Articolo pubblicato su "Recycling, demolizioni & riciclaggio", Anno 6, N. 2, Marzo 2002, pp.95-99 I materiali inerti da demolizioni nelle malte e nei calcestruzzi: nuove prospettive V. Corinaldesi e G. Moriconi Dipartimento di Fisica e Ingegneria dei Materiali e del Territorio Università degli Studi di Ancona Introduzione Il problema della collocazione delle macerie provenienti dalla demolizione di opere civili appare sempre più preoccupante giacché l’obsolescenza del patrimonio edilizio e l’adeguamento a nuove esigenze abitative fanno aumentare continuamente la necessità dello stoccaggio di tali materiali di rifiuto e parallelamente la possibilità di una loro collocazione in discarica diviene sempre più problematica per la difficoltà di reperire nuovi siti idonei. Peraltro, si registra anche una crescente difficoltà di approvvigionamento di inerti naturali per via di una maggiore sensibilità ed attenzione ai relativi problemi di impatto ambientale, che comportano una riduzione delle aree disponibili per l’estrazione di aggregati naturali ed un loro sempre maggior costo. Il mercato delle demolizioni Secondo stime della European Demolition Association [1], i rifiuti inerti rappresentano circa il 25% in peso dei rifiuti prodotti sul territorio nazionale; essi derivano principalmente dalle attività di costruzione e demolizione sia di opere civili che stradali, mentre quantitativi minori vengono anche prodotti da attività estrattive, da lavorazioni di minerali non metalliferi e da industrie agroalimentari. Una indagine prodotta dal CRESME e presentata nell’ambito della rassegna “De Build”, tenutasi alla fiera di Genova nel Maggio’98 ha fornito dati sul mercato delle demolizioni in Italia ed anche stime sulla produzione di rifiuti inerti. La quantità di detriti prodotti annualmente dalla demolizione in Italia è stimata attorno ai 20 milioni di tonnellate (350 kg annui per abitante), secondo i dati elaborati dalla European Demolition Association (E.D.A.), mentre la media europea è pari a 610 kg annui per abitante per un totale di 200 milioni di tonnellate annualmente prodotte. Nella regione Marche il quantitativo di detriti prodotti ammonta a 426000 tonnellate annue, pari a 290 kg annui pro-capite. Per quanto riguarda il recupero di tali materiali, mettendo in relazione la stima del mercato potenziale dei detriti prodotti, elaborata dal CRESME, con i dati forniti dalle 268 imprese di gestione delle discariche autorizzate di II categoria tipo A (discarica per rifiuti speciali inerti) e di impianti di macinazione e selezione, si deduce che in Italia solo l’8,8% del totale dei detriti viene riutilizzato o recuperato (nella regione Marche tale percentuale scende addirittura sotto l’1%). Nei confronti degli altri Paesi europei l’Italia è decisamente in ritardo: infatti, già nel 1990 secondo le stime della E.D.A., in Olanda veniva recuperato o riutilizzato il 60% del totale dei detriti, in Gran Bretagna il 42%, in Belgio il 38% e in Germania il 16%. Aspetti normativi Con il Decreto Legislativo 22/97 (noto come Decreto Ronchi), i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione e costruzione, nonché i rifiuti pericolosi provenienti dalle attività di scavo, continuano ad essere considerati rifiuti speciali inerti (se non recuperati o riciclati devono essere smaltiti in discariche di II categoria tipo A). Tale decreto comunque, ispirandosi al concetto che i rifiuti vanno visti come una possibile risorsa, ne incentiva la valorizzazione, nonché le attività di recupero o riutilizzo. Per i rifiuti inerti e ceramici le possibilità di riutilizzo consentite dal decreto attuativo (D.M. 5 febbraio 1998) sono le seguenti: - realizzazione di rilevati e sottofondi stradali e ferroviari e aereoportuali e piazzali industriali (tale possibilità di riutilizzo è subordinata all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto); - recuperi ambientali (analogamente il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione); - copertura di discariche (test di cessione); - cementificio; - industria ceramica e dei laterizi; - produzione di conglomerati cementizi e bituminosi. In particolare, per quanto riguarda il riutilizzo dei rifiuti derivanti da demolizione e costruzione, il decreto stabilisce la possibilità di produzione di materie prime secondarie per l’edilizia, mediante fasi meccaniche e tecnologicamente interconnesse di macinazione, vagliatura, selezione granulometrica e separazione della frazione metallica; le frazioni inerti così ottenute devono presentare una granulometria idonea e selezionata e devono aver superato il test di cessione. La possibilità di riutilizzare i rifiuti inerti derivanti da costruzioni e demolizioni è stata presa in considerazione dalla Commissione Edilizia dell’UNI, nell’ambito della quale è stato istituito nel 1996 il Gruppo di Lavoro GL 7 “Rifiuti da costruzione e demolizione”, ai fini della elaborazione di un progetto di pre-norma in edilizia per la definizione di “Linee guida finalizzate alla riduzione dei rifiuti di costruzione e demolizione nella progettazione di interventi edilizi”. Tali raccomandazioni hanno una duplice finalità: favorire l’introduzione o il reimpiego di materie prime secondarie in edifici di nuova fabbricazione e minimizzare la produzione di rifiuti non più riutilizzabili. A livello della Comunità europea, grazie alla bozza prodotta dal Comitato Tecnico CEN/TC 154, è stato messo a punto nel 1996 un progetto di norma prEN 12620 dal titolo “Aggregates for concrete including those for use in roads and pavements” che specifica i requisiti a cui devono rispondere gli aggregati di origine naturale o artificiale o gli aggregati riciclati per poter essere usati nel confezionamento di calcestruzzi strutturali. Valutazioni economiche Facendo riferimento alle osservazioni mensili dei prezzi all’ingrosso dei materiali per opere edili rilevati dalla C.C.I.A.A. di Ancona nel Marzo 2000, i costi di una sabbia di fiume e di un ghiaietto di frantumazione erano rispettivamente di £3000/100kg e £2500/100kg; per quanto riguarda le rispettive frazioni granulometriche di aggregato riciclato, facendo riferimento alle osservazioni mensili della C.C.I.A.A. di Milano nel Giugno 2000, i costi erano di £850÷1350/100kg (pari alla metà del rispettivo costo dell’aggregato naturale). Peraltro un aumento del consumo dell’aggregato riciclato porterebbe ad un ulteriore abbassamento del costo conseguente alla nascita di un nuovo mercato. Composizione delle macerie La composizione delle macerie è estremamente variabile, in particolare è fortemente dipendente dalla localizzazione territoriale. Conseguentemente le composizioni medie delle macerie presentano valori differenziati tra i diversi stati nazionali e tra le regioni di uno stesso paese, anche se la diffusione massiccia negli ultimi decenni della tecnologia del calcestruzzo armato può verosimilmente far supporre un aumento generalizzato della percentuale del calcestruzzo nella composizione della macerie. Secondo alcune proiezioni già nel 2000 nei paesi della Unione Europea gli scarti del calcestruzzo rappresentavano i 3/4 delle macerie e nel 2020 dovrebbero raggiungere i 6/7 [1], con conseguente miglioramento della qualità dell’aggregato riciclato, in quanto una più alta percentuale di calcestruzzo ne migliora le proprietà fisico-meccaniche. In Fig.1a è illustrata la composizione dei rifiuti di C&D italiani, secondo la E.D.A. (1992). (a) Rifiuti di C&D prodotti in Italia secondo E.D.A. 10% (b) Aggregati prodotti dall'impianto R.O.S.E. di Villa Musone 10% 2% 8% 45% 30% 35% calcestruzzo laterizi asfalto altri 60% calcestruzzo laterizi asfalto altri Fig. 1 – (a) Composizione percentuale dei rifiuti di C&D prodotti in Italia secondo E.D.A. e (b) composizione percentuale degli aggregati prodotti dall’impianto R.O.S.E. di Villa Musone (AN). Di enorme importanza a questo riguardo è anche la tipologia di impianto usato per la selezione, frantumazione e vagliatura del materiale in quanto influenza fortemente la qualità dell’aggregato riciclato prodotto. In proposito vale la pena citare che attualmente si sta affermando una tipologia di impianto di nuova generazione (di tipo fisso) che sfrutta la tecnologia cosiddetta R.O.S.E. (Recupero Omogeneizzato degli Scarti dell’Edilizia), che sta fornendo materiali con un buono standard qualitativo. In Fig.1b è riportata la composizione percentuale dell’aggregato riciclato prodotto dall’impianto R.O.S.E. di Villa Musone (Ancona). Attività di ricerca Con il duplice intento di diminuire i volumi dei materiali di rifiuto da smaltire in discarica e di contenere il consumo di risorse non rinnovabili, presso l’Università degli Studi di Ancona dal 1998 è in corso un progetto di ricerca finalizzato allo studio di possibili applicazioni per gli aggregati prodotti da impianti di riciclaggio di materiali da demolizione. In primo luogo si è valutata la possibilità di recuperare le macerie provenienti dalla demolizione di opere civili per poi utilizzarle, dopo trattamento in impianti di tipo R.O.S.E., come aggregati per confezionare calcestruzzi strutturali. Durante la prima fase della ricerca sono state effettuate le caratterizzazioni chimiche e fisiche di varie frazioni granulometriche dei materiali riciclati forniti dall’impianto R.O.S.E di Villa Musone (AN) e, utilizzando una frazione di inerte fine riciclato (0-5 mm) ed una grossa (5-15 mm) sono stati confezionati calcestruzzi per valutarne le prestazioni meccaniche. Si è in tal modo giunti alla conclusione che è possibile compensare la diminuzione di resistenza meccanica a compressione conseguente all’utilizzo di un aggregato più debole, quale quello riciclato, con un miglioramento delle caratteristiche della pasta cementizia ottenuto dalla riduzione del rapporto acqua/cemento (Fig. 2) conseguente all’impiego di un additivo superfluidificante [2]. Fig. 2 – Resistenza meccanica a compressione di calcestruzzi con inerte naturale o riciclato e diversi rapporti acqua/cemento. Durante la seconda fase della ricerca si è tentato di ottimizzare la composizione della miscela dei calcestruzzi confezionati con aggregato riciclato al fine di ottenere prestazioni meccaniche idonee all’utilizzo di tali calcestruzzi per un vasto numero di opere di ingegneria civile, limitando nel contempo l’incremento del dosaggio di cemento conseguente alla riduzione del rapporto acqua/cemento. Sulla base dei risultati ottenuti (Fig. 3) si è notato come l’uso congiunto di aggiunte minerali (cenere volante o fumo di silice – entrambe sottoprodotti industriali) e di additivi superfluidificanti (Tab. 1) sia in grado di contribuire positivamente allo sviluppo della resistenza meccanica dei calcestruzzi contenenti aggregati riciclati [3]. Tab. 1 – Composizione delle miscele contenenti aggregato naturale (NAT) o riciclato (RIC) ed eventualmente cenere volante (CV) o fumo di silice (FS). Quantità (kg/m3) Tipo di ingrediente NAT RIC RIC+CV RIC+FS Acqua Cemento Sabbia Naturale Ghiaia Naturale Sabbia Riciclata Ghiaia Riciclata Cenere Volante Fumo di Silice Additivo Acrilico (% sul peso del legante) Acqua/Cemento Acqua/Legante 230 410 304 1319 - 230 575 338 940 - 230 575 166 940 172 - 230 575 252 940 86 - - 7.8 (1%) 9.9 (1.5%) 0.56 0.56 0.4 0.4 0.4 0.31 0.4 0.34 Resistenza a compressione [MPa] 50 40 30 20 NAT RIC RIC+CV RIC+FS 10 0 0 10 20 30 40 Tempo di stagionatura [giorni] 50 60 Fig. 3 – Resistenza meccanica a compressione in funzione del tempo di stagionatura. La sperimentazione è poi proseguita con un’ulteriore messa a punto di tali calcestruzzi per garantire una resistenza caratteristica (Rck) minima di 30-35 MPa e sono state effettuate valutazioni economiche prendendo in esame anche i costi ambientali per entrambi i calcestruzzi, tradizionali o con aggregato riciclato, a parità di prestazioni meccaniche [4]. In sintesi, i risultati appena descritti hanno dimostrato la fattibilità dell’impiego di aggregato riciclato in calcestruzzi strutturali per applicazioni correnti, nonostante la norma vigente nel nostro Paese attualmente lo impedisca. Al momento sono in corso studi riguardanti la durabilità di tali calcestruzzi, per verificare che il materiale non presenti eccessivo degrado nel tempo rispetto ad un ordinario calcestruzzo confezionato con inerte naturale. Osservando la composizione dei calcestruzzi riportati in Tab. 1, si è notato come vi sia un minor consumo di frazione fina di aggregato riciclato rispetto alla frazione grossa (20% e 80% rispettivamente) per produrre calcestruzzi, quindi tale modalità di impiego comporta un surplus di materiale fino per il quale e si è pensato alla possibilità di riutilizzo nel confezionamento di malte da restauro. Sono state quindi messe a punto malte contenenti inerte riciclato eventualmente additivate con fibre in acciaio inox o polipropileniche [5]; tali malte sono state caratterizzate da un punto di vista chimicofisico e meccanico ed in seguito si è studiata la loro adesione con diversi tipi di mattone (Fig. 4) nonché con barre di armatura zincata. Il risultato di questo filone di ricerca sembra rendere disponibile un materiale alternativo alla malta cementizia tradizionale, da utilizzare per il recupero delle opere in muratura, migliore sia sotto l’aspetto della compatibilità (chimico-fisica e meccanica) sia della reversibilità (Fig. 5). Fig. 4 – Risultati delle prove di aderenza tra malta e mattone per diversi tipi di malta. Sempre con riferimento alla frazione fine di inerte riciclato, in particolar modo quella finissima (passante al setaccio da 150 µm), si sta studiando un ulteriore possibilità di impiego come componente fillerizzante nei calcestruzzi autocompattanti. I calcestruzzi autocompattanti (Self Compacting Concrete, SCC) sono conglomerati cementizi così fluidi da poter essere messi in opera senza richiedere alcuno sforzo di compattazione. Affinché un calcestruzzo possa essere definito autocompattante è necessario che possegga una elevata deformabilità allo stato fresco e mobilità in spazi ristretti, inoltre deve possedere una elevata resistenza alla segregazione. Tali proprietà non sono facili da conseguire contemporaneamente, in particolare è necessaria l’introduzione di un agente che renda più viscosa la pasta cementizia senza limitarne la mobilità. Si è pensato all’utilizzo della frazione finissima di inerte riciclato e sia i risultati di prove reologiche condotte su paste cementizie che quelli ottenuti su calcestruzzi hanno dimostrato la notevole efficacia di tale tipo di aggiunta [6-7]. Fig. 5 – Provino utilizzato per la prove di aderenza malta-mattone: il tipo di distacco lungo l’interfaccia malta-mattone evidenzia la reversibilità di un eventuale intervento con malta riciclata in opere in muratura. Conclusioni e prospettive Il materiale proveniente da impianti R.O.S.E. opportunamente trattato e vagliato può essere utilizzato in vari impieghi a seconda delle frazioni granulometriche ottenute, che ne consentono in teoria l’integrale smaltimento. Va ricordato che relativamente alle frazioni con diametro massimo maggiore di 15 mm esiste già un’ottima possibilità di riutilizzo nella realizzazione di rilevati e sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali e piazzali industriali. In particolare, la frazione 5-15 mm, opportunamente combinata con la frazione 0-5 mm, può essere utilizzata per confezionare calcestruzzi strutturali, aventi soddisfacenti prestazioni meccaniche che ne consentano l’utilizzo in una vasta gamma di opere edili. Tuttavia, l’ottimizzazione delle prestazioni meccaniche per tale impiego comporta un maggior consumo della frazione grossa rispetto a quella fine (rispettivamente 80% e 20%), con conseguente accumulo di quest’ultima, per la quale devono essere quindi individuate possibilità alternative di smaltimento. Tenendo conto di quanto sopra, la frazione fine (0-5 mm) può essere utilizzata efficacemente in almeno tre applicazioni: - per produrre malte premiscelate per restauro, che peraltro mostrano eccellenti caratteristiche di aderenza al laterizio mantenendo ottime proprietà di reversibilità, e per consolidamento, dove offrono anche una buona resistenza allo sfilamento di barre di reti metalliche elettrosaldate; - per riempimento di cavi stradali, usata in combinazione con il terreno rimosso durante lo scavo, con l’ausilio di additivi liquidi omogeneizzanti e con l’eventuale aggiunta di basse percentuali di cemento, allo scopo di modularne le proprietà elastiche secondo le caratteristiche del terreno di scavo; - per produrre calcestruzzi autocompattanti in quanto è in grado di conferire loro adeguate proprietà viscose atte ad evitare lo smiscelamento dell’impasto in fase di getto. Bibliografia [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] Agenzia Regionale M.P.S. 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