia
e Polita che però hanno il difficilissimo compito di
dover recuperare rispettivamente 42 e 48 punti a
Goi. Ma la gara indubbiamente più spettacolare
del weekend del CIV in riva all’Adriatico è stata
quella della Supersport disputata domenica. Una
gara che ha tenuto con il fiato sospeso dal primo
all’ultimo giro, con continui sorpassi, scivolate
e colpi di scena. Alla fine, come spesso succede in questa categoria, la classifica è un mix di
esperienza e di sana irruenza giovanile. Ad avere
la meglio è stato Roccoli che con la sua MV ha
regolato la rivelazione di questo campionato, Federico Caricasulo. Terzo posto per un altro giovane Davide Stirpe che ha preceduto i veterano
Cruciani e Baldolini. Sesto posto Sabatino e settimo per il rocambolesco Mercandelli che nella
gara bagnata di sabato ha imitato Mamola con un
numero da rodeo, con tanto di disarcionamento e
risalita in moto. Ma il numero di Mercandelli non
è stato l’unico spettacolo offerto dalla prima gara
della SS di Misano. Sotto la pioggia è emersa l’esperienza e la sensibilità di guida di piloti che da
anni animano le gare della 600. A vincere è stato
Cruciani, davanti a Baldolini e Giugovaz. Quarto
posto per Stirpe che ha preceduto Sassaro e Tatasciore. Nella classifica del campionato Federico Caricasulo occupa la prima posizione, con soli
6 punti di vantaggio sul pluricampione italiano
Stefano Cruciani. Sono ancora in corsa anche
Roccoli e Giugovaz distanziati di 16 e 32 punti dal
giovane pilota della Honda, mentre sono ormai
tagliati fuori dalla lotta per il titolo Morrentino
e Baldolini. La pioggia non ha spaventato i giovanissimi piloti della Pre Moto3, nonostante le
numerose cadute, che a Misano quando piove
non mancano mai. Nella 2 tempi sabato ha vinto
Spinelli, davanti a Vietti Ramus e Zannoni. Il giorno dopo sulla pista asciutta la battaglia è stata
avvincente ed ha visto la vittoria di Celestino Vietti Ramus, che in volata ha preceduto di un solo
millesimo di secondo il poleman Arbolino. Terzo
Zannoni. Da notare che inizialmente Celestino
non pensava di aver vinto, ma nel suo mesto giro
di che lo riportava ai box è stato fermato da alcuni tifosi che lo hanno informato dell’inaspettato
successo, che il tredicenne ha poi festeggiato con
un burn out. In classifica resta grande il vantaggio di Arbolino che ha 34 punti più di Spinelli e 48
più di Vietti Ramus. Nella 250 4 tempi sabato ha
prevalso Nepa, davanti a Fabbri e a Foggia. Sulla
pista asciutta ha invece ha tagliato per primo il
traguardo Ieraci, precedendo Nepa e Foggia. E’
quasi fatta per Nepa, che guida la classifica con
42 punti di vantaggio su Ieraci e 44 su Foggia, per
la gioia del suo nutrito fan club. A Misano erano
più di 300 i suoi tifosi, con magliette dedicate al
tredicenne pilotino di Roseto degli Abruzzi.
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a posticipare la partenza, poi ingresso della safety car e alla fine gara accorciata a poco meno
di sette ore per 172 giri complessivi. La vittoria
della Honda Harc è stata favorita dal pesante
ritardo accumulato della tradizionale squadra
rivale Fcc-Tsr Honda – prima nel 2012 - che questa volta ha pagato la caduta di Kosuke Akiyoshi,
mentre Jonathan Rea aspettava di riprendere il
suo turno. Akiyoshi è riuscito a riportare la moto
ai box nonostante la frattura a una gamba, ma
una volta rientrata in gara, la squadra – che
schierava anche Lorenzo Zanetti - non ha potuto
che terminare al 40° posto. Non ha potuto disputare la gara Kevin Schwantz: il suo compagno di
squadra Nobuatsu Aoki, sulla seconda Suzuki
Yoshimura Shell Advanced è infatti caduto al sesto giro ed è stato ricoverato all’ospedale.
8 Ore di Suzuka
vince ancora la Honda
La gara giapponese del mondiale Endurance è stata vinta nuovamente
dalla Honda, con Haslam e lo stesso equipaggio dell’anno scorso.
Seconda la Suzuki di De Puniet e terzo Haga. Schwantz non ha
compiuto nemmeno un giro
L
eon Haslam, Takumi Takahashi e Michael Van Der Mark hanno vinto la 8
Ore di Suzuka, bissando quanto avevano fatto l’anno scorso e registrando
pure il giro veloce in gara. La Honda CBR 1000RR
ancora prima, quindi, grazie al Musashi Harc Pro
Team. Seconda la Suzuki Yoshimura del team
Shell Advanced condotta da Randy De Puniet,
Takuya Tsuda (autore della pole) e Josh Waters
che corre nella BSB. Completa il podio la Suzuki
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Querste le dichiarazioni di alcuni protagonisti.
Leon Haslam «Di solito mi diverto a guidare qui,
ma questa volta ho sentito la pressione, non
volevo cadere o fare errori. La squadra ha fatto
un ottimo lavoro ed i pit stop sono stati veloci e
senza sbavature. Michael è stato velocissimo e
Takumi mister costanza. Ero molto nervoso nel
guardare i giri conclusivi, ma la seconda vittoria
di fila è arrivata»
Endurance
Michael van der Mark: «Che emozione unica!
Ero pronto per la terza ora, ma ha iniziato a piovere e la squadra ha deciso di far uscire Takumi,
perché ha un’esperienza maggiore. La quarta
ora spettava a me ed i tempi sono migliorati giro
dopo giro, con un passo costante. La moto era
perfetta e la squadra ha fatto un lavoro magnifico. Ho fatto l’ultimo turno a un ottimo passo e
mi sono sentito a mio agio. Tornare qui in cima
per la seconda volta di fila è stupendo. Questo
successo l’abbiamo ottenuto grazie al lavoro di
tutti».
Jonathan Rea: «E’ difficile trovare cosa dire, se
non quanto sia grande la delusione. Akiyoshi
è stato un grande a riportare la moto ai box e
questo ci ha permesso di tornare in pista, anche
se sapevamo che c’era poco da fare ormai. Ma
come ho già detto in passato: Vinci se puoi, perdi
se devi, ma non mollare mai».
Lorenzo Zanetti: «La mia prima esperienza della 8 Ore è stata incredibile e non mi aspettavo
di scendere in pista, anche perché Jonathan e
Akiyoshi avevano fatto un lavoro incredibile nel
costruire una solida leadership. Mi spiace molto
per la squadra ma voglio fare i complimenti a Mikey e Leon, oltre che a Takumi ovviamente».
Guarda la classifica della gara
di Yukio Kagayama, Noriyuki Haga e Dominique
Aerger. Quarta la Yamaha Monster Energy con
la coppia di australiani Broc Parkes, Josh Brookers e il pilota di casa Kats Nakasuga. Quinta la
Honda Moriwaki Toho. Per De Puniet si tratta di
un risultato di rilievo che gli fa riprendere quota
nella considerazione della stessa Suzuki, che per
la squadra MotoGP 2015 avrebbe già scelto Aleix
Espargaro e Maverick Vinales. Gara dall’avvio
difficile per colpa della pioggia che ha costretto
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