IL CONFLITTO ARMATO
E IL PROCESSO DI PACE
COLOMBIANO
Tesi di Laurea di Romina Surace
Università di Trento - 2006
INDICE.
Introduzione.
Pag. 5
Primo capitolo. Le origini del conflitto armato colombiano.
Pag. 15
Introduzione: una società frammentata
Pag. 15
Ha inizio la lotta secolare tra conservatori e liberali
Pag. 18
La Guerra de los Mil dias
Pag. 19
La Repubblica Conservatrice (1880-1930)
Pag. 20
La Grande crisi del 1929-1930 e i suoi effetti
Pag. 23
La Repubblica liberale (1930-1946)
Pag. 25
La Violencia (1946-1958)
Pag. 32
Il contesto internazionale
Pag. 32
Le disillusioni della Revoluciòn en Marcha
Pag. 33
L’inizio della Violencia e la vittoria del Partito Conservatore
Pag. 35
L’assassinio di Elicier Gaitàn e il fallimento del populismo in Colombia
Pag. 37
Il governo dell’ultraconservatore Laureano Gòmez e il processo di
sostituzione delle importazioni
Pag. 43
Il regime militare di Rojas Pinilla
Pag. 51
1
Il “Fronte Nazionale” (1957-1974)
Pag. 55
Il processo di modernizzazione delle Forze Armate
Pag. 57
Il generale Ruiz Novoa e l’ala progressista delle Forze Armate
Pag. 60
Gli echi del Concilio Vaticano II in America Latina e in Colombia
Pag. 64
La politica agraria del Fronte Nazionale e l’Alleanza per il Progresso
Pag. 65
Il processo di sostituzione delle importazioni o il processo di sostituzione
dei proprietari ?
Pag. 66
Gli ostacoli al movimento sindacale
Pag. 68
La nascita dei principali gruppi guerriglieri colombiani
Pag. 70
Le forme d’opposizione politica
Pag. 72
La seconda fase del Fronte Nazionale e il ritorno alla “crescita verso l’esterno”
Pag. 73
Secondo capitolo. Le chiavi dell’attuale conflitto armato.
Pag. 79
Introduzione: l’allargamento e la trasformazione del conflitto
Pag. 79
L’ apertura democratica e l’intensificazione della guerra sucia (1974-1989)
Pag. 81
Lo smantellamento dello Stato interventista-protezionista in Colombia
Pag. 81
La militarizzazione delle funzioni pubbliche
Pag. 85
La risposta del movimento sindacale
Pag. 93
La diffusione e il rafforzamento della guerriglia
Pag. 95
2
Il controllo territoriale e la crescita del fenomeno paramilitare
Sviluppo e consolidamento dell’economia informale dominata dal narcotraffico
Pag. 99
Pag. 103
Gli anni della “lotta alla droga” (1989-2002)
Pag. 117
L’applicazione del modello neoliberista in Colombia
Pag. 122
La ristrutturazione del narcotraffico
Pag. 127
L’inarrestabile crescita del fenomeno paramilitare
Pag. 131
La guerriglia
Pag. 134
Terzo capitolo. Il processo di pace in Colombia.
Pag. 141
Considerazioni sulla possibilità della pace in Colombia
Pag. 141
Sulla via dell’internazionalizzazione della pace colombiana
Pag. 155
Il coinvolgimento della comunità internazionale
Pag. 156
La società civile globale
Pag. 159
La società civile come mezzo e fine della nuova nozione di sviluppo
Pag. 165
Il caso-studio: la Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in Colombia Pag. 169
Il contesto catalano
Pag. 171
Descrizione dell’iniziativa
Pag. 178
Limiti e possibilità
Pag. 185
3
Il dibattito aperto dalle “Giornate Aperte” di Barcellona 2005
Pag. 186
Conclusioni.
Pag. 200
Appendice.
Pag. 205
Dichiarazione di intenti della
Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia
Pag. 205
Interviste ad alcuni componenti della Tavola Catalana
Pag. 207
Bibliografia.
Pag. 249
4
INTRODUZIONE.
Questo lavoro nasce con l’intenzione di fare chiarezza sulla complessità di un conflitto che
colpisce il popolo colombiano da più di mezzo secolo nel tentativo di proporre a tutti i
soggetti istituzionali e sociali della comunità internazionale, impegnati a promuovere il
processo di pace in Colombia, l’orizzonte ritenuto più adatto per operare.
L’ampio spazio dedicato alla ricostruzione dei processi storici che hanno investito la
Colombia nel secolo appena trascorso vuole tentare di mettere alla luce la
pluridimensionalità di un conflitto che oggi e nel passato è stato oggetto di varie
semplificazioni ad opera dei diversi attori coinvolti nella confrontazione e dei loro
simpatizzanti, sia sul piano nazionale che internazionale. Nonostante le non poche
difficoltà che ciò comporta, oggi questo compito è ancor più necessario ed urgente alla
luce degli avvenimenti che interessano il paese colombiano e la scena internazionale nel
suo complesso. Da un lato, il fallimento delle trattative di pace del precedente Governo
Pastrana ha prodotto una radicalizzazione dell’opinione pubblica ed una conseguente
crescita dei consensi a favore di una risposta militare più decisa dello Stato contro gli attori
armati. Questo ha condotto all’approvazione, da parte dell’attuale Governo Uribe, di un
Piano di Sviluppo Nazionale, il cui asse portante si costituisce di una Politica di Sicurezza
Democratica che nega l’origine politica del conflitto in atto riducendo la violenza in
termini di terrorismo e, cosa ancor più grave, non distingue tra popolazione civile e
popolazione combattente. Dall’altro, questa politica di guerra trova un terreno assai
favorevole nel contesto politico internazionale del dopo 11 settembre, nel quale le
questioni di sicurezza sembrano prevalere su qualsiasi altra istanza di libertà. È in un
simile contesto che si spiega l’appoggio dimostrato dall’amministrazione statunitense alla
Politica di Sicurezza Democratica di Uribe: appoggio che si è concretizzato di fatto in un
aumento del coinvolgimento statunitense nel conflitto interno colombiano.
In primo luogo si è cercato di risalire alle origini storiche delle divisioni oggi
apparentemente insanabili che percorrono la società colombiana, soffermandosi
sull’individuazione di quei fattori che hanno contribuito ad impedire che tali divisioni si
risolvessero attraverso un confronto pacifico delle parti sociali in contrapposizione.
Il primo obbiettivo è stato mettere alla luce le debolezze di quella che si presenta come la
democrazia più longeva e meno interrotta da dittature militari dell’intero continente
sudamericano. Da questo studio è emersa l’immagine di una società altamente frammentata
5
per percorsi economici distinti a livello regionale e culturale, dovuti alle divisioni politiche
imposte dalla conquista europea e dal differente sviluppo economico che ha caratterizzato
le regioni colombiane in seguito all’ingresso del paese nel mercato internazionale,
avvenuto grazie alla produzione di caffè su larga scala. Questa frammentazione è alla base
della debolezza politica di uno Stato che, fin dalla sua indipendenza, è stato attraversato da
antagonismi regionali e rivalità locali sfociate, agli inizi del XX secolo, in una guerra civile
sanguinosissima e, dal 1948, in un conflitto interno che ha contrapposto le comunità locali
da allora ai giorni nostri. La debolezza statale ha fatto sì che il lunghissimo processo di
colonizzazione delle terre incolte avvenisse senza alcun controllo diretto dello Stato e fosse
accompagnato, fin dagli inizi, dalla comparsa di eserciti irregolari: tale processo ha
permesso la privatizzazione della forza nella quasi totalità delle terre colombiane e
l’affermazione di caudillos regionali nel controllo del territorio, delle milizie armate,
dell’organizzazione sociale ed economica. Tale privatizzazione ha determinato: da un lato,
l’appropriazione indebita della terra attraverso l’uso delle armi che, insieme alla mancanza
di sussidi agricoli ed adeguati meccanismi di controllo capaci di limitare gli effetti della
libera concorrenza delle merci, ha facilitato la concentrazione della terra nelle mani di una
ristrettissima classe. Dall’altro, la formazione di uno Stato Nazionale costituito sulla base
di una cultura politica federale in cui ha prevalso una logica di potere clientelare, grazie a
cui le scelte politiche adottate non hanno trovato la loro legittimazione nella capacità di
mediare i diversi interessi rappresentati, ma sono state determinate da “transazioni e
conflitti tra i poteri in gioco a tutti i livelli della società”1. Difatti, fin dalla sua formazione
lo Stato colombiano non è riuscito a garantire una sua presenza effettiva in molte zone del
paese, il che ha permesso alle reti informali di potere, legali e non, di consolidarsi in reti
clientelari ed in reti organizzate dai gruppi insurrezionali e dai narcotrafficanti. Da sempre
lo Stato colombiano ha dovuto appoggiarsi su queste reti per esercitare la propria autorità.
Questo ha fornito un terreno favorevole per il dilagare della corruzione in tutto l’apparato
statale e per l’affermazione nella classe dominante di una cultura politica costruita sulla
concezione di partito come espressione degli interessi di signorotti locali e su quella di
Stato come bottino da spartire tra i vincitori alle elezioni presidenziali.
Il secondo obbiettivo è stato quello di individuare gli avvenimenti che hanno determinato
la nascita e il consolidamento della guerriglia più forte del continente sudamericano in
relazione al suo radicamento all’interno della società, al suo protrarsi nel tempo e alla
potenza raggiunta in termini militari. Due ordini di fattori intervengono a spiegare la sua
1
Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 163.
6
diffusione nella società colombiana per un lasso di tempo così esteso. Innanzitutto,
l’interruzione violenta del movimento populista in gestazione, avvenuta per mezzo
dell’assassinio nel 1948 del suo leader, Elicier Gaitàn, e dello scoppio di una
sanguinosissima guerra civile che sconvolse il popolo colombiano negli anni della
Violencia. Le dinamiche internazionali della Guerra Fredda, che hanno costituito lo sfondo
nel quale si è consumato questo omicidio, hanno finito per rafforzare quella società
oligarchica caratterizzata da una profondissima distanza tra la democrazia formale e la
democrazia reale. Secondariamente, l’incapacità e la non volontà dimostrata dalla classe
politica dominante di attenuare le differenze esistenti in seno alla società colombiana per
mezzo dello sviluppo economico del XX secolo. Nonostante la formazione di una classe
media urbana, forte è rimasto il divario tra un ideale di cittadinanza ed uguaglianza politica
e la realtà, che ha mantenuto un sistema di privilegi ereditato dal passato e rafforzato dalla
legge dello Stato. Nella seconda metà del XX secolo la crescita urbana e una moderata
versione del processo di sostituzione delle importazioni hanno solo aumentato la violenza
politica e sociale. Rispetto ad altri paesi del continente sudamericano, in Colombia il
processo di sostituzione delle importazioni raggiunse livelli moderati a causa della
debolezza dell’autorità statale in campo economico. La classe politica dominante non
riuscì ad evitare che la politica economica nazionale assumesse le vesti di un “ibrido tra il
protezionismo industriale e il libero mercato”2, in balia delle scelte di lobby corporative
molto potenti, espressioni degli interessi locali. L’acutizzarsi di uno sviluppo squilibrato e
la chiusura del sistema politico fortemente autoritario e dirigista del Fronte Nazionale
determinarono l’aumento delle tensioni sociali che si espressero attraverso il
consolidamento di quei gruppi armati contadini, nati negli anni ’50 per difendersi
dall’azione della polizia conservatrice (chulavita) e dei primissimi gruppi paramilitari
(pajaros) finanziati dai grandi latifondisti. Mentre la concentrazione delle ricchezze non
subì alcuna battuta d’arresto, la crescita ininterrotta del PIL nazionale non risolse nessuno
dei gravi problemi socioeconomici del paese: la disoccupazione in aumento, la
disgregazione del mondo agricolo, la proletarizzazione di gran parte dei settori urbani, la
crescita dell’inflazione. Tutti questi elementi approfondirono la disaffezione già radicata
nella società colombiana verso l’autorità centrale dello Stato e, più in generale, verso la
politica come strumento di confronto e di negoziazione degli interressi. Nel corso degli
anni del Fronte Nazionale si costituirono le quattro principali formazioni guerrigliere: le
FARC, l’ELN, l’EPL e l’M19. La lotta armata condotta da questi gruppi mirava a
2
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press,
7
trasformare l’ordine sociale e lo Stato colombiano attraverso una serie di riforme strutturali
riguardanti il piano economico (per l’attuazione di una riforma agraria e una maggiore
redistribuzione delle ricchezze), il piano politico (per una maggior apertura degli spazi di
partecipazione) e quello militare (per un minor ruolo dell’esercito nelle questioni di ordine
interno). Dal punto di vista ideologico questi gruppi insurrezionali si rifacevano tutti al
marxismo, ma se le FARC si affermarono come un gruppo fortemente radicato nel mondo
rurale, sostenitore di un tipo di colonizzazione non controllata dai grandi latifondisti, gli
altri gruppi minori nacquero come espressione del malcontento della classe media urbana
e, pur nelle loro diversità, attinsero tutti dalla teoria foquista, diffusasi nel continente
sudamericano attraverso la rivoluzione cubana.
Negli anni successivi al Fronte Nazionale la nuova classe politica tornò a rivolgersi in
modo più esplicito alle basi di potere locale. Procedendo nello smantellamento dello Stato
interventista-protezionista e nell’implementazione delle politiche di liberalizzazione, la
nuova classe dirigente rimase fedele in materia agraria alla strategia politica adottata dai
suoi predecessori, che aveva concentrato gli investimenti nelle aree più ricche del paese a
vantaggio della grande proprietà agricola, della sua tecnicizzazione e dell’aumento della
mobilità del lavoro. L’onnipresente rifiuto delle forze governative di trattare in materia
economica con le forze popolari e la persecuzione attuata verso i suoi leader, non
produssero altro che l’ulteriore allargamento della disaffezione all’attività politico-legale.
Fu così che dalla fine degli anni ‘70 e nel corso della decade successiva, in risposta alla
crescente militarizzazione delle funzioni pubbliche e all’aggravarsi delle condizioni di vita
delle classi subalterne l’attività della guerriglia crebbe considerevolmente. Dopo un lungo
periodo in cui la sua presenza si era limitata a zone rurali di frontiera, questi gruppi
raggiunsero anche il mondo urbano, nonostante la loro base sociale e politica continuò ad
essere fondamentalmente legata al mondo rurale. Il potenziamento militare della guerriglia
colombiana e le significative dimensioni territoriali raggiunte nel corso dell’ultimo
ventennio si spiegano invece grazie all’abilità dimostrata dai gruppi insurrezionali di
sviluppare una serie di dinamiche complesse che da allora legano l’economia guerrigliera a
quella nazionale. “Le principali attività produttrici ricchezze per la nazione equivalgono, e
ciò non è casuale, alle attività che producono la maggior parte delle entrate della
guerriglia”3: petrolio e carbone tra le attività legali; cocaina, per quanto riguardo quelle
illegali, a cui negli anni ’90 si è aggiunta l’eroina. Il rafforzamento della sua potenza in
2002, pag. 320.
3
Rangel Suarez Alfredo, Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y
Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001, pag. 369.
8
termini militari è stato affiancato dalla diminuzione considerevole del suo sostegno politico
tra la popolazione civile, soprattutto tra quella parte della classe media che dalla fine anni
’70 la aveva sostenuta o semplicemente aveva simpatizzato per le sue cause e i suoi
progetti politico-sociali. L’attuale scarsa legittimazione delle forze guerrigliere in seno alla
società colombiana è legata alla degenerazione delle pratiche di violenza commesse
indiscriminatamente a danno della popolazione civile, al solo ed unico scopo di accrescere
il controllo territoriale. La caduta dell’URSS e la fine delle ideologie insieme al processo
di istituzionalizzazione che ha investito i gruppi guerriglieri colombiani ancora attivi (le
FARC e l’ELN) sono gli avvenimenti che hanno contribuito a favorire tale degenerazione
della violenza. In particolare, in riferimento alle FARC, ossia l’organizzazione guerrigliera
più grande e longeva del paese, il fallimento del socialismo reale ha comportato
l’assunzione di atteggiamenti meno dogmatici. Il modello di sviluppo proposto per il
popolo colombiano rimane legato ai precetti fondamentali della filosofia politica marxista
(tra cui: l’analisi dell’economia capitalista, il ruolo attribuito alla classe sfruttata e
l’obbiettivo di giustizia sociale cui dovrebbe tendere lo sviluppo), ma diffusa è la
convinzione che non si tratti dell’applicazione di un modello già dato, piuttosto che la
definizione stessa del modello costituisca un processo in fieri. Per alcuni analisti questo
implica un importante passo avanti in termini democratici poiché tale apertura permette
una maggiore partecipazione degli strati popolari nella formulazione delle proposte
avanzate. Per altri la vaghezza di questo discorso dimostra l’inesistenza di un chiaro
progetto politico, il che rende più difficile una possibile negoziazione con
l’organizzazione. Sicuramente questa maggiore elasticità contribuisce a rendere i membri
del gruppo più permeabili rispetto ad interessi particolaristici e più adattabili alla logica
della guerra attuale, in cui quello per cui si combatte non è l’affermazione di un modello di
sviluppo e di integrazione che includa l’intera società, bensì il potere territoriale ed
economico.
Il terzo obbiettivo è stato quello di comprendere le dinamiche di espansione del conflitto
riguardo al territorio. A questo proposito è sembrato opportuno mettere in risalto che fin
dai tempi dello scoppio della Violencia il maggior tasso di conflittualità ha interessato le
regioni in procinto di essere inserite nell’economia nazionale ed internazionale. La
correlazione tra espansione del latifondo e diffusione della guerriglia è sempre stata diretta:
man mano che proseguiva la crescita dei latifondi e parte della manodopera in eccesso
emigrava verso nuove terre da colonizzare, nelle nuove comunità fondate dagli sfollati
prive di forti legami di coesione sociale cresceva il numero di contadini dediti alle
9
coltivazioni illecite ed il loro sostegno alla guerriglia. A partire dagli anni ’70, aumentando
il valore degli interessi legati al narcotraffico e il conseguente numero di sicari reclutati per
la difesa delle coltivazioni della foglia di coca, delle terre e delle raffinerie di cocaina di
proprietà dei narcos, è cresciuta la conflittualità tra guerriglieri e narcotrafficanti affiancati
dai paramilitari.
Il quarto obbiettivo ha interessato l’individuazione dei fattori cha hanno reso possibile
l’estendersi del fenomeno paramilitare fino alle dimensioni attuali. Se inizialmente questi
gruppi, assoldati negli anni della Violencia dai grandi latifondisti per difendere i loro diritti
di proprietà, mantennero un carattere difensivo, ben presto le loro azioni si iscrissero in una
più ampia strategia d’attacco per il controllo territoriale rivolta contro i gruppi guerriglieri
e i loro simpatizzanti. Il rifiuto di affrontare le cause politiche ed economiche delle tensioni
sociali condusse la classe dominante a considerare il mantenimento dell’ordine pubblico
una questione prettamente militare. L’intrinseca debolezza dell’autoritá statale, da sempre
incapace di esercitare il monopolio della forza sull’intero territorio nazionale, portó la
classe dominante all’adozione di una strategia che combinava: da un lato, l’aumento
dell’autonomia delle Forze Armate nella gestione delle questioni relative alla sicurezza e
l’estensione delle delle loro attivitá a funzioni civiche e sociali; dall’altro, il
coinvolgimento della popolazione civile nelle questioni inerenti la garanzia dell’ordine
pubblico. Man mano che il potere di questi gruppi paramilitari si è espanso grazie a non
pochi decreti legislativi a loro favore ed agli ingenti finanziamenti provenienti dai narcos,
dalla fine degli anni ’80 i loro capi hanno cominciato a rivendicare il diritto di essere
riconosciuti come soggetti politici, pretendendo di svolgere un ruolo di arbitro nel processo
di pace tra lo Stato e i gruppi guerriglieri.
Alla luce dell’enorme peso che lo sviluppo del narcotraffico ha avuto in relazione sia al
potenziamento degli attori armati illegali che all’estensione della violenza generalizzata
con la conseguente crescita della disgregazione del tessuto sociale colombiano, l’altro
interrogativo cui si è cercato di rispondere attraverso la ricostruzione storica degli eventi ha
riguardato le motivazioni per le quali in Colombia si è sviluppata un’economia illegale di
tali dimensioni e gli elementi che ne hanno favorito il consolidamento. Le peculiari
condizioni create da una disuguale distribuzione delle ricchezze tra gli strati sociali e le
aree geografiche del paese, l’immobilismo del sistema politico, l’assenza dello Stato in
molte zone periferiche del paese, l’incapacità dei due partiti tradizionali di fungere da
mediatori tra gli interessi delle diverse classi sociali e il dilagare della corruzione
nell’intero apparato statale sono gli elementi indivituati alla base della creazione del
10
terreno favorevole in cui il narcotraffico ha potuto dare vita ad un vero e proprio sistema
economico ed un potere territoriale parallelo a quello dello Stato, capace di permeare e
coinvolgere l’intera società. L’apparato giuridico del paese è stato individuato come
elemento chiave dell’intera macchina. Difatti, il sistema legale colombiano, da sempre uno
degli anelli più deboli delle istituzioni nazionali, è rimasto ai margini della vita di un paese
in cui la legge è garantita più dalla forza delle armi che da una cultura democratica fondata
sullo Stato di Diritto ampiamente condivisa dall’intera società.
Infine, la ricostruzione storica si è dimostrata estremamente utile per porre in evidenzia
come parte delle cause e molte delle ripercussioni del conflitto interno colombiano abbiano
acquisito una dimensione internazionale crescente.
Oggi le dimensioni raggiunte dal narcotraffico, la partecipazione dei gruppi armati
colombiani al traffico internazionale di armi, la sistematica violazione dei diritti umani e
del Diritto Internazionale Umanitario e gli effetti prodotti dall’incessante fenomeno di
sfollamento della popolazione colombiana dalle campagne sul piano delle migrazioni
internazionali sono fenomeni che destano un’attenzione particolare da parte della comunitá
internazionale sul caso colombiano.
Abbracciata la tesi secondo cui il problema dell’internazionalizzazione del conflitto puó
essere affrontato solo attraverso l’internazionalizzazione della pace, si ribadisce l’assoluta
necessitá che la comunità internazionale riconosca ed assuma le proprie corresponsabilità
in riferimento ai fattori di internazionalizzazione del conflitto ed elabori delle adeguate
strategie di intervento per la sua risoluzione politica. In un mondo sempre più
interdipendente la maggioranza delle decisioni che riguardano il benessere della
popolazione colombiana vengono prese in centri decisionali molto lontani dalla Colombia.
Basti pensare alla domanda di droga, al traffico di armi, alla politica finanziaria
(aggiustamento strutturale, debito estero, liberalizzazione del commercio ed investimenti
transnazionali) e alle politiche di immigrazione.
Ugualmente, si considera estremamente importante che qualsiasi strategia d’intervento
elaborata da parte dei diversi soggetti istituzionali e sociali della comunitá internazionale,
impegnati nella promozione del processo di pace colombiano, non prescinda mai dal
riconoscere che l’origine del conflitto colombiano è politica. Questo non significa non
considerare che esiste una politica economica positiva emersa attorno al conflitto armato
colombiano in cui tutti gli attori armati coinvolti (guerriglieri, paramilitari, Forze Armate)
traggono il loro profitto dal mantenere una guerra a bassa intensità. Né significa non dare il
11
giusto peso al fatto che l’utilizzo del terrore contro la popolazione civile da parte di ogni
attore armato rappresenta il mezzo indispensabile per ottenere quel “consenso” necessario
al controllo dei territori conquistati, senza cui non è possibile sopravvivere in una guerra a
bassa intensità come quella attuale, né è possibile perseguire i propri obbiettivi militari,
nella misura in cui questi si allontanano sempre piú dalle rivendicazioni sociali ed
economiche delle popolazioni locali. Piuttosto, riconoscere l’origine politica del conflitto
conduce a porre in evidenza che il conflitto interno colombiano è nato come una
confrontazione tra Stato e società, in cui la legittimità dello Stato è una questione di fondo.
Pertanto, il rafforzamento di cui lo Stato colombiano ha bisogno è prima di tutto di tipo
istituzionale, diretto ad assicurare alla società civile la difesa della propria persona e la
possibilità di svolgere un ruolo di primo piano nel processo di pace. Solo una maggiore
governabilità democratica può sfuggire all’inganno di soluzioni temporanee e parziali,
generatrici di conflitti più profondi. Il recupero della legittimità statale, sia a livello
nazionale che a livello internazionale, deve basarsi sul rispetto della legalità e sulla
garanzia dei diritti umani, tanto civili e politici che economici, sociali e culturali.
Concentrare gli sforzi sulla lotta antiterrorista e antidroga attraverso il potenziamento delle
capacitá militari dello Stato colombiano sono considerate misure inefficaci poiché dirette
ad attaccare le conseguenze e non le cause del conflitto armato: nessuna pace sarà mai
possibile nel paese se non si affrontano questioni fondamentali come il problema agrario
legato alla concentrazione della terra nelle mani di una ristretta minoranza.
L’obbiettivo dell’intervento della comunitá internazionale deve invece essere diretto
all’ottenimento di una risoluzione politica del conflitto armato, in un contesto di garanzie
democratiche e sulla base di un quadro giuridico capace di stabilire rigorosi criteri di
verità, giustizia e riparazione. Per questo è necessario promuovere tutti i possibili mezzi
attraverso cui facilitare l’imbocco della strada del dialogo. Dialogo che non conduca alla
sola firma di un trattato di negoziazione per la cessazione delle ostilità (pur essendo questa
una tappa fondamentale e neppure di facile raggiungimento del processo di pace), ma che
miri a sradicare le cause che hanno generato un sistema politico, economico e sociale che
si regge sulla disuguaglianza e l’esclusione. Affinché il dialogo permetta l’avvio di un
processo di pace duraturo ed integrale si ritiene indispensabile intervenire nel
rafforzamento del tessuto sociale e dello Stato di Diritto colombiano, tanto dalla
prospettiva nazionale quanto da quella internazionale. Lo scopo è quello di garantire un
reale coinvolgimento della società civile colombiana e della societá civile mondiale nei
diversi interventi avviati. Questa partecipazione è considerata un elemento fondamentale
12
per dare legittimità all’intero processo, senza la quale lo Stato colombiano e la comunitá
internazionale invierebbero all’intera società mondiale un messaggio pericoloso, ossia che
l’unico mezzo per accedere al potere è il ricorso alla violenza.
Posto che l’operato della comunitá internazionale puó essere solo un complemento
dell’azione dello Stato colombiano (che rimane il maggiore responsabile del rispetto dei
diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario all’interno del proprio territorio), si
ritiene che la riuscita di questo processo sarà possibile solo in seguito alla maturazione di
una volontà politica da parte dello Stato di questo paese e della sua classe dirigente diretta
a dare avvio ad una serie di politiche che risolvano in profonditá la crisi economica, sociale
ed umanitaria del paese. L’orizzonte qui proposto per esercitare una pressione politica a
livello internazionale affinché questo avvenga passa attraverso il potenziamento dei canali
di comunicazione e di cooperazione della societá civile globale. Grazie alla trasformazione
della società civile mondiale in seguito all’inserimento dei suoi attori in reti ed
organizzazioni transnazionali di diversa tipologia (i cui attori agiscono in più luoghi
superando i confini nazionali, ed i cui membri appartengono a più nazioni), all’espansione
dei canali di comunicazione ed all’annullamento delle distanze oggi viviamo in un contesto
assolutamente nuovo, segnato dalla fine di un epoca in cui le relazioni internazionali erano
dominate dagli Stati nazionali e dall’inizio di una nuova epoca dove la politica mondiale si
sviluppa secondo una pluralità di centri in cui, accanto agli Stati nazionali ed al capitale, si
muovono anche le organizzazioni internazionali e la società civile globale per affermare
diverse pratiche di emancipazione politica ed economica.
L’approccio reticolare, peraltro oggi dominante, è qui considerato come il piú adatto per
una serie di motivi. In primo luogo, esso garantisce un maggior grado di orizzontalitá ed
inclusione sia ai soggetti promotori delle politiche di sviluppo, sia ai soggetti direttamente
coinvolti nella realizzazione di tali politiche. Il maggior senso di appartenenza ai processi
avviati garantisce migliori risultati dal punto di vista dell’efficacia e va ad incidere
direttemente sul profondo senso di sfiducia maturato dal popolo colombiano rispetto ai
canali d’azione politica legali. In secondo luogo, il maggior grado di informalitá che
caratterizza questo approccio assicura una pluralitá maggiore degli interessi rappresentati.
Questo aumenta le possibilitá per i soggetti della societá civile del Nord di avere
un’informazione plurale su quanto accade in Colombia e di captare le reali esigenze della
sua popolazione civile. Contemporaneamente, accresce la capillaritá dei campi d’azione,
elemento che la pluridimensionalitá del conflitto colombiano richiede. Parallelamente, si
13
raggiunge un livello di sensibilizzazione e mobilitazione maggiore della popolazione civile
del Nord attorno alle problematiche che investono il popolo colombiano. In terzo luogo, la
maggiore comunicazione garantita dall’approccio reticolare a soggetti molto diversi tra
loro è elemento indispensabile per aumentare il livello di coordinazione e la coerenza delle
politiche realizzate. Questo rallenta l’intero processo ma potenzia il profilo d’azione
ottenuto. Infine, tale approccio permette di coniugare l’universalitá degli intenti con la
localizzazione della partecipazione.
Allo scopo di illustrare le opportunitá offerte da questo connubio, l’ultima parte di questo
elaborato è dedicata alla presentazione di un caso specifico di una rete di soggetti
istituzionali e sociali che opera in un contesto locale, la Catalogna, per contribuire
all’internazionalizzazione della pace colombiana: la Tavola Catalana per la Pace e i Diritti
Umani in Colombia. Per la descrizione delle sue dinamiche di funzionamento, dei suoi
obbiettivi, dei valori condivisi dai suoi membri, dei limiti e delle potenzialitá di questo
coordinamento regionale si è ricorso all’utilizzo di alcune interviste fatte ai rappresentanti
di quattro membri della Tavola e ad una rappresentante del movimento colombiano di
donne Ruta Pacifica de las Mujeres Colombianas operante in Catalogna per un anno grazie
a dei finanziamenti messi a disposizione dalla Tavola. Per concludere, si è ritenuto
opportuno riportare alcune delle tematiche principali attorno cui quest’anno si è articolato
il dibattito aperto durante l’evento piú importante organizzato annualmente a Barcellona
dal coordinamento catalano. Difatti, il tema in discussione alle cosí dette “Giornate
Aperte”, cui ho personalmente partecipato nell’aprile di quest’anno e riguardante il ruolo
che puó svolgere la cooperazione internazionale, dell’Unione Europea e dei suoi Stati
membri, in un paese in conflitto armato come quello colombiano, rappresenta un chiaro
esempio del profilo politico locale, nazionale ed internazionale che il coordinamento vuole
avere.
14
PRIMO CAPITOLO: LE ORIGINI DEL CONFLITTO
ARMATO COLOMBIANO.
Introduzione: una società frammentata.
La conquista spagnola introdusse in Colombia il latifondo, divisione territoriale che andò
ad affiancarsi al più tradizionale minifondo.
I due modelli si distinguono per il differente sfruttamento del territorio. Al basso tasso di
manodopera assorbita dal latifondo, che si caratterizza per il suo carattere estensivo, si
contrappone l’eccesso di manodopera tipica del minifondo, in cui lavora l’intera famiglia
contadina. Questa organizzazione del territorio determina un esubero della popolazione
rurale in relazione alla sua capacità produttiva. La popolazione contadina in eccesso si
trova di fronte a due possibilità: dirigersi verso le città commerciali, oppure spingersi in
direzione delle zone di frontiera per l’occupazione di nuove terre. L’abbondanza di terre
inoccupate e la mancanza di una riforma agraria, hanno fatto sì che la colonizzazione abbia
costituito, per secoli, una valvola di sfogo alla pressione demografica e l’espediente per
rimandare qualsiasi tipo di riforma sociale ed economica.4
Storicamente, il processo di colonizzazione si è costituito come un movimento della
popolazione dal “centro” verso due grandi confini geografici:
_ I “confini prossimi”, ovvero quelli rappresentati dalle pianure della zona caraibica e dai
versanti esterni delle Ande. Questa fase della colonizzazione si è prolungata fino agli inizi
del 1900 e le sue grandi ondate hanno determinato la colonizzazione dell’attuale
Dipartimento di Antioquia e delle pianure del Magdalena Medio. Durante il processo di
insediamento, entrambi i modelli si sono mantenuti: il minifondo, per quanto riguarda le
Ande e la zona di coltivazione del caffè di Antioquia; il latifondo, dentro e, soprattutto,
fuori dalle Ande.
_ I “confini lontani”, ovvero quelli rappresentati dalle pianure e dai boschi della costa
dell’oceano Pacifico, dell’attuale Dipartimento di Orinoquia e dell’Amazzonia. Questa fase
di colonizzazione ha assunto ritmi sempre più rapidi nel corso degli ultimi decenni, in
seguito al trasferimento forzato della popolazione per la violenza, e alla prospettiva di
4
Informe nacional de desarrollo Humano 2003. El conflicto, callejòn con salida. Programma delle
Nazioni Unite, Bogotà, 2003.
15
guadagni derivanti dalla ricchezza di queste zone di prodotti altamente commerciabili,
leciti (petrolio, banane, smeraldi, oro, etc.) e illeciti (cocaina, papavero).5
Il processo di colonizzazione, salvo rare eccezioni, è stato un processo spontaneo avvenuto
senza il controllo diretto dello Stato. Attratto dalle possibilità di guadagno e di autonomia,
il colono tipico si indebita con un proprietario capitalista o un fornitore locale per creare le
condizioni necessarie allo sfruttamento del terreno. Le possibilità di successo non sono
molte: è sufficiente una qualche carestia o la difficoltà di vendita sul mercato delle merci
prodotte, per l’ instabilità del loro prezzo sul mercato internazionale, a provocare il
fallimento dell’intera sua attività agricola. Infatti, sia la mancanza di servizi e sussidi
agricoli statali, sia i monopoli esistenti nel mercato per la vendita e l’acquisto delle merci,
costituiscono forti ostacoli all’accumulazione di una ricchezza iniziale e determinano
spesso la perdita della terra da parte del contadino. Le sue proprietà divengono quindi
proprietà del suo creditore.
Tale meccanismo ha garantito la continua rinascita del ciclo del latifondo, il suo
rafforzamento e la sua estensione, e, infine, la permanenza del cosiddetto “esercito di
riserva”, sempre disponibile per la colonizzazione di nuove terre o, successivamente, per
riversarsi nelle città e costituire la base necessaria allo sviluppo industriale.
E’ facile comprendere come la cultura delle zone di frontiera si sia da sempre caratterizzata
da diritti di proprietà ancora in via di definizione, del tutto precari. “Colui che riesce ad
affermarsi appropriandosene, detiene il controllo del prodotto del lavoro, del capitale, della
natura, dello sforzo collettivo, della spesa pubblica, di tutti i beni e servizi che esistono nel
momento dato.” 6
Tutto questo contribuisce a creare un alto livello di incertezza, instabilità, conflitto. Le
terre di frontiera sono terre in cui l’inesistenza quasi totale dello Stato e delle sue
istituzioni, sia in termini di coercizione che in termini di autorità, si traduce in impossibilità
di garantire il rispetto di qualsiasi tipo di contratto. Per molti autori, l’elevato livello di
conflittualità come conseguenza diretta della privatizzazione della giustizia, accompagnata
dalla comparsa di eserciti irregolari, non ha investito solo le zone di frontiera propriamente
dette, ma si è estesa con tale intensità da prevalere nella maggior parte del il territorio
colombiano.
5
Gouësset Vincent, El territorio colombiano y sus márgenes. La difícil tarea de la construcción
territorial, in Territorios. Revista de Estudios Regionales y Urbanos, nº 1, agosto 1998-gennaio
1999, Bogotá, Cider (Universidad de los Andes).
6
North Douglas C., Institutions, Institutional Change and Economic Performance. Cambridge
University Press, 1990, pag. 33.
16
Per Hubert Prolongeau, ad esempio, in Colombia “la guerra non è una coincidenza, ma un
sistema di vita. Di più: è il fondamento del diritto”.7 Le sorti del paese non dipendono dalle
decisioni risultanti dalla confrontazione tra le due tradizionali formazioni politiche, il
Liberale e il Conservatore, ma dallo scontro fisico tra gli eserciti reclutati dai grandi
proprietari, liberali e conservatori, dotatisi di una clientela di uomini arruolabili disposti a
servire gli interessi dei propri capi in caso di bisogno.
L’esercizio della forza è stata quindi la prerogativa caratterizzante l’occupazione della
quasi totalità delle terre colombiane e l’affermazione e la legittimazione su di esse del
potere di caudillos regionali. La struttura di potere conseguentemente consolidatasi per
l’inesistenza di un’autorità centrale sufficientemente forte, è stata quella del “partito come
confederazione di caciques regionali”8. Questa struttura di potere ha permesso la
formazione dello “Stato nazionale, costituito su una cultura politica di tipo federale,
essenziale presupposto per la definizione della forma stato oligarchica, che affidava ai
caciques regionali il controllo del territorio, dell’organizzazione sociale e economica, e
delle milizie armate”.9
D’altro canto la morfologia del territorio colombiano è particolarmente predisposta a tal
fine. Si tratta infatti, di un arcipelago diviso da tre imponenti cordigliere e da alcuni grandi
fiumi, come il Magdalena e il Cauca, estremamente diverso al suo interno: dai deserti
caraibici e quelli centrali compresi tra la costa atlantica e quella pacifica, si passa agli
altopiani, alle sterminate selve amazzoniche e alle immense pianure orientali.
Infine, a differenza di altre zone del continente sudamericano, i conquistadores spagnoli
giunti in Colombia, non si ritrovarono di fronte ad un impero centralizzato come quello dei
maya o degli incas, bensì davanti ad una miriade di popoli assai diversi tra loro.
Tale configurazione federale della forma Stato ha determinato per lungo tempo,
un’incapacità di esercizio del monopolio statale della forza fisica. La privatizzazione della
forza, così radicata nella società colombiana, costituisce sicuramente uno dei tanti elementi
che ci aiutano a spiegare perché la violenza abbia rappresentato l’unico elemento di
continuità nella storia della Colombia, a partire dalla sua indipendenza, fino ai giorni
nostri. La Colombia si presenta oggi come il paese dell’America Latina che ha registrato il
minor numero di dittature militari, ma in cui, paradossalmente, la violenza continua ad
7
Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. Biblioteca
Universale Rizzoli, pag. 40.
8
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze,
1991, pag. 105.
9
Ibidem.
17
essere, ancor più che negli altri paesi, l’unico mezzo di confronto tra le diverse parti
sociali.
Ha inizio la lotta secolare tra conservatori e liberali.
La vita politica del paese, dalla metà del XIX secolo fino ai giorni nostri, è stata
caratterizzata dalla lotta secolare tra il Partito Conservatore e quello Liberale costituitisi
attorno al 1848. Immediatamente dopo la loro nascita, i due partiti cominciarono a
scontrarsi perseguendo come unico obbiettivo l’eliminazione, uno dell’altro. Da allora,
solo nel XIX secolo, in Colombia sono state combattute, oltre a due guerre con l’Ecuador,
otto guerre civili nazionali e quattordici guerre civili regionali, fino ad arrivare alla
cosiddetta Guerra de los Mil Dìas: “un’ ininterrotta carneficina realizzata,
paradossalmente, in nome e per conto di due partiti, nati simili e diventati inesorabilmente
uno la fotocopia dell’altro”. 10
La Colombia di quegli anni produceva prevalentemente tabacco per l’esportazione, il cui
prezzo sul mercato internazionale si mantenne favorevole fino al 1875.11 L’oligarchia degli
esportatori forniva le basi del capitale finanziario bancario e industriale. Le fortune delle
grandi famiglie collegate alla terra e, inesorabilmente, alla politica, erano state risultato di
concessioni e contratti privilegiati stipulati direttamente con lo Stato. È in nome di questi
rapporti privilegiati con l’autorità centrale che fu possibile la prima accumulazione di
capitale ad opera della classe oligarchica. Per la peculiare genesi del capitale originario,
base del futuro avvio del processo di modernizzazione, l’economista Hector Mondragòn
definisce il capitalismo colombiano un “capitalismo burocratico”: un capitalismo molto
diverso da quello europeo e statunitense, prodotti dalla libera concorrenza delle merci nei
loro mercati interni e sorretti da politiche protezionistiche nei confronti del mercato
internazionale. Il “capitalismo burocratico” fece sì che, anche in ambito dell’industria
nazionale nascente, si costituissero dinamiche molto simili, grazie a cui, monopoli e
privilegi, vennero distribuiti in nome di amicizie e rapporti personali. Queste, furono le
basi della coalizione bipartitica del governo Reyes, ovvero l’uomo che diede avvio allo
sviluppo di un’industria di tipo capitalistica nel paese: la stessa coalizione costituì le
fondamenta dello Stato colombiano del XX secolo.
10
Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 22.
Mondragòn Hector, economista e consigliere di diversi movimenti sociali colombiani, tra cui il
“Movimento Campesino e Indigena Colombiano ”, Los ciclos y las crisis econòmicas en
Colombia, www.gratisweb.com/ciclocrisis.
11
18
La Guerra de los Mil dias.
La Guerra de los Mil Dìas venne combattuta tra il 1899 e il 1902 e provocò la morte di
100.000 persone, anche se alcune fonti sostengono siano state 150.000. Essa riassegnò il
potere al Partito Conservatore, che lo aveva mantenuto per l’ultimo ventennio del XIX
secolo, e che lo conserverà fino al 1930.12 In realtà, la guerra non produsse né vinti, né
vincitori. La pace sopraggiunse solo grazie all’armistizio tra i due partiti, firmato sulla
nave statunitense “Wisconsin”. I danni provocati dalla guerra furono di tale portata, non
solo per quanto riguarda il numero delle vittime, ma anche per la quantità di manifatture e
piantagioni distrutte, da lasciare il paese in una situazione economica di crisi profonda,
permettendo agli Stati Uniti di approfittare della situazione per aprirsi la strada al controllo
di Panama. La presenza, fin dal 1839, di una spedizione statunitense sul territorio del
canale, inviata per studiare le possibilità di guadagni derivanti dall’apertura di un canale in
grado di collegare l’oceano Pacifico con quello Atlantico13, suggerisce l’idea che
Washington non intervenne in Colombia guidata esclusivamente dal suo spirito umanitario.
“L’intervento statunitense a Panama, fu determinante per la capitolazione dei liberali”.14
L’anno seguente l’armistizio, l’allora presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosvelt,
provocò una ribellione nei territori di Panama, inviò delle truppe militari per “proteggere” i
diritti dei rivoltosi guidati da Rafael Uribe Uribe e, infine, si affrettò a riconoscere
immediatamente la costituzione del neonato Stato indipendente nel 1903. Lo stesso anno
venne firmato un accordo tra Washington e il nuovo governo panamense per la costruzione
del canale, i cui lavori cominciarono l’anno seguente.15
Ad ogni modo, la ragione principale per la quale le tensioni tra i due partiti vennero
temporaneamente messe da parte, a conclusione della sanguinolenta Guerra de los Mil
dìas, fu la promettente accumulazione di capitale proveniente dall’economia di
esportazione.16 A partire dal crollo del prezzo del tabacco avvenuto durante l’ultimo
quindicennio del XIX secolo, l’economia d’esportazione si stava riorientando verso la
produzione del caffè.
12
Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. Rizzoli.
Piccoli Guido, Colombia. Utet Libreria, Milano, 1996.
14
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale
Firenze, 1991.
15
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,
2003.
16
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale
Firenze, 1991.
13
19
La Repubblica Conservatrice (1880-1930).
Durante la Repubblica conservatrice, la Colombia si affermò come paese monoesportatore
di caffè. I nuovi produttori di caffè affiancatisi ai latifondisti tradizionali, rafforzarono
gradualmente il loro potere economico. Gli enormi profitti derivanti dall’introduzione di
metodi di coltura più moderni, avevano permesso lo sviluppo di un sistema bancario
efficiente, l’incremento e la modernizzazione delle vie di comunicazione, per collegare i
centri di produzione delle materie prime ai porti per l’esportazione. Tali trasformazioni
erano avvenute ad opera di quella parte dell’oligarchia, rappresentata politicamente dal
Partito Liberale, che fin dalla “Revoluciòn del Medio Siglo” del 1850, si era mostrata la più
incline alle trasformazioni del vecchio sistema economico di tipo coloniale.
Il paese divenne in quegli anni il secondo produttore al mondo di caffè (subito dopo il
Brasile). Il caffè attrasse una parte rilevante della popolazione agricola, determinando una
mobilità del lavoro fino ad allora del tutto sconosciuta. Tale mobilità portò nuove abitudini
di vita, quali l’iniziale diffusione del sistema salariale che, rivoluzionando la tradizionale
organizzazione del lavoro, di lì a qualche decennio, avrebbero portato enormi cambiamenti
alla struttura delle relazioni di potere.
Fino a quel momento, la maggioranza della popolazione contadina del paese, ovvero la
maggioranza dei colombiani, era rimasta “prigioniera” nelle forme di organizzazione
sociale pre-capitaliste rappresentate dal modello dell’hacienda. In tale sistema di potere, la
dominazione veniva accettata come parte di un ordine naturale. Le relazioni di potere di
questo modello si possono esemplificare in uno schema a triangolo, caratterizzato
dall’inesistenza della base, di questo tipo:
Patròn
Peòn
Peòn
Spiegazione: la relazione di potere tra padròn e peòn è verticale, ciò indica un
rapporto fortemente personalizzato e differenziato; l’inesistenza del rapporto
orizzontale tra i peones, indica invece che la solidarietà tra contadini è inesistente,
20
da cui l’impossibilità di maturare una qualsiasi coscienza di classe e,
conseguentemente, l’incapacità d’azione a livello socio-politico.17
Secondo l’economista Hector Mondragòn18, l’egemonia di questo modello fu sancita dalla
storica sconfitta della rivolta degli artigiani di Santander, nel lontano 1854. L’economia del
latifondo concentrava il capitale al campo del guadagno commerciale, allontanandolo da
quello della produzione. Essa si reggeva sulle regole del libero commercio. Durante gli
anni ’50 del XIX secolo, anche in America Latina giunsero gli echi delle idee
rivoluzionarie alla base dei moti europei del ’48. La diffusione di queste idee non solo
permise la Revoluciòn del Medio siglo, ad opera dell’oligarchia dominante di stampo
liberale, ma costituì anche il collante tra gli artigiani colombiani, mobilitatisi per la prima
volta “contro gli oligarchi della terra e del commercio, difensori delle idee liberiste della
borghesia britannica e dei suoi economisti”. Il loro intento era quello di difendere il
nascente mercato interno colombiano e la neonata piccola industria manifatturiera
nazionale. Gli artigiani di Santander trovarono il sostegno delle popolazioni indigene
locali, occupati ad impedire l’ingresso dei prodotti stranieri nella zona, per non rovinare gli
artigiani locali. Inizialmente, anche l’esercito indipendentista appoggiò la rivolta. Le
milizie irregolari reclutate dai grandi proprietari terrieri, vennero pertanto armate con
l’aiuto finanziario delle grandi potenze europee di Gran Bretagna, Prussia e Francia. In
particolare, la Francia si sentiva direttamente coinvolta dalle sorti di quel lontano paese,
perché compromessa nell’ideazione di un mega-progetto, che sarebbe poi stato portato a
termine dagli Stati Uniti molti anni dopo: la costruzione del canale di Panama. La rivolta
degli artigiani, guidata dall’indigeno Josè Maria Melo, venne pertanto sedata e, la vittoria
del latifondo, corrispose anche alla vittoria del libero commercio. Venne quindi sancita la
dipendenza dell’economia esportatrice colombiana (dapprima di tabacco poi di caffè)
all’economia internazionale.
La sopravvivenza del modello coloniale dell’hacienda venne garantita, ancora per lungo
tempo, da un sistema di potere di tipo feudale, basato sul monopolio delle classi dirigenti
(conservatrici e liberali) in campo economico, politico, sociale e culturale.
Contemporaneamente, il potere dell’èlite dominante fu sostenuto dal rafforzamento della
grande proprietà terriera, protrattosi per tutti gli anni della Repubblica Conservatrice. Ciò
17
Alberti G., Lezione universitaria del corso “ Teoria dello sviluppo politico“, presso l’Università
di Bologna, Facoltà di scienze Politiche, 2003.
18
Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia,
www.gratisweb.com/ciclocrisis.
21
avvenne in seguito alla privatizzazione di numerose terre pubbliche e di moltissime
proprietà indigene, a beneficio dei grandi latifondisti.19
Le prospettive di guadagno, derivanti dall’ economia monoesporatrice del caffè,
stimolarono ingenti prestiti concessi dalle banche straniere. I capitali stranieri costituirono
un importante contributo per il finanziamento della costruzione delle nuove reti ferroviarie
e dei nuovi porti, che si sommarono ai 25 milioni di dollari provenienti da Washington per
il pagamento dell’indennizzo di Panama. Per dare un’idea dell’entità di questi contributi,
per lo più provenienti dagli Stati Uniti, basti pensare che gli investimenti diretti statunitensi
durante quella che venne chiamata la Danza de los Miliones, passarono dai 4 milioni di
dollari del 1913 ai 173 milioni del 1929.20 Dopo il 1920, tali investimenti si concentrarono
su due nuovi settori destinati a diventare componenti fondamentali dell’industria per
l’esportazione: le banane e il petrolio. Ad esempio, la multinazionale statunitense “United
Fruit Company” affermò in quegli anni il suo controllo su enormi piantagioni di banane,
lungo la costa caraibica.
Lo sviluppo dell’industria, la crescita delle città e la diffusione dei lavori pubblici, diedero
origine ai primi nuclei di classe operaia. Quelli impiegati nelle industrie manifatturiere dei
sigari, delle bevande, dei tessuti e del cemento, non erano ancora sufficientemente forti per
guidare le azioni sindacali. Al contrario, i lavoratori delle città portuali (Santa Marta,
Cartagena, Barranquilla), i trasportatori del Rìo Magdalena e i petroliferi della città di
Barrancabermeja, organizzarono i primi imponenti scioperi avvenuti tra il 1924 e 1927.
Dalle città, le mobilitazioni popolari si spostarono nelle campagne. Nel 1928 toccò alla
“United Fruit Company” far fronte ad una delle lotte sociali più dure di quegli anni. Le
rivendicazioni dei braccianti delle piantagioni di banane della località di Santa Marta erano
basilari: il riposo domenicale, delle condizioni sanitarie umane, l’assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro, modesti aumenti salariali e, soprattutto, il pagamento del salario in
denaro. I bananeros infatti, venivano pagati con dei buoni da spendere nei magazzini della
stessa impresa, dove era possibile comprare solo merci carissime prodotte negli Stati Uniti
e, importate, per non far tornare vuote le navi che portavano le banane a New Orleans. Il 5
dicembre del 1928, anziché un negoziatore governativo, venne mandato l’esercito a trattare
con i braccianti. La “matanza en las bananeras”, il massacro attuato contro gli scioperanti
e le loro famiglie, causò ben 100 morti e più di 200 feriti.21 Quest’evento gravissimo, reso
19
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,
2003.
20
Ibidem.
21
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze,
1991.
22
popolare e famoso nel mondo da Gabriel Garcia Marquez (che lo raccontò nella sua opera
più celebre “Cien años de soledad” del 1967), “mise fine alla vecchia visione della lotta
politica fondata sui valori della tradizione e dell’ordine istaurando un diverso rapporto tra
le classi dirigenti e quelle subalterne, fondato sulla violenza e la repressione”.
“La carneficina della Cienaga chiarì inoltre che le forze armate colombiane erano disposte
ad agire come un plotone d’esecuzione del proprio popolo, pur di tutelare gli interessi del
capitale straniero”.22 L’atteggiamento delle forze militari, non era motivato solo da scelte
politiche ed ideologiche, ma era anche assicurato dalla condotta delle imprese statunitensi,
che fin da allora, usavano pagare direttamente i militari per garantire la protezione dei loro
impianti.
In Colombia il dominio feudale della vecchia classe di notabili cominciava a mostrare i
primi segni di un lento, ma inesorabile, collasso su stesso. L’astuzia di alcuni li condusse
ad allearsi con quei latifondisti più coraggiosi che avevano avviato il processo di
modernizzazione. D’altronde non fu difficile cedere alla tentazione di partecipare agli
ingenti profitti legati all’economia cafetalera e all’interesse che in essa venne
immediatamente riversato dal capitale straniero (soprattutto inglese e americano). Molto
meno allettanti si mostravano le conseguenze che quelle trasformazioni economiche
avrebbero avuto in campo politico e sociale. La paura per l’emergere dei nuovi ceti, medi
e popolari, e delle loro rivendicazioni economiche e sociali, aveva appena cominciato a
farsi sentire. I decenni a seguire presagivano violenti sconvolgimenti, contro l’avanzata dei
quali il potere costituito avrebbe scelto la via del sangue.
La Grande crisi del 1929-1930 e i suoi effetti.
L’ulteriore accelerazione e avanzamento del processo di modernizzazione colombiano
avvenuto a partire dal 1930, fu conseguenza della situazione economica internazionale. In
conseguenza degli effetti della Grande Crisi mondiale del 1929-30, iniziò in Colombia,
come nel resto del continente sudamericano, il processo di sostituzione delle importazioni.
Con esso si diede avvio allo sviluppo del paese, in senso propriamente capitalistico. Il
processo di sostituzione delle importazioni fu possibile grazie all’accumulazione, nel
trentennio precedente, di capitale proveniente dall’ economia cafetalera, ma anche, grazie
all’ulteriore accumulazione di capitale, avvenuta durante gli anni del primo conflitto
22
Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso.. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 36.
23
mondiale. Negli anni seguiti alla Prima Guerra mondiale, le classi dirigenti al potere
adottarono una politica economica protezionistica.
Gli effetti negativi della crisi mondiale furono limitati in Colombia, sia rispetto alle grandi
potenze mondiali, sia rispetto ai grandi paesi del continente sudamericano (Argentina,
Messico, Brasile), a causa del lento avvio del suo processo di industrializzazione: nel 1925,
solo il 10% del PIL proveniva dall’industria nazionale.23
Il processo di sostituzione delle importazioni, caratterizzato da una politica economica di
tipo interventista permessa dagli alti prezzi internazionali del caffè, si articolò in due fasi
successive: una prima fase, in cui l’industria nazionale venne orientata verso la produzione
dei beni di consumo immediato (i beni intermedi continueranno a dipendere ancora per
molto tempo dall’industria pesante nordamericana); una seconda fase, in cui la Colombia
cominciò a vendere sul mercato internazionale i suoi prodotti agricoli ed estrattivi e, in
cambio, a ricevere le divise necessarie per acquistare i macchinari, per lo più provenienti
dagli Stati Uniti.24
La meccanizzazione e tecnicizzazione avvenute in Colombia tra il 1932-1940 diedero
avvio ad un ciclo industriale tipicamente capitalista, caratterizzato da un forte aumento
della produttività.25 La meccanizzazione dei paesi dell’America Latina costituì una valvola
di sfogo per l’economia degli Stati Uniti, colpita dalla Grande Depressione. Il potente
vicino di casa ebbe modo di “rivalorizzare macchine non più rendibili nel suo paese,
assicurandosi il monopolio nei mercati in espansione dei paesi in via di sviluppo.”26 Le
innovazioni introdotte in Colombia favorirono, negli anni a venire, la concentrazione
dell’industria e dei suoi profitti, mentre di pari passo la produzione artigianale e
manifatturiera venne isolata per mancanza di competitività. Contemporaneamente, la
politica prevalentemente antisindacale adottata dalla classe dirigente favorì il processo di
concentrazione e accumulazione delle ricchezze. “Tale accumulazione non corrispose mai
ad un aumento proporzionato della produzione dei beni di consumo immediato”.27
La sostituzione delle importazioni proseguì, a partire dalla sua seconda fase, concentrando
il capitale nazionale e straniero nella produzione di beni intermedi basici (carta, caucciù,
metalli, chimici e petrolchimici). Queste scelte economiche adottate dallo Stato
23
Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971.
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze,
1991.
25
Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia,
www.gratisweb.com/ciclocrisis.
26
Ibidem, pag. 7.
24
24
colombiano, fortemente volute dalle imprese private nazionali e straniere, generarono il
consolidamento dei gruppi finanziari, colombiani e stranieri, in mezzo all’impoverimento
popolare.
La decisione dell’oligarchia liberale di non intaccare il potere dei signorotti locali fu
dettata dall’alleanza bipartitica nata nel XIX secolo e rimasta alla base dello Stato
colombiano nel secolo successivo. Questa scelta comportò l’aumento costante della
distanza tra i tassi di crescita della produzione industriale e di quella agricola, a partire dal
processo di sostituzione delle importazioni fino ai giorni nostri. Pertanto, le conseguenze di
lungo termine della crisi mondiale e delle scelte economiche della classe dirigente
colombiana penalizzarono nel complesso le classi lavoratrici, tra cui soprattutto quelle
legate al mondo agrario.
Anche gli effetti negativi di breve termine della crisi mondiale si riversarono sulle classi
subalterne. In primo luogo, esse furono colpite dall’aumento della disoccupazione per la
diminuzione della domanda sul mercato internazionale dei prodotti colombiani per
l’esportazione; in secondo luogo, dalla caduta dei salari reali causata dall’aumento del
costo della vita perché, nel paese monoesportatore, il fabbisogno alimentare della società
veniva soddisfatto dai prodotti dell’importazione.28
Parallelamente, gli effetti a breve termine della crisi, colpirono anche la componente
latifondista e quella legata al commercio del caffè, in seno alla classe dirigente. I settori
legati all’economia monoesportatrice uscirono, nel complesso, indeboliti dalla crisi
mondiale, a causa del crollo dei prezzi e della domanda di caffè sul mercato internazionale.
D’altro canto, “la notevole concentrazione della ricchezza non poteva che avvenire in parte
grazie alla sensibile diminuzione quantitativa del ceto dei notabili”.29 Come abbiamo visto
però, parte della classe dirigente legata all’esportazione, per lo più di stampo liberale,
seppe riprendersi rapidamente grazie all’avvio del nuovo ciclo propriamente capitalista
dell’economia colombiana di cui divenne protagonista.
La Repubblica liberale (1930-1946)
Gli interessi dei poli più dinamici dell’economia colombiana, politicamente rappresentati
dal Partito Liberale, furono largamente favoriti dagli effetti della Grande Crisi del 1929.
27
Ibidem.
Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971.
29
Carmagnani Marcello, Casetta Giovanni, America Latina: la grande trasformazione.1945-1985.
Einaudi, 1989.
28
25
Pertanto, la loro contrapposizione con l’immobilismo dei latifondisti più conservatori,
legati ai tradizionali rapporti di lavoro e alla grande proprietà, si fece sempre più manifesta.
Nella lotta al tradizionalismo rurale, i liberali decisero di intraprendere la strada delle
riforme, cercando di attirarsi il sostegno delle classi popolari liberate dalla
modernizzazione avviata.30
Il nuovo regime liberale attuò la propria politica di modernizzazione soprattutto durante il
governo del figlio di uno degli uomini della finanza più importanti dell’epoca, le cui
fortune erano legate all’esportazione di caffè: il banchiere Alfonso Lòpez Pumarejo.
Durante i due mandati in cui governò, López portò al centro del dibattito politico istanze di
carattere sociale e lavorativo. Il suo ruolo nella storia politica colombiana è simile a quello
svolto dal suo contemporaneo Franklin D. Roosevelt negli Stati Uniti: le scelte politiche di
López furono molto influenzate dalla politica del “New Deal”.31
Con quella che venne proclamata, non senza una forte carica demagogica, la “Revoluciòn
en Marcha”, durante il suo primo mandato (1934-1938), Lòpez introdusse il suffragio
universale maschile; adottò misure per un aumento dell’intervento statale a difesa della
neonata industria nazionale; limitò il potere della Chiesa; tassò i profitti attraverso la
riforma tributaria; stimolò la contrattazione collettiva con la costituzione del Dipartimento
Nazionale del Lavoro, il riconoscimento e l’appoggio mostrato alle prime organizzazioni
sindacali nazionali; legalizzò lo sciopero; promulgò la legge 200, che riconosceva la
funzione sociale della proprietà terriera e prevedeva una distribuzione controllata delle
terre incolte.32
La legge 200 del 1936 stabiliva la redistribuzione di quei latifondi superiori ai 300 ettari, in
cui non veniva assicurato l’uso della terra a fini sociali.33 Inspirandosi a questo principio, la
legge stabiliva che i campesinos sarebbero divenuti proprietari delle terre che lavoravano
da più di dieci anni. Infine, a difesa del campesino, legalizzava solo quei titoli di proprietà
emessi dallo Stato e, per quelli privati, convalidava solo quelli emessi prima del 1917 (il
che significa che venivano legalizzati tutti i titoli privati falsi, prodotti dai vari notai,
durante e dopo la lunga Guerra de los Mil dìas).
30
Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971.
Bushnell D., The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California
Press, Oxford, 1993.
32
Livingstone G., Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,
2003.
33
Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:
una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.
31
26
L’obbiettivo di tale provvedimento era quello di favorire la creazione di una classe media
di contadini che avrebbe stimolato lo sviluppo economico del paese con l’introduzione
della forma di produzione capitalista nelle campagne. In questo modo, si voleva frenare
l’avanzata del comunismo nel mondo rurale. In quegli anni infatti l’attività dell’Union
Nacional de la Izquierda Revolucionaria (UNIR) aveva cominciato ad attirare l’attenzione
e il consenso di una parte sempre più consistente della popolazione contadina, ossia una
delle componenti sociali più colpite dagli effetti immediati della crisi mondiale.
Grazie alla sua grande capacità oratoria e alla forza evocativa di slogan quali “la terra a chi
lavora” o “la fame non è né liberale né conservatrice”, il leader di tale organizzazione
contadina, l’avvocato di origine india Jorge Eliécer Gaitàn, cercava di mettere in guardia le
masse popolari dalle false divisioni esistenti in seno al popolo colombiano. Per Gaitàn i
due partiti tradizionali non costituivano altro che un “unico partito a due facce, ossia il vero
nemico del paese, schierato a difesa del potere oligarchico e contro gli interessi delle masse
popolari”. 34
A partire dal 1934 i capi contadini dell’UNIR cominciarono a essere massacrati dalle
“guardie regionali”, ossia sicari finanziati dai latifondisti. Dopo alcuni di questi massacri,
Gaitàn scelse di far confluire il suo movimento nell’onnicomprensivo Partito Liberale.
Se la riforma agraria promossa dalla legge 200 costituì uno degli ultimi colpi sferzati
contro il tradizionale sistema agrario dominato dall’hacienda, l’introduzione del suffragio
universale maschile e la legislazione del lavoro furono misure adottate dalle forze liberali
al potere, per assicurarsi il consenso delle classi popolari, ossia il necessario alleato
nell’opposizione al potere latifondista. Allo stesso tempo, queste misure servirono a
canalizzare le tensioni sociali entro strutture sindacali facilmente controllabili. López e i
suoi alleati erano infatti convinti che la negoziazione, e non l’autoritarismo, fosse la vera
chiave per il progresso e per l’allargamento del potere d’intervento dello Stato centrale. La
determinazione di un’ “aristocrazia di lavoratori”35 come interlocutrice preferenziale del
governo, avrebbe impedito l’emergere di un movimento autonomo e più radicale della
classe operaia, capace di mettere seriamente in pericolo la classe al potere e l’ordine
costituito.
34
Jerez Cisar. Consigliere di varie organizzazioni contadine e rappresentante dell’associazione
contadina di Cimitarra: Coordinaccion Coca Colombia; dalla sua esposizione al seminario El
conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.
35
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 64.
27
Per Giovanni Casetta36, con questa serie di riforme sociali la Colombia si inseriva in quel
movimento politico-economico che coinvolse tutti i paesi del continente latinoamericano:
il populismo. Questa forma di dominio statale caratterizzata da un ampio intervento e
controllo dello Stato in campo economico, risentiva chiaramente degli effetti che provocò,
a livello mondiale, la politica economica attuata dal potente vicino di casa, attraverso il
New Deal di Roosvelt.
Al contrario, Daniel Pécaut37 non riconosce affatto nella Revoluciòn en marcha della
Repubblica Liberale una manifestazione di quello che fu il populismo. Anzi, nella politica
di modernizzazione adottata dal Partito Liberale degli anni Trenta, egli scorge uno dei tre
grandi ostacoli che hanno impedito la piena affermazione del populismo in Colombia, nelle
due uniche occasioni in cui tale fenomeno raggiunse dimensioni nazionali: l’ immensa
mobilitazione popolare suscitata da Jorge Eliécer Gaitan tra il 1945 e il 1948 e quella che
riuscì ad ottenere l’ANAPO, l’organizzazione creata dal generale Rojas Pinilla per
combattere il Fronte Nazionale.
Come abbiamo già visto, quando Casetta tenta di spiegare le ragioni esistenti alla base
della continuità della violenza nella storia colombiana, egli ricorre ad elementi strutturali
della “forma-stato oligarchica” 38, sviluppatasi sulla base di una forma partito concepita
come “configurazione di caciques regionali”.39
La frammentazione sociale, legata alla frammentazione del territorio e alla permanenza di
numerose zone escluse al controllo statale è, anche secondo l’analisi di Pécaut, ciò che ha
determinato il consolidarsi e il protrarsi fino ai giorni nostri di “pratiche politiche” che non
trovano la loro legittimazione nella capacità di mediare i diversi interessi rappresentati, ma
che sono derivate da “transazioni e conflitti tra i poteri in gioco, a tutti i livelli della
società”.40 Questo però, come ci spiega nel suo libro Guerra contro la società, è solo uno
dei tre aspetti alla radice del fallimento del populismo e, al secondo lui conseguente
continuo ricorso nella storia della Colombia a pratiche di violenza. In particolare, la
continuità con quanto sostenuto da Casetta continua, anche per quanto riguarda il secondo
36
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991.
37
Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001. Daniel Pécaut è
un grande esperto delle problematiche del continente sudamericano, in particolare è un profondo
conoscitore del paese colombiano. Nella sua brillante carriera di studioso è succeduto, per ben
dieci anni, ad Alain Touraine nella direzione del “Centro Studi dei Movimenti sociali”. Dopo tale
incarico è stato direttore di una delle principali riviste riguardanti il continente sudamericano, la
rivista francese Problemes d’Amèrique Latine.
38
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 105.
39
Ibidem.
40
Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 55.
28
ordine di fattori, ossia la rigida rivalità esistente tra le due formazioni politiche tradizionali.
È solo Pécaut però a mettere sufficientemente in evidenza il carattere non sostanziale di
tale contrapposizione e della conseguente divisione della società colombiana secondo una
“geografia di partito”.41
Pècaut insiste sulla scelta della classe dirigente, conservatrice e liberale, di mantenere la
medesima intensità dello scontro tra le due formazioni politiche, dalla loro costituzione ai
giorni nostri, senza che tra di esse ci fossero “precise differenze nei loro interessi
socioeconomici, esclusa una diversa visione del ruolo della Chiesa nella creazione di un
ordine sociale”.42 Se il Partito Conservatore ha da sempre considerato il forte potere
clericale esercitato sul sistema culturale del paese e sulle sue istituzioni come il mezzo
indispensabile per garantire l’ordine, il Partito Liberale lo ha sempre visto come un
ostacolo alla progressiva modernizzazione del paese. Dall’altra, in questioni più centrali
per lo sviluppo e la crescita della nazione, i due partiti hanno invece ripetutamente
dimostrato, nel corso dei successivi decenni, di non avere visioni contrastanti né sulla
questione della terra né, più in generale, sulle politiche redistributive dei beni e dei servizi
e sulle rivendicazioni provenienti dalle classi medie e popolari per una maggiore
partecipazione politica. Pertanto la divisione bipartitica della classe politica si consolida
grazie al sangue versato nelle innumerevoli guerre interne dai partigiani di entrambe le
fazioni politiche nel corso dei decenni. L’affiliazione alle due formazioni partitiche riesce a
penetrare fino in profondità nella società colombiana, urbana e rurale, grazie alla
trasformazione delle ideologie liberali e conservatrici in vere e proprie “sottoculture”,
trasmesse di generazione in generazione. Dietro lo scontro demagogico tra valori
propriamente conservatori (quali quelli legati a Dio, alla patria e alla famiglia) e valori
sbandierati dai liberali (che si rifacevano ai principi di uguaglianza, libertà e fratellanza) la
strategia politica più utilizzata da entrambi i partiti è sempre stata quella dell’esclusione
dell’avversario. Modalità d’azione utilizzata congiuntamente quando qualche gruppo
politico e sociale colpiva i privilegi del potere costituito, da trasformarsi in armo d’attacco
per colpire l’avversario nei momenti di relativa calma, ovvero quando le rivendicazioni
popolari erano già state precedentemente evitate e indefinitamente rimandate.43
Tornando a Pécaut, egli sostiene che questa lotta politica escludente interminabile ha
favorito una generale sfiducia della società nell’autorità centrale dello Stato. Questo,
lontano dall’aver raggiunto il monopolio della coercizione e della giustizia, viene per lo più
41
Ibidem, pag. 56.
Ibidem.
43
Marquez Gabriel Garcia,Vivere per raccontarla, Mondatori, 2002.
42
29
percepito come una minaccia dei diversi poteri locali. Di conseguenza, l’idea stessa di
cittadinanza politica possiede solo un contenuto vago, in un paese che riconosce come suo
unico mito fondante l’uso della violenza in ogni circostanza: mito che “si attualizza ad ogni
istante attraverso le guerre civili, ma anche nelle elezioni, percepite non come una
derivazione del principio di legittimità, ma come la manifestazione di una semplice
relazione di forza”44. E’ facile quindi comprendere Pécaut quando afferma che “le
rappresentazioni del politico hanno privato l’idea di popolo unificato di qualsiasi
significato”. 45
Infine, il terzo ed ultimo ostacolo al populismo (ed è qui che l’analisi di Pécaut si allontana
in misura più consistente da quella di Casetta), è stato determinato dalla gestione privata
della politica economica ad opera del Partito Liberale negli anni Trenta. La
modernizzazione avviata non mette per nulla in discussione la struttura di potere
tradizionale, né cerca di rinnovare l’immaginario sociale di un “popolo che possiede
un’identità politica che va oltre alla sua identificazione con i due partiti”.46
Dopo la caduta del prezzo del caffè, conseguente alla crisi mondiale del 1929-1930, il
compito di definire le misure economiche necessarie al superamento della crisi non venne
assunto dal potere statale, bensì fu affidato ad un’organizzazione privata: la Federaciòn de
Cafeteros (FEDECAFE’). Espressione dell’èlite economica legata alla coltivazione e alla
commercializzazione del caffè, la FEDECAFE’ si schierò a difesa della liberalizzazione
dell’economia e contro l’adozione di qualsiasi misura protezionistica. Del resto, anche gran
parte dell’élite economica legata all’industria nascente rifiutava un intervento diretto dello
Stato nella politica economica, che rimase pertanto gestita da un sistema di tipo
corporativo.
Rispetto agli altri paesi dell’America Latina, la Colombia ha potuto quindi limitare
significativamente la propria spesa pubblica. In quegli anni, il vantaggio della gestione
privata dell’economia politica è sicuramente stato quello di non avere dovuto soffrire le
conseguenze, estremamente negative, delle numerose impennate inflazionistiche dei paesi
vicini. Al contempo, la gestione privata dell’economia si è rivelata uno degli ostacoli più
grandi per lo sviluppo industriale del paese e per la piena affermazione di un movimento
populista che avrebbe facilitato il riconoscimento dei diritti sociali. Allo Stato Colombiano
venne negata ancora una volta, ora per mano liberale, prima per mano conservatrice, la
possibilità di assumere un’autonomia reale, dapprima in campo economico, quindi in
44
Pécaut. Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 56-57.
Ibidem.
46
Ibidem, pag. 57.
45
30
quello politico. “Il gaitanismo mise alla luce le difficoltà davanti alle quali si trovò la
mobilitazione populista, in un paese dove il processo di sostituzione delle importazioni e di
industrializzazione rimanevano limitati, in quanto associati agli interessi costituiti.”47 Gli
elementi necessari per la creazione di una nuova alleanza, sulla base della quale ricreare
uno Stato nuovo, erano venuti meno. Innanzitutto, le dimensioni raggiunte dalla
mobilitazione della forza lavoro erano insufficienti. Ancora troppo forte era il legame della
classe media con l’èlite dominante per le possibilità d’impiego che quest’ultima gli offriva;
né era avvenuta una riforma in senso progressista delle Forze Armate. Infine, la gestione
privata dell’economia e il limite che essa esercitò sullo sviluppo industriale del paese fece
sì che la popolazione rurale rimanesse una maggioranza determinante dal punto di vista
elettorale. Questa, a sua volta, era ancora troppo legata ai poteri locali. Come ricordano
Palacios e Abel, fino al 1947, nemmeno Gaitàn era riuscito a controllare la rete informale
di potere dei caciques liberali. Non è quindi certo che il successo straordinario che il leader
populista stava ottenendo tra le masse popolari, soprattutto quelle rurali, sarebbe stato tale
da colmare l’assenza di altri fattori determinanti per la creazione della base sociale
necessaria a sovvertire l’ordine costituito. Quel che è certo ed indiscutibile è che Gaitàn
venne violentemente privato della possibilità di tentarci.
Solo in ambito culturale la Revolucion en Marcha adottò le misure necessarie al
rafforzamento del potere statale. Con la riforma costituzionale del 1936 il processo di
secolarizzazione avanzò in misura considerevole. Innanzitutto, nel preambolo della
Costituzione venne eliminato qualsiasi riferimento alla potenza divina come fonte di
autorità. In secondo luogo, uno dei maggior meriti della riforma fu la diffusione
dell’istruzione pubblica. Tra gli effetti più immediati, le nuove misure introdotte
contribuirono ad esasperare lo scontro tra liberali e conservatori, i quali interpretarono le
modifiche del testo costituzionale, come un vero e proprio sacrilegio. Intanto, i duri
attacchi reciprochi non fecero altro che alimentare la già profonda sfiducia della società
colombiana nei riguardi dell’autorità delle istituzioni statali.
Secondo Pècaut48 quindi, il sistema di potere colombiano non venne minato nelle sue
fondamenta. E’ per questo che egli non considera il progetto riformista liberale un progetto
realmente populista. Se in America Latina il populismo ha assunto caratteri molto diversi a
seconda della specificità delle differenti realtà nazionali, in tutti i casi il populismo si è
presentato come un tentativo di fondare l’ordine sociale su nuove basi, in seguito al diffuso
47
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 612.
48
Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.
31
timore che la disorganizzazione avrebbe prevalso nelle società dei diversi paesi. Il
populismo mise alla luce l’inadeguatezza, nel contesto sudamericano, di quelle
rappresentazioni del politico e dell’economico capaci di garantire l’ordine sociale in
Europa, a partire dall’idea di un mercato in grado di autoregolarsi, fino ad arrivare alle
leggi naturali che sanciscono l’uguaglianza degli individui. Pècaut ritiene che attraverso il
populismo, protagonista della realtà politica dei paesi latinoamericani nel corso degli anni
’20 e ’40, le società sudamericane tentarono “di scoprire quella realidad che sembrava
rovinare il progetto politico della modernità. Le configurazioni populiste costituiscono un
tentativo di evocare un’altra finzione, adatta a questa realtà, quella di un patto fondante
attraverso cui il popolo diventa soggetto politico grazie ad un leader e senza passare
attraverso i classici meccanismi di rappresentazione”.49 Il concetto espresso dal termine
realidad, frequentemente utilizzato nei discorsi dei riformisti di quegli anni, si riferisce alla
specificità della razza locale o alla sua cultura sottostante e, allo stesso tempo, vuole
sottolineare la sua diversità in relazione alle istituzioni artificiali introdotte in America
Latina dal potere colonialista.
La Violencia (1946-1958)
Il contesto internazionale.
Il riconoscimento mondiale della supremazia della potenza statunitense tra i vincitori della
seconda Guerra Mondiale si concretizzò con la nascita del sistema di Bretton Woods nel
1944: alla luce della posizione di privilegio conquistata dagli Stati Uniti il dollaro s’impose
come modello monetario mondiale. Parallelamente vennero create le istituzioni
internazionali necessarie per la coordinazione delle politiche economiche di tutti i paesi
aderenti a Bretton Woods, il cui compito sarebbe stato determinante per garantire la
stabilità e la solidità del nuovo sistema: il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la
Banca Mondiale (BM), istituti dipendenti dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.50
Immediatamente, si fece chiaro il principale obbiettivo del nuovo sistema: l’espansione del
commercio, elemento chiave del modello di sviluppo capitalistico e mezzo necessario per
frenare l’avanzata socialista nel mondo. Nel 1948 venne sottoscritto il General Agreements
of Trade Tariffs (GATT), il cui schema insisteva sulla libertà del cambio. In questo modo
si sarebbero favorite le esportazioni delle materie prime, provenienti dai paesi del Terzo
49
50
Ibidem, pag. 61-62.
Giordano Giancarlo, La politica estera degli Stati Uniti. Franco Angeli, Milano, 1999.
32
Mondo, e dei prodotti finiti provenienti dai paesi industrializzati. Molti erano coloro che
sosteneva che il nuovo sistema economico avrebbe favorito un’equa ripartizione delle
ricchezze su scala mondiale, ma ben presto cominciarono a scorgersi i primi segni riguardo
la formazione di una divisione gerarchica del lavoro a livello internazionale.51
La ridefinizione delle relazioni Nord-Sud nel continente americano non si limitò al campo
commerciale, ma investì anche il piano politico: nel 1948 nacque l’Organizzazione degli
Stati Americani (OEA). Sul piano militare invece gli accordi relativi ad una comune
politica di difesa erano già stati stipulati durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale,
attraverso l’istituzione della Giunta Interamericana di Difesa nel 1942. Tale collaborazione
militare venne ribadita a due anni dalla conclusione dell’ultimo conflitto mondiale con la
firma del Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR).
Nella fattispecie, la posizione della Colombia sul mercato internazionale subì grossi
cambiamenti a partire dal 1955, anno in cui fecero ingresso i nuovi raccolti di caffè
provenienti dal continente Africano. Fu allora che la competitività del caffè colombiano,
così come del caffè brasiliano, subì un duro colpo. Brasile e Colombia cercarono
meccanismi difensivi distinti, ma le politiche liberoscambiste riguardo alla circolazione
delle materie prime sul mercato mondiale non lasciavano grandi spazi di manovra.52 Al
riguardo gli interventi del segretario del Tesoro degli Stati Uniti al Consiglio Economico e
Sociale Interamericano dell’Organizzazione degli Stati Americani, Gorge Humpray, furono
esaustivi: egli manifestò apertamente grosse ostilità riguardo le richieste avanzate di
stipulare degli accordi per fissare il prezzo dei beni di prima necessità. 53
Le disillusioni della Revoluciòn en Marcha.
Molti in quegli anni avevano voluto credere nel carattere riformatore della Revoluciòn en
Marcha. Le promesse di Lòpez Pumarejo erano sembrate credibili non solo agli occhi degli
intellettuali liberali, ma anche a quegli degli operai e del Partito Comunista Colombiano
costituitosi nel 1930, forte soprattutto nelle zone del Tolima e della parte sud-occidentale
del Cundinamarca, ovvero zone dedite alla coltura del caffè.54
Le prime disillusioni sopraggiunsero con la presidenza del liberale Eduardo Santos (193842), che non si preoccupò di mettere in atto la maggior parte dei provvedimenti della
51
Rodriguez Octavio, La teoria del subdesarrollo de la CEPAL. Siglo XXI Editores, quinta
edizione, Bogotà, 1986.
52
Montoya A. S., Critica al Alca. Ediciones Aurora, Bogotà, 2003.
53
Bates Robert, Politica internacional y economica abierta. TM editores, Bogotà, 1999.
54
Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.
33
legislazione precedente.55 Soprattutto nel mondo agrario, l’insoddisfazione stava crescendo
a macchia d’olio. Difatti, i provvedimenti della legge 200 erano rimasti praticamente
inapplicati. A rendere inefficace quanto stabilito dalla riforma agraria del 1936 intervenne
la complessità burocratica e, soprattutto, la strenua resistenza incontrata nei latifondisti. Per
impedire l’applicazione del testo legislativo i grandi proprietari terrieri ricorsero ai mezzi
più vari: da misure subdole di dubbia legalità (come la strategia di posizionare anche un
unico capo di allevamento su enormi appezzamenti di terra, per dimostrare l’“utilizzo
sociale” dell’intero latifondo), fino al dispiegamento dei mezzi di repressione più duri,
grazie all’azione svolta da bande paramilitari da loro stessi armate.
Di fronte all’indifferenza del Governo riguardo a questi atti illegali, i contadini reagirono
cominciando ad occupare alcune terre pubbliche ed altre private, lasciate incolte dai
latifondisti, in corrispondenza di alcune regioni della Cordigliera. Qui, vennero costituite le
prime organizzazioni di “autodifesa contadina”: da un lato, i contadini volevano fare
pressioni sul governo per il riconoscimento dei loro diritti sulla terra; dall’altro, volevano
semplicemente difendersi dalla violenza messa in atto da questi primi gruppi paramilitari.
Parallelamente, il malcontento continuava a crescere tra le forze conservatrici del paese.
Da un lato, dura rimaneva l’opposizione alla riforma dell’istruzione: con l’introduzione di
misure atte a limitare il monopolio della Chiesa sul mondo culturale non solo venivano
minati i privilegi ecclesiastici, ma l’intero ordine sociale veniva messo in pericolo.
Dall’altra, una grossa fetta del mondo economico si sentiva privata di un’adeguata
protezione governativa di fronte alla crescente mobilitazione di una forza lavoro sempre
più organizzata.56 Fu così che, in seguito al mancato intervento del primo governo López
per frenare l’ondata di scioperi del 1934-35, sorsero diverse organizzazioni padronali,
quali: l’Associazione nazionale degli Industriali (ANDI); la Federazione degli allevatori
(FEDEGAN); la Federazione nazionale per il commercio (FENALCO). Sempre in quegli
anni, le forze di destra si coalizzarono in un unico movimento militarizzato operativo
soprattutto nelle campagne: l’Acción Patronal Económica Nacional (APEN).57
La rottura definitiva tra il mondo contadino e i liberali al potere avvenne con la cosiddetta
“riforma del riformatore” 58, messa in atto dallo stesso Lòpez Pumarejo durante il suo
55
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,
2003.
56
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.
57
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991.
58
Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:
una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.
34
secondo mandato. Essa sopraggiunse in seguito all’approvazione di una legge del 1944,
che legalizzava il despojo, ovvero l’espropriazione illegale della terra. Si trattava di un
vero e proprio ritorno indietro rispetto a quanto stabilito dalla legge 200.
Il 1945 fu, invece, l’anno della rottura definitiva con il movimento operaio. Cruciale fu la
decisione del nuovo presidente ad interim Lleras Camargo (succeduto alla presidenza dopo
le dimissioni di Lòpez, in seguito ad uno scandalo finanziario) di reprimere nel sangue lo
sciopero dei lavoratori dei trasporti e degli scaricatori delle città portuali organizzato dal
Partito Comunista.59
I motivi della polarizzazione sociale crescente vanno ricondotti alla congiuntura storica
della Seconda Guerra mondiale e del suo immediato dopoguerra: ancora una volta gli
effetti negativi delle dinamiche internazionali ricaddero sulle classi subalterne. Si assistette
alla stessa successione di eventi, tra loro concatenati, che avevano caratterizzato gli anni
immediatamente seguiti alla Grande Crisi del 1929. A causa di una drastica caduta delle
importazioni dei beni di prima necessità, il conseguente aumento del costo della vita e la
parallela diminuzione dei salari reali dei lavoratori si sommarono agli effetti della caduta
delle esportazioni dei prodotti colombiani che, a sua volta, provocò un aumento della
disoccupazione. Contemporaneamente, la nuova congiuntura storica ricreava le stesse
condizioni favorevoli ad un’ulteriore concentrazione della ricchezza, a favore dell’èlites
economiche di entrambi i colori.
L’inizio della Violencia e la vittoria del Partito Conservatore.
La regressione di Lòpez e la politica repressiva e antisindacale del governo di Lleras
Camargo avevano causato divisioni insanabili all’interno del Partito Liberale, dividendolo
in: un’ala radicale, capeggiata da Elicier Gaitàn, e un’altra moderata, guidata da Gabriel
Turbay. Questa spaccatura fu la causa della sua sconfitta elettorale nelle elezioni
presidenziali del 1946. In realtà, anche nel Partito Conservatore si riconoscevano un’ala
più moderata e un’altra più estrema, quella degli historicos di Gòmez, stretti attorno al
movimento dell’ANEP e accomunati dal comune desiderio di costituire “una forma stato
fortemente centralizzata, corporativa e clericale”.60 Maggiore comunanza di interessi e di
obbiettivi si riscontravano invece nelle due fazioni moderate di entrambi i partiti,
fermamente schierate contro “l’orientamento dirigista e un eccessivo ruolo dello Stato
59
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,
2003.
60
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 57.
35
nell’economia”.61 Ad ogni modo, di fronte al pericolo di perdere le elezioni, il Partito
Conservatore pensò bene di non rischiare, presentandosi alle elezioni con un unico
candidato: fu così che vinse il conservatore Ospina Perèz (i cui voti furono nettamente
inferiori a quelli ottenuti dalla somma dei voti dei due candidati liberali).
I risultati di queste elezioni confermarono, d’altro canto, l’enorme portata della
mobilitazione guidata dal populista Elicier Gaitàn. Il linguaggio utilizzato nei discorsi
tenuti davanti ad un pubblico sempre più consistente, costituito da varie componenti sociali
della classe subalterna (lavoratori, piccoli artigiani, piccoli commercianti, disoccupati), era
molto simile a quello dell’argentino Peròn. Gaitàn insisteva infatti nel denunciare le
contraddizioni sociali di un sistema, quello della democrazia liberale, che si costituiva di
un’oligarchia e di tutti coloro che confluivano nelle fila dei privi di diritto. Egli attaccava
indistintamente la componente liberale e conservatrice di questa oligarchia, la stessa al
potere dai tempi dell’Indipendenza. La sua fittizia divisione in due formazioni politiche
contrapposte e in lotta da più di un secolo era funzionale a nascondere gli inganni di un
partito unico a due facce. Le parole di Gaitàn superarono la “divisione storica del paese tra
liberali e conservatori”, per accentuarla con “un taglio orizzontale e più realista tra
sfruttatori e sfruttati: il paese politico e il paese nazionale”62, o “reale” 63. Infine, in comune
con il peronoismo, il gaitanismo condivideva la “stessa aspirazione a superare le
opposizioni tra capitale e lavoro, in nome di una ricostruzione organica della società”.64
Il largo consenso che in quegli anni il gaitanismo ottenne in seno alla società colombiana
trovò conferma nei risultati delle elezioni parlamentari del 1947, ma anche nelle numerose
manifestazioni popolari organizzate sull’onda dell’entusiasmo gaitanista, che interessarono
ogni categoria produttiva. In particolare, la storia ricorda lo sciopero generale del maggio
del 1947, non solo per la portata della mobilitazione che portò sulle strade migliaia di
persone, ma soprattutto perché lo sciopero venne dichiarato illegale e represso nel sangue.
In quell’occasione vennero arrestati centinaia di operai, in seguito alla decisione del nuovo
governo conservatore di sospendere la personalità giuridica alla Confederaciòn de
Trabajadores de Colombia (CTC), ovvero la prima confederazione sindacale nazionale
costituitasi appena dieci anni prima con l’appoggio del governo López. Al suo posto venne
creata una nuova organizzazione sindacale in linea con la politica del Partito Conservatore,
61
Ibidem.
Garcìa Marquez, Gabriel, Vivere per raccontarla. Mondadori, Milano, 2002, pag. 82.
63
Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 63.
64
Ibidem.
62
36
che incontrò un immediato sostegno nei grandi proprietari agrari e nella Chiesa: la Uniòn
de Trabajadores de Colombia (UTC).
Anche se alcuni storici fanno risalire l’inizio della Violencia a partire dal 9 aprile del 1948
in seguito all’esplosione del cosiddetto Bogotazo, molti altri riconoscono che gli orrori
della Violencia avevano cominciato a dispiegarsi già due anni prima, immediatamente
dopo la conquista della presidenza da parte del Partito Conservatore. L’utilizzo della forza
fu il mezzo impiegato per sedare gli scioperi del 1946-47 e per diffondere il terrore
soprattutto nelle campagne, tra i sostenitori di Gaitàn, prima e dopo le elezioni
parlamentari e, soprattutto, in vista di quelle presidenziali del 1950. Solo in riferimento al
1947 le cifre ufficiali parlano di 14.000 morti.65 Come sottolinea Grace Livingstone, ciò fu
possibile grazie al cambio dei vertici dei comandi delle forze di polizia e dei consigli
comunali, in seguito alla vittoria dei conservatori alle presidenziali. Molti dei nuovi
effettivi vennero reclutati tra i membri delle milizie private che, come già detto, venivano
finanziate dai latifondisti e da parte degli industriali e banchieri, sin dal primo governo
Lòpez. Vista la gravità del pericolo, i conservatori scelsero tra i membri di quelle bande
paramilitari, formatesi nelle zone più conservatrici e cattoliche del paese: uno dei primi
contingenti fu reclutato nella cittadina ultracattolica di Chulavo; da allora, la fama dei
sanguinari poliziotti chulavitas non ha tralasciato di farsi conoscere in tutto il paese.
L’assassinio di Elicier Gaitàn e il fallimento del populismo in Colombia
Agli inizi del 1948 Gaitàn rese pubblico un Memoriale degli oltraggi subiti dai liberali per
mano dei chulavitas, durante una manifestazione popolare che dimostrò, ancora una volta,
le grandi capacità politiche ed oratorie di quest’avvocato di origine india, nemico numero
uno dell’oligarchia al potere. La scelta di Gaitàn fu quella di organizzare
un’impressionante “marcia del silenzio”, che coinvolse quasi la metà degli abitanti di
Bogotà, riunitisi nella storica Piazza Bolivar.
Questa scelta rispecchiò perfettamente, secondo Pècaut, l’impianto filosofico
dell’immaginario gaitanista, fortemente influenzato dalla criminologia italiana66, che lo
condusse ad un’interpretazione “biologica” della contrapposizione popolo-oligarchia.
Anche alla luce di queste considerazioni, vanno interpretati gli slogan quali “La fame non
65
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press,
2002.
66
Gaitàn studiò criminologia in Italia dal 1926 al 1929 con Ferri, discepolo di Lombroso, il cui
pensiero fu altamente influenzato dal darwinismo sociale. Gaitàn ebbe modo pertanto, di assistere
alle prime manifestazioni mussoliniane, che lo impressionarono molto.
37
ha colore politico”, o “Le malattie non sono ne conservatrici, né liberali”67. Sicuramente
queste frasi avevano lo scopo di mettere in discussione le false divisioni del partito a due
facce, ma contemporaneamente “devono essere interpretate secondo il loro significato
letterale: a causa della sua povertà biologica, il popolo non può ancora accedere da solo
alla condizione di soggetto politico.”68 Parallelamente, anche il termine oligarchia non si
riferisce ad un preciso soggetto politico, ad una classe sociale. Infatti, da essa egli “ suole
escludere, esplicitamente, tutti i settori che partecipano alla produzione economica, da cui,
è precisamente il suo carattere improduttivo che egli vuole denunciare”. 69 Con le parole di
Gaitàn: “Cercare persone intelligenti e capaci, gente onesta e sociale negli organismi
deboli e malati, colpiti da tutti i compiti ereditati e accidentali, è una impossibilità fisica”,
oppure, “I nostri politici hanno dimenticato che l’uomo è prima di tutto una realtà
biologica e fisiologica. Senza la nutrizione delle cellule, senza il funzionamento equilibrato
del suo organismo, è vano parlare di giustizia, di grandezza nazionale”. Secondo l’analisi
di Pécaut, “più che un conflitto tra due gruppi sociali”, Gaitàn “elabora la rappresentazione
mitica di un combattimento tra forze inumane, delle quali una incarna la sofferenza,
l’altra, il godimento.”70
La denuncia di Gaitàn al potere costituito è radicale in quanto egli non accusa la
democrazia liberale solo di mantenere le disuguaglianze generate dalle contrapposizioni
del paese politico-paese reale, oligarchia-popolo, capitale-lavoro, unità organica individualismo, ma quello che di essa critica è “il tentativo di favorire, in nome di un
egualitarismo astratto, il regno politico dei mediocri”.71 La soluzione promossa da Gaitàn
è, secondo la lettura di Pécaut, quella di un modello che si basa sulla fusione tra le masse e
il suo leader, dove “l’energia delle prime si converte in sustrato di volontà politica del
secondo”.72 Con le parole dello stesso Gaitàn, si tratta “un organismo in cui agiscono
elementi diversi, a volte opposti, il cui equilibrio garantisce l’unità”. Da cui, si
comprendono affermazioni quali: “Io non sono un uomo, sono un popolo”. Ed è così che
Gaitàn decide di fare sfilare gli abitanti di Bogotà in silenzio, durante quella che sarà la sua
ultima manifestazione, non solo perché il silenzio era probabilmente il mezzo più adatto
per esprimere il dolore collettivo della morte causata dallo scoppio della Violencia nelle
campagne, ma perché il silenzio della massa gli dà la possibilità di dimostrare che lui,
67
Tutte le citazioni di Gaitàn qui riportate sono state prese dal libro di Pécaut Daniel, Guerra
contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.
68
Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 64.
69
Ibidem.
70
Ibidem, pag. 65.
71
Ibidem.
38
leader scelto dal popolo, è in grado di esprimere la volontà politica del “tutto organico”, di
“neutralizzare le leggi della psicologia collettiva”, riuscendo a far vincere la disciplina sul
disordine fisiologico delle masse. Il corpo della massa e quella del leader sono un tutt’uno.
Il radicalismo del discorso gaitanista è stato percepito da altri autori, oltre che da Pécaut.
Per Casetta, ad esempio, il “gaitanismo, come progetto politico, poteva dunque realizzarsi
solo al di fuori del sistema politico tradizionale”73: anche Casetta si sofferma sul fatto che
il bersaglio della critica di Gaitàn era fatto di tutte le oligarchie conservatrici e liberali del
paese, entrambe schierate contro un aumento della partecipazione politica delle classi
emergenti.
Guido Piccoli, afferma che Gaitàn fu l’uomo che tentò di mettere in discussione la
democrazia liberale per dar vita ad una “democrazia partecipativa” 74: le trasformazioni
sociali ad essa collegate destarono nella classe dirigente una paura di tali dimensioni da
mobilitare tutto l’apparato del potere contro il leader populista.
Altri, invece, hanno negato il carattere rivoluzionario del suo discorso politico,
considerando il contenuto delle riforme sociali da lui proposte, in fin dei conti, moderato:
le sue battaglie non miravano altro che a favorire una politica economica maggiormente
redistributiva e una più alta partecipazione politica. In questa prospettiva, Grace
Livingstone ad esempio, lo definisce un “riformatore sociale”75, più che un rivoluzionario.
Un riformatore in grado però di portare nelle strade della capitale migliaia di poveri e, per
questo, percepito come sufficientemente pericoloso da provocare una durissima reazione
nell’establishment politico di allora. La Livingstone condivide le affermazioni fatte da
Gonzalez Sànchez76, nelle quali si denuncia il fatto che gli obbiettivi “moderati” del
progetto gaitanista “furono sostenuti da una mobilitazione sociale di tale portata da
sembrare trasformare il loro contenuto riformista, portando le forze dello status quo a
percepire in esse una minaccia per l’intero impianto dell’edificio sociale”.77 Queste
considerazioni in realtà, più che mettere in dubbio la radicalità del progetto gaitanista
72
Ibidem.
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 62.
74
Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 38.
75
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,
2003, pag. 65.
76
Sanchez G., The violence: an interpretative synthesis , nell’opera di C. Berquist, R. Peñaranda,
G. Sanchez, Violence in Colombia: The contemporary crisis in Historical Perspective, Scholarly
Resources, USA, 1992, pag. 77.
77
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,
2003.
73
39
rispetto al sistema tradizionale di potere, non fanno altro che confermare la teoria del
partito a due facce sostenuta in modo esplicito da Pécaut e da Piccoli.
Il 1948 inizia con il ritiro delle forze liberali dal Governo e la conseguente rottura del
Governo d’Unione Nazionale presieduto da Ospina, a causa della sua incapacità di frenare
l’ondata di violenza. Il 9 Aprile del 1948 Elicier Gaitàn venne assassinato da alcuni sicari.
In quei giorni a Bogotà si stava svolgendo la IX Conferenza Panamericana (presieduta da
Laureano Gòmez), ovvero “quella specie di lasciapassare per l’ imperialismo quale era
l’OSA (Organizzazione per gli Stati Americani)”.78 Tutti i colombiani non dubitarono,
neanche per un attimo, che l’omicidio di Gaitàn fosse da imputare alle forze conservatrici
del paese, terrorizzate da quelli che altrimenti sarebbero potuti essere i risultati delle
presidenziali del 1950. L’omicidio venne attribuito ad un certo Juan Roa Sierra. Secondo le
dichiarazioni ufficiali delle forze di polizia che indagarono sul caso, Roa altro non era che
un fanatico che aveva agito per vendetta personale. Come ricordano Palacios e Safford79,
molti hanno abbracciato la tesi del complotto. I mandanti sono stati variamente riconosciuti
come appartenenti a forze conservatrici, liberali ortodosse o comuniste. In particolare,
quest’ultima ipotesi, quella di un complotto organizzato dalle forze comuniste
internazionali, venne adottata da alcuni esponenti dell’elite colombiana che in quei giorni
si trovarono nell’imbarazzante situazione di giustificare quei tragici avvenimenti di fronte
all’opinione pubblica mondiale, presente a Bogotà per la conferenza dell’OSA. In linea con
questa teoria, la rivolta seguita all’assassinio di Gaitán, sarebbe stata un pretesto per la
presa del potere da parte di forze di sinistra. Queste idee vennero prese ancor più sul serio
non appena venne fuori che anche Fidel Castro si trovava a Bogotà in quei giorni.80 Ad
ogni modo, l’implicazione di Castro non venne mai provata. L’unica cosa certa fu che, nei
giorni a seguire, il giovane Fidel (tra l’altro, non ancora comunista nel 1948) cercò, senza
successo, di influenzare il corso della protesta. Altri ancora, hanno sostenuto che gli Stati
Uniti non fossero rimasti completamente estranei all’organizzazione dell’evento. Mentre la
Cia sostiene ancora oggi la tesi della vendetta personale di Juan Roa Sierra, la tesi del
complotto è stata condivisa da personalità celebri e importanti del mondo colombiano,
quali lo stesso Gabriel Garcìa Màrquez. Ad ogni modo, quello che alimenta i sospetti sulla
78
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 62.
79
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press,
2002.
80
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
40
neutralità di Washington, aldilà delle dichiarazioni di qualsivoglia personaggio del mondo
politico, economico o culturale è il rifiuto, per ragioni di sicurezza nazionale, del Federal
Bureau Investigation (FBI) di aprire i suoi archivi sul caso, nonostante lo abbia fatto per
altri avvenimenti più recenti, come l’assassinio di Salvador Allende.
La reazione popolare fu immediata. Lo stesso giorno scoppiò una rivolta urbana nella
capitale Bogotà. Da cui, il nome Bogotazo. Quella che si rivelò ben presto, con le parole
della Livingstone, una “rivoluzione frustrata”81, fu un’“esplosione spontanea di rabbia
impotente da parte dei poveri delle città”82, scagliatasi indistintamente contro ogni simbolo
del potere. Immediatamente i disordini raggiunsero le altri principali città del paese e le
aree rurali, dove vennero occupati prefetture e municipi. Il sindaco del centro petrolifero di
Barrancabermeja, con l’appoggio della forza lavoro locale, forte dallo sciopero del 1934,
costituì una giunta rivoluzionaria che riuscì a mantenere il potere per due settimane, fino a
che la milizia popolare non capitolò in seguito all’intervento dell’esercito.83 Anche nella
capitale si costituì una giunta rivoluzionaria fatta di intellettuali, professori universitari e
scrittori, mentre gli studenti s’impossessarono delle stazioni radio. Nonostante le
proclamazioni rivoluzionarie trasmesse, grazie al pronto intervento delle forze liberali, la
giunta non riuscì ad impossessarsi del potere e costituì quindi una “Commissione di
notabili” capeggiata da Lleras Restrepo, incaricata di arrivare ad un accordo con il governo
di Ospina. Il 10 di aprile si costituì quindi quello che sarebbe stato l’ultimo governo di
Unità Nazionale dell’amministrazione Ospina. Il Ministero di Guerra e quello degli Interni
vennero affidati a uomini di estrazione liberale.84 Poiché la violenza continuava però ad
espandersi e la mancanza di garanzie per le forze liberali si approfondiva sempre più, nel
maggio del 1949 si ruppe anche quest’ultima compagine governativa. Tale rottura diede
inizio ad una decade di governi non più bipartisan, a cui corrispose uno dei periodi più
violenti e di maggior crisi nella vita politica del paese.
A questo punto la Violencia non trovò più alcun ostacolo per dispiegarsi nella sua
completezza.
Il governo proclamò la stato di assedio: vennero proibiti gli scioperi e le
riunioni politiche, chiuse le sedi sindacali, licenziati e arrestati migliaia di lavoratori. In
quegli stessi anni la produzione industriale del paese non conobbe pause: tra il 1948 e 1953
81
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,
2003, pag. 66.
82
Ibidem.
83
Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:
una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.
84
Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.
41
la produzione industriale aumentò del 56%; contemporaneamente i salari diminuirono del
14% il loro potere d’acquisto.
Immediatamente dopo la repressione del Bogotazo, l’esercito rimase imparziale. Il nuovo
“terrorismo di stato” portò all’epurazione dal corpo di polizia, di ogni possibile elemento
liberale rimasto. Inoltre, i poliziotti vennero affiancati da squadre di civili, come gli
aplanchadores (letteralmente, stiratori) nella zona di Medellìn, e i pajaros (letteralmente,
passeri, dalla loro velocità di agire e scomparire), nella zona attorno a Cali. Questi gruppi
di civili armati diedero vita a veri e propri gruppi di controguerriglia. Si trattava di “forze
paramilitari provenienti da comunità conservatrici di contadini, organizzate da capi politici
dipartimentali o direttamente dalla polizia e dall’esercito”.85
Per Hubert Prolongeau, nel caos generato dall’assassinio di Gaitàn, queste squadre di
assassini furono assoldate tanto dal Partito Conservatore quanto da quello Liberale e non
solo. Sulla base dell’ennesima confrontazione armata tra le due formazioni politiche
tradizionali, la Violencia si scagliò contro la società intera, divenendo l’espediente per
regolare altri conti di varia natura. “ I pajaros finiscono per dettare legge in certe faide
familiari, aiutando i proprietari terrieri a fare allontanare dalle loro terre i contadini per poi
appropriarsi dei loro appezzamenti”.86
La questione della terra è alla base dello scoppio della Violencia anche per l’economista e
sociologo Hector Mondragòn: sia l’eliminazione di Gaitàn, sia il dilagarsi della violenza in
tutto il paese dopo la conseguente rivolta cittadina del Bogotazo, sono stati i mezzi che il
potere costituito ha utilizzato per frenare e impedire il contenuto della legge 200 e le
trasformazioni sociali ad essa legate. A partire dalla violenza degli anni ’50, in Colombia
“non ci sono soltanto gli sfollati per la guerra, ma soprattutto c’è la guerra perché ci siano
gli sfollati.”87 Mentre le famiglie costrette a lasciare le loro case furono spinte verso le
zone più inospitali del paese (gli Llanos orientali e le foreste amazzoniche), gran parte di
queste terre fertili che cambiarono di proprietà in quegli anni, finirono in mano alle aziende
agricole, dedite per lo più alle nuovi produzioni su larga scala di cotone e zucchero.
Anche se per David Bushnell la strenua rivalità tra le due formazioni partitiche tradizionali
va considerata come causa principale della Violencia, anch’egli afferma che spesso i
85
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press,
2002, pag. 349.
86
Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. Biblioteca
Universale Rizzoli, pag. 42.
87
Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:
una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.
42
“motivi politici venivano usati come paravento per nascondere motivi economici.”88
Soprattutto, anche questo autore riconosce che le zone a più alta densità di violenza
corrispondevano a zone che fin da prima del 1946 erano state luogo di agitazioni rurali,
oppure erano zone di recente colonizzazione, dove forte era la competizione per le terre
fertili e dove i titoli di proprietà erano ancora definiti in modo poco chiaro.
Infine, anche Casetta sottolinea come la Violencia provocò cambiamenti epocali in
relazione al tema terra, contribuendo a dare un “forte impulso capitalistico alle campagne,
stimolando una diversa dinamica del mercato fondiario e una ricomposizione della
struttura della proprietà, che avrà come conseguenza primaria la formazione di un
eccedente di manodopera.” 89 Il tutto ha provocato un’accelerazione del processo che ha
portato alla creazione di una distanza insanabile tra due poli: da un lato, i grandi
proprietari terrieri che adottarono tecniche produttive capitalistiche, dall’altro, i sempre
meno numerosi piccoli proprietari terrieri costretti a pagare i costi dell’accumulazione
capitalistica.
Secondo Pècaut90 le relazioni tra il dilagarsi della Violencia e la questione della terra
passano attraverso il fallimento del populismo. Il nesso populismo-Violencia non è
automatico, né semplicistico. Sicuramente, la violenza costituisce una costante della storia
colombiana: essa esplode in corrispondenza di ogni cambio di potere, nell’alternanza tra le
forze conservatrici e liberali del paese. La sua ricorrenza in tali occasioni è così evidente e
prevedibile, che i presidenti che si sono trovati a vivere questo cambio, hanno tentato di
limitare i rischi del dilagarsi della violenza dando vita, inizialmente, a dei governi di
coalizione nazionale. Questo accadde: tra il 1930-34 all’inizi della Repubblica Liberale; tra
il 1946 e il febbraio del 1948 durante la presidenza di Ospina; infine, dopo il Bogotazo fino
all’aprile del 1949.
La portata e il protrarsi della violenza scoppiata con la morte di Gaitàn può essere
compresa solo attraverso le relazioni esistenti tra violenza e populismo. Queste relazione
sono di tre tipi91.
In primo luogo, la peculiare descrizione di Gaitàn delle masse come “energia” e il suo
rifiuto di riconoscerle come soggetto politico vero e proprio, relega il popolo colombiano
88
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993, pag. 205.
89
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 70.
90
Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.
91
Ibidem.
43
privato del suo leader, ossia dell’unico interprete della propria volontà politica, a due
uniche possibilità: la “passività” o la “rabbia”.92
In secondo luogo, il fatto che dopo il Bogotazo (quando cioè la mobilitazione delle masse
torna ad inserirsi nella tradizionale contrapposizione bipartitica), la “dialettica dell’umano
e dell’inumano”, che riassume le opposizioni introdotte dal linguaggio gaitanista, “non
sparisce, ma va a porsi al servizio della lotta tra le due formazione politiche”93. Pertanto, da
allora in avanti le guerriglie che vengono combattute rispecchiano la stessa logica delle
guerre civili combattute nel XIX secolo.
Infine, La Violencia costituisce la risposta delle èlite tradizionali al pericolo del populismo.
La sconfitta delle classi popolari, rurali ed urbane è evidente nell’eliminazione totale dei
sindacati indipendenti (vedi la CTC). “Le èlite riescono ad appropriarsi della dialettica
dell’umano e dell’inumano, invertendola: mentre si propongono come uniche garanti
dell’ordine, imputano la barbarie al caos delle masse popolari.”94 Il risultato di questo
stravolgimento delle parti sarà quello di associare il populismo alla violenza delle masse, in
modo diretto e necessario.
Il governo dell’ultraconservatore Laureano Gòmez e il processo di
sostituzione delle importazioni
In questo clima di terrore e nel periodo di maggior crisi che ha vissuto il paese nel corso
del XX secolo95, si svolsero le elezioni presidenziali del 1950 che, grazie al rifiuto dei
liberali di parteciparvi, sancirono la vittoria del leader dell’estrema destra: il conservatore
Laureano Gòmez. Di lì a poco sarebbe iniziata quella che alcuni storici hanno definito
“un’austera controrivoluzione”.96 Le motivazioni alla base della decisione del Partito
Liberale furono: la mancanza di garanzie costituzionali necessarie per un regolare
svolgimento di elezioni democratiche e la violenza perpetrata dalle forze governative a
danno, soprattutto, dell’ala più radicale del paese: le forze comuniste e quelle sindacali.
Una metà della popolazione colombiana, quella dissidente, dichiarò illegittimi i risultati
delle consultazioni elettorali e si rifugiò nelle zone di montagna del Tolima, Boyacà,
Cundinamarca e Antioquia per scappare alla violenza. Qui, vennero organizzati dei
92
Ibidem, pag. 71.
Ibidem.
94
Ibidem, pag. 72.
95
Tirado Mejia Alvaro, El gobierno de Laureano Gòmez. Nueva Historia de Colombia. Planeta,
Bogotà, 1989.
96
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 622.
93
44
“Comitati di resistenza”, che diedero avvio alla costituzione di vere e proprie formazioni
guerrigliere.97
La formazione dei primissimi gruppi armati irregolari di estrazione liberale risale al 1946,
anno di inizio della Violencia. Questi gruppi dal carattere strettamente difensivo sorsero
come risposta agli scontri tra la popolazione e la polizia, “davanti all’inefficacia di altre
forme di resistenza per affrontare la violenza conservatrice”.98 Essi godevano
dell’appoggio, espresso in forma per lo più ambigua, della Direzione Nazionale del Partito
Liberale. Secondo quanto scrive Carlos Miguel Ortiz99, il numero dei guerriglieri passò da
4.500 uomini nel 1950 a 26.000 nel 1951. La velocità con la quale la guerriglia si espanse
dimostra l’impreparazione delle forze d’ordine del paese. Mentre il processo di
professionalizzazione e di nazionalizzazione del corpo di polizia era ancora in atto, la
modernizzazione dell’esercito si trovava in uno stadio più avanzato, ma il paese soffriva
della mancanza di un industria militare propria. Aldilà delle difficoltà tecniche le forze
militari dimostrarono di non essere capaci di affrontare il conflitto interno per una serie di
problemi. In primo luogo, esse dimostrarono l’incapacità di comprendere la natura del
conflitto interno: non si trattava di una guerra convenzionale bensì di una guerra di
movimento. Pertanto la solidarietà e l’appoggio della popolazione civile alle parti in lotta
costituivano un elemento determinante nella confrontazione. L’esercito colombiano invece,
non solo disponeva di armi, mezzi e aerei statunitensi adatti alla guerra convenzionale, ma
si dimostrò particolarmente abile nell’utilizzare questi mezzi in modo totalmente
inappropriato, ossia contro la popolazione civile.100 Difatti, le coordinate del Dipartimento
di Stato e della OEA riguardo la sicurezza dell’emisfero occidentale in piena Guerra
Fredda, identificavano il nemico come soggetto esterno, proveniente dalla “minaccia del
comunismo internazionale”. Tale impostazione si scontrava con la realtà nazionale, in cui
le cause del sovvertimento dell’ordine pubblico erano tutte interne.
La distanza tra guerriglieri liberali e dirigenti di partito non tardò molto a farsi evidente.
Tale distanza crebbe sempre più fino ad assumere le dimensioni di una rottura vera e
propria. Questa, sopraggiunse nel 1952, anno in cui si svolse la conferenza di Boyacà e
venne creata la Comisiòn Nacional Coordinadora, che non raggiunse l’obbiettivo sperato,
ossia l’unità della totalità del movimento guerrigliero, ma contribuì a produrre i primi
97
Informe nacional de desarrollo Humano 2003. El conflicto, callejòn con salida. Programma
delle Nazioni Unite, Bogotà, 2003.
98
Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 64.
99
Ortiz Carlos Miguel, Estrado subversiòn en Colombia. La violencia en el Quindìo años
cinquanta. Cider, Cerec, Bogotà, 1985.
45
progressi in questa direzione. In tale occasione venne promulgata la cosiddetta “Primiera
Ley del LLano”, con la quale la guerriglia lanciava il suo ultimatum a la direzione del
Partito Liberale. Fu allora che le elite liberali annunciarono ufficialmente il ritiro
dell’appoggio che inizialmente avevano mostrato verso questi primi gruppi di guerriglia,
anche se i tempi non erano affatto maturi per la stipulazione di quello che dieci anni più
tardi sarebbe stato l’accordo storico raggiunto da conservatori e liberali. La direzione del
Partito Liberale optò per l’opposizione politica legale, accontentandosi di quegli spazi
minimi e marginali in cui sarebbe rimasta relegata negli anni a seguire. Tutte le sue
componenti abbandonarono l’obbiettivo di mettere in atto delle riforme istituzionali,
economiche e sociali. Rispetto alle soluzioni da adottare per ristabilire l’ordine pubblico, i
contrasti tra le due formazioni partitiche si limitarono alle differenti soluzioni proposte per
sedare la rabbia dei rivoltosi. Mentre i conservatori non pensavano altro che alla forza
come unico mezzo per ripristinare l’ordine, le elite liberali credevano possibile una
smobilitazione consensuale delle forze dissidenti arroccate nelle montagne. Numerosa era
ancora la base liberale che combatteva nelle campagne. Spesso però, aldilà delle differenze
teoriche tra i due schieramenti, la prassi governativa si rivelava molto più bipartisan,
grazie soprattutto alla supremazia degli interessi della grande proprietà. Così, quando la
mediazione liberale non era possibile per la strenua resistenza incontrata soprattutto nelle
campagne, i grandi proprietari terrieri liberali imponevano alla direzione del partito di
optare per le scelte dei conservatori. Questi, a loro volta, lasciavano carta bianca
all’esercito, che nel frattempo aveva perso l’iniziale posizione di neutralità, in seguito
all’epurazione di ogni suo elemento liberale.
Non ci sono ovviamente fonti realmente affidabili circa il numero di vittime provocato da
questa prima fase della Violencia, prolungatasi fino all’unico colpo di stato militare
avvenuto in Colombia, quello del 1953 ad opera del generale Rojas Pinilla. Le cifre più
comunemente accolte ci parlano di un numero oscillante tra le 200.000 e le 300.000
vittime. A cui si deve aggiungere quello di 2.000.000 di persone in fuga dalle campagne
verso le città: esodo questo che, secondo quanto afferma Hubert Prolongeau, ha provocato
“la sovrappopolazione e la proletarizzazione delle periferie delle grandi città colombiane,
alla base dell’attuale criminalità.” 101
100
Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà,
2000.
101
Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin.
Biblioteca Universale Rizzoli.
46
Anche per Marco Palacios102 il processo di urbanizzazione colombiano raggiunse il
massimo della sua velocità nel corso degli anni ‘50. Il ritmo di crescita delle città era stato
piuttosto lento nel corso delle prime tre decadi del XX secolo. In relazione alle esperienze
di altri stati dell’America Latina, tale crescita era rimasta piuttosto limitata anche negli
anni ‘30. Fu invece tra il 1951 e il 1964 che il numero degli abitanti delle città colombiane
raddoppiò, a causa della violenza e dell’insicurezza delle campagne.
La violenza praticata in quegli anni assunse forme nuove: come il cosiddetto corte de
corbata, il taglio della cravatta, ricordato dalla Livingstone, in cui, “il corpo della vittima
veniva lasciato con la lingua penzolante da una fessura inferta nella gola”.103 Le atrocità
furono innumerevoli: solo quelle raccontate da Prolongeau parlano di uomini castrati per
privarli della naturale capacità di riproduzione; occhi strappati; orecchie tagliate e cucite
alla cintura degli assassini; corpi di bambini lanciati contro le mura dei granai; ventri di
donne incinta aperti, privati dei loro feti lasciati appesi sugli usci e sostituiti da corpi di
animali, come galli o polli. “La morte diventa spettacolo, si ritualizza”104 perché, a detta di
Prolongeau, lo scopo questa volta non era solo quello di uccidere, di eliminare l’avversario,
piuttosto, di lasciare segni indelebili, nelle menti dei pochi che sarebbero sopravvissuti.
L’appoggio incondizionato del presidente ultraconservatore Gòmez agli Stati Uniti ebbe
modo di manifestarsi in diverse occasioni, ma raggiunse il suo apogeo nel 1951 grazie alla
decisione di inviare dei contingenti colombiani a fianco dell’esercito nordamericano in
Asia, nella guerra di Corea. La Colombia fu l’unico paese dell’intero continente
sudamericano a partecipare a tale guerra. L’opposizione da parte dei comunisti alla
decisione del presidente fu ripagata con la dichiarazione delle zone da loro occupate come
“zone di guerra”. La scelta di Gòmez di inviare un battaglione dell’esercito in Asia va letta
probabilmente come un’abile mossa per far dimenticare all’amministrazione Usa le sue
passate e più volte dichiarate simpatie per la falange franchista e per Hitler. 105 Il paradosso
di entrare in una guerra che si stava svolgendo al di là del globo negli anni più difficili e
delicati della storia del paese si spiega, in parte, se si considera che a governare il paese era
la frangia più conservatrice e militarista del Partito Conservatore. La partecipazione alla
102
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
103
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003, pag. 66.
104
Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin.
Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 43.
105
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
47
guerra permetteva, difatti, l’avvio di quella ristrutturazione dell’esercito, che avrebbe
modernizzato le forze armate sia dal punto di vista tecnico ed organizzativo, sia dal punto
di vista politico, assicurando loro un’autonomia crescente per la garanzia dell’ordine
pubblico. Inoltre, l’invio di forze armate in Corea facilitava l’ingresso di armi statunitensi
nel paese, che sarebbero state poi utilizzate nel conflitto interno. Spedizioni dello stesso
tipo aumenteranno in seguito, durante il governo di Rojas Pinilla.106
Quanto alla legislazione che regolava l’invio di aiuti militari al paese, essa si basava sulla
legge di assistenza e di Mutua Difesa del 1949 (Mutual Defense Assistance Act), attraverso
cui l’amministrazione di Washington poteva rifornire le nazioni membri dell’OTAN di
mezzi, materiali e servizi. Nel 1951 il Congresso statunitense approvò la legge di Mutua
Sicurezza (Mutual Security Act) e la legge di Controllo dell’Assistenza per la Difesa Mutua
(Mutual Defense Assistence Control Act), conosciuta come legge Battaglia. La prima
riconosceva che, qualsiasi assistenza militare ritenuta necessaria per la difesa collettiva
delle repubbliche americane sarebbe stata preceduta da accordi bilaterali. La seconda
attribuiva un’ampia autonomia al presidente nordamericano nello stabilire la sospensione
degli aiuti ai paesi che, secondo la sua opinione, non cooperavano in modo adeguato e non
fornivano informazioni sufficienti per il controllo dei beni strategici.107 Grazie alle scelte
del presidente Gomez e delle forze conservatrici, la Colombia si distinse in quegli anni
come il primo paese sudamericano a firmare simili accordi con il potente vicino di casa,
avviando così i primi corsi specifici per l’addestramento alla controguerriglia.
In cambio, il paese ottenne importanti incarichi internazionali (vedi la presidenza della
Commissione per l’Osservazione della Pace e della Commissione Politica e della Sicurezza
dell’ONU) e all’interno di organismi centrali del sistema panamericano. Il tutto serviva a
dimostrare che le forze conservatrici del paese erano in grado di assicurare alla nazione un
ruolo di maggior rilievo nella difesa della democrazia sul piano internazionale e migliori
relazioni con gli Stati Uniti, rispetto a quanto invece era stato fatto negli anni della
Repubblica Liberale.
Per quanto riguarda l’economia politica colombiana, il 1950 fu l’anno in cui il
protezionismo industriale a sostegno della manifattura nazionale divenne il credo della
politica statale. Con il beneplacito della Commissione Economica per l’America Latina,
nei singoli stati sudamericani vennero adottate diverse misure a sostegno della manifattura
106
Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.
Brown Williams Adams e Redverse Opie, American Foreign assistence. The Brookings
Institution, Washington, 1954.
107
48
nazionale per facilitare il processo di diversificazione delle esportazioni.108 La limitata
disponibilità dei beni di consumo provenienti dai paesi industrializzati a seguito degli
avvenimenti legati alla Seconda Guerra mondiale non aveva fatto altro che dare un nuovo
slancio a quel processo di sostituzione delle importazioni, iniziato dai tempi della Prima
Guerra mondiale e favorito dagli anni successivi alla Grande Crisi del 1929.
Oltre alle tariffe protezionistiche, il governo colombiano utilizzò altri mezzi per facilitare
la produzione interna, quali: crediti di favore alle banche, sovvenzioni per l’energia
elettrica, facilitazioni fiscali per gli investimenti nell’industria. Infine, anche in Colombia,
come nella maggior parte degli stati sudamericani, vennero create delle imprese a
conduzione statale, in cui i capitali privati venivano attratti dalle facilitazioni fiscali
concesse dallo stato. In Colombia, il consolidamento di una politica economica di tipo
nazionalistico non fu impresa affatto facile e priva di contrasti. L’introduzione di misure
protezionistiche incontrava una forte ostilità di tutti i settori legati alla coltivazione e
all’esportazione del caffè. Tra il 1945 e il 1953 il paese dovette affrontare tutte le
conseguenze negative di quella che assunse i toni di una vera e propria battaglia tra
l’Associazione Nazionale degli industriali (Andi) e la federazione Nazionale dei
Commercianti (Fenalco). Andi e Fenalco godevano entrambe del sostegno di potenti lobby
politiche, attraverso cui cercavano di aggiudicarsi il controllo della politica economica
nazionale, che di fatto aveva preso le forme di un “ibrido tra il protezionismo industriale e
il libero mercato”.109
Nel 1949 l’Andi riuscì ad impedire che il paese partecipasse al General Agreement on
Trade and Tariffs (GATT) e che si compromettesse in altri accordi commerciali con gli
Stati Uniti. La decisione governativa del 1950 di adottare una politica protezionistica sancì
definitivamente il sodalizio tra industriali e regime conservatore. Parallelamente il libero
mercato era difeso da Fenalco e dal Partito Liberale.110
Il governo di Laureano Gòmez sostenne gli interessi degli industriali. Egli era convinto che
lo sviluppo di un’industria nazionale su larga scala sarebbe stato possibile solo grazie ad un
forte intervento dello Stato, al quale spettava il compito di coordinare i vari interessi
economici, oltre che di garantire la sicurezza nazionale. La nuova politica economica
doveva fondarsi sulle imprese e sull’edilizia statali e sugli organismi governativi per la
sicurezza sociale. Il suo nazionalismo si inscriveva in parte nell’atteggiamento
108
Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971.
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002, pag. 320.
110
Ibidem.
109
49
paternalistico condiviso dall’intero Partito Conservatore nei riguardi della classe
lavoratrice. Anche la precedente presidenza del più moderato Ospina Pèrez aveva adottato
un programma economico in cui i profitti industriali venivano ridistribuiti attraverso un
sistema di indennità concesse ai lavorativi su base annuale. Pérez era ricorso a simili
palliativi nel 1948, immediatamente dopo la morte di Gaitàn. Alla base della scelta di
promuovere un rudimentale sistema di sicurezza sociale c’era la convinzione dell’ala
moderata del Partito Conservatore che erano meglio contrattazioni collettive con gruppi
selezionati di lavoratori, soprattutto se appartenenti alla UTC e impiegati nelle moderne
fattorie agricole, che trattare con l’intera popolazione lavorativa.111 Il governo ultra
conservatore di Gòmez si allontanò da simili concessioni fatte alle forze sindacali. Per l’ala
più conservatrice della destra al potere le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro non
dovevano essere conflittuali, bensì dovevano ispirarsi ad un sostanziale sentimento di
solidarietà. La redistribuzione dei profitti sarebbe stata garantita da un forte controllo
statale sull’inflazione e dall’operato degli organismi governativi per la sicurezza sociale.
Scelte queste che non tardarono a produrre malcontenti sia tra i membri dell’Andi che della
Fenalco. Per la verità, questi meccanismi ridistribuitivi ebbero effetti assai limitati. Al
contrario, in un attimo vennero cancellati i pochi benefici ottenuti dai lavoratori urbani
dopo anni di lotte: i salari vennero congelati mentre i leader sindacali venivano
ferocemente perseguiti. Contemporaneamente, nulla venne fatto per migliorare le difficili
condizioni di lavoro del mondo agrario, che continuava a rimanere vincolato a forme di
dominazione tradizionale, con l’unica differenza rispetto ai lontani tempi della Repubblica
Conservatrice, che ora i grandi proprietari terrieri agivano sotto l’ala della legalità.112
Il ferreo nazionalismo di Gòmez e della destra più estrema trovava il suo fondamento su
un’idea di Stato forte, i cui poteri andavano accresciuti sia in campo economico che
militare. Se la coesione sociale del suo popolo non ammetteva alcuna conflittualità interna,
la stessa ostilità non era dimostrata nei confronti del capitale straniero. Con il fine di
favorire l’accumulazione capitalista in continua ascesa, gli investimenti stranieri erano
accolti nei migliori dei modi.113 Fu così che, per meglio orientare tali investimenti, venne
creata la Corporaciòn Financiera Industrial. Essi si concentrarono soprattutto nelle nuove
colture della canna da zucchero e del cotone, per quanto riguarda il campo agrario;
111
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
112
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
113
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.
50
nell’estrazione del petrolio, per quanto concerne il campo dell’industria. Tra il 1951 e il
1959 vennero create ben 114 installazioni industriali straniere: 12 più di quelle fondate in
tutta la storia precedente.114
In riferimento alla produzione petrolifera, l’unica operazione in senso nazionalistico che
venne condotta, fu la decisione di non rinnovare i diritti sulla concessione rilasciata alla più
importante tra le compagnie di petrolio internazionali, la Tropical Oil, nelle mani
dell’americano Jersey Standard. Tali diritti tornarono allo Stato colombiano e fu così che
nel 1951 nacque la prima e unica società petrolifera statale: ECOPETROL. Naturalmente
la Tropical Oil continuò a svolgere un ruolo primario nella commercializzazione del
petrolio.115
La violenza nel frattempo non mostrava sintomi di arresto: il paese continuava a vivere nel
caos più totale mentre la lotta si era intensificata nelle zone in cui gli interessi in gioco
erano molto alti, ovvero nelle aree di coltivazione del caffè. L’unica istituzione statale in
grado di esercitare una qualche autorità era quella dell’esercito. L’incapacità di frenare la
Violencia largamente dimostrata dal governo ultraconservatore, faceva crescere il
malcontento non solo tra la classe lavoratrice, ma anche tra gli interessi dei possidenti. Se
la guerra aiuta a rimodellare i confini delle proprietà e a difendere le nuove terre
conquistate, essa diventa un ingombro nella fase successiva all’espropriazione, in quanto
l’insicurezza mette costantemente a rischio i diritti di proprietà appena affermatisi. In
secondo luogo, la maggioranza delle elite economiche e politiche volevano maggiori
garanzie dal governo riguardo l’abbassamento delle tasse. Infine, l’insoddisfazione si fece
evidente nei riguardi della proposta di riforma costituzionale avanzata da Gòmez. Secondo
tale riforma, il potere parlamentare sarebbe stato fortemente limitato a vantaggio di quello
presidenziale, il suffragio universale eliminato e il controllo dell’istruzione riaffidato alla
Chiesa. Nel 1952 Gòmez dovette dimettersi per un malessere e venne sostituito da un
presidente ad interim, Roberto Urdaneta Arbelaèz. Il cambio di guardia alla testa del
governo non portò cambiamenti rivelanti. Urdaneta era stato difatti l’architetto della
crociata Anti-Comunista del 1945. Era un aristocratico, abile nella diplomazia al punto da
essere riuscito a ricoprire incarichi ministeriali in governi sia conservatori che liberali. Egli
proseguì nella direzione tracciata da Gòmez, quella cioè di considerare ogni tipo di
114
Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia,
www.gratisweb.com/ciclocrisis.
115
Guillermo Alvarez Carlos, Economìa y politica petrolera. Comisiòn de Derechos Humanos y
paz, Bogotà, 2000.
51
problema sociale come un problema di ordine pubblico.116 Pertanto, nel 1953 tutto
sembrava predisposto a che il generale Rojas Pinilla s’impossessasse del potere attraverso
un golpe militare.
Si chiudeva così la prima delle quattro fasi in cui, secondo Palacios e Safford117, si articolò
la Violencia. In questa prima fase, compresa tra il 1946 e il 1953, la violenza messa in atto
nelle campagne dai diversi attori in gioco (guerriglia liberale, forze paramilitari, polizia
conservatrice e forze militari) rispecchiava ancora le divisioni di partito in cui la
popolazione colombiana si era imbattuta fin dai tempi dell’indipendenza. In questa fase
iniziale, grazie al sangue versato in quegli anni, l’elaborazione dei miti che
contrapponevano liberali e conservatori da più di un secolo si completò. Da queste
rappresentazioni scaturirono una lunga serie di comportamenti e pratiche di violenza che
sarebbero state tramandate nelle fasi successive.
In nome dell’amnistia e dei programmi di pacificazione offerti dal regime militare di
Rojas, in Colombia quella che per Clausewitz è “la violenza originale, […], l’odio e
l’animosità, che deve essere considerata come una pulsione naturalmente cieca”118 e che
sta alla base di ogni guerra, cambiò forma ma non sostanza. Il nocciolo della
confrontazione non riguardò più la storica rivalità tra liberali e conservatori. In modo
sempre più chiaro si era passati alla lotta di classe. Conseguentemente, da allora in avanti
la guerriglia avrebbe acquisito gradualmente un carattere di tipo offensivo.
Il regime militare di Rojas Pinilla
La presa del potere di Rojas Pinilla venne sostenuta dall’insieme delle elite economiche, di
estrazione conservatrice e liberale. Anche gli Stati Uniti accolsero ben volentieri il golpe
militare, messo in atto da un uomo che Washington aveva già avuto modo di conoscere
(Rojas era stato Comandante Supremo delle forze militari colombiane che avevano preso
parte nella guerra di Corea) e che consideravano un moderato. Fu così che grazie al
Programma di Mutua Difesa, la Colombia fu il primo paese del continente sudamericano a
comprare jets statunitensi per la propria forza aerea. Per quanto riguarda il resto della
popolazione colombiana, le classi medio basse e la classe lavoratrice erano stremate da una
carneficina che non aveva subito arresti dal 1946. Esse vollero pertanto credere alle
promesse di questo generale, che si presentava al popolo con un linguaggio di tipo
116
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.
117
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
52
populista, che parlava di pace, giustizia e libertà e che si proponeva come unica autorità in
grado di guidare il paese nell’interesse dell’intera nazione, al di là delle divisioni tra
liberali e conservatori. Rojas non aveva una strategia chiara per porre fine alla Violencia.
Da subito, assunse un atteggiamento assai diverso da quello di Gomez, riconoscendo che
parte delle motivazioni alla base dello scoppio della Violencia avevano radici sociali ed
economiche. Ai principali leader della guerriglia venne quindi offerta l’amnistia, alla quale
risposero ben diecimila guerriglieri, che consegnarono le armi.
Nacquero nuove istituzioni quali la Segreteria Nazionale di Assistenza Sociale e
Protezione Infantile (SENDAS), che riuscì ad utilizzare i fondi messi a disposizione da
organismi internazionali quali FAO, UNICEF, e CARE per finanziare programmi di
distribuzione di alimenti, per l’assistenza medica e la riabilitazione delle vittime della
Violencia. 119
Infine, per sostenere la ripresa dell’economia, oltre che mantenere un forte controllo
sull’inflazione, grazie ai profitti derivanti dagli alti costi che il caffè era tornato ad avere
sul mercato internazionale, si agì su due fronti. Da un lato, venne varato un programma di
welfare, messo in atto dall’Ufficio di Riabilitazione ed Assistenza, che si proponeva di
promuovere la ripresa degli investimenti soprattutto nelle regioni maggiormente colpite
dalla Violencia e di restaurare la proprietà espropriata in modo illegale. Dall’altra, vennero
finanziati importanti lavori pubblici, quali la costruzione di sistemi d’irrigazione, centrali
idroelettriche, una rete ferroviaria lungo la costa atlantica e una stazione televisiva
nazionale. In questo modo Rojas sperava di assicurarsi il sostegno di quelle forze
economiche e politiche del paese che erano state così determinanti nel sostenere la sua
presa del potere: la piccola borghesia dedita all’industria e i nuovi proprietari terrieri, dediti
alle colture del cotone e dello zucchero. Parallelamente, queste riforme destarono il
dissenso di quei settori legati all’economia del caffè: inutile ricordare che tutti i fondi
statali destinati all’industria e alla diversificazione delle colture erano sottratti alla coltura
del caffè. 120
Il dissenso verso la politica di Rojas cominciò ad assumere dimensioni preoccupanti
quando le aspirazioni populiste del generale lo portarono a cozzare apertamente con gli
interessi economici e politici di chi lo aveva appoggiato fino a quel momento. In primo
luogo, i motivi del malessere furono generati da una serie di provvedimenti che miravano
118
Clausewitz C., Della guerra. Mondatori, Milano, 1997, pag. 71.
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.
120
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003.
119
53
ad alzare le imposte sui redditi industriali, a sostegno della politica sindacale del generale.
Rojas si preoccupò di dar vita ad una nuova confederazione sindacale di stampo populista,
la Confederaciòn Nacional de Trabajadores (CNT). Quest’ultima, doveva svolgere una
funzione di freno nei riguardi di quello che rimaneva delle due confederazioni nazionali
che, fino a quel momento, avevano raccolto la maggioranza della forza lavoro organizzata:
la CTC e la UTC. Queste scelte no piacquero affatto alle alte gerarchie ecclesiastiche,
secondo cui la CNT altro non era che un’imitazione dell’Asociaciòn de Trabajadores
Latino-americanos (ATLAS), voluta da Peròn.121 La Chiesa divenne pertanto un punto di
riferimento per l’opposizione al regime di Rojas, anche tra forze anticlericali. Fu così che
Rojas tentò di sedare il dissenso della Chiesa, intensificando il suo anti-protestantesimo e,
soprattutto, lanciando una crociata anti-comunista.
Il Partito Comunista tornò ad essere illegale. Era dal 1949 che le forze comuniste avevano
adottato una strategia di “auto-difesa”, in corrispondenza delle zone della parte orientale
degli Llanos, del Tolima e di Antioquia. Dopo la morte di Gaitàn i grandi latifondisti
cercarono di distruggere i gruppi di autodifesa contadini nati nel 1946. Il governo
conservatore di allora si schierò dalla parte dei latifondisti ed utilizzò i programmi di
colonizzazione per espandere le forze conservatrici attorno alle zone dominate dai
comunisti.
122
Come spiegarono pubblicamente nel 1952, lo scopo che condusse alla
formazione dei loro gruppi di guerriglia non era la di messa in atto di un “piano
rivoluzionario”, ossia, non aspiravano alla presa del potere. Il loro obbiettivo era quello di
“rispondere alla violenza dei banditi Falangisti con una violenza organizzata delle
masse”.123 Quando Rojas nel 1953 cessò le operazioni militari e promise l’amnistia ai
guerriglieri che avrebbero deposto le armi, la base contadina del Partito Comunista accettò
l’offerta dell’amnistia. Molti, tra coloro che avevano deposto le armi vennero assassinati.
Manuel Marulanda Vèlez (futuro leader delle FARC) e altri decisero pertanto di proseguire
la lotta, ossia di continuare ad organizzare l’auto-difesa contadina e di continuare a battersi
in difesa delle rivendicazioni contadine. La loro azione nelle campagne continuava ad
allarmare i ceti possidenti, perché questi gruppi guerriglieri cominciarono a finanziarsi,
“tassando” la popolazione e controllando la vendita del caffè. Nel 1955, le forze armate
lanciarono un’offensiva aerea e di terra. In particolare i bombardamenti aerei si
121
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.
122
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
123
AA. VV., Las verdaderas intenciones de las FARC. Observatorio de Paz, Intermedio, Bogotà,
1999, pag. 29.
54
concentrarono sulla città di Villarica, dove si compì un vero e proprio massacro. I
contadini sopravvissuti si rifugiarono nel Meta, dove diedero vita ai primi nuclei delle
Fuerzas Armadas Revolucionarias Colombianas (FARC).
In secondo luogo, Rojas premeva per la formazione di una “Terza forza”, ovvero una sorta
di movimento civico che avrebbe dovuto permettere la superazione della storica
contrapposizione tra conservatori e liberali. Venne creato il Movimento de Acciòn
Nacional. A questo punto, i timori delle elite economiche e politiche nei confronti del
probabile successo elettorale di quello che somigliava sempre più all’embrione di una
nuova formazione politica e nei riguardi della costante crescita del numero degli effettivi
dell’esercito, fecero sì che il Rojas venisse percepito come una minaccia, sempre più reale,
al loro potere.124
Quando Rojas Pinilla arrivò a sfidare l’intero sistema di potere, in seguito alla creazione di
due nuove banche nazionali e, nel 1956, del Banco Popular Hipotecario a favore dei ceti
medio bassi e bassi, le corporazioni padronali reagirono: l’Andi proclamò l’unico sciopero
mai realizzato nella sua storia. Contemporaneamente, i prezzi del caffè sul mercato
internazionale cominciarono a scendere. In questo clima di dissenso crescente, iniziarono
le trattative segrete tra le forze liberali e quelle conservatrici che confluirono nella firma,
presso la lontana località turistica spagnola di Sitges, dello storico accordo bipartitico che
prese il nome di “Fronte nazionale”. Correva l’anno 1957.
Il “Fronte Nazionale” (1957-1974)
Di fatto, l’accordo ideato dai capi dei due partiti tradizionali nel 1957 e approvato da una
votazione plebiscitaria125, stabilì l’alternanza al vertice dello Stato, tra le tradizionali
formazioni politiche. Inoltre, ogni quattro anni e per la durata di sedici anni, i due partiti
avrebbero provveduto a spartirsi equamente tutti gli incarichi governativi, a partire dai
seggi parlamentari, ai seggi ministeriali, a quelli delle assemblee regionali e municipali,
fino ad arrivare agli incarichi burocratici dell’intero apparato statale. L’alternanza venne
istituzionalizzata da un’apposita Riforma Costituzionale, con la quale si vietava a qualsiasi
altra formazione partitica, ogni possibilità di competere per l’assegnazione degli incarichi
dell’intero corpo legislativo. Infine, il nuovo testo costituzionale stabiliva una generale
124
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991.
55
diminuzione del potere parlamentare, dovuta alla necessaria approvazione di ogni suo
provvedimento, attraverso una maggioranza dei due terzi.
L’accordo sopraggiunto per porre fine ad una confrontazione che durava da più di un
secolo e che non si era limitata al solo campo della politica, si presentava come quel
grande rinnovamento capace di porre fine alla storica conflittualità e permettere al paese di
continuare lungo la strada dello sviluppo, della civiltà e del progresso. Allo stesso tempo,
sulla base della nuova collaborazione responsabile nata tra liberali e conservatori e delle
nuove restrizioni elettorali, le tradizionali formazioni politiche assunsero le vesti di unici
rappresentanti legittimi degli interressi nazionali.
La competizione elettorale non scomparve del tutto; essa si limitò alle diverse liste di
candidati, contrapponendo fazioni distinte, appartenenti a partiti opposti o allo stesso
partito. Né, il nuovo dettato costituzionale, specificava i requisiti necessari per essere
considerati membri dei due partiti tradizionali. Ciò significava che chiunque poteva
presentarsi alle elezioni come candidato liberale o conservatore indipendente. Questo
meccanismo, come ci ricorda David Bushnell126, limitava significativamente gli effetti
dell’esclusione legale nei riguardi di partiti terzi. Non bisogna dimenticare però, che
l’esclusione dell’avversario in Colombia era spesso stata non solo politica ma anche fisica.
Pertanto, per garantire una competizione libera reale, bisognava agire non solo con riforme
elettorali, ma soprattutto con quelle riforme economiche e sociali necessarie a garantire
una maggiore mobilità sociale. Inoltre, una competizione elettorale simile, contribuì
fortemente alla banalizzazione del dibattito politico.
In verità, le modifiche in atto in quegli anni in Colombia, sembrano rispecchiare le parole
di un famoso scrittore italiano, Giuseppe Tomasi de Lampedusa che, nella sua celebre
opera “Il Gattopardo”, scrisse: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto
cambi”.127
La logica funzionale, di quella che oggi viene chiamata da alcuni storici “Dittatura
costituzionale”128, continuò difatti, ad essere la stessa del passato: ossia, regolata da una
forte dose di clientelismo e una visione politica dell’intero sistema in cui lo Stato, i suoi
ministeri e le sue istituzioni, altro non rappresentavano che una torta da spartire tra le elite
125
Il Fronte Nazionale ottenne il 95% dei voti a favore; non solo, ma anche l’affluenza alle urne
raggiunse livelli molto elevati, sorpassando il 73%. Fonte: Palacios M., El populismo en
Cololombia.Bogotà, 1971.
126
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
127
Tomasi de Lampedusa Giovannni, Il gattopardo. Decima edizione, febbraio 1992, Feltrinelli,
Milano, pag. 41.
56
del paese. “I boss regionali, liberali e conservatori, mantennero il loro prestigio ripartendo
favori, da importanti contratti per i grandi uomini di affari, a nuove strade per gli abitanti
delle baraccopoli”.129
Per gli autori Palacios e Safford, il Fronte Nazionale tentò di unire il neoconservatorismo
con i principi alla base della passata Repubblica Liberale. Il risultato fu la
“nazionalizzazione del clientelismo”130, in cui l’accesso al potere non era più garantito
dall’appartenenza alle reti locali di potere, bensì dall’appartenenza all’apparato statale.
Né, la violenza, soprattutto quella praticata nelle campagne, cessò di manifestarsi. Secondo
Pecaut, con il Fronte Nazionale la violenza non si preparava a scomparire, ma a
istituzionalizzarsi. “L’ordine ristabilitosi nel 1958 corrispose più ad una violenza cronica,
che all’instaurazione del populismo. Anche se cronica, la violenza non minacciava il potere
delle corporazioni, né il mantenimento di un modello di sviluppo ortodosso e non
ugualitario, né l’egemonia dei partiti tradizionali.”131
Secondo Palacios e Safford132 invece, la seconda delle quattro fasi in cui si articola la
Violencia in Colombia, iniziata nel 1954, non si concluse affatto con l’inizio del Fronte
Nazionale, ma si prolungò fino al 1964. In questa fase, le pratiche di violenza perpetrate
dalle diverse fazioni in lotta, interferirono con questioni economiche centrali, legate al
processo di modernizzazione: dall’esubero dell’offerta di manodopera nelle terre coltivate
a caffè (in seguito all’avvio della modernizzazione della produzione agricola), alle
questioni legate al commercio e alla distribuzione del caffè, a quelle legate al controllo
della terra (ora contesa tra i coltivatori di caffè e dei nuovi prodotti minori, quali la canna
da zucchero, il cotone, i fiori). In questo senso, la violenza continuava a rappresentare un
mezzo d’ascesa sociale e di redistribuzione delle risorse. Non sono solo questi due autori a
ritenere la violencia come una “forma criminale di impresa economica”133 tipica di quel
periodo. Anche Carlos Miguel Ortiz parla di “violenza come business”.134 Le parole di
Alejandro Lòpez135 invece, sono molto utili per comprendere in che modo la terra
128
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 105.
129
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003.
130
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002, pag. 325.
131
Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 72-73.
132
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
133
Ibidem, pag. 351.
134
Ortiz M. Carlos, Estrado y subversiòn en Colombia. La violencia en el Quindìo años 50.
Planeta Colombiana, Bogotà, 1985,pag. 93.
135
Lòpez Alejandro, Problemas colombianos. Tercer Mundo Editores, Bogotà, 1993.
57
rappresentava il mezzo d’ascesa sociale per eccellenza. Negli studi fatti su una delle zone
più colpite dalla violenza di quegli anni, quella del Caldas e del Quindìo, di recente
colonizzazione, gli scontri coinvolgevano diversi attori sociali: contadini poveri contro i
proprietari delle grandi fattorie agricole modernizzate; coloni medi contro i grandi
proprietari terrieri; municipalità confinanti. Per tutti, l’obbiettivo era il controllo della terra.
Lo scontro che Lòpez definisce “la battaglia tra ascia e carta stampata”136, contrapponeva
gli uomini che si erano impossessati della terra con la forza e quelli che godevano di una
posizione nella gerarchia sociale tale da manipolare le decisioni legali sui diritti di
proprietà, a proprio favore. L’utilizzo della forza come mezzo per la conquista di potere
politico ed economico non si limitò solo alle campagne, ma si allargò anche alle piccole
città in crescita: qui, i killer assoldati dalle bande mafiose (tra cui i pajaros) utilizzarono la
forza per assicurare ai loro mandanti il controllo del commercio.
Infine, come già visto, in quegli stessi anni anche la guerriglia comunista si rafforzò
(soprattutto nella zona del Tolima e sul massiccio del Sumapaz), dando origine a
quell’embrione da cui, a partire da metà degli anni ’60, sorsero i gruppi di lotta armata.
Il processo di modernizzazione delle Forze Armate
Le strategie adottate dai diversi governi del Fronte Nazionale per risolvere il problema
dell’ordine pubblico seguirono il modello formulato dal generale Rojas Pinilla137. Le
proposte d’amnistia vennero affiancate dal “braccio di ferro”, usato con tutti coloro che si
mostravano restii all’abbandono delle armi. Inoltre, per tenere sottocontrollo il malcontento
nelle zone rurali e nelle periferie delle maggiori città colombiane, si ricorse all’ Azione
Civica Militare (ACM).
Per garantire la fedeltà delle Forze Armate e la loro subordinazione allo Stato (non più ai
partiti politici), il neopresidente Lleras Camargo (1958-1962) espose, in un discorso
pubblico tenutosi il 9 maggio del 1958, quella che passò alla storia col nome di “Dottrina
Lleras” e che ancora oggi continua ad essere la dottrina ufficiale di stato, circa le relazioni
tra civili e militari.138 Secondo i principi di questa dottrina la professionalizzazione delle
forze militari e l’aumento della loro autonomia nella gestione dell’ordine pubblico, sono i
mezzi necessari a garantire la fedeltà e la subordinazione delle Forze Armate all’autorità
136
Ibidem, pag. 39.
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
137
58
dello Stato. Uno dei corollari della “Dottrina Lleras” fu il ricorso allo stato d’assedio quasi
permanente negli anni del Fronte Nazionale. Anche se Bushnell afferma che molti dei suoi
strumenti non vennero mai messi in atto, anch’egli riconosce che il ricorso alla
giurisdizione militare per i reati d’ordine pubblico avvenne con una certa regolarità, e che
l’uso della tortura e il trattamento arbitrario delle persone cadute sotto la giurisdizione
dell’esercito non costituì un fatto isolato.139
Durante il governo di Lleras Camargo le Forze Armate attraversarono una fase di
transizione avvenuta su diversi piani. Innanzitutto, il governo riorganizzò il Ministero della
Guerra e il servizio d’Intelligenza Colombiano (SIC), che assunse il nuovo nome di
Dipartimento Amministrativo di Sicurezza (DAS). Nel 1960 il Congresso nazionalizzò le
forze di Polizia e, attraverso un decreto legislativo dell’anno seguente, collocò il Corpo
sotto la direzione del ministro di Guerra.140
Per quanto concerne le forze militari, si ebbero dei cambiamenti significativi riguardanti
diversi aspetti: l’organizzazione interna, il reclutamento e le modalità d’azione. Rispetto al
primo punto, un decreto del 1960 stabiliva che il Consiglio Superiore di Difesa Nazionale
sarebbe stato preseduto dal Ministro di Guerra e che ad esso avrebbero partecipato anche:
il Primo ministro, il ministro delle Opere Pubbliche, degli Esteri e delle Finanze. Nello
stesso anno venne creato il Consiglio Nazionale di Sicurezza, presieduto direttamente dal
Primo ministro, affiancato dal ministro degli Esteri, di Giustizia e di Guerra. Chiara era
l’intenzione di moltiplicare gli strumenti attraverso cui assicurare la subordinazione delle
alte gerarchie militari al potere civile e garantire i mezzi necessari alle forze militari, per
adempiere alle nuove funzioni dell’esercito, nel migliore dei modi possibili.
Riguardo al reclutamento, fino ad allora l’obbiettivo era stato quello di preparare un
numero sufficiente di riserve per mantenere un elevato quantitativo numerico di effettivi.
Le caratteristiche della guerra moderna richiedevano invece una maggiore
professionalizzazione delle reclute e una mobilitazione nazionale a più livelli: non solo
quello militare e politico, ma anche e soprattutto quello economico e industriale. Pertanto,
non era necessario che la maggior parte delle forze giovani del paese partecipassero alle
operazioni belliche, ma che molti di loro venissero impiegati nello sviluppo economico e
138
Leal Buitrago Francisco, El oficio de la guerra. La seguridad nacional en Colombia. Bogotà,
Tercer Mundo Editores, 1994.
139
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
140
Hernandéz Pardo Rafael, Memoria del ministro de Guerra al Congresso del 1961. Imprenta y
pubblicaciones de las Fuerzas Armadas, Bogotà, 1961.
59
industriale del paese. Inoltre, un degli effetti voluti della specializzazione del reclutamento
fu la diminuzione della presenza contadina nell’esercito, che passò deal 70% al 53%.141
Infine, circa i cambiamenti avvenuti nelle modalità d’azione delle forze militari,
determinanti furono gli avvenimenti internazionali, in particolare: a) le decisioni prese
durante il XX Congresso del Partito Comunista Sovietico del 1956, riguardo la transizione
pacifica al socialismo; b) il trionfo della Rivoluzione Cubana del 1959; c) l’approvazione
da parte del IX Congresso Comunista, nel 1961, della tesi riguardante la “combinazione di
tutte le forme di lotta”. Questi avvenimenti portarono l’allora presidente statunitense John
Fitzgerald Kennedy a pronunciare il discorso alla nazione del 28 marzo del 1961, in cui si
affermava che le minacce all’ordine e la pace mondiale potevano provenire da un attacco
nucleare, da un’aggressione diretta o indiretta, da un’infiltrazione, da una rivoluzione
interna, da un’insurrezione armata o da una serie di guerre limitate. La paura degli Stati
Uniti riguardava soprattutto gli effetti derivanti dalla diffusione degli ideali della
Rivoluzione Cubana sull’intero continente. Le forze militari dei singoli paesi apparivano,
agli occhi statunitensi, come l’unica forza capace di affrontare il nemico interno ai singoli
stati. Per rendere più efficace il suo operato, l’istituzione militare aveva però bisogno di
portare a termine il suo processo di modernizzazione, che gli avrebbe garantito una
maggiore autonomia e un aumento delle sue funzioni, assicurandogli un ruolo chiave nella
vita delle singole nazioni. Sulla base di quella che prese il nome di “risposta flessibile”, gli
Stati Uniti elaborarono i principi della teoria controinsurrezionale, che riconosceva
nell’azione civica militare una delle sue tattiche principali.142 Improvvisamente, si
guardava alla guerriglia non come l’origine dei disordini, ma come il risultato di una realtà
economica e sociale determinata. Era proprio su questo tipo di realtà che bisognava agire,
favorendo il progresso e lo sviluppo dei paesi latinoamericani. In particolare, secondo le
dottrine degli strateghi statunitensi diffuse attraverso le Conferenze degli Eserciti
Americani (CEA) e la Giunta Interamericana di Difesa (JID), convertita in braccio militare
della OEA, l’ azione civica militare avrebbe garantito la collaborazione tra la popolazione
e le Forze Armate.
In questo contesto, l’Ottava Riunione tra i Ministri degli Esteri partecipanti alla OEA del
1962, stabilì che le Forze Armate dovevano:
a) aprire le scuole militare al personale civile, permettendo la sua partecipazione ai corsi
tecnici;
141
Ibidem.
Child John, The Inter-American Military System. The American University, Ph.D. dissertation,
1978.
142
60
b) partecipare ai programmi governativi per il miglioramento delle condizioni sanitarie e
per la distribuzione degli alimenti;
c) fornire un aiuto tecnico nei programmi governativi riguardanti la costruzione di alloggi
popolari;
d) aumentare il numero di ingegneri dentro le truppe e aiutare la messa in atto del piano
nazionale riguardante le opere pubbliche;
e) appoggiare il progetto di legge sulla riforma agraria.
Ad ogni modo, durante il primo governo del Fronte Nazionale, quello di Lleras Camargo,
prevalse la “mano dura”, perché la debole coalizione appena costituitasi aveva bisogno di
rafforzarsi. La fedeltà delle Forze Armate all’autorità statale e la subordinazione del potere
militare a quello civile vennero ripagate non solo con un aumento dei salari militari e di
polizia, ma anche cedendo alle pressioni dell’ala conservatrice del governo, che stava
all’opposizione. Fu così che molti dei guerriglieri che accolsero la proposta di amnistia
vennero assassinati.143
Il generale Ruiz Novoa e l’ala progressista delle Forze Armate.
Fu durante il successivo governo di Guillermo Leòn Valencia (1962-1966) che la maggior
parte dei cambiamenti ideologici dell’istituzione militare trovarono la loro applicazione. Il
tutto non avvenne certo per volontà del presidente. Non che il presidente si discostasse
dalla linea assunta dal suo predecessore, quanto a sostegno delle scelte di Washington o a
sostrato ideologico anticomunista.
Piuttosto, le idee progressiste di alcuni ufficiali e
dell’amministrazione Usa non potevano attecchire su un uomo che aveva più volte reso
manifeste le sue simpatie verso la falange franchista. Inoltre, l’elite politica che lo
sosteneva nutriva forti dubbi sull’efficacia della riabilitazione e premeva per il
rafforzamento dell’apparato repressivo dello Stato. In effetti, tra il 1964 e il 1968, il
numero degli effettivi triplicò, passando da 22.800 a 64.000.144
A distinguersi come uomo chiave del cambiamento dell’apparato militare colombiano fu
pertanto il generale Alberto Ruiz Novoa, eletto Ministro della Difesa nel 1962. Si trattava
di un uomo la cui fedeltà era stata ampiamente provata per Washington, per aver diretto il
battaglione colombiano nella guerra di Corea. Grazie al vecchio amico di un tempo, le
accademie militari colombiane si riempirono facilmente di istruttori militari nordamericani,
mentre alcuni ufficiali colombiani vennero a loro volta inviati nelle accademie di Panama.
143
Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003.
144
61
Secondo le idee progressiste di Novoa, l’origine e lo sviluppo della Violencia erano
risultato di un insieme di fattori che fuoriuscivano dal campo strettamente militare. Di
conseguenza, più che attraverso misure militari, il problema dell’ordine pubblico andava
affrontato con misure politiche, socioeconomiche ed etiche. Nel 1962 il generale presentò
il Piano di Azione Civica Militare (ACM), che nello stesso anno venne implementato nel
paese con il nome di Plan Lazo. Con esso venne legittimato l’utilizzo di qualsiasi mezzo,
per arrestare l’avanzata del “nemico interno”: più volte, l’arrivo dei battaglioni di controguerriglia venne preceduto da bombardamenti al napalm. I principi base di questo piano
rispecchiavano i cambiamenti ideologici dell’istituto militare precedentemente esposti.
Unica novità introdotta fu la scelta di formalizzare la costituzione di gruppi formati dai
cosiddetti “cittadini onorati”, che presero ironicamente lo stesso nome di “autodifesa
contadina”, già usato in passato dai liberali ribelli e dai comunisti. Ai loro membri, il
governo decise di concedere ufficialmente il permesso “di acquistare armi regolarmente
immatricolate per difendere la propria vita e i propri beni”.145 Inoltre, per assicurarsi la
fedeltà dei membri di questi gruppi, il Piano Lazo specificava che la selezione del
personale scelto sarebbe prioritariamente avvenuta tra gli ex membri delle forze di polizia
e delle forze militari. Secondo le opinioni del gruppo de La Nuova Prensa146, questa scelta
rappresentava una sorta di “dimissioni dello Stato”147, era sintomo di una guerra civile e
per questo motivo l’esercito doveva intervenire per evitarla.
Secondo l’analisi di Alfred Rangel148 con la firma del Plan Lazo si apriva la così detta fase
“progressista”, nella quale l’atteggiamento adottato dallo Stato rispetto alle questioni
d’ordine pubblico e, nella fattispecie, al problema della lotta armata assunse la forma di
una confrontazione totale. Sulla base ideologica di un forte anticomunismo, la risposta si
articolò in una componente militare e una politica. L’obbiettivo della prima fu
l’eliminazione fisica dell’avversario e lo sradicamento delle “repubbliche indipendenti”.
Per questo, il Piano stimolò la militarizzazione dei comuni e delle regioni, soprattutto in
corrispondenza delle zone a più alta presenza della guerriglia comunista. Sotto questo
punto di vista, il Plan Lazo ottenne dei successi concreti, in quanto effettivamente queste
145
Plano Lazo, Dipartimento 2 del Comando Generale delle Forze Militari, Bogotà, 11 aprile
1962, documento contenuto in appendice nell’opera di Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y
seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà, 2000, pag. 263-270.
146
Questa rivista diffondeva le argomentazioni dei militari riformisti colombiani. Era controllata
da un settore nazionalista di destra, antioligarchico, contrario al Fronte Nazionale e ai partiti
politici tradizionali, a favore di un governo militare. Il suo primo numero apparve il 19 aprile del
1961. Queste considerazioni sono contenute nel n. 55 del 16 maggio 1962.
147
Ibidem, pag. 7.
148
Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y
Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001.
62
zone vennero riportate sotto il controllo statale. La guerriglia però, per natura era una
guerra di movimento. Pertanto, il recupero di alcuni territori non significava certo la
distruzione dei gruppi guerriglieri. L’obbiettivo della seconda componente, quella politica,
era l’avvicinamento delle Forze Armate alla comunità, per limitare l’appoggio della
guerriglia presso la popolazione civile. La grande novità introdotta dal Plan Lazo fu per
l’appunto il riconoscimento che la ribellione aveva cause di ordine economico e sociale. Fu
su questo versante che le Forze Armate fallirono: l’appoggio alla guerriglia crebbe, mentre
le azioni civiche realizzate dai militari nelle zone a più alta presenza delle forze comuniste,
vennero percepite per lo più come campagne di promozione dell’immagine militare.
Il generale Novoa, ispiratore del Piano e dell’anima più progressista delle Forze Armate,
arrivò ad affermare che tra le cause che avevano determinato il diffondersi e protrarsi nel
tempo della lotta armata, stavano sicuramente l’impunità dei responsabili intellettuali della
Violencia e la debolezza dell’autorità statale. Secondo il generale, in Colombia la violenza
era di tre tipi: a) politica, portata avanti dai vincitori delle elezioni; b) economica, che
utilizzava il terrore per acquistare la terra a basso prezzo; c) sociale.149
“Non è difficile provare che in Colombia esiste uno stato di ingiustizia nel possesso della
terra e che questa situazione sia la responsabile della povertà e del ritardo del progresso del
paese.[…] La maggior parte della terra non è in mano a chi la lavora e questo suo carattere
strutturale è totalmente inadeguato per stimolare la produzione.”150
Questo ed altri interventi tenuti pubblicamente nel corso del 1964 crearono scompiglio in
seno all’oligarchia colombiana, creando grosse pressioni sul presidente affinché ritirasse
l’incarico ministeriale al generale. Inizialmente Valencia difese il suo funzionario, ma
quando le pressioni cominciarono a provenire anche da settori delle Forze Armate, in
particolare dal generale Rebeiz Pizarro, Valencia cedette alle pressioni e destituì Ruiz
Novoa dal suo incarico.151 Così, anche il tentativo di emancipazione avvenuto in seno alle
forze militari, venne stroncato dall’alto. Inoltre, si procedette all’epurazione dell’esercito
da tutti quegli ufficiali che avevano abbracciato posizioni progressiste simili, riuniti nella
cosiddetta Estrella Dorata.
Gli echi del Concilio Vaticano II in America Latina e in Colombia
149
La Nueva Prensa, 15 settembre 1992.
Revista de las Fuerzas Armadas, 26 maggio del 1964, pag. 349.
151
Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.
150
63
Il nuovo clima progressista arrivò a coinvolgere anche la Chiesa. Fin dai tempi della
Conquista spagnola, questa istituzione si era da sempre distinta come perno centrale delle
posizioni più conservatrici. Nel corso dei secoli, molti suoi rappresentanti si macchiarono
di complicità e a volte della diretta partecipazione a crimini inauditi, rispetto a quanto
professato ufficialmente dalla fede cattolica. La nuova corrente democratica progressista
apertasi negli anni ’60 con l’apertura del Secondo Concilio Vaticano avvenne in seguito a
dei cambiamenti al vertice dello stato pontificio. Il nuovo clima ispirato al cristianesimo
sociale doveva sicuramente ringraziare il benefico contributo di Papa Giovanni XII, ma
non solo. Le alte gerarchie della Chiesa cattolica cominciarono ad essere profondamente
scosse dalla dilagante povertà delle classi popolari.152 Nel continente sudamericano, mentre
le alte gerarchie assunsero posizioni di progressismo moderato riguardo alle questioni
politiche e sociali, una minoranza crescente di preti cominciò ad avvicinarsi a posizioni più
radicali, condividendo parte delle teorie marxiste e sostenendo apertamente le cause di chi
combatteva in nome di principi rivoluzionari.
Nella fattispecie, nella realtà colombiana gli influssi della teologia della liberazione si
manifestarono con minore intensità rispetto ad altre realtà nazionali sudamericane. Forse
per questo motivo, l’esigua minoranza di preti che abbracciarono questi ideali in Colombia
assunsero posizioni ancora più estreme e militanti. Non si può non pensare a un
personaggio di fama leggendaria nella società colombiana, il prete Camillo Torres, il quale
incarna, a detta di Prolongeau, il Che “Guevara colombiano”.153 Oltre a rivestire il ruolo di
rappresentante di Dio in Terra, Camillo Torres fu titolare della cattedra di Sociologia nel
1960 all’Università di Bogotà. Dopo un soggiorno in Europa, tornato nel suo paese, si unì
ai gruppi marxisti e le sue posizioni divennero sempre più radicali. “Dalla rivolta Torres
passa alle riforme, dalle riforme alla rivoluzione, dalla rivoluzione alla lotta armata.”154
Nel 1964 entrò a far parte a tutti gli effetti dell’Ejercito de Liberaciòn Nacional (ELN),
appena costituitosi. Nel 1966 morì durante dei combattimenti.
Ad ogni modo, in Colombia prevalse la posizione moderata della Conferenza Episcopale
dell’America Latina tenutasi nel 1968 a Medellìn. Anche la Chiesa appariva
profondamente segnata da divisioni interne, così come tutte le altre istituzioni e gruppi
sociali del paese.
La politica agraria del Fronte Nazionale e l’Alleanza per il Progresso
152
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.
153
Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin.
Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 161.
64
Affianco alle nuove dottrine militari, Washington diede vita all’Alleanza per il Progresso
nel 1961, piano attraverso cui gli Stati Uniti s’impegnavano a donare ai diversi paesi del
continente sudamericano un’ingente quota di aiuti, per collaborare nello sviluppo della
regione.
Nella fattispecie, l’Alleanza stanziò 20 milioni di dollari per la Colombia, da versare a
favore del paese nel corso di dieci anni. Inoltre, la Colombia fu beneficiaria degli aiuti
dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (AID). In totale, tra il 1961 e il 1965, il paese
ricevette 833 milioni di dollari in aiuti e prestiti, da parte degli Stati Uniti e degli
organismi internazionali.155
Gli obbiettivi dell’Alleanza per il Progresso del 1961 in riferimento alla Colombia erano:
a) aiutare la nazione nella questione del bilancio dei pagamenti; b) rafforzare e
diversificare la produzione agricola; c) migliorare l’alimentazione della popolazione; d)
modernizzare il sistema di educazione. Per l’implementazione di tale programma, il punto
10 dell’Alleanza stabiliva l’invio dei cosiddetti Corpi di Pace, che avrebbero dovuto
operare sul campo per collaborare: a) nello sfruttamento intensivo delle terre; b) nella
costruzione delle case popolari; c) nella pianificazione e costruzione di strade.
L’organismo colombiano incaricato di facilitare l’azione dei Corpi di Pace fu La Divisione
Nazionale di Azione Comunale, sotto la direzione del Ministero del Governo.156
Fu così che al centro della demagogia populista dei governi del Fronte Nazionale, vi
furono le infinite discussioni attorno alla necessità di una riforma agraria e della sua
applicazione, col fine di accrescere il numero dei piccoli proprietari terrieri, permettere la
nascita e lo sviluppo di un mercato interno e riuscire quindi a diminuire la conflittualità
nelle campagne. In proposito, in linea con le decisioni dell’ Alleanza per il Progresso di
Kennedy, Lleras Camargo creò l’istituto di riforma agraria INCORA nel 1961. Lo scopo
era di provvedere alla redistribuzione della terra tra i contadini, attraverso l’esproprio delle
terre incolte dei grandi latifondisti e la distribuzione di terre pubbliche.
Ancora una volta però, il contenuto di altri provvedimenti varati in parallelo, non
garantirono gli effetti promessi.157 I risultati ottenuti dall’INCORA, furono un fallimento
se si pensa che in 14 anni espropriò solo l’1,5% delle terre occupate dai latifondi. Nel
154
Ibidem, pag. 162.
Randall Stephan J., Aliados y distantes. Historia de las relaciones entre Colombia y Estados
Unidos. Desde la Indipendencia hasta la guerra contra las drogas. Bogotà, Tercer MunndoEdiciones UniAndes-CEI,1992.
156
Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà,
2000.
157
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991.
155
65
complesso, negli anni del Fronte Nazionale non si registrarono miglioramenti negli indici
di polarizzazione sociale ed economica, né in quelli relativi alla crescita senza controllo
delle città. A metà degli anni ’60 la popolazione delle città principali continuava a salire di
500.000 abitanti l’anno. “Conservatori e liberali continuarono a privilegiare le grandi
imprese agricole, mediante l’adozione di politiche finanziarie e creditizie che favorivano
esclusivamente le unità produttive capitalistiche dedite all’agricoltura commerciale”.158
Nel 1966 fu la volta della legge agraria del presidente Lleras Restrepo (1966-1968). Il
presidente più illuminato del Fronte Nazionale cercò di combattere la dura resistenza dei
grandi proprietari delle imprese agricole commerciali, lasciando al mondo contadino
qualche spazio aperto per organizzarsi. La mobilitazione sarebbe comunque dovuta
avvenire sotto il rigido controllo statale. A tal proposito, venne creata l’ Asociaciòn
nacional unida de campesinos (ANUC). La base di sostegno dell’ANUC divenne, col
tempo, sempre più grande: se da un lato il movimento divenne sempre più indipendente
rispetto alla politica governativa, contemporaneamente, esso perse forza e compattezza,
man mano che le tensioni interne crescevano. Alla fine degli anni sessanta, negli ultimi
anni della presidenza Restrepo, le crescenti disillusioni rispetto ad una riforma agraria mai
messa in atto, condussero l’organizzazione contadina a radicalizzare la sua opposizione al
sistema di potere e a procedere all’occupazione di alcune terre. Le terre così ottenute
furono superiori, in superficie, a quelle che l’istituto agrario INCORA era riuscito a
ridistribuire nei dieci anni della sua attività. La decisione del governo di non intervenire
con la forza in quell’occasione, fu però accompagnata dalla stipulazione del cosiddetto
“Accordo di Chicoral” del 1971, che impediva qualsiasi altro futuro ridimensionamento del
latifondo.159 Fu allora che l’INCORA smise definitivamente di distribuire le terre.
Le motivazioni del fallimento dei progetti di riforma agraria di quegli anni, vanno in parte
ricondotte allo spirito sottostante le diverse proposte di riforma: il loro obbiettivo era
quello di trovare una soluzione immediata alla conflittualità, piuttosto che risolvere in
profondità le problematiche del mondo agrario e delle classi subalterne. Inoltre, con la
morte di Kennedy prevalse sull’amministrazione Usa e, di rimando sulla mentalità
dell’elite colombiana, la nuova visione sullo sviluppo del mondo agrario, promossa
dall’economista Currie. Questi, riteneva che il contadino rappresentasse un ostacolo per
l’agricoltura moderna e quindi allo sviluppo: la soluzione stava quindi nella sua
“eliminazione”, attraverso il sostegno allo sviluppo industriale, che avrebbe attirato la
158
Ibidem, pag. 82.
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
159
66
manodopera in eccedenza nelle campagne. Solo favorendo la grande proprietà, la sua
tecnicizzazione e l’aumento della mobilità del lavoro, la terra avrebbe finalmente avuto
modo di essere “libera” e costituire una base per lo sviluppo della nazione.160 “Man mano
che i proprietari terrieri cominciarono a rispondere in modo positivo agli incentivi
governativi offerti nel corso degli anni ’60, divenne improvvisamente chiaro che le grandi
proprietà potevano essere modernizzate e trasformate in efficienti imprese capitaliste”.161
Negli ultimi anni del Fronte Nazionale e durante i governi successivi ad esso, allontanatosi
il pericolo della propagazione degli ideali rivoluzionari nel continente sudamericano, per
mitigare il fallimento della riforma agraria, le elite politiche colombiane abbracciarono i
programmi ideati dalla Banca Mondiale per limitare la povertà nel mondo rurale. I
programmi di nutrizione vennero soprattutto messi in atto in quelle zone la cui popolazione
era considerata particolarmente vulnerabile all’azione dei gruppi guerriglieri.
Il processo di sostituzione delle importazioni o il processo di sostituzione
dei proprietari ?
Per quanto riguarda la politica economica nel suo complesso, l’autorità statale rimase
relegata in una posizione marginale. Nella politica industriale imperava l’ANDI, in quella
agricola dominava la FEDEGAN mentre, riguardo al commercio estero, era la potentissima
Federaciòn de Cafeteros a legiferare. Negli anni del Fronte nazionale, i gruppi d’interesse
assunsero le vesti di associazioni di categoria apolitiche. Nel corso degli anni ’60 e ’70 il
loro numero aumentò e, anche se molte di loro si presentavano come associazioni operanti
per l’interesse nazionale, di fatti, continuavano ad essere espressione degli interessi locali.
Vedi quelle operanti nella produzione dello zucchero di canna (dominate dagli abitanti
della Valle del Cauca), o delle banane (controllate dagli abitanti di Antioquia) dei fiori
(dominate dagli imprenditori della capitale).162
Per tutti gli anni del Fronte Nazionale, la Colombia continuò a dimostrare di voler
compiacere il più possibile le volontà degli Stati Uniti. Grazie ai regolari pagamenti del
debito estero163, all’utilizzo dei fondi e degli aiuti statunitensi per la messa in atto della
modernizzazione delle campagne e la professionalizzazione delle Forze Armate,
160
Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:
una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.
161
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003, pag. 70.
162
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
67
all’attuazione di un rigoroso controllo sulle nascite (si passò da sette a tre figli per
famiglia), l’amministrazione Usa fece della Colombia la sua “figlia prediletta”164 agli
occhi del mondo e dei suoi organismi internazionali. A queste ragioni, se ne aggiungevano
altre da comprendere alla luce del contesto internazionale. Il pericolo cubano si era
allontanato, ma la Guerra Fredda non si era ancora conclusa e gli Stati Uniti necessitavano
di alleati sicuri, a maggior ragione nel loro “cortile di casa”. Dagli anni ’50, l’America
Latina era afflitta dalle dittature militari (spesso sostenute dagli Stati Uniti d’America). Ad
ogni modo, questi non erano i regimi ideali per sostenere le rivendicazioni di Washington,
secondo cui la Guerra Fredda era un’epica battaglia tra il “mondo libero” e la “tirannia
Comunista”. La Colombia, con la sua regolare alternanza di governi civili, venne scelta
come vetrina dell’ Alleanza per il Progresso di Kennedy.
Le condizioni economiche della stragrande maggioranza dei colombiani durante gli anni
del Fronte Nazionale rimasero critiche: la recessione nell’economia mondiale del 1957-58,
aveva provocato una forte caduta del prezzo del caffè. Gli effetti negativi della recessione
mondiale furono più forti nelle economie dei paesi in via di sviluppo. In particolare, in
Colombia si registrò una caduta del prezzo del caffè del 16%, mentre i prezzi dei beni
importati scesero solo del 4%.165 Se nel ciclo economico precedente, le perdite dei profitti,
dovute ala crisi delle esportazioni, erano state compensate dallo spostamento dei capitali
dall’agricoltura all’industria, dando avvio al processo delle importazioni, ora, questa
soluzione aveva perso la sua efficacia iniziale. Ad ostacolare la crescita industriale
concorrevano alcune delle contraddizioni del sistema economico colombiano: il basso
tasso di profitto industriale e la bassa propensione al consumo della società colombiana.
Agli inizi degli anni ’60, la bilancia dei pagamenti cominciò a registrare i primi saldi
negativi a causa della combinazione di diversi fattori: la remissione degli utili degli
investitori esteri, il saldo dell’acquisto dei mezzi tecnologici importati, la consegna del
petrolio estratto, la caduta del prezzo del caffè. Tutto questo provocò una rapida fuga dei
capitali stranieri. Nel 1962 la classe dirigente decise di procedere all’applicazione della
soluzione proposta dal Fondo Monetario Internazionale, dando avvio ad una lenta ma
continua svalutazione del peso. Ciò provocò un graduale aumento dei tassi d’inflazione e
163
In questo campo la Colombia si distinse come unico paese del continente a rispettare le
scadenze dei pagamenti.
164
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003, pag. 69.
165
Mondragon Hector, Los ciclos y las crisis
economicas en Colombia,
www.gratisweb.com/ciclocrisis.
68
un processo di espropriazione delle ricchezze degli imprenditori nazionali ad opera del
capitale straniero: “il processo di sostituzione delle importazioni fu sostituto dal processo
di sostituzione dei proprietari”.166
Gli ostacoli al movimento sindacale
La caduta dei salari reali e l’allontanamento dei partiti dalle organizzazioni sindacali
provocò un periodo di agitazioni nel mondo lavorativo tra il 1957 e il 1966. Di fatti, la
chiusura del sistema di potere negli anni del Fronte Nazionale non solo era diretta contro
l’affermazione di formazioni partitiche alternative, ma anche contro la crescita e il
consolidamento dell’intero movimento sindacale. Alcuni storici sostengono che la
debolezza del movimento sindacale colombiano sia dovuta a motivi strutturali. Charles
Berquist167, ritiene per esempio che questa debolezza sia conseguenza del fatto che la
coltivazione del principale prodotto colombiano per l’esportazione, il caffè, ha interessato
in Colombia, soprattutto la piccola proprietà e che, per questo, ha escluso la classe
lavoratrice dal principale settore dell’economia.
Oltre a queste argomentazioni, è necessario tenere presente che la principale
organizzazione sindacale nazionale di quei tempi, la CTC, era stata il bersaglio principale
delle diffuse pratiche di violenza perpetrate, con l’ampio sostegno governativo, nel corso
dei dodici anni della sanguinolenta guerra civile seguita all’assassinio di Elicier Gaitàn.
Gran parte dei leader della CTC e molti suoi sostenitori furono fisicamente eliminati con la
Violencia. Il terrore che questa guerra riuscì a produrre e a diffondere in seno alla società
colombiana, fa sì che a tutt’oggi, tra i sopravvissuti, il ricordo di quei giorni costituisca
ancora un tabù. 168
L’altra grande organizzazione sindacale nazionale invece, la UTC, sorta durante i primi
anni della Violencia per volontà dell’allora presidente conservatore Ospina Pèrez,
espressione degli interessi dei grandi impresari agrari e della parte più conservatrice della
Chiesa, come già visto, era stata marginalizata negli anni successivi, durante il regime
militare di Rojas Pinilla.
Durante i sedici anni del Fronte Nazionale la mobilitazione della forza lavoro raggiunse il
suo culmine nel 1963, anno in cui venne organizzato un’ondata di scioperi dai lavoratori
della ECOPETROL, nella città di Barrancabermeja. Questi avvenimenti contribuirono alla
166
Ibidem, pag. 11.
Berquist C., in Violence in Colombia: The contemporary crisis in Historical Perspective,
Scholarly Resources, USA, 1992.
167
69
nascita di una delle formazioni guerrigliere più forti del paese, l’Ejercito de Liberaciòn
Nacional.
Ad ogni modo, i conflitti sul mondo del lavoro non destarono particolare attenzione
nell’opinione pubblica per il disinteresse mostrato dai partiti tradizionali e per l’autocensura operata dagli stessi media. Per limitare la libertà di stampa non era nemmeno
necessario ricorrere all’intervento pubblico. Era sufficiente negare il pagamento delle
entrate pubblicitarie e qualsiasi altro finanziamento ai giornali che non difendevano gli
interessi della classe dominante.169
Fu così che a partire dalla metà degli anni ’60 sorsero confederazioni sindacali regionali e
indipendenti controllate dalle forze di sinistra, soprattutto dal Partito Comunista. Tra il
1959 e il 1965 il numero dei lavoratori iscritti ai sindacati crebbe: da 250.000 a 700.000.
La Confederacion Sindical de Trabajadores de Colombia era l’organizzazione più
numerosa, ma non contava più di 100.000 iscritti.170
I governi del Fronte Nazionale scelsero di affrontare il problema della povertà crescente
rafforzando le comunità locali, soprattutto nelle aree rurali più marginali del paese, dove
l’intensità della conflitto era elevato e la presenza dello Stato era minima, se non
addirittura inesistente. Le cosiddette Juntas de Acciòn Comunal furono create dal primo
presidente del Fronte Nazionale, Lleras Camargo. L’idea di base era che in ogni comunità
si creasse un leader naturale, capace di dar voce alle necessità dell’intera comunità e di
agire nel nome dei suoi interessi. Questi comitati divennero i maggiori beneficiari degli
aiuti statali e i canali preferenziali attraverso cui le dinamiche clientelari vennero
consolidate nelle zone di recente colonizzazione.171
La nascita dei principali gruppi guerriglieri colombiani
Nel corso degli anni del Fronte Nazionale si costituirono le quattro principali formazioni
guerrigliere colombiane: il 1964 fu l’anno della nascita dell’Ejercito de Liberaciòn
Nacional (ELN); due anni dopo fu la volta delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de
Colombia (FARC); l’ Ejercito Popular de Liberaciòn (EPL) si costituì invece nel 1967;
infine, nel 1970 nacque il Movimiento Diecinueve de Abril (M19).
168
Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:
una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.
169
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
170
Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogot,
2001.
171
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
70
Si è già visto come in passato, in seguito alla Violencia degli anni ’50, si verificò la nascita
di gruppi di “autodifesa contadina” contro l’azione della polizia conservatrice (chulavita) e
dei primi gruppi paramilitari finanziati dai grandi proprietari terrieri (pajaros). Questi
gruppi, armati a scopo difensivo, furono inizialmente guidati da forze liberali e comuniste.
A partire dalla decade successiva, l’intensificarsi dei rapporti tra gli aderenti a questo
“movimento sociale armato”172 e il Partito Comunista contribuì alla nascita ed al
consolidamento di quello che in seguito divenne il gruppo guerrigliero più numeroso e
forte del paese: le FARC.
La Colombia si situa tra i paesi dell’America Latina in cui la portata raggiunta dalla
guerriglia ha superato quella delle realtà degli altri paesi latinoamericani, quanto a
diffusione all’interno della società e al suo protrarsi nel tempo. Le ragioni di ciò vanno
ricercate in diversi ordini di fattori. Uno dei principali è, sicuramente, la chiusura del
sistema politico scaturito da quella sanguinosissima guerra civile che fu la Violencia, al
termine della quale i sopravvissuti elementi del movimento democratico sconfitto e in gran
parte distrutto, dovettero scontrarsi con la realtà di un sistema fortemente autoritario e
dirigista. Il radicalismo dell’opposizione all’ordine costituito prosegue di pari passo con il
peggioramento della situazione economica delle classi subalterne e la contemporanea
ulteriore concentrazione delle ricchezze. “La riduzione degli spazi di intervento della
guerriglia ” coincise, nel corso di questo ventennio, ai pochi e limitati momenti in cui si
verificò “un ampliamento dei canali di partecipazione dei colombiani nella società e nella
politica”.173 L’intensità dello scontro rimase molto elevata per tutti gli anni del Fronte e del
suo smantellamento. Solo tra il 1958 e il 1966 ben 17.500 omicidi vengono compiuti per
motivi politici.174
Secondo gli autori Palacios e Safford175, i tipi di guerriglia sorti in Colombia possono
essere raggruppati in due tipologie: quella rurale- comunista e quella foquista. Le FARC
rientrano, per la maggior parte della loro storia, nella prima tipologia.
Le FARC sono nate nel mondo rurale per dare espressione alla volontà del mondo
contadino sostenitore di un tipo di colonizzazione autonoma, ossia non controllata dai
grandi proprietari terrieri. Ottenere una riforma agraria a vantaggio dei piccoli proprietari è
stato l’obbiettivo principale della loro lotta, per la maggior parte degli anni in cui essa si è
172
Pizarro Eduardo Longomez, Insurgencia sin revoluciòn. La guerrilla en Colombia en una
prespectiva comparada. Tercer Mundo, Bogotà, 1996, pag. 57.
173
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 89.
174
Ibidem.
71
manifestata, ossia almeno fino alla metà degli anni ‘80. In corrispondenza dei territori dove
la grande proprietà era fortemente consolidata, lo scopo della loro mobilitazione era invece
quello di ottenere migliori condizioni lavorative.176
La cosiddetta teoria foquista invece, ispirata dalla rivoluzione Cubana e dalle teorie
rivoluzionarie di Che Guevara, credeva che la rivoluzione dovesse essere guidata da
un’avanguardia armata di origine urbana. I membri di questa minoranza intellettuale
illuminata avrebbero dovuto lasciare la città per stabilizzarsi temporaneamente nel mondo
rurale. Qui, avrebbero beneficiato del contatto diretto con il mondo contadino grazie, al
quale sarebbero riusciti in un certo senso a purificarsi delle aspirazioni di potere proprie
della classe a cui loro stessi appartenevano, ossia la classe medio -alta.
Contemporaneamente, le loro idee rivoluzionarie e conoscenze intellettuali avrebbero
costituto un utile apparato teorico su cui si sarebbe strutturata la mobilitazione della base
contadina. L’ELN, l’EPL e l’M19 presentano chiari caratteri tipici di questo tipo di
guerriglia. Ad ogni modo, nonostante l’origine urbana di questi gruppi, l’insurrezione nelle
città ha ricoperto un ruolo marginale anche per loro. Di fatti, la loro mobilitazione si è
concentrata nel mondo rurale, soprattutto in corrispondenza delle terre di frontiera.
Le forme d’opposizione politica
Le uniche forme legali possibili di opposizione politica negli anni del Fronte Nazionale,
furono quelle rappresentate dal Movimiento Revolucionario Liberal (MRL) e dall’ Acciòn
Nacional Popular (ANAPO).
L’MRL era stato fondato nel 1960 da quello che sarà il primo presidente eletto dopo la fine
del Fronte Nazionale: Lòpez Michelsen, figlio dell’ideatore della Revoluciòn en Marcha,
Lòpez Pumarejo. Questo movimento osteggiava la politica conciliatrice del Fronte e
raccoglieva gran parte del suo sostegno nelle zone rurali. Sotto l’influsso della Rivoluzione
Cubana abbracciò posizioni ancora più a sinistra. Dopo un iniziale successo elettorale,
Lòpez Michelsen “deluse le aspettative dei suoi sostenitori tornando nelle fila del Partito
Liberale e negoziando con il politico di vecchio stampo Julio César Turbay Ayala, per
vincere il biglietto presidenziale.”177
175
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
176
AA. VV., Las verdaderas intenciones de las FARC. Observatorio de Paz, Intermedio, Bogotà,
1999.
177
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003, pag. 75.
72
I successi dell’ANAPO furono invece di più lunga durata. Il movimento era stato fondato
nel 1961 niente meno che dal generale Rojas Pinilla. Questo movimento riuscì ad ottenere
una mobilitazione popolare di ampie dimensioni, non più verificatesi dai tempi del
gaitanismo. Nato come movimento di protesta nei confronti dei due partiti tradizionali e
dell’intero sistema di potere oligarchico, si mostrò capace di canalizzare il malessere di
settori molto diversi della società colombiana, accomunati dal solo fatto di essere tutti
ugualmente esclusi dal sistema di potere. Inizialmente, l’ingresso del generale in campo
politico fu motivato più da un’esigenza di riscatto che da un progetto politico preciso,
elaborato nel nome dell’interresse nazionale. Lo stesso uomo che era stato elevato al ruolo
di unico possibile pacificatore della nazione dall’intera classe dominante del paese, si era
sentito tradito quando, quattro anni dopo, per volontà della stessa classe oligarchica, era
stato messo da parte e mostrato come un pericolo per i principi della democrazia e dello
Stato di Diritto. In una prima fase, questo movimento trovò sostegno nelle fila del Partito
Conservatore, soprattutto nelle zone rurali. Le sue critiche rivolte al sistema politico del
Fronte Nazionale, vennero elaborate all’insegna dei valori tradizionali, soprattutto cattolici.
Il suo atteggiamento antigovernativo e la sua demagogia antioligarchica, gli garantirono un
discreto successo elettorale fin dalle elezioni del 1966. Considerando la vaghezza del
discorso politico dell’ANAPO (basti pensare che fino al 1970 non accennò ad alcuna
proposta di riforma agraria), il suo successo si spiega in parte per il “malessere di certi
elettori rispetto ad un Fronte Nazionale che li obbligava a votare per un candidato, Carlos
Lleras Restrepo (1966-1970), impopolare tra gli antichi simpatizzanti gaitanisti, per essere
stato uno degli oppositori più fermi al movimento, e tra i conservatori, per aver diretto per
molto tempo la resistenza liberale contro il governo di Laureano Gòmez”.178 Nella sua
seconda fase, in seguito alle delusioni rispetto ai propositi riformatori del presidente Lleras
Restrepo, l’ANAPO trovò l’appoggio di numerosi sostenitori anche tra le forze liberali del
paese. La popolarità dell’ANAPO crebbe considerevolmente anche tra i settori più
emarginati delle città, dove l’organizzazione di Rojas Pinilla, aveva cominciato a costituire
le proprie reti assistenziali in modo da sostituire quelle clientelari del mondo rurale.
Nessun sindacato garantì mai il sostegno al movimento di Rojas Pinilla, anche se,
individualmente, molti membri dei settori organizzati appoggiarono la candidatura del
generale alle presidenziali del 1970.
La mobilitazione popolare ottenuta da Pinilla fu di ampia portata, nonostante il suo
discorso populista non suscitò mai l’immaginario di una società altra. Ad ogni modo,
178
Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 77.
73
“agitando il tema dell’ingiustizia sociale, di una società umiliata e con profonde
disuguaglianze, stava toccando la stessa corda di Gaitàn”.179 Naturalmente la classe
politica era ben cosciente della portata del successo ottenuto dal generale. Fu così che
utilizzò tutti i mezzi a sua disposizione per mettere a freno i pericoli di eventuali
stravolgimenti dell’ordine.
La seconda fase del Fronte Nazionale e il ritorno alla “crescita verso
l’esterno”
Un emendamento costituzionale del 1968 prolungò alcune delle regole dell’alternanza che
la precedente Riforma Costituzionale sanciva per il tempo di quattro presidenze. Nel 1974
caddero effettivamente le restrizioni riguardo la competizione elettorale per quanto
concerne la carica presidenziale e i seggi parlamentari; le cariche ministeriali invece,
avrebbero continuato ad essere equamente suddivise tra liberali e conservatori ancora fino
al 1978. Addirittura, nello stesso emendamento costituzionale si stabiliva che anche dopo il
1978, il partito vincente alle elezioni, avrebbe dovuto garantire una divisione “equa”
nell’esecutivo tra forze liberali e conservatrici (non specificando il significato di “equa”).
L’alternanza si prolungò in pratica fino al 1986, anno in cui il neoeletto presidente Virgilio
Barco costituì il primo governo dalla fine del Fronte Nazionale, in cui la maggioranza degli
incarichi ministeriali era affidata ad un solo partito, quello liberale.180
Con il 1968 ha inizio la seconda fase del Fronte Nazionale, in cui la volontà politica della
classe dominante affievolisce la sua componente populista per imboccare ancora una volta
la strada dell’autoritarismo e del dirigismo economico. L’inizio di questa fase successiva
coincide con la formalizzazione di quelle tendenze economiche già adottate, durante la
prima fase del Fronte Nazionale, dalla maggior parte dell’elite economica. Il nuovo
indirizzo di politica economica sanciva definitivamente l’abbandono di quelle misure
protezionistiche che avevano dato luogo al processo di sostituzione delle importazioni,
permettendo l’avvio dell’industria nazionale. Durante il primo decennio del Fronte il flusso
della manodopera in eccesso proveniente dalle campagne e diretta verso la città, aveva
contribuito fortemente allo stimolo di un’industria manifatturiera moderna orientata nella
produzione di petrolchimici, automobili, carta, prodotti metallurgici ed elettrici. Nel corso
degli ultimi anni invece, la maggior parte degli investimenti nazionali e stranieri erano
179
Ibidem, pag. 79.
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
180
74
tornati a concentrarsi sui beni di esportazione, col fine di sostenere l’agricoltura
commerciale e il processo di diversificazione dei prodotti agricoli. 181
Ancora una volta, le parole d’ordine tornarono ad essere quelle di “promozione delle
esportazioni” o “crescita verso l’esterno”.182 Tale cambiamento fu possibile grazie alla
ripresa dell’economia mondiale e al conseguente aumento del prezzo del caffè colombiano
sul mercato internazionale. Tutti gli sforzi fatti negli ultimi decenni per favorire la crescita
della produzione industriale e consolidare lo sviluppo del mercato interno, furono messi da
parte. Vennero introdotti due nuovi strumenti economici a sostegno dell’esportazione: il
Fondo de Promociòn de Exportaciones (PROEXPO) e l’Instituto Colombiano de Comercio
Exterior (INCOMEX); l’imposta sui valori esportati venne limitata; si stimolò la
circolazione di denaro estero sottoforma di crediti e si tentò di aumentare il controllo
statale sull’attività delle multinazionali, per evitare il rischio di una fuga di capitali (quale
era avvenuta in seguito all’ultima recessione mondiale del 1957-58); al potere esecutivo
venne riconosciuto il potere di emettere decreti a sostegno dell’esportazione e per il
controllo dell’occupazione. Nel 1969 si formalizzò l’adesione al Patto Andino concessa tre
anni prima dal presidente Lleras Restrepo. Questo patto avrebbe favorito le attività
commerciali e le collaborazioni economiche tra la Colombia, la Bolivia, il Cile, il Perù e
l’Ecuador.183 I paesi industrializzati tornarono ad investire in un mercato che prometteva
di crescere; d’altro canto, nei paesi occidentali si era conclusa la fase di espansione del
capitale e, conseguentemente, il tasso di profitto era tornato ad essere inferiore a quello
latinoamericano.
Con la presidenza di Lleras Restrepo la Colombia usciva dall’immobilismo della prima
fase del Fronte Nazionale: la modernizzazione del paese aveva ripreso il suo corso,
soprattutto per quanto riguarda il settore agricolo. Nonostante le scelte economiche
adottate fossero tutte a vantaggio dell’elite dominante, le ostilità verso il presidente liberale
rimasero inalterate, a causa della volontà di Lleras Restrepo di combattere e diminuire il
clientelismo alla base del sistema di potere. Battaglia questa che non si rivelò d’altro canto
sufficiente ad assicurargli l’appoggio dei settori popolari. Nel complesso, “Lleras Restrepo
non fece altro che aumentare le resistenze e risvegliare la sfiducia storicamente radicata
181
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.
182
Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia,
www.gratisweb.com/ciclocrisis, pag. 11.
183
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991.
75
verso il potere centrale.”184 Per sostenere le scelte economiche degli ultimi anni infatti, i
partiti tradizionali aumentarono la rigidità già mostrata nel corso dell’ultimo decennio
verso le rivendicazioni sindacali. Per regolare i conflitti di lavoro venne creato il Tribunal
de Arbitraje Obligatorio, dal quale rimanevano esclusi tutti quei settori considerati di
“pubblico interesse”. I salari vennero congelati.
Non a caso, nel 1968 venne promulgata la legge 48, pilastro legale del paramilitarismo in
Colombia. Il testo di questa legge conferiva al governo il potere di creare pattuglie civili e
rifornirle di armi di uso esclusivo dell’esercito. Si trattava del quadro legislativo di
riferimento per quanto stabilito dal Plano Lazo circa i gruppi di autodifesa. Inoltre,
cominciarono ad essere distribuiti manuali sull’organizzazione della popolazione civile, il
cui contenuto sostanziale identificava il “nemico interno” da combattere, con tutti i leader
dei movimenti organizzati protagonisti delle lotte sociali.185
Il 19 Aprile del 1970 iniziò l’ultimo mandato presidenziale del Fronte Nazionale. La
legalità delle elezioni che sancirono la vittoria del conservatore Misael Pastrana venne
messa in dubbio da gran parte dell’opinione pubblica di allora e da alcuni osservatori
internazionali. Alle elezioni partecipò, in veste di candidato conservatore indipendente,
anche il presidente dell’ANAPO: Rojas Pinilla. Mentre i programmi televisivi riferivano
sugli aggiornamenti riguardanti lo spoglio delle schede, quando il vantaggio di Rojas
cominciò ad essere evidente, le trasmissioni vennero oscurate. Qualche ora dopo le radio
annunciarono la vittoria di Rojas. Il giorno seguente, i risultati ufficiali attribuirono il
38,7% dei voti a Rojas e il 40,3% a Pastrana.186
Secondo Bushnell, quelle elezioni furono “rubate” né più né meno di quanto non lo siano
tutte le elezioni colombiane, caratterizzate da una serie di irregolarità commesse da tutte le
parti: “un po’ di false credenziali qui, un tocco di intimidazioni di là, mentre i sostenitori
del governo hanno chiari vantaggi a farla franca con i loro abusi.”187
Ad ogni modo, l’importanza di queste elezioni fu rendere evidente gli effetti della
“polarizzazione sociale senza precedenti”188 avvenuta in seguito al successo crescente del
movimento populista dell’ANAPO. Qualcosa di importante era cambiato nella cultura
184
Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 79.
Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:
una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.
186
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003.
187
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993, pag. 230.
188
Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 76.
185
76
politica della popolazione colombiana. Per la prima volta dall’inizio della storia della
Repubblica di Colombia, la divisione in seno alla società colombiana non si era articolata
secondo la tradizionale confrontazione liberali -conservatori, ma aveva assunto una
connotazione di classe: “i settori emarginati votarono in massa per l’ex dittatore, mentre
quelli più stabili votarono per il candidato del Fronte Nazionale.”189 Queste considerazioni
sono confermate dall’attenta lettura di Robert Dix190 dei dati forniti dal Dipartimento
Amministrativo Nazionale di Statistica della Colombia191, che mostrano una chiara vittoria
del generale nelle città, soprattutto per quanto riguarda i quartieri non residenziali, abitati
dalla classe media e medio- bassa.
La convinzione della frode elettorale avvenuta, radicata in alcuni settori urbani, sostenitori
del movimento di Rojas e non solo, determinò la fuoriuscita di alcuni intellettuali
dall’ANAPO che, unitisi ad altri dissidenti delle FARC, costituirono nel 1972 il
Movimiento 19 de Abril (M19). Questa nuova formazione guerrigliera portò con forza la
lotta armata nelle città, in particolare fu molto popolare nel Dipartimento del Cauca e nella
città di Cali.
In generale, per molti colombiani queste elezioni non rappresentarono che una conferma
ulteriore alla già diffusa convinzione dell’impossibilità della via democratica per un
rinnovamento reale della società.
La sconfitta di Rojas Pinilla segnava il fallimento dell’ANAPO e del populismo e apriva il
passo alla contestazione politico-militare. Nella popolazione “si installava una nuova
divisione, determinata dall’adesione o dall’opposizione alla prospettiva della lotta armata.
Ancora una volta, il populismo non apparve se non come una fase transitoria che condusse
alla riscrizione della divisione sociale nei termini della violenza politica”.192
La vittoria di Misael Pastrana corrispose ad un continuo aumento dell’autoritarismo per
garantire la continuità dello sviluppo capitalistico delle campagne e per affrontare la
conseguente conflittualità crescente.
Durante gli anni del Fronte Nazionale, le contraddizioni di uno sviluppo squilibrato, non
fecero altro che acutizzarsi. Le differenze dei tassi di crescita industriale registrati tra gli
anni 1968-74 e gli anni 1932-56, dimostrano che le aspettative di coloro che avevano
creduto
nelle
ricette
economiche
del
Fondo
Monetario
Internazionale,
dell’amministrazione Usa e dei suoi economisti non erano state ben calibrate. L’idea di
189
Ibidem, pag. 76.
R. Dix, Political opposition under the National Front, in A. Berry, R.H. Hellmann e M. Solaun,
Politics of compromise, New Brunswick, New Jersey, 1980.
191
Fonte: DANE, Boletin Mensual de Estadistica, n. 229, 1970.
192
Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 82.
190
77
base dell’americano Currie, di un “capitalismo creolo”
193
che, con l’aiuto del capitale
estero sarebbe riuscito finalmente ad eliminare gli ostacoli che si opponevano alla crescita
(senza però risolvere le profonde disuguaglianze sociali ed economiche), mostrava tutta la
sua fragilità.
I centri dell’innovazione rimanevano lontani, così come lontane erano le sedi delle
multinazionali. Proseguiva invece la riorganizzazione della divisione internazionale del
lavoro, attraverso cui alcuni settori della produzione venivano trasferiti nei paesi in via di
sviluppo, approfittando dei bassi costi della mano d’opera.194
Pertanto, le tensioni sociali durante gli anni del Fronte Nazionale si approfondirono:
l’adesione e il sostegno alla guerriglia si diffuse, così come alta fu la mobilitazione
popolare ottenuta dal movimento conservatore e populista del generale Rojas Pinilla. Nel
mondo contadino, il malcontento si raccolse attorno all’unica organizzazione legale del
settore, quella fondata dal liberale Lleras Restrepo, l’ANUC. Mentre la concentrazione
delle ricchezze non subì alcuna battuta d’arresto, la crescita costante del PIL nazionale non
risolse nessuno dei gravi problemi socioeconomici della società colombiana: la
disoccupazione in aumento, la disgregazione del mondo agricolo, la proletarizzazione di
gran parte dei settori urbani, la crescita dell’inflazione. Tutti questi elementi
approfondirono la disaffezione già radicata nella società colombiana verso l’autorità
centrale dello Stato e, più in generale, verso la politica come strumento di confrontazione e
di negoziazione degli interressi. La nuova ondata di autoritarismo sostenuta dagli ultimi
governi del Fronte Nazionale, non ottenne altro che l’aumento del consenso sociale, verso
forme di potere extrastatali. A fianco all’immagine venduta nel mondo di un paese
moderno, ricco e democratico si poteva scorgere un’altra immagine dai colori più vivi e
reali, di una “democracy by default”195, ossia di una “democrazia mancante”, alla cui
popolazione era impedito avere una propria rappresentanza politica attraverso cui
esprimere liberamente la propria opposizione alle politiche di governo, pena l’accusa di
sovversione.
193
Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia,
www.gratisweb.com/ciclocrisis, pag. 13.
194
Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogot,
2001.
195
Alberti, Democracy by default, Movimientismo and Social Anomie. Università di Bologna e
CESDE, 1991, pag. 1.
78
SECONDO CAPITOLO: LE CHIAVI DELL’ATTUALE
CONFLITTO ARMATO.
Introduzione: l’allargamento e la trasformazione del conflitto.
Negli anni successivi alla “dittatura costituzionale”196 le èlites politiche conservatrici e
liberali continuarono a collaborare per una gestione condivisa del potere. La teoria del
partito unico a due facce, condivisa da diversi autori, ci aiuta a capire come gli elementi
alla base di questa collaborazione risalivano a tempi ben più remoti rispetto a quelli in cui
l’alternanza al potere si era istituzionalizzata nel Fronte Nazionale. Alla base di questa
teoria c’è l’individuazione in Colombia di una cultura politica di tipo federale, che aveva
accompagnato lo stato oligarchico colombiano fin dalla sua nascita. Nel corso del capitolo
precedente ci si è soffermati su alcuni degli elementi base di questa cultura politica. Da un
lato, una logica di potere clientelare; dall’altro, la diffusa condivisione, tra conservatori e
liberali, della concezione di partito politico come espressione degli interessi di “signorotti”
locali e, quella di Stato, come bottino da spartire tra i vincitori alle elezioni presidenziali.
Era stata proprio questa cultura politica a fungere da motore di quei meccanismi che per
decenni avevano alimentato la medesima spirale di violenza. La chiusura del sistema
politico e il permanente rifiuto di adottare le misure necessarie per dare avvio alle
trasformazioni economiche, politiche e sociali rivendicate dalla maggioranza della
popolazione, avevano negato allo Stato colombiano la possibilità di fungere da mediatore
tra i diversi interessi rappresentati. Lo Stato colombiano non era stato in grado di svolgere
quella funzione che, secondo la moderna teoria democratica, legittima l’intero apparato
statale: garantire l’unità e la coesione sociale per la messa in atto di un progetto collettivo e
di un modello di sviluppo, espressione degli interessi dell’intera società.197
L’uso della forza ad opera delle elite politiche per la difesa degli interessi costituiti,
determinò il ricorso alla strategia della lotta armata da parte di settori della popolazione
sempre più ampi. La diffusione dei movimenti insurrezionali produsse, a sua volta, una
reazione statale ancor più repressiva e autoritaria. Il risultato più evidente ottenuto da
decenni di violenza fu la sfiducia verso la politica come mezzo di confronto in seno
196
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 105.
197
AA. VV., Repensar a Colombia: Hacia un nuevo contrato social. Panamericana Formas e
Impresos, Bogotà, 2002.
79
all’intera società colombiana. Crebbero così gli spazi, le occasioni e le motivazioni per il
consolidamento di poteri informali extrastatali: non solo quelli della guerriglia, ma anche
quelli del narcotraffico e del paramilitarismo. La crescita di questi poteri paralleli,
affiancati ad uno Stato incapace di garantire il monopolio della forza, finì per alimentare la
dilagante militarizzazione delle funzioni pubbliche.
Il tutto non fa che confermare le considerazioni di un noto teorico dello sviluppo politico,
Samuel Huntington.198 A fine anni ’70, egli elabora la teoria sociologica secondo cui la
stabilità sociale è il risultato del rapporto tra il livello di istituzionalizzazione di un paese e
il grado di partecipazione politica garantito ai diversi settori sociali. I rapidi mutamenti
sociali ed economici avvenuti nella seconda metà del XIX secolo nei paesi in via di
sviluppo dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina (quali l’urbanizzazione, l’ avvio
dell’industrializzazione, l’aumento del grado di istruzione e la diffusione dei mezzi di
comunicazione di massa) sono stati accompagnati da un aumento del benessere materiale,
ma anche da una crescita della frustrazione sociale. I motivi di ciò, vanno ricercati nel fatto
che la ricchezza ottenuta dallo sviluppo economico, non è stata sufficientemente
ridistribuita tra i diversi settori sociali. La mobilità sociale seguita al processo di
modernizzazione ha creato una serie di aspettative rimaste insoddisfatte a causa
dell’incapacità dimostrata dall’apparato statale di rispondere alle nuove aspirazioni
attraverso le sue istituzioni economiche e politiche. Pertanto, il malcontento non ha trovato
altra valvola di sfogo se non quella della forza e del conflitto sociale.
Infine, la redistribuzione in Colombia, così come negli altri paesi dell’America Latina,
dell’Africa e dell’Asia, non è stata ostacolata solo dalle esigenze capitalistiche di
accumulazione delle elite economiche nazionali, ma anche da quelle delle nuove elite
economiche in via di affermazione in campo internazionale.199
198
Huntington S. P., Ordine politico e mutamento sociale. Angeli, Milano, 1979.
Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogotá,
2001.
199
80
L’ apertura democratica e l’intensificazione della guerra sucia (19741989).
Lo smantellamento dello Stato interventista-protezionista in Colombia
Secondo Hector Mondragòn200, i governi colombiani succedutisi negli ultimi venticinque
anni hanno sposato la fede neoliberale. Questo ha sancito la definitiva emarginazione dei
ceti popolari e della vecchia classe dirigente che, scampata alla Violencia, era stata
protagonista e artefice della riconciliazione tra liberali e conservatori. I membri delle
nuove elite neoliberali in via di affermazione si formarono professionalmente nelle
maggiori istituzioni finanziarie internazionali (FMI e BM), nelle esclusive università di
Chicago e nella prestigiosa Universidad de los Andes di Bogotá. Dato il selettivo accesso a
questo tipo di istruzione universitaria, più economico che meritocratico, i legami di
parentela tra le vecchie e le nuove elite rimasero forti.
La novità del cambiamento riguardava soprattutto la base del consenso che la nuova
generazione di politici andava creandosi negli anni dello smantellamento del Fronte
Nazionale. Se la politica dei loro padri era stata formalmente impregnata di populismo
perché il loro scopo era stato quello di emergere come leader indiscussi degli interessi della
nazione intera, l’atteggiamento politico dei loro figli era tornato a rivolgersi esplicitamente
alle reti di potere su base locale.201
Nel capitolo precedente si è cercato di illustrare come molte delle scelte della classe al
potere durante il Fronte Nazionale, oltre alla demagogia populista e all’effettivo processo
di nazionalizzazione della forza realizzato, avevano perseguito i seguenti obbiettivi:
a) mantenere in vita e, in un certo senso, rafforzare le reti locali di potere sia in campo
economico che in quello socio-politico. Basti pensare al ruolo marginale ricoperto
dall’autorità statale nell’economia del paese, a vantaggio dei gruppi d’interesse
regionali e al mantenimento di un sistema assistenziale che privilegiava le giunte
comunali, a scapito delle grandi confederazioni sindacali;
b) favorire il più possibile gli interessi economici stranieri, in particolare del potente
vicino di casa, gli Stati Uniti d’America.
200
Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis economicas en Colombia. w w w . g r a t i s
web.com/ciclocrisis.
201
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
81
Ad ogni modo, durante gli anni del Fronte Nazionale anche lo Stato colombiano visse
momenti in cui accrebbe le proprie funzioni e la propria forza grazie ad un maggiore
intervento in campo economico, finalizzato all’avvio della produzione industriale e alla
crescita del mercato interno. Nella seconda fase del Fronte, anche se la classe politica
nazionale cominciò ad allontanarsi dal modello di sviluppo basato sul processo di
sostituzione delle importazioni, l’intervento statale in campo economico rimase forte. In
particolare, in seguito alla ripresa dell’economia mondiale, durante la presidenza di Lleras
Restrepo (1966-1970) l’intervento statale tornò a privilegiare il settore delle
esportazioni.202
Secondo Rosemary Thorp203 i meriti di Lleras in campo economico sono stati molti, in
particolare quello di essere riuscito a salvaguardare l’indipendenza nazionale rispetto alle
pressioni provenienti dal FMI, espressosi a favore del mantenimento di un tasso di cambio
flessibile e della svalutazione della moneta colombiana. Con la scelta di una politica
monetaria e fiscale “prudente”204 egli riuscì a garantire un aumento della produzione
nazionale (che a sua volta favorì la diversificazione degli investimenti privati), delle
entrate statali e delle sue possibilità di spesa, tenendo sotto controllo il tasso di inflazione.
Il primo governo dopo la fine del Fronte Nazionale, quello di Lòpez Michelsen (1974-78)
ebbe inizio in un momento difficile in cui, in seguito all’aumento del prezzo del petrolio
sul mercato internazionale ed all’esaurimento delle riserve dei giacimenti petroliferi
colombiani fino ad allora scoperti, il tasso di inflazione colombiano passò dal 7% nel 1973
al 25% nel 1974.205 Alla luce della nuova situazione internazionale i settori in espansione
per gli effetti positivi delle politica economica di Lleras, quello delle esportazioni non
tradizionali e delle costruzioni, subirono una forte battuta d’arresto. Nonostante le
difficoltà, Lòpez dimostrò una certa continuità con la tradizione colombiana, adottando una
politica monetaria rigorosa, che tenesse sotto controllo l’indebitamento pubblico con
l’estero. Per agevolare l’entrata di investimenti stranieri nel settore petrolifero, il governo
optò per un aumento della tassazione fiscale, con l’eliminazione di detrazioni e indennità.
Il processo di liberalizzazione del mercato annunciato dal presidente seguì un andamento
tutt’altro che lineare durante gli anni del suo governo. In campo finanziario la
liberalizzazione fu difatti accompagnata dalla nazionalizzazione delle banche, che provocò
202
Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis economicas en Colombia. w w w . g r a t i s
web.com/ciclocrisis.
203
Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia,
MacMillan Academic and professional, London, 1991.
204
Ibidem, pag. 150.
205
Ibidem, pag. 164.
82
una crescita del tasso d’interesse anziché una sua liberalizzazione. Parallelamente, l’indice
di liberalizzazione delle importazioni costruito da Garcia206 non mostra cambiamenti
significativi tra il 1974-78. Secondo Thorp207, l’implementazione di queste misure non
dipese dalle scelte amministrative della squadra al governo, piuttosto da due eventi da essa
indipendenti. Da un lato, la crescita del prezzo del caffè colombiano in seguito alla caduta
dell’offerta brasiliana sul mercato internazionale per motivi climatici. Dall’altro, l’entrata
di un enorme flusso di dollari provenienti dal commercio di sostanze illegali, quali la
marijuana e la cocaina. Poiché in nessuno dei due casi il governo aveva accesso diretto ai
profitti ottenuti, né aveva modo di incidere sulla loro distribuzione e sul controllo del
prezzo delle merci vendute208, l’unico strumento a sua disposizione per neutralizzare
l’aumento del flusso di dollari e frenare il tasso di inflazione era rappresentato da una serie
di misure rivolte a stimolare il risparmio privato e pubblico. Fu così che la spesa pubblica
venne drasticamente ridimensionata e che dal 1977 i salari registrarono una rapida caduta.
Pertanto il governò Lòpez ha spianato la strada al modello di sviluppo neoliberale, non
tanto in termini di liberalizzazione del mercato, quanto in termini di ridefinizione delle
relazioni capitale-lavoro. Nonostante fin dal suo arrivo al potere Lòpez abbia cercato
demagogicamente di porre al centro della sua politica la negoziazione, portando sul
medesimo tavolo delle trattative i rappresentanti del governo, dei sindacati e delle
confederazioni economiche,209 risultato di quegli incontri fu l’introduzione di quello che,
con le parole del presidente, venne definito salario integral: ovvero, un salario più elevato,
accompagnato dalla diminuzione delle già limitate garanzie sociali, a danno del regime
pensionistico e della stabilità lavorativa. In più, i profitti capitalistici ottenuti da queste
manovre, anziché essere investiti nel miglioramento della produzione nazionale, vennero
convertiti in strumenti speculativi che favorirono la concentrazione monopolistica.210
Anche Thorp ritiene che l’errore più grande commesso dall’amministrazione Lòpez e
dall’elite economica nel gestire il boom di quegli anni fu determinato dall’incapacità di
stimolare un incremento degli investimenti a favore della produzione industriale e di quella
agricola del cotone e dello zucchero. I profitti del boom economico produssero invece una
crescita incontrollata del settore finanziario, favorendo le operazioni speculative.
206
Jorge Garcia, The timing and sequency of a trade liberalization policy: Colombia 1967-1982.
Mimeo, World Bank, 1986, pag. 87.
207
Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia,
MacMillan Academic and professional, London, 1991.
208
Per quanto riguarda il caffè, questi strumenti erano in mano alla Federaciòn de cafeteros ed ai
produttori privati di cui essa rappresentava gli interessi.
209
Pecaut Daniel, Orden y Violencia. Tomo II. El Siglo XXI, Bogotà, 1988.
83
Infine, anche Palacios e Safford211 concordano col ritenere che la politica di Lòpèz altro
non fece che favorire i finanziamenti diretti al settore del caffè, a sostegno della grande
agricoltura commerciale. Secondo la loro analisi, Lòpez e la classe al potere erano guidati
dalla convinzione che i finanziamenti statali a favore dell’industria manifatturiera
avrebbero reso la produzione meno efficiente e competitiva ed avrebbero aggravato il
decifit statale.
Durante il successivo governo, quello del liberale Ayala Turbay (1978-82), il prezzo del
caffè colombiano cominciò progressivamente a scendere, anche a causa della ripresa della
produzione brasiliana. La moneta circolante rimase comunque abbondante grazie ai profitti
derivati dal mercato del narcotraffico, ma questo non fu sufficiente a finanziare la crescita
nazionale. Come vedremo più avanti, ai tempi dei grandi cartelli della droga, gran parte
degli investimenti dei narcos si limitavano difatti all’acquisto di beni immobili.
Contemporaneamente, il taglio della spesa pubblica deciso dal governo Lòpez aveva fatto
sì che le infrastrutture pubbliche si trovassero in uno stato di deterioramento tale da
ostacolare lo sviluppo economico del paese. Fu così che il nuovo governo cedette all’alta
offerta internazionale di credito e si indebitò pesantemente, guidato “dalla convinzione che
la messa in atto di grandi progetti avrebbe avuto un effetto a pioggia sull’intera economia
del paese”.212 Vennero eliminate anche le restrizioni riguardo l’indebitamento estero da
parte di soggetti privati. In particolare, per quanto riguarda questo settore i crediti si
concentrarono per il 43% a favore di soli 5 grandi imprese.213
Rapidamente, anche in Colombia si verificarono le stesse condizioni sfavorevoli che
caratterizzavano le economie del resto dei paesi latinoamericani, già da tempo attanagliati
dalle conseguenze negative legate alla crescita del debito estero, all’aumento del costo del
debito in termini di interessi, ai ridotti periodi di pagamenti concessi, all’ingente
indebitamento di poche grandi imprese. Man mano che il servizio del debito aumentava,
passando dal 18% nel 1977 al 33% nel 1982, si crearono le condizioni favorevoli al
processo di “latinamericanizzazione”214 della Colombia che spianò la strada alla finanza
estera per l’acquisto dei titoli di stato colombiani.
210
Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogotá,
2001.
211
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
212
Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia,
MacMillan Academic and professional, London, 1991, pag. 174.
213
Ocampo & Lora, Colombia y la deuda externa. Fedesarrollo, Tercer Mundo Editores, Bogotà,
1988, pag. 93.
214
Ibidem, pag. 87.
84
L’implementazione più radicale delle politiche di liberalizzazione appena accennate dal
governo precedente non produsse gli effetti sperati. L’estensione delle liberalizzazioni a
nuovi gruppi industriali nel cambiato contesto di recessione delle esportazioni produsse
un’ulteriore danno all’industria nazionale. Infine, l’aumento della corruzione nel settore
finanziario favorì la formazione di pochi e potenti gruppi ai quali venne data la possibilità
di indebitarsi senza limiti alcuni. L’intero sistema economico ne uscì fortemente
indebolito. 215
La militarizzazione delle funzioni pubbliche
Nel corso della seconda metà degli anni ‘70 e della decade successiva il risultato di queste
trasformazioni economiche e la mancata redistribuzione degli utili determinarono:
•
la risposta del movimento sindacale;
•
la diffusione e il rafforzamento della guerriglia;
•
lo sviluppo e il consolidamento di un’ economia informale dominata dal narcotraffico.
Il dilagare degli ultimi due di questi elementi contribuirono a creare un forte clima di
insicurezza generalizzata, per contrastare il quale le istituzioni governative favorirono
l’aumento e la diversificazione delle funzioni militari.
Fin dagli anni del Fronte Nazionale gli sforzi messi in atto dalla classe politica per
garantire la sicurezza e l’ordine pubblico si limitarono al potenziamento delle forze
militari.216 A causa dell’incapacità dello Stato di adempire alle proprie funzioni, da allora
le Forze Armate vennero sovraccaricate di attività, che non appartenevano all’ambito
strettamente militare. L’atteggiamento della classe al potere negli anni successivi al Fronte
Nazionale rimase inalterato: oltre alle funzioni civiche e sociali ereditate dal Plan Lazo, ai
militari vennero affidati compiti di polizia: dal contenimento delle tensioni interne, al
controllo del contrabbando di smeraldi e, successivamente, del traffico di marijuana e
cocaina. Di conseguenza, molti militari vennero coinvolti negli interressi locali a scapito
della loro professionalità.
Il timore che con la fine del Fronte Nazionale le tensioni sociali esplodessero senza
controllo e che le forze d’opposizione prendessero il sopravvento fece sì che anche i primi
governi seguiti al Fronte Nazionale ricorressero in modo quasi permanente allo stato
d’assedio: i militari continuarono quindi a svolgere quella funzione di “garanti dell’ordine
215
Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia,
MacMillan Academic and professional, London, 1991.
216
Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.
85
e delle istituzioni democratiche”217 di cui erano stati insigniti a partire dal 1962 con
l’adozione del Plan Lazo.
La risposta del governo liberale di Lòpez Michelsen (1974-1978) di fronte al diffondersi
della guerriglia e di altre forme di criminalità, fu l’istituzione nel 1974 della Comisión
Nacional para la Prevención de la Delincuencia. Dopo aver riconosciuto che il ricorso al
crimine in seno alla società colombiana non costituiva più il “risultato di fenomeni isolati
di disgregazione sociale, bensì stava assumendo forme permanenti di perturbazione”218, i
membri di questa commissione avviarono quel processo di militarizzazione delle istituzioni
statali che si sarebbe poi completato durante il successivo governo.
Gli anni dell’amministrazione del liberale Turbay Ayala si rivelarono di fatti tra i più
repressivi dai tempi della Violencia.219 Sull’esempio delle dittature militari argentine e
cilene anche la Colombia era ricorsa nell’ultimo governo del Fronte Nazionale, quello del
conservatore Misael Pastrana (1970-74), alla Doctrina de Seguridad Nacional. Secondo
questa dottrina, il nemico era interno e la necessità di combatterlo era vitale per la
sovranità nazionale: ogni opposizione al governo finiva quindi per essere considerata come
sovversiva e pericolosa per la sicurezza del paese. Turbay sposò in toto i principi di questa
dottrina e, grazie a lui, i militari assunsero una capacità d’iniziativa e uno spazio d’azione
mai avuti prima. Fu così che nel 1978 sottoscrisse una serie di leggi repressive, contenute
in un decreto legislativo che prese il nome di Estatuto de Seguridad Nacional. Tale decreto
va letto come atto risultante di una serie di misure adottate d’urgenza da Pastrana e da
Lòpez per contenere la protesta dei settori cittadini, sindacali e popolari.220
Anche per Alfred Rangel221 con Misael Pastrana si era aperta una fase nuova, in cui
l’atteggiamento adottato dallo Stato riguardo le questioni d’ordine pubblico e, in
particolare, in relazione alla lotta armata, aveva assunto le vesti dell’“indifferenza
totale”222. A partire dal 1970 e fino al 1982 la minaccia della guerriglia venne sottostimata
dal potere politico, tanto che l’attenzione si concentrò sulla difesa verso l’esterno, in
relazione ad una disputa territoriale con il Venezuela.
217
Ibidem, pag. 124.
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 98.
219
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003.
220
Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà,
2000.
221
Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y
Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001.
222
Ibidem, pag. 154.
218
86
L’Estatuto de Seguridad fu difatti una misura ideata e realizzata dalle Forze Armate più
che da quelle politiche. Con esso venne ufficialmente proclamata la supremazia della legge
d’emergenza rispetto a quella ordinaria. Il momento non era certo casuale: il paese stava
vivendo il massimo momento di espansione della guerriglia di origine urbana. Le sue
dimensioni erano comunque marginali rispetto alla guerriglia rurale, ma la sua visibilità
venne estremamente amplificata grazie all’M19.223
Con l’Estatuto de Seguridad si crearono nuove figure penali, aumentarono le sanzioni per i
delitti, venne permesso il giudizio dei civili ad opera dei militari, vennero ratificate le
facoltà straordinarie riconosciute alle autorità locali (sindaci e polizia regionale), si
stabilirono meccanismi di censura per le radio e le televisioni, venne negata la possibilità
di ricorrere in seconda istanza per le sentenze emesse dai comandanti dell’Esercito, della
Marina e della Forza Aerea.224
Inoltre, “anche se nello statuto la ribellione mantenne il suo carattere politico, vennero
introdotte tutta una serie di figure criminali, come l’associazione a delinquere, per non
riconoscere la connessione di questi crimini con l’origine politica della ribellione e ridurre
le manifestazioni di quest’ultima a questioni di reato comune.”225
“In un contesto in cui la società era scossa dal dilagare del narcotraffico e dal momento di
massima espansione del movimento guerrigliero, nella sua componente urbana e rurale, gli
effetti della repressione ricaddero soprattutto sui movimenti sociali e politici, studenteschi
e sindacali”226, a danno dei settori più emarginati dei quartieri delle grandi città, ma anche
del grosso della classe media urbana che fino ad allora era rimasta lontana dalla guerriglia.
A detta di Leal Francisco Buitrago, questo fu “uno degli esempi più eclatanti a conferma
dell’assimilazione colombiana della dottrina sudamericana di sicurezza nazionale.”227
223
Questo gruppo guerrigliero si era distinto fin dalla sua nascita per la spettacolarità delle sue
azioni, volte a mettere in ridicolo l’esercito. Basti pensare a quanto accadde nel gennaio del 1974,
anno della fondazione del gruppo. Uno dei suoi membri s’impossessò della spada di Simon
Bolivar, nientemeno che l’eroe della lotta per l’indipendenza colombiana, custodita nel Museo
della Quinta, nel cuore del quartiere residenziale coloniale di Bogotà, a due passi dal palazzo
presidenziale. Nei giorni festivi a cavallo del Capodanno del 1979 invece, alcuni uomini
dell’organizzazione clandestina riuscirono a svuotare completamente uno degli arsenali militari
principali del paese, quello del Cánton Norte. Dopo quell’episodio, tra esercito e M19 fu guerra
aperta.
224
Reyes Alejandro, Guillermo Hoyos e Jaime Herredia, Estatuto de Seguridad. Serie
Controversia, N. 70-71, Bogotà, Cinep, 1978.
225
Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà,
2000, pag. 220.
226
Ibidem.
227
Leal Buitrago Francisco, El oficio de la guerra. La seguridad nacional en Colombia. Bogotà,
Tercer Mundo Editores, 1994, pag. 104.
87
In quegli anni molte furono le violazioni dei diritti umani e le torture realizzate a danno dei
detenuti da parte di alcuni settori delle Forze Armate. Secondo il rapporto di Amnesty
International del 1980, in quell’anno vennero perpetrati almeno 6.000 casi di tortura. 228
Di fronte alle denuncie, la versione dei militari sotto processo era sempre la stessa: ossia,
“che nessun membro del corpo si era mai permesso di perseguire qualcuno a causa delle
sue idee politiche o filosofiche”; allo stesso tempo, “che tutti suoi membri avevano
dispiegato tutto il loro potere e loro mezzi, e avrebbero continuato a farlo, contro chi
ricorreva a metodi illegali per sovvertire l’ordine istituzionale”.229 Il popolo doveva
comprendere che il nemico non era definito, né manifesto, bensì latente e in azione, capace
di infiltrarsi in tutte le istituzioni, dalla famiglia ai gruppi economici. Il comandante
dell’Esercito, il generale Landazàbal, riteneva inoltre che anche il sistema educativo poteva
essere un mezzo di sovversione.230
Difatti, molte delle vittime degli arresti e delle torture perpetrate dall’esercito furono
insegnanti delle scuole medie, superiori e professori universitari. Come ci fa notare
l’economista e storico Hector Mondragòn, gli insegnati sono stati i bersagli più facili delle
Forze Armate perché, a causa della funzione pubblica da loro svolta, gli orari e i luoghi in
cui esercitano la loro professione sono informazioni di dominio pubblico. Mondragòn è
stato professore universitario nella città petrolifera di Barrancabermeja. Nel 1977, anno in
cui venne organizzato lo sciopero nazionale generale che registrò il maggior numero di
aderenti in tutta la storia contemporanea della Colombia, venne eletto come rappresentante
di un movimento civico di Barrancabermeja. Immediatamente dopo la fine della
mobilitazione, “ingenuamente”, come egli stesso ha affermato231, tornò nel suo luogo di
lavoro, l’Università. Qualche minuto dopo l’inizio della sua lezione venne portato via dalle
Forze Armate. Durante i giorni in cui fu tenuto prigioniero, venne torturato al punto che,
quando i militari decisero di lasciarlo libero, non era in grado di andarsene con le proprie
forze: di fatto non gli era possibile muovere nessuno dei suoi arti. Fu riportato a casa dai
suoi familiari. A causa dell’utilizzo da parte dei torturatori di forti scosse elettriche, a
tutt’oggi gli è impossibile avere piena mobilità del suo corpo, soprattutto per quanto
riguarda le dita delle mani, e la sensibilità della sua pelle è rimasta per sempre danneggiata.
228
Numerose furono anche le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale
commessi dai gruppi guerriglieri, come il sequestro di persona, gli attacchi contro la popolazione
civile, gli assassini mirati di membri della classe dirigente.
229
Revistas de las Fuerzas Armadas, N. 94, gennaio-marzo 1980
230
El Espectador, Bogotà, 19 gennaio, 1982.
231
In relazione alla ricostruzione delle violazioni perpetrate a danno di Hector Mondragòn, si fa
riferimento a quanto raccontatomi durante una conversazione informale avvenuta nell’aprile di
quest’anno.
88
Quel che è peggio è che a tutt’oggi gli è negata la possibilità di esercitare liberamente la
propria professione: il rischio di morte sarebbe troppo elevato. Continua coraggiosamente a
tenere conferenze in diverse città del paese a condizione che non venga fatta alcuna
pubblicità sulla sua presenza agli eventi pubblici a cui partecipa. Inoltre, è invitato in
numerose conferenze e convegni in diversi paesi europei, non solo per testimoniare quanto
gli è accaduto, ma per esporre le sue lucidissime e precise analisi circa la situazione attuale
colombiana e le sue origini storiche.
In questa fase, per quanto concerne invece la guerriglia rurale, essa non rientrò nelle
preoccupazioni né governative, né militari. Tutti gli sforzi si concentrarono nel combattere
quello che appariva il problema più visibile: la guerriglia urbana. Il risultato di questa
impostazione fu l’arresto di buona parte dei capi dell’M19, ma dal punto di vista politico,
l’offensiva messa in atto fallì clamorosamente. L’utilizzo della tortura e della repressione
indiscriminata da parte delle Forze Armate accompagnate dal beneplacito delle elite
politiche ed economiche che accettarono come necessarie l’applicazione di queste azioni,
non fece altro che favorire le possibilità di reclutamento della guerriglia.232 Quest’ultima
rafforzò la sua immagine a livello nazionale ed internazionale come unico strumento
contro le restrizioni delle libertà democratiche e contro l’oppressione.
Fu necessario attendere l’inizio della decade successiva e l’elezione del primo presidente
conservatore dalla fine del Fronte Nazionale, Belisario Betancur (1982-86), affinché le
questioni d’ordine pubblico tornassero ad essere affrontate in primo luogo dalla classe
politica anziché dalle Forze Armate. Per Betancur, la guerriglia non aveva solo un carattere
politico, ma anche “cause oggettive”.233 Il progetto politico di Betancur era ispirato da una
politica di pace in cui la messa in atto di una serie di riforme sociali ed economiche
costituiva la necessaria premessa delle negoziazioni tra il governo e la guerriglia. Fu così
che, per la prima volta, il governo riconobbe nei guerriglieri dei soggetti politici con i quali
interloquire. Venne così varato il Plan de Rehabilitaciòn (PNR), che prevedeva una serie
di investimenti governativi a favore delle zone più colpite dal conflitto. Queste misure
economiche furono accompagnate da importanti misure politiche, quali:
-
la concessione di un’amnistia, che portò alla scarcerazione di 700 combattenti;
232
Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y
Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001.
233
Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 139.
89
-
l’istituzione di una Commissione di Pace nella quale vennero incluse tutte le forze
politiche, comprese quelle di opposizione, tra cui i rappresentanti del Partito
Comunista, praticamente illegale;
-
l’avvio di una riforma costituzionale per l’introduzione dell’elezione popolare dei
sindaci.234
Il successo della politica di Betancur si concretizzò con la firma di due tregue bilaterali del
1983. La prima, con l’M19 e l’EPL i cui uomini rientrarono nella legalità. Fu allora che,
per volontà degli uomini dell’M19, venne aperto il dibattito circa la necessità di istituire
un’assemblea costituente per la redazione di un nuovo testo fondante. La seconda tregua
venne raggiunta con le FARC. I militanti del gruppo guerrigliero più grande del paese, per
numero di aderenti e per dimensione delle zone controllate, accettarono una tregua
incondizionata e diedero vita all’Union Patriotica (UP), una formazione partitica che
avrebbe dovuto favorire il transito dei guerriglieri, dalla lotta armata alla vita politica.
Il fallimento del processo di pace dipese dall’isolamento in cui Betancur venne relegato
dalla classe politica, dalle corporazioni economiche e dalle Forze Armate.235 Di
conseguenza, i contatti con i gruppi guerriglieri furono condotti da delegazioni prive di una
reale capacità di negoziazione, a causa della mancanza dell’elaborazione di un chiaro piano
politico di riferimento. Ancora una volta, alla base del fallimento governativo stava
l’incapacità di riunire le volontà dei due partiti tradizionali su temi chiave quali:
a) la riforma agraria;
b) l’intervento statale necessario ad assicurare l’incolumità delle forze di opposizione,
attraverso una definizione chiara del ruolo dell’esercito nel processo di pace236;
c) il rafforzamento del potere centrale nei confronti dei poteri locali;
d) la necessaria limitazione della mentalità guerriera predominante nelle Forze Armate.
Inoltre, anche tra gli alleati più stretti di Betancur vi erano alcuni elementi impregnati di
una visione troppo semplicistica della situazione, che considerava l’amnistia e i piccoli
spazi aperti sul piano politico, come misure sufficienti a risolvere una serie di
problematiche che il radicamento della guerriglia nel tessuto sociale faceva percepire come
234
Villaraga Álvaro, presidente del Consiglio Nazionale di Pace della Fondazione Colombiana
Democratica per la Pace. Intervento alla tavola “Smobilitazione, disarmo e reinserimento: passato,
presente, futuro” durante il seminario “La Cooperazione Internazionale in Colombia: Pace e Diritti
Umani?”, tenutosi tra il 14e il 16 aprile 2005 a Barcellona.
235
Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.
236
Solo tra il 1981 e il 1986 le bande paramilitari di destra furono responsabili di 3536 esecuzioni,
2028 casi di tortura e 645 casi denunciati di desaparecidos, secondo quanto ripartato da Giovanni
Casetta in Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti; Firenze, 1991, pag. 101.
90
questioni molto più complesse. Parte delle responsabilità del fallimento del processo di
pace vanno d’altra parte sicuramente ricondotte ai gruppi armati. “L’incapacità della
guerriglia di comprendere la portata dei cambiamenti in atto, in proporzione alla sua
debolezza e frammentazione, unita alla sopravvalutazione delle proprie capacità e il
conseguente riavvio delle proprie attività di guerra, ebbero un peso enorme nel fallimento
delle negoziazioni.”237
Le Forze Armate mostrarono fin dall’inizio una forte ostilità verso il progetto politico di
Betancur: ancora oggi la maggior parte di loro considera l’amnistia concessa da questo
governo e i suoi tentativi di negoziazione coi capi della guerriglia quali cause principali del
suo consolidamento in tutto il territorio nazionale.
La distanza tra autorità civili e militari divenne evidente nel 1985, l’anno dell’assalto da
parte di alcuni membri dell’M19 al Palazzo di Giustizia di Bogotà. A partire da allora la
guerra sucia contro i guerriglieri che avevano accolto l’invito del governo e avevano
abbandonato le armi, assunse dimensioni incontrollabili mentre le Forze Armate
cominciarono a fare proselitismo politico vero e proprio. 238
Nel 1985, per denunciare l’inadempienza degli accordi di pace e i passi indietro fatti da
Betancur nella lotta al paramilitarismo, 33 militanti dell’M19 assaltarono il Palazzo di
Giustizia di Bogotá e per ventotto ore tennero in ostaggio più di mille persone, tra cui 15
giudici della Corte Suprema. L’obbiettivo dei guerriglieri era quello di celebrare un
pubblico processo al governo Betancur. A “trattare” con i militanti furono immediatamente
inviati 2000 effettivi dell’esercito colombiano che, dopo aver sfondato il portone principale
con un carro armato, cominciarono a rioccupare il palazzo a suon di fucilate. Il bilancio fu
drammatico: 43 morti tra gli ostaggi (tra cui 12 giudici), 12 tra le forze armate e 33
guerriglieri, mentre vennero fatti sparire 13 superstiti.
Nei mesi successivi, le indagini del procuratore generale, Alfonso Gómez, condussero alle
accuse del comandante della XIII brigata, alla guida dell’operazione per la riconquista del
Palazzo di Giustizia, “di aver omesso ogni azione tesa a salvare la vita e l’integrità degli
ostaggi”.239 La mobilitazione dei vertici militari e delle elite politiche ed economiche a
difesa dell’accusato fu immediata. Dopo le costrette dimissioni, l’amara conclusione di
Gómez, a dispetto delle precedenti dichiarazioni di Betancur, fu la seguente: “ In Colombia
ci sono due costituzioni, una in edizione economica che si trova nelle librerie o dai
237
Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 141.
Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y
Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001.
239
Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 82.
238
91
giornalai, ad uso della maggioranza della popolazione, e l’altra assimilata silenziosamente
dal corpo della società e dello Stato, ad uso delle forze armate.”240
Un nuovo cambio sopraggiunse con l’elezione del liberale Virgilio Barco (1986-1890).
Nonostante l’amministrazione Barco avesse riconosciuto le cause oggettive del conflitto
armato, essa non condivideva il ruolo di primo piano che era stato riconosciuto ai
guerriglieri durante il precedente governo per la messa in atto del processo di pace.
Secondo gli uomini di Barco, quello di cui aveva bisogno il paese erano soluzioni più
tecniche. Bisognava cioè rafforzare il Plan de Rehabilitaciòn Nacional, per accrescere la
presenza dello stato nelle zone dove la guerriglia era particolarmente forte, limitando
l’appoggio che essa aveva tra la popolazione civile.
Le negoziazioni con le FARC, aperte dalla precedente amministrazione, passarono in
secondo piano La questione centrale divenne il disarmo dei guerriglieri, senza che esso si
vincolasse alle trasformazioni economiche e politiche rivendicate dai guerriglieri. Pertanto,
nonostante i meriti indiscussi del PNR, una tale strategia di pace che non soddisfaceva la
sua condizione fondamentale, ossia il riconoscimento dell’avversario, si dimostrò
evidentemente insufficiente. “Senza negoziazioni e in una situazione di guerra, il
movimento guerrigliero si rafforzò e la via militare tornò ad imporsi”.241
Basti pensare che “nel 1986, dopo venticinque anni di vita della riforma agraria del 1966,
erano stati distribuiti solo 900.000 ettari di terra, a beneficio appena del 4% degli aventi
diritto.”242 Questo dimostrava che, in materia agraria, i governi successivi al Fronte
Nazionale erano rimasti fedeli alla strategia politica che concentrava gli investimenti nelle
arre più ricche del paese, a vantaggio dell’agricoltura commerciale.
Lo slogan adottato dalla classe politica divenne quello di “mano tesa e braccio fermo”,
mentre aumentava il numero degli effettivi dell’esercito. L’unico risultato positivo ottenuto
dall’amministrazione Barco poco prima della fine del suo mandato riguardo al tema della
lotta armata fu la smobilitazione dell’M19, oramai allo stremo dal punto di vista militare e
politico: i suoi membri e simpatizzanti erano infatti stati il bersaglio principale delle Forze
Armate sin dal governo di Turbay Ayala e ancor più dopo gli avvenimenti del Palazzo di
Giustizia. Parallelamente, colpevoli di sequestri spettacolari (quali quello della sorella dei
tre fratelli Ochoa, narcotrafficanti ai vertici del cartello di Medellìn, avvenuto nel 1981) i
militanti dell’M19 vennero perseguitati con una ferocia e una determinazione mai viste da
240
El Palacio de Justicia y el derecho de gentes. Printer Editorial, Bogotà, 1986.
Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 154.
242
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 101.
241
92
uno degli squadroni della morte più pericolosi del paese, quello guidato dal
narcotrafficante Carlos Lehder, stretto alleato di Pablo Escobar.
La risposta del movimento sindacale.
Nel corso degli anni ‘70 la popolazione colombiana sperimentò una nuova forma di lotta,
quella dello “sciopero civico”. Si trattava di una strategia d’azione che combinava arresti
della produzione, blocchi stradali, marce collettive, proteste. Il 14 febbraio del 1977 venne
proclamato uno sciopero generale indetto dal primo consiglio nazionale formato dai
sindacati nazionali principali (l’UTC di stampo cattolico e la CTSC di stampo comunista) e
una serie di sindacati minori indipendenti: il Consejo Nacional Sindical (CNS). La dura
risposta governativa messa in atto dalle forze militari e di polizia alla mobilitazione
popolare che era riuscita a bloccare i servizi pubblici e i sistemi di trasporto dell’intero
paese, non fece altro che aumentare il sostegno della popolazione al CSN. Quello che
prometteva di essere il primo passo verso la realizzazione di un unione dei lavoratori, così
importante in un paese dilaniato dalle innumerevoli guerre e confrontazione civili,
spaventava la classe al potere. Tra il 1977-1978 ci furono 50 scioperi civici, tra il 1982-83
altri 78 per un totale di 5 milioni di persone mobilitate.243 L’ondata di repressione messa in
atto dal governo fu di tale intensità da diffondere il terrore tra la popolazione che aveva
aderito alle diverse manifestazioni. Assassinii dei maggiori leader sindacali e comunitari,
detenzioni, sparizioni, veri e propri massacri collettivi, fecero si che i successivi tre
scioperi generali nazionali, organizzati tra il 1984-87, ottennero mobilitazioni solo parziali.
Queste, ebbero comunque il merito di mantenere l’unità d’azione delle forze sindacali e
delle altre forze di opposizione ai tradizionali partiti politici. L’unità era stata la risposta
alle crisi interne ai quattro sindacati nazionali, legate alle trasformazioni economiche e
statali in atto e alla presa di coscienza che solo attraverso l’unità dei lavoratori la società
sarebbe stata in grado di trovare un’alternativa alla crisi e all’offensiva del capitale.
Si giunse così alla costituzione nel 1986 della Central Unitaria de Trabajadores (CUT),
ovvero la prima centrale “unitaria classista, democratica e progressista”244. Questa
243
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003.
244
Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogot,
2001, pag. 170.
93
confederazione, tutt’ora esistente, è nata come risposta difensiva davanti alla repressione
governativa diretta contro l’azione sindacale e contro ogni tipo di opposizione allo status
quo. Si tratta di un’organizzazione indipendente dallo Stato e dai partiti politici, i cui
membri si riunirono per la prima volta nel novembre del 1986 per sottoscrivere:
a) una dichiarazione di principi;
b) una piattaforma di lotta (che mira al raggiungimento di 13 obbiettivi, a tutela della
classe lavoratrice, urbana e rurale, dei diritti delle donne, della difesa ambientale);
c) le modalità per eleggere il Comitato Esecutivo della Centrale.
In alcuni dei documenti emessi nell’anno della sua formazione, si dichiarava che la CUT
sarebbe ricorsa alla “mobilitazione come forma principale di lotta, incluso lo sciopero” e
che avrebbe praticato “la più ampia unità d’azione con le organizzazioni popolari”.245
Oltre a fornire un’esaustiva analisi della situazione economica del paese, la CUT si
propone anche di elaborare piani di sviluppo economici alternativi; tuttavia, poiché tenta di
raggiungere compromessi tra forze sociali assai diverse, la sua forza propositiva presenta
molte debolezze. Il suo maggior merito è quello di aver proposto una forma nuova di
sindacalismo, in cui l’unità sindacale lascia il passo a quella dei lavoratori nel loro
complesso. Pertanto, fermo restando che l’unità dei lavoratori è il principio base da cui
partire, i membri della CUT credono nella necessità di procedere all’auto-organizzazione
dei lavoratori nelle singole imprese, nei singoli rami industriali, aziende agricole,
stabilimenti commerciali, etc. Inoltre, ferma è la sua opposizione alle imposizioni del FMI
e al debito estero. La CUT rappresenta quindi uno spazio sociale e politico nuovo nella
scena colombiana contemporanea, utile alla classe lavoratrice per lo sviluppo di una
coscienza completa della crisi.
I governi dei liberali Lòpez, Turbay e Barco, così come quello del conservatore Betancur,
cercarono di ostacolare l’unità d’azione realizzata dalla CUT, continuando a distinguere tra
un sindacalismo comunista e uno democratico. Intimoriti dagli effetti che l’unità delle
forze avrebbe potuto provocare, questi governi preferirono rimanere ancorati alla vecchia
strategia del divide et impera. Così, nei momenti di maggiore crisi, quando la
mobilitazione popolare ottenuta dalle forze sindacali raggiunse dimensioni davvero ampie,
i governi di entrambi i colori tentarono di raggiungere forme di contrattazione distinte, a
seconda dei soggetti coinvolti. In quegli anni di fatti, anche in Colombia erano giunti gli
echi della contrattazione, che rimase però relegata più al campo della teoria che a quello
245
Ibidem, pag. 171.
94
della prassi politica: “escluse le trattative per il salario minimo, non è mai esistita in
Colombia, nessun tipo di contrattazione in materia economica, lavorativa, sociale.”246
L’onnipresente rifiuto delle forze governative di trattare in materia economica con le forze
popolari e la persecuzione attuata verso suoi leader, non produssero altro che l’ulteriore
allargamento della disaffezione all’attività politico-legale. Parallelamente cresceva la
fiducia nell’efficacia della lotta armata grazie anche a quanto accadeva in quei decenni
nella vicina Nicaragua e in altri paesi del Sud America. La Rivoluzione Sandinista del
1979 aveva dimostrato che l’azione delle forze guerrigliere, ampiamente sostenute dalle
forze popolari, era in grado di far cadere una dittatura militare quale quella del generale
Somoza. La guerriglia era diventata particolarmente rumorosa anche nei territori del
Guatemala e del Salvador, mentre in Brasile e Argentina aumentavano le mobilitazioni di
massa.247
In tutto il continente latinoamericano diminuiva il numero di coloro che credevano
possibile canalizzare la mobilitazione di massa in atto in forme d’azione legali e pacifiche
e, con la stessa velocità, i diversi gruppi guerriglieri rinsaldavano il loro radicamento nel
tessuto sociale.
La diffusione e il rafforzamento della guerriglia.
Secondo Palacios e Safford248, quella che inizia nei primi anni ’60 e che termina con la
caduta dell’Unione Sovietica è la terza delle quattro fasi in cui si articola la violencia in
Colombia. Questo, è il trentennio del conflitto armato propriamente detto, in cui “l’azione
dei diversi gruppi guerriglieri aveva come obbiettivo comune la trasformazione
rivoluzionaria dell’ordine sociale e di quello statale che lo proteggeva”,249 attraverso le sue
forze militari e paramilitari.
In generale, gli obbiettivi politici di questi gruppi riguardavano riforme radicali che
investivano il piano economico (riforma agraria), quello politico (maggior apertura degli
spazi di partecipazione) e quello militare (minor ruolo dell’esercito nelle questioni d’ordine
interno).
A partire dalla fine degli anni ‘70 e soprattutto nella decade successiva, in risposta alla
militarizzazione delle istituzioni statali e all’aggravarsi delle condizioni di vita delle classi
246
Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:
una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.
247
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003.
248
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
95
subalterne per la concentrazione crescente delle ricchezze nazionali nelle mani di pochi,
l’attività della guerriglia crebbe considerevolmente. Dopo un lungo periodo in cui la
presenza dei gruppi guerriglieri si era limitata a zone rurali di frontiera, questi gruppi
raggiunsero anche il mondo urbano, nonostante la loro base sociale e politica continuò ad
essere fondamentalmente legata al mondo rurale. Nel corso degli anni ’80 queste
formazioni rivoluzionarie acquisirono delle dinamiche di crescita estremamente rapide,
raggiungendo delle dimensioni territoriali significative. Ciò fu possibile grazie alla
capacità di adattamento dimostrata dai gruppi guerriglieri colombiani rispetto ai grandi
cambiamenti strutturali che modificarono profondamente l’economia del paese. Dopo
essere stata per secoli centrata sulla produzione agricola di caffè, l’economia nazionale si é
difatti trasformata in brevissimo tempo in un’economia prevalentemente mineraria, che
ricava la maggior parte dei suoi profitti dall’estrazione del petrolio, del carbone e dell’oro.
L’abilità dei gruppi insurrezionali è stata quella di aver saputo sviluppare una serie di
dinamiche complesse che da allora legano l’economia guerrigliera a quella nazionale. “Le
principali attività produttrici ricchezze per la nazione equivalgono, e ciò non è casuale, alle
attività che producono la maggior parte delle entrate della guerriglia”250: petrolio e carbone
tra le attività legali; cocaina, per quanto riguardo quelle illegali, a cui, negli anni ’90, si
aggiunge l’eroina. Questo, ha permesso inoltre alla guerriglia colombiana di mantenere un
elevato grado di autonomia in relazione agli aiuti esterni, tra l’altro da sempre molto esigui.
Secondo Naylor, “l’economia di un gruppo insurrezionale è determinata, da un lato, dal
tipo di relazioni che esso riesce ad istaurare con il territorio e la sua popolazione, dall’altro
dalla capacità di controllo dello Stato su quelle aree”.251 In base a questa considerazione
egli ha stilato tre casistiche.
_ Quando la guerriglia è presente in un territorio limitato e i suoi legami con la
popolazione locale sono deboli, le sue attività economiche sono essenzialmente
“predatorie”252 (ad esempio, l’estorsione, gli assalti alle banche, i sequestri occasionali).
Data l’elevata capacità di coercizione dello Stato in queste aree, i gruppi rivoluzionari
cercano di ottenere il massimo del guadagno con il minimo dell’esposizione possibile.
249
Ibidem, pag. 354.
Rangel Suarez Alfredo, Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador
y Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001, pag. 369.
251
Naylor R.T, The insurgent economy: black market operations of guerrilla organizations. Nella
rivista Crime, law and social change, n. 20, Kluwer Academic Publishers, 1993, pag. 14.
252
Ibidem.
250
96
_ Quando le azioni di guerriglia cominciano a raggiungere l’ambito regionale e
dipartimentale, le loro attività economiche diventano “parassitarie”253: con esse i
guerriglieri cercano di integrarsi a lungo termine nel tessuto sociale. Un esempio è
l’estorsione in cambio della protezione.
_ La fase più avanzata è raggiunta quando la guerriglia ottiene un appoggio incondizionato
dalla popolazione delle aree da essa occupate, in cui la capacità di controllo dello Stato è
così bassa che le attività economiche illegali della guerriglia entrano in “simbiosi”254 con
quelle dell’economia formale.
Per Alfredo Ranger Suarez, “il prolungamento del fenomeno insurrezionale - circa
quarant’anni – e il suo rapido processo di crescita negli ultimi quindici anni sono
conseguenza dell’esistenza contemporanea delle diverse forme di economia guerrigliera
[…] nelle diverse aeree del paese, a seconda che la sua presenza sia recente o
prolungata”.255
Se nel mondo urbano l’esiguo appoggio della popolazione non gli ha mai permesso niente
più che delle azioni predatorie, nelle aree in cui essa ha ottenuto l’appoggio della
popolazione locale si è trasformata in parassita dell’economia regionale, soprattutto in
quelle zone attraversate da rapidi sviluppi in seguito alla scoperta di materie prime
minerarie di grande importanza economica. Solitamente, queste erano zone di frontiera
nelle quali la scarsa presenza istituzionale non permetteva il rispetto dei diritti, né il
compimento dei contratti.256
Infine, nei territori in cui l’arrivo delle forze rivoluzionarie ha addirittura preceduto lo
Stato, i guerriglieri hanno avuto modo di stabilire un’economia propria.
Per Vincent Gousset , “parte del successo, dell’arricchimento e della lunga durata della
guerriglia colombiana si spiegano per il fatto che essa è riuscita a costruire dei territori,
come spazi finiti, delimitati politicamente ed amministrativamente.257 In queste aree ha
saputo esercitare il monopolio della forza, amministrare la giustizia, stimolare l’economia
contadina: qui, la sua presenza, in contrasto con quella dello Stato, ha saputo mostrarsi
come garante degli interessi della popolazione locale, in particolare dei settori più deboli
ed emarginati.
253
Ibidem.
Ibidem.
255
Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y
Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001, pag. 386.
256
Montenegro Armando e Posada Carlos, Criminalidad en Colombia. Banco de la Repubblica,
Borradores Settimanale di Economia n. 4, Bogotà, 1994.
257
Gouësset Vincent, “El territorio colombiano y sus márgenes. La difícil tarea de la construcción
territorial”. Nella rivista Territorios, n. 1, Cider , Universidad de los Andes, agosto 1998, pag. 79.
254
97
Nel 1988 si costituì la Coordinadora Guerrillera Simon Bolivar, che aspirava a diventare
nel tempo una forza di coordinazione tra i guerriglieri appartenenti alle FARC, all’ELN e
all’EPL, sulla base della loro comune adesione alla matrice ideologica bolivariana.
Fino a quel momento Simon Bolivar, il Libertador, eroe della guerra d’indipendenza
colombiana, era stato rivendicato come eroe nazionale dagli ambienti della destra
conservatrice, in quanto espressione dei valori di autorità ed ordine. Inoltre, la vicinanza
iniziale del Partito Comunista con le forze liberali aveva promosso, negli ambienti più a
sinistra del paese, la contrapposizione dell’eroe Bolivar (a favore di un potere forte e
centralizzato) con quella di un'altra personalità storica: Santander (sostenitore di un potere
decentralizzato). Infine, la sottovalutazione del pensiero bolivariano viene in parte
attribuita alla critica che Marx rivolse all’indipendenza ottenuta dai paesi ispanici,
riconoscendo in essa lo strumento attraverso cui si è realizzata l’espansione del capitalismo
britannico.258
A 150 dalla sua morte, venne proposta un’immagine “più completa” del Libertador. Sulla
base di questi studi nuovi, emersero gli elementi che vennero riscattati dagli aderenti alla
Coordinadora Guerrillera Simon Bolivar. In primo luogo, essi condividono la concezione
dell’esercito di Bolivar: le forze armate devono essere super partes rispetto ai partiti
politici e la loro azione deve essere diretta al conseguimento degli interessi della patria. In
secondo luogo, considerano incompiuto il progetto dell’eroe colombiano. Questo progetto
si avvaleva di propositi politici che, attraverso la lotta anticolonialista, miravano
all’instaurazione di un regime rivoluzionario basato su profondi cambiamenti democratici.
Tali cambiamenti non sono mai stati messi in atto nella storia della Repubblica di
Colombia, a causa degli interessi dei settori meno dinamici della società: i latifondisti. Da
qui, il compito di questa organizzazione di dare continuità ai propositi politici del
Libertador.259
Di fatto, la Coordinadora Guerrillera Simon Bolivar non realizzò mai un’effettiva opera di
coordinamento tra i diversi gruppi guerriglieri, limitandosi a fornire alcuni elementi
ideologici vagamente condivisi, incapaci di eliminare differenze fortemente radicate.
258
Patiño Otty, Las verdaderas intenciones de las FARC, Corporaciòn Observatorio de PazIntermedio Editores, Bogotà, 1999.
259
Ferro Guillermo e Graciela Uribe, El orden de la guerra. Centro Editorial Javeriano, Bogotà,
2002.
98
In quegli anni non solo si rafforzarono le formazioni già esistenti e aumentarono i canali di
contatto tra loro, ma nacquero nuovi gruppi armati minori, tra cui quello del Quintìn Lame.
Questa organizzazione nacque per difendere quella che era, da oramai 500 anni, la
minoranza meno protetta dalla forza del diritto e la più castigata dalla forza delle armi: le
comunità indigene. La violenza perpetrata a danno degli indios non proveniva solo
dall’esercito. Negli ultimi anni, di fatto aveva preso piede una nuova consuetudine: quella
che vedeva i proprietari terrieri collaborare nientemeno che con alcuni membri delle
FARC. Questi, accettavano delle ricompense in denaro dai grandi latifondisti e in cambio
s’impegnavano ad utilizzare la loro forza per costringere alla fuga le popolazioni indigene
che si erano organizzate per la difesa delle loro terre.260
Le relazioni con i membri dell’M19 erano invece cordiali, al punto che furono i membri di
questa organizzazione armata di origine urbana ad addestrare militarmente i componenti
del Quintìn Lame.261
Con le ingenti ricchezze legate alla nuova economia legale (petrolio e carbone) e illegale
(cocaina) il controllo territoriale diventava sempre più vitale e importante per poter
affermarsi come soggetti politici ed economici. Nuove alleanze e nuovi conflitti nascevano
attorno a quello che rimaneva l’oggetto principale conteso in tutte le guerre che il paese
aveva vissuto fin dai tempi dell’indipendenza: il controllo territoriale.
Il controllo territoriale e la crescita del fenomeno paramilitare.
Fu così che la violenza nelle campagne continuò a seminare le sue vittime. Come nella
Violencia degli anni ’50, il maggior tasso di conflittualità veniva registrato nelle “regioni in
procinto di essere inserite nell’economia nazionale, come l’Urabá, il Magdalena Medio, il
Caquetá, il Guaviare, l’Amazzonia, etc.”262 La correlazione tra espansione del latifondo e
diffusione della guerriglia era diretta. Man mano che proseguiva la crescita dei latifondi e
parte della manodopera in eccesso emigrava verso nuove terre da colonizzare, nelle nuove
comunità fondate dagli sfollati prive di forti legami di coesione sociale, cresceva sia il
numero di contadini dediti alle coltivazioni illecite, sia il loro sostegno alla guerriglia.
260
Palechor Libio, Rappresentante del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca. Intervento alla
conferenza organizzata dalla Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia,
Barcellona, 14-16 aprile 2005.
261
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003.
262
Orejuela J.L., Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. In Narcotraffico en
Colombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá,
1991, pag. 212.
99
Contemporaneamente, aumentando il valore degli interessi legati al narcotraffico e il
conseguente numero di sicari reclutati per la difesa delle coltivazioni della foglia di coca e
delle sue raffinerie, cresceva la conflittualità tra guerriglieri e narcotrafficanti affiancati,
questi ultimi, dai paramilitari.
Guerriglia, paras e narcos erano le nuove componenti della stessa guerra che continuava a
spargere sangue nelle campagne sin dai tempi dello scoppio della Violencia e che aveva
come comune denominatore il controllo territoriale. Mentre i narcos erano espressione di
un potere economico e sociale emergente, la guerriglia e i paras erano attori presenti nel
conflitto colombiano da almeno tre decadi. Allo stesso tempo, le trasformazioni avvenute
in seno alla società colombiana avevano determinato profondi cambiamenti all’interno di
queste due organizzazioni armate. Difatti, lo sviluppo del narcotraffico ebbe importanti
effetti non solo sulla guerriglia, ma anche sulle forze paramilitari. Questi eserciti privati
reclutati dai latifondisti a difesa della grande proprietà fin dai tempi della Violencia degli
anni ’50, cominciarono a ricevere ingenti finanziamenti provenienti da coloro che si
stavano arricchendo col narcotraffico.
A causa della natura del conflitto, per lo più clandestino, è assai difficile fornire un
bilancio complessivo riguardo gli omicidi avvenuti in quegli anni. Solo tra il 1988 e il 1989
le morti furono 12.000, tra cui 5.200 ufficialmente riconosciute di matrice politica.263
Ancora una volta la popolazione contadina costituiva la vittima principale delle violenze e
dei massacri, per fuggire ai quali era costretta ad abbandonare la propria terra. Mentre lo
spostamento forzato della popolazione rurale continuava ininterrotto da oramai
quarant’anni, la frequenza e le dimensioni dei massacri raggiunsero livelli tali che l’intera
classe politica cominciò a temere i pericoli derivanti da una simile situazione.
La politica riformatrice di Betancur tentò di affrontare il problema affidando alla Procura
Generale il compito di avviare le prime indagini di governo sul fenomeno del
paramilitarismo. In particolare, l’attenzione si concentrò su una delle sue organizzazioni
più grandi e pericolose di quegli anni, il così detto Muerte a Secuestradores (MAS).264
Questa organizzazione di giustizia privata, fondata nel 1981, aveva ottenuto donazioni
generose dai capi del cartello di droga più potente della Colombia e del mondo, il cartello
di Medellìn. Alla guida del MAS vi era, non a caso, uno dei capi del cartello: Carlos
Lehder. Per il resto, l’organizzazione era formata da ex ufficiali dell’esercito e da
263
Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,
Firenze, 1991, pag. 104.
264
Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.
100
proprietari di fattorie del Magdalena Medio, zona in cui gran parte delle terre era di
proprietà dei narcos. 265
Difatti le persone che in questa regione avevano fatto fortuna con il traffico della droga
avevano cominciato ad investire parte dei loro profitti nell’acquisto di terre, che molti
proprietari del luogo erano stati ben felici di vendere ai nuovi acquirenti. Dato che la
presenza della guerriglia in queste zone era cospicua, l’arrivo dei nuovi proprietari portò
non pochi problemi agli abitanti del Magdalena Medio. I narcos infatti non si mostrarono
disposti a pagare la cosiddetta “tassa rivoluzionaria”, né temevano gli attacchi della
guerriglia perché disponevano a loro volta di armi sufficienti per rispondere al fuoco dei
gruppi guerriglieri. Così, mentre gli interessi dei narcos si avvicinavano sempre più a
quelli dei latifondisti e crescevano le collaborazioni tra i sicari della droga e i paras
assoldati dai grandi latifondisti (a cui si affiancarono elementi deviati delle Forze Armate)
sorsero numerosi gruppi rurali di autodifesa.266 Tra questi, il MAS rappresentava uno dei
più forti e meglio organizzati. Bersaglio di questo squadrone della morte divennero ben
presto non solo i membri della guerriglia ma anche i suoi simpatizzanti, uomini politici,
avvocati e giornalisti scomodi.
Le preoccupazioni riguardo l’aggravarsi del conflitto non riguardavano esclusivamente la
società civile. Forti insoddisfazioni circa i mezzi adottati dal governo per la risoluzione del
problema della guerriglia provenivano anche da parte di alcuni elementi delle Forze
Armate. “Dato che, a partire dal 1970 i fronti della guerriglia si erano visibilmente
moltiplicati nonostante le misure di sicurezza adottate, che l’Estatuto de Seguridad veniva
utilizzato per combattere l’opposizione legittima, e che il governo sottovalutava la portata
del progetto politico delle FARC, il generale Josè Joaquìn Matanalla si ritirò dall’esercito,
ritenendo che solo un movimento basato sull’adozione di misure socialiste avrebbe potuto
porre fine alla violenza dilagante nel paese.”267
A distanza di qualche mese dall’avvio delle indagini il capo della Procura Generale, Carlos
Jiménez Gomez, rese pubblico un documento con il quale si accusavano 163 persone di
appartenere al MAS, tra cui 59 ufficiali e militari in servizio. Nel testo del procuratore
generale si parlò, in modo molto esplicito, delle connivenze tra le forze militari e quelle
paramilitari. Con le stesse parole di Jiménez, si trattava di “ufficiali che, cedendo alla
265
Richani Nazih, The paramilitary connection. In NACLA Report on the Americas, vol XXXIV,
Settembre/Ottobre 2000.
266
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
267
Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge
History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 668.
101
tentazione di ottenere risultati” nella lotta contro il dilagare delle forze guerrigliere, “hanno
utilizzato dei civili, inizialmente come guide o informatori poi come sicari, per far loro
eseguire ufficiosamente delitti che non potevano essere eseguiti ufficialmente.”268
La reazione delle elite militari, politiche ed economiche fu immediata di fronte a queste
dichiarazioni. I vertici militari fecero in modo che il caso degli indagati passasse sotto la
loro giurisdizione. Ben presto il caso venne insabbiato e le accuse ai militari ed agli
ufficiali si convertirono in altrettante promozioni e avanzamenti di carriera nelle forze
armate. Il sostegno all’esercito provenne da tutti i settori dell’establishment: a partire dalle
associazioni degli industriali, degli agrari e dei commercianti, fino ad arrivare ai vertici
politici, Betancur incluso. Betancur aveva perso già da tempo il sostegno della
maggioranza delle corporazioni economiche e di una grossa fetta della classe politica,
secondo cui l’ordine pubblico era materia esclusivamente militare.269 L’appoggio alle
accuse della Procura Generale avrebbe messo fortemente in pericolo la sua posizione di
fronte all’esercito. Pertanto, si affrettò a dichiarare che “le forze armate non utilizzano
forze paramilitari, né ne hanno bisogno. La loro disciplina militare impedisce loro di
ricorrere a metodi contrari alla Costituzione, della quale sono i migliori guardiani.” 270
“La maggioranza delle vittime non sono guerriglieri, ma uomini pacifici, donne e bambini
che non hanno mai imbracciato un’arma contro le istituzioni”271. Queste furono le parole
utilizzate in un’udienza parlamentare quattro anni dopo dal presidente Barco (era il 1989)
in riferimento ai massacri attuati nelle campagne. Il presidente decise pertanto di affidarsi
ai servizi segreti colombiani (DAS) per la lotta contro le forze paramilitari. I risultati delle
indagini degli uomini del DAS misero alla luce l’esistenza di fosse comuni e di campi per
l’addestramento dei paras.
In realtà, le prime rivelazioni riguardo l’esistenza di questi campi furono rese pubbliche
dalla stampa colombiana. Nel giugno del 1989, il settimanale “Semana” denunciò i “servizi
di consulenza paramilitare”272 prestati ai narcos di Medellìn da alcuni ex ufficiali
israeliani. In particolare, nella rivista si accusò il generale israeliano Yair Klein di gestire
in prima persona numerosi campi di addestramento sparsi nelle campagne del Magdalena
Medio per istruire i sicari assoldati da Pablo Escobar e di aver architettato un gigantesco
traffico d’armi, che aveva la sua base logistica nell’isola caraibica di Antigua. La notizia fu
268
El Espectador del 20 febbraio 1983.
Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil.Cinep, Bogotà, 1993.
270
El Espectador, 13 marzo 1985.
271
El Tiempo, 20 aprile 1989.
272
Posada Camilo Ayerbe, In Colombia una guerra impari tra armi e parole. Nella rivista
Cooperazione, n. 102, gennaio 1991, Fratelli Palombi Editori, pag. 54.
269
102
resa nota dalla stampa internazionale solo a seguito del ritrovamento di una videocassetta
contenete immagini degli addestramenti e, solo nel dicembre del 1990, dopo una lunga
inchiesta il governo di Tel Aviv giudicò Klein e i suoi soci colpevoli di esportazione
illecita d’armi.
Dai rapporti dei servizi segreti colombiani emerse chiaramente il fatto che le connivenze
tra narcos, paras ed elementi deviati delle Forze Armate andavano oltre i semplici casi
isolati. A questo punto, l’establishment si adoperò per salvare il salvabile. “L’attenzione
dei servizi segreti si concentrò sul tassello meno difendibile del composito fronte
paramilitare, e cioè i narcos.”273 Contemporaneamente, dagli Stati Uniti giungevano
pressioni sempre più forti sul presidente per l’attuazione di un’efficace campagna contro il
narcotraffico. Fu così che in quell’anno ebbe inizio la “guerra alla droga”.
Sviluppo e consolidamento dell’economia informale dominata dal
narcotraffico
L’ulteriore concentrazione dei capitali e il conseguente impoverimento degli strati medi
avvenuto nel corso degli anni ’70, produsse una crescita notevole dell’economia informale.
Già da decenni le classi popolari riversatesi nelle città avevano trovato in questo tipo di
economia l’unica alternativa per sopravvivere. L’accoglimento dei nuovi poveri entro le
braccia dell’economia sotterranea non fu il solo fattore ad intervenire per assicurare un
ruolo di primaria importanza a questo tipo di economia. Le sue novità maggiori
riguardarono la nascita e il rapido sviluppo di attività legate ai traffici illeciti della
marijuana e della cocaina. La crescita del narcotraffico in Colombia, iniziata alla fine degli
anni ‘70 e largamente proseguita nel corso della decade successiva, va in parte letta “come
risposta delle classi medie e popolari colombiane alla crescente diminuzione di reddito e
all’immobilismo del sistema politico.”274
Fino a metà del XX secolo in Colombia marijuana e coca erano due erbe coltivate su
piccola scala e utilizzate da indigeni e contadini a scopi esclusivamente curativi.
A partire dagli anni ’60, per soddisfare la domanda statunitense di marijuana, per la quale
non bastava più la produzione messicana, in Colombia si diede avvio alla coltivazione
intensiva della canapa indiana. Poche famiglie della costa dell’Urabà si assicurarono in
breve tempo il controllo totale del trasporto della marijuana verso le coste della California,
273
Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 86.
Orejula J.L., Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en Colombia.
Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá, 1991, pag.
25.
274
103
dove la sua distribuzione proseguiva per mano di contrabbandieri statunitensi. La sua
produzione cominciò a scendere verso la fine degli anni ’70 quando la California e la
Giamaica entrarono nel mercato con varietà più pregiate.275
Mentre “gli Usa costrinsero il governo colombiano di Julio Cesar Turbay Ayala a dare
avvio ad una campagna di distruzione delle coltivazioni di canapa, allo stesso tempo
permisero che nel proprio territorio si sviluppasse una produzione tale da soddisfare una
parte della domanda interna.“276
Fu così che nella decade successiva le piste aeree e la forza lavoro impiegata nel business
della marijuana, vennero riutilizzate per la coltivazione della foglia di coca, la raffinazione
della sua pasta base e l’esportazione del prodotto finito: il cloridrato di cocaina.
Durante gli anni ‘70 il ciclo produttivo della cocaina non avveniva interamente in suolo
colombiano. L’impasto di foglie di coca veniva difatti importato dalla Bolivia e dal Perù,
paesi in cui cresceva una varietà d’erba più pregiata. Una volta passato il confine, gli
enormi quantitativi di questo impasto finivano nei laboratori colombiani. La coltivazione
intensiva della foglia di coca cominciò in Colombia solo un decennio più tardi, quando la
produzione boliviana e peruviana della foglia divenne insufficiente rispetto alla domanda e
i controlli aerei statunitensi lungo i confini con la Bolivia e il Perù cominciarono a
costituire un rischio troppo elevato.277
La Colombia, invece, ha da sempre detenuto l’esclusiva sulla seconda fase di
trasformazione della sostanza. In essa, l’impasto viene sottoposto a complessi procedimenti
che permettono di ottenere la cocaina di base. Quest’ultima, viene infine immersa
nell’etere (un alcool volatile che si trova facilmente nelle farmacie) e nell’acido cloridrico:
si arriva così, al cloridrato di cocaina. In tutto, i precursori chimici utilizzati nelle due fasi
di raffinazione sono cinquantadue, la cui maggior parte non è prodotta nel territorio
nazionale. I contadini cocaleros che forniscono la materia prima (la foglia di coca) altro
non sono che l’ultimo anello di questa lunga catena di produzione, che rese ricchi e potenti
coloro che impiantarono un laboratorio o si occuparono dell’esportazione del prodotto
finito. Basti pensare a qualche cifra: bisogna disporre di un quintale di foglie per ottenere
275
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
276
Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 160.
277
Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its
implications for regional stability. Rand, USA, 2001.
104
un chilo di impasto, dal quale è possibile ricavare al massimo duecento grammi di
cloridrato di cocaina.278
Dall’altra, alla fine degli anni ‘70 il costo di produzione di un chilo di cloridrato di cocaina
era di 12 dollari; lo stesso quantitativo sulle strade di New York valeva invece 10.000
dollari.279 Ancora più alti divennero i profitti ricavati dal riciclaggio del denaro sporco.
Inizialmente gli investimenti furono diretti all’acquisto di beni immobili negli Stati Uniti
ma, quando le limitazioni legali cominciarono a rallentare questo tipo di transazioni,
nacque una nuova figura di delinquente dal colletto bianco: fu allora che banchieri e
finanzieri ottennero la loro fetta di guadagno, grazie ai profitti derivanti dalle speculazioni
finanziarie.
Per Palacios e Safford280, le peculiari condizioni create da una disuguale distribuzione delle
ricchezze tra gli strati sociali e le aree geografiche del paese, l’assenza dello Stato in molte
delle zone periferiche e l’incapacità dei due partiti tradizionali di fungere da mediatori tra
gli interessi delle diverse classi sociali, crearono le condizioni necessarie affinché il
narcotraffico desse vita ad un vero e proprio sistema economico e un potere territoriale
parallelo a quello dello Stato. Tale sistema riuscì a permeare e coinvolgere l’intera società,
a partire dai contadini cocaleros che, per sfuggire ai morsi della fame e alla precarietà di
una vita fatta di stenti, accettarono in massa la conversione delle loro terre alla coltura di
quest’erba molto resistente alle intemperie, capace di fornire fino a quattro raccolti l’anno e
assai più proficua di altri prodotti tradizionali.
Anche gli strati subalterni delle città garantirono la loro collaborazione.281 L’appoggio
provenne innanzitutto dalle schiere di sicari reclutati per difendere gli interessi dei
narcotrafficanti: uomini e ragazzini, scelti tra le macerie delle baraccopoli delle periferie
delle grandi città colombiane, la cui fedeltà ai boss era garantita dalla voglia di fuggire
dalla miseria e di riuscire ad essere finalmente “qualcuno da rispettare”. Inoltre, negli stessi
quartieri di periferia venivano selezionate le cosiddette “mule”, gli addetti al trasporto di
quantitativi minori di droga. Si tratta di abitanti delle bidonville, così poveri e disperati da
accettare di ingerire fino a sessanta pacchettini (per lo più preservativi) riempiti di droga,
in cambio della ricompensa pattuita. Oltre a correre il rischio derivante dalla possibile
278
Ibid.
Montañana Antonio, Il ruolo della droga, in AA. VV., Colombiani: Storie da un paese sotto
sequestro. Indice Internazionale, Roma, 2000.
280
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
279
105
corrosione degli ovuli ingeriti ad opera dei succhi gastrici, la “mula” attira facilmente
l’attenzione dei doganieri. I motivi sono vari. In primo luogo, nella stragrande
maggioranza dei casi, si tratta di persone che parlano uno spagnolo nativo, tipico di chi non
è mai uscito dai confini della propria bidonville, in possesso però di un passaporto
nuovissimo. In secondo luogo, prima di imbarcarsi, molti di loro assumono pillole apposite
per combattere la nausea provocata dagli ovuli ingeriti. Le controindicazioni di questi
medicinali vanno dalla tachicardia, al colorito verdognolo a uno sguardo febbricitante.
Queste vittime sacrificali non sono il risultato di errori o distrazioni commessi dai narcos.
Al contrario, la loro presenza è funzionale a far sì che l’uomo elegantemente vestito al loro
seguito non incorra in nessun disguido e riesca a passare la dogana con il vero carico di
cocaina, tenuto nell’ impeccabile ventiquattro ore.
La complicità di ampi settori della polizia, guardie di finanza e doganieri fu determinante.
Senza la loro collaborazione sarebbe stato sicuramente molto più complicato, se non
impossibile, esportare quantitativi di droga dalle dimensioni molto più consistenti ed
ingombranti; così come altrettanto complicato sarebbe stato ripassare il confine
colombiano con intere valigie piene di denaro in contante. A questo scopo, venivano infatti
utilizzati non solo piccoli aerei e imbarcazioni private, ma anche voli nazionali e mezzi
della marina mercantile.282
Inoltre, il sostegno delle forze militari e di polizia era funzionale a garantire l’impunità agli
esecutori e ai mandanti degli orrendi massacri perpetrati ai danni della popolazione ad
opera delle forze paramilitari, strette alleate di molti narcos. Nel 1987 la rivista “Semana”
valutava che l’80% dei poliziotti di Medellìn fossero implicati nel narcotraffico a vari
livelli.283
Gli uomini politici attirati dai facili guadagni provenienti dal racket della cocaina furono
altrettanto numerosi, così come altrettanto elevate e prestigiose erano le cariche occupate
da alcuni di loro. Il primo scandalo risale addirittura al 1969, anno in cui il console
colombiano in Bolivia venne accusato di narcotraffico. Nel 1983 ben otto parlamentari
vengono denunciati per legami intrattenuti con alcuni narcos. Due anni più tardi il
parlamentare Carlos Nader Simons venne condannato a sei anni di carcere negli Stati Uniti
per traffico di droga. Lo stesso anno due senatori vennero accusati di riciclaggio di denaro
sporco. Nel 1986 toccò ad uno dei candidati alla presidenza del Partito Liberale, Eduardo
281
Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellín.
Biblioteca Universale Rizzoli.
282
Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994.
283
Semana, n. 247, del 27 gennaio 1987.
106
Mestre Sarmento, ad essere accusato di aver fatto da prestanome nel 1981 al capo del
cartello di Cali, allo scopo di garantirgli il controllo della Corporaciòn Financiera del
Boyacà.284 Nemmeno gli ambienti ai vertici della Repubblica rimasero esclusi da questa
ondata di arresti: il nipote di Mariano Ospina Perez venne arrestato a Miami dopo aver
consegnato un milione e mezzo di dollari ad un riciclatore che più tardi si rivelò un agente
della DEA; il nipote di Turbay Ayala rimase coinvolto in un’operazione antidroga a New
York; il fratello di Belisario Betancur cadde in un’operazione della DEA in Florida.285
Infine, l’apparato giuridico del paese ha rappresentato e continua ad essere la chiave
centrale dell’intera macchina. Il sistema legale colombiano, da sempre uno degli anelli più
deboli delle istituzioni nazionali, è rimasto ai margini della vita di un paese in cui la legge
è garantita più dalla forza delle armi che da una cultura democratica fondata sullo stato di
diritto, ampiamente condivisa dall’intera società.
Secondo l’analisi di Salomón Kalmanovitz Krauter286, le ragioni alla base della debolezza
del sistema giuridico-legale colombiano sono di varia natura. In primo luogo, egli sostiene
che l’origine cattolica e scolastica dell’impianto filosofico sottostante le istituzioni
colombiane ha impedito lo sviluppo di un sistema di giustizia efficiente ed ugualitario. La
visione cattolica del mondo, fortemente gerarchica e corporativa, non ha promosso lo
sviluppo di un’ideologia basata sulla responsabilità individuale, impedendo così
l’affermazione di principi meritocratici. Questa impostazione ha portato il sistema di
giustizia colombiana a negare la possibilità della rieleggibilità dei funzionari pubblici,
deresponsabilizzando la loro azione di fronte all’elettorato. In secondo luogo, la debolezza
della Corona Spagnola e la conseguente decentralizzazione amministrativa, ha permesso
l’affermazione della “tradizione della simulazione, in cui si compie l’apparenza ma si evita
il contenuto.”287 L’inganno tra gli individui e nei confronti dell’autorità è un elemento
presente nell’intera società colombiana, dai tempi del colonialismo ad oggi. In essa, quanto
più l’uomo è opportunista, tanto più è considerato scaltro e astuto. Tutto questo ha
ostacolato l’interiorizzazione delle norme. In terzo luogo, la mancanza di una tradizione
parlamentare forte a vantaggio del potere esecutivo ha reso possibile la subordinazione
della legge ordinaria alla legge dello stato d’assedio, dettato dalle diverse situazioni
d’emergenza (di ordine pubblico, economico, giuridico, etc.). Secondo tale prospettiva la
legge straordinaria concede diritti speciali ai diversi gruppi sociali, a seconda della forza
284
Ibidem.
Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994.
286
Kalmanovitz Salomón, Las instituciones y el desarrollo económico en Colombia. Editorial
Norma, Bogotà, 2001.
287
Ibidem, pag. 127.
285
107
con la quale vengono espresse le diverse rivendicazioni. Infine, il basso livello intellettuale
diffuso nell’intero apparato giuridico si aggiunge ai forti legami intrattenuti da molti suoi
membri con gruppi industriali- finanziari o addirittura illegali. Il risultato è stato un sistema
legale poco coerente, confuso, basato su un sistema penale poco rigoroso verso il crimine,
che si è tradotto in un’impunità generalizzata. L’impunità ha alimentato nel cittadino la
convinzione che il crimine paga. In questo contesto, l’impossibilità di una terza via rispetto
alla plata o al plomo (denaro o piombo), ha imposto la suddivisione dei giudici del paese
tra corrotti ed eroi.
A chi sostiene, secondo la teoria marxista, che la giustizia è sempre di classe, Kalmovitz
risponde che “in Colombia esiste un sistema di giustizia che non serve né alla classe
dominante, né a nessun altra classe. Per non incorrere nell’inefficienza e nella corruzione
del sistema legale, gli imprenditori hanno sviluppato un sistema semi-giuridico, che è
quello della conciliazione e dell’arbitraggio.”288 Secondo questa prassi, i conflitti in campo
economico vengono risolti amichevolmente nelle camere di commercio piuttosto che in
un’aula di tribunale.
L’analisi di Kalmovitz è utile anche a spiegare come l’ammirazione e la stima verso i
narcos fossero sentimenti largamente diffusi tra la popolazione, per la cui maggioranza, il
traffico di cocaina altro non rappresentava che una delle forme più redditizie dell’arte
dell’arrangiarsi.
Infine, anche il risentimento nazionale nei confronti dei gringos ebbe la sua parte fungendo
da lubrificante di questa immensa macchina.289 Il traffico di droga, oltre a beneficiare
soprattutto famiglie che fino a quel momento non avevano fatto parte dell’establishment
politico ed economico colombiano, si dimostrava in grado di privare i gringos di grossi
capitali.
La circolazione di quantitativi così elevati di dollari nell’economia informale aveva
provocato una sopravvalutazione del peso tale che il valore del dollaro sul mercato nero era
molto inferiore al tasso di cambio ufficiale. A livello macroeconomico, questa situazione
contribuì a prolungare gli effetti postivi della bonanza del caffè, i cui prezzi sul mercato
internazionale erano cominciati a scendere dalla fine degli anni ’70. Nel corso degli anni
‘80 fu la bonanza della cocaina a salvaguardare la stabilità della moneta colombiana dalle
numerose svalutazioni che colpirono le altre monete sudamericane. Il tutto, aiutò la
Colombia a saldare i pagamenti del debito estero e a comprare beni capitali che la sua
288
Ibidem, pag. 133.
108
economia tanto necessitava. Dall’altra però, fece sì che le sue manifatture perdessero
competitività nel resto dell’America Latina.290
Di fronte a questa inaspettata distribuzione di nuovi redditi, le elite economiche non si
limitarono certo a guardare. A partire dalla metà degli anni ’70 si assistette a diversi
tentativi fatti da parte delle istituzioni statali e private per far confluire gli alti profitti
dell’economia informale in quelli dell’economia legale. Una delle prime iniziative
provenne dal Banco della Repubblica. Per otto anni, dal 1975 al 1983, all’interno di
quest’istituzione bancaria fu possibile cambiare in pesos la valuta in dollari di dubbia
provenienza grazie ad un apposito sportello, la cosiddetta ventanilla sinistra. Messe da
parte le proposte di legalizzazione della produzione e della distribuzione della marijuana
avanzate negli anni ‘70, una volta scoppiato il coca boom nella decade successiva, molti
settori della società cominciarono a premere per la legalizzazione dei profitti legati al
traffico di droga, piuttosto che insistere sulla meno lucrativa legalizzazione del prodotto.
La concessione di un’amnistia di tipo economica era fortemente voluta anche da molti
narcos, interessati a convertire il potere economico acquisito in corrispondente potere
politico. Dopo anni in cui tali rivendicazioni erano state affidate al braccio armato dei
narcos, ossia bande di sicari che a volte finivano per affiancarsi ad alcuni gruppi
paramilitari, l’amnistia tributaria venne concessa dal presidente conservatore Betancur.291
I grandi laboratori di raffinazione della cocaina furono impiantati nelle aree meno
accessibili del paese, come quelle amazzoniche. Fu qui, in particolare nelle foreste del
dipartimento del Caquetà, che nel 1984 venne scoperto il primo grande complesso.
Tranquilandia apparteneva agli uomini di quello che allora era il cartello marginale del
paese: il cartello di Cali. La gestione delle attività di quella che la stampa del tempo definì
la “cattedrale della cocaina” era possibile agli uomini di Gilberto Rodriguez Orejula, capo
indiscusso del cartello, grazie al possesso di una vasta rete di farmacie e di numerosissime
fabbriche di vernici. Queste attività garantivano di fatti un’ampia disponibilità di etere e
dei restanti precursori chimici necessari alla raffinazione della droga.
Fin dall’inizio i due cartelli, pur non essendo da subito acerrimi rivali, non erano
accomunati da molte cose. Entrambi investivano nell’acquisto di beni immobili e di
aziende agricole. Entrambi cominciarono da subito ad assoldare killer professionisti per
289
Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994.
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993.
291
Orejula J.L., Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en Colombia.
Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá, 1991.
290
109
garantire il superamento di qualsiasi ostacolo per il trasporto e la consegna della merce.
Entrambi divennero tra i maggiori finanziatori delle compagnie di sicurezza privata, dirette
da ex ufficiali dell’esercito e della polizia.
Fin dagli inizi però, gli investimenti fatti dagli Orejula si diversificarono molto di più.292
Tra le numerosissime attività avviate nei settori più disparati, oltre all’acquisto di un gran
numero di imprese edilizie, agenzie immobiliari, complessi residenziali, centri commerciali
e catene alberghiere, di gran rilievo fu l’acquisto di un network di 45 emittenti
radiofoniche e il finanziamento di numerosi istituti universitari (tra cui uno dei più moderni
e accreditati, l’Università di Santiago di Cali). Lo “Scacchista”, così veniva chiamato
Orejula il padre, pensò bene di attorniarsi dei più bravi laureati in legge, economia e
amministrazione aziendale. Le competenze di questi uomini furono indispensabili per
mettere in piedi il sistema di riciclaggio di denaro sporco, tra i più grandi ed efficienti del
mondo. Il boss del cartello capì da subito che il modo più sicuro per muovere tanto denaro
e finanziare allo stesso tempo l’impero economico che stava nascendo, era quello di
controllare delle banche in prima persona. Oltre al controllo di quattro istituti bancari fuori
dal paese (a Panama, Miami, Ecuador, e nelle Isole Cayman), Orejula divenne presidente
del Banco de los Trabajadores de Colombia.
Oltre alla diversificazione degli investimenti, le differenze tra i due cartelli riguardarono i
diversi rapporti intrattenuti con le elite politiche del paese. Se Pablo Escobar commise
l’errore di entrare in politica in prima persona, Rodriguez Orejula si limitò a controllarne le
fila. I finanziamenti messi a disposizione dal cartello di Cali arrivarono nelle tasche di
conservatori, liberali e progressisti, senza risparmiare leader sindacali e uomini delle liste
civiche, a seconda degli interessi da difendere. La scelta di Orejula sul non esporsi
direttamente fu però ferma. Quest’atteggiamento si tradusse in uno “stile di vita severo
imposto a tutti i membri appartenenti all’immensa rete di distribuzione e in una disciplina
dell’organizzazione (strutturata sulla base di cellule separate) così rigida, da spingere un
consulente della DEA a definirla leninista”.293
Quella che secondo le parole del sociologo Alonso Salazar rappresenta la “razza
pioniera”294 della malavita colombiana, proveniva invece da una zona più a nord del
Tolima: il Dipartimento di Antioquia. I primi uomini ad intuire le possibilità di immensi
292
Montañana Antonio, Il ruolo della droga. In Colombiani: Storie da un paese sotto sequestro.
Indice Internazionale, Roma, 2000.
293
Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994, pag. 215.
294
Salazar Alonso e Jaramillo A., Las subculturas del narcotraffico. Cinep Ediciones, Bogotá,
1992, pag. 14.
110
guadagni legati alla produzione e al traffico del cloridrato di cocaina erano già dediti ad
attività illegali, quali il contrabbando di alcool, sigarette, apparecchi hi-fi: tutta merce
proveniente dai porti franchi di Panama. Gli abitanti di questa zona della Colombia erano
comunemente detti paisá. Qui, la minoranza bianca al potere, borghese e razzista, si
distingueva per la particolare dedizione rivolta all’unico dio considerato realmente
onnipotente: il denaro. Da cui, il detto “por la plata lo que sea” (per il denaro qualsiasi
cosa), uno dei principi cardine ampiamente condiviso dalla gente di Medellín.295 Dopo il
crollo della produzione di marijuana, lo spirito d’iniziativa e la dedizione agli “affari”
degli abitanti di Antioquia costituirono la spinta necessaria per avviare l’intero sistema che
portò alla formazione di quello che si mantenne, per tutta la decade degli anni ‘80 e i primi
anni ‘90, il cartello di droga più grande e potente della Colombia e del mondo: il cartello di
Medellín.
Il capo indiscusso del cartello, Pablo Escobar, proveniva da una famiglia umile e religiosa
di Rionegro. La sua storia è simile a quella di molti altri narcotrafficanti, rappresentanti di
quella che per i colombiani era la “clase emergente, fatta di persone che sono riuscite a
cambiare rapidamente il proprio status economico: poco importa se lo hanno fatto
attraverso attività illegali.”296 Fin da ragazzo Escobar si era dedicato a questo genere di
attività: dal furto e contrabbando di pietre tombali a quello di automobili, presto sostituitesi
alle biciclette. Nel 1975, grazie ai soldi di un sequestro, Escobar arrivò ad occuparsi del
suo primo traffico di cocaina: un carico proveniente dall’Ecuador e diretto agli Stati Uniti.
Il tasso di crescita delle sue attività e dei profitti ad esse legati furono inarrestabili, così
come la domanda di droga proveniente dagli Stati Uniti, dove la generazione hippye degli
anni ’70 stava lasciando il posto a quella yuppie. Le dimensioni del coca boom furono tali
da spingere i narcotrafficanti del Dipartimento di Antioquia a smettere di combattersi tra
loro per il controllo di piccoli mercati locali, per unirsi e costruire un’immensa rete di
distribuzione ed assicurarsi così il controllo del traffico di cocaina nelle principali città
nordamericane. Vennero costruiti complessi produttivi e infrastrutture di dimensioni tali
che le opportunità economiche e lavorative fornite dalla produzione, dalla trasformazione e
dal commercio della droga riuscirono a generare degli spostamenti interni di popolazione
295
Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellín.
Biblioteca Universale Rizzoli.
296
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993, pag. 263.
111
di così ampia portata che Camino Echandia Castillia parla di una vera e propria
“rivoluzione demografica”.297
In pochi anni Escobar divenne uno degli uomini più ricchi del mondo: nelle classifiche
pubblicate dalle riviste statunitensi “Forbes” e “Fortune” del 1987 Escobar occupava il 14°
posto. Le sue fortune avevano superato quelle di grandi famiglie come quella dei
Rockfeller e degli Agnelli.298 Il tasso di crescita delle sue ricchezze venne eguagliato
solamente dal ritmo di crescita della sua popolarità. Don Pablo, come veniva comunemente
chiamato nelle periferie delle grandi città colombiane, aveva aspirazioni che uscivano dal
campo economico. Queste aspirazioni vennero alimentate dalla chiusura della tradizionale
classe politica di Medellín, i cui membri si mostrarono sempre assai reticenti nel concedere
l’accesso alla loro cerchia ristretta a uomini dello stampo di Pablo Escobar. Al contrario, le
istituzioni economiche pubbliche e private di Antioquia e della Colombia intera si erano
mostrate di più larghe vedute, accettando con estrema facilità che il denaro della mafia
irrigasse l’intera economia nazionale.299
Nella sua campagna politica Escobar si rivolse dapprima alle classi popolari, tra le quali il
suo progetto “Medellín senza tuguri” ebbe un successo immediato. Con esso egli investì
una piccola parte dei suoi immensi guadagni nella costruzione di case popolari e
nell’istallazione di impianti di illuminazione degli stadi. Presto però le mire di Escobar si
rivolsero verso piani ben più alti della politica. Don Pablo scelse inizialmente di entrare nel
movimento progressista “Nuevo liberalismo”, guidato da Luis Carlos Galán e Lara Bonilla.
Nel 1982 sopraggiunse l’espulsione ufficiale dal movimento, a seguito di un’inchiesta
promossa da Galàn e condotta dal giudice Lara Bonilla. I risultati dell’indagine avevano
infatti confermato i sospetti circa la provenienza da attività illecite delle ricchezze di don
Pablo. Indispettito, Escobar si avvalse dell’appoggio del parlamentare Jairo Ortega
Ramirez (suo avvocato di fiducia) per entrare a far parte del movimento “Renovación
liberal”, guidato dal senatore Santofimio Botero. A seguito di una campagna elettorale ben
orchestrata che vide la coppia Escobar-Ortega muoversi ininterrottamente da un luogo
all’altro del paese, nel 1983 Ortega confermò il suo seggio in parlamento mentre Escobar
divenne il suo supplente. Il personaggio chiave della vittoria, colui che organizzò e
condusse la campagna elettorale, fu il futuro presidente della Repubblica Ernesto Samper,
297
Camilo Echandia Castilla, El conflicto armado y las manifestaciones de la Violencia en las
Regiones de Colombia. Presidenza della Repubblica di Colombia, Ufficio dell’Alto Comisionado
por la Paz, Bogotà, 2000, pag. 79.
298
The World’s Billionaires, nella rivista Forbes, 5 ottobre, 1987.
299
Montañana Antonio, Il ruolo della droga, in AA. VV., Colombiani: Storie da un paese sotto
sequestro. Indice Internazionale, Roma, 2000.
112
che nel 1994 è stato al centro di un grosso scandalo, dopo essere stato accusato di aver
ricevuto grosse somme di denaro da ambienti legati al narcotraffico per il finanziamento
della propria campagna elettorale. Grazie a lui, don Pablo aveva raggiunto quello che
voleva: entrare nell’elite politica nazionale e poter godere dell’immunità parlamentare.
Inoltre, la posizione conquistata nel Congresso poteva essergli di grande aiuto nella strenua
lotta che da anni Escobar conduceva contro il famoso trattato di estradizione voluto
fortemente dagli Stati Uniti. Questo prevedeva l’estradizione dei cittadini dei due paesi
accusati di una serie di reati gravi, quali il narcotraffico. Per sanare i rapporti tra Usa e
Colombia, inaspritisi attorno a queste tematiche già dalla fine degli anni ‘70, l’allora
ambasciatore colombiano a Washington e futuro presidente della Repubblica di Colombia,
Virgilio Barco, aveva promosso la firma di due trattati bilaterali, avvenuta nel 1979. Uno
riguardava l’estradizione, l’altro prevedeva lo scambio di prove giudiziarie, il cui
obbiettivo consisteva nel limitare l’azione della ventanilla sinistra. Mentre il secondo
trattato cadde dopo una lunga serie di giochi diplomatici, quello sull’estradizione finì per
assumere un’importanza fondamentale nel mantenimento di buone relazione con gli Stati
Uniti. Pablo Escobar si adoperò con tutto il suo potere e la sua influenza nell’organizzare
mobilitazioni contro il trattato di estradizione. In queste manifestazioni pubbliche Escobar
seppe abilmente ricorrere a temi legati al sentimento nazionale per la difesa dei suoi
interessi personali. Il tutto non fece altro che aumentare la sua popolarità.
La fine dell’avventura politica di don Pablo sopraggiunse a causa dell’accanimento del
giudice Laura Bonilla e del leder del movimento liberale dissidente Luis Carlos Galàn
contro Escobar e i suoi uomini. Mentre nei comizi tenuti da Galàn non venivano
risparmiati colpi per denunciare le strategie dei boss di partito e i loro legami nascosti con
“l’economia borghese della droga”,300 dal 1982 le indagini del giudice Bonilla
(rappresentante della fazione di Galàn nel governo conservatore di Betancur) attorno alle
attività di don Pablo erano continuate ininterrottamente, coinvolgendo un numero sempre
più grande di persone.
Quando nel 1984 il giudice Bonilla si rifiutò di negare il consenso per la richiesta di
estradizione di un altro dei boss del cartello, Carlos Lehder, i narcos se la cavarono grazie
all’intercessione svolta dal procuratore generale Jimenez Gomez, che più volte si era
espresso sull’incostituzionalità del trattato. Il rumore prodotto dall’intera vicenda convinse
i boss del cartello della necessità della fine della loro partecipazione diretta nell’attività
300
Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of
California Press, Oxford, 1993, pag. 263.
113
politica, anche se gli appoggi in parlamento continuarono a svolgere un ruolo
fondamentale.301
Il 30 aprile del 1984 il ministro Lara Bonilla venne ucciso. La morte del giudice venne
seguita da una serie di misure restrittive a danno dell’industria della droga, che condusse al
sequestro di numerosi veicoli e altro materiale e all’arresto di molte figure minori legate al
traffico della cocaina. L’applicazione della misura di estradizione su questi arresti provocò
l’indignazione dei grandi narcotrafficanti. Fu allora che sopraggiunse la decisione della
Corte Suprema del 1987 di invalidare il trattato sull’estradizione firmato nel 1979: il
risentimento verso lo Stato, per la sua incapacità dimostrata con gli avvenimenti di Palazzo
di Giustizia di salvaguardare le proprie istituzioni, si sommò alle paure provocate dal
sangue versato quasi quotidianamente nelle grandi città del paese ad opera dei sicari
assoldati dai narcos per l’eliminazione di giudici, avvocati e politici scomodi.
Come già accennato, il 1984 fu anche l’anno in cui veniva scoperto il complesso di
Tranquilandia. “La più grande operazione mai realizzata al mondo contro la droga”302
condusse al sequestro di 10 tonnellate di cocaina. Il suddetto laboratorio venne dichiarato
di appartenenza dei fratelli Ochoa e di Pablo Escobar; la responsabilità della sua protezione
venne invece attribuita alle FARC. In quegli stessi giorni l’ambasciatore statunitense a
Bogotà, Lewis Tambs, sostenne che le FARC erano in possesso di numerose coltivazioni
di cocaina della foresta colombiana e lanciò la teoria della “narcoguerriglia”303, basata
sulle strette relazioni esistenti tra narcotrafficanti e gruppi radicali di sinistra. Tali
connessioni vennero immediatamente confermate dal Ministro della Difesa colombiano, il
generale Gustavo Matamaros D’Costa.304
Come abbiamo visto nel capitoletto dedicato allo sviluppo del fenomeno paramilitare, in
realtà, buona parte dei narcotrafficanti aveva ampiamente dimostrato di essere fortemente
ostile nei confronti delle forze di sinistra del paese, tanto da stipulare salde alleanze con i
gruppi paramilitari. È vero anche che un’altra parte dei narcos era rimasta inizialmente
lontana da questi estremismi apprezzando alcune posizioni dei guerriglieri, quali il forte
301
Orejula Javier Luis, Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en
Colombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá,
1991.
302
El Espectador, 22 marzo 1984, 25 marzo 1984, La Repubblica, 21 marzo 1984.
303
Poco tempo dopo, lo stesso Tambs venne indagato per legami intrattenuti con la CIA, accusata
di finanziare i contras nicaraguesi attraverso il traffico di armi e droga. (Pecaut D., Midiendo
fuerzas. Planeta, Bogotà, 2003, pag. 52)
304
Orejula Javier Luis, Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en
Colombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá,
1991.
114
risentimento anti-gringos e la strenua opposizione al trattato di estradizione, considerato
atto lesivo della sovranità nazionale. Soprattutto, l’alleanza strategica con le forze
guerrigliere diffusissime nelle aree rurali di recente colonizzazione, corrispondenti alle
aree di maggiore coltivazione della foglia di coca, era di vitale importanza per gli affari dei
narcos. Mentre questi beneficiavano delle risorse di queste terre e sfruttavano i loro spazi
impervi e sperduti nella foresta amazzonica per l’istallazione dei laboratori di raffinazione,
l’alleanza pragmatica con i gruppi guerriglieri alleggeriva di fatti il loro lavoro, poiché essi
commissionavano la protezione e il controllo della terra coltivata a foglia di coca ai gruppi
insurrezionali. “Si trattava, in questo caso, di una forma di delegazione che risparmiava
costi politici” (necessari ad esempio per il mantenimento di un’organizzazione stabile che
svolgesse lo stesso compito in un territorio determinato), “priva inoltre di grossi rischi.”305
Tale alleanza durò però poco. Secondo Guido Piccoli,306 agli attacchi provenienti dal
potere giudiziario colombiano e soprattutto da quello statunitense i narcos risposero con
determinazione, optando per le alleanze più convenienti, quale quella coi gruppi
paramilitari cui fornire aiuto per l’eliminazione del “nemico interno”.
Il trovarsi a fianco di alleati così diversi non stupisce se si considera che “l’azione dei
narcos è sostanzialmente diretta alla difesa dei propri interessi economici; le loro modalità
d’azione sono pertanto fondamentalmente pragmatiche e non possono essere attribuite ad
un orientamento politico permanente.”307
Parallelamente, si è già visto come l’investimento di gran parte dei loro profitti
nell’acquisto di terre aveva contribuito ad avvicinare sempre più i loro interessi a quelli dei
grandi proprietari, di cui oramai condividevano anche le idee politiche conservatrici. La
difesa della proprietà e la continuità del processo di accumulazione delle ricchezze del
paese erano i due assi portanti su cui venne impiantata una vera e propria “controriforma
agraria”, per la messa in atto della quale i narcos “cercarono e, in molte zone del paese,
trovarono il supporto entusiastico delle unità locali dell’esercito.”308
Secondo Orejula Javier Luis “si è speculato molto attorno alla teoria della narcoguerriglia,
senza che siano mai esistite prove determinanti di questa relazione. Se sia esistita o
esistano queste connessioni, esse possiedono un carattere meramente strategico e
305
Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 168.
Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003.
307
Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 159.
308
Jorge Orlando Melo, The drug trade, politics and the economy: the colombian experience, in E.
Joyce e C. Malamud editores, Latin America and the multinational drug trade. St. Martin’s Press,
New York, 1998, pag. 79.
306
115
congiunturale per entrambe le parti”.309 Ad ogni modo, le relazioni tra narcotrafficanti e
gruppi paramilitari, “il narcoparamilitarismo messo alla luce dalle indagini del DAS”310, è
una prova, secondo Orejula, del fatto che le relazioni strategico-funzionali tra
narcotrafficanti e guerriglieri fossero estremamente deboli in quegli anni.
“Fu soprattutto nel Magdalena Medio che prese forma una vasta e indubbia alleanza
antisovversiva”.311 Il narcotrafficante Rodriguez Gacha, stretto alleato di Escobar, si
distinse come leader di quella che si rivelò una guerra aperta contro la guerriglia
colombiana e tutti i suoi simpatizzanti. Nel frattempo, l’allora presidente conservatore
Betancur si batteva per portare avanti quel processo di pace che aveva condotto
all’abbandono delle armi di alcuni gruppi insurrezionali minori e alla tregua accettata dalle
FARC nel 1984, in seguito alla creazione nel Dipartimento del Meta, ad un centinaio di
chilometri da Bogotà, di una zona smilitarizzata chiamata la “Casa Verde”. Anche se la
tregua si ruppe a causa degli avvenimenti del Palazzo di Giustizia, Betancur ottenne un
successo ulteriore: la costituzione nel 1986 di quello che doveva essere lo strumento
attraverso cui facilitare il passaggio dei membri delle FARC dall’insurrezione armata
all’opposizione politica legale, l’Unión Patriotica. I suoi membri divennero presto i
bersagli preferiti della nuova fase della guerra sucia appena cominciata nel paese. Nei soli
primi cinque anni di vita del movimento vennero massacrati ben 3000 sostenitori (in media
una persona al giorno).312
Dopo l’assassinio nel 1987 del candidato presidenziale Pardo Leal, militante del Partito
Comunista sostenuto dall’Unión Patriotica, le FARC passarono al contrattacco contro tutte
le forze coinvolte nella guerra sucia, narcos inclusi. I mezzi utilizzati comprendevano
attacchi militari, sequestri ed appropriazione dei beni per la cui protezione erano stati
assoldati dai trafficanti di droga. “Da allora in poi, i gruppi politici collegati alle forze
guerrigliere, furono le vittime di un’intensa campagna di sterminio, largamente coordinata
e promossa dai trafficanti di droga, ma che ha sempre contato sul supporto più o meno
segreto dei membri dei corpi di sicurezza dello Stato, in particolar modo dell’esercito.”313
La situazione precipitò nel 1989 con l’omicidio del candidato liberale alla presidenza Luis
309
Orejula Javier Luis, Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en
Colombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá,
1991, pag. 224.
310
Ibidem.
311
Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994, pag. 106.
312
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003.
313
Jorge Orlando Melo, The drug trade, politics and the economy: the colombian experience, in E.
Joyce e C. Malamud editores, Latin America and the multinational drug trade. St. Martin’s Press,
New York, 1998, pag. 81.
116
Carlos Galàn, assassinato nella periferia di Bogotà. Erede del movimento di
democratizzazione Carlos Lleras Restrepo degli anni ’70, leader del movimento del Nuovo
Liberalismo negli anni ’80, Galàn era finalmente riuscito a conquistare il consenso politico
della classe media, oltre che quello degli strati popolari. “La sua morte paralizzò la
nazione. L’evento sembrò essere il segnale dell’ultimo atto di decomposizione della
Colombia come sistema civile.”314
Gli anni della “lotta alla droga” (1989-2002).
La decade degli anni ’90 è stata caratterizzata dall’internazionalizzazione accelerata del
conflitto colombiano, a seguito della nuova congiuntura nazionale ed internazionale. I suoi
vincoli con il problema della droga e la violazione dei diritti umani hanno fatto sì che il
conflitto uscisse dalle campagne colombiane, avvicinandosi ai centri di potere urbani, e
destasse un’attenzione mai avuta sul piano internazionale.
Con la caduta dell’Unione Sovietica le priorità dell’agenda statunitense ed internazionale
cambiarono: la difesa dei diritti umani e della democrazia divennero il loro nucleo centrale.
Fu allora che il tema della “lotta alla droga” entrò ufficialmente tra gli obbiettivi della
maggior parte degli organismi internazionali. Il traffico e il consumo di droga divennero
questioni presentate per la prima volta come parte di un fenomeno transnazionale, le cui
responsabilità dovevano essere condivise a livello globale. Il direttore del Fondo delle
Nazioni Unite per il Controllo dell’Abuso delle Droghe, Giuseppe di Gennaro, affermava
in un’intervista rilasciata nel 1991: “Solo opponendo alla transnazionalità dell’attacco la
transnazionalità della reazione è possibile sperare in un reale successo. […] Criminalità
organizzata dei narcotrafficanti significa oggi una struttura articolata di un vero e proprio
potere internazionale che è servito da istituzioni bancarie, società finanziarie e che dispone
dei più qualificati consulenti e di emissari di grandi capacità e prestigio.”315
Nel 1990 una Sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dedicata
interamente al problema droga, si espresse a favore della creazione di un nuovo organismo
314
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002, pag. 336.
315
Roberto Maurizio (a cura di), Armonizzare le leggi per costruire una strategia comune. In
Cooperazione, n. 102, gennaio 1991, Fratelli Palombi editori, pag. 44-45.
117
atto a garantire una lotta più capillare contro la dimensione internazionale del problema.
Nasceva l’United Nations International Drug Control Programme (UNIDCP), “la cui
novità principale consisteva nell’interdipendenza delle sue funzioni” e nelle sue possibilità
di creare nuovi collegamenti per “mettere a confronto diversi aspetti del fenomeno droga
(controllo della domanda e dell’offerta)”.316 Gli interessi statunitensi però, hanno fatto si
che “l’internazionalizzazione del problema della droga abbia continuato a consistere, in
sostanza, nell’imposizione di una politica repressiva contro l’offerta, ad opera degli Stati
Uniti.”317
Di diversa natura erano le motivazioni che portarono il tema della droga al centro della
politica statunitense alla fine degli anni ’80. Elemento di non poca importanza fu il fatto
che gli Stati Uniti costituivano il mercato principale delle sostanze illegali prodotte dai tre
maggiori produttori di droga in America Latina (Colombia, Perù, Bolivia). Come
sottolineano Angel Rebasa e Peter Chalk318, affrontare il problema di una domanda in
costante crescita dalla fine degli anni ’70 in poi, produce alti costi sociali che finiscono per
gravare in modo non indifferente sulla spesa pubblica. D’altro canto però, le
preoccupazioni riguardo la spesa pubblica non sembrarono essere altrettanto determinanti
per il Congresso statunitense, che non esitò a mettere a disposizione molte delle proprie
forze di sicurezza (CIA e DEA) per la cattura dei capi del cartello di Medellìn, né si tirò
indietro quando approvò il “più ampio spiegamento di forze armate americane dai tempi
del Vietnam”319, ossia la cosiddetta Operazione giusta causa, per la cattura del generale
Antonio Noriega.
“La strategia della guerra alla droga” adottata dagli Stati Uniti “definiva il problema
soprattutto in termini di offerta di narcotici […]. Essa assegnava agli eserciti dei paesi
produttori delle sostanze illegali la maggior parte del lavoro per la soppressione
dell’offerta.”320 In Colombia, la suddetta strategia subì qualche modifica. In seguito al
fallimento dell’esercito nella cattura di Pablo Escobar, gli Stati Uniti avviarono e
finanziarono la riforma del corpo di polizia colombiano, che da allora divenne il principale
strumento utilizzato nella lotta contro i narcotrafficanti. Gli Stati Uniti si impegnarono
316
Savona U. Nasce un nuovo organismo delle Nazioni Unite. In Cooperazione, n. 102, gennaio
1991, Fratelli Palombi editori, pag. 48.
317
Soccorro Ramirez, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Instituto de
Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia,
Planeta, Bogotà, 2001, pag. 17.
318
Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its
implications for regional stability. Rand, USA, 2001.
319
Giordano Giancarlo, La politica estera degli Stati Uniti. Franco Angeli, Milano, 1999, pag.
289.
118
inoltre ad aiutare la Colombia nella sua lotta alla droga sostenendo altre due importanti
campagne: quella a favore dell’estradizione e quella riguardante i programmi di
desertificazione, attraverso la fumigazione delle terre coltivate a marijuana, coca e
papavero.
Si è già visto come a fine anni ‘80 la reazione dei narcotrafficanti provocata dalla
questione dell’estradizione fu di tale portata da generare una vera e propria guerra nelle
grandi città colombiane. La crisi dell’ordine pubblico terminò solo con la decisione
dell’Assemblea Costituente del 1991, pronunciatasi a favore dell’incostituzionalità di tale
provvedimento. La battaglia si concluse nel 1997 con una vittoria degli Stati Uniti: la
norma venne reintrodotta attraverso una legge di revisione costituzionale promossa dal
presidente Samper che, “a causa della sua estrema vulnerabilità, non riusciva ad opporre
resistenza alle rivendicazioni degli Stati Uniti”.321 A fine anni ‘90 però, la reazione dei
narcotrafficanti non è stata quella di ricorrere alle armi del terrorismo urbano. Come
vedremo più avanti, gli anni ’90 sono stati decisivi per alcuni cambiamenti avvenuti in
seno al sistema del narcotraffico. Tra questi Palacios e Safford annoverano il superamento
della logica di repressione.322
Per quanto riguarda la campagna di fumigazione, ad occuparsene è stata ed è la polizia
anti-narcotici colombiana “finanziata ed addestrata dagli Stati Uniti”323: dal 1978 si è
assistito alla distruzione dei campi coltivati a marijuana, coca e papavero attraverso
l’emissioni aerea di diversi erbicidi. Dal 1986 il più usato è il glifosfato: la versione in
commercio più venduta di questo prodotto si chiama Roundup e viene fabbricata dalla
Monsanto, un’industria biotecnlogica statunitense. Il Roundup sembra provocare grossi
problemi di salute alle popolazioni contadine, quali: nausea, vertigine, problemi respiratori,
disturbi alimentari e aumento della pressione del sangue. A correre il rischio di questi
disturbi non sono solo i contadini direttamente esposti agli erbicidi utilizzati, poiché tali
sostanze chimiche avvelenano anche le falde acquifere, gli animali e le altre piante che ne
vengono a contatto. Questa situazione ha fatto si che le popolazioni colpite dalle
fumigazioni abbiano abbandonato le loro terre per spostarsi sempre più nell’interno della
foresta vergine delle Amazzoni, dove la mancanza di mezzi di comunicazione e le
320
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002, pag. 339.
321
Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 172.
322
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002, pag. 340.
323
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003, pag. 136.
119
difficoltà del territorio fanno si che la cocaina e l’eroina rimangano l’unico prodotto
economicamente vantaggioso da coltivare.
Nonostante negli anni ’90 la quantità di terra colpita dalle fumigazioni sia cresciuta, la
quantità prodotta di cocaina ed eroina è aumenta. Oltre a quello che Grace Livingstone
chiama “effetto palloncino”324, ossia lo spostamento forzato dei contadini appena descritto,
la campagna di fumigazioni ha difatti stimolato i coltivatori a produrre erbe con un più
elevato contenuto di sostanze psicotrope. Inoltre, mentre in Colombia la produzione di
sostanze illegali ha subito un’impennata, in Perù e in Bolivia, paesi in cui il programma di
fumigazioni non è stato applicato con la stessa intensità, la produzione è nettamente
diminuita. Fenomeno questo che per Grace Livingstone325 si spiega solo alla luce della
sconfitta dei grandi cartelli colombiani, che assicuravano i traffici con i paesi vicini.
Pertanto, dalla prima metà degli anni ’90 i nuovi trafficanti hanno diretto i loro acquisti
quasi esclusivamente verso i produttori locali. In questa scelta, aggiungono Rebasa e Peter
Chalk326, ha sicuramente contribuito il successo della strategia del “ponte aereo” promossa
dal presidente Clinton, diretta ad intercettare gli aerei che trasportavano la pasta di coca
dalla Bolivia e dal Perù alla Colombia.
Ad ogni modo, molte sono le perplessità riguardo la politica degli Stati Uniti di fronte al
problema droga. Quello che non convince è, in primo luogo, la sottovalutazione di tutti gli
altri aspetti della “complessa catena planetaria del narcotraffico, come il consumo, la
vendita di precursori chimici necessari alla raffinazione delle sostanze, lo sfruttamento di
denaro illegale nei circuiti finanziari mondiali e le reti di contrabbando di armi, per porre
un interesse unilaterale nella lotta contro l’offerta.”327 In secondo luogo, come il caso
contragate328 ha ampiamente dimostrato, la crociata contro la droga può essere
strumentalmente utilizzata per il perseguimento dei fini geopolitici statunitensi in America
Latina. Essa può giustificare un maggior coinvolgimento di Washington negli affari interni
di ognuna di queste nazioni, nel momento in cui gli Stati Uniti lo ritengano più opportuno.
Infine, attraverso il finanziamento della lotta alla droga “le agenzie statunitensi
antinarcotici ricevono una quantità ingente di risorse che consente di mantenere il loro
324
Ibidem, pag. 144.
Ibidem.
326
Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its
implications for regional stability. Rand, USA, 2001.
327
Soccorro Ramirez, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Instituto de
Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia,
Planeta, Bogotà, 2001, pag. 18.
328
Secondo quanto emerso dal contragate, alcuni funzionari dell’amministrazione Reagan, tra cui
lo stesso ambasciatore statunitense a Bogotà Tambs, sono stati accusati di aver appoggiato alcuni
noti narcotrafficanti appartenenti alle contras nicaraguesi in funzione anti Noriega. Ibidem.
325
120
bilancio e di ottenere guadagni vantaggiosi. Questo spiegherebbe le motivazioni per cui gli
Stati Uniti perseguano mete irraggiungibili con mezzi inappropriati e perché essi persistano
nella loro fallimentare strategia antinarcotici.”329
Tali finanziamenti hanno subito un forte incremento nel 2000 con l’approvazione da parte
del Congresso statunitense del cosiddetto Plan Colombia, promosso dal governo Pastrana.
Sin dalla sua campagna elettorale, il filo conduttore del programma di governo del
conservatore Pastrana (1998-2002) è stato il processo di pace e “l’internazionalizzazione
della pace per la disinternazionalizzazione del conflitto.”330 Poco dopo la sua elezione si
giunse alla prima formulazione del Plan Colombia, contenuta nel Plan Nacional de
Desarrollo 1998-2002 del nuovo governo. In esso si faceva riferimento alle cause
oggettive e soggettive della violenza e del conflitto colombiano, tra le quali la povertà, la
mancanza di democrazia, la disuguaglianza economica e sociale; allo stesso tempo, si
faceva riferimento alla relazione esistente tra il conflitto e la produzione e il commercio
delle sostanze illegali. L’obbiettivo centrale del piano sembrava essere la creazione delle
condizioni economiche, sociali ed ambientali necessarie allo sviluppo di una pace
integrale, attraverso la creazione di strumenti partecipativi. Come sottolinea Soccorro
Ramirez331, solo questa versione del Plan Colombia è passata al vaglio dell’opinione
pubblica e del Congresso colombiano. In seguito sono state formulate altre tre versioni,
differenti a seconda degli organismi internazionali e delle amministrazioni straniere a cui
esso è stato presentato. Mentre “la seconda e la quarta versione si riferiscono agli stessi
temi, anche se con ordine di priorità ed accento diversi”332, e non differiscono a loro volta
dal nucleo centrale della prima versione, la terza formulazione del 1999, chiamata anche
US Aid Package e frutto del lavoro congiunto di tecnici colombiani e statunitensi, centra il
Piano sulla lotta contro il narcotraffico. “Tutte le misure destinate a superare la crisi
economica e fiscale appaiono orientate ad evitare che altri colombiani si vincolino alla
produzione ed esportazione di droghe, piuttosto che a creare le condizioni sociali ed
economiche per favorire pace.”333 L’obbiettivo centrale sembra limitarsi all’eliminazione
dei “vincoli stretti tra i trafficanti di droga e i gruppi armati al margine della legge, che
329
Ibidem, pag. 109-110.
Punto 5 del primo capitolo del Piano, Presidencia de la Republica, Departamento Nacional de
Planeaciòn, Plan Nacional de Desarrollo. Bases 1998-2002. Bogotà, 1998.
331
Soccorro Ramirez, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Instituto de
Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia,
Planeta, Bogotà, 2001.
332
Ibidem, pag. 89. Tali versioni sono state presentate rispettivamente: nel 1999 all’incontro
svoltosi a Rio de Janero, a cui hanno preso parte funzionari provenienti dall’Unione Europea,
dall’America Latina e dal Caribe; nel 2000 ad assemblee svoltesi con le autorità europee e
giapponesi.
330
121
hanno obbligato le Forze Armate ad impegnarsi in uno sforzo forte e deciso nella lotta
integrale e coerente contro questa minaccia.”334 Su un totale di 7.500 milioni di dollari
previsti per il finanziamento del piano, l’apporto degli Stati Uniti ammonta a 1.600 milioni
di dollari, mentre quello delle amministrazioni del resto del mondo è di 1.046 milioni e
quello proveniente dall’insieme degli organismi internazioni è di 2.646 milioni. Gli Stati
Uniti rappresentano il paese straniero che contribuisce in modo maggiore alla realizzazione
del piano, a cui va aggiunto l’immenso peso politico che essi esercitano all’interno dei
maggiori organismi internazionali. Anche se l’obbiettivo dichiarato dell’intervento USA è
la lotta al narcotraffico, molti in America Latina vi intravedono “un mezzo utilizzato
contro i governi latinoamericani che si oppongono fermamente all’apertura selvaggia ai
prodotti e capitali nordamericani.”335
L’ambiguità del Plan Colombia e dei dibattiti attorno ad esso è conseguenza della
coesistenza di diverse formulazioni del piano. In definitiva, esso può essere visto come
l’atto finale del processo di internazionalizzazione del conflitto colombiano, già avviato
dagli inizi degli anni ’90. Tale processo è stato favorito, da un lato, dalle preoccupazioni
crescenti della classe politica colombiana in relazione alle minacce provenienti dai narcos
ed alla crescita inarrestabile delle forze armate illegali (guerriglia e paramilitari); dall’altro,
dai cambiamenti avvenuti nella congiuntura internazionale e nei piani della politica estera
statunitense.
L’applicazione del modello neoliberista in Colombia
L’applicazione del modello neoliberista ha accresciuto il sottosviluppo, la fame e la
dipendenza alimentare della nazione, costringendola in un circolo vizioso di
sottosviluppo–guerra-sottosviluppo.
In Colombia il dispiegamento totale della cosiddetta “politica di apertura” è cominciato
con una decade di ritardo rispetto al resto del continente sudamericano. Fu il presidente
Barco a lanciare il Programma per la Modernizzazione dell’Economia Colombiana
(PMEC) nel 1990. In cambio, il paese ottenne l’autorizzazione ad accedere al cosiddetto
credito “Challenger” promosso dalla Banca Mondiale. “Il Programma non rappresentò
altro che la riproposizione sul piano interno degli interventi di stabilizzazione e
aggiustamento strutturale prescritti dal Fondo Monetario internazionale nella decade
333
Ibidem, pag. 85.
Plan Colombia, Plan para la Paz, la prosperidad y el fortalecimiento del Estado, settembre
1999, pag. 30-31.
334
122
precedente: completa apertura dell’economia al mercato, al capitale e agli investimenti
privati internazionali, dolorosi tagli alla spesa pubblica, l’eliminazione dei sussidi sociali,
la privatizzazione delle imprese statali e delle banche che erano state acquistate durante
una crisi finanziaria all’inizio degli anni ’80 (il Banco Tequendama, il Banco del
Comercio, il Bancolombia, il Banco de los Trabajadores).”336 Il risultante flusso di capitali
in entrata non è stato però investito in attività produttrici e stimolatrici della crescita
dell’occupazione, bensì si è centrato nelle attività prettamente speculative, nel settore delle
costruzioni o nell’acquisto di beni immobili, come le estese proprietà agricole riconvertite
al pascolo.
Con il successivo governo Gaviria (1990-1994) vennero varate le riforme che hanno avuto
le conseguenze più immediate nella vita di milioni di lavoratori colombiani. In particolare,
la “legge 50” ha sancito l’eliminazione del pagamento degli straordinari, ha modificato le
politiche di contrattazione a svantaggio dei lavoratori (limitando anche il diritto allo
sciopero), ha generalizzato l’impiego temporaneo e a tempo parziale. Inoltre, essa ha
legittimato una nuova tipologia di contratti cosiddetti “contratti verbali”, diffusissimi nei
settori del commercio, delle costruzioni e dell’agricoltura. Tali contratti non prevedono
l’iscrizione ad alcun sistema di previdenza sociale, né orari di lavoro e incarichi stabiliti, né
il rispetto di parametri salariali previsti a norma di legge. Secondo una stima del
Dipartimento Amministrativo Nazionale di Statistica (DANE), nel 2000 il 46,6% degli
occupati salariati non contava su un contratto di lavoro scritto.337
Nel 1993 venne approvata la “legge 100” su proposta dell’allora senatore Alvaro Uribe
Velez, nota come “Riforma della Salute e della Sicurezza Sociale”, nel quadro del processo
di decentramento e trasferimento ai municipi della gestione della spesa dei servizi di base.
“Il nuovo sistema introdotto è in linea con i principi delle politiche neoliberiste, la cui
spina dorsale si basa sull’indebolimento del ruolo dello Stato come fornitore dei servizi
sociali e sulla privatizzazione delle imprese pubbliche. In conseguenza, si ricorre sempre
più agli sforzi degli individui e delle comunità per fornire questi servizi in modo da
alleggerire il potere centrale nell’adempimento delle proprie responsabilità.”338
Contemporaneamente, riguardo al settore pensionistico, i governi hanno cercato di favorire
in tutti i modi il versamento dei contributi lavorativi a favore di fondi privati: Questo
335
Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:
una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.
336
Ahumada Consuelo, El modelo neoliberal y su impacto en la sociedad colombiana. El Ancora
Editores, Bogotà, 1998, pag. 13.
337
DANE, Encuesta de hogares. Bogotà, 2000.
123
trasferimento di capitali, dalle strutture pubbliche a quelle private, ha contribuito
largamente a prosciugare le casse statali.
Nonostante simili riforme sociali ed economiche, a conclusione di una missione in
Colombia, nel 1995 il Fondo Monetario Internazionale denunciava “i pericoli imminenti
legati allo squilibrio delle finanze pubbliche e dell’aumento del costo della vita” e insisteva
sulla “necessità urgente” di frenare la crescita della spesa e degli investimenti statali e di
aumentare le tariffe dei servizi del settore pubblico, in particolare dell’elettricità e dei
telefoni. L’FMI propose inoltre l’ulteriore aumento dei trasferimenti di fondi statali agli
enti locali, per aumentare le loro responsabilità in tema di organizzazione e gestione dei
servizi relativi alla salute, all’educazione e alle politiche sociali.339 Furono i successivi
governi Samper (1994-98) e Pastrana (1998-2002) a preoccuparsi dell’attuazione di queste
indicazioni, accelerando la crisi economica e aumentando la distanza tra i diversi settori
sociali. Nel 1999 Pastrana sottoscrisse il cosiddetto Acuerdo de Facilitades Extendidas. Si
trattava di un programma di aggiustamento macroeconomico da realizzare in tre anni, che
mirava alla riduzione del decifit fiscale e delle spese sociali, al raggiungimento
dell’equilibrio delle finanze delle Stato e all’implementazione di una politica fortemente
recessiva, al fine di assicurare il pagamento del debito estero. Si diede così avvio alle
cosiddette “riforme di seconda generazione”, basate sulla razionalizzazione della spesa
delle entità territoriali, il congelamento dei salari e nuove misure restrittive sul piano
tributario e pensionistico.
Gli autori di una ricerca del CINEP di Bogotà sulle “Politiche sociali in Colombia nel
periodo 1980-2000” sostengono che: “La trasformazione radicale della struttura economica
– conseguenza dell’errata politica di liberalizzazione commerciale e cambiaria applicata
negli anni ’90 – ha avuto un’incidenza così negativa sul benessere della popolazione al
punto di annullare i successi che erano stati conseguiti nel decennio precedente. L’apertura
economica e la politica monetaria e cambiaria che l’hanno resa possibile, hanno generato
una dinamica perversa, che si è evidenziata con il deterioramento della produzione, la
perdita della competitività e il peggioramento dei principali indicatori sociali.”340
Il Plan Nacional de Desarrollo per il quadriennio 1998-2002 impegnava il governo a
“stimolare la partecipazione dei privati nei settori degli acquedotti e delle fognature, nella
concessione dell’amministrazione delle reti viarie, degli aeroporti regionali, delle piccole
338
Ahumada Consuelo, El modelo neoliberal y su impacto en la sociedad colombiana. El Ancora
Editores, Bogotà, 1998, pag. 241.
339
Ibidem, pag. 22.
340
AA. VV., Politicas sociales en Colombia 1980-2000. CINEP, Bogotà, 2002, pag. 106.
124
centrali idroelettriche, delle reti di distribuzione, dei fiumi, dei canali navigabili e dei porti
della rete fluviale nazionale, nella prestazione dei servizi di telecomunicazione”.341
L’apertura dell’economia ai capitali e ai prodotti stranieri (in buona parte di provenienza
statunitense) ha reso sempre più profondo il processo di deindustrializzazione
dell’economia colombiana a favore di una relativa terziarizzazione. Solo nel periodo tra il
1990-1995 la partecipazione del settore industriale sul PIL si è ridotta dal 18,7% al
16,2%.342 La competitività dell’industria nazionale si è progressivamente deteriorata
perché, come sostiene Suárez Montoya, “gli imprenditori colombiani non competono con
l’estero sulla base della produttività ma solo attraverso una profonda riduzione dei
salari.”343 Pertanto, “tagliati i salari e la manodopera impiegata, gli industriali hanno
convertito la loro produzione alle esportazioni che non sono altro che l’assemblaggio o la
confezione di beni importati; produzione che non aggiunge maggior valore aggregato e che
priva l’intero comparto industriale di una politica che risponda agli obbiettivi nazionali
dello sviluppo e dell’occupazione, per sottoporlo agli interessi e alle finalità delle maggiori
imprese transnazionali.”344
Con l’apertura neoliberista è stato definitivamente abbandonato il modello di produzione
nazionale dei beni di base, di sostituzione delle importazioni di beni intermedi con prodotti
locali. In Colombia e nel resto dei paesi dell’America Latina gli anni ’90 sono stati
pertanto caratterizzati dalla cosiddetta “riprimarizzazione” del settore delle esportazioni.
Nel 1997, il 63,2% delle esportazioni colombiane aveva origine dal settore primario
rappresentato da caffè, fiori, banane, idrocarburi, carbone, ferro, oro, smeraldi e petrolio.345
Il nuovo trend delle esportazioni assieme al decifit della bilancia commerciale sono tra le
cause principali dell’indebitamento della Colombia. Se nel 1990 il debito estero
ammontava a 14.966 milioni di dollari, nel 1997 aveva raggiunto i 29.454 milioni di
dollari. Nel 2001 esso era ulteriormente cresciuto raggiungendo la cifra di 49.000 milioni
di dollari.346 Parallelamente alla crescita del debito estero si è registrata la vertiginosa
crescita degli interessi che il paese deve pagare annualmente per il suddetto debito: a fine
341
Presidencia de la Repùblica, Departamento Nacional de Planeaciòn, Cambio para construir la
paz. Plan Nacional de Desarrollo 1999-2002. Tercer Mundo Editores, Bogtà, 1998, pag. 80.
342
Yepes A., Quien se beneficia del ajuste, la guerra y el libre mercato? Paper, Bogotà, 2002.
343
Suarez Montoya A., Modelo del FMI. Economia colombiana 1999-2000. Ediciones Aurora,
Bogotà, 2002 pag. 89.
344
Palacio Sarmento E., Como construir una nueva organización económica. Editorial Escuela
Colombiana de Ingenieria, Bogotà, 2000, pag. 88.
345
AA. VV., Politicas sociales en Colombia 1980-2000. CINEP, Bogotà, 2002, pag. 67-68.
346
Controlería general de la República,Colombia: entre la exclusión y el desarrollo. Bogotà, 2000.
125
2000 i servizi del debito hanno rappresentato il 36,2% dell’intero bilancio statale; l’anno
successivo avevano già raggiunto il 41%.347
L’applicazione del modello di sviluppo neoliberista ha avuto i suoi effetti più gravi
sull’agricoltura e sul mondo rurale, contribuendo ad accrescere la dipendenza alimentare
del paese dai maggiori produttori internazionali. Lo smantellamento dei diversi sistemi di
protezione delle produzioni tipiche nazionali, dei sussidi e dei sostegni a favore degli
agricoltori, la forte riduzione dei dazi doganali per i prodotti d’importazione dal 38% al
12%, hanno fortemente ridotto il peso dell’agricoltura nell’economia nazionale, che è
passata dal 40% nel 1950 al 12% odierno.348 Il conseguente processo di fuga dalle
campagne ha determinato la perdita, secondo il Ministero dell’Economia, di un milione di
ettari coltivabili, cioè il 25% dell’intera area coltivabile del paese.349 Inoltre, mentre si
riducono le aree delle coltivazioni transitorie, destinate all’alimentazione della popolazione
(fagioli, mais, riso, patate), crescono invece quelle destinante alle culture permanenti, ossia
ai prodotti destinati all’esportazione, e caratterizzate dalla monocultura delle cosiddette
“coltivazioni tropicali” (palma africana, canna da zucchero, banane e tabacco). Nel corso
degli anni ‘90 le aree coltivate a cereali e oleaginose si sono ridotte di 760.446 ettari, ossia
del 37,4%; mentre, nello stesso periodo, la superficie delle coltivazioni permanenti è
aumentata di 290.000 ettari.350
Il processo di impoverimento della terra destinata all’agricoltura ha raggiunto dimensioni
tali che, su 18,3 milioni di ettari potenziali, solo 4,4 milioni sono attualmente coltivati: il
resto è destinato a pascolo per gli allevamenti estensivi.351
Questo processo di “rilatifondizzazione”352 del territorio colombiano, che sembra
presentare tutte le caratteristiche di una controriforma agraria, è una delle cause principali
del lungo conflitto sociale che ha interessato le aree rurali del paese. Secondo Hector
Mondragòn, all’origine di tale processo sono riconoscibili un insieme di fenomeni politici
ed economici. In primo luogo, l’espansione di gruppi paramilitari. Essa ha di fatti costretto
le popolazioni locali ad abbandonare la propria terra, favorendo così i processi di
concentrazione della proprietà terriera a vantaggio dei narcotrafficanti, degli allevatori,
degli speculatori e degli stessi capi paramilitari. In secondo luogo, come si è già visto,
347
Portafolio, 3 agosto 2000, pag. 32.
El editorial agrario, luglio-settembre 1999, pag. 10.
349
Ibidem.
350
Balcazar A., Las transformaciones agrícolas en la décade de los noventa. Misión Rural,
Bogotà, 1998, pag. 6.
351
Semana, La tierra del olvido, 7 gennaio 2002, pag. 28-29.
352
Mondragòn Hector, Relatifundaciòn y megaproyectos en Colombia, pag. 3,
www.gratisweb.com/ciclocrisis.
348
126
l’economia del narcotraffico ha prodotto una nuova tipologia di acquirenti di terra. La loro
entrata nel mercato d’acquisto ha contribuito a provocare, da un lato, un aumento del costo
del denaro e del credito che a sua volta ha favorito le speculazioni; dall’altro, il fallimento
economico dei piccoli e medi coltivatori, rifugiatisi nelle zone di colonizzazione per cause
economiche o per fuggire alla violenza. Infine, l’apertura economica ha aumentato le
importazioni di prodotti alimentari del 700%, provocando una drastica riduzione dell’area
nazionale coltivata. La fine degli investimenti pubblici nel settore agricolo, degli incentivi
statali alle esportazioni e dell’intervento pubblico nella commercializzazione di beni e
servizi agricoli sono misure adottate in accordo alle imposizioni delle organizzazioni
finanziarie internazionali e del maggior partner economico: gli Stati Uniti. Il fine raggiunto
è stato quello di rendere i maggiori prodotti agroindustriali colombiani più competitivi sul
mercato internazionale ma, dall’altra, questo ha contribuito all’ulteriore accumulazione
della terra. Pertanto, secondo Mondragón, il nodo dell’ingiustizia imperialistica delle
potenze occidentali sta in questo: mentre esse impongono ai paesi terzi l’adozione di
modelli di sviluppo che eliminano qualsiasi incentivo a favore dei produttori locali,
mantengono sussidi elevatissimi per gli agricoltori che vivono dentro i loro confini.353
Risultato di questa accumulazione senza limiti della terra è sintetizzabile in un solo dato: in
Colombia solo l’1,8% dei proprietari agrari possiede il 53% della terra.354
La ristrutturazione del narcotraffico.
Per catturare i capi del cartello di Medellìn e porre un freno alla “guerra allo Stato”355
scatenata dai narcos a fine anni ’80 le autorità colombiane e statunitensi si avvalsero non
solo del contributo della DEA, della CIA e dei corpi di sicurezza colombiani, ma anche
della collaborazione degli uomini del cartello di Cali e di alcuni gruppi paramilitari ad esso
legati.356 Fu così che nel 1989 venne ucciso Gonzalo Rogriguez Gacha, mentre Pablo
Escobar si consegnò alle autorità nel 1991. Per alcuni anni Don Pablo continuò a
manovrare il suo impero criminale da una prigione in cui riuscì a non farsi mancare nulla,
grazie alla collaborazione delle forze militari colombiane. La complicità dell’esercito fu
tale da rendergli addirittura possibile la fuga, avvenuta nel 1992. Fu in seguito a questo
episodio, in cui la credibilità dell’esercito subì un durissimo colpo a livello internazionale,
353
Ibidem.
Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003, pag. 89.
355
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003, pag. 83.
356
Patiño Otto, Las verdaderas intenciones de los paramilitares. Observatorio de paz, Intermedio,
Bogotà, 2002.
354
127
che Washington decise di procedere nella riforma del corpo di polizia colombiano. Gli
inseguimenti continuarono fino al 1993 quando Pablo Escobar venne ucciso. Tra il 1995 e
il 1996 anche il cartello rivale venne smantellato: alcuni dei suoi capi vennero uccisi, altri,
come i fratelli Orejula, finirono in carcere dopo aver definito le condizioni del loro
“assoggettamento alla giustizia”.357
Negli anni a seguire il sistema del narcotraffico colombiano si sottopose ad un processo di
ristrutturazione che gli permise non solo di mantenere in vita le sue attività, ma addirittura
di accrescerle. Se nel 1995 le coltivazioni di coca corrispondevano a 50.900 ettari, nel
2000 avevano raggiunto la cifra di 136.200 ettari.358
Nel loro libro preparato per la Forze Aeree degli Stati Uniti Angel Rebasa e Peter Chalk
sostengono che da allora in avanti il sistema del narcotraffico colombiano è stato
caratterizzato da un’organizzazione più “diffusa.”359 A partire dalla seconda metà degli
anni ’90 il mercato della droga ha cominciato ad essere controllato da cellule di dimensioni
minori, dotate di una maggiore autonomia e comunicanti tra loro attraverso i nuovi mezzi
di comunicazione (Internet e telefoni cellulari). I rapporti di potere della nuova criminalità
organizzata colombiana, che continua a controllare una grossa fetta del mercato mondiale
delle sostanze illegali (secondo le cifre del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti nel 1999
la Colombia produceva l’80% della produzione globale di cocaina360), si snodano secondo
una logica di tipo orizzontale. I piccoli gruppi che la costituiscono affidano molte delle
attività legate al traffico a specialisti del settore, i quali si offrono per delle collaborazioni,
anziché entrar a far parte integrante della struttura.
“L’effetto immediato della passata repressione è stata la disorganizzazione dei grandi
network. Per fare di necessità virtù, queste grandi organizzazioni hanno rapidamente
realizzato che le strutture decentralizzate sono molto meno vulnerabili ed hanno quindi
iniziato il processo di trasformazione per adattarsi alla nuova situazione.”361
L’operazione Millenium messa in atto dalle autorità statunitensi e colombiane conclusasi
nel 1999 con lo smantellamento del gruppo di Alejandro Bernal è stata determinante,
secondo questi due analisti, per cogliere i cambiamenti appena descritti. Essa ha di fatti
357
Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 172.
Fonte: Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, International Narcotics Control Strategy Report,
1996 e 2000, Bureau for International Narcotics and Law.
359
Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its
implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 14.
360
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Bureau for International Narcotics and Law,
International Narcotics Control Strategy Report, 1999. Washington D.C., 2000.
358
128
messo in luce che questo gruppo non costituisce “un’entità unica e isolata, ma appare
piuttosto un’organizzazione enorme, alimentata da molte altre cellule più piccole,
contrattate a tempo determinato per delle singole operazioni.”362 Questo è quanto emerge
dalle dichiarazioni di un ufficiale della polizia antinarcotici colombiana a conclusione
dell’operazione: “stimiamo ci siano diverse centinaia di piccoli cartelli operanti secondo
una modalità atomizzata. Alcuni di questi gruppi confluivano nell’organizzazione che
abbiamo smantellato, ma ci sono diverse altre organizzazioni che non abbiamo ancora
identificato, grandi come quella di Bernal, la cui forza è derivata dalla collaborazione di
organizzazioni più piccole”.363
Daniel Pecaut sostiene invece che gli adattamenti dei grandi cartelli del passato alla nuova
situazione non siano stati di così ampio respiro. Secondo le sue considerazioni, anche se
con un “profilo più basso, le grandi organizzazioni di Cali e Medellìn possiedono ancora
molte ramificazioni; quella del Norte del Valle, ad esempio, è più forte che mai”.364 Tale
diversità di vedute è facilmente spiegabile se si prende in considerazione la teoria del
sociologo francese secondo cui “il termine cartello è di per sé discutibile”365 se applicato al
sistema del narcotraffico colombiano, anche nella decade degli anni ’80, in quanto “esso
implica una coordinazione che esiste solo parzialmente nella realtà colombiana”.366 La
logica di funzionamento dei cartelli si è sempre avvicinata a quella di un’impresa
economica, piuttosto che ad un’organizzazione politica con un controllo stabile su un
territorio determinato: “questi cartelli erano, soprattutto, centrali di commercializzazione
che si appoggiavano ad una molteplicità di collaboratori relativamente autonomi”.367 Gli
uomini da loro assoldati in modo diretto, scelti in base a vincoli di tipo familiari o di
amicizia, hanno sempre rappresentato un numero limitato in proporzione alla grandezza del
loro raggio d’azione. La particolarità del tessuto sociale di un “paese di colonizzazione non
controllata”368 in cui sono emerse le reti dei narcotrafficanti, ha garantito loro la
disponibilità di “numerosi circoli concentrici di persone che intrattenevano con loro un
qualche tipo di relazione: quelli che ricevevano da loro l’appoggio finanziario (come
numerosi poliziotti di Cali a fine anni ’80); quelli che portavano a termine per loro
361
Geopolitical Drug Watch, A drug primer for the late 1990s. Nella rivista Current History, n.
97/618, 1998, pag. 151.
362
Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its
implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 15-16.
363
New drug cartels hold tech advantage, Washington Post, 15 novembre 1999.
364
Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003, pag. 157.
365
Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 158.
366
Ibidem.
367
Ibidem.
368
Ibidem, pag. 163.
129
eventuali contratti (come i sicari di Medellìn) o quelli che beneficiavano, in maggiore o
minor misura, della generosità dei loro capi.”369 È per questo che in Colombia i cartelli
“non hanno mai avuto la necessità di assumere una struttura generale di protezione, né un
controllo territoriale stabile, né un sistema di regole orientate ad organizzare la vita
collettiva”.370
Quando il potere acquisito dai narcotrafficanti è arrivato a far vacillare l’intero sistema
delle istituzioni statali a fine anni ’80 la tolleranza implicita del governo nei confronti di
tali organizzazioni illegali ha lasciato il posto a politiche di repressione. Ancora una volta,
la “razionalità fondata nella difesa dei loro interessi si è imposta sopra qualsiasi altra
logica: La frammentazione delle reti ha costituito la risposta più adeguata per proteggersi
contro le misure di repressione.”371 Anche per Pecaut il processo di segmentazione che ne
è derivato ha concesso ai capi secondari di acquistare una maggiore autonomia,
determinando lo sviluppo di nuclei di organizzazione criminali di più modeste dimensioni,
in grado di controllare la produzione delle sostanze illegali, attraverso piccoli laboratori
mobili, e la distribuzione delle stesse nella propria fetta di mercato. Ciò non toglie però che
queste cellule facciano riferimento a centrali molto più grandi.
La nuova configurazione del sistema del narcotraffico sembra aver tratto molti spunti
dall’organizzazione di quello che era il cartello colombiano minore nella decade degli anni
’80, quello controllato da Gilberto Rodriguez Orejula. Con la sua personale scelta di non
costituire mai una sfida al potere costituto scendendo direttamente in campo politico,
preferendo utilizzare i soldi alle armi per il perseguimento dei propri interessi,
diversificando in misura più ampia i propri investimenti372 e mettendo in piedi un potere
fondato su cellule separate rette da una ferrea disciplina, Orejula ha fornito il “modello da
seguire per i futuri signori della droga colombiani”.373 Quello che per Guido Piccoli
rappresenta il vero cambiamento occorso dalla metà degli anni ’90 è la scomparsa delle
“megastrutture dotate di imponenti apparati militari”.374 Da allora in avanti i
narcotrafficanti hanno ritenuto più vantaggioso optare per una più netta divisione dei
compiti con i gruppi paramilitari. In particolare, i fratelli Castaño si sono affermati come
369
Ibidem, pag. 166.
Ibidem, pag. 167. Tale funzione di protezione, capace di supplire ad una mancanza di reciproca
fiducia, è quella che secondo Dino Gambetta caratterizza invece il sistema mafioso siciliano. Vedi
D. Gambetta, The sicilian mafia. The business of private protection. Cambridge, Harvard
University Press, 1993.
371
Ibidem, pag. 168.
372
Oltre ad imporsi nel settore agricolo ed edilizio, Orejula cercò da subito di estendere il suo
potere e la sua influenza nel settore finanziario.
373
Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994, pag. 227.
374
Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 106.
370
130
interlocutori tra i due nuclei di potere, garantendo ai narcotrafficanti la massima sicurezza
dei loro interessi e delle loro proprietà senza confusioni di ruolo, rivelatesi dannose per
entrambe le organizzazioni criminali. Se l’uso delle armi da parte dei narcotrafficanti
aveva risvegliato una reazione frontale del potere statale trasformando le loro
organizzazioni in facili bersagli delle autorità, la nuova politica di repressione messa in atto
dal governo aveva determinato conseguenze ancor più dure per i gruppi paramilitari. Sotto
le pressioni USA e in seguito all’omicidio di Galàn, durante il governo Barco la linea della
guerra frontale al narcoterrorismo fu diretta contro tutte le sue manifestazioni,
paramilitarismo compreso. Il fenomeno paramilitare colombiano attraversò quindi la sua
prima grande crisi, in cui si determinò la “fine dell’egemonia del gruppo di Puerto Boyacà
come base dei gruppi di autodifesa che, protetti dal decreto legislativo 3398375 del 1965 del
presidente Guillermo Leon Valencia, erano sorti tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli
anni ’80.”376 Lo smantellamento del gruppo egemonico, avvenuto tra il 1989 e il 1992,
risentì gravemente della morte di Rodriguez Gacha, narcotrafficante a capo del gruppo.
L’inarrestabile crescita del fenomeno paramilitare.
In pochissimo tempo le forze paramilitari riuscirono a riorganizzarsi grazie al sostegno
immutato dei tre alleati d’eccezione che ne avevano permesso l’inarrestabile crescita nel
corso dell’ultimo ventennio: i grandi latifondisti, i narcotrafficanti e le Forze Armate locali
e nazionali.
Nel 1994 molti gruppi regionali confluirono nell’organizzazione fondata da Fidel Castaño
a fine anni ’80, le Autodifensas Campesinas de Cordobà y Urabà (ACCU). Grazie ad una
serie di massacri e assassini selettivi a danno delle forze civili di sinistra di questi due
dipartimenti, confinanti con la regione panamense, l’ACCU si era affermata come uno
degli “squadroni della morte” più violenti e pericolosi del paese. In quell’anno il capo di
tale organizzazione morì e il suo posto venne preso dal fratello minore Carlos, le cui
aspirazioni a creare una forza di portata nazionale ebbero ben presto modo di realizzarsi.
Fu così che nel 1997 l’organizzazione assunse il nuovo nome di Autodifensas Unidas de
Colombia (AUC). Il fine dichiarato da tale organizzazione è quello di ristabilire il controllo
e l’ordine nel paese e di eliminare i gruppi insurrezionali armati. Come afferma Jenny
Pearce, si tratta di “una forza militare brutale e potente, autonoma rispetto all’esercito
colombiano, che ne condivide però gli obbiettivi e gli fornisce gran parte del supporto
375
Decreto che tre anni più tardi venne formalizzato con la legge n. 48, che autorizzava il governo
a creare pattuglie civili e a rifornirle di armi di uso esclusivo dell’esercito.
376
Patiño Otto, pag. 11.
131
effettivo.”377 Nel 2001 Carlos Castaño, spinto dalla volontà di affermare la propria
organizzazione come un soggetto politico nazionale, ha abbandonato la carica di
comandante militare autoproclamandosi capo del “consiglio d’amministrazione politico.”
Salvatore Mancuso ha assunto la carica di capo militare delle AUC. Fino a questo
momento le AUC non hanno ancora fondato alcun partito politico vero e proprio,
preferendo sostenere a livello locale dei candidati compatibili con i loro interessi. “La
strategia e i mezzi utilizzati dalle AUC rispecchiano quelli della guerriglia. Le AUC stanno
cercando di estendere il loro controllo a livello locale ed esercitare influenza politica
attraverso il controllo o l’intimidazione degli ufficiali locali. La loro strategia consiste nel
competere per il controllo delle aree di produzione di sostanze illegali, dove la guerriglia
incontra le sue maggiori fonti di finanziamento”.378
In relazione ad alcune dichiarazioni di Castaño, pare che la ricerca di fedeli alleati tra le
elite politiche dominanti sia arrivata al piano nazionale. L’attuale presidente Alvaro Uribe
è stato da lui dichiarato come “l’uomo più vicino alla filosofia delle AUC”379. Sempre con
le parole di Castaño, “la base sociale delle AUC lo considera come il proprio candidato
politico.”380 Tale vicinanza è stata denunciata durante la campagna politica del 2002 anche
dai gruppi d’opposizione di Uribe, che si sono spesso riferiti a lui come il “candidato dei
paramilitari”.381
Nel settembre del 2002 gli Stati Uniti hanno avanzato la richiesta di estradizione di Carlos
Castaño, con l’imputazione di collusioni col narcotraffico. Il successivo annuncio di
Castaño di avviare una ristrutturazione della sua organizzazione al fine di eliminare le
componenti più vicine ai narcotrafficanti non è valsa a far cadere la richiesta di
estradizione.
I primi anni ’90 furono caratterizzati anche dalla nascita delle Cooperativas comunitarias
de vigilancia rural (Convivir), promosse dal presidente Samper. Proposte come “strumenti
di difesa civile”, finanziate dai privati, armate e coordinate da polizia ed esercito, le
Convivir sembravano una fotocopia dei gruppi di autodifesa contadina creati vent’anni
377
Pearce Jenny, nell’introduzione dell’opera di Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs,
democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 11.
378
Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its
implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 55.
379
Aranguren Molina M., Mi confesión. Carlos Castaño revela sus secretos. Editorial Oveja
Negra, Colombia, 2001, pag. 177.
380
Ibidem.
381
Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:
una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004; Livingstone Grace, Inside
Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 220.
132
prima dalla legge 48. “Le Convivir […] furono deliberatamente create per evitare le
sembianze dei gruppi paramilitari illegali.”382 Con esse il governo voleva promuovere la
partecipazione della popolazione civile nella battaglia contro le organizzazioni sovversive,
senza conferire loro un assetto di milizia. Oltre a svolgere funzioni di intelligence, i loro
membri vennero autorizzati ad utilizzare armi secondarie. Nella seconda metà degli anni
’90 lo Stato colombiano si pronunciò a favore della loro messa al bando: fu allora che
molti loro membri confluirono nelle AUC. Secondo i dati messi a disposizione dal
Ministro della Difesa colombiano nel 2001 le AUC contavano 10.600 unità.383
Secondo Alfredo Rangel384 la sottovalutazione del problema paramilitare da parte dello
Stato ha contribuito all’espansione progressiva del fenomeno. Se inizialmente questi
gruppi erano nati da esigenze di carattere difensivo a sostegno dei diritti di proprietà, ben
presto le loro azioni si iscrissero in una più ampia strategia d’attacco per il controllo
territoriale, rivolta contro i gruppi guerriglieri e i loro simpatizzanti. Per Rangel “gruppi
paramilitari colombiani rispondono ad un progetto controinsurrezionale di carattere
civile”385. Man mano che il loro potere si è espanso, grazie principalmente ai finanziamenti
dei narcos, le loro pretese sono cresciute tanto che, a partire dagli anni ’80, hanno
cominciato a rivendicare il diritto di essere riconosciuti come soggetti politici e a
pretendere di svolgere un ruolo di arbitro nel processo di pace tra lo Stato e i gruppi
guerriglieri. Per Gary Leech, è stato il massiccio intervento statunitense, giustificato in
nome della “lotta alla droga”, ad “esacerbare la situazione di per sé disastrosa”386. Per lo
studioso la crescita del fenomeno paramilitare colombiano non può prescindere dal
significativo ruolo svolto nell’addestramento degli “squadroni della morte” e nella
modernizzazione delle loro tecniche di combattimento, ad opera dell’Istituto per la
Cooperazione alla Sicurezza dell’Emisfero Occidentale dell’Esercito degli Stati Uniti,
creatore e finanziatore delle School of Americas (SOA). A tal riguardo John Green387 non
mette in dubbio la partecipazione statunitense, ma sottolinea che molti “squadroni della
382
Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its
implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 54.
383
Echeverry J. C., Manejo de riesgos del Estado: violencia, secuestro y seguridad personal.
Departamento Nacional de Planeación. www.dnp.gov.co/03_PROD/PRESEN/0p_dir.htm.
384
Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y
Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001.
385
Ibidem, pag. 412.
386
Leech Gary, Killing peace: Colombia’s conflict and the failure of U.S. intervantion.
Information Network of the Americas, New York, 2002, pag. 2-3.
387
Green John, Guerrillas, soldiers, paramilitaries, assassins, narcos and gringos: the unhappy
prospects for Peace and democracy in Colombia. Nella rivista Latin American Research Review,
vol. 40, n. 2, Giugno 2005.
133
morte” colombiani hanno goduto di vari decreti a loro favore, se non di veri e propri
finanziamenti, da parte di numerosi governi colombiani fin dagli anni ’40. Nella sua opera
Leech enfatizza come ogni passo avanti fatto nella “lotta alla droga” abbia contribuito
“all’emergere di una nuova, più efficiente ed oscura organizzazione”388. Egli non esita a
mettere in relazione l’avanzata del processo di globalizzazione in Colombia con la guerra
sucia e l’attitudine dei gruppi paramilitari a riconoscere come bersagli primari gli attivisti
non governativi e i leader sindacali. Il tutto a beneficio degli interessi delle corporazioni
statunitensi.
Considerazioni condivise anche da Nazih Richani, secondo cui all’origine dell’attuale
forza dei gruppi paramilitari colombiani sta la “terribile alleanza”389 tra narcotrafficanti,
grandi proprietari terrieri, multinazionali, gruppi industriali e rappresentanti dello Stato
colombiano, suggellata nel 1983 nel Magdalena Medio con la formazione delle ACCU.
Sulla base di queste già collaudate collaborazioni, tre differenti formazioni paramiliari
(quella legata alla mafia sviluppatasi sulle ricchezze derivanti dal traffico di smeraldi,
quella legata alle reti dei narcotrafficanti, quella legata alle elite latifondiste) “confluirono
negli anni ’90 sotto una leadership unica e con un progetto politico conservatore a sostegno
delle Forze Armate dello Stato”.390 Da allora “i massacri sono diventati uno strumento
effettivo nel processo di concentrazione della terra.”391
La guerriglia.
La gravità della crisi istituzionale in cui si ritrovò il paese a fine anni ’80 condusse le elite
politiche a ritenere opportuno rifondare lo Stato sulla base di un sistema più partecipativo e
decentralizzato, più orientato alla giustizia sociale, più trasparente e meno corrotto.
Alle consultazioni elettorali indette nel 1990 per la nomina dei delegati dell’Assemblea
costituente si registrò, però, il più basso tasso di affluenza dal 1958, anno della
restaurazione del sistema costituzionale: ben il 74% degli aventi diritto al voto non
parteciparono alle consultazioni.392 Sulla base di questo dato è pertanto possibile mettere in
discussione la base legale dell’Assemblea.
388
Leech Gary, Killing peace: Colombia’s conflict and the failure of U.S. intervantion.
Information Network of the Americas, New York, 2002, pag. 43.
389
Richani Nazih, Sistems of violence: the political economy of war and peace in Colombia.
Albany, SUNY Press, 2002, pag. 102.
390
Ibidem, pag. 104.
391
Ibidem, pag. 120.
392
Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University
Press, 2002.
134
Il nuovo testo costituzionale affermava per la prima volta principi fondamentali quali la
garanzia e il rispetto dei diritti umani, il riconoscimento della pluralità etnica della
popolazione colombiana, il rispetto ambientale e il necessario avvio di processi di
democratizzazione e decentralizzazione del potere. Essa si appellava alla società
colombiana perché si compromettesse in un processo di riconciliazione, tale da permettere
l’incorporazione delle bande armate illegali nel tessuto sociale nazionale.
Contemporaneamente, il testo costituzionale indeboliva il potere del Congresso a
vantaggio del presidente, dell’esecutivo e delle municipalità. Al presidente venivano
riconosciute ampie prerogative nella vita economica della nazione, nelle relazioni
internazionali, nella riorganizzazione dell’amministrazione pubblica e del sistema
giudiziario. Forti poteri venivano assicurati all’Esecutivo nella programmazione
economica, nelle politiche fiscali, nell’elaborazione del bilancio nazionale e nella gestione
del debito e del commercio estero. Le autorità locali vennero rafforzate attraverso la
decentralizzazione del fisco: misura questa che ha accentuato nel paese la polarizzazione
tra aree povere e ricche. Inoltre, l’introduzione dell’elezione diretta dei sindaci e di un
differente calendario elettorale sul piano locale hanno formalizzato quel processo di
“frammentazione politica”393 avviatosi, dalla fine degli anni ‘70, in seguito alla progressiva
sostituzione dei leader del Fronte Nazionale con una nuova classe politica più legata agli
interessi locali e regionali. Rispetto al testo costituzionale del 1958, infine, la nuova
costituzione limitava le condizioni in cui poter dichiarare lo stato d’emergenza, “ma non
affrontò la delicata questione del ruolo delle Forze Armate in un paese democratico”.394
La partecipazione alla competizione elettorale per la formazione dell’Assemblea
costituente aperta alla nuova coalizione denominata Acciòn Democratica-M19, guidata
dall’ex guerrigliero Antonio Navarro Wolf, doveva essere la prova delle buone intenzioni
dell’elite politica. La formazione di tale coalizione era stata possibile grazie agli accordi di
pace firmati nel 1989 dal presidente Barco e dalla rappresentanza dei militanti dell’M19 e
dell’EPL. In seguito all’offerta di abbandonare le armi da parte della Coordinadora
Guerrillera Símon Bolívar (CGSB), negli ultimi mesi della presidenza Barco, anche i
vertici militari concessero una tregua. Lo stesso giorno delle consultazioni elettorali del
1990 però, l’esercito attaccò senza successo la Casa Verde, sede centrale riconosciuta delle
FARC, situata in corrispondenza del Dipartimento del Meta, ricominciando la guerra
contro le due formazioni ancora attive: le FARC e l’ELN. Quest’iniziativa militare voleva
393
Ibidem, pag. 338.
135
mostrare il dissenso dell’esercito alle proclamazioni di pace del neoeletto presidente
Gaviria (1990-1994).
Nel 1994 l’ELN uscì dalla Coordinadora Guerrillera Símon Bolívar: le tensioni tra le due
formazioni guerrigliere erano giunte ad un punto di non ritorno. Anche negli anni in cui
condivisero l’esperienza della CGSB, i due gruppi erano rimasti di fatto distinti. Oltre alla
differente base sociale e alla diversa tipologia del territorio sotto il loro controllo395, i
militanti dell’ELN si erano differenziati per aver sempre rifiutato di trarre vantaggio dalla
produzione e dal traffico di sostanze illegali. La posizione dell’ELN su questo tema è stata
determinata non solo dalla scarsa presenza dell’organizzazione in territori coltivati a coca,
ma anche dalla visione politica molto ideologica del gruppo, fortemente permeato dalle
idee e dai valori cristiani.396 Al contrario, il carattere ideologico delle FARC aveva
dimostrato di essere meno radicato tra la sua base sociale rurale, legata ad una razionalità
molto più pragmatica e quindi adattabile alle circostanze imposte dalla logica della guerra.
Anche se la sua organizzazione interna si è sempre distinta per essere autoritaria e
gerarchica, come spesso accade alle organizzazioni politiche i cui membri hanno
un’origine popolare397, gli ambigui rapporti che hanno da sempre caratterizzato le relazioni
tra la dirigenza delle FARC e del Partito Comunista ha reso possibile una maggiore
dinamicità dell’organizzazione, soprattutto “a seguito del cambiamento della natura della
guerra – consolidamento narcotraffico e caduta dell’Unione Sovietica – che ha permesso
alle FARC di acquistare una sempre più grande autonomia rispetto al Partito Comunista,
fino ad arrivare all’indipendenza totale.”398
A partire dal 1994 le tensioni tra i due gruppi si svilupparono attorno alle diverse strategie
d’azione adottate: “se le FARC si concentrarono sulla crescita militare, l’ELN preferì
394
Ibidem, pag. 337.
La base sociale delle FARC è sempre stata di origine rurale, forte soprattutto in corrispondenza
delle zone di recente colonizzazione. L’unica occasione in cui ha goduto di un apporto decisivo tra
le componenti urbane è stata durante la seconda metà degli anni ’80. Grazie a questo ampio
sostegno e in seguito al processo di pace avviato da Betancur fu possibile la creazione dell’Uniòn
Patriotica. Al contrario, la base sociale dell’ELN è sempre stata di origine urbana: dapprima legata
agli ambienti intellettuali ed universitari, in seguito si è allargata tra i settori più disagiati della
città.
396
Corporación Observatorio para la Paz, Las verdaderas intenciones dell’ELN. Intermedio,
Bogotà, 2001; Rangel A., La dinámica y la perspectiva de la confrontación armada. Nell’opera:
Casa de América, Democrazia y paz, Madrid, 2002.
397
Panebianco A., Modelli di partito. Organizzazione di potere nei partiti politici. Il Mulino,
Bologna, 1982.
398
Guiterrez F., Prologo dell’opera di Ferro Medina G. e Uribe Ramón G., El orden de la guerra.
Las FARC-EP entre la organización y la política. Centro Editorial Javeriano, Bogotà, 2002, pag.
14
395
136
tentare di aprire un dialogo con la società civile”.399 Il ricorso alla tassazione sulla
produzione e sul traffico della droga da parte delle FARC aveva difatti aumentato
visibilmente le forze sul campo degli uomini di Marulanda, che dalla metà degli anni ’90
dimostrarono di essere in grado di attaccare su multipli fronti con colonne di più di 1000
uomini, dotati di armi moderne. Si stima che il numero dei combattenti delle FARC sia
passato da 3.600 unità nel 1986 a 16.000-20.000 unità nel 2001400; anche il numero dei
militanti dell’ELN è aumentato rispetto al 1986 (in cui si contavano appena 800 uomini)
ma, dopo aver raggiunto il massimo di 5.000 unità nel 1995, esso è tornato ad abbassarsi
oscillando tra 3.500 e 4.500 unità nel 2001.401
Forse mossa dalla consapevolezza di una capacità militare ben più ridotta, la dirigenza
dell’ELN promosse allora la nascita di un forum, in cui vennero invitati i rappresentanti di
diversi settori per partecipare al dibattito sulle riforme sociali ed economiche necessarie
allo sviluppo della nazione.
Per la ripresa del dialogo tra governo e guerriglia si dovette attendere l’elezione del
conservatore Pastrana (1998-2002): sia le FARC che l’ELN rifiutarono difatti con
decisione di scendere al tavolo delle trattative con il presidente Samper, la cui vicinanza ai
narcos, e di conseguenza ai paramilitari, aveva messo in serio dubbio la credibilità politica.
Fu così che nel 1998, davanti agli occhi increduli dell’intera nazione, ancora in piena
campagna elettorale si svolse lo storico incontro trasmesso in TV tra Pastrana e il leader
indiscusso delle FARC, Manuel Marulanda, in una località sconosciuta della foresta
amazzonica colombiana. Per qualche mese molti membri della società civile crederono
davvero nella possibilità della fine del conflitto.
Il mese successivo l’ELN organizzò un meeting in Germania a cui parteciparono la Chiesa,
alcuni sindacati e alcune ONG. Oltre alla discussione sulle necessarie riforme da attuare a
lungo termine nella nazione colombiana, l’ELN rivendicava la concessione di una zona
smilitarizzata, dove la garanzia del mantenimento della tregua fosse affidata a delle forze
internazionali. La debolezza militare del gruppo però, fece sì che il governo decidesse di
scendere a trattative solo nel 1999, in seguito al dirottamento di un aereo commerciale
399
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,
London, 2003, pag. 212.
400
Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its
implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 26; fonte: Rangel A. Colombia: Guerra
en el fin de siglo, Tercer Mundo Editores, Bogotà 1998. I dati messi a disposizione dal Ministro
della Difesa per il 2001 riportano la cifra di 16.600 unità.
401
Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its
implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 26; fonte: Rangel A. Colombia: Guerra
en el fin de siglo, Tercer Mundo Editores, Bogotà 1998. I dati messi a disposizione dal Ministro
della Difesa per il 2001 riportano la cifra di 4.500 unità.
137
dell’Avianca in cui si trovavano 56 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio, e della messa
sotto sequestro per una settimana di un’intera congregazione di una Chiesa di Cali. La zona
scelta dall’ELN corrispondeva a due municipalità, situate in quella che era da sempre stata
la roccaforte dell’organizzazione e che, dalla seconda metà degli anni ’80, si era rivelata
come zona strategica per la presenza del petrolio: si trattava dei dipartimenti di Arauca,
Santander e Casanare, a nord-est del paese. Non a caso, nell’ultimo ventennio la presenza
delle forze paramilitari era cresciuta in maniera progressiva in questi territori, a conferma
dell’aumentato loro valore strategico. Il valore degli interessi in gioco era così alto, che
ancor prima dell’annuncio ufficiale dei propositi dell’ELN, vennero organizzate numerose
proteste di massa e la zona smilitarizzata non venne mai creata. Nel 2002
l’amministrazione Pastrana bloccò definitivamente le trattative avviate.
Anche il fallimento delle trattative con le FARC non tardò ad arrivare, grazie alla
collaborazione di entrambe le parti in causa. Da parte loro, per tutta la durata del processo
di pace le FARC continuarono ad avanzare militarmente, riuscendo ad assicurarsi il totale
controllo di un’aerea delle dimensioni di 42.000 chilometri quadrati, in corrispondenza dei
Dipartimenti del Meta e del Caquetà, attorno alla “zona smilitarizzata” concessa da
Pastrana nel novembre del 1998. Quest’area, liberata dalla presenza dell’esercito, avrebbe
dovuto costituire il luogo neutrale in cui permettere lo svolgimento delle trattative di pace.
Di fatto le FARC utilizzarono il territorio per “rafforzare la propria capacità militare,
espandere la propria influenza territoriale e continuare le operazioni di sequestro e di
estorsione contro la popolazione civile.”402 Il dialogo con Pastrana fu quindi intervallato da
lunghi periodi di stallo: senza il raggiungimento di una tregua sul campo di battaglia, le
FARC hanno continuato a rappresentare una minaccia armata concreta. Secondo Angel
Rangel, dato che le condizioni imposte dalle FARC durante le trattative con il governo
Pastrana riguardavano cambiamenti sociali a lungo termine, realizzabili attraverso una
serie di riforme costituzionali, misure legislative ed esecutive riguardanti il campo agrario,
economico, fiscale e politico- sociale, il persistere della minaccia armata su tutta questa
serie di decisioni governative avrebbe conferito alle FARC una “prerogativa di co-governo
nazionale”.403 Per Rangel, il successo delle FARC ha dipeso dalla capacità dei suoi leader
di imporre la tregua come un oggetto di negoziazione, facendola dipendere dal
compimento, da parte del governo, di specifiche condizioni. Il tutto ha consentito ai
membri del gruppo guerrigliero di apparire agli occhi di alcuni come i “difensori della
402
Pearce Jenny, nell’introduzione dell’opera di Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs,
democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 13.
403
Ibidem.
138
pace, di fronte ad un governo che le FARC avrebbero segnalato come complice delle forze
paramilitari ed asservito alla politica statunitense.”404
Quanto alla prima accusa, non bisogna dimenticare che nonostante la battaglia contro le
forze paramilitari fosse una delle priorità assolute del governo Pastrana405, l’accanimento
delle forze armate era evidentemente diretto contro le forze guerrigliere. Tra il 1997 e il
1999, ad esempio, il numero dei paramilitari uccisi o catturati ha rappresentato
rispettivamente l’1,6% e il 12,63% del totale delle loro forze; mentre, per quanto riguarda
le forze guerrigliere, questi dati hanno sfiorato il 10,37% e il 14,72%.406 L’elevata
sproporzione tra il numero dei paramilitari e quello dei guerriglieri uccisi, non dimostra
trattamenti di favore riservati ai paras ma, secondo il Ministro della Difesa dei Diritti
Umani colombiano, essa va ricondotta all’attitudine dei guerriglieri di preferire in misura
maggiore il confronto diretto con le Forze Armate. Ad ogni modo, durante tutto il processo
di pace, le forze paramilitari hanno continuato a crescere in modo ininterrotto aumentando
considerevolmente la loro zona di controllo.407
Per quanto concerne la seconda accusa mossa dalle FARC al governo Pastrana, i
cambiamenti ottenuti da questa amministrazione riguardo le relazioni con gli Stati Uniti
furono di tale portata che Grace Livingstone ha addirittura affermato: “Pastrana cambiò
l’immagine della Colombia, da nazione pariah a nazione con la quale Stati Uniti e Unione
Europea si felicitavano di collaborare”.408 A soli due mesi dalla sua inaugurazione come
presidente, Pastrana fu ricevuto alla Casa Bianca dall’allora presidente Bill Clinton:
l’importanza di questo incontro sta nel fatto che erano trascorsi ben 23 anni dall’ultima
visita ufficiale di un presidente colombiano a Washington. Nel 1999 Pastrana ottenne la
certificazione degli Stati Uniti riguardo l’impegno governativo nella lotta anti-droga. Lo
stesso anno il presidente liberale presentò il suo Plan de Desarrollo, contenente, come si è
visto, la prima formulazione del Plan Colombia, che dopo un anno di discussioni ed
incontri con diversi membri dell’amministrazione degli Stati Uniti, finì per assumere le
vesti di un piano militare orientato contro il traffico di sostanze illegali.409
404
Ibidem, pag. 231.
Le forze paramiliatri erano state dichiarate illegali per la prima volta da Barco nel 1989; nel
1993 il governo tornò a legalizzare la “sicurezza privata” e le “cooperative di vigilanza”
permettendo la nascita delle Convivir; nel 1999, infine, per volontà del governo Pastrana tali
organizzazioni vennero nuovamente dichiarate illegali.
406
Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its
implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 57.
407
Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003.
408
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau,
London, 2003, pag. 86.
409
Instituto de Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de
Colombia, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Planeta, Bogotà, 2001;
405
139
Ad ogni modo, una volta fallito il processo di pace, le FARC hanno cominciato ad essere
viste progressivamente come la causa della guerra e della violenza: tra i vari soggetti
coinvolti nelle trattative di pace “sono state le FARC a rimetterci di più dal punto di vista
politico”.410 L’organizzazione vive oggi un momento in cui gode della massima
potenzialità militare e della minima legittimità politica tra la popolazione civile, soprattutto
tra quella parte delle classi medie che dalla fine anni ’70 la aveva sostenuta o
semplicemente aveva simpatizzato per le sue cause e i suoi progetti politico-sociali. Il
processo di istituzionalizzazione, inteso come tensione tra gli interessi riproduttivi
dell’organizzazione e i fini per i quali essa fu creata411, ha reso possibile il processo di
adattamento delle FARC alla logica della guerra attuale, nella quale “quello che è in gioco
non è fondamentalmente l’ideologia, ma il potere.”412
I cambiamenti avvenuti nella natura del conflitto armato hanno accresciuto le violazioni
dei diritti umani e del Diritto Umanitario Internazionale da parte di tutti gli attori coinvolti
nel combattimento. In particolare, per quanto riguarda le forze guerrigliere, queste
violazioni riguardano: il reclutamento dei minori di diciotto anni; l’utilizzo indiscriminato
contro la popolazione civile di pipette a gas piene di dinamite; l’uso di mine antipersona; la
pratica diffusa del sequestro di persone.413
L’utilizzo del terrore contro la popolazione civile da parte di ogni attore armato
(guerriglieri, paras, Forze Armate) rappresenta il mezzo indispensabile per ottenere quel
“consenso” necessario al controllo dei territori conquistati, senza il quale non è possibile
sopravvivere in una guerra a bassa intensità come quella attuale. Forti dei mezzi economici
di cui dispongono grazie al consolidamento dell’economia del narcotraffico e alla
conseguente internazionalizzazione del conflitto, le parti coinvolte perseguono i loro fini
militari ma sono costrette a ricorrere sempre più al terrore perché tali fini si allontanano in
misura crescente dalle rivendicazioni sociali ed economiche delle popolazioni locali.
Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London,
2003; Mondragón H., “Plan Colombia”: para mantener el status quo.
www.gratiswb.com/ciclocrisis; Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà,
2003; Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003; Sánchez
Ricardo, Crítica y alternativa. Las izquierdas en Colombia. Editorial la Rosa Roja, Bogotà, 2001.
410
Pearce Jenny, nell’Introduzione dell’opera di Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs,
democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 12.
411
Panebianco A., Modelli di partito. Organizzazione di potere nei partiti politici. Il Mulino,
Bologna, 1982.
412
Kirk Robin, More terribile than death: massacres, drugs and America’s war in Colombia.
Pubblic Affairs, New York, 2003, pag. 16.
413
Dominguez Gomez E., Verdades para la guerra y verdades para la historia. Nell’opera: Casa
de América, Democrazia y paz, Madrid, 2002.
140
Grazie al consolidamento del narcotraffico, punto di partenza dell’estendersi della violenza
generalizzata e della totale disgregazione del tessuto sociale, in Colombia oggi si può
parlare di una “guerra contro la società.”414
TERZO CAPITOLO: IL PROCESSO DI PACE IN
COLOMBIA.
“Come sostituire il circolo vizioso discendente di violenza con il
circolo ascendente di rispetto mutuo?”415
Considerazioni sulla possibilità della pace in Colombia.
In seguito alla vittoria di Alvaro Velez Uribe alle lezioni presidenziali del 2002, le misure
adottate dallo Stato colombiano per affrontare il conflitto interno sembrano in parte
rispecchiare le raccomandazioni fatte da Alfred Rangel già allo scadere del mandato
elettorale di Pastrana. Per Rangel416, le difficoltà in cui si è imbattuto il processo di pace
avviato dal precedente governo sono state diretta conseguenza della debolezza militare
dello Stato colombiano, del tutto incapace, con le forze a disposizione, di controllare due
fenomeni oramai alla deriva. L’autore si riferisce:
1. al fatto che qualsiasi processo di negoziazione è destinato a fallire di fronte alle
dimensioni assunte, dalla seconda metà degli anni ’90 in poi, dalla potenza militare
delle FARC (da allora esse “non solo raggruppano la forza, ma sono in grado di
disperderla in maniera organizzata”417);
414
Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 9-13.
Citazione di Michael Ignatieff, riportata da Michael Frühling, direttore della sede dell’Ufficio
dell’ONU per i Diritti Umani in Colombia, www.hchr.org.co/publico/pronunciamentos/ponencias,
pag. 9.
416
Alfred Rangel, Las dinámicas y las perspectivas de la confrontación armada en el país. In
Democracia y Paz, A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002.
417
Ibidem, pag. 82.
415
141
2. al fatto che la debolezza della risposta statale ha contribuito ad accrescere nella società
colombiana la base di appoggio del “progetto controinsurrezionale di carattere civile,
molto autonomo dallo Stato” 418: il paramilitarismo.
In questo contesto, lo Stato non può far altro che utilizzare la via della forza per dimostrare
alle FARC che la loro vittoria militare sullo Stato non è possibile. Parallelamente, è
necessario che lo stesso messaggio provenga chiaro dalla popolazione civile. Rangel è
molto deciso nel ribadire che “non ci sono alternative: se si desidera la pace bisogna
finanziare la guerra.”419 Le negoziazioni potranno aprirsi solo quando la forza militare a
disposizione di una delle due forze in campo, o le Forze Armate o la guerriglia, sarà
doppia rispetto a quella dell’avversario.
Malcolm Deas420 condivide il realismo delle tesi di Rangel, che apprezza molto quando fa
chiaro riferimento alle parole di Richard Nixon, secondo il quale “la distensione
accompagnata dalla forza di dissuasione è la condizione per il successo della pacificazione,
mentre la distensione senza tale forza è la strada sicura verso il fallimento.”421
La distanza tra la politica di Uribe e le raccomandazioni di Rangel si fa evidente in
relazione alla prudenza dell’autore riguardo l’opportunità dell’intervento degli Stati Uniti.
La critica di Rangel rivolta al tipo d’azione condotta dalle forze militari statunitensi è
totale. L’inadeguatezza del tipo di aiuto militare fornito da Washington è tale che Rangel
lo include tra gli elementi che contribuiscono a favorire il conflitto, anziché frenarlo: il
punto è che servirebbero meno elicotteri e maggiore professionalità delle forze armate, un
loro maggior attaccamento alla legge e migliori relazioni intrattenute con la popolazione
civile colombiana. Altrettanto importante per l’autore è la garanzia di indipendenza degli
aiuti statunitensi rispetto a qualsiasi tipo di imposizione strategica, economica o politica.
Infine, la classe politica colombiana deve impegnarsi ad assicurare che il ricorso agli aiuti
esterni sia temporaneo: la Colombia non deve dipendere da questo tipo di aiuti che, se
prolungati, “generano dipendenza e diminuiscono lo sforzo proprio, come con le droghe, si
comincia a richiederne in quantità sempre crescente fino a perdere la propria
autonomia”.422
Al contrario, l’unico punto comune che caratterizza i vari scenari, tra loro molto diversi,
contenuti nell’opera pubblicata nel 2001 dalla RAND Corporation per la Forza Aerea degli
418
Ibidem, pag. 83.
Ibidem, pag. 90.
420
Prologo del libro di Alfred Rangel, Guerreros y politicos. Intermedio, Bogotà, 2003.
421
Ibidem, pag. 14.
422
Alfred Rangel, Las dinámicas y las perspectivas de la confrontación armada en el país. In
Democracia y Paz, A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002, pag. 89.
419
142
Stati Uniti423, è la convinzione che gli aiuti militari statunitensi possano svolgere un ruolo
decisivo per aiutare lo Stato colombiano a trovare la via d’uscita dal conflitto interno. Per
Rebasa e Chalk questi aiuti devono essere sospesi solo nel caso in cui la situazione assuma
le forme di un “fujimorazo” 424, ossia, se alla rottura totale delle negoziazioni segua il
dispiegamento di tutte le forze di repressione in mano allo Stato colombiano contro la
guerriglia. Per Rebasa e Chalk nel 2001 questo era uno scenario altamente improbabile,
perché fortemente associato alla possibilità di ricorrere a strumenti altamente lesivi dei
diritti umani. Basti pensare al caso del Perù, in cui la messa in atto di questa strategia si è
avvalsa dell’aiuto non indifferente di innumerevoli processi ai sospetti guerriglieri o ai loro
simpatizzanti ad opera dei servizi segreti. Per gli autori della Rand Corporation questa
possibilità potrebbe verificarsi nel caso in cui la fiducia della popolazione verso il processo
di pace si deteriorasse in modo crescente. L’iniziativa potrebbe partire dalle forze politiche
o da quelle militari. Ad ogni modo, il prezzo di una simile scelta sarebbe l’isolamento
internazionale.
A tre anni dall’elezione di Uribe, da alcuni membri della società colombiana e da una parte
della comunità internazionale provengono segnali preoccupanti sulla possibilità che questo
scenario si stia già verificando. Sotto l’attuale presidenza si è prodotto il passaggio da un
modello basato sul dialogo tra Stato e gruppi insurrezionali (non privo di difficoltà,
contraddizioni e crescita della tensione) ad un modello basato sull’aumento dell’intensità
della guerra, accompagnato dall’apertura degli spazi di dialogo tra governo e gruppi
paramilitari.
La prima preoccupazione riguarda i mezzi posti in atto dal governo per il raggiungimento
del controllo militare del territorio nazionale. Tra gli strumenti utilizzati, il principale è
rappresentato dal Programa de Seguridad Democratica, la cui logica si fonda sull’ampio
coinvolgimento della popolazione civile nelle questioni inerenti l’ordine pubblico,
attraverso un riconoscimento ed un rafforzamento dei compiti di intelligence da essa svolti.
Con la creazione delle figure di cooperantes e di informantes, tale strategia ha contribuito
ad offuscare la già labile distinzione tra popolazione civile e popolazione combattente.
Una simile politica, giustificata in nome del fatto che la popolazione civile costituisce il
maggiore bersaglio del conflitto interno, ricorda la vecchia dottrina di Seguridad
423
424
Angel Rebasa & Peter Chalk, Colombian labyrinth. RAND Corporation, Santa Monica, 2001.
Ibidem, pag. 82.
143
Nacional.425 Nel 2001 la Corte Costituzionale colombiana ha condannato la logica
ispiratrice di simile dottrina, sulla base del fatto che essa ostacola i compiti costituzionali
dello Stato inerenti la salvaguardia dei diritti umani e il rispetto del Diritto Internazionale
Umanitario. Secondo la Corte Costituzionale la logica semplificata di amico-nemico che
essa sottintende riduce l’autonomia della popolazione civile rispetto agli attori armati e
criminalizza qualsiasi altro tipo di opposizione politica.
In secondo luogo, i timori della comunità internazionale e di parte della società civile
colombiana riguardano la generale tendenza dell’attuale governo a ricorrere a vari mezzi
per il rafforzamento autoritario del potere del presidente: dall’utilizzo dello stato di
assedio, ai tentativi in atto di riforma costituzionale necessari a rendere possibile la
rielezione di Uribe ed ad istituzionalizzare alcune misure introdotte dal suo governo, tra cui
le detenzioni arbitrarie, le intercettazioni telefoniche, la violazione di domicilio senza
mandato giuridico, la concessione di funzioni di polizia giudiziaria alle Forze Armate.
Secondo Soraya Gutierrez, rappresentante del collettivo di avvocati Josè Alvear Restrepo,
anche il referendum plebiscitario tenutosi nel 2003 va considerato parte integrante di
quest’ampia strategia. Con esso Uribe mirava ad ottenere il consenso dei colombiani su
temi impopolari, cari alle èlites economiche tradizionali che lo sostengono, quali
l’aggiustamento della politica fiscale su base regressiva, il pagamento puntuale degli
accordi presi con la Banca Mondiale e l’approvazione delle misure adottate per ottenere i
mezzi necessari al finanziamento della guerra. Sulla base di queste iniziative politiche,
Guiterrez parla di un “processo di controriforma rispetto alla carta costituzionale del
1991”426, il cui effetto immediato è di favorire l’indebolimento dello Stato Democratico di
Diritto.
In terzo luogo, l’apertura del dialogo con i paramilitari desta non poche preoccupazioni.
La messa da parte del primo progetto governativo, che sembrava andare incontro a tutte le
richieste di impunità rivendicate dai paramilitari, è avvenuta solo in seguito alla
mobilitazione sociale in Colombia ed, in particolare, in seguito alle critiche provenienti
dalla comunità internazionale. Si è così giunti alla formulazione del progetto attuale che
riguarda la creazione di un sistema penale alternativo.427 Rispetto ad esso, numerose
425
Consultoria para los Derechos Humanos y el Desplazamiento Forzado (Cohdes),
Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo y
Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004
426
Dal suo intervento durante la conferenza tenutasi a Barcellona tra il 14 ed il 16 di aprile 2005,
riguardo il tema La cooperazione internazionale a favore della Colombia: Pace e Diritti Umani?
427
Maria Eugenia Sanchez, presidente della Casa de la mujer de Bogotà, membro della Alianza de
Organizaciones Sociales y Afines. Dal suo intervento durante la conferenza tenutasi a Barcellona
144
rimangono le raccomandazioni dell’ONU e le critiche dell’Organizzazione degli Stati
Americani: entrambe le organizzazioni ritengono insufficienti le garanzie statali per il
rispetto dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario. Anche l’amministrazione
degli Stati Uniti vuole maggiori garanzie riguardo il rispetto del Diritto Internazionale
Umanitario e l’adempimento da parte del governo colombiano alle richieste di estradizione
di alcuni paramilitari coinvolti in questioni legate al narcotraffico.
Nel mezzo dell’offensiva militare, il governo mantiene la pretesa di dialogo con i gruppi
insurrezionali, nonostante si mostri deciso a negare l’origine politica delle loro
organizzazioni e a considerarle come semplici gruppi terroristici. Coerentemente con tale
prospettiva, la massima apertura del governo verso questi gruppi si limita alla discussione
sulle possibilità del loro reinserimento nella vita civile, senza prevedere alcun tipo di
accordo sulle riforme strutturali del paese.428 L’inevitabile radicalizzazione della loro
posizione viene utilizzata dal governo per giustificare la strategia militare adottata. Ne
consegue un ulteriore polarizzazione tra gli attori armati coinvolti.
Herbert Braun429 è uno dei numerosi autori che riconoscono nella degenerazione delle
pratiche di guerra avvenuta nel corso degli anni ’90 ad opera dei gruppi armati illegali una
delle ragioni principali della vittoria elettorale di Uribe. Per Braun, oggi la guerriglia
agisce in modo indiscriminato colpendo giornalisti, leader progressisti, bambini: le
convinzioni morali ancora chiaramente definite negli anni ’80 si sono arenate nella realtà
di una guerra prolungata, in cui l’utilizzo di pratiche lesive dei diritti umani è cresciuto in
modo esponenziale. Alla loro violenza si aggiunge quella delle forze paramilitari che
colpiscono qualsiasi voce pubblica indipendente. Il terrore diffusosi nella popolazione ha
alimentato e continua ad alimentare la generale sfiducia nelle pratiche convenzionali della
politica. È a causa di questo terrore che “poche persone di questi giorni contemplano
cambiamenti economici e sociali”.430
Anche Daniel Pecaut si allontana dalla visione clausewitziana di guerra per l’analisi dei
conflitti odierni e pone “gli attriti al centro delle strategie adattate”.431 Secondo l’autore,
tra il 14 ed il 16 di aprile 2005, riguardo il tema La cooperazione internazionale a favore della
Colombia: Pace e Diritti Umani?
428
Alvaro Villalarga, rappresentante del Consejo nacional de Paz. Dal suo intervento su
Smobilitazione, disarmo ed inserimento: passato, presente e futuro, durante il seminario tenutasi a
Barcellona tra il 14 ed il 16 di aprile 2005, riguardo il tema La cooperazione internazionale a
favore della Colombia: Pace e Diritti Umani?
429
Herbert Braun, Our guerrillas, our sidewalks: a journey into the violence of Colombia.
Rowman and Littlefield Publishers, New York, 2003.
430
Ibidem, pag. 255.
431
Daniel Pecaut, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 12.
145
nella grande maggioranza delle guerre civili di oggi i fenomeni di violenza producono
nuovi contesti, assai lontani da quelli iniziali che hanno contribuito a provocare lo scoppio
della guerra. Pertanto, i conflitti vanno compresi sulla base del loro carattere
progressivamente in evoluzione.
Rispetto ad altre guerre civili odierne, Pecaut ritiene che il conflitto colombiano presenti
similitudini e differenze. Da un lato, egli ritiene che i caratteri individuati da Mary
Kaldor432 come caratterizzanti le guerre civili del mondo post Guerra Fredda siano tutti
presenti nel conflitto colombiano. In primo luogo, la caduta delle ideologie ha comportato
confini meno precisi tra le parti in conflitto, per cui non è più opportuno riferirsi ad una
contrapposizione netta tra nemici-amici che attraversa l’intera popolazione. In secondo
luogo, la popolazione civile è diventata sempre più l’obbiettivo delle operazioni militari.
Questo rende sempre più difficile distinguere tra quella parte della popolazione che
appoggia attivamente i gruppi armati e quella che si trova in ostaggio dei combattenti.
Infine, gli obbiettivi dei gruppi armati non sono solo politici ma anche economici. La
conquista del potere è possibile solo attraverso il controllo delle risorse del paese, che
avviene attraverso la sottomissione dei poteri locali o l’instaurazione di logiche
protezionistiche di tipo mafioso.
Dall’altro lato, Pecaut ritiene che il termine di “guerra civile” non sia appropriato per il
conflitto colombiano e propone quello di “guerra contro la società”.433 Alla base di questa
proposta stanno due considerazioni. La prima fa riferimento al fatto che in Colombia non si
possa parlare di un totale collasso dello Stato, nonostante la sua assenza in molte zone del
paese. A questo si aggiunge il fatto che la popolazione colombiana non sia caratterizzata da
un “punto di riferimento centrale di divisione, come nel caso di una guerra civile, ma da
una disorganizzazione sociale più ampia che favorisce tutti i tipi di violenza”.434 Lo
sviluppo della solida ed estesa economia del narcotraffico rappresenta per Pecaut
l’elemento che ha reso possibile la generalizzazione e la depoliticizzazione della violenza
in Colombia. Questo rappresenta un ulteriore fattore di indebolimento istituzionale.
Pertanto, il processo di pacificazione non può limitarsi alla sola negoziazione tra gli attori
armati, ma deve includere un insieme di riforme strutturali che garantiscano una maggiore
partecipazione della popolazione colombiana nel potere politico ed economico. Tuttavia,
come abbiamo visto, il governo attuale sembra disposto a considerare un maggior grado di
432
Mary Kaldor, Le nuove guerre. La violenza organizzata nell’età globale. Carocci, Roma, 1999.
Daniel Pecaut, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 12.
434
Ibidem, pag. 14.
433
146
partecipazione all’insieme della popolazione colombiana solo in riferimento al
mantenimento dell’ordine pubblico.
La crescente polarizzazione nella società colombiana e l’ulteriore accelerazione del
conflitto hanno contribuito a far slittare la situazione di alcune zone del paese nello stato di
guerra civile. Per Pecaut, esiste ancora un margine di incertezza sulla possibilità che questo
stato si generalizzi a tutto il territorio nazionale: “la debolezza politica della guerriglia
costituisce un freno”435. La mancanza di attori sociali forti evita un ulteriore movimento di
radicalizzazione, anche se l’attuale polarizzazione è stata sufficiente a creare la base di
consenso necessaria per assicurare la popolarità di Uribe, nonostante l’alto “rischio di
paramilitarizzazione”436 che la sua politica comporta. Per l’autore, la complessità della
situazione attuale e la dipendenza della strategia militare del governo Uribe dall’appoggio
statunitense rende molto difficile ogni sforzo di previsione. Ad ogni modo egli elenca tre
scenari possibili:
1. L’estensione del conflitto ai paesi confinanti per complicazioni politiche legate al
narcotraffico: la Colombia assicura difatti vie di uscita per il commercio di droga e la
possibilità di rifugio a merci o persone perseguibili dalla legge.
2. L’ulteriore degenerazione del conflitto potrebbe condurre al sorprendente
avvicinamento delle forze paramilitari e di quelle guerrigliere. La conclusione del processo
di negoziazione in corso tra paramilitari e governo potrebbe mettere in discussione la
coesione delle forze guerrigliere e determinare l’apertura di spazi di dialogo tra la
guerriglia e lo Stato colombiano. In questo caso, la vicinanza di interessi di quella parte dei
paramilitari e dei guerriglieri più connessa al narcotraffico, insieme alla somiglianza dei
loro modi di socializzazione, alla comune sfiducia verso l’autorità statale, verso le èlites
tradizionali colombiane e le elite statunitensi, potrebbe condurre ad avvicinamenti ulteriori.
D’altro canto, già ci sono stati dei passaggi dai gruppi guerriglieri ai gruppi paramilitari.
3. Alto è il rischio di atti terroristici da parte FARC verso altissime cariche governative.
Viceversa, i diversi interventi contenuti nell’opera pubblicata dalla Banca Mondiale437
sembrano condividere l’ottimismo dei curatori del libro, i quali insistono sul fatto che
“oggi c’è un’opportunità” per i colombiani di interrompere “il circolo della violenza, della
distruzione e della povertà”.438 Nonostante convengano sulle migliaia di morti e i milioni
435
Ibidem, pag. 201.
Ibidem, pag. 202.
437
M. Giugale, Olivier Lafourcade, Conie Luff, Colombia the economic foundation of peace. The
World Bank, Washington, 2003.
438
Ibidem, pag. 1.
436
147
di sfollati, il loro ottimismo si fonda sulla fede nella capacità di recupero di un popolo che
“ha reso possibile che il paese crescesse ininterrottamente ogni anno per le precedenti sette
decadi”.439 D’altro canto, riconoscono che “la sola prosperità materiale non ha messo fine e
non metterà fine alla guerra”.440 Pertanto, le raccomandazione per il prossimo futuro non
riguardano solamente il raggiungimento di una rapida crescita sostenibile, ma fanno
esplicitamente riferimento ad una maggiore distribuzione dei frutti tra tutti i colombiani.
Entrambe sono ritenute condizioni necessarie per la “costruzione di un governo di
qualità.”441
John Green442 si mostra scettico rispetto all’ottimismo degli autori del volume pubblicato
dalla Banca Mondiale e ritiene che la loro analisi non tenga sufficientemente conto delle
dinamiche politiche in gioco, né delle difficoltà di porre sotto controllo il potere economico
generato dal narcotraffico. Gli utili generati da questo commercio hanno irrorato l’intera
società concentrandosi, in particolare, nelle mani di tutti gli attori armati e, grazie alla
corruzione dilagante e il riciclaggio di denaro sporco nei circuiti finanziari, nelle mani
dell’elite politica ed economica. Ecco perché il narcotraffico è per Green ciò che alimenta
di più la degenerazione della guerra e la polarizzazione della società colombiana. Da un
lato, esso ha contribuito a far sì che tutti gli attori armati ricorressero alla strategia del
terrore per il controllo territoriale. Dall’altro, ha ulteriormente rafforzato il potere di quella
classe oligarchica già denunciata da Gaitàn alla fine della prima metà del XX secolo. Per
Green, oggi questo potere ha raggiunto un livello neppure sognato dai contemporanei di
Gaitàn, grazie alla messa in atto di strategie fortemente repressive che hanno impedito
molti cambiamenti politici. “Invece di rispondere alle rivendicazioni provenienti dalle
classi popolari, la classe al potere ha trovato più facile e conveniente tollerare la guerriglia
nelle zone rurali più disabitate e reprimere i movimenti popolari nelle città.”443 Riguardo il
tema della convenienza della guerra, Green abbraccia la teoria di Nazih Richani, il quale ha
denunciato per primo l’esistenza di un “comfortable impasse”444, ossia l’esistenza di una
politica economica positiva emersa attorno al conflitto armato colombiano in cui, non solo
439
Ibidem.
Ibidem, pag. 2.
441
Ibidem.
442
W. John Green, Gueriillas, soldiers, paramilitaries, assassins, narcos, and gringos: the
unhappy prospects for peace and democracy in Colombia. In Latin American Research Review,
vol. 40, num. 2, Giugno 2005.
443
Ibidem, pag. 148.
444
Nazih Richani, Sistems of violence: the political economy of war and peace in Colombia.
SUNY Press, Albany, 2002, pag. 4.
440
148
la classe dominante ma tutti gli attori coinvolti traggono il loro profitto dal mantenere una
guerra a bassa intensità.
In primo luogo Richani affronta la questione delle Forze Armate, la cui autonomia rispetto
alle forze politiche in riferimento alle questioni di sicurezza è rimasta grande sin dai tempi
della Violencia. Da allora, le Forze Armate hanno perseguito i propri interessi corporativi
che, per Richani, non sono sicuramente interessi di pace. Contemporaneamente, le
modalità d’azione della guerriglia, ossia la guerra a bassa intensità, è largamente tornata a
loro vantaggio. Pertanto, le Forze Armate non hanno fatto altro che limitarsi a difendere
alcune zone strategiche, lasciando mano libera alla guerriglia in altre parti del territorio. La
guerriglia ha così avuto modo di consolidare il proprio potere in molte zone rurali,
fornendo servizi alla popolazione civile locale ed amministrando la giustizia. In seguito
alla crescita del mercato della droga, alla guerriglia si è inoltre presentata la possibilità di
ingenti guadagni che le hanno permesso di diventare una potenza militare molto forte.
Secondo Richani gli interessi di gran parte delle forze paramilitari, convogliate nelle AUC
a metà degli anni ’90, coincidono con gli interessi di quella “terribile alleanza”445,
formatasi nel Magdalena Medio nel lontano 1983 tra narcos, latifondisti, multinazionali,
gruppi industriali e rappresentanti dello Stato colombiano, ossia tutte quelle componenti
sociali favorevoli ad un ulteriore concentrazione della terra. Se inizialmente “l’evidente
crescita degli omicidi che ha preso piede dopo il 1985”446 è stata funzionale
all’eliminazione della base di consenso della guerriglia, successivamente la diminuzione
del tasso degli omicidi registrata dalla metà degli anni ’90 in poi ha risposto alle “esigenze
di mantenimento del conflitto”.447
I benefici derivati alla classe dominante dalla diffusione di una simile violenza si
riferiscono al soffocamento sul nascere di qualsiasi tipo di politica populista ed alle
conseguenti possibilità di espansione del capitale negli anni della crescita, iniziata dalla
seconda guerra mondiale in poi. Tali benefici sono ancora più evidenti per quella che
Richani chiama “narcoborghesia”.448
Nonostante la cruda analisi, scrivendo in prossimità della fine del governo Pastrana e
dell’inizio del governo Uribe, ma soprattutto prima dei fatti dell’11 settembre, Richani
scorgeva nella Colombia e nel contesto internazionale di tre anni fa dei segnali che lo
portarono a credere che il tempo fosse “maturo”449 per porre fine al “sistema di guerra”450
445
Ibidem, pag. 102.
Ibidem, pag. 127.
447
Ibidem.
448
Ibidem, pag. 143.
449
Ibidem, pag. 154.
446
149
colombiano. Per l’autore, gli effetti negativi del ricorso alla violenza erano diventati chiari
ad una parte cospicua dell’elite economica e politica, in particolare quella legata ai circuiti
internazionali.
Anche Jenny Pearce451 converge con Richani e la teoria del “comfortable impasse”452.
Premesso che le cause della violenza attuale in Colombia sono complesse e che non è
possibile parlare di colpe, secondo Pearce è invece doveroso individuare chi ha avuto più o
meno responsabilità nel favorire la violenza in atto. Secondo la sua analisi è stata la classe
dominante ad imboccare per prima il “comodo vicolo cieco” di cui parla Richani,
scegliendo di condurre una guerra controinsurrezionale non attraverso le Forze Armate
dello Stato (rimaste relativamente deboli rispetto al resto del continente) ma attraverso il
coinvolgimento della popolazione nelle questioni di garanzia dell’ordine pubblico fin dai
tempi della Violencia. Ponendo le basi per lo sviluppo e la crescita del fenomeno
paramilitare le scelte della classe dominante hanno portato, in tempi più recenti, alla morte
di molti attivisti sociali civili, per il semplice sospetto di essere simpatizzanti dei gruppi
armati di sinistra. Pearce parla di un vero e proprio “sabotaggio dall’alto”453 dei progetti di
riforma avanzati negli anni ’80: tutte le iniziative di quegli anni hanno “vacillato di fronte
alle difese dispiegate dal vecchio ordine”.454 Questo ha portato all’utilizzo della tortura,
dell’assassinio e delle desapareciones a danno di molti attivisti politici e sociali, la cui
unica colpa per Pearce è stata quella di aver mantenuto una posizione intellettualmente
ambigua rispetto alle forze armate di sinistra, anche se la loro grande maggioranza non ha
mai impugnato un’arma né ha mai pienamente fatto propria la logica d’azione dei gruppi
armati. Queste considerazioni non conducono Pearce a ritenere che l’attuale situazione in
Colombia sia spiegabile in termini di guerra civile, piuttosto per l’autore “la violenza è
stata incastonata negli spazi della socializzazione in cui tutti i colombiani sono nati e che
tutti i colombiani hanno contribuito a perpetuare”.455 Pertanto, egli condivide l’opinione di
quanti si sono riferiti al caso colombiano in termini di “violenza multipolare”.456 Rimane
invece dubbioso sull’opportunità della definizione di Pecaut di “guerra contro la
450
Ibidem, pag. 3.
Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracy
and war. Latin American Bureau, London, 2003.
452
Nazih Richani, Sistems of violence: the political economy of war and peace in Colombia.
SUNY Press, Albany, 2002, pag. 4.
453
Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracy
and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 17, pag. 15.
454
Ibidem.
455
Ibidem, pag. 17.
456
Ibidem.
451
150
società”457, poiché tale definizione sembra far ricondurre tutti i problemi della violenza
colombiana agli attori armati. Invece, se è vero che gli “attori civili dotati di potere
(uomini e donne in misura diversa) e gli attori armati uomini devono riconoscere una larga
parte di responsabilità nel aver prodotto e riprodotto questi processi, ugualmente gli attori
civili privi del potere (uomini e donne in misura diversa) e gli attori armati di sesso
maschile privi di potere hanno contribuito alla perpetuazione di questi processi,
immergendo la violenza nella vita politica e trasformandola in qualcosa di convenzionale e
tollerato”.458
Senza voler in alcun modo mettere in dubbio la centralità delle questioni politiche “la
socializzazione dello spazio nazionale passa attraverso la socializzazione dello spazio della
famiglia459, degli spazi comunitari e della vita associativa”.460 Per l’autore è necessario
abbandonare le tradizionali visioni binarie che contrappongono il politico al sociale, la
guerra alla pace, il pubblico al privato e considerare invece “la violenza come un
continuum in cui la forma più organizzata, controllata dai gruppi armati, rappresenta solo
uno spettro di esso.”461 Da cui, emerge la necessità di appoggiare qualsiasi forma di azione
non- violenta. Per l’autore la pace in Colombia sarà possibile solo tramite una nuova
configurazione delle relazioni socio–politiche, la cui logica dovrà concentrarsi sulle
questioni legate alla partecipazione, alla tolleranza, al dibattito, alla concessione di potere
alle donne, alle classi emarginate, alle razze discriminate. Per questo Pearce non crede
nella possibilità di successo della politica autoritaria di Uribe, lontana dalla necessità di
creare un nuovo consenso normativo attorno al principio di non violenza, di giustizia
sociale e di democrazia. Ugualmente, l’intensificazione delle risposta autoritaria sotto
l’attuale amministrazione Bush non funzionerà, perché “una violenza imposta dall’alto e
proveniente dall’estero ignora gli sforzi di chi in Colombia cerca di mantenere aperti
quegli spazi civili di opposizione necessari a cambiare un ordine che di per sé genera
violenza.”462
457
Daniel Pecaut, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 12.
Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracy
and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 17.
459
Riguardo al tema, Pearce sottolinea l’importanza del compito svolto di recente dalle femministe
colombiane, impegnate a mettere in luce il fatto che la violenza perpetrata a danno delle donne
colombiane e del loro corpo si sia dispiegata a partire dallo spazio familiare. Il loro lavoro ha
portato a considerare che, nonostante il minor tasso di morte tra le donne, anch’esse sono soggette
a drammi della stessa intensità. Basti pensare alle difficoltà conseguenti le migrazioni forzate e
quelle da affrontare per mandare avanti la propria famiglia e la comunità in condizioni di guerra.
460
Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracy
and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 21.
461
Ibidem.
462
Ibidem, pag. 23.
458
151
L’analisi del CODHES, un’organizzazione non governativa per i Diritti Umani e le
Migrazioni Forzate463, è molto dura circa la situazione attuale della Colombia: l’aumento
dell’intensità della guerra negli anni della presidenza Uribe sta contribuendo
all’eliminazione di ogni spazio politico a favore di una risoluzione negoziata del conflitto,
mentre cresce la sfiducia sociale nella possibilità di convivenza pacifica.
Anche se il governo in carica, guidato da una prospettiva di breve termine, punta sulla
diminuzione di alcuni indici come dimostrazione del successo della sua politica autoritaria
basata sui programmi di Seguridad Democratica, secondo l’organizzazione la diminuzione
del tasso di omicidi politici e del numero dei massacri di massa sono dati che vanno letti
valutando le trasformazioni in atto delle strategie dei gruppi armati. In particolare bisogna
tenere conto che oggi la diminuzione dei massacri collettivi ad opera dei paramilitari è
accompagnata dall’aumento degli omicidi selettivi a danno dei leader dei movimenti
sociali e comunitari. Questo non è l’unico dato in aumento: in questi tre anni è cresciuto il
numero delle esecuzioni extragiuridiche e degli omicidi intenzionali di persone protette
perpetrate dagli agenti statali e parastatali, delle desapariciones, delle persone morte in
combattimento464, delle detenzioni arbitrarie465, dei colombiani rifugiati all’estero, dei
sequestri dei leader politici o comunitari ad opera della guerriglia, che tenta di utilizzare la
tattica dello scambio umanitario come mezzo per ottenere la libertà di guerriglieri catturati
e per screditare la politica di Seguridad Democratica di Uribe. Secondo il CODHES anche
il valore assoluto e relativo del fenomeno delle migrazioni forzate è aumentato. Infine,
463
Consultoria para los Derechos Humanos y el Desplazamiento Forzado (Codhes),
Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo y
Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004.
464
Secondo i dati del Banco de Datos de Derechos Humaos y Violencia Politica, la media annuale
del numero esecuzioni extragiuridiche e degli omicidi intenzionali di persone protette perpetrate
dagli agenti statali e parastatali commesse tra il 1990 ed il 2002 è di 1067, mentre quella del 2003
è di 1140; delle desaparecios commesse tra il 1990 ed il 2002 è di 215, mentre quella del 2003 è di
815; delle morti avvenute in combattimento tra il 1990 ed il 2002 è di 1336, mentre quella del
2003 è di 1849. Banco de Datos de Derechos Humaos y Violencia Politica, Cinep, Observatorio
Derechos Humanos y Derecho Humanitario della Coordinazione Colombia-Europa-Stati Uniti, El
talante autoritario. Derechos civiles y politicos y DIH. In Plataforma Colombiana Derechos
Humanos, Desarrollo y Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà,
2004, pag. 179.
465
Secondo i dati del Banco de Datos de Derechos Humaos y Violencia Politica il tasso di
detenzioni arbitrarie è cresciuto del 129% tra il 2002 ed il 2003. Consultoria para los Derechos
Humanos y el Desplazamiento Forzado (Codhes), Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma
Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo y Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua.
Camillo Borrero, Bogotà, 2004, pag. 165.
152
sono diventati più numerosi gli atti istituzionali rivolti a giustificare le violazioni dei diritti
umani a nome della politica di sicurezza.466
Oggi alcune zone del paese sono diventate veri e propri “laboratori di guerra”467, in cui la
vita quotidiana è scandita da uccisioni selettive e sistematiche, restrizioni alla mobilità di
uomini e prodotti alimentari, minacce di autorità locali e fuga delle forze politiche locali.
Contemporaneamente, il CODHES legge nel presente dei segnali che inducono a pensare
ad una possibilità di cambiamento a livello nazionale ed internazionale, a favore del
rafforzamento della lotta per i diritti umani e per la democrazia e a favore della ricerca di
vie alternative a quella della forza per la risoluzione dei conflitti mondiali. Da un lato,
riconosce l’importanza di alcune dinamiche di resistenza di guerra che hanno interessato
delle zone regionali della Colombia, come i processi costituenti nel Nariño, nel Cauca, nel
Tolima, in Antioquia; i laboratori di pace nell’Oriente Antinoqueño e nel Bolivar; i
movimenti sociali attivi organizzati dalle popolazioni indigene e dalle donne; le
mobilitazioni per diritti umani e per la pace. Contemporaneamente, il fallimento di Uribe al
referendum popolare del 2003, iniziativa politica avanzata dalla sua stessa coalizione di
governo, potrebbe essere interpretato come un primo segnale che la popolarità del
presidente si stia incrinando. Dall’altro, riconosce il fallimento a livello internazionale
della dottrina della guerra preventiva unilaterale promossa dall’amministrazione Bush.
Se davvero in futuro si riaprisse uno spazio per la negoziazione tra lo Stato colombiano e la
guerriglia, utilissime sarebbero le considerazioni di Marco Palacios. Anche per questo
autore “Non c’è una via di uscita militare al conflitto armato, prima o poi l’uscita dovrà
essere di tipo politico”.468 Poiché il problema principale del paese non è la pace ma il
rafforzamento dello stato democratico Palacios critica la logica soggiacente i processi di
pace avviati in passato in Colombia. Tra le maggiori carenze egli individua:
1. La “discontinuità”469 con il passato: tutti i governi che si susseguono sembrano guidati
dall’idea che è necessario ricominciare tutto da capo, con una nuova metodologia, una
nuova retorica, una nuova prospettiva.
2. L’incoerenza e la frammentazione delle strategie adottate dovuta alla frammentazione
dei poteri pubblici.
466
Consultoria para los Derechos Humanos y el Desplazamiento Forzado (Codhes),
Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo y
Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004, pag. 171-172.
467
Ibidem, pag. 171.
468
Marco Palacios, El labirinto de las negociaciones. In Democracia y Paz. A. Monsalve & E.
Domínguez, Madrid, 2002, pag. 67.
469
Ibidem, pag. 71.
153
3. La frammentazione tra le organizzazioni guerrigliere, ognuna delle quali è impegnata
ad accrescere la propria forza politica.
4. Il carattere prolungato dei processi, che rischiano di diventare eterni perché funzionali
allo status quo.
Palacios denuncia il fatto che in passato i processi di pace sono stati più volte utilizzati
“affinché non si discutesse su temi importanti, quali le questioni di politica economica, gli
scandali di corruzione politica ed amministrativa, le crisi sociali, i deficit allarmanti di
educazione pubblica, il deterioramento del capitale umano, la fuga di centinaia di migliaia
di professionisti dal paese.”470 Al contrario, tali processi dovrebbe affrontare questioni
legate alla deposizione delle armi, al reinserimento dei guerriglieri nella vita politica,
familiare, lavorativa e privata affinché essi tornino ad essere dei cittadini a tutti gli effetti.
Di questo nessuno parla, nemmeno la guerriglia che nei dodici punti presentati al
precedente governo si è limitata ad elencare una serie di obbiettivi che possiedono solo una
valenza astratta.
L’adozione di una strategia di negoziazione adeguata con i gruppi armati è fondamentale
anche per il direttore della sede colombiana dell’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani,
Michael Frühling.471 Esso rappresenta difatti uno dei quattro campi in cui deve articolarsi
quella “risposta integrale dello Stato”472, che il carattere pluridimensionale del conflitto
interno impone. Tale risposta deve sempre tener conto del Diritto Internazionale
Umanitario, dei diritti umani e del Diritto Penale Internazionale. In particolare, le
raccomandazioni delle Nazioni Unite riguardano l’attuale processo di negoziazione che il
governo Uribe ha aperto con i paramilitari. Frühling non si stanca di ribadire che “la
tensione tra la negoziazione e l’impunità deve risolversi senza apportare alla popolazione
colombiana un ultimo danno: quello cioè di rinunciare, nel supposto nome della pace o
della democrazia, a quanto le spetta”473, ossia al compimento di un processo di verità,
giustizia e riparazione. Affinché lo Stato colombiano porti a termine le negoziazioni senza
venire meno ai suoi doveri costituzionali ed internazionali, Frühling raccomanda la
creazione di una Commissione di Chiarimento, extragiuridica, imparziale ed
470
Ibidem, pag. 76.
Michael Frühling, www.hchr.org.co/publico/pronunciamentos/ponencias.
472
Ibidem, pag. 1. Gli altri tre campi individuati sono: 1) quello politico-democratico dello Stato di
Diritto (necessaria è la cooperazione di tutte le forze civili democratiche, opposizione compresa);
2) quello relativo alle politiche economiche, sociali ed umanitarie (incluso una politica contro la
produzione, il traffico ed il consumo di droga); 3) politica militare.
473
Ibidem, pag. 3.
471
154
indipendente.474 Il compimento di un simile processo è essenziale perché “non esiste
nessuna riconciliazione giusta e duratura che non soddisfi la necessità della giustizia; il
perdono è, senza dubbio, un fattore importante della riconciliazione, però suppone, come
atto privato, che la vittima conosca l’autore delle violazioni e che questo abbia avuto la
possibilità di riconoscere quanto commesso e di manifestare il suo pentimento.” D’altro
canto, Frühling ritiene legittimo che all’interno di un processo di negoziazione di pace uno
Stato adotti un sistema penale alternativo applicabile ai membri dei gruppi armati illegali,
allo scopo di facilitare la loro integrazione nella vita civile del paese e di creare delle
condizioni che favoriscano la convivenza pacifica tra i membri della comunità. Tuttavia,
questo sistema deve essere pensato e messo in atto in pieno accordo dei diritti fondamentali
delle vittime: “lo Stato deve dare le garanzie adeguate contro l’utilizzo della
riconciliazione e del perdono come mezzi per fomentare l’impunità”.475 Pertanto, le norme
adottate per la reintroduzione dei membri dei gruppi armati illegali nel corpo sociale
devono avere carattere obbligatorio, devono garantire la messa in atto di azioni individuali
di restituzione delle ricchezze ottenute attraverso l’uso della violenza e devono prevedere il
pagamento di indennità per i danni commessi.
Utili suggerimenti per la comprensione dei fallimenti dei processi di pace avviati in passato
in Colombia provengono anche dall’equipe di ricerca del Centro di Investigazione per la
Pace (CIP). In particolare, Maria Rudas e Claudia Clavijo476 ritengono indispensabile il
verificarsi di alcune condizioni prima dell’avvio della negoziazione, che stabiliscano chi
saranno i partecipanti, come si porteranno a termine le negoziazioni con i differenti gruppi
armati, quali sono le condizioni che ogni parte considera irrinunciabili, come si stabilirà
l’agenda, quali saranno i meccanismi di finanziamento ed i tempi del processo. La
mancanza di questi elementi sta all’origine del fallimento del processo di pace avviato da
Pastrana. L’accordo necessario per l’elaborazione di queste condizioni basilari è possibile
in seguito alla “percezione comune della situazione di punto morto”477 a livello militare tra
gli attori coinvolti nel conflitto. In nome di tale percezione e del riconoscimento del
474
I compiti di una simile commissione dovrebbero riguardare: l’investigazione sulla condotta di
coloro che hanno commesso violazioni del DIH e dei diritti umani, individuali o di massa; la
determinazione dei fattori oggettivi e soggettivi che hanno creato le condizioni in cui tali lesioni
sono avvenute; l’esame dei fattori che hanno permesso la loro impunità fino a questo momento;
l’analisi dei meccanismi statali grazie ai quali queste violazioni sono potute avvenire;
l’identificazione delle vittime; l’identificazione degli organismi e delle entità coinvolte nella
commessa di tali violazioni; la conservazione delle prove; l’emissione di raccomandazioni che
possano limitare l’impunità.
475
Michael Frühling, www.hchr.org.co/publico/pronunciamentos/ponencias, pag. 8.
476
Maria Rudas & Claudia Clavijo, Consideraciones claves en el diseño de las negociaciones de
paz: reflexiones para el caso colombiano. In Papeles de questiones internacionales n. 83, 2003.
477
Ibidem, pag. 110.
155
nemico è possibile dare avvio alla costruzione di fiducia tra gli avversari ed ai necessari
cambiamenti nella struttura interna delle parti, tali da rendere percorribili le proposte di
negoziazione. Secondo le autrici, oggi tale percezione è ancora lontana.
Sulla via dell’internazionalizzazione della pace colombiana
Aldilà della condivisione delle speranze del CODHES riguardo l’imminenza di un forte
cambiamento politico a livello nazionale ed internazionale in grado di riaprire il cammino
della negoziazione, personalmente convergo con le parole di Marco Palacios: “non c’è una
via di uscita militare al conflitto armato, prima o poi l’uscita dovrà essere di tipo
politico”.478
Dopo un’accurata ricostruzione storica dei fatti degli ultimi sessant’anni della storia del
paese, necessaria alla comprensione della complessità dell’odierno conflitto armato
colombiano, ritengo che il lavoro più utile che si possa fare oggi consista nell’individuare i
possibili mezzi attraverso cui facilitare l’imbocco della strada del dialogo. Dialogo che non
conduca alla sola firma di un trattato di negoziazione per la cessazione delle ostilità (pur
essendo questa una tappa fondamentale e neppure di facile raggiungimento del processo di
pace), ma che miri a sradicare le cause che hanno generato un sistema politico, economico
e sociale che si regge sulla disuguaglianza e l’esclusione. Affinché il dialogo permetta
l’avvio di un processo di pace duraturo ed integrale, preludendo l’inizio di una nuova vita
nazionale, ritengo indispensabile proseguire nel rafforzamento della società civile, tanto
dalla prospettiva nazionale come da quella internazionale, per garantire un suo reale
coinvolgimento nel processo di pace. Difatti la partecipazione della società civile è
elemento fondamentale per dare legittimità all’intero processo: senza un suo adeguato
coinvolgimento lo Stato invierebbe all’intera società un messaggio pericoloso, ossia che
l’unico mezzo per accedere al potere è il ricorso alla violenza.479
Nessuno ritiene che si tratti di un progetto di facile e rapida soluzione. Nelle pagine
precedenti mi sono ampiamente soffermata a porre in evidenza le enormi difficoltà che la
tipologia del conflitto colombiano pone su questo tema. In un contesto in cui la
popolazione civile rappresenta il bersaglio principale degli attori armati, evidenti sono le
difficoltà inerenti alla sua mobilitazione ed organizzazione. Sia dal punto di vista morale
478
Marco Palacios, El labirinto de las negociaciones. In Democracia y Paz. A. Monsalve & E.
Domínguez, Madrid, 2002, pag. 67.
156
ed etico che da quello della governabilità mondiale la degenerazione del conflitto pone
urgenti interrogativi alla comunità internazionale su come rendere i cittadini colombiani
protagonisti del processo di pace. In particolare, nelle pagine a seguire si discuterà sulle
potenzialità d’azione della società civile globale a favore della pace in Colombia, fermo
restando che la riuscita di questo processo sarà possibile solo in seguito alla maturazione di
una volontà politica dello Stato colombiano e della sua classe dirigente diretta a generare
una proposta che renda possibile la fine delle ostilità e l’avvio di una serie di politiche che
risolvano la crisi economica sociale ed umanitaria del paese.
Il coinvolgimento della comunità internazionale.
Prima di indagare su quello che dovrebbe essere l’obbiettivo e l’utilità dell’intervento della
comunità internazionale nel sostenere il processo di pace colombiano, vorrei soffermarmi
sulle motivazioni che hanno indotto di recente la comunità internazionale a rivolgere una
maggiore attenzione al caso. Come si è visto nel capitolo precedente, negli ultimi
venticinque anni alcuni caratteri del conflitto interno hanno prodotto delle ripercussioni
non indifferenti sul piano mondiale, conducendo ad un’internazionalizzazione crescente
del conflitto colombiano, tra cui: le dimensioni raggiunte dal fenomeno del narcotraffico,
la partecipazione dei gruppi armati colombiani al traffico internazionale di armi, la
sistematica violazione dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario, gli effetti
sul piano delle migrazioni internazionali dell’incessante fenomeno di sfollamento della
popolazione colombiana dalle campagne. Si è anche visto come alla luce di questi
fenomeni alla fine degli anni ‘90 il presidente Pastrana seppe adoperare la sua arte
diplomatica affinché sul piano mondiale si cominciasse a pensare che il problema
dell’internazionalizzazione del conflitto colombiano potesse essere affrontato solo
attraverso l’“internazionalizzazione della pace”.480
Posto che il punto di partenza per l’azione internazionale deve essere la comprensione del
conflitto in atto, tale comprensione non può prescindere dalla considerazione che l’origine
del conflitto colombiano è politica. Anche il realismo di Rangel non può che considerare
che il conflitto odierno è un “problema non risolto di integrazione nazionale di un paese
479
Catherine Barnes, Conciliation Resources. Owning the process. Pubblic Partecipation in Peace
Making, ACCORD; Enrique Alvarez, The Grand National Dialogue and the Oslo consultations:
creating a peace agenda, ACCORD, Issue 13, 2002.
480
Instituto de Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de
Colombia, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Planeta, Bogotà, 2001, pag.
76.
157
escluso, ossia del paese rurale che non è mai riuscito a raggiungere i benefici dello
sviluppo e della modernizzazione del resto della nazione”.481 Questo non significa non
riconoscere che le attuali dinamiche del conflitto hanno condotto i gruppi insurrezionali ad
utilizzare il potere militare in modo indiscriminato col solo obbiettivo di guadagnare una
posizione di vantaggio a livello militare e politico rispetto all’avversario. Nemmeno,
significa negare che il narcotraffico sia il miglior “combustibile”482 del conflitto interno.
Piuttosto, riconoscere l’origine politica del conflitto conduce a porre in evidenza che il
conflitto interno colombiano è nato come uno scontro tra Stato e società, in cui la
legittimità dello Stato è una questione di fondo.
Il recupero della legittimità statale, sia a livello nazionale che a livello internazionale, deve
basarsi sul rispetto della legalità e sulla garanzia dei diritti umani, tanto civili e politici che
economici, sociali e culturali.483 Pertanto, il rafforzamento di cui lo Stato colombiano ha
bisogno è prima di tutto di tipo istituzionale: questo rafforzamento deve essere diretto a
tutelare la società civile e ad assicurarle la possibilità di svolgere un ruolo di primo piano
nel processo di pace. Solo una maggiore governabilità democratica può sfuggire
all’inganno di soluzioni temporanee e parziali, generatrici di conflitti più profondi. Ecco
perché le importanti riforme introdotte sul piano politico dalla Costituzione del 1991 non
hanno risolto il conflitto, dimostrando che “non solo siamo di fronte ad un problema che
riguarda l’accesso al potere dei settori marginali, ma che si tratta di un problema di
conformazione e di esercizio del potere politico.”484
La reazione della comunità internazionale agli appelli di Pastrana e a quelli dell’attuale
presidente Uribe non è affatto omogenea: gli Stati Uniti e l’Unione Europea si trovano ai
due poli opposti. “Mentre la politica statunitense pone l’accento sulla produzione della
foglia di coca ed i suoi effetti sul finanziamento degli attori armati al margine della legge,
l’Unione Europea dà enfasi agli aspetti sociali ed umanitari del conflitto”.485
Conseguentemente, da un lato assistiamo all’aumento del coinvolgimento statunitense nel
conflitto attraverso una crescita degli aiuti finanziari a sostegno delle Forze Armate
colombiane tramite il Plan Colombia, cui si aggiunge un aumento della presenza sul
481
Alfred Rangel, Las dinámicas y las perspectivas de la confrontación armada en el país. In
Democracia y Paz, A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002, pag. 81.
482
Maria Rudas & Claudia Clavijo, La comunidad internacional y la resoluciòn del conflicto
armado colombiano. In Papeles de questiones internacionales n. 83, 2003, pag. 127.
483
Alejo Vargas Velazquez, Los desafios del proximo Gobierno colombiano, El Espectador, 16
giugno, 2002.
484
Maria Rudas & Claudia Clavijo, La comunidad internacional y la resoluciòn del conflicto
armado colombiano. In Papeles de questiones internacionales n. 83, 2003, pag. 128.
158
territorio di agenti dei corpi di sicurezza privati statunitensi. Dall’altro, nonostante gli
eventi dell’11 settembre e la linea dura del presidente Uribe, l’Unione Europea sembra
rimanere ferma nel sostenere che l’obbiettivo della sua politica nei confronti della
Colombia rimane quello di facilitare una soluzione negoziata del conflitto, attraverso il
finanziamento di programmi sociali ed istituzionali finalizzati al rafforzamento dello Stato
di Diritto. L’Unione Europea si propone pertanto di appoggiare tutti gli sforzi
precedentemente avviati per la ricerca della pace, di intervenire per eliminare le cause del
conflitto, di somministrare aiuti umanitari alle vittime e di seguire con maggiore attenzione
la situazione umanitaria in Colombia.486 Tuttavia, nonostante le differenze qui accennate,
oggi entrambe le potenze condividono lo stesso atteggiamento che, aldilà del
riconoscimento più o meno esplicito della dimensione politica del conflitto, rimane fermo
riguardo l’inclusione dei gruppi insurrezionali colombiani nella lista dei gruppi terroristici
internazionali. Inoltre, nessuna delle due potenze ha adottato serie misure per limitare il
commercio illegale di armi o quello legale dei precursori chimici necessari alla
raffinazione della cocaina.
La mobilitazione della comunità internazionale non si è limitata ad interessare l’insieme
degli stati nazionali ma, attorno alle le istanze provenienti da vari attori della società civile
colombiana si è mobilitato un numero crescente di attori della società civile globale, con
l’intento di porre all’attenzione internazionale le dinamiche perverse e lesive dei diritti
fondamentali dell’uomo messe in atto da uno Stato dimostratosi ampiamente incapace di
garantire l’ordine sociale all’interno di un insieme di regole condivise. Questo fenomeno si
spiega alla luce di un insieme di processi legati alla globalizzazione (quali l’annullamento
tecnologico delle distanze, la conseguente “multilocalizzazione delle biografie”487,
l’espansione dei canali di comunicazione e d’azione) che dopo la fine della Guerra Fredda
hanno condotto ad una ridefinizione delle reti associative già individuate da
Hirschmann488, a metà degli anni ’80, come un importante risorsa per la democratizzazione
e lo sviluppo.
La società civile globale.
485
Ibidem, pag. 131.
Risoluzione del Parlamento Europeo del febbraio del 2002; messaggio del commissario delle
Relazioni Estere dell’Unione Europea, Chris Patten durante il Forum dell’Unione Europea tenutosi
a Bogotà il 12-13 maggio 2003; intervento di Aude Maio Coliche, membro della Commissione
Europea, durante la conferenza tenutasi a Barcellona il 14-16 di aprile 2005, riguardo il tema La
cooperazione internazionale a favore della Colombia: Pace e Diritti Umani?
487
Ulrich Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999, pag. 97.
486
159
Molti autori si sono espressi circa la nuova potenzialità politica della società civile globale
e le sua possibile funzione di democratizzazione. Secondo Ulrich Beck i processi di
globalizzazione hanno aperto le porte alla “società mondiale, intesa come nascita della
possibilità di potere, spazi d’azione, di vita e di percezione del sociale che spezzano e
scompigliano la concezione ortodossa nazional-statale della politica e della società.”
489
Ciò ha determinato una trasformazione della società civile in seguito all’inserimento dei
suoi attori in reti o piattaforme transnazionali di diversa tipologia, alla globalizzazione
delle reti informative, alla crescita ed al rafforzamento delle organizzazioni transnazionali,
i cui attori agiscono in più luoghi, superando i confini nazionali, ed i cui membri
appartengono a più nazioni. Pertanto, oggi viviamo in un contesto assolutamente nuovo,
segnato dalla fine di un epoca in cui le relazioni internazionali erano dominate dagli Stati
nazionali e dall’inizio di una nuova epoca in cui la politica mondiale si sviluppa secondo
una pluralità di centri in cui, accanto agli Stati nazionali ed al capitale, si muovono anche
le organizzazioni internazionali e la società civile globale. Per Beck490 il simbolo adatto a
raffigurare la nuova realtà emergente è Lilliput, il paese immaginato da Jonathan Swift, nel
quale il gigante Gulliver (ossia la globalizzazione dominante) si ritrova immobilizzato dai
suoi piccoli abitanti che hanno saputo ricorrere ad una fitta rete di sottilissimi legacci.
Il linguaggio di Falk è più diretto: anche per lui la società civile globale emergente
rappresenta contemporaneamente una sfida non solo rispetto al tradizionale sistema degli
stati-nazione, ma anche rispetto alla “globalizzazione dall’alto”491 messa in atto dalle forze
del mercato. Questo concetto nuovo può venire inteso come una sorta di movimento di
“globalizzazione dal basso”492 che si pone in modo conflittuale contro le tendenze perverse
della globalizzazione che tendono a dar forma ad un sistema mondiale in cui i processi
decisionali sono difficilmente visibili e controllabili. Gli editori dell’annuario Global Civil
Society del Centre for Civil Society e del Centre for the Studies of Global Governance
della London School of Economics and Political Science, Helmut Anheier, Marlies Glasius
e Mary Kaldor493 insistono anche loro sulla possibile funzione di democratizzazione della
società civile globale sui processi di globalizzaizione in atto. Inoltre sottolineano la
possibile aspirazione normativa del concetto, che suggerisce l’esistenza di una coscienza
488
Albert Hirschmann, Ascesa e declino dell’economia dello sviluppo e altri saggi. Rosenberg &
Sallier, Torino, 1983.
489
Ulrich Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999, pag. 87.
490
Ibidem, pag. 95.
491
Ricard Falk, Law in an emerging global village: a post westphalian perspective. ARDSLEY,
New York, 1998, pag.7.
492
Ibibem.
160
globale in fieri rispetto a cui prende forma il pensiero e l’azione dei soggetti della società
civile globale.
Anche Marc Nerfin si spende per esaltare il nuovo potenziale di quello che egli definisce il
“terzo sistema”. Nella sua analisi egli identifica la società civile con il cittadino che si
distingue dal principe (il potere governativo) e dal mercante (il potere economico) e che
rappresenta un potere diverso, autonomamente conquistato dalla gente. “Qualcuno tra il
popolo ne prende coscienza, si associa, agisce con gli atri e diviene così cittadino”.494
Secondo Anheier495 oggi le società civili nazionali continuano in misura diversa a rimanere
legate ai contesti nazionali in cui si sono formate, ma allo stesso tempo si situano in un
nuovo spazio globale che non si limita ad essere una somma delle sue componenti,
piuttosto si tratta di uno spazio che contribuisce a ridefinirle ed a sovradeterminarle.
Per spiegare le interconnessioni complesse tra spazio nazionale e globale Beck ricorre
ancora una volta ad un’immagine simbolica. Mentre “i lavoratori, i sindacati, i governi
giocano ancora a filetto, i gruppi industriali transnazionali giocano a scacchi. In questo
modo una pedina per il filetto nelle mani dei gruppi industriali può diventare un cavallo
che dà improvvisamente scacco matto all’attonito re nazional-statale.”496
La globalizzazione è un fenomeno complesso attraversato da spinte contraddittorie. La
messa in crisi del primato statale nella promozione della crescita economica e
dell’integrazione sociale non è accompagnata solo da spinte universalizzanti, che tendono
ad esautorare lo Stato di alcune funzioni che confluiscono in uno spazio sovradeterminato;
contemporaneamente, esso è soggetto a spinte centrifughe che determinano un processo di
decentramento a favore di nuove identità subnazionali. L’interconnessione complessa degli
spazi locali e delle reti internazionali ha portato molti autori contemporanei a parlare di
glocalizzazione. Il termine allude ad un complesso processo che non vede il locale ed il
globale contrapporsi ed escludersi a vicenda, ma che conduce ad una valorizzazione e
“rilocalizzazione delle culture locali nel nuovo contesto globale”.497 Per Pieterse “la
493
Helmut Anheier, Marlies Glasius e Mary Kaldor (a cura di), Global Civil Society 2001. Oxford
University Press, Oxford, 2001.
494
Marc Nerfin, Né principe, mè mercante: cittadino. Un’introduzione al terzo sistema. Citato in
A.Tarozzi, (a cura di), Visioni di uno sviluppo diverso. Gruppo Abele, Torino, 1990, pag. 136-137.
495
Helmut Anheier, Marlies Glasius e Mary Kaldor (a cura di), Global Civil Society 2001. Oxford
University Press, Oxford, 2001.
496
Ulrich Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999, pag. 88.
497
Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan,
Torino, 2004, pag. 48.
161
peculiarità di ogni luogo risulta dal fatto che esso sta nel centro di una peculiare miscela tra
rapporti sociali transnazionali e locali.”498
L’idea politica di società civile globale passa attraverso la reinvenzione della società civile
avvenuta negli anni ’70 ed ’80 contemporaneamente in America Latina e nell’Europa
Orientale.499
A metà degli anni ’80 Guillermo O’Donnell e Philippe Schmitter500 parlano di rinascita
della società civile descrivendo i processi di mobilitazione degli attori sociali e politici e di
allargamento della sfera pubblica che hanno segnato l’uscita dagli autoritarismi nel
contenente latino.
Per Michael Ignatieff501 il recupero del termine nell’Europa Orientale avviene in termini di
estraniamento e distanziamento dall’ideologia del regime, rivelandosi utile mezzo di
resistenza all’autoritarismo e strumento di transizione democratica.
Il recupero del termine nell’Europa Orientale viene guardato con interesse da altre parti del
mondo, specie dall’Occidente, investito anch’esso da un insieme di trasformazioni che lo
avrebbero condotto alla società postindustriale. La diffusione crescente di idee quali
l’autonomia personale, l’organizzazione dal basso e lo spazio privato in Occidente stavano
contribuendo in quegli stessi anni ad allentare i legami comunitari ed a creare nuove forme
di organizzazione, mentre il ruolo dello Stato come unico regolatore dell’ordine e
promotore della crescita economica e dell’integrazione sociale veniva sempre più messo in
discussione.
La trasformazione delle comunicazioni ha contribuito in modo decisivo ad erodere i
confini nazionali della società civile.502 In quegli anni l’interconnettività crescente permise
il nascere di “isole di impegno civile”503 sia in America Latina che in Europa Orientale. I
movimenti pacifisti europei e nordamericani, eredi dei movimenti sociali degli anni ’70, si
mobilitarono stabilendo un numero crescente di contatti con gruppi ed individui di quei
continenti, nel tentativo di garantire loro solidarietà e forme di protezione. Grazie a quello
498
J. N. Pieterse, Der Melange-Effect. Citato in U. Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci,
Roma, 1999, pag. 87.
499
Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004; Vanna Ianni, La
società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan, Torino, 2004; Maggie
Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004.
500
Guillermo O’Donnell & Philippe Schmitter, Latin America. John Hopkins University Press,
London, 1986.
501
Michael Ignatieff, Blood and belonging. Paperback, London, 1994.
502
Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004.
503
Ibidem, pag. 5.
162
che Margaret Kekk e Katheryn Sikkink hanno definito “effetto boomerang”504 i gruppi di
società civile aggirarono lo Stato e si appellarono a network ed istituzioni transnazionali o
a Stati stranieri per far sì che le loro richieste tornassero nel paese d’origine con una
maggiore forza. Il successo di questa mobilitazione globale è stata inoltre possibile grazie
al terreno favorevole creato dagli accordi politici e giuridici che le grandi potenze stavano
siglando, come ad esempio gli accordi di Helsinky del 1975, la cui portata fu decisiva per
aprire spazi di autonomia in Europa dell’Est ed altrove.
In seguito alla fine della Guerra Fredda e la caduta del socialismo reale la nozione di
società civile ha raggiunto le restanti aeree geografiche, ossia l’Asia, l’Africa ed il Medio
Oriente.505 Da allora secondo Mary Kaldor “al posto di forme verticali di società civile a
base territoriale assistiamo all’affermazione di reti orizzontali transnazionali e globali,
civili come incivili.”506
Così come lo spettro di significati del concetto di società civile è ampio e passa da una
visione che comprende ogni spazio esterno allo Stato, compreso il mercato, ad una più
delimitata che identifica la società civile con l’insieme delle organizzazioni sociali che
occupano lo spazio intermedio esistente tra Stato e mercato, anche lo spettro di significati
del concetto di società civile globale è ugualmente esteso e differenziato. Martin Shaw ha
tentato di fare un elenco completo delle diverse categorie in cui suddividere gli infiniti
soggetti della società civile: “organizzazioni formali che collegano istituzioni nazionali
(partiti, chiese, sindacati, ordini professionali, corpi educativi, media, etc.); collegamenti di
reti informali e movimenti (per esempio di donne, gay, gruppi pacifisti e movimenti);
organizzazioni globali (per esempio Amnesty International, Greenpeace, Medici senza
Frontiere) con uno specifico orientamento globale, iscritti globali, e scopi globali”.507 Le
tematiche affrontate sono di varia natura, spesso affrontate in modo univoco. Gli obbiettivi
sono immediati o di più lunga durata.
Per Vanna Ianni508 con il termine di società civile globale si allude ad un insieme
eterogeneo di soggetti che includono organizzazioni non governative con una forte
504
Margaret Keck & Katheryn Sikkink, Activists beyond borders: advocacy networks in
international politics. Cornell University Press, Ithaca, 1998, pag. 11.
505
Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan,
Torino, 2004.
506
Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 6.
507
Martin Shaw, Global society and international relations. Polity Press, Cambridge, 1994, pag.
650.
508
Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan,
Torino, 2004.
163
vocazione internazionale, movimenti sociali, reti formali ed informali, associazioni di
diversa tipologia.
Per quanto concerne la modalità d’azione seguita dai diversi soggetti della società civile
globale Jan Aart Scholte propone un utile griglia che scompone nel seguente modo: “a)
affronta tematiche transnazionali; b) comporta comunicazioni transfrontaliere; c) è dotata
di un’organizzazione di dimensioni globali; d) lavora sulla base di una concezione di
solidarietà sovraterritoriale.”509 Per l’autore, la sola presenza di una delle quattro
componenti è sufficiente per classificare una attore globale, mentre la presenza di più di
uno degli elementi comporta un grado di globalizzazione maggiore.
Mary Kaldor510 schematizza le diverse posizioni assunte dai teorici partecipanti al dibattito
inerente l’inclusività della società civile globale individuando cinque differenti versioni del
concetto, due delle quali attingono da versioni passate mentre le altre tre sono
contemporanee.
La prima versione identifica l’idea di società civile come una sfera di diritto, ovvero di una
comunità politica pacificata fondata sul consenso implicito od esplicito degli individui.
Nell’ideale di Kant i confini di questa comunità politica si estendono al mondo intero: per
lui il concetto di società civile universale afferisce ad una legalità cosmopolitica, garantita
da un insieme di trattati ed istituzioni internazionali.
La seconda versione si sviluppa attorno all’idea hegeliana e marxiana di società borghese,
ovvero di società di mercato contrapposta allo Stato. Trasposta su un piano globale la
società civile è considerata una sorta di processo di globalizzazione dal basso che
comprende tutti i movimenti globali che avvengono al di sotto o al di fuori dello Stato e
delle istituzioni politiche internazionali, tra cui anche le imprese transnazionali,
l’investimento estero e le reti finanziarie mondiali. John Keane511, ad esempio, è uno di
quegli autori che include nella società civile globale gli attori economici con finalità di
lucro.
La terza versione è quella detta postmarxista e corrisponde alla visione degli attivisti
odierni che si rifà all’accezione espressa dai movimenti di opposizione dell’Europa
Centrale degli anni ’70 e ’80. Presupponendo il primato della legge e del potere statale,
essa insiste sulla redistribuzione democratica di questo potere. La società civile coincide in
questo caso con l’attivismo civico e le forme di autorganizzazione degli spazi al di fuori
dei circuiti politici formali dirette ad accrescere l’autonomia e la partecipazione dei
509
J. A. Scholte, Globalisation: a critical introduction. Mcmillan, London, 2000.
Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004.
511
John Keane, Global civil society? Cambridge University Press, Cambridge, 2003.
510
164
cittadini. La società civile globale fa riferimento all’esistenza di una sfera pubblica globale
nella quale abitano reti associative transnazionali che ricorrono ai media internazionali ed a
strumenti di comunicazione non strumentali per attirare l’attenzione mondiale sulle loro
campagne e sulle “nuove religioni civiche”512 globali, quali i diritti umani o
l’ambientalismo.
Secondo la versione neoliberista la società civile corrisponde ad alla vita associativa che
non solo mette in discussione il potere dello Stato, ma cerca di sostituirsi ad esso
assumendo sue funzioni proprie. Nella sua trasposizione globale essa è “l’equivalente
sociale o politico della globalizzazione intesa come globalizzazione economica,
liberalizzazione, privatizzazione, deregulation ed aumento della mobilità di beni e capitali.
In assenza di uno Stato globale, un esercito di ONG svolgono le funzioni necessarie per
facilitare la strada della globalizzazione economica.”513
La loro attività è rivolta a fornire aiuto umanitario alle popolazioni vittime di crisi politiche
ed economiche, nell’intento di limitare i danni provocati dalla globlaizzazione. “Il lavoro
delle organizzazioni più riformiste si sviluppa sulla base di un numero sempre crescente di
rapporti di parternariato con le imprese, sulla lenta crescita di progetti di microeconomia,
sui progetti per l’aiuto allo sviluppo.”514 In generale, la loro attività è rivolta
all’implementazione di iniziative di democracy-bulding finanziate a livello pubblico e
privato nell’intento di affermare la sovranità della legge ed il rispetto dei diritti umani su
scala globale.
Infine, nella versione postmoderna il termine società civile globale si scinde in un insieme
di società civili globali formatesi a partire dalla “diffusione globale dei terreni di
contestazione”515: secondo questa visione, lo spazio mondiale è abitato da una pluralità di
reti organizzate su scala globale che non include solo i soggetti dell’attivismo civico, ma
anche le reti sviluppatesi sulla base di identità religiose, etniche o nazionali. A tutt’oggi
rimane molto dibattuta la possibilità di inclusione nel concetto di società civile globale
anche di quei gruppi che giustificano il ricorso alla violenza. Scholte516, ad esempio è uno
di quegli autori che considera le reti criminali, i gruppi razzisti, ultranazionalisti e
fondamentalisti membri della società civile globale.
512
Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 9.
Ibidem.
514
Tuerry Pech & Marc Olivier Padis, Le multinazionali del cuore. Feltrinelli, Milano, 2004, pag.
85.
515
Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 10.
516
J. A. Scholte, Globalisation: a critical introduction. Mcmillan, London, 2000.
513
165
La società civile come mezzo e fine della nuova nozione di sviluppo.
Il potenziale politico di queste trasformazioni trova un suo primo riscontro nella nuova
concezione di sviluppo umano sostenibile che si afferma in modo progressivo nel corso
degli anni ’90 attraverso una serie di incontri, vertici e conferenze internazionali e che
segna l’entrata della società civile contemporaneamente come fine e mezzo della modalità
decentrata della cooperazione allo sviluppo.
Secondo Vanna Ianni517, all’origine della messa in discussione delle politiche di sviluppo
fino ad allora adottate dagli Stati nazionali, sia in riferimento agli obbiettivi raggiunti che
alla metodologia utilizzata, vanno identificati gli effetti della crisi dello Stato e della
conseguente affermazione della società civile nella sua dimensione nazionale e globale,
insieme agli effetti generati dall’aumento delle insicurezze provocate da un numero
crescente di conflitti, dai danni all’ambiente e dall’aumento dell’esclusione sociale sul
piano globale. Il nuovo approccio si articola su di un insieme di concetti strettamente
connessi: lo sviluppo umano, sostenibile, partecipativo. In primo luogo, la nuova visione
colloca l’uomo come fine in sé al centro, secondo la nota posizione kantiana a cui fanno
espressamente richiamo i Rapporti del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite
elaborati negli anni ’90. Al riguardo, il Rapporto sullo sviluppo umano 5 afferma
esplicitamente che «è bene ricordare l’ammonimento di Immanuel Kant “a trattare
l’umanità come un fine, mai come un semplice mezzo.” La qualità della vita umana è un
fine.»518 In secondo luogo, si afferma il concetto di sostenibilità, ossia della necessità di
fare un uso delle risorse terrestri tale da rispettare l’ecosistema e non privare le generazioni
future delle stesse opportunità di scelta di oggi. Per alcuni autori, tra cui Ignacy Sachs519,
tale concetto contiene degli aspetti economici, sociali, culturali, ecologici, geografici. Con
esso non si allude solo alla preservazione delle risorse naturali della terra, ma anche ad una
crescita economica accompagnata da una maggiore equità sociale, una più equilibrata
distribuzione degli spazi abitati e processi di modernizzazione rispettosi della diversità dei
singoli contesti culturali.
In terzo luogo, la partecipazione diventa sia fine che strumento della modalità decentrata
della cooperazione allo sviluppo. La nozione di sviluppo si afferma come un processo
procedente dal basso, che apre nuovi spazi d’intervento alla società civile ed alle autorità
locali. Il riconoscimento della pluralità di soggetti e la politica di decentramento dei poteri
517
Vanna Ianni, La cooperazione decentrata allo sviluppo. Rosenberg & Sallier, Torino, 1999.
Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, Rapporto sullo sviluppo umano 5. Nuove
insicurezze. Rosenberg & Sallier, Torino, 1994, pag. 27.
519
Ignacy Sachs, Un modello di sviluppo alternativo per il Brasile. EMI, Bologna, 1993.
518
166
vengono presentati come metodi privilegiati per la promozione dello sviluppo umano
sostenibile. Come componente fondamentale della partecipazione si afferma la nozione di
empowerment, cioè di possibilità di accesso dei gruppi più deboli e marginali non solo alle
risorse, ma anche e soprattutto ai momenti decisionali riguardanti questioni che si
rivolgono all’intera collettività. “La partecipazione è intesa come capacità di
concertazione, di dialogo e negoziato, tra soggetti diversi locali, nazionali, internazionali,
pubblici e privati.”520
Le conferenze tenutesi nel corso degli anni ’90 vanno considerate, secondo Vanna Ianni521,
parte di un unico processo, nel quale si afferma l’universalità dei diritti dell’uomo, pur
cercando di coniugare tale universalità con il rispetto delle particolarità culturali e delle
diversità di esperienze storiche. Queste conferenze mostrano un’attenzione crescente per le
relazioni di partenariato, che progressivamente subiscono un processo di estensione e di
trasformazione qualitativa. “La nozione di partner passa ad includere non solo i rapporti di
cooperazione nord-sud e sud-sud, ma anche e significativamente quelli tra stato e società
civile e, all’interno di quest’ultima, tra i soggetti diversi che la compongono.”522 Il
rafforzamento del partenariato con la società civile ed il rafforzamento della società civile
attraverso lo sviluppo delle sue capacità vengono considerati fattori decisivi per il
superamento della dipendenza dagli aiuti che indebolisce la sostenibilità delle politiche di
sviluppo. Uno degli elementi distintivi della modalità decentrata della cooperazione allo
sviluppo diviene pertanto il territorio, definito come “spazio di radicamento delle politiche
e degli attori dello sviluppo: esso corrisponde ad un livello intermedio di decentramento
politico-amministrativo, tale da essere sufficientemente piccolo da permettere dei processi
di partecipazione effettivi, e sufficientemente grande da avere le necessarie risorse per
avviare uno sviluppo locale”523, indissociabilmente legato a quello nazionale ed
internazionale. Anche se si considera che questo approccio comporta l’avvio di processi di
più lunga durata si ritiene che l’arricchimento finale sarà sicuramente maggiore di quello
ottenuto dalle vecchie politiche di sviluppo, poiché con esso si potrà disporre del
contributo dei saperi locali, garantire una maggiore efficacia degli interventi, alimentare il
senso di ownership, ossia il senso di appartenenza nei confronti dei processi intrapresi,
assicurando un maggior grado di governabilità democratica.
520
Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan,
Torino, 2004, pag. 90.
521
Vanna Ianni, La cooperazione decentrata allo sviluppo. Rosenberg & Sallier, Torino, 1999.
522
Ibidem, pag. 39.
523
Undp/Unops, Oms, Idndr, Cooperazione italiana, la sfida dello sviluppo sociale. Roma, 1995,
pag. 11.
167
Molti sono coloro che denunciano il fatto che gran parte degli impegni assunti dalla
comunità internazionale è rimasto confinato nel piano della retorica. “Questi obbiettivi non
sono ancora stati realmente all’attenzione internazionale e, anche nel caso in cui
occasionalmente o parzialmente lo sono stati, si è scoperto che esiste una drammatica
mancanza di strumenti metodologici ed operativi per tradurre in pratica con coerenza
questa nuova volontà politica.”524
“Questi concetti si aggirano in punta di piedi ai margini della vera politica dello sviluppo,
quella del controllo delle risorse, della distribuzione delle terre, dell’emarginazione, della
sicurezza e del potere decisionale.”525 Per Maggie Black la potenzialità delle nuove
partnership tra governi e soggetti della società civile per l’implementazione di forme di
sviluppo alternative non ha modo di esprimersi perché quando queste collaborazioni si
scontrano con i forti interessi della classe dominate di un paese le forze della società civile
vengono screditate, viene messa in discussione la loro legittimità e capacità d’intervento.
La partecipazione viene intesa da molti non come mezzo di riorganizzazione del potere,
quanto come concetto che presenta “utili caratteristiche di gestione, amministrazione e di
rientro dei costi”.526 I concetti di partnership e di co-sviluppo dovrebbero implicare la
negoziazione degli obbiettivi, mentre nella realtà si suppone la loro condivisione.
Alcuni membri dell’Institute of Development Studies del Sussex527 ritengono che la
distanza tra principi enunciati e sottoscritti dagli Stati nazionali e le pratiche attuate si
allarga sempre di più in questi anni. Mentre il concetto di empowerment richiede una
messa in discussione degli assetti di potere esistenti, nella pratica di gran parte degli
interventi questo aspetto non viene preso in considerazione. Anche la messa in atto del
principio di ownership vacilla nel momento in cui i governi nazionali e le agenzie dello
sviluppo operanti a livello internazionle utilizzano tutto il loro potere politico ed
economico per definire le strategie ed i metodi d’intervento.
In alcune circostanze si è riusciti a far sì che l’assistenza sanitaria di base e la pubblica
istruzione beneficiassero i gruppi più emarginati. Tuttavia, in società fortemente ingiuste in
cui l’esercizio del potere è prerogativa di una ristretta elite, l’intento di assicurare un
maggior grado di governabilità democratica si è limitato a garantire che le strutture già
esistenti agissero in modo più responsabile ed efficace in relazione ai costi, rispettando
524
Ibidem, pag. 4.
Maggie Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004, pag. 125.
526
Ibidem.
527
Institute of Development Studies of Sussex, Policy Briefing august 2001, www.ids.ac.uk/ids.
525
168
alcune norme politiche e sociali. Solo di rado il controllo delle risorse viene affidato alla
popolazione dando loro la possibilità di modificare le strutture che la circondano. Se ciò
accade si tratta di questioni di portata ridotta, come quella inerente l’eliminazione dei
rifiuti, ma mai di questioni riguardanti la proprietà della terra o la risoluzione di conflitti.528
Vanna Ianni ammette che il nuovo quadro entro cui opera la comunità internazionale può
assumere caratteristiche di slogan, impoverendo di significato sia il linguaggio della
cooperazione che gli studi sullo sviluppo e sulla società civile. “La nozione di società
civile, in particolare, si estende, si riduce e si trasforma secondo i contenuti ad essa
attribuiti dai diversi donatori”.529 Tuttavia, questa vaghezza può dimostrarsi un terreno
fertile per il confronto-scontro di strategie diverse, in cui convivono e si alimentano
contrapposizioni che progressivamente “vanno generando – al di sotto del guscio degli
obbiettivi condivisi nelle dichiarazioni ma distintamente intesi – sensibilità ed elementi
concettuali comuni.”530
Per Mary Kaldor531 l’idea politica di società civile e la sua portata globale non
rappresentano una panacea di tutti i mali, piuttosto, la prospettiva che aprono deve essere
intesa come un processo, come un “orizzonte”532 entro cui l’umanità opera per affermare
diverse pratiche di emancipazione, politica ed economica.
Maggie Black533 riconosce che negli ultimi dieci anni sono stati fatti passi importanti ed
utili per attribuire un nuovo significato al termine dello sviluppo, spostando l’attenzione
non solo sui valori di partecipazione, ma anche sulla centralità dei diritti dell’uomo, intesi
secondo un’accezione più ampia di quella che per decenni li ha confinati nell’ambito dei
diritti civili e politici. In modo progressivo, dalla fine degli anni ’80 in poi, l’accento si è
spostato sulla componente sociale ed economica dei diritti umani, in seguito alla presa di
coscienza che “solo in questo modo si sarebbero potute mettere in discussione le
disuguaglianze perpetrate dalle dinamiche di sviluppo in atto.”534 Gli attivisti ed i
movimenti costituiti dalle vittime hanno così cominciato a ricorrere in modo crescente alla
legge nelle loro campagne di trasformazione della realtà, anche perché le istanze dei diritti
umani godono di un importante vantaggio rispetto a quelle centrate sul benessere: il
consenso che riescono a mobilitare attorno ad alcune questioni è molto più ampio.
528
Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, Poverty Report 2000.
Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan,
Torino, 2004, pag. 94.
530
Ibidem.
531
Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004.
532
Thomas Dietz, International ethics and Euroean integragion: federal state or network horizon?
In Alternatives, n.22, 1997.
533
Maggie Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004.
529
169
L’autrice non risparmia però critiche rivolte all’inefficienza di un sistema giuridico
internazionale che fino ad oggi ha previsto un’unica arma a disposizione dei comitati di
controllo, ossia l’ammonizione rivolta agli Stati, mentre la possibilità di costituire un
tribunale internazionale per giudicare sui crimini contro l’umanità viene limitata a pochi
casi eclatanti. Manca un codice penale internazionale che preveda come crimini la guerra e
le violazioni dei diritti umani commesse dagli Stati, così come mancano giurisdizioni
internazionali abilitate a sanzionare gli uni e le altre. Ad ogni modo, anche Maggie Black
converge sulla valenza positiva assunta dall’aumento della complessità del concetto di
sviluppo e della molteplicità degli aspetti che oggi lo riguardano. Difatti per l’autrice “è
più probabile che la povertà e lo sfruttamento si riducano maggiormente attraverso una
molteplicità di sforzi che tramite una grandiosa teoria o un nuovo insieme di risoluzioni di
portata globale.”535
Il caso-studio: la Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in
Colombia.
La tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia si costituisce a Barcellona nel
2002, anche se la dichiarazione di intenti risale al febbraio dell’anno successivo. Essa
nasce in seguito all’escalation del conflitto colombiano degli ultimi anni e si propone di
costruire uno spazio di concertazione tra i differenti attori sociali ed istituzionali operanti
in Catalogna, impegnati a sostenere una soluzione politica del conflitto armato e la difesa
dei diritti umani in Colombia.
Il coordinamento è formato da un insieme di soggetti di varia natura che appartengono alla
sfera istituzionale e a quella sociale includendo amministrazioni comunali, provinciali,
regionali, ONG, organizzazioni sociali, sindacati, università.
La Tavola non possiede lo statuto di entità giuridica, ma costituisce uno spazio d’incontro
informale adatto alla confrontazione di soggetti differenti disposti a sedersi allo stesso
tavolo, poiché convinti che la propria capacità d’intervento in Colombia possa accrescere
enormemente attraverso la collaborazione di entità potenzialmente complementari. Al di là
delle diversità, tutti i partecipanti al coordinamento regionale si trovano d’accordo nel
ritenere che il processo di pace in Colombia potrà condurre ad una pace integrale e
duratura solo se lo Stato colombiano, ossia il principale garante del rispetto dei diritti
534
535
Ibidem, pag. 128.
Maggie Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004, pag. 135.
170
umani nel proprio territorio, si impegnerà ad assicurare la messa in atto di un processo di
verità, giustizia e riparazione. Inoltre, i diversi soggetti della Tavola sono convinti che per
porre termine al conflitto interno colombiano sia assolutamente necessario che la comunità
internazionale riconosca ed assuma le proprie corresponsabilità in riferimento ai fattori di
internazionalizzazione del conflitto colombiano. Fermo restando che la trasformazione
sociale, politica ed economica di cui ha bisogno il paese deve avere come protagonista la
società colombiana, i componenti della Tavola si trovano d’accordo nel riconoscere che in
un mondo caratterizzato da un’economia sempre più interdipendente, la maggioranza delle
decisioni che riguardano il benessere della popolazione colombiana vengono prese in
centri decisionali molto lontani dalla Colombia: essi fanno riferimento alla domanda di
droga, al traffico di armi, alla politica economica e finanziaria (aggiustamento strutturale,
debito estero, liberalizzazione del commercio ed investimenti transnazionali), così come
alle politiche di immigrazione. Riferendosi al contesto macroregionale più prossimo allo
Stato spagnolo di cui la Catalogna fa parte, i soggetti della Tavola ritengono indispensabile
che l’Unione Europea porti avanti una politica che in nessun modo approfondisca la
polarizzazione crescente della società colombiana.536
Le iniziative principali che questo coordinamento regionale porta avanti sono riconducibili
a progetti di informazione e di dibattito pubblico finalizzati ad aumentare il grado di
conoscenza presso la popolazione catalana di quanto avviene in Colombia, sia in
riferimento alle iniziative di pace portate avanti dalla società civile colombiana, sia in
riferimento alle operazioni militari perpetrate dai diversi attori armati. Il fine è quello di
costruire un discorso propositivo che stimoli l’opinione pubblica catalana ad impegnarsi a
collaborare per la trasformazione del conflitto colombiano e di esercitare una pressione
politica a diversi livelli (catalano, spagnolo, europeo e colombiano) per favorire la pace e il
rispetto dei diritti umani in Colombia.
I diversi soggetti che ne fanno parte sono impegnati a loro volta in progetti di varia natura:
a partire da progetti di cooperazione decentrata volti ad individuare e a sostenere quelle
controparti colombiane che si ritiene possano svolgere un ruolo importante nella
trasformazione del conflitto a livello locale e regionale, per arrivare a progetti miranti a
fornire rifugio politico a rappresentanti della società colombiana, sindacalisti o giornalisti
in pericolo di vita.
La volontà di coordinare le attività di differenti attori sociali ed istituzionali non si limita al
solo territorio catalano, ma tra i propositi del coordinamento regionale si riconosce anche
536
Dichiarazione di intenti della Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in Colombia
171
la volontà di cercare la collaborazione e l’armonizzazione del proprio operato con quello
condotto da altri spazi di coordinamento regionali.
Il contesto catalano.
Qui di seguito si cercherà di illustrare quali possono essere le ragioni che spiegano la
costituzione di un simile coordinamento regionale nel territorio catalano: i quesiti cui si
cercherà di rispondere si riferiscono al motivo per il quale in Catalogna la sensibilità verso
il caso colombiano è così alta e quali caratteristiche del territorio catalano hanno facilitato
la formazione della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia.
Innanzitutto, l’attenzione rivolta dalla comunità catalana alla situazione colombiana può
essere spiegata sulla base dei dati riguardanti i flussi di immigrazione. Fermo restando che
la precisione dei dati raccolti non può che essere viziata da una realtà in cui molti
immigrati sono costretti alla clandestinità, uno sguardo alle cifre riportate dall’Istituto di
Statistica della Catalogna (IDESCAT) e dall’Istituto Nazionale di Statistica di Spagna
(INE) rimane assai utile per capire che la comunità colombiana di immigrati è una delle
più numerose sia a livello catalano che spagnolo. Secondo l’INE la percentuale del numero
di colombiani al primo gennaio del 2004 sul totale degli immigrati censiti in Catalogna è di
5,8%: la comunità è pertanto la terza in termini di grandezza dopo quella marocchina e
quella ecuadoriana. Per quanto riguarda il territorio spagnolo la percentuale sale al 8,2%
anche se la posizione occupata rimane la stessa, ossia il numero dei colombiani in Spagna
rimane comunque inferiore a quello dei marocchini e degli ecuadoriani.537 Secondo i dati
riportati dall’IDESCAT la percentuale di colombiani residenti in Catalogna al primo
gennaio del 2004 rappresenta il 4,04% del totale degli immigrati residenti. La comunità
colombiana si situa al quinto posto in ordine di grandezza dopo la comunità marocchina,
ecuadoriana, peruviana e cinese. Di particolare interesse è inoltre il fatto che rispetto al
primo gennaio del 2000 il numero dei colombiani residenti in Catalogna è aumentato
dell’81,9%.538
Per la costituzione della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia la
presenza sul territorio della cattedra UNESCO per la Pace ed i Diritti Umani, presso la
Scuola di Pace dell’Università Autonoma di Barcellona è stata estremamente rilevante.
Tale cattedra si è costituita agli inizi del 1997 in seguito ad un accordo tra l’UNESCO, il
contenuta nell’appendice.
537
Fonte: Instituto Nacional de Estadistica INE, www.ine.es/inebase.
538
Fonte: Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali. Osservatorio permanente sull’immigrazione,
www.idescat.es.
172
Governo della Catalogna e l’Università. Il compito che è stato affidato alla cattedra è
quello di lavorare su temi legati al disarmo, alla trasformazione di conflitti e alla cultura
della pace.
Oltre ai programmi di docenza e di ricerca il nucleo centrale dell’attività svolta dalla
cattedra è costituito dall’iniziativa “Unità di Allerta”. Avvalendosi di un equipe
interdisciplinare che analizza giorno per giorno la situazione in tutti i paesi del mondo dalla
prospettiva della corsa agli armamenti, dello sviluppo, dei diritti umani e dei conflitti,
attraverso questo programma la cattedra elabora una relazione annuale, trimestrale e
settimanale descrittiva della situazione dei paesi in guerra che viene distribuita sul web539.
Negli ultimi anni l’“Unità di Allerta” si è inoltre occupata della campagna “Addio alle
Armi” promossa da Greenpeace, Amnesty International, Medici senza Frontiere ed
Intermon-Oxfam. In quest’occasione l’Università ha svolto un importante ruolo di
coordinazione tra le diverse ONG coinvolte nella campagna.
La cattedra aspira ad arrivare a svolgere un ruolo strategico nella “diplomazia cittadina”540
necessaria alla trasformazione dei conflitti. I suoi collaboratori sono convinti che
l’istituzione universitaria possieda alcune caratteristiche che le permettono di convertirsi in
un referente importante per gli attori in conflitto e gli attori sociali ed istituzionali coinvolti
in situazioni di guerra. L’idea di base è che, potenzialmente, l’Università può fornire degli
spazi e dei momenti di riflessione in grado di facilitare l’avvicinamento tra attori in
disputa. Per Alicia Barbero541 il ruolo dell’istituzione universitaria è molto importante
anche sotto un altro punto di vista: essa ha la possibilità di accedere a dei canali di
finanziamento pubblici che possono essere dirottati nel finanziamento di progetti finalizzati
ad accrescere i ponti esistenti tra società civili nazionali di differenti paesi. In sintesi,
secondo la prospettiva dei collaboratoti della cattedra dell’UNESCO, operante all’interno
della Scuola di Pace, l’Università possiede i mezzi per realizzare quelle condizioni
necessarie affinché si materializzino fondi o, più in generale, terreni favorevoli per la
nascita di nuove alleanze tra soggetti sociali ed istituzionali, locali, nazionali ed
internazionali. Simbolicamente il ruolo potenziale dell’istituzione universitaria somiglia a
quello di una “badante che si occupa di un bambino: una volta cresciuto il bambino la
badante se ne va’.”542
539
Vedi il sito della Escuela de Pau: www.esoladepau.org.
Kristian Herbolheimer, La Universidad como tejidora de paz, www.escolapau.org, pag. 1.
541
Alicia Barbero e Kristian Herbolheimer sono i due principali componenti di quella parte
dell’equipe della cattedra dell’UNESCO che lavora al programma colombiano.
542
Intervista ad alicia Barbero, pag. 3.
540
173
In riferimento al caso colombiano, dall’ottobre del 2000 la cattedra ha promosso il
programma chiamato “Colombia: internazionalizzare la pace”, la cui funzione non consiste
tanto nell’investigare ulteriormente sulle cause del conflitto in atto, quanto nel contribuire
in modo diretto nella costruzione di pace. Alla luce della limitata incidenza delle
numerose iniziative europee promosse in appoggio alla pace, ai diritti umani e allo
sviluppo in Colombia e del profondo scetticismo che attraversa l’opinione pubblica
europea, dovuto alla complessità del conflitto e alla difficoltà di identificarsi con uno degli
attori coinvolti, i collaboratori della cattedra si sono impegnati in parallelo su cinque fronti.
In primo luogo, la cattedra ha promosso il consolidamento e la nascita di alleanze già
avviate o potenziali, sia sul piano sociale che su quello istituzionale, al fine di rendere
complementare e quindi più efficace l’azione di differenti soggetti catalani già operanti in
Colombia. Mosso dalla convinzione che spesso esistono attori internazionali con un ruolo
potenziale maggiore di quello esercitato in un dato momento, come per esempio i comuni,
le regioni, le scuole ed i collettivi di colombiani immigrati, e che il compito dell’istituzione
universitaria sia quello di aiutare nell’identificazione di obbiettivi comuni pur
riconoscendo le necessarie differenze, l’equipe della cattedra si è adoperata affinché la
Tavola Catalana per la Pace e per i Diritti Umani in Colombia divenisse una realtà. Insieme
alla ONG catalana Cooperaciò i collaboratori della cattedra si sono occupati di prendere i
primi contatti con altre ONG ed amministrazioni pubbliche del territorio catalano per
invitarle a prendere parte al progetto della Tavola e a condividere quel “minimo comune
denominatore necessario all’azione congiunta del coordinamento”.543
In secondo luogo, la cattedra UNESCO si è preoccupata di “armare un discorso
propositivo”544, capace di avvalersi dell’utilizzo di tutti i mezzi di comunicazione per
spiegare nella maniera più chiara e completa possibile all’opinione pubblica catalana,
spagnola ed europea quello che avviene nel paese colombiano. Difatti, sulla base di una
conoscenza dei fatti adeguatamente approfondita è possibile ottenere una maggiore risposta
dalla società civile occidentale alle proposte di azione di solidarietà. La Colombia è stata
così uno dei primi paesi su cui si è applicato il programma “Unità di Allerta.” Gli studi
condotti sul paese sono stati inoltre pubblicati in riviste specializzate. Infine, per
coinvolgere in modo più diretto la popolazione locale sul tema colombiano l’Università si
è impegnata a promuovere e coordinare quello che è l’evento più importante che
annualmente viene organizzato dalla Tavola: le così dette “Giornate Aperte”, ossia un
543
Intervista ad Alicia Barbero, pag. 1. Si riferisce ai principi condivisi nella Dichiarazione di
intenti.
544
Kristian Herbolheimer, La Universidad como tejidora de paz, www.escolapau.org, pag. 3.
174
insieme di conferenze e seminari aperti al pubblico in cui di anno in anno si affrontano
tematiche cruciali diverse inerenti il conflitto interno colombiano.
In terzo luogo, la cattedra si è impegnata nell’elaborazione di proposte di politiche
municipali di costruzione di pace per tutte quelle amministrazioni catalane interessate a
sostenere programmi di sensibilizzazione, programmi di cittadinanza per la popolazione
immigrata ed azioni di solidarietà diretta con alcuni municipi colombiani. In armonia con i
principi alla base della cooperazione decentrata allo sviluppo che insistono sulla necessità
di incrementare la partecipazione della popolazione locale alle politiche di sviluppo poste
in atto ed il suo senso di appartenenza nei confronti dei processi avviati, l’equipe della
cattedra dell’UNESCO ritiene difatti che il Comune sia il livello di amministrazione
pubblica più vicina al cittadino e pertanto anche il più adatto a canalizzare la solidarietà
della popolazione. Gli sforzi fatti in tal senso si sono concretizzati con l’adesione del Fons
Català de Cooperaciò al Desenvolupment alla Tavola fin dalla sua costituzione.
In quarto luogo, la cattedra ha voluto che la sua opera di divulgazione delle informazioni
non si centrasse solo sulle operazioni di guerra perpetrate dagli attori armati e sulle ragioni
che motivano la loro azione di guerra, ma soprattutto sulle iniziative di pace provenienti
dalla società civile colombiana. La strada che conduce ad una soluzione negoziata del
conflitto passa attraverso il rafforzamento delle misure atte a garantire una maggiore
protezione della popolazione civile colombiana, affinché le resistenze della popolazione di
fronte alle opzioni di allearsi a uno degli attori armati o di abbandonare la propria casa e la
propria terra siano sempre più numerose. Sulla base di queste convinzioni l’idea ispiratrice
della prima edizione delle “Giornate Aperte” ha riguardato il tentativo di avvicinare la
popolazione catalana ad una nuova prospettiva del conflitto che scaturisse dai resoconti e
dalle proposte di costruzione di pace provenienti da alcuni esponenti della società civile
colombiana.
Infine, alla luce del fatto che “davanti a problemi globali è possibile procedere solo con
risposte globali”545, l’equipe della cattedra ha ritenuto opportuno rafforzare tutti i mezzi a
disposizione della Tavola per esercitare una pressione politica diretta a ridurre l’enorme
gap esistente tra le azioni intraprese da alcuni governi occidentali e le dichiarazioni
rilasciate dai suoi rappresentanti. La cattedra dell’UNESCO ritiene difatti che l’Unione
Europea e i suoi Stati membri debbano riconoscere pubblicamente le proprie
corresponsabilità in relazione ai fattori di internazionalizzazione del conflitto colombiano
e, a partire da lì, elaborare strategie specifiche per limitare l’incidenza di questi fattori. Una
545
Ibidem, pag. 4.
175
delle ragioni principali che ha mosso l’istituzione universitaria a dare vita alla Tavola è
stata la convinzione che in questo modo fosse possibile dare vita ad una vera e propria
“lobby”546 in grado di esercitare una maggiore pressione politica a livello catalano,
spagnolo, europeo e colombiano. A livello locale l’incidenza politica cresce grazie alle
nuove dinamiche della cooperazione internazionale decentrata: coinvolgendo nella Tavola
attori istituzionali quali ad esempio il Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment, che
amministra i fondi che 270 comuni catalani hanno deciso di destinare a programmi di
sviluppo e cooperazione, i paesi donanti finiscono per “assumere nella propria agenda
politica gli obbiettivi delle agende dei paesi beneficiari degli aiuti, al fine di ottenere un
risvolto politico sulla scena locale.”547 L’incidenza politica a livello statale e
macroregionale è invece cresciuta nella misura in cui il numero di rappresentati politici di
organismi internazionali, di istituzioni europee, spagnole e colombiane invitati alle
“Giornate Aperte” è aumentato enormemente nelle edizioni del 2004 e 2005.
Infine, la situazione estremamente favorevole che vive la cooperazione decentralizzata sul
territorio spagnolo ha sicuramente contribuito a creare un terreno fertile capace di
stimolare la nascita di coordinamenti regionali di questo tipo. Gli aiuti alla cooperazione
internazionale delle Comunità Autonome e delle entità locali hanno subito un progressivo
aumento a partire dalla seconda metà degli anni ’80 in seguito a due ordini di fattori. In
primo luogo, la conquista di un numero crescente di strumenti di autogoverno a favore
delle entità autonome e locali in seguito al processo di decentralizzazione politica ed
amministrativa dello Stato spagnolo. In secondo luogo, la crescente sensibilizzazione
sociale in riferimento alle istanze di solidarietà internazionale ha aumentato la pressione
politica sulle entità amministrative più vicine ai cittadini per un impegno più attivo in
questo ambito. Nel corso della seconda metà degli anni ’90 il tasso di crescita dei
contributi messi a disposizione dalle amministrazioni decentralizzate ha addirittura
superato il tasso di crescita dell’ammontare totale degli aiuti destinati alla cooperazione
internazionale da parte del governo centrale. Si tratta di un’esperienza che non ha eguali
sul piano internazionale.548 In queste ultime due decadi sono inoltre nati dei Fondi di
Cooperazione e Solidarietà in molte delle Comunità Autonome di Spagna. Si tratta di
organismi senza animo di lucro in cui si riuniscono comuni ed altre istituzioni pubbliche e
private per la gestione congiunta di fondi economici destinati allo sviluppo dei paesi più
546
Intervista a Nuria Camps, pag. 4.
Intervista ad Alicia Barbero, pag. 4.
548
Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, 2ª jornada estatal de cooperaciòn descentralizada.
Confederacion de Fondos de Cooperaciòn y Solidariedad, Barcelona, 2001.
547
176
poveri. Ognuno di loro ha origini ed identità proprie, legate al territorio in cui si sono
costituiti. Dal 1995 sono tutti raggruppati nella Confederazione di Fondi di Cooperazione e
Solidarietà. In particolare, il Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment è un
organismo di carattere misto in cui sono confluite istituzioni pubbliche (comuni, giunte
provinciali e la giunta regionale della Generalitat) ed entità cittadine (associazioni,
collettivi ed imprese più sensibili a queste tematiche) che vanta diversi primati: oltre ad
essere il più longevo (si è formato nel 1986) è sempre stato il primo in riferimento al
numero di istituzioni pubbliche associate e all’importo dei mezzi amministrati, come si
vede dai dati delle tabelle a seguito, secondo quanto riportato dal Fons Català de
Cooperaciò al Desenvolupment.549
Tabella 1. Istituzioni pubbliche associate e mezzi amministrati in migliaia di euro per ogni
Fondo nel 2002.
Confederazi
one di fondi
Istituzioni pubbliche
Mezzi economici
associate
amministrati
di
Anno di
Cooperazion fondazione
e
e
Solidarietà
Fondo
1986
258
3.945
Fondo Basco 1988
78
1.081
Fondo
1992
88
1.031
1993
57
2.212
1993
10
924
1997
64
325
Catalano
Valenziano
Fondo
Maiorca
Fondo
Minorca
Fondo
Galiziano
549
Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, Realidad de los Fondos de Cooperaciòn 2001-2003.
Confederacion de Fondos de Cooperaciòn y Solidariedad, Barcelona, 2003.
177
Fondo Pitiùs
1999
5
796
Fondo
2000
39
371
2002
52
-
651
10.685
Andaluso
F.
Estremadura
TOTALE
Tabella 2. Evoluzione del numero di soci dei Fondi di Cooperazione e Solidarietà 19962003.
178
Tabella 3. Evoluzione dei mezzi amministrati dai Fondi di Cooperazione e Solidarietà
1996-2003.
Descrizione dell’iniziativa.
La Tavola Catalana per la Pace e i Diritti umani in Colombia è un coordinamento regionale
di carattere misto, che si avvale della partecipazione di attori istituzionali e sociali.550
Essa presenta un’organizzazione di tipo reticolare: i soggetti che ne fanno parte godono
degli stessi diritti e degli stessi doveri e tutti lavorano “affinché le decisioni siano le più
condivise possibili”.551 All’interno del coordinamento coesistono tre livelli di
organizzazione. Il primo livello è quello dell’Assemblea Plenaria, ossia un organo
decisionale formato da un rappresentante di ciascuno dei componenti partecipanti alla
Tavola, che si riunisce una volta al mese. La logica interna dell’Assemblea “non è
modellata sulla base della teoria democratica, viceversa ogni membro esercita il diritto di
veto.”552 Pertanto, le decisioni vengono prese per consenso unanime. Affianco
550
Per l’elenco completo dei soggetti partecipanti vedi la Dichiarazione di intenti contenuta in
appendice.
551
Intervista a Lola Crespo, pag. 2.
552
Ibidem.
179
all’Assemblea Plenaria lavora la segreteria tecnica, un organo amministrativo responsabile
dell’implementazione dell’agenda stabilita in Assemblea. La segreteria è composta di una
o due unità. Non ci sono delle attività di esclusiva competenza della segreteria: la sua
funzione è quella di “organizzare e canalizzare”553. Gran parte del lavoro viene svolto dai
diversi componenti della Tavola che partecipano secondo la propria disponibilità,
specializzazione ed interesse. Tutto quello che non viene svolto dall’insieme dei membri
della Tavola viene svolto dalla segreteria: “il tutto avviene in modo molto spontaneo”.554
Infine, c’è il Comitato Operativo formato anch’esso da un rappresentante di ogni
componente membro del coordinamento, che si occupa dell’organizzazione delle “Giornate
Aperte”.
Non esiste un rappresentante unico della Tavola: quando di tanto in tanto si presentano
situazioni che richiedono la presenza di un portavoce per l’intero coordinamento, come la
partecipazione a riunioni politiche ufficiali, in Assemblea Plenaria si procede alla
designazione della persona che per capacità e competenze si ritiene sia la più adatta a
seconda della tipologia dell’incontro.
La comunicazione tra i diversi soggetti avviene in modo diretto, ma poiché l’Assemblea si
riunisce una sola volta al mese, in caso di urgenze si ricorre alla comunicazione elettronica
per informare tutti i componenti della Tavola e per trovare un accordo su come agire.
Come già accennato, la Tavola non possiede lo statuto di entità giuridica, pertanto non
amministra fondi propri. I finanziamenti attraverso cui viene garantita l’esistenza stessa del
coordinamento provengono dalla donazione annuale che i suoi membri sono tenuti a
versare. Per ogni categoria di soggetti la segreteria tecnica avanza una proposta;
successivamente, i componenti della Tavola mettono a disposizione una somma di denaro
corrispondente alla loro grandezza e capacità economica. Questi fondi vengono utilizzati
per coprire le spese d’ufficio, eventuali viaggi e per ricompensare il lavoro di quanti
prendono attivamente parte ai lavori di coordinazione. I finanziamenti necessari al
pagamento della persona che lavora per un anno nella veste di segretario tecnico
costituiscono la spesa più elevata: fino ad ora, questi fondi sono stati ottenuti attraverso la
partecipazione di uno dei membri della Tavola al bando aperto dall’Agenzia Catalana di
Cooperazione allo Sviluppo. Questo significa che l’ottenimento di questi fondi non è
automatico e che in futuro la procedura seguita potrebbe variare. Il finanziamento della
Tavola da parte della Generalitat non avviene in modo diretto proprio perché essa non
possiede uno statuto giuridico proprio. Anche il resto delle iniziative promosse dalla
553
Intervista a Alicia Barbero, pag. 4.
180
Tavola vengono finanziate attraverso fondi pubblici: l’accesso a questi finanziamenti può
essere messo a disposizione da uno o più componenti del coordinamento tra i cui compiti
figura l’amministrazione di fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, come il caso
del Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment o, come nel caso appena citato
riguardante il finanziamento della segreteria tecnica, dalla partecipazione di uno o più
soggetti della Tavola a bandi indetti dalla Generalitat.
L’obbiettivo principale della Tavola è, con le parole della segretaria tecnica Lola Crespo,
“quello di far arrivare al governo della Catalogna e di Spagna e, in minor parte, ad alcuni
parlamentari che lavorano nell’Unione Europea con i quali il coordinamento mantiene
delle relazioni, le rivendicazioni della società civile colombiana organizzata che preme per
una soluzione politica del conflitto e per la protezione dei diritti umani.”555 La Tavola fa
proprie queste rivendicazioni e si adopera affinché esse assumano una forza maggiore sul
piano catalano, spagnolo, internazionale e quindi colombiano. Tali rivendicazioni fanno
tutte riferimento al compimento delle raccomandazioni della sede colombiana dell’Ufficio
dell’ONU per i Diritti Umani. Lo spazio pubblico designato alla loro affermazione è
offerto dalle così dette “Giornate Aperte”, ossia l’iniziativa maggiore e più importante
organizzata dal coordinamento che ha luogo annualmente nella città di Barcellona. Dal
2003 la Tavola promuove tre giorni di dibattito pubblico attorno a tematiche specifiche
riguardanti il conflitto interno colombiano. Queste giornate sono nate con l’intenzione di
contribuire allo sforzo fatto dalla Tavola di costruire un discorso propositivo che induca
l’opinione pubblica catalana e tutti gli agenti sociali, politici, di governo, locali, spagnoli,
colombiani ed internazionali a lavorare insieme per la trasformazione del conflitto
colombiano. Il fatto che per l’apertura dell’evento e lo svolgimento degli incontri del
primo giorno venga utilizzato il palazzo della Generalitat conferma l’attenzione rivolta
all’evento da parte delle istituzioni catalane ed il carattere politico che i promotori delle
giornate conferiscono a tale dibattito pubblico. Nel 2003 il proposito delle “Giornate
Aperte” fu quello di avvicinare la società catalana ad una nuova prospettiva del conflitto,
informando ed analizzando le sue cause e condizioni attraverso alcuni protagonisti della
società civile colombiana e le loro proposte per la costruzione della pace, nel tentativo di
uscire dalle visioni offerte dagli attori armati. Le giornate di quell’anno ebbero per titolo
“La società colombiana e la costruzione di pace”. Nelle giornate dell’anno seguente,
intitolate “Colombia: un vicolo cieco con via di uscita”, si approfittò dell’opportunità di
presentare la “Relazione Nazionale di Sviluppo Umano, Colombia 2003” appena
554
Intervista a Lola Crespo, pag. 3.
181
pubblicata dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo: si tratta della prima
relazione di sviluppo umano del mondo centrata su di un paese attraversato da un conflitto
armato interno, messa in risalto per il suo sforzo di avanzare proposte concrete, elaborate a
partire da un ampio processo di partecipazione di diversi settori sociali e politici per
contribuire alla superazione del conflitto. Quest’anno infine, la Tavola Catalana per la Pace
e i Diritti Umani ha cercato di offrire uno spazio di riflessione sul ruolo che la
cooperazione internazionale, dell’Unione Europea e dei suoi paesi membri, può avere in
paesi in conflitto armato come la Colombia: di rafforzamento delle istituzioni
democratiche, protezione dei diritti umani e ricerca di una soluzione politica o, al contrario,
di favorire il prolungarsi ed intensificarsi del conflitto.
Le iniziative promosse singolarmente dai diversi componenti della Tavola sono molteplici
e di varia natura. Si è visto che il fronte principale su cui lavora il soggetto fondatore della
Tavola, la Scuola di Pace dell’Università Autonoma di Barcellona, è ad esempio orientato
contemporaneamente sul tentativo di fornire e diffondere un numero sempre maggiore di
strumenti di analisi del conflitto e del processo di pace in Colombia e sul proposito di
sostenere un numero crescente di reti di soggetti che lavorano in relazione al caso
colombiano. Riguardo a quest’ultimo punto, il suo impegno non si esaurisce nell’appoggio
offerto alla Tavola Catalana nei lavori di pianificazione e divulgazione delle sue iniziative,
ma si estende ad ambiti più ampi. Difatti, la Scuola di Pace è impegnata
nell’accompagnamento internazionale di altre due reti. Da un lato, tale accompagnamento
si rivolge alle organizzazioni locali, nazionali ed internazionali mobilitate attorno ai diritti
delle donne in Colombia; dall’altro, riguarda un gruppo di comuni colombiani impegnati in
azioni di resistenza alla guerra e in iniziative civili di pace, in parte sostenute da un gruppo
di comuni catalani. In questi ultimi due anni, tale accompagnamento è riuscito a
concretizzarsi nel finanziamento di due borse di durata annuale, grazie a cui dei
rappresentanti della società civile colombiana attivi in questi due campi hanno avuto modo
di lavorare sul territorio catalano per sensibilizzare la popolazione locale rispetto a quanto
viene fatto dalle istituzioni o dai gruppi associativi di cui essi fanno parte. Quest’ultimo
anno le due borse sono state offerte ad una rappresentante del movimento Ruta Pacifica de
las Mujeres Colombianas e a un rappresentante della campagna Governabilidad
participativa desde los municipios.
La Ruta Pacifica rappresenta una parte dell’ampio movimento sociale delle donne
colombiane. Essa è sorta nel 1996 sulla base di un accordo nazionale di differenti
555
Ibidem, pag. 3.
182
organizzazioni unite allo scopo di dare una maggiore visibilità alla drammatica situazione
in cui vivono le donne colombiane in corrispondenza delle zone del conflitto armato a
cause delle azioni commesse da paramilitari, guerriglieri e membri dell’esercito
colombiano. Con questo scopo, dal 1996 sono state organizzate una serie di manifestazioni
in corrispondenza di quelle che la Ruta Pacifica chiama “zone focali”556 del paese. Queste
mobilitazioni culminano nella giornata del 25 novembre, giornata nazionale della non
violenza contro le donne. La Ruta Pacifica raccoglie più di 350 organizzazioni di donne
attive in diverse parti del paese; al suo interno, anche la presenza di donne che aderiscono
al movimento in forma individuale è alta: approssimativamente la Ruta Pacifica è formata
da 3500 donne. Non si tratta solo di un movimento di denuncia, ma le sue varie
componenti si dedicano anche all’elaborazione di una serie di proposte per sostenere una
soluzione politica del conflitto, tutte accomunate dalla convinzione che “la via militare non
rappresenti una soluzione possibile di un conflitto così prolungato.”557 L’ obbiettivo del
movimento è quello di contribuire alla “costruzione di relazioni etiche che permettano di
valorizzare il tessuto sociale e la diversità delle iniziative provenienti da tutti i soggetti
sociali che condividono la via del pacifismo.”558
Alla campagna Governabilidad participativa desde los municipios aderiscono invece un
numero crescente di comuni colombiani, alcuni dei quali si sono costituiti collettivamente
come Assemblea Municipale Costituente. Il loro intento è quello di opporsi alle dinamiche
del conflitto e al ricorso alle pratiche di violenza ad opera di tutti i gruppi armati contro la
popolazione civile. Ispirandosi ai principi di non violenza e a quelli contenuti nella
Costituzione del 1991 l’azione di questi comuni insiste sull’urgenza di procedere
nell’implementazione di alcuni importanti principi e diritti sanciti dal testo costituzionale.
Il rispetto dei principi alla base dello Stato di Diritto ed il riconoscimento della Repubblica
Unita di Colombia come forma Stato fondato sulla democrazia partecipativa e pluralista e
su di un ordinamento amministrativo decentralizzato, che riconosce alti gradi di autonomia
alle sue entità territoriali, sono i principi base a cui questi patti costituzionali si rifanno. Il
progetto chiamato Assemblea Municipale Costituente è partito dal Comune del Tarso, nel
Dipartimento di Antioquia, il 28 gennaio del 2001. Con esso la comunità locale si è
svincolata da tutti gli attori armati presenti sul luogo dichiarandosi “Municipio di Pace” e
ha posto le basi per l’avvio di un processo atto a modificare il sistema di governo del
municipio. Se prima il modello si fondava sui principi di democrazia rappresentativa oggi
556
Intervista a Monica Valencia, pag. 1
Ibidem, pag. 2.
558
Ibidem.
557
183
esso si ispira ai principi di democrazia partecipativa, grazie a tre importanti strumenti: la
convocazione di un’assemblea annuale aperta a tutta la popolazione del Comune che
nomina un gruppo di 150 suoi delegati rappresentanti dei diversi settori sociali che
lavorano a fianco del sindaco nell’implementazione del Piano di Sviluppo, nelle sue parti
più tecniche; la partecipazione diretta della comunità nell’implementazione del Piano di
Sviluppo; il compito di valutazione e controllo svolto dalla comunità sull’operato del
sindaco rispetto al Piano di Sviluppo grazie a cui, in nome del patto costituente, il sindaco
sarà costretto ad abbandonare la sua carica nel caso la popolazione esprimesse un giudizio
insoddisfacente. Considerati i successi ottenuti dal Municipio del Tarso in riferimento alla
convivenza pacifica raggiunta, all’unità della popolazione garantita grazie ad un previo
processo di perdono ed inclusione di tutte le parti sociali e ai bilanci positivi ottenuti dai
processi produttivi avviati, il modello è stato imitato dal governatore del Dipartimento di
Antioquia, Guillermo Gaviria Correa che l’11 agosto del 2003 ha costituito l’Assemblea
Costituente di Antioquia. Ogni Comune del dipartimento è pertanto chiamato ad elaborare
una propria agenda di governo; successivamente, tutti i documenti elaborati a livello
comunale confluiscono a livello regionale.559 Alcuni Comuni colombiani che hanno
partecipato alla nascita delle Assemblee Municipali Costituenti in corrispondenza del
Dipartimento di Antioquia sono i beneficiari dei fondi amministrati dal Fons Català de
Cooperaciò al Desenvolupment. L’obbiettivo di questa fondazione è quello di “dare vita ad
una relazione stabile e durevole nel tempo tra popolo e popolo, costruendo un ponte tra i
comuni catalani e quelli dei paesi beneficiari.”560 Le attività di cooperazione decentrata
finanziate dal Fondo sono dirette a promuovere la crescita di questo movimento attraverso
il rafforzamento di queste amministrazioni con il finanziamento, ad esempio, di progetti
produttivi capaci “di creare nuove possibilità di lavoro e ridurre di conseguenza la
partecipazione della popolazione colombiana al conflitto armato.”561 Il successo maggiore
raggiunto dal Fondo è di aver fatto sì che più di cento municipi catalani siano riusciti a
mettere in pratica le raccomandazioni delle Nazioni Unite, decidendo di destinare lo 0,7%
del loro bilancio alla cooperazione internazionale.562 Allo stesso tempo il Fondo è
impegnato nel sostegno di alcune iniziative promosse dalle Brigate Internazionali di Pace,
una ONG internazionale che concentra i propri sforzi su iniziative di accompagnamento di
559
Oscar de Jesus Hurtado, sindaco del Municipio del Tarso, Municipio de Tarso. Comunidad y
territorio de paz en Assemblea Costituyente. In Fondo Catalano di Cooperazione allo Sviluppo,
Encuentro de municipalismo en America del sur., Barcellona, 2004.
560
Intervista a Nuria Camps, pag. 3
561
Ibidem, pag. 2.
562
Ibidem, pag. 3.
184
persone costrette ad abbandonare la propria casa e la propria terra; da Amnesty
International, la cui attività è rivolta a fornire protezione a persone perseguitate per motivi
politici, garantendo loro i mezzi necessari ad uscire dal paese e rimanere in una situazione
di sicurezza per periodi di tempo determinati.
La protezione della vita di persone colombiane perseguitate, nella fattispecie sindacalisti, è
da sempre stato uno degli ambiti attorno a cui si è mobilitata la Fondazione Pau y
Solidarietat, ossia un comitato operaio per la cooperazione e la solidarietà nato in seno al
sindacato spagnolo CCOO. I contatti tra il sindacato spagnolo ed i sindacati colombiani
della CUT e la USO sono antecedenti l’adesione della CCOO alla Tavola Catalana. Queste
relazioni sono state intessute nel corso degli ultimi dieci anni, periodo in cui il sindacato
spagnolo ha tentato di fornire il suo pieno appoggio politico alla CUT e la USO, ogni volta
che esse lo richiedevano: per esempio, per la presentazione ai vari Governi colombiani di
carte di denuncia delle violazioni dei diritti umani subite dai loro leader o lavoratori iscritti.
Da un anno a questa parte la fondazione Pau y Solidarietat è impegnata nella realizzazione
del suo primo progetto di cooperazione decentrata nella regione del Valle, la zona attorno a
Cali. Il progetto è già stato approvato dalla Generalitat ma non è ancora stato avviato:
comincerà entro la fine dell’anno in corso e durerà un anno, anche se l’intenzione è quella
di rinnovarlo ed ampliarlo. Esso si occuperà della formazione di un gruppo di sindacalisti
appartenenti alla CUT attorno a tematiche legate alla salute lavorativa. Per Alonso
Ceferino il “compito primario della fondazione consiste nel sensibilizzare ed informare la
popolazione catalana e spagnola su quanto sta accadendo in Colombia, cercando di far
chiarezza sulle caratteristiche di un conflitto che si prolunga oramai da così tanto
tempo.”563 Fino ad ora la fondazione ha ricevuto e finanziato la visita di numerosi
sindacalisti colombiani, in particolar modo di rappresentanti di lavoratori dell’agenzia
telefonica nazionale della Colombia (ossia Telecom Spagna), di compagnie petrolifere e di
imprese tessili. L’obbiettivo della loro visita in Catalogna è quello di denunciare la
situazione critica del movimento sindacalista colombiano, sia dal punto di vista dei diritti
dei lavoratori sia per quanto concerne il bassissimo livello di sicurezza in cui sono costretti
a lavorare i leader sindacali. La Colombia è il paese con il più alto numero di morti
violente tra sindacalisti: solo nel 2001 sono stati assassinati 223 sindacalisti, ovvero il 90%
dei sindacalisti uccisi nello stesso periodo nel mondo.564
563
564
Intervista ad Alonso Ceferino, pag. 2.
Guido Piccoli, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli, Milano, 2003, pag. 14.
185
Limiti e possibilità.
La Tavola Catalana per la Pace e i diritti Umani in Colombia presenta naturalmente dei
vantaggi e degli svantaggi. Tra le sue forti potenzialità, in primo luogo sta la
partecipazione istituzionale catalana, aspetto che la complessità di un simile conflitto così
prolungato negli anni rivela assolutamente positivo ed importante. Per Alicia Barbero esso
“eleva il peso politico dell’accompagnamento fornito dalla Tavola alle iniziative civili di
pace provenienti dalla popolazione colombiana.”565 Anche Nuria Camps considera la
Tavola uno “spazio interessante come piattaforma di incidenza politica, sia a livello locale
che nazionale: a livello nazionale, soprattutto in seguito al cambio di Governo, si sono
aperti nuovi spazi di collaborazione estremamente interessanti.”566
L’informalità che contraddistingue la Tavola rappresenta uno dei suoi vantaggi maggiori,
in quanto permette che la coordinazione delle attività venga di volta in volta assunta da chi
si trova nella situazione migliore per poterlo fare. Considerazione condivisa da Nuria
Camps e dal sindacalista Alonso Ceferino, per il quale l’assenza di obblighi determinati
“rende molto aperta la partecipazione alla Tavola a qualsiasi organizzazione che lo
desideri.”567 L’orizzontalità assicura inoltre l’uguaglianza e lo stesso diritto d’intervento a
tutti i partecipanti del coordinamento.
Lola Crespo invece individua nell’elevata operatività del coordinamento il suo maggior
vantaggio. Tale operatività è resa possibile dal pragmatismo, la competenza e l’interesse
dimostrati dalle persone che ne fanno parte. Questo ha permesso al coordinamento di
raggiungere importanti successi sia dal punto di vista dell’alto profilo politico delle attività
realizzate, sia riguardo l’aumento della conoscenza della situazione colombiana in
Catalogna tra la società civile e nelle amministrazioni. L’orizzontalità del coordinamento
limita in parte questa operatività, in particolare la segretaria tecnica della Tavola riscontra
non poche difficoltà nella produzione di documenti scritti a causa della necessaria loro
approvazione all’unanimità da parte di tutti i suoi membri.
Il non avere una struttura rende più complesso e meno agile il processo decisionale del
coordinamento anche secondo Alonso Ceferino. Nelle situazioni di emergenza la segreteria
tecnica finisce per assumere delle responsabilità e dei compiti che non le appartengono. Per
Ceferino questo costituisce in realtà uno svantaggio per la persona che svolge il lavoro di
segretaria, mentre assicura l’operatività della Tavola che ne beneficia.
565
566
Intervista ad Alicia Barbero, pag. 5.
Intervista a Nuria Camps, pag. 4.
186
Per Alicia Barbero l’operatività del coordinamento è invece in parte limitata dalla stessa
presenza istituzionale: “la limitazione del tempo dedicato al caso colombiano da parte della
maggior parte dei soggetti istituzionali della Tavola rappresenta il limite maggiore
all’avanzamento dell’analisi collettiva del coordinamento in relazione ad un conflitto così
complicato.”568
Il dibattito aperto dalle “Giornate Aperte” del 2005 riguardo il ruolo che
può svolgere la cooperazione internazionale, dell’Unione Europea e dei
suoi Stati membri, in un paese in conflitto armato come quello
colombiano
In queste giornate svoltesi a Barcellona nel mese di aprile dell’anno in corso numerosi e
diversi esponenti di istituzioni ed organizzazioni sociali catalane ed internazionali, così
come numerosi rappresentanti istituzionali e della società civile provenienti dalla Colombia
hanno avuto modo di confrontarsi sul tema della cooperazione europea in Colombia.
La presentazione della politica che ispira la partecipazione dell’Unione Europea al
processo di pace in Colombia è stata affidata a Dusan Chrenek, membro del Consiglio
dell’Unione Europea il quale non ha mancato di precisare che la politica dell’intera
comunità internazionale in relazione a questo paese è guidata dal processo intavolato nel
luglio del 2003 nella città di Londra.
In quell’occasione fu il Governo colombiano a stimolare l’apertura di una “Tavola di
donanti” in cui presentò una serie di proposte di cooperazione internazionale, sulla base
delle quali i diversi paesi membri del G-24 offrirono il loro appoggio economico: gli
accordi presi hanno carattere vincolante per il Governo colombiano e per i paesi donatori.
In quell’occasione, tutti i paesi partecipanti convennero sul carattere multilaterale del
processo di pace colombiano, riconoscendo il ruolo fondamentale delle Nazioni Unite e
della comunità internazionale nella soluzione della crisi umanitaria generata dal conflitto
interno colombiano, che affonda le sue radici nella povertà, nell’esclusione sociale e
nell’impunità. Venne sottolineata la necessità di intervenire promuovendo una soluzione
negoziata del conflitto armato interno, in un contesto di garanzie democratiche e sulla base
di un quadro giuridico capace di stabilire rigorosi criteri di verità, giustizia e riparazione.
Gli accordi di cooperazione siglati in quell’occasione vennero presentati come diretti a
sostegno di uno sviluppo equo ed inclusivo, caratterizzato da una serie di misure atte a
567
568
Intervista ad Alonso Ceferino, pag. 4.
Intervista ad Alicia Barbero, pag. 5.
187
produrre dei cambiamenti strutturali e non immediati. Contemporaneamente gli Stati del
G-24 si espressero a favore della creazione di una serie di meccanismi di controllo in grado
di vigilare sull’adempimento delle raccomandazioni provenienti dall’Ufficio dell’ONU per
i Diritti Umani e per il Diritto Internazionale Umanitario da parte del Governo colombiano.
Tale ademppimento venne considerato parte integrante del quadro politico di riferimento di
tutte le politiche di cooperazione presenti e future promosse da tutti i paesi firmatari degli
accordi presi. In particolare l’Unione Europea sottolineò il fatto che tali raccomandazioni
non possono essere considerate un ostacolo al processo di pace, bensì sono uno strumento
utile a rafforzare lo Stato di Diritto in Colombia. La seconda fase di questo processo ha
portato allo svolgimento di un secondo incontro tenutosi nella città colombiana di
Cartagena nel febbraio di quest’anno, in cui gli Stati partecipanti si sono espressi sullo
stato di avanzamento delle politiche intraprese ed in cui il Governo di Uribe ha cercato di
riconfermare gli aiuti promessi dai paesi donatori nel 2003.
Secondo quanto affermato da Dusan Chrenek l’Unione Europea riconosce ed esprime forti
preoccupazioni riguardo la grave crisi umanitaria presente in Colombia; condanna tutte le
pratiche di violenza perpetrate a danno della popolazione civile da parte di tutti i gruppi
armati illegali e per questo ha inserito nella lista dei terroristi internazionali sia i gruppi
guerriglieri delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC), sia l’Esercito di
Liberazione Nazionale (ELN), sia i gruppi paramilitari raggruppati nei gruppi di
Autodifesa Unita di Colombia (AUC). Per questo motivo appoggia pienamente il lavoro
svolto dall’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani e dichiara di sostenere l’operato dello
Stato colombiano solo nella misura in cui dimostri di rispettare le raccomandazioni
provenienti da questo organismo delle Nazioni Unite. A tutt’oggi l’Unione Europea rimane
ferma nel ritenere che la ricerca di una soluzione negoziata al conflitto rappresenti la strada
migliore per risolvere i gravi problemi di cui soffre il paese e, per questo, attribuisce una
grande importanza al ruolo della società civile colombiana: si rallegra pertanto della
volontà dimostrata a Cartagena dall’insieme della società civile colombiana di voler
partecipare attivamente nella ricerca di una soluzione pacifica del conflitto.
Contemporaneamente, in linea alle opinioni espresse dai restanti paesi del G-24
partecipanti alle riunioni di Cartagena, riconosce gli sforzi realizzati ed i successi raggiunti
dal Governo Uribe, facendo riferimento alla sua disposizione ad impegnarsi
nell’applicazione delle raccomandazioni delle Nazioni Unite e nella lotta al narcotraffico
ed al terrorismo, all’avvio del processo di reinserimento delle forze paramilitari alla vita
188
civile e alla diminuzione del numero dei sequestri e dei massacri perpetrati a danno della
popolazione civile.
Monica Girarldo Valencia569, rappresentante del movimento colombiano di donne Ruta
pacifica de las Mujeres Colombianas, tiene a sottolineare il fatto che a Cartagena il
presidente Uribe abbia negato, di fronte ai rappresentanti dei paesi del G-24, l’esistenza del
conflitto armato e di una crisi umanitaria, riferendosi alla situazione colombiana solo in
termini di violenza come prodotto del terrorismo e di “situazioni umanitarie critiche”, nel
tentativo di svincolare la concessione degli aiuti dal tema del rispetto dei diritti umani. In
risposta a questo atteggiamento la società civile colombiana ha intensificato la propria
mobilitazione avviando una campagna internazionale sostenuta ampiamente dalla comunità
internazionale delle ONG, che a loro volta hanno fatto pressione sui propri governi. Il
risultato di tale mobilitazione congiunta ha fatto sì che nel documento finale sottoscritto
dall’Unione Europea, dalla Gran Bretagna e dal Canada si riconoscesse l’esistenza del
conflitto armato colombiano e l’insufficienza dell’intervento dello Stato colombiano per
risolvere la situazione di crisi umanitaria ed adempire alle raccomandazioni dell’Ufficio
dell’ONU per i Diritti Umani. Per Monica Valencia questo è stato un atto importante agli
occhi della popolazione civile colombiana: così facendo, i suddetti paesi occidentali
firmatari della dichiarazione finale hanno dimostrato la volontà di non concedere carta
bianca allo Stato colombiano, riconoscendo in esso uno dei responsabili delle violazioni
dei diritti umani, per l’insufficienza d’intervento dimostrata in situazioni drammatiche
come quella vissuta dai 2 milioni di sfollati e dalle comunità “confinate.”
Nell’intervento di Dusan Chrenek durante le “Giornate Aperte” di Barcellona la strategia
dell’Unione Europea in riferimento alle trattative di pace presenti e future avviate in
Colombia è stata definita in termini di un “compromesso graduale”570 che si articola in
quattro fasi. Il sostegno fornito nella prima fase, ossia quella attuale, si limita al campo
morale. Quando lo Stato colombiano darà vita ad un quadro giuridico di riferimento sulla
base del quale si apriranno delle trattative di pace con tutti i gruppi armati senza venire
meno ai suoi compromessi internazionali, e nel momento in cui i gruppi armati illegali
dichiareranno il cessate il fuoco, allora il coinvolgimento politico dell’Unione Europea
nelle trattative aumenterà vigorosamente, per esempio attraverso l’invio di una missione
diplomatica della UE a Bogotà. L’Unione Europea mette a disposizione un “pacchetto
finanziario per la pace” nel momento in cui si avvierà il processo di smobilitazione,
569
Intervista a Monica Girarlo Valencia in appendice.
Intervento di Dusan Chrenek, La politica dell’Unione Europea in relazione alla Colombia,
“Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
570
189
disarmo e reinserimento nella vita civile di tutti i gruppi armati e dopo che tutte le parti
sociali coinvolte nel narcotraffico si saranno impegnate a porre fine alla produzione e al
commercio di droga. Infine, l’Unione Europea si mostra disposta a togliere dalla lista
internazionale dei terroristi esclusivamente quei gruppi armati colombiani che abbiano
cessato tutte le ostilità e si siano compromessi in modo irreversibile nel processo di pace.
Aude Maio-Coliche, membro della Commissione Europea e Desk Officer per la Colombia,
si è occupata della presentazione delle relazioni bilaterali esistenti tra l’Unione Europea e
la Colombia. Tali relazioni ebbero inizio nel 1976 con il finanziamento di progetti di ONG
attraverso il bilancio comunitario; a partire dal 1984 iniziò a strutturarsi una politica di
cooperazione più ampia e dal 1990 i fondi destinati a questa cooperazione cominciarono ad
essere significativi: 87 milioni di ecus vennero stanziati tra il 1990 e il 1994. La risposta
della UE alla politica estera colombiana degli ultimi anni ‘90 centrata sulla ricerca della
pace, il rispetto dei diritti umani, la lotta alla droga, la protezione della biodiversità e la
ricerca di un appoggio internazionale per sostenere il difficile processo di pace è stata
immediata: l’Unione Europea ha svolto un ruolo attivo nei tre incontri internazionali del
Gruppo di appoggio al processo di pace colombiano che ebbero luogo tra il 2000 e il 2001.
Durante questi incontri l’Unione approvò il “Peace Package”, stanziando 330 milioni di
euro per gli anni 2001-2006. Questo pacchetto di aiuti si suddivide in due componenti
principali: 105 milioni di euro sono stati destinati ai così detti “Laboratori di Pace” con lo
scopo di intervenire in aree riguardanti lo sviluppo sociale ed economico, lo sviluppo
alternativo, la riforma del settore giuridico e la promozione dei diritti umani. I restanti 225
milioni di euro sono stati destinati agli aiuti di emergenza: la loro amministrazione è stata
affidata al Dipartimento di Aiuti Umanitari della UE per far fronte alle necessità dei due
milioni di persone sfollate, al cofinanziamento di progetti di ONG, alla protezione
dell’ambiente.
Il programma dei “Laboratori di Pace” si è materializzato nel febbraio del 2002 con la
sottoscrizione di un accordo specifico tra la UE e la Repubblica di Colombia. Con le parole
di Maio-Coliche, il loro obbiettivo era “consolidare, in un numero determinato di Comuni,
un insieme articolato di processi partecipativi a sostegno di programmi di sviluppo
sostenibile, della convivenza cittadina e del rafforzamento istituzionale, allo scopo di
realizzare un’alternativa socio-economica, culturale e politica nel Magdalena Medio.”571
Nella regione del Magdalena Medio vennero scelti 29 Comuni: la scelta ricadde sulla
571
Intervento di Aude Maio-Coliche, I Laboratori di Pace nell’ambito delle relazioni politiche e di
cooperazione tra l’Unione Europea e la Colombia, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile
2005.
190
popolazione di questo territorio in quanto si tratta di una zona in cui il tasso di conflittualità
tra i gruppi armati è molto elevato ed in cui le rivendicazioni della popolazione civile a
favore di una soluzione pacifica del conflitto sono altrettanto forti. La durata del
programma è di otto anni ed il suo costo complessivo è di 42,2 milioni di euro, dei quali la
UE finanzierà 34 milioni mentre i restanti fondi sono stati messi a disposizione dal
Governo colombiano. In seguito, è stata avviata l’implementazione di un secondo
Laboratorio nelle regioni del Norte di Santander, nell’Oriente Antinoqueño e nell’Alto
Patia, che beneficerà altri 62 comuni. Anche in questo caso la maggioranza dei fondi
proviene dalla UE (33 milioni su 41,4 milioni di euro complessivi) mentre la restante parte
proviene dalle casse dello Stato colombiano. Infine, il finanziamento di un terzo
Laboratorio, che concluderà i fondi disponibili per il periodo 2001-2006, è stato già deciso:
in questo momento la Commissione Europea sta identificando le sue caratteristiche e l’area
in cui verrà svolto. Le entità responsabili del Programma sono la Commissione Europea
per la UE e l’Agenzia Colombiana di Cooperazione Internazionale per il Governo
colombiano, le quali si sono occupate della selezione delle organizzazioni locali cui
affidare l’implementazione e l’esecuzione del Programma. Secondo Aude Maio-Coliche le
opportunità offerte al paese colombiano da questi Laboratori sono importanti in quanto essi
rappresentano uno strumento atto a creare delle “aree di cultura di pace”572 attraverso
progetti di sviluppo alternativo finalizzati a liberare queste terre dalla coltivazione della
foglia di coca, attraverso mezzi pacifici e rispettosi dei diritti umani e del Diritto
Internazionale Umanitario. Con essi l’Unione Europea ha modo di dare visibilità alle sue
attività di appoggio al processo di pace colombiano nel rispetto delle raccomandazioni
provenienti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani attraverso la presenza
diretta sul campo, che avvicina le istituzioni europee alla popolazione locale, affinché gli
aiuti offerti si avvicinino il più possibile alle reali esigenze della popolazione colombiana.
Nel dibattito aperto dalla Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia
durante queste giornate di riflessione e discussione sono emerse alcune importanti critiche
riguardanti i Laboratori di Pace. In particolare, le preoccupazioni maggiori espresse da
alcuni esponenti della società civile colombiana, catalana e di altri paesi dell’Unione
Europea presenti al dibattito pubblico riguardano i criteri adottati per la selezione dei
territori scelti per l’implementazione della seconda e terza fase dei Laboratori di Pace, i
quali sono stati recentemente interessati da un aumento della presenza delle forze
paramilitari e da una crescita del fenomeno di sfollamento delle popolazioni locali.
572
Ibidem.
191
Josè Luis Campo, rappresentante della Piattaforma delle Organizzazioni Europee per lo
Sviluppo in Colombia, ad esempio ha affermato di non comprendere perché la scelta non
abbia privilegiato altre zone del paese caratterizzate da una forte mobilitazione della
società civile a favore della costruzione di processi di pace e del rafforzamento del tessuto
sociale ed istituzionale, così come è avvenuto per il primo Laboratorio; né si spiega
“perché l’Unione Europea non abbia promosso un dibattito pubblico sulle lezioni apprese
(punti di forza, limiti, etc.) dalla prima fase, così come è stato reclamato in varie
occasioni.”573 Secondo Luis Campo molte sono le incoerenze della politica europea che, da
un lato, manifesta la volontà di favorire lo sviluppo locale delle zone adibite
all’implementazione dei Laboratori di Pace, dall’altro permette che le zone scelte per la
seconda e terza fase di questo progetto siano soggette alla fumigazione dei campi, azione
che danneggia non solo le terre coltivate con la foglia di coca, ma anche i restanti campi
destinati alla produzione di cacao. Campo ribadisce l’importanza e la necessità di
assicurare una politica di cooperazione europea che si contraddistingui da altre politiche di
cooperazione come quelle sostenute dagli Stati Uniti d’America improntate sulla base del
Plan Colombia: se tale differenza rimane limitata al piano della retorica si corre il rischio
che l’Unione Europea legittimi politiche rispetto alle quali ha espresso di non essere
d’accordo. Campo sostiene inoltre che altrettanto evidenti sono le incompatibilità tra i
principi sottostanti i Laboratori di Pace e la Politica di Sicurezza Democratica adottata
dall’attuale Governo colombiano, concepita sulla base della “negazione dell’esistenza di
un conflitto armato che affonda le sue radici in un conflitto sociale e sulla riduzione della
crisi umanitaria all’effetto dell’azione terrorista e del narcotraffico.”574 La Piattaforma
delle Organizzazioni Europee per lo Sviluppo in Colombia guarda con estrema
preoccupazione alle iniziative del Governo Uribe, che si propongono di utilizzare i fondi
destinati al finanziamento dei Programmi Regionali per lo Sviluppo e la Pace e dei
Laboratori di Pace per l’implementazione di progetti quali quello delle famiglie di
guardaboschi. Secondo le dichiarazioni ufficiali del Governo colombiano, confermate tra
l’altro nell’intervento alle “Giornate Aperte” di Barcellona tenuto dall’ambasciatrice
colombiana in Spagna, Noemi Sanin, quello delle famiglie di guardaboschi è un progetto
teso a stimolare l’abbandono delle armi e il reinserimento individuale alla vita civile di
membri dei gruppi paramilitari attraverso l’offerta di un’occupazione utile anche dal punto
di vista della salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità. Le obiezioni rivolte a questo
573
Intervento di Josè Luis Campo, I laboratori di Pace nel quadro della politica di cooperazione
in Colombia: un assegno in bianco?, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
574
Ibidem.
192
programma riguardano, in primo luogo, il pericolo di far prevalere l’impunità in assenza di
un adeguato quadro giuridico di riferimento che garantisca il regolare svolgimento di un
processo di verità, giustizia e riparazione; in secondo luogo, il timore che
l’implementazione di un simile progetto potrebbe essere utilizzata come una strategia volta
ad assicurare il controllo territoriale a favore di quei gruppi armati che si pretende
smobilitare proprio attraverso questo progetto.
Queste preoccupazioni sono condivise dalla rappresentante dell’Alleanza delle
Organizzazioni Sociali Colombiane, Maria Eugenia Sanchez, che inquadra questi timori in
una cornice più ampia delineata da una Politica di Sicurezza, asse portante del Piano
Nazionale di Sviluppo del Governo Uribe, che “attenta alla Costituzione del paese e
contravviene ai principi riconosciuti dal Diritto Internazionale in difesa dei diritti umani. In
questa politica, la popolazione non viene considerata come un soggetto di diritto, né come
destinataria di protezione da parte dello Stato, bensì come uno strumento di guerra.”575
Difatti, un punto fondamentale di questa politica è il non riconoscimento della distinzione
tra combattenti e popolazione civile. Secondo la Sanchez, in questo contesto aumentano le
preoccupazioni inerenti l’atteggiamento ostile dimostrato dal Governo Uribe nei confronti
delle ONG e di altre organizzazioni sociali e popolari: in più di un’occasione, misure
repressive quali la persecuzione e l’incarceramento arbitrario sono state dirette contro
alcuni dei loro leader e membri. Nel mese di luglio del 2003, nel documento Una coaliciòn
mundial por la paz il Governo si è impegnato a “impedire la deformazione della realtà del
paese di fronte all’opinione pubblica mondiale”.576 Ugualmente, preoccupano le
affermazioni del Governo contenute nel documento riguardante la Politica di Sicurezza e la
Difesa in cui si dichiara che “è interesse del Governo e delle ONG evitare l’abuso delle
capacità di queste organizzazioni da parte delle persone al margine della legge, come già
avvenuto in alcune circostanze.”577 Secondo Sanchez, “queste affermazioni, in un contesto
di conflitto e in un ambiente di persecuzione quale quello esistente in Colombia,
contribuiscono ad accrescere i rischi derivanti da una politica di Governo diretta a
dequalificare l’operato delle organizzazioni sociali, popolari e per i diritti umani a causa
575
Intervento di Maria Eugenia Sanchez, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
Documento presentato dal Governo colombiano agli incontri preparatori della “Tavola dei
donanti” di Londra, tenutasi il 25 luglio del 2003 e convocata su richiesta del Programma delle
Nazioni Unite per lo Sviluppo.
577
Presidenza della Repubblica di Colombia, Ministero della Difesa Nazionale, Politica de
Defensa y de Seguridad Democratica. Bogotà, 2003, pragrafo 19, pag. 18.
576
193
delle loro analisi della realtà e delle loro denuncie riguardanti le violazioni dei diritti umani
e del Diritto Internazionale Umanitario.”578
Al riguardo, anche Monica Girarlo Valencia579 denuncia le difficoltà di operare delle ONG
colombiane ed internazionali. In un progetto di legge che non ha ancora ottenuto la
maggioranza parlamentare il Governo si propone di centralizzare gli aiuti alla
cooperazione destinati al rafforzamento dei diritti umani. L’idea consiste in far sì che
questi fondi entrino nelle casse dello Stato, dalle quali poi verrebbero successivamente
ripartiti a favore delle diverse ONG che operano in questo campo. La risposta immediata
delle ONG internazionali presenti sul territorio colombiano è stata quella di minacciare
l’abbandono del paese, nel caso in cui la legge fosse stata approvata. In seguito, il governo
Uribe ha tentato di introdurre dei meccanismi di controllo sull’operato delle organizzazioni
sociali colombiane, interrogandole sulle loro fonti di informazione e sulle modalità in base
alle quali elaborano i loro documenti: con queste misure il governo ha cercato di limitare il
protagonismo delle organizzazioni della società civile. Successivamente, ha istaurato altri
meccanismi di controllo anche sulle ONG internazionali. Per esempio, ha preteso la
consegna dei loro bilanci mensili al Governo Nazionale e ha deciso la chiusura di alcune
organizzazioni i cui bilanci superavano determinate soglie. Contro la resistenza opposta da
alcune di queste organizzazioni a presentare la documentazione richiesta è stato fissato il
pagamento di una multa così alta da mettere in pericolo la loro stessa sopravvivenza.
Tornando al tema delle opportunità e dei limiti dei Laboratori di Pace, la Tavola Catalana
per la Pace e i Diritti Umani in Colombia ha chiamato ad intervenire nel dibattito pubblico
delle “Giornate Aperte” di Barcellona il direttore del Programa de Desarrollo y Paz del
Magdalena Medio (PDMM), ossia l’organizzazione sociale colombiana cui è stata affidata
l’implementazione delle attività del primo Laboratorio di Pace: Padre de Roux. È
importante sottolineare che il PDMM è un programma che esiste da molto tempo prima
l’avvio delle attività inerenti il Laboratorio di Pace del Magdalena Medio e la sua lunga
vita conferma la vivacità della società civile colombiana anche in corrispondenza dei
territori in cui le tensioni tra le diverse parti in conflitto sono molto alte. Questo progetto
ebbe inizio nel 1995 in seguito alla volontà del Comitato per i Diritti Umani creato dalla
USO, ossia il sindacato dell’impresa petrolifera ECOPETROL, che volle condurre
un’indagine sui problemi sociali della città petrolifera di Barrancabermeja e dei suoi
578
579
Intervento di Maria Eugenia Sanchez, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
Intervista a Monica Girarlo Valencia contenuta in appendice.
194
dintorni. Lo scopo era quello di mettere in luce le “dinamiche perverse”580 capaci di
determinare un altissimo livello di povertà in una delle zone più ricche del paese per
risorse naturali e i “necessari cambiamenti strutturali, senza i quali era evidente che non
sarebbe stato possibile convertire la regione in un territorio di pace, nel rispetto della
dignità e della giustizia sociale della sua popolazione.”581 Fu così che si arrivò
all’elaborazione di una Proposta Municipale per ognuno dei Comuni del territorio del
Magdalena Medio con l’intento di coinvolgere tutte le parti sociali, senza distinzioni di
ogni sorta, nella convinzione che la pace e lo sviluppo umano sostenibile per la
popolazione del territorio dovesse scaturire dalle proposte delle comunità locali.
Inizialmente, il PDMM trovò come suo punto di forza l’autonomia della popolazione civile
e la sua indipendenza dalle istituzioni statali, ma il lavoro di ogni giorno mise in evidenza
che il “garante principale delle condizioni necessarie a vivere una vita dignitosa era lo
Stato e che, per questa ragione, bisognava lavorare con lo Stato alla ricerca delle
trasformazioni che a livello istituzionale erano richieste affinché si compissero gli
obbiettivi per i quali un popolo sovrano lo aveva costituito.”582 Durante il biennio 20002001 due missioni europee visitarono la Colombia e in quell’occasione i delegati della UE
ebbero modo di conoscere la realtà del PDMM, che scelsero come controparte locale per la
messa in atto del primo Laboratorio di Pace, in quanto “trovarono in esso quelle
caratteristiche attraverso cui la cooperazione europea in Colombia voleva
contraddistinguersi”.583 Padre de Roux affronta inoltre alcune delle critiche emerse nel
dibattito. In risposta a chi afferma che i Laboratori di Pace altro non sono che il risultato di
accordi tra Governi e che per questo non è possibile per l’Unione Europea soddisfare le
reali esigenze delle comunità, egli difende fermamente il valore di una politica di
cooperazione del tutto lontana dalla politica nordamericana che invece sembra non
dimostrare affatto alcuna volontà di avvicinarsi alle rivendicazioni della popolazione
locale. Secondo Padre de Roux è naturale che i Governi coinvolti in queste politiche
(quello europeo e quello colombiano) perseguano, in parte, interessi propri e crede che le
comunità del Magdalena Medio siano perfettamente consce di questo. “La sfida per i
processi cittadini regionali consiste nell’accettare che questi interessi esistono e nel
tentativo di difendere, nelle discussioni della politica reale, l’autonomia di questi processi
cercando di mantenere in vita la lotta per la giustizia, per la pace, per l’affermazione della
580
Intervento di Padre de Rouux, Il Programma di Sviluppo e Pace del Magdalena Medio. Primo
Laboratorio di Pace in Colombia, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
581
Ibidem.
582
Ibidem.
583
Ibidem.
195
sovranità popolare e per porre le basi della convivenza e delle istituzioni che
desideriamo.”584 A chi denuncia il fatto che i Laboratori sono stati messi in atto in territori
caratterizzati dalla presenza delle forze paramilitari, dal dispiegamento delle politiche di
Sicurezza Democratica e dalla lotta controinsurrezionale, Padre de Roux risponde che sono
proprio questi i territori in cui intervenire, in cui le comunità hanno deciso di rimanere
nonostante le enormi difficoltà: “è rimanendo nei territori dove alte sono le tensioni e il
pericolo che si possono vedere le cose con maggiore chiarezza e incontrare le possibili vie
d’uscita, non fuggendo, né abbandonando la propria casa, né nella distanza delle ONG di
Bogotà, né nei seminari di discussione degli Stati Uniti o dell’Europa, né nell’autismo
degli accademici o nell’ideologia dei politici (senza disconoscere l’enorme appoggio che
forniscono tutti questi gruppi dal di fuori delle regioni critiche).”585 Secondo de Roux
l’esistenza del PDMM e del Laboratorio di Pace nel Magdalena Medio hanno evitato che
la zona cadesse completamente nelle mani delle forze paramilitari e hanno garantito la
sopravvivenza del movimento popolare e cittadino. Alla luce di queste considerazioni e del
riconoscimento che l’intolleranza e la violenza diffusa nella società colombiana e nel
Magdalena Medio aumentano le possibilità di avere delle perdite umane tra chi lavora a
sostegno del processo di pace, Padre de Roux considera assolutamente necessario che
l’aiuto dell’Unione Europea sia incondizionato. In particolare, considera indispensabile
l’appoggio della UE per ottenere la smobilitazione del Blocco Centrale Bolivar; la ricerca
di un cammino di pace con l’ELN; un chiarimento sulle trattative avviate tra il Governo di
Uribe e le forze paramilitari che sembrano parlare molto di questioni inerenti il disarmo e
troppo poco di pace e risoluzione delle cause profonde del conflitto.
L’opinione di Libio Pachelor, rappresentante del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca,
ossia una delle organizzazioni sociali che partecipa all’implementazione del secondo
Laboratorio di Pace, è molto più critica in relazione al cofinanziamento dei Laboratori da
parte dello Stato colombiano. Il giudizio complessivo dei Laboratori è, anche in questo
caso, molto positivo: si riconosce difatti che essi rappresentano importanti spazi di dialogo
che “permettono di pensare e ripensare nuove strategie per la risoluzione del conflitto e, la
cosa più importante, è che consentono di affrontare la questione non solo come movimento
indigeno ma come processo di unità con altri settori della società civile che soffrono le
stesse conseguenze della guerra.”586 Pachelor non manca però di soffermarsi sui limiti dei
Laboratori. In primo luogo, è importante riconoscere che le tensioni che vivono questi
584
Ibidem.
Ibidem.
586
Intervento di Libio Palechor, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
585
196
territori e che fungono da combustibile del conflitto in atto non sono legate esclusivamente
al fuoco e alle violenze dei guerriglieri, dei paramilitari e dell’esercito colombiano, ma
anche a “problemi legati alla difesa della cultura indigena, all’ingerenza di politiche
internazionali come il neoliberismo e le sue strategie di globalizzazione che concorrono a
mettere in pericolo le ricchezze naturali del territorio colombiano in seguito ad un loro
eccessivo sfruttamento”.587 Nessun Laboratorio di Pace sarà in grado di risolvere queste
problematiche nella loro interezza e complessità, ma queste politiche di sviluppo centrate
sull’“investimento sociale”588 rappresentano un buon inizio poiché solo con questo tipo di
investimenti sarà possibile trovare delle soluzioni all’attuale crisi umanitaria. Pertanto, il
basso tasso di spesa sociale e l’alto tasso di spesa militare che caratterizzano la politica
dell’attuale Governo sono considerati da Pachelor come ostacoli enormi per il
raggiungimento di una risoluzione duratura del conflitto colombiano. In secondo luogo,
l’altro grosso limite dei Laboratori è rappresentato dal loro cofinanziamento da parte dello
Stato colombiano: difatti l’amministrazione di questi fondi risponde ad un programma di
Governo che, per il rappresentante del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, al
momento attuale sembra essere del tutto incompatibile con la politica sottostante i
Laboratori. Secondo Palechor oggi “non esiste un cofinanziamento, bensì due programmi
opposti, uno dell’Unione Europea e l’altro del Governo Nazionale colombiano.”589 Per
Pachelor non si tratta di una questione di importanza marginale, tanto che egli afferma che
se il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca fosse stato tempestivamente informato della
partecipazione di fondi statali nell’implementazione dei Laboratori di Pace, sicuramente il
Consiglio avrebbe rifiutato di prendere parte alle attività dei Laboratori.
Dal pubblico presente alle “Giornate Aperte” di Barcellona sono emerse altre critiche
riguardanti la strategia di cooperazione europea, non strettamente attinenti i Laboratori di
Pace. Innanzitutto è stata denunciata la mancanza di adeguati controlli che impediscano la
vendita illegale di armi ai gruppi armati colombiani attraverso organizzazioni criminali
operanti in Europa; allo stesso tempo è stata denunciata l’inesistenza di una dura presa di
posizione dell’Unione nei confronti di quegli Stati Europei che continuano a vendere armi
al Governo colombiano e ad esportare i precursori chimici necessari alla raffinazione della
cocaina. È indicativo il fatto che nessuno di questi precursori venga prodotto all’interno del
territorio colombiano. L’Unione dovrebbe quindi garantire maggiori controlli sulle attività
delle imprese europee o a partecipazione europea presenti in Colombia o in strette relazioni
587
Ibidem.
Ibidem.
589
Ibidem.
588
197
commerciali con il paese. È stata inoltre ribadita la necessità che la UE adotti dei
meccanismi di vigilanza più efficaci sui fondi destinati alla cooperazione internazionale,
sia che si tratti di rapporti di cooperazione bilaterali sia nel caso di politiche di
cooperazione decentrata. In un conflitto armato come quello colombiano, l’arrivo di questi
fondi in mano di attori interessati al proseguimento delle ostilità (guerriglieri, paramilitari,
esercito colombiano) non fa che aggravare la crisi umanitaria che colpisce il paese.
Rispetto a questo pericolo, da un lato è stata denunciata l’esistenza di ONG ed
organizzazioni sociali formate da gruppi armati, soprattutto ad opera dei gruppi
paramilitari. Dall’altro, l’Unione Europea è stata invitata a tenere nella giusta
considerazione la storia di un paese in cui le organizzazioni sindacali e sociali ed i partiti
politi di opposizione, quali l’Uniòn Patriotica, sono stati vittime della persecuzione e del
genocidio dei suoi leader per via di “errori” commessi in passato dall’esercito colombiano.
Alla luce di questi eventi molte sono le perplessità di coloro che si interrogano sul come sia
possibile che oggi l’Unione Europea consideri il Governo colombiano una vittima del
conflitto ed un beneficiario degli aiuti, anziché un attore del conflitto. L’Unione Europea è
stata criticata per aver firmato alcuni documenti elaborati nelle riunioni di Londra e
Cartagena, in cui sono stati riconosciuti dei passi avanti fatti dal Governo Uribe: non si
comprende quali siano questi successi ottenuti da Uribe visto che le violazioni dei diritti
umani, le desapariciones e le detenzioni di massa continuano, mentre il Governo ha
dimostrato di essere incapace di promuovere la realizzazione di un effettivo processo di
verità, giustizia e riparazione. Pertanto, la UE è stata invitata a privilegiare la cooperazione
decentrata rispetto alla cooperazione bilaterale. Infine, alcuni hanno parlato di una
contraddizione profonda nella politica dell’UE in relazione al processo di pace in
Colombia: l’incoerenza e l’ambiguità dell’atteggiamento europeo emerge dalla volontà di
promuovere una soluzione dialogata del conflitto in atto, mentre allo stesso tempo ferma è
la posizione del Consiglio Europeo nel considerare gli attori del conflitto come terroristi
con cui non è possibile istaurare nessuna forma di dialogo.
Per Liliana Uribe590, rappresentante della Coordinazione Colombia - Europa - Stati Uniti,
la caratterizzazione del conflitto colombiano in chiave terrorista genera diversi ostacoli per
la risoluzione pacifica del conflitto. Liliana Uribe ritiene inefficace concentrare gli sforzi
sulla lotta antiterrorista e antidroga, poiché in questo modo si attaccano le conseguenze e
non le cause del conflitto armato colombiano: nessuna pace sarà mai possibile nel paese se
590
Intervento di Liliana Uribe, Retos en materia de derechos humanos de la cooperaciòn de la
Uniòn Europea en Colombia, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
198
non si affrontano questioni fondamentali come il problema agrario legato alla
concentrazione della terra nelle mani di una ristretta minoranza.
Per Michael Frühling591, direttore dell’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani, è di estrema
importanza che il Governo colombiano riconosca il conflitto armato interno e le sue origini
politiche. Altrettanto importante è che la cooperazione internazionale sia orientata al
rafforzamento delle istituzioni democratiche: il rispetto dei diritti umani e del Diritto
Internazionale Umanitario devono fungere da guida di tutte le attività intraprese.
Per Eugenia Maria Sanchez592 la cooperazione internazionale deve essere diretta al
superamento della crisi umanitaria, al rafforzamento dello Stato di Diritto, del tessuto
sociale e delle iniziative volte all’educazione alla pace. Tutte le attività di cooperazione
internazionale devono essere dirette a generare processi che tolgano terreno alla guerra e
devono inserirsi all’interno di un quadro giuridico capace di garantire adeguati criteri di
verità, giustizia e riparazione.
Per Ignacio Leòn593, membro della Coordinazione degli Aiuti Umanitari alle Nazioni
Unite, è opportuno che tutti gli agenti di cooperazione condividano un’agenda comune in
cui il rispetto dei diritti umani, economici e sociali sia alla base di tutte le politiche di
cooperazione ed in cui si riconosca che la risposta alla crisi umanitaria in Colombia debba
essere neutrale ed imparziale, così come stabilito dall’Assemblea Generale dell’ONU.
Leòn denuncia il fatto che tra gli enti cooperanti della UE manca un dialogo capace di
assicurare non solo la comunanza di intenti ma anche l’effettiva armonizzazione degli
sforzi intrapresi. Ad ogni modo Leòn ci tiene a ribadire che l’operato delle organizzazioni
internazionali può essere solo un complemento dell’azione dello Stato colombiano, che
rimane il maggiore responsabile del rispetto dei diritti umani e del Diritto Internazionale
Umanitario all’interno del proprio territorio.
Con l’intento di delineare le vie lungo cui è necessario procedere per la risoluzione del
conflitto colombiano, nel suo intervento Teresa Muñoz594, direttrice del Banco de Buenas
Practicas para superar el conflicto del PNUD, fa riferimento al contenuto della relazione
sullo sviluppo umano in Colombia, intitolata Colombia: callejòn con salida?, redatta nel
2003 dal Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite. In esso il conflitto armato è
riconosciuto come l’ostacolo maggiore per lo sviluppo umano ed investire nello sviluppo
591
Intervento di Michael Frühling, Los derechos humanos y el Derecho Internacional
Humanitario son guìas ùtiles para la superaciòn del conflicto armado en Colombia y para la
politica de cooperaciòn internacional, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
592
Intervento di Maria Eugenia Sanchez alle “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
593
Intervento Ignaco Leòn alle “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
594
Intervento di Teresa Muñoz alle “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.
199
umano è considerata l’opzione migliore per porre fine al conflitto. L’estrema complessità
di quest’ultimo richiede l’adozione di un’insieme di misure congiunte che intervengono sul
piano politico (per garantire l’esercizio legittimo del potere politico), sul piano militare
(per rafforzare il binomio sicurezza-giustizia ed aumentare le azioni che rinvigoriscono le
relazioni democratiche tra cittadinanza e Stato), sul piano economico-finanziario (con
azioni miranti a diminuire i profitti di coloro che sono legati al narcotraffico, allo scopo di
denarcotizzare il conflitto), sul piano sociale (con azioni in grado di aumentare le opzioni
di coloro che possono essere attratti dall’ingresso in gruppi armati irregolari e con
iniziative miranti a mediare i conflitti sociali, soprattutto in relazioni alle questioni
lavorative e agrarie, di estremo interesse dei gruppi armati, allo scopo di aumentare gli
spazi di espressione pacifica della protesta popolare e della lotta sociale), sul piano del
potere territoriale (a favore di una maggiore trasparenza nella gestione pubblica e per un
rafforzamento della democrazia locale), sul paino dello sviluppo umano (garantendo una
maggiore protezione ed attenzione delle persone colpite dal conflitto armato, attraverso
azioni dirette ad umanizzare il conflitto e rafforzare la giustizia penale).
200
CONCLUSIONI.
La conoscenza diretta della Tavola Catalana per la Pace e i Dititti Umani in Colombia è
avvenuta quest’anno, durante i mesi in cui mi trovavo nella cittá di Barcellona per svolgere
uno stage di lavoro finanziato dalla borsa europea “Leonardo”. La mia personale
esperienza lavorativa non si è svolta all’interno del coordinamento, ma in un’agenzia di
consulenza catalana che opera nel campo della cooperazione internazionale, all’interno
della quale ho avuto modo di occuparmi di alcuni progetti di sviluppo inerenti il paese
colombiano. In particolare, il mio compito consisteva nel visionare alcuni di questi progetti
elaborati da una serie di istituzioni pubbliche del Dipartimento colombiano di Antioquia ed
adattarli alle regole previste dai bandi di concorso indetti per l’assegnazione di aiuti alla
cooperazione in Spagna e Italia, sia a livello regionale che nazionale. In pratica,
quest’agenzia di consulenza si prefigge lo scopo di svolgere un ruolo di intermediazione
tra i soggetti istituzionali e sociali che si occupano di cooperazione internazionale in
Colombia, Spagna ed Italia. Le difficoltà incontrate non sono state poche: in particolare,
hanno riguardato la ricerca di quelle controparti spagnole o italiane necessarie alla
partecipazione a questi concorsi. Anche se molti dei soggetti istituzionali e sociali contatti
hanno dimostrato dell’interesse riguardo i progetti di sviluppo loro proposti, nei cinque
mesi di tirocinio solo in un unico caso la disponibilitá offerta per un’effettiva
collaboarzione ha rappresentao un obbiettivo raggiunto, nonostante l’impegno personale e
quello dei miei colleghi. A mio parere, la spiegazione di questo fallimento riguarda la
scarsa fiducia che quest’agenzia di consulenza è in grado di suscitare nei soggetti con cui si
propone di collaboare, in relazione al modo in cui essa opera. In primo luogo, ritengo che
le piccole dimensioni che la caratterizzano dovrebbero essere compensate da una fitta rete
di rapporti da tessere primariamente nel territorio catalano, secondariamente anche a livelli
piú estesi. In secondo luogo, credo sia opportuno che in questa rete di rapporti vengano
inclusi non solo soggetti privati, ma anche pubblici. Nella mia breve esperienza lavorativa
ho avuto modo di rilevare che il carattere privato dell’agenzia presso cui operavo era di
sovente la causa del rifiuto della collaborazione richiesta. Al contrario, la presenza
pubblica funge da garanzia di controlli. Personalmente considero queste preoccupazioni
giuste e reali, soprattutto per quanto riguarda la cooperazione con paesi in conflitto, dove
forte è il rischio che i finanziamenti arrivino nelle mani di soggetti legati agli attori armati,
contribuendo a prolungare il conflitto.
201
La mia insoddisfazione per il lavoro svolto presso questa agenzia di consulenza e il mio
interesse crescente per il caso colombiano (grazie anche alla conoscenza personale di molti
immigrati colombiani a Barcellona) sono stati gli stimoli che mi hanno spinto a ricercare
nel territorio catalano altre esperienze che si iscrivessero entro il campo
dell’internazionalizzazione della pace colombiana: è così che mi sono imbattuta nella
Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia. Sulla base della precedente
esperienza lavorativa, della conoscenza personale di alcune persone che lavorano presso la
Tavola Catalana, della partecipazione ad alcune loro iniziative e della friuzione di alcuni
servizi informativi da loro offerti ho maturato un giudizio complessivo di gran lunga
migliore sul coordinamento catalano presentato in questo elaborato.
La rete catalana fornisce un buon esempio di internazionalizzazione della pace colombiana
per i motivi esposti qui di seguito. Innanzittuto, essa ha dimostrato di essere in grado di
coniugare l’universalitá di intenti e la localizzazione della partecipazione. In riferimento
all’universalitá di intenti, si è visto come le sue rivendicazioni facciano espressamente
riferimento a quelle provenienti dalla società civile colombiana e al compimento delle
raccomandazioni dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Per quanto concerne
la localizzazione della partecipazione, l’adesione che essa è riuscita a generare nel
territorio è ampia e diversificata grazie alla propria struttura reticolare a base locale. Il
coordinamento costituisce uno spazio d’incontro informale adatto al confronto di soggetti
differenti disposti a sedersi allo stesso tavolo, poiché convinti che la propria capacità
d’intervento in Colombia possa accrescere enormemente attraverso la collaborazione di
entità potenzialmente complementari. Nell’azione del coordinamento la dimensione locale
rappresenta il luogo di partenza e di arrivo delle strategie di intervento proposte e
realizzate. Questa caratteristica è ancor più importante se si pensa alla specificità della
situazione spagnola e colombiana. Da un lato, si è visto come a partire dalla seconda metà
degli anni ’90 il tasso di crescita degli aiuti destinati alla cooperazione allo sviluppo messi
a disposizione dalle amministrazioni decentralizzate ha superato il tasso di crescita
dell’ammontare totale degli aiuti destinati allo stesso fine da parte del Governo centrale di
Spagna. Dall’altro, il fatto che le comunitá locali colombiane siano al centro delle politiche
di intervento è quanto piú opportuno alla luce dei cambiamenti avvenuti nella decade
passata sia all’interno delle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico (in cui ha
prevalso la disorganizzazione dei grandi network a favore di strutture di potere piú
decentralizzate), sia nelle modalità d’azione dei gruppi armati illegali (rivolta a cooptare e
202
controllare i poteri locali), sia nell’organizzazione del potere statale (le cui funzioni e
risorse vengono delegate in misura crescente alle amministrazioni locali).
In secondo luogo, il carattere misto della Tavola ha fatto in modo che essa divenisse una
vera e propria “lobby”595 in grado di esercitare una pressione politica a livello catalano,
spagnolo, europeo e colombiano. La partecipazione istituzionale catalana, aspetto che la
complessità di un simile conflitto così prolungato negli anni rivela assolutamente positivo
ed importante, ha difatti “elevato il peso politico dell’accompagnamento fornito dal
coordinamento regionale alle iniziative civili di pace provenienti dalla popolazione
colombiana.”596 A livello locale, l’incidenza politica è cresciuta grazie alla presenza di due
soggetti istituzionali: la Cattedra dell’UNESCO, operante presso la Scuola di Cultura di
Pace dell’Università Autonoma di Barcellona, ed il Fondo Catalano di Cooperazione allo
Sviluppo.
Si è visto come il ruolo dell’istituzione universitaria sia stato fondamentale per la nascita
ed il consolidamento della Tavola. L’Università Autonoma di Barcellona ha dimostrato un
forte impegno per realizzare quelle condizioni necessarie affinché si materializzassero
fondi e terreni favorevoli per la nascita di nuove alleanze tra soggetti impegnati a
promuovere il processo di pace colombiano. Un simile coinvolgimento dell’Università è
stato possibile in nome della convinzione che l’istituzione universitaria possa fornire degli
spazi e dei momenti di riflessione tali da permetterle di convertirsi in un referente
importante per gli attori in conflitto ed i soggetti istituzionali e sociali coinvolti in
situazioni di guerra, nell’identificazione di obbiettivi comuni e nel riconoscimento e nel
rispetto delle differenze.
Gli sforzi del Fondo Catalano per la Cooperazione allo Sviluppo si sono rivolti a far sì che
più di cento Comuni catalani mettessero in pratica le raccomandazioni delle Nazioni Unite,
decidendo di destinare lo 0,7% del loro bilancio alla cooperazione internazionale. La
partecipazione del Fondo Catalano alla Tavola ha quindi fortemente contribuito a far sì che
l’amministrazione catalana assumesse nella propria agenda politica le rivendicazioni di
pace della società civile colombiana non solo in nome di valori di solidarietà, ma, più
concretamente, anche per ottenere un risvolto politico sulla scena locale.
L’incidenza politica a livello statale e macroregionale è invece cresciuta nella misura in cui
è aumentata la presenza di rappresentati politici di organismi internazionali, di istituzioni
di governo europee, spagnole e colombiane ai dibattiti pubblici organizzati annualmente
595
596
Intervista a Nuria Camps, pag. 4.
Intervista ad Alicia Barbero, pag. 5.
203
dalla Tavola allo scopo di contribuire ad “armare un discorso propositivo”597, capace di
avvalersi di tutti i mezzi di comunicazione per spiegare nella maniera più chiara e completa
possibile all’opinione pubblica catalana, spagnola ed europea quello che avviene in
Colombia.
Confido che la Tavola Catalana per la pace e i Diritti Umani in Colombia prosegua sulla
via intrapresa e che i suoi successi possano produrre effetti emulativi anche altrove. Il
processo di internazionalizzazione della pace colombiana ha bisogno che queste esperienze
si moltiplichino e si integrino nel tempo. Gli effetti concreti che possono essere raggiunti
sono abilmente illustrati da due metafore.
La prima è quella dell’“effetto boomerang”598, concetto utilizzato da Margareth Keck e
Katheryn Sikkink per spiegare il fenomeno per il quale dei gruppi locali di società civile,
bloccati a livello nazionale, aggirano lo Stato e si appellano a reti transnazionali per
indurre Stati stranieri ed istituzioni internazionali ad intervenire e sbloccare la situazione
nazionale. Come un boomerang, le loro richieste tornano al luogo d’origine con una forza
maggiore. Dall’intervista fatta a Monica Girarlo Valencia, rappresentante del movimento
di donne Ruta Pacifica de las Mujeres Colombianas, questo è quanto è avvenuto
quest’anno durante gli incontri di Cartagena. Qui, di fronte ai rappresentanti dei paesi del
G-24, il presidente Uribe ha negato l’esistenza del conflitto armato e di una crisi
umanitaria riferendosi alla situazione colombiana solo in termini di violenza come prodotto
del terrorismo e di “situazioni umanitarie critiche”, nel tentativo di svincolare la
concessione degli aiuti dal tema del rispetto dei diritti umani. In risposta a questo
atteggiamento la società civile colombiana ha intensificato la propria mobilitazione
avviando una campagna internazionale sostenuta ampiamente dalla comunità
internazionale nel suo insieme, che ha esercitato forti pressioni sui propri governi. Il
risultato di tale mobilitazione congiunta ha fatto sì che nel documento finale sottoscritto da
alcuni paesi (l’Unione Europea, la Gran Bretagna e il Canada) si riconoscesse l’esistenza
del conflitto armato e l’insufficienza dell’intervento dello Stato colombiano per risolvere la
situazione di crisi umanitaria ed adempire alle raccomandazioni dell’Ufficio dell’ONU per
i Diritti Umani.
597
Kristian Herbolzheimer, la Universidad como tejidora de paz, www.escolapau.org, pag. 3
Margaret Keck & Katheryn Sikkink, Activists beyond borders: advocacy networks in
international politics. Cornell University Press, Ithaca, 1998, pag. 11.
598
204
La seconda metafora è quella del “doppio effetto boomerang”599, con la quale Mary Kaldor
si riferisce al fatto che i successi ottenuti da queste iniziative possono contribuire di
rimando a rafforzare gli strumenti d’intervento internazionali che, a loro volta, potranno
essere utilizzati per altre campagne locali.
Inutile dire che le difficoltà di questo processo sono numerose e sempre nuove: anche per
piccoli successi è necessario disporre di elevate capacità e risorse. Ad ogni modo, si ritiene
che le potenzialità del concetto di società civile globale e della nuova nozione di sviluppo
umano sostenibile siano assolutamente importanti quanto meno per l’approccio che
propongono. Tale approccio si fonda sull’idea che la povertà, l’esclusione e lo sfruttamento
siano problemi risolvibili attraverso una molteplicità di sforzi, piuttosto che tramite una
grandiosa teoria di portata globale. L’obbiettivo che questa ricerca voleva raggiungere è
quello di contribuire a far luce sui possibili canali di comunicazione e cooperazione tra
società civili appartenenti a contesti nazionali diversi, ma sempre più vicine in seguito al
loro inserimento in un contesto mondiale caratterizzato da dinamiche e problematiche tra
loro interdipendenti. In quest’ottica, anche questo elaborato rappresenta un contributo
piccolo, ma concreto affinché, anche a Bologna, cresca l’attenzione rivolta al paese
colombiano, al conflitto armato interno e alle iniziative di pace che provengono dalla sua
società civile.
599
Kaldor M., L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 105.
205
APPENDICE.
Dichiarazione di intenti della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti
Umani in Colombia.600
L’escalation del conflitto colombiano ha fatto sì che la preoccupazione per il futuro della
Colombia crescesse tra le istituzioni e le associazioni catalane, che hanno cominciato ad
interrogarsi sul come si possa intervenire dalla Catalogna nella trasformazione del conflitto
colombiano. Le entità che formano parte della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti
Umani in Colombia condividono l’idea che la propria capacità d’intervento in Colombia
sarà superiore nella misura in cui si riuscirà a costruire uno spazio di concertazione tra i
differenti attori sociali ed istituzionali della Catalogna. Questo spazio deve permettere di:
_ scambiare i diversi punti di vista per costruire un’analisi ed una proposta di azione
concertata;
_ cercare la complementarietà delle azioni intraprese da ogni entità della Tavola;
_ identificare in modo congiunto le controparti sociali ed istituzionali colombiane alle quali
si desidera dare appoggio;
_ mettere in comune i criteri di priorità dell’azione in Colombia;
_ elaborare una strategia di comunicazione finalizzata ad incrementare la mobilitazione
della società catalana per la pace in Colombia;
_ invitare tutti quegli attori sociali ed istituzionali catalani (ONG, organizzazioni sociali,
amministrazioni, sindacati, università, scuole, etc.) che lavorano o possono iniziare a
lavorare per la pace e i diritti umani in Colombia a prendere parte alla Tavola.
Le entità che partecipano alla Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia
condividono alcuni principi basilari, tra cui la convinzione che:
600
La tavola per la Pace e i Diritti Umani in Colombia è formata da: Comune di Barcellona,
Comune di Lleida, Comune di Sant Cugat del Valles, Comune di Santa Pau, Associazione
Catalana per la Pace, Associazione Catalana per l’Aiuto ai Rifugiati, Commissione Catalana
d’Aiuto ai Rifugiati CEAR, Consiglio Nazionale della Gioventù della Catalogna, Cooperaciò,
Entredobles, Federazione Catalana di ONG per lo Sviluppo, Fondo Catalano di Cooperazione allo
Sviluppo, Fondazione Josep Comaposda, Fondazione Pace e Solidarietà- CCOO, Fondazione per
la Pace, Giustizia e Pace, Intermon-Oxfam, Movimento per la Pace, Pagesos Solidaris, Provincia
di Barcellona, Regione Autonoma della Catalogna, Scuola di Cultura di Pace dell’Università
Autonoma di Barcellona. Osservatori: Brigate internazionali di Pace- Catalogna, Comitato
catalano ACNUR.
206
_ in Colombia è possibile conseguire una vera pace duratura solo attraverso una soluzione
politica del conflitto che si basi sulla messa in atto di un processo di verità, giustizia e
riparazione;
_ lo Stato colombiano è il principale responsabile del controllo del rispetto dei diritti umani
dentro il suo territorio;
_ attraverso la Tavola non si fornisce alcun appoggio diretto a nessun attore armato;
_ la trasformazione sociale, politica, economica che necessita il paese deve avere come
protagonista la società colombiana;
_ la comunità internazionale deve assumere le proprie corresponsabilità per quanto
riguarda i fattori di internazionalizzazione del conflitto;
_ in Europa è necessario vigilare affinché la polarizzazione crescente che caratterizza la
società colombiana non si riproduca.
Al di là di questa generica dichiarazione di intenti si individuano alcuni obbiettivi concreti
primari su cui lavorare:
_ proteggere la popolazione civile colombiana;
_ individuare le controparti colombiane riteniamo possano svolgere un ruolo importante
nella trasformazione del conflitto a livello locale e regionale;
_ esercitare una pressione politica a diversi livelli (catalano, spagnolo, europeo e
colombiano) per favorire la pace e il rispetto dei diritti umani in Colombia;
_ promuovere il consolidamento di strumenti a disposizione dei municipi della Catalogna
per sostenere i processi di pace in Colombia;
_ costruire un discorso propositivo che stimoli l’opinione pubblica catalana a lavorare per
la trasformazione del conflitto colombiano;
_ cercare la complementarietà con altri spazi di coordinamento.
Barcellona, febbraio 2003
207
INTERVISTE.
Intervista alla segretaria esecutiva della “Taula Catalana per la Pau i els
Drets Humans a Colòmbia”.
Giorno dell’intervista: 16.02.2005
Nome della persona intervistata: Lola Crespo, segretaria tecnica della Tavola Catalana per
la Pace e i Diritti Umani in Colombia.
Riguardo al coordinamento.
1. Identificazione del coordinamento: a) Quando è nato
b) Per soddisfare quali esigenze
c) Quali sono i soggetti che ne fanno parte.
La tavola è nata nel 2002, ma la dichiarazione di intenti risale al febbraio del 2003.
Le motivazioni che hanno portato alla sua fondazione sono di due tipi: da un lato, la
volontà di aumentare le conoscenze sulla situazione colombiana in Catalogna; dall’altro,
quella di rafforzare le diverse iniziative delle varie organizzazioni ed amministrazioni già
impegnate per la Colombia. L’idea di fondo è che la coordinazione del lavoro di soggetti
diversi contribuisce ad ottenere una maggiore influenza politica in relazione al tema
colombiano.
Un’influenza politica maggiore a che livello?
Un’influenza maggiore rispetto alla Regione della Catalogna, al Governo centrale spagnolo
ed all’Unione Europea. L’operato di un simile coordinamento, i cui soggetti condividono
gli stessi principi e lavorano per il raggiungimento degli stessi fini, si diversifica molto da
quello di un’organizzazione o amministrazione che opera in modo isolato.
I soggetti partecipanti sono tutti quelli riportati nella dichiarazione dei principi ?
Tutti quelli e qualcuno di più. Quell’elenco non comprende il Municipio di Santa Pau, né il
Movimento per la Pace, l’Associazione Catalana per l’Aiuto ai Rifugiati, le Brigate
208
Internazionali di Pace e il Comitato Catalano per l’ACNUR. Gli ultimi due non sono
membri effettivi, ma osservatori.
2. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo
interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale?
Si lavora affinché le decisioni siano le più condivise possibili. Esse vengono prese
attraverso l’Assemblea Plenaria. Ve ne sono alcune quasi automatiche, per le quali non
serve neppure consultarsi: con esse si procede direttamente ad informare tutti i componenti
della tavola via Internet. Per il resto, si ricorre all’Assemblea Plenaria, ossia un organo
decisionale formato da un rappresentante di ciascuno dei componenti della tavola.
Normalmente le decisioni vengono prese per consenso unanime: fino ad ora non abbiamo
mai votato. Se c’è qualcuno che è molto contrario all’iniziativa, al progetto di cui si sta
discutendo, allora il tutto si blocca e quell’iniziativa non potrà essere svolta. Ugualmente,
se si deve firmare un documento che, per intero o per una sua parte, è contrario al mandato
di un componete della tavola, quel documento non viene firmato. La logica interna al
coordinamento non è modellata sulla base della teoria democratica, viceversa ogni membro
esercita il diritto di veto.
Affianco all’Assemblea Plenaria c’è una segreteria tecnica che ha il compito di mettere in
atto quanto deciso. Questo non significa che ci siano delle attività esclusivamente attribuite
alla segreteria tecnica. Nella realizzazione di tutte le attività della tavola che hanno
un’incidenza politica possono partecipare tutti i suoi componenti, dalle amministrazioni,
alle associazioni, alle ONG.
Per esempio, l’organizzazione delle giornate che si svolgono annualmente, a cui
partecipano vari esponenti delle amministrazioni pubbliche e della società civile
colombiana, catalana ed internazionale, è affidata alla segreteria tecnica; accanto ad essa
c’è, però, un comitato che ha funzioni amministrative e decisionali.
In sintesi, nel coordinamento coesistono tre livelli: l’Assemblea Plenaria, che si riunisce
una volta al mese; il comitato operativo formato da un rappresentante per ogni suo
componente, creato per l’organizzazione delle giornate annuali, ossia l’evento più
importante della tavola; infine, la segreteria tecnica. In questo momento la segreteria è
formata da due persone: una si occupa del lavoro che viene svolto normalmente da questa
struttura, mentre l’altra si concentra sull’organizzazione delle giornate.
209
Dove si celebreranno le giornate? La partecipazione ad esse è aperta al pubblico?
Le giornate quest’anno si svolgeranno dal 14 al 16 aprile. Stiamo ancora definendo lo
spazio, sicuramente l’evento si svolgerà nella città di Barcellona. È possibile che gli
incontri del primo giorno si svolgeranno in uno spazio istituzionale, come l’anno passato,
in cui l’apertura ha avuto luogo nella sede della Regione, ossia il palazzo della Generalitat.
Per quanto riguarda la partecipazione essa è aperta a tutto il mondo.
3. C’è un rappresentante unico della Tavola? Se si, come è stato eletto?
No, non c’è un rappresentante unico. Di tanto in tanto accade che qualche situazione ne
richieda la presenza: per esempio, la partecipazione ad una riunione ufficiale. A quel
punto, nell’Assemblea Plenaria si decide chi assumerà le vesti di rappresentante della
Tavola. La scelta viene fatta in base alle capacità e competenze delle singole persone che
lavorano nel coordinamento e a seconda della tipologia dell’incontro.
4. Come si distribuiscono i compiti tra i diversi componenti della Tavola? Tutti i soggetti
partecipano in forma uguale o a seconda della loro disponibilità e della loro
specializzazione?
Secondo la loro disponibilità, specializzazione ed interesse. È tutto molto libero in questo
senso. Tutto quello che non viene svolto dall’insieme dei membri della tavola, viene svolto
dalla segreteria tecnica. Gran parte del lavoro viene svolto dai componenti della tavola, ma
il tutto avviene in modo spontaneo. Nell’Assemblea Plenaria si stabilisce l’agenda da
seguire. Successivamente si decide chi si occuperà di una cosa e chi di un’altra. Ripeto, è
tutto molto spontaneo e dettato dalle capacità e dall’interesse personale di ognuno.
5. Quali sono le linee programmatiche, le priorità e i comuni criteri d’azione della
Tavola?
Il fine del nostro lavoro è quello di far arrivare al governo della Catalogna e di Spagna e, in
minor parte, ad alcuni parlamentari che lavorano nell’Unione Europea con cui siamo in
contatto, le rivendicazioni della società civile colombiana organizzata, che preme per una
soluzione politica del conflitto e per la protezione dei diritti umani. Inoltre, la Tavola
210
lavora congiuntamente con altre coordinamenti europei che lavorano contro l’impunità e
l’applicazione del Diritto Internazionale Umanitario in Colombia.
Tutte le nostre rivendicazioni fanno riferimento al compimento delle raccomandazioni
dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.
Per quanto riguarda i comuni principi che regolano il nostro operato essi sono raccolti nella
nostra dichiarazione di intenti del 2003.
6. Quali sono i progetti proposti dalla Tavola per la promozione del processo di pace in
Colombia?
Come accennato, l’evento più importante è quello delle giornate, che organizziamo
annualmente.
Il primo anno, le conferenze tenutesi hanno voluto contribuire alla visibilizzazione dei
movimenti sociali colombiani attivi per la costruzione della pace. In quell’occasione
ospitammo rappresentanti istituzionali, membri del movimento delle donne, del
movimento indigeno, delle organizzazioni sindacali, persone operanti non solo sul piano
politico, ma anche su quello culturale.
L’anno seguente abbiamo presentato la relazione del 2003 del Programma delle Nazioni
Unite per lo Sviluppo, intitolata Colombia: vicolo cieco senza uscita?, ed invitammo
l’equipe che ha lavorato per la sua stesura.
Quest’anno riguarderà la politica europea verso la Colombia, ossia si cercare di gettare uno
sguardo su quanto sta facendo l’Unione Europea a favore del processo di pace in
Colombia, alla promozione e alla protezione dei diritti umani: in che misura sta
contribuendo al raggiungimento di questi propositi o se, al contrario, non lo sta facendo.
Ogni quanto prepara questo genere di relazione il PNUD?
Questo tipo di relazione viene pubblicato occasionalmente. L’equipe del PNUD considera
ogni sua relazione come un lavoro aperto. Difatti nella regione si continua a lavorare, ad
osservare. La prossima loro pubblicazione è prevista per la metà dell’anno in corso.
7. La Tavola catalana si definisce come un agente di cooperazione decentralizzata?
211
La tavola catalana non possiede lo statuto di entità giuridica e pertanto non amministra
fondi. Di conseguenza, non siamo impegnati nella realizzazione di nessun progetto di
cooperazione, né abbiamo nulla a che vedere con questo. La tavola è fondamentalmente un
coordinamento regionale mirante ad ottenere una maggiore incidenza politica sul territorio
catalano, attraverso la divulgazione delle iniziative di pace nella società catalana,
utilizzando tutti i mezzi di comunicazione. Come Tavola non possediamo alcuna
controparte con cui cooperare per la realizzazione di progetti di cooperazione. Ciò non
toglie che all’interno della Tavola ci siano dei soggetti che portano avanti questo tipo di
progetti per conto proprio. Per esempio, le diverse amministrazioni municipali catalane
raggruppate nel Fondo Catalano di Cooperazione allo Sviluppo.
8. Caratteri positivi e negativi della Tavola: svantaggi e vantaggi. In che aspetti potrebbe
migliorare? Come?
Tra i vantaggi figurano sicuramente l’elevata operatività e la possibilità di realizzare
attività con un profilo politico molto alto.
Fin dal principio la Tavola ha dimostrato di essere operativa, poiché a tutti i suoi membri è
costato molto poco trovare dei punti d’incontro. Questo ha reso molto spontaneo il
processo decisionale del coordinamento. Credo che questa spontaneità ed operatività
dipendano soprattutto dal tipo di persone che ne fanno parte, dal loro pragmatismo e dal
loro impegno.
Questa operatività avrebbe potuto essere ancora più elevata in alcune occasioni, ma
l’essenza stessa della Tavola (ossia la coordinazione di numerosi soggetti, la diffusione
delle informazioni tra tutti i suoi membri e la necessaria approvazione degli stessi su
qualsiasi decisione presa) lo ha impedito.
La Tavola potrebbe migliorare sotto diversi aspetti. Prima di passare a questo tema vorrei
esporre gli obbiettivi raggiunti. In primo luogo, si è ottenuta una maggiore conoscenza
della situazione colombiana in Catalogna, sia tra le amministrazioni che tra la società
civile; questo ha fatto sì che il livello di preoccupazione e di attenzione sul conflitto armato
colombiano sia molto accresciuto. Attraverso le giornate che annualmente organizziamo da
tre anni si è riusciti a far maggiore chiarezza sulle cause del conflitto interno armato
colombiano.
212
Una delle carenze maggiori consiste nella difficoltà di produrre dei documenti scritti
riguardo le attività portate avanti. La necessità di passare al vaglio dell’opinione di tutti i
suoi membri può portare a questo tipo di inconveniente, soprattutto se si considera che la
Tavola è ancora in processo di formazione. Alludo alle motivazioni per le quali poco fa le
ho spiegato il perché io non possa rispondere alle domande della seconda parte della sua
intervista, riguardante il conflitto colombiano nella fattispecie. Una volta risposto alle tue
domande, dovrei passarle al vaglio di tutti i membri della tavola e sarebbe un lavoro lungo
e faticoso riuscire a dare delle risposte che comprendano tutte le opinioni presenti nel
coordinamento.
9. Da dove provengono i mezzi economici e umani della Tavola?
Come dicevo prima, la Tavola non amministra denaro in quanto non possiede alcuna
personalità giuridica.
Quanto ai fondi attraverso cui si sostenta la Tavola essi provengono da una donazione
annuale dei membri che ne fanno parte, diversa a seconda della natura dei componenti. Per
ogni categoria di soggetti, la segreteria esecutiva fa una proposta, dopodiché i diversi
membri offrono quanto possono in base ai loro bilanci, alla loro grandezza e capacità
economica.
Questi fondi vengono utilizzati per coprire le spese d’ufficio, di eventuali viaggi e per
ricompensare il lavoro del rappresentante di ogni soggetto della Tavola che prende
attivamente parte ai lavori di coordinazione. La persona che lavora per un anno nella veste
di segretario tecnico lo fa grazie ai finanziamenti ottenuti attraverso l’approvazione di un
progetto presentato da uno dei membri della Tavola. La sua retribuzione rappresenta la
spesa più alta. Di anno in anno, a rotazione, una delle entità della tavola partecipa al bando
aperto dall’Agenzia Catalana di Cooperazione allo Sviluppo. Pertanto, ottenere questi
fondi non è automatico: per adesso è stata questa la procedura seguita, ma non è detto che
lo sarà per sempre. L’amministrazione catalana non finanzia la Tavola in modo diretto
proprio perché essa non possiede uno statuto giuridico ben definito.
Per quanto riguarda le giornate che organizziamo annualmente, esse vengono finanziate
grazie all’apporto di alcune amministrazioni pubbliche partecipanti al coordinamento: di
anno in anno possano cambiare.
213
10. Oltre alla Tavola catalana per la Colombia, in Europa ci sono altri coordinamenti
regionali simili: che tipo di relazioni esistono tra voi? Quali sono o quali dovrebbero
essere i criteri comuni d’azione adottati o da adottare?
Le relazioni in verità sono molto poche, se non nulle. Conosciamo un poco alcune
coordinazioni regionali che hanno partecipato ad un seminario sulla cooperazione
decentralizzata in Colombia organizzato nel 2003 dal Fondo Catalano di Cooperazione allo
Sviluppo.
Poi conosciamo alcune coordinamenti che fanno parte dell’Oficina de Derecho
Internacional Acciòn Colombia (OIDACO), che è la controparte europea della
coordinazione colombiana Coordinaciòn Colombia/Europa/Estados Unidos. OIDACO è
costituita da coordinazioni nazionali di agenti di cooperazione che lavorano per la
protezione dei diritti umani in Colombia. Essa è presente in Gran Bretagna, Francia,
Belgio, Germania, Svizzera, Irlanda. In Spagna ancora no: sul territorio spagnolo operano
delle ONG che ne fanno parte, ma ancora manca una coordinazione forte tra loro, che ad
ogni modo sta crescendo nel tempo. Noi siamo un suo osservatore ed alcune delle nostre
azioni le abbiamo organizzate in modo congiunto con OIDACO, ma non ne facciamo parte
a tutti gli effetti perché la Tavola è costituita non solo da agenti di cooperazione ma anche
da amministrazioni pubbliche.
I nostri principi cardine sono: la risoluzione politica del conflitto armato e il rispetto delle
raccomandazioni delle Nazioni Unite. Per quanto concerne i comuni criteri da adottare
dalle diverse coordinazioni europee credo che più l’azione sarà coordinata più potrà essere
efficace.
214
Intervista alla rappresentante di un componente della “Taula Catalana
per la Pau i els Drets Humans a Colòmbia”: Escola de cultura de Pau i
Càtedra UNESCO sobre Pau i Drets Humans, presso l’Università
Autonoma di Barcellona
Data dell’intervista: 25.02.2005
Nome della persona intervistata: Alicia Barbero, Responsabile del Programma “Colombia
internazionalizzare la pace”, Scuola di Pace, UAB.
Riguardo alla fondazione ed alla sua attività di cooperazione.
1. Da quanto tempo l’Università fa parte del coordinamento? In che modo è entrata a
farne parte? Per soddisfare quale esigenze?
In realtà il processo è stato contrario: l’Università Autonoma di Barcellona è uno tra i
fondatori del coordinamento catalano. Il programma sulla Colombia è iniziato attorno al
2000. Uno degli obbietti della Escola de cultura de Pau era aumentare il numero degli
attori catalani coinvolti nell’accompagnamento internazionale delle iniziative di pace a
favore della Colombia e, contemporaneamente, far sì che le attività portate avanti dai pochi
soggetti catalani già mobilitati attorno a questo tema si armonizzassero. Insieme alla ONG
Cooperaciò ci occupammo quindi di prendere i primi contatti con altre ONG ed
amministrazioni pubbliche del territorio catalano per invitarle a prendere parte al nostro
progetto.
In questi anni abbiamo notato che il lavoro di accompagnamento internazionale a sostegno
della pace in Colombia ha incontrato molti ostacoli e difficoltà, tanto che a volte si è
arenato. Secondo la nostra visione questo è successo perché la prospettiva adottata da molti
coordinamenti che operano attorno al caso colombiano ha spesso preferito mettere in
risalto le differenze delle diverse posizioni coinvolte nel processo di pace. Quello che
invece tenta di fare il coordinamento catalano è porre sulla tavola il minimo denominatore
comune che ci permetta di operare. Fu così che arrivammo alla redazione della
Dichiarazione di intenti del coordinamento, i cui principi stanno alla base di tutto il nostro
lavoro.
215
2. Quali sono le iniziative promosse dall’Università?
Quello che tenta di fare la Escola de cultura de Pau è molto semplice è può essere
sintetizzato in questo modo: il nostro obbiettivo è quello di contribuire
all’internazionalizzazione della pace colombiana; a questo scopo lavoriamo per mettere in
contatto diversi soggetti che lavorano a sostegno di iniziative internazionali di pace e ci
preoccupiamo affinché quelli operanti sul territorio catalano si complimentino uno con
l’altro.
Più in concreto, in primo luogo ci occupiamo di elaborare una serie di documenti
attraverso cui informiamo sulla situazione del conflitto e, soprattutto, diamo visibilità alle
diverse iniziative civili di pace colombiane. I documenti elaborati sono disponibili in
Internet sul sito della scuola e vengono redatti settimanalmente e ogni tre mesi: si tratta del
Colombia Semanal e El Boletìn Trimestral. Inoltre, ci occupiamo della redazione di altri
documenti destinati alla pubblicazione su riviste specializzate.
In secondo luogo, appoggiamo reti di soggetti che lavorano in relazione al caso
colombiano. Da un lato, tentiamo di stimolare il lavoro della “Taula Catalana per la Pau i
els Drets Humans a Colombia”; dall’altra, ci occupiamo della sensibilizzazione della
popolazione catalana sul tema colombiano. Con l’aiuto delle ONG Cooperacciò ed
Amnesty International cerchiamo di fornire sempre nuovi elementi di analisi sul caso
colombiano dal punto di vista dell’internazionalizzazione della pace, sulla base dei quali
indirizzare il lavoro degli altri attori. Il nostro sostegno alla Tavola consiste quindi in un
aiuto ai lavori di pianificazione e di diffusione delle informazioni riguardo al lavoro svolto.
Contemporaneamente, siamo impegnati nell’accompagnamento internazionale di altre due
“reti”, ovvero noi le chiamiamo così ma si tratta di reti solo dal punto di vista informale.
Tale accompagnamento è rivolto alle organizzazioni mobilitate attorno ai diritti delle
donne in Colombia e alle iniziative civili di pace provenienti da alcuni municipi
colombiani, in contatto con alcuni municipi catalani. Riguardo a queste ultime due
tematiche, quello che abbiamo fatto è stato elaborare una strategia che si è concretizzata
nel programma di due borse offerte a rappresentanti colombiani operanti in questi due
ambiti. Questo è il secondo anno che siamo riusciti ad offrire queste due borse.
Quest’anno, una è stata offerta ad una rappresentante della Ruta Pacifica de las mujeres
colombianas e l’altra ad un rappresentante della Governabilidad participativa desde los
municipios.
216
3. In che modo è stata garantita l’implementazione (mezzi economici, risorse umane) di
queste iniziative?
Per l’elaborazione di documenti e la loro diffusione i mezzi provengono dal bilancio
dell’Università o da altre istituzioni che ce li commissionano. Per esempio, al momento
stiamo lavorando attorno ad un documento sul movimento di donne colombiane finanziato
dalla ONG catalana Justicia y Pau.
Anche il nostro lavoro di appoggio alla “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a
Colòmbia” viene finanziato in parte dall’Università, ossia dai fondi che questa riceve dalla
Generalitat.
Riguardo al finanziamento delle due borse annuali l’iter è stato un poco più complicato.
Per esempio, prima di arrivare alla borsa concessa per due anni a due rappresentanti della
Ruta pacifica de las mujeres il nostro lavoro ha consisto nel metterci in contatto con
diverse organizzazioni impegnate su questo fronte in Colombia e in Catalunya. Una volta
stabilita una fitta rete di relazioni con le promotrici di diverse iniziative civili di pace,
abbiamo organizzato un seminario sul tema qui a Barcellona, al quale hanno partecipato
membri di amministrazioni pubbliche e numerose ONG operanti a livello catalano,
colombiano ed internazionale. Al momento sono alte le probabilità che questi fondi siano
riconfermati negli anni a venire: grazie ad essi oggi esiste realmente un movimento
internazionale di donne fatto dall’insieme delle organizzazioni che lavorano per la difesa
dei diritti delle donne colombiane.
Per quanto riguarda l’altra borsa a favore del rafforzamento delle iniziative civili di pace di
alcuni municipi colombiani, la realizzazione del progetto si è avvalsa del sostegno del Fons
Català e della Deputaciò di Barcellona, ossia i primi soggetti con cui abbiamo cominciato
a lavorare attorno al tema. Dopo la loro partecipazione alla prima edizione delle giornate
del 2003 sulle diverse iniziative di pace provenienti dalla popolazione civile colombiana,
durante le quali ospitammo alcuni rappresentanti delle municipalità colombiane interessate
all’iniziativa, vennero avviate le prime relazioni tra amministrazioni locali catalane e
colombiane. I rapporti si consolidarono in maniera più stabile e continuativa nel tempo
anche attraverso questa borsa.
I fondi delle borse provengono dalla Generalitat, dal Fons Català e dalla Deputaciò.
Quello che noi cerchiamo di fare come Università e Escola de cultura de Pau è realizzare
le condizioni necessarie affinché si materializzino questi fondi. Simbolicamente il nostro
217
lavoro somiglia a quello di una badante che si occupa di un bambino: una volta cresciuto il
bambino la badante se ne va’.
4. Qualche vostro componente ha avuto la possibilità di recarsi in Colombia ed operare
sul territorio?
Le due persone che in questo ufficio dell’UNESCO si occupano del caso colombiano
siamo io e Kristian Herbolzheimer. Sia io che Kristian abbiamo vissuto in Colombia per
due anni, dove torniamo regolarmente per periodi di tempo più o meno lunghi. Kristian in
particolare vive lì per almeno sei mesi l’anno. Viaggiamo entrambi per nostro conto. Le
nostre attività sul territorio sono finalizzate al mantenimento delle relazioni intrattenute
con numerosi attori colombiani, operanti a diversi livelli: università, sindacati, municipi,
ONG, ecc., a seconda del tema attorno cui stiamo lavorando.
5.
In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al
passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio
degli Stati nazionali?
La crescita dell’interesse e della diversità dei soggetti operanti su temi quali lo sviluppo dei
paesi del Sud del mondo è molto importante in quanto contribuisce ad allargare il raggio
d’azione della cooperazione, ossia ad aumentare le possibilità che le diverse iniziative
proposte vengano approvate.
Naturalmente il buon finanziamento della cooperazione dipende oggi, così come ieri, dal
tipo di progetti finanziati. Inoltre, nessuno nega che oggi esistano rischi legati al minor
controllo.
Dall’altra, le enormi possibilità derivanti dalla decentralizzazione della cooperazione sono
innegabili, al meno dal punto di vista teorico. Il maggior grado di informalità che oggi la
caratterizza può, di fatti, facilitare il processo per il quale le esigenze della popolazione
civile del Sud siano captate in modo più efficace e reale dalla molteplicità degli attori che
oggi operano in questo campo, sia nel Nord che nel Sud. La capillarità dei campi d’azione
di questi attori fa in modo che la sensibilizzazione della popolazione del Nord attorno a
queste tematiche sia maggiore. Pertanto, la possibilità d’incisione del locale sull’agenda
mondiale diviene oggi un fatto reale. Questo perché le nuove dinamiche della cooperazione
non permettono solo che diversi attori del Nord finanzino un maggior numero di progetti
218
nel Sud, ma anche che i paesi donanti assumano nella propria agenda politica gli obbiettivi
delle agende dei paesi beneficiari, al fine di ottenere un risvolto politico sulla scena locale
d’appartenenza.
Riguardo al coordinamento.
3. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo
interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale?
La dinamica di funzionamento è di tipo orizzontale. C’è una segreteria tecnica che
organizza e canalizza, ma le decisioni vengono prese all’unanimità all’interno
dell’Assemblea Plenaria che si riunisce mensilmente. Nel caso di un’urgenza si utilizza la
comunicazione elettronica per informare tutti i componenti della Tavola e per trovare un
accordo su come agire.
La distribuzione dei compiti tra i soggetti partecipanti alla tavola avviene in modo
spontaneo, ossia secondo il loro interesse e la loro disponibilità.
4. Caratteri positivi e negativi del coordinamento: vantaggi e svantaggi. In che cosa
potrebbe migliorare?
Tenuto conto della difficoltà d’azione nella situazione colombiana, credo che la
partecipazione istituzionale catalana sia un aspetto assolutamente positivo della Tavola, in
quanto eleva il peso politico dell’accompagnamento alle iniziative civili di pace
provenienti dalla popolazione colombiana.
Contemporaneamente anche i limiti, più che le difficoltà, risiedono nella stessa
partecipazione istituzionale. Esclusi noi, gli altri soggetti istituzionali partecipanti operano
allo stesso tempo in cinque o sei paesi. Pertanto la partecipazione alla Tavola corrisponde
per loro ad un lavoro extra. La conseguente limitazione del tempo dedicato al caso
colombiano da parte di molti componenti della Tavola rappresenta quindi il limite
maggiore all’avanzamento dell’analisi collettiva del coordinamento in relazione ad un
conflitto complicato, che richiederebbe una maggiore operatività.
219
5. Oltre alla Tavola catalana per la Colombia, in Europa ci sono altri coordinamenti
regionali simili: che tipo di relazioni esistono tra voi? Quali sono o quali dovrebbero
essere i criteri comuni d’azione adottati o da adottare?
Credo che tra i diversi coordinamenti regionali operanti sul piano europeo attorno al tema
colombiano esistano delle relazioni adeguate, capaci cioè di permettere la nascita di
collaborazioni e di assicurare contemporaneamente la giusta autonomia ad ognuno. Mi
riferisco ad esempio al lavoro svolto da OIDACO, dal Cono Sur e dalle Brigate
Internazionali di Pace. Noi della “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a
Colombia” intratteniamo rapporti stabili con tutti e tre queste organizzazioni.
Chiaramente esistono altri coordinamenti, più o meno diversi dal nostro, che abbiamo
incontrato e contattato solo occasionalmente. Questo è il caso ad esempio di Swippcool, un
coordinamento svizzero molto simile alla Tavola catalana per le sue finalità d’incidenza
politica sul piano locale e internazionale, ma maggiormente orientato nella realizzazione di
progetti di cooperazione sul territorio colombiano. Ugualmente, solo di tanto in tanto
abbiamo intrattenuto relazioni con il coordinamento italiano della Regione Lombardia, che
ha approfondito in modo più specifico la prospettiva delle municipalità, per il
rafforzamento del potere e della governabilità locale in Colombia.
Riguardo il processo di pace colombiano.
1. Quali sono gli attori coinvolti nel processo di pace colombiano? Quali dovrebbero
essere?
Il conflitto colombiano è molto complesso: non è solo un conflitto armato, bensì un
conflitto economico, sociale, culturale e armato.
La situazione di un conflitto armato è simile ad una piramide. Semplificando, potremmo
dire che il vertice è rappresentato dal governo, la guerriglia e le forze paramilitari, ossia gli
attori armati coinvolti nella confrontazione diretta; seguono gli attori intermedi, quali le
municipalità, i sindacati, le imprese e gli attori internazionali; infine, c’è la base, il resto
della popolazione. Una negoziazione pura e dura implica evidentemente che si raggiunga
un accordo tra gli attori direttamente coinvolti nei combattimenti: quindi le forze nazionali
di sicurezza, la guerriglia e le forze paramilitari. Affinché ci sia un processo di pace
integrale, mi riferisco cioè ad una costruzione di pace che provenga dalla base della società
220
e che passi per tutti i successivi livelli, è necessario generare delle condizioni che passino
attraverso uno sviluppo sostenibile, per l’inclusione del differente, per il cambiamento
dell’atteggiamento degli attori intermedi ed internazionali che stanno alimentando la guerra
e la povertà.
Tutti questi attori dovrebbero essere coinvolti.
2. Quali sono le maggiori difficoltà per raggiungere la pace in Colombia?
Per l’accordo di pace tra gli attori primari le maggiori difficoltà sono: la grande sfiducia
maturata in modo reciproco nel processo storico degli ultimi 60 anni; la non partecipazione
della società civile organizzata; l’esistenza di fonti d’ingresso che alimentano la guerra,
connessi al conflitto economico internazionale.
Lo Stato colombiano dovrebbe cercare di generare le condizioni necessarie perché tutti gli
attori primari si siedano simultaneamente al tavolo delle trattative. Questo avverrà solo
dopo che il governo si deciderà ad avviare cambiamenti strutturali di ampio raggio nella
politica interna del paese e dopo che anche gli attori armati si decideranno a modificare il
loro atteggiamento. Inoltre, affinché vengano create queste condizioni, è necessario che ci
sia un cambio anche nella politica estera del governo, soprattutto per quanto riguarda le sue
strette connessioni con gli Stati Uniti.
3. Quali sono i soggetti istituzionali, politici, sociali che dovrebbero apportare gli sforzi
maggiori per la risoluzione del paramilitarismo?
In primo luogo, il governo colombiano; in secondo luogo, tutti gli attori nazionali ed
internazionali che lo stanno finanziando in modo diretto e tutti gli attori che, alimentando il
commercio internazionale di droga, lo finanziano in modo indiretto .
E per la risoluzione del narcotraffico?
Da un lato, tutti gli attori nazionali ed internazionali che finanziano il paramilitarismo;
dall’altro, lo Stato colombiano che porta avanti una politica di guerra.
221
4. Analisi dei movimenti sociali e politici attivi oggi per la costruzione di pace della
società colombiana. Caratteri negativi e positivi. Quali sono le carenze più evidenti e
come potrebbero migliorare.
Ci sono movimenti legati alla difesa dei diritti umani e movimenti legati al tema della pace.
Nonostante l’alto tasso di violenza che comporta un conflitto di così lunga durata, la
Colombia è uno dei paesi in cui più forti e grandi sono i movimenti sociali.
Le difficoltà della loro azione sono legate alle divergenze esistenti tra le sue componenti,
così diverse tra loro che molte volte risulta difficile giungere a degli accordi. Difficoltà
ancora maggiori sono determinate dal protagonismo che gli attori primari del conflitto
hanno nelle negoziazioni e nelle trattative di pace, a svantaggio del resto dei movimenti.
La Tavola di Cartagena ha fornito recentemente una dimostrazione della forza e della
vastità della società civile colombiana mobilitata nella difesa dei diritti umani e della pace.
Forza che è stata possibile esprimere grazie ad un accordo raggiunto da vari suoi esponenti:
dalla chiesa, alle imprese, ai difensori dei diritti umani, etc.
5. Analisi della politica portata avanti dallo Stato colombiano riguardo al processo di
pace durante l’attuale Governo del presidente Uribe. Individuare quali sono le maggiori
carenze e difetti.
La politica dell’attuale presidente Uribe non potrebbe essere più lontana dal creare quelle
condizioni di cui parlavo prima necessarie ad avviare il processo di pace. Di fatti, essa si
rifiuta in tutti i modi di riconoscere l’esistenza del conflitto armato e delle sue cause,
preferendo riferirsi ad esso in termini di violenza e di terrorismo contro cui opporre la sola
forza bellica.
6. Qual è l’atteggiamento degli Stati Uniti in relazione alla situazione colombiana
dell’attuale presidenza Bush?
L’atteggiamento dell’attuale amministrazione Bush appoggia pienamente la strategia
militare di Uribe, sostenendola finanziariamente attraverso il Plan Colombia e il Plan
Patriota. Questa sua posizione, insieme all’accanimento mostrato riguardo la domanda di
estradizione di alcuni criminali legati non solo al narcotraffico ma anche alla guerriglia,
mette in serie difficoltà il processo delle negoziazioni. Infine, evidente è l’interesse degli
222
Stati Uniti per il controllo del territorio e delle risorse colombiane, a causa della posizione
geografica strategica del paese rispetto al resto del continente sudamericano, su cui gli Stati
Uniti mantengono forti ambizioni di controllo economico. Contemporaneamente però, la
politica di Bush ha dimostrato una chiara posizione rispetto al processo di negoziazione
avviato dal Governo colombiano con i paramilitari, per il quale il Governo statunitense ha
preteso chiari segnali che dimostrassero la volontà del Governo colombiano di non far
prevalere l’impunità.
7. Qual è l’atteggiamento dell’Unione Europea in relazione alla situazione colombiana?
L’atteggiamento dell’Unione Europea verso la Colombia è estremamente ambiguo. Solo
per fare un esempio, l’Unione ha condannato più volte la vendita di armi in Colombia ma
non ha preso nessun provvedimento chiaro che facesse desistere i suoi Stati membri dal
continuare commerci d’armi già avviati.
L’atteggiamento dell’Unione dovrebbe essere diretta al compimento di differenti strategie:
innanzitutto dovrebbe rivolgersi al taglio dei circuiti che finanziano la guerra, adottando
misure contro il riciclaggio di denaro di dubbia provenienza; dovrebbe togliere la
guerriglia dalla lista dei terroristi; operare affinché la cooperazione europea sia realmente
promotrice dello sviluppo sostenibile. Infine, dovrebbe essere molto più propositiva
nell’agenda mondiale affinché si generino le condizioni necessarie all’avvio del processo
di pace: la sua posizione dovrebbe assumere contorni più definiti per contrastare quella
degli Stati Uniti.
223
Intervista alla rappresentante di un componente della “Taula Catalana
per la Pau i els Drets Humans a Colómbia”: il Fons Català de Cooperació
al Desenvolupament .
Data dell’intervista: 23.02.2005
Nome della persona intervistata: Nuria Camps, direttrice del Fondo Catalano di
Cooperazione allo Sviluppo.
Riguardo alla fondazione ed alla sua attività di cooperazione.
6. Da quanto tempo la fondazione fa parte del coordinamento? In che modo è entrata a
farne parte? Per soddisfare quale esigenze?
Il Fondo Catalano è una rete costituita da più di 270 municipi che desiderano svolgere
attività di cooperazione internazionale in modo congiunto. Il fondo esiste da diciotto anni.
Quando è nata l’idea di costituire la “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a
Colómbia” il fondo ha ritenuto necessaria la propria presenza nella tavola fin dal principio.
Dal punto di vista strategico l’azione del fondo in America Latina si è sempre basata
sull’idea che il sostegno al processo di pace sia il prerequisito fondamentale per qualsiasi
politica di cooperazione allo sviluppo: questa è stata la nostra posizione davanti al processo
di pace in Guatemala, del Salvador, del Nicaragua. Negli ultimi anni abbiamo lavorato sul
caso colombiano, in riferimento al quale riteniamo che la ricerca del dialogo tra le parti
costituisca la priorità assoluta per l’uscita dal conflitto.
Il nostro impegno in Colombia è iniziato molto prima della nascita della tavola catalana e
anche dopo essere entrati a far parte di questo coordinamento regionale, il nostro intervento
in Colombia ha continuato ad essere gestito direttamente dal Fondo. I vantaggi apportati
dalla tavola non si riferiscono ad un aumento della nostra presenza in Colombia; piuttosto,
la tavola ha permesso di approfondire la riflessione sulla situazione colombiana qui in
Catalunya, di sensibilizzare in misura maggiore la popolazione catalana e di ottenere una
maggiore incidenza a livello politico, sia sul piano regionale, nazionale ed europeo.
7. Da quanto tempo la fondazione si interessa al processo di pace in Colombia? Quali
sono le iniziative promosse dalla fondazione?
224
Il nostro interesse per il caso colombiano risale a molti anni fa. In un primo momento il
fondo ha sostenuto in modo diretto alcuni gruppi colombiani attivi per la difesa dei diritti
umani; successivamente ha finanziato dei progetti attraverso le Brigate Internazionali di
Pace, concentrando i propri sforzi su iniziative di intermediazione ed accompagnamento di
persone sfollate ed in pericolo di vita. Più recentemente abbiamo avuto modo di conoscere
la realtà di alcuni municipi colombiani costituitisi collettivamente come Assemblea
Costituente. Con tale iniziativa i municipi aderenti si oppongono alle dinamiche del
conflitto e alle pratiche di violenza perpetrate da tutti i gruppi armati a danno della
popolazione civile. Condividendo la posizione assunta da questi municipi, stiamo
finanziando dei progetti a sostegno del comune di Tarso, di Caramanta e di altri comuni
situati in corrispondenza del Dipatimento di Antioquia, volti a rafforzare queste
amministrazioni ed a promuovere la crescita di questo movimento.
Alla base della politica ispiratrice del fondo sta la convinzione che la risoluzione del
conflitto passa attraverso la formazione di condizioni di sviluppo. Per questo, in
corrispondenza di queste zone finanziamo anche progetti produttivi, al fine di creare nuove
possibilità di lavoro e ridurre, di conseguenza, la partecipazione della popolazione
colombiana al conflitto armato.
Infine, in alcune occasioni sosteniamo delle iniziative di Amnesty International, la cui
attività è centrata nel fornire protezione a persone perseguitate, garantendo loro i mezzi
necessari ad uscire dal paese e rimanere in una situazione di sicurezza per periodi di tempo
determinati.
8. In che modo viene garantito il finanziamento delle iniziative e la loro sostenibilità nel
tempo?
Il sostentamento delle iniziative proviene interamente dalle risorse messe a disposizione
dai 270 municipi catalani che hanno deciso di destinare parte delle loro entrate al
finanziamento di progetti di cooperazione internazionale. È proprio grazie all’unione degli
sforzi di un così gran numero di municipi che il fondo riesce a sostenere economicamente
le sue controparti in modo continuativo nel tempo: può capitare che i progetti sostenuti
cambino, ma quello che il fondo si propone è di garantire alle sue controparti lo stesso
appoggio per lunghi periodi di tempo.
225
9. Qualche vostro componente ha avuto la possibilità di recarsi in Colombia ed operare
sul territorio? Quali sono le maggiori difficoltà incontrate?
Noi non ci occupiamo dell’implementazione dei progetti che sosteniamo, né della loro
ideazione: queste sono funzioni svolte dalle diverse controparti con cui lavoriamo sul
territorio colombiano. Come fondo ci preoccupiamo di fornire i mezzi economici necessari
per la loro messa in atto.
Quanto alle maggiori difficoltà incontrate nella nostra attività di sostentamento alle varie
iniziative di pace, esse sono dovute alla complessità stessa del conflitto colombiano, in cui
risulta molto difficile identificare i ruoli svolti dai diversi attori coinvolti nella violenza.
10. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al
passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio
degli stati nazionali?
Oggi si cerca di dare spazio ad una cooperazione più orizzontale, che riconosca come
propri soggetti attivi i popoli del Sud del mondo: sono le loro comunità che sono tenute ad
elaborare le diverse proposte, curando i progetti realizzati dalla fase di pianificazione a
quella di implementazione. Per comunità del Sud si intende non solo l’insieme delle sue
istituzioni, ma la collettività locale in senso ampio del termine.
L’idea è quella di dare vita ad una relazione stabile e durevole nel tempo tra popolo e
popolo, costruendo un ponte tra le municipalità catalane e quelle dei paesi beneficiari dei
fondi messi a disposizione. Il successo del fondo è quello di aver fatto si che più di cento
municipi catalani siano riusciti a mettere in pratica le raccomandazioni delle Nazioni
Unite, decidendo di destinare lo 0,7% del loro bilancio alla cooperazione internazionale.
Le risorse della cooperazione catalana sostengono progetti presentati dalla stessa Agenzia
per la Cooperazione della Generalitat, dalle ONG locali, dalle municipalità e ONG dei
paesi beneficiari. Una volta selezionate le proposte, i fondi vengono trasmessi alle
controparti vincitrici che decideranno in prima persona come gestire le risorse messe loro a
disposizione per la realizzazione dei progetti presentati.
226
Riguardo al coordinamento.
6. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo
interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale?
La tavola ha un’organizzazione orizzontale e informale. Di fatto non esiste a livello
giuridico, bensì come spazio comune che mette in contatto diversi soggetti: dalle ONG, ai
sindacati, alle amministrazioni pubbliche locali operanti a diversi livelli. In essa sono
presenti il Governo della Catalunya, la Provincia di Barcellona, diversi comuni (tra cui
quello di Barcellona) e il Fons Catalá come rete di municipi.
Il fine è quello di esercitare un’incidenza politica forte, di creare una lobby. Attraverso le
giornate che si organizzano annualmente i diversi componenti della tavola scambiano idee
e si confrontano su diverse tematiche affrontate.
7. Caratteri positivi e negativi del coordinamento: vantaggi e svantaggi. In che cosa
potrebbe migliorare?
La tavola è uno spazio interessante come piattaforma di incidenza politica, sia a livello
locale che nazionale. A livello nazionale si sono aperti nuovi spazi interessanti da quando
nel paese si è avuto un cambio di governo: l’attuale amministrazione è di fatti molto più
vicina alle nostre posizioni e le nostre tesi rispetto a quella precedente.
L’informalità che contraddistingue la tavola è uno dei suoi maggiori vantaggi: questa
informalità permette che la coordinazione della tavola e delle sue iniziative venga di volta
in volta assunta da chiunque lo desideri. Per questo motivo ritengo che una sua
istituzionalizzazione, ossia la sua trasformazione in un’organizzazione con uno statuto
giuridico a sé, un proprio bilancio, una chiara suddivisione degli incarichi, non
comporterebbe alcun progresso. La forma attuale della tavola non presenta alcuna
mancanza o difetto di funzionamento.
8. Oltre al coordinamento catalano, in Europa, esistono altri coordinamenti regionali
mobilitati attorno al caso colombiano. Quali sono o quali dovrebbero essere i loro criteri
comuni d’azione?
227
Sarebbe utile che questi coordinamenti regionali si impegnassero affinché ci fosse una
conoscenza tra loro sempre più ampia ed articolata. Un maggior confronto e un maggior
numero di collaborazioni aiuterebbe a tessere una rete sempre più fitta sulla quale potrebbe
consolidarsi una posizione europea più chiara e definita rispetto alla situazione in
Colombia. Allo stesso tempo questo accrescerebbe il potere d’incidenza politica
dell’Unione Europea in riferimento al tema colombiano sul piano internazionale.
Nuria Camps non ha voluto rispondere alle successive domande riguardanti la situazione
colombiana più nello specifico, giustificandosi con un malessere. Nonostante fossi riuscita
a strapparle la promessa di rispondere al resto dell’intervista via mail, non ho mai
ricevuto alcuna sua risposta.
228
Intervista al rappresentante di un componente della “Taula Catalana per
la Pau i els Drets Humans a Colòmbia”: la Fondazione Pau y Solidarietat
della Confederazione operaia catalana (CCOO)
Data dell’intervista: 17.02.2005
Nome della persona intervistata: Alonso Ceferino, sindacalista responsabile del programma
dedicato alla Colombia all’interno del comitato operaio Pau y Solidarietat.
Riguardo alla fondazione ed alla sua attività di cooperazione.
11. Da quanto tempo la fondazione fa parte del coordinamento? In che modo è entrata a
farne parte? Per soddisfare quale esigenze?
La fondazione Pau y Solidarietat è un comitato operaio per la Cooperazione e la
Solidarietà con i paesi del terzo mondo. Essa è membro della tavola catalana per la Pace e i
Diritti Umani in Colombia dalla fondazione del coordinamento. La tavola si è costituita nel
febbraio del 2003, ma prima di essa in Catalunya sono sorti altri comitati di solidarietà
mobilitati attorno al problema colombiano, costituiti da organizzazione sociali, sindacali,
politiche, ONG, etc. Con la costituzione della tavola anche le istituzioni pubbliche sono
entrate a far parte di questo coordinamento già esistente, a cui noi partecipiamo da 8-10
anni.
12. Da quanto tempo la fondazione si interessa al processo di pace in Colombia? Quali
sono le iniziative promosse dalla fondazione?
La fondazione si interessa al processo di pace colombiano da sicuramente più di dieci anni,
visto che il conflitto risale a tempi molto più lontani. I contatti con alcune delle
organizzazioni sindacali colombiane, quali la CUT e la USO, risalgono a tempi più lontani.
Queste relazioni sono state intessute nel tempo attraverso diverse collaborazioni. A
seconda di quanto ci è stato chiesto nei diversi momenti, abbiamo di volta in volta
sostenuto queste organizzazioni fornendo loro aiuti concreti, permettendogli, ad esempio,
di compiere delle visite qui in Catalunya; altre volte, abbiamo fornito loro il nostro
appoggio politico, per esempio, per la presentazione ai governi colombiani di Carte di
denuncia da loro realizzate.
229
A livello catalano, la fondazione è impegnata nella realizzazione di un progetto di
cooperazione nella regione del Valle, attorno a Cali. Di fatto si tratta del primo progetto di
cooperazione che realizziamo. Il progetto è già stato approvato dalla Generalitat, ma non è
ancora stato avviato: comincerà entro la fine dell’anno in corso. Esso si occuperà della
formazione di un gruppo di sindacalisti appartenenti alla CUT, attorno a tematiche legate
alla salute lavorativa. Le modalità ed i caratteri specifici del progetto sono stati elaborati in
Colombia: sono stati i membri della CUT a rivolgersi a noi perché li aiutassimo a dare al
progetto la forma tecnica necessaria per potere partecipare ai bandi di finanziamento
catalani. Il progetto approvato durerà un anno; ad ogni modo contiamo di rinnovarlo ed
ampliarlo.
A livello nazionale si stanno finanziando altri progetti che riguardano interventi di varia
natura: dalla ricostruzione di uffici sindacali, alla fornitura di equipe informatici e di
materiale da stampa, al sostegno per popolazioni sfollate, incluso emigranti costretti ad
uscire dal paese.
Ad ogni modo, sia a livello locale che nazionale, riteniamo che il nostro compito primario
consista nel sensibilizzare ed informare la popolazione catalana e spagnola su quanto sta
accadendo in Colombia, cercare di far chiarezza sulle caratteristiche di un conflitto che si
prolunga oramai da così tanto tempo. Nessuno di noi pretende fornire soluzioni al conflitto:
riteniamo che questo competa alla popolazione colombiana. Da cui, consideriamo
necessario sostenere e divulgare qualsiasi iniziativa proveniente dalla popolazione civile
colombiana mirante alla risoluzione politica del conflitto. In particolare, condividiamo
appieno le tematiche attorno a cui sta lavorando la CUT e altri sindacalisti colombiani.
13. In che modo è stata garantita l’implementazione (mezzi economici, risorse umane) di
queste iniziative?
Finanziariamente il progetto verrà sostenuto dalla Generalitat della Catalunya. Per quanto
concerne le risorse umane, per la maggior parte sarà la CUT locale a fornirle. Naturalmente
se avessero bisogno di un qualche supporto - supervisori, insegnanti o materiale didattico ci preoccuperemo di inviare loro quanto richiesto.
14. Qualche vostro componente ha avuto la possibilità di recarsi in Colombia ed operare
sul territorio?
230
Come fondazione Pau y Solidarietat non siamo ancora stati in Colombia: come le dicevo
prima, questo che realizzeremo l’anno che viene è il nostro primo progetto di
cooperazione. Fino ad ora abbiamo ricevuto diverse visite da sindacalisti colombiani:
dell’agenzia telefonica nazionale della Colombia (ossia Telecom Spagna), di compagnie
petrolifere, di imprese tessili. Abbiamo accolto queste persone venute qui per tenere
conferenze e denunciare quanto sta accadendo nel loro paese.
15. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al
passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio
degli stati nazionali?
Non so se si possa dire che la cooperazione realizzata secondo modalità decentrate sia più
o meno efficace rispetto a quella realizzata nel passato da stato a stato. Sicuramente, quello
che si può dire è che la cooperazione di oggi, capace di collegare tra loro le diverse
comunità, è più democratica e plurale. Queste caratteristiche derivano dal fatto che la
modalità d’azione decentrata consente di arrivare a beneficiare una maggior varietà di
soggetti, rivolgendosi non solo alle amministrazioni pubbliche locali ma anche alle
numerose ONG che operano in Colombia su tematiche molto diverse tra loro: dal tema di
genere, a quello legato al mondo agrario, a quello sindacale, a quello indigeno, a quello
ambientale. Credo che questo garantisca una maggiore pluralità e ricchezza rispetto al
passato in cui la cooperazione internazionale era affidata e totalmente gestita dai governi
dei paesi donatori e dei paesi beneficiari. Naturalmente, il suo orientamento era molto più
influenzato dalla tipologia e dall’ideologia dei governi in carica.
Riguardo al coordinamento.
9. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo
interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale? Esiste un rappresentante unico
della tavola? Come viene scelto?
La tavola ha una struttura orizzontale. La parola “struttura” non è adeguata: non abbiamo
di fatti nemmeno un presidente. Si tratta di un punto d’incontro tra diversi soggetti che si
sono riuniti per parlare e discutere sulle possibili modalità d’intervento a sostegno della
popolazione colombina. È vero che esiste una segreteria, ma le decisioni all’interno della
tavola si prendono sempre per consenso di tutti i partecipanti.
231
10. Caratteri positivi e negativi del coordinamento: vantaggi e svantaggi. In che cosa
potrebbe migliorare?
Il non avere una struttura rende più complesso e lento il processo decisionale. Questo
significa ad esempio che la sua produzione di documenti scritti sia molto difficile.
Dovendo tutto dipendere dal consenso unanime dei suoi componenti, il coordinamento è
poco agile, poco operativo in relazione al tempo. In una situazione d’urgenza quello che
normalmente accade è che il gruppo di ONG che ha avuto le prime informazioni riguardo a
fatti concreti informa la segretaria, che in linea teorica possiede solo compiti
amministrativi, nessuna responsabilità politica. La ristrettezza dei tempi di una simili
situazione però, fa sì che la segretaria assuma delle responsabilità e dei compiti non
propriamente suoi. Questo a svantaggio della persona che svolge il lavoro di segretaria e a
vantaggio della tavola, che altrimenti non opererebbe.
I vantaggi derivanti dall’inesistenza di un’organizzazione verticale permette però che
nessuno predomini sugli altri: tutti i partecipanti della tavola sono uguali, tutti hanno
potenzialmente lo stesso diritto d’intervento. Contemporaneamente, non ci sono obblighi di
alcun tipo: ognuno può partecipare secondo la propria disponibilità ed interesse. Questo
rende molto aperta la partecipazione alla tavola a qualsiasi organizzazione che lo desideri.
11. Oltre al coordinamento catalano, in Europa, esistono altri coordinamenti regionali:
che relazioni esistono tra voi? Quali sono o quali dovrebbero essere i criteri comuni
d’azione adottati o da adottare dai diversi coordinamenti regionali europei?
Per quanto riguarda il nostro coordinamento regionale ci sono stati contatti ed occasioni
che ci hanno reso possibile la conoscenza di alcuni coordinamenti simili operanti in altre
zone d’Europa, ma non ci sono relazioni che ci legano a loro stabilmente nel tempo. Ad
ogni modo dei coordinamenti a livello europeo ci sono: per esempio, mi riferisco ad
OIDACO, con la quale abbiamo collaborato senza farne direttamente parte; oppure, ad
alcuni coordinamenti europei tra associazioni e soggetti istituzionali di matrice cristiana,
con cui abbiamo lavorato bene.
Per quanto concerne dei possibili criteri comuni da raccomandare a questi coordinamenti,
sicuramente ci si può riferire all’apertura necessaria degli stessi verso soggetti istituzionali
e non, appartenenti a qualsiasi orientamento politico. In questo la tavola catalana riesce
232
molto bene: la varietà politica dei suoi componenti è molto ampia e ciò non costituisce un
problema per nessuno. Tutti hanno modo di sentirsi a proprio agio. Credo che questo
dipenda dalla drammaticità della situazione di violenza vissuta dalla popolazione
colombiana: di fronte alla gravità della situazione tutti dimostrano un’elevata disponibilità
a sedersi sullo stesso tavolo e a confrontarsi.
Riguardo il processo di pace colombiano.
8. Quali sono gli attori coinvolti nel processo di pace colombiano? Quali dovrebbero
essere?
Gli attori da coinvolgere nel processo di pace sono tutti: perché un processo di pace sia
efficace è necessario coinvolgere l’intera cittadinanza colombiana, dal governo,
all’esercito, ai partiti politici, alle organizzazioni sindacali, etc. Non bisogna escludere
nessuno.
9. Quali sono le maggiori difficoltà per raggiungere la pace in Colombia?
La domanda è troppo ampia e la risposta è complessa. Ad ogni modo questa complessità
dipende soprattutto dalla lunga durata del conflitto che ha largamente contribuito ad
approfondire le distanze tra le posizioni dei diversi soggetti coinvolti. Poi c’è la mancanza
di democrazia reale. Nonostante nel paese non ci siano stati periodi di dittatura, se non un
breve governo militare negli anni ‘50, lo svolgimento di elezioni per la scelta dei
governanti non è stato sufficiente ad assicurare la democrazia, perché queste elezioni si
sono svolte in modo irregolare. In una situazione di guerra, quale è quella colombiana, non
è possibile garantire ai cittadini la libera espressione delle proprie opinioni senza che essi
rischino di mettere in pericolo la propria vita.
10. Quali sono i soggetti istituzionali, politici, sociali che dovrebbero apportare gli sforzi
maggiori per la risoluzione del fenomeno del narcotraffico? E del fenomeno del
paramilitarismo?
Il narcotraffico è solo un problema del paese. Molti credono che risolvendo le questioni
legate al narcotraffico tutti i problemi del paese trovino una soluzione: questa è una visione
233
errata. Ci sono problemi strutturali della società colombiana che sono indice della
mancanza di democrazia nel paese e che contemporaneamente alimentano il narcotraffico,
come ad esempio l’elevato tasso di disoccupazione. I sindacalisti colombiani sono
consapevoli che la situazione economica del paese non facilita affatto l’avanzamento
democratico della nazione. Quindi, se si vuole incidere sulla diminuzione del fenomeno del
narcotraffico bisogna intervenire con misure atte a diminuire il tasso di disoccupazione,
rafforzare gli strumenti di democrazia reale, garantire il rispetto dei diritti umani, risolvere
la questione agraria fornendo soluzioni diverse ai contadini coltivatori di coca.
Quanto all’esistenza di bande paramilitari che agiscono nell’assoluta impunità, questo è un
problema la cui responsabilità va attribuita ai diversi governi che si sono susseguiti in
Colombia. Non ci sono altri responsabili visto che la crescita e il consolidamento di queste
gruppi è imputabile ad un cattivo funzionamento di alcune sue istituzioni chiavi, dalle
forze di sicurezza ai rappresentanti del potere giuridico.
11. Analisi dei movimenti sociali e politici attivi oggi per la costruzione di pace della
società colombiana. Caratteri negativi e positivi. Quali sono le carenze più evidenti e
come potrebbero migliorare.
L’attività politica colombiana è limitata da condizioni molto precarie e grosse difficoltà
determinate dallo stato di guerra del paese. I sindacati non possono esercitare appieno la
loro attività, così come le organizzazioni di donne e tutte le altre organizzazioni mobilitate
attorno ad altre tematiche: finché la situazione non cambierà il loro operato rimarrà
limitato.
12. Analisi della politica portata avanti dallo stato colombiano riguardo al processo di
pace durante l’attuale governo del presidente Uribe. Individuare quali sono le maggiori
carenze e difetti.
Quando Uribe arrivò al governo e durante la sua campagna elettorale promise di porre fine
alla violenza nel paese. La questione è che non spiegò chiaramente quale era la violenza
cui si riferiva: quella dei paramilitari, dei narcotrafficanti, dei guerriglieri, del capitalismo
selvaggio, dei latifondisti o delle corporazioni multinazionali. Col passare del tempo, è
stato chiaro che la violenza cui si riferiva era una sola: quella dei guerriglieri, per
234
combattere i quali ha ottenuto l’appoggio incondizionato del governo degli Stati Uniti.
Dato che il suo mandato si era concentrato nel perseguimento della sicurezza nazionale,
ritengo che il suo mandato possa essere considerato solo un grosso fallimento. Nel paese
continuano ad esserci omicidi, popolazioni contadine costrette ad abbandonare le loro
terre, violenza nelle fabbriche, nelle città. Se le statistiche mostrano una diminuzione del
tasso di omicidi, contemporaneamente esse mostrano che il numero degli omicidi selettivi
è aumentato. Ciò significa che è cresciuto il numero di uccisioni a danno di dirigenti
sindacali, leader politici, leader dei movimenti contadini, delle comunità indigene: si sta
cercando di eliminare l’opposizione alla politica del governo di Uribe tagliando le “teste
pensanti” del paese.
13. Qual è l’atteggiamento degli Stati Uniti in relazione alla situazione colombiana
dell’attuale presidenza Bush?
Credo che la Colombia sia uno degli ultimi stati dell’America Latina su cui
l’amministrazione statunitense possa esercitare una profonda influenza. Nell’ultimo
periodo abbiamo visto come nel continente sudamericano siano sorti dei governi ostili alla
politica statunitense, a partire dal governo di Chavez in Venezuela, che gode della più
ampia legittimità politica nel continente; del governo di Lula in Brasile, del governo
dell’Ecuador e dell’Uruguay, di quello dell’Argentina.
Inoltre la Colombia è l’unico paese del continente nel quale ci sia ancora una situazione di
guerra, per cui tutta l’aggressività, tutti gli investimenti degli Stati Uniti diretti
nell’industria bellica sono confluiti in Colombia. L’aumento della presenza militare
statunitense in Colombia e soprattutto nelle zone di confine con il Venezuela potrebbe
essere estremamente pericoloso.
14. Qual è l’atteggiamento dell’Unione Europea in relazione alla situazione colombiana?
Credo che la politica europea dovrebbe essere più chiara, più lontana e distante da quella
statunitense. Penso che dovrebbe sostenere in modo più efficace il rafforzamento
democratico e il rispetto dei diritti umani. Ritengo che attualmente l’Unione Europea non
agisca nel pieno delle sue potenzialità ma con molta paura e indugio, rimanendo troppo
condizionata dall’atteggiamento degli Stati Uniti e dalla opinioni espresse dei suoi
governanti. Di fatto essa interviene solo con programmi umanitari e di solidarietà, quando
235
invece dovrebbe aumentare il proprio sostegno economico per interventi miranti al rispetto
dei diritti umani, politici, sindacali, alla costruzione di un paese realmente democratico.
236
Intervista ad una rappresentante della Ruta Pacifica de las Mujeres,
ospite a Barcellona grazie ad un progetto finanziato dalla “Taula
Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colòmbia”:
Data dell’intervista: 23.02.2005
Nome della persona intervistata: Monica Valencia Giraldo, rappresentante della Ruta
pacifica de las Mujeres Colombianas.
Monica Valencia è una rappresentante del movimento colombiano di donne Ruta pacifica
de las Mujeres, ospite in Catalunya per un anno grazie a dei fondi ottenuti dalla Taula
Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colombia e messi a disposizione dalla
Generalitat. Il progetto di questa borsa è stato presentato all’Agenzia di Cooperazione
Catalana attraverso la ONG catalana Cooperacciò, membro del coordinamento. È il
secondo anno consecutivo che la Ruta Pacifica ha potuto beneficiare di questa borsa. Il fine
della borsa è quello di far conoscere l’esistenza del movimento di donne colombiane, la
drammatica situazione in cui sono confinate, le loro rivendicazioni e le iniziative che
portano avanti in Colombia.
Riguardo al movimento Ruta pacifica de las mujeres
1. Quando è nato il movimento?
La Ruta Pacifica rappresenta una parte dell’ampio movimento sociale delle donne
colombiane. Essa è sorta nel 1996 sulla base di un accordo nazionale di differenti
organizzazioni che si sono unite per dare una maggiore visibilità alla drammatica
situazione in cui vivono le donne colombiane in corrispondenza delle zone del conflitto
armato.
2. Qual è la sua composizione?
La Ruta Pacifica raccoglie oggi più di 350 organizzazioni di donne attive in diverse parti
del paese; al suo interno cospicua è anche la presenza di donne che aderiscono al
movimento in forma individuale. In modo approssimativo la Ruta Pacifica è formata da
3500 donne. La sua presenza è dislocata in quelli che noi definiamo le “zone focali” del
237
paese, che attualmente corrispondono a nove grandi città colombiane. Ad ognuno di essi
corrisponde una sede regionale.
3. Quali sono le sue dinamiche di funzionamento? È un movimento orizzontale o
verticale?
Si tratta di un movimento circolare: nello spazio più esterno ci sono i coordinamenti
regionali che raccolgono le diverse organizzazioni sparse nel territorio regionale; in quello
più interno c’è il coordinamento nazionale, formato da una rappresentante per ogni sede
regionale e coordinato da una segretaria esecutiva.
4. Quali sono i principi condivisi dall’insieme delle organizzazioni presenti nella Ruta
Pacifica?
La Ruta Pacifica nasce dalla volontà di rendere visibili i danni del conflitto armato
provocati da tutti gli attori coinvolti nel combattimento, in sostanza: la guerriglia, i
paramilitari e l’esercito colombiano. Non si tratta solo di un movimento di denuncia: le sue
varie componenti hanno elaborato una serie di proposte per sostenere una soluzione
politica del conflitto, tutte accomunate da quello che è il nostro principio fondante, ossia la
scelta della via pacifica. Gli altri principi basilari condivisi sono quelli della non violenza,
della resistenza civile, dell’antimilitarismo. Tutte le sue componenti operano nella
convinzione che la via militare non rappresenti una soluzione possibile di un conflitto così
prolungato. L’ obbiettivo del movimento è quello di contribuire alla costruzione di
relazioni etiche che permettano di valorizzare il tessuto sociale e la diversità delle
iniziative provenienti da tutti i soggetti sociali che condividono la via del pacifismo.
5. Quali sono state e quali sono le iniziative del movimento?
Per la difesa di queste idee sono anni che organizziamo una serie di manifestazioni che
culminano nella giornata del 25 novembre, che corrisponde alla giornata nazionale della
non violenza. In quest’occasione i temi affrontati non sono legati ovviamente solo alla
pace, ma anche e soprattutto alla guerra. Di fatti uno dei nostri obbiettivi è quello di
rendere visibili le differenti manifestazioni del conflitto che interessano le diverse zone del
paese.
238
La nostra mobilitazione è iniziata nel 1996 nella zona dell’Urabà, nel nord-est del paese,
nelle vicinanze del confine con Panama. Si tratta di una zona dove in passato la presenza
delle forze guerrigliere era molto elevata: sia delle FARC, che dell’ELN, che dell’EPL.
Attorno al 1996 cominciarono ad esserci delle tensioni tra le FARC e l’EPL. Qualche anno
prima invece, tra il 1994-95, la zona fu interessata da un rafforzamento delle truppe di
autodifesa, ossia eserciti privati assoldati dai grandi latifondisti e industriali, nelle zone
dove lo stato non riesce a garantire un controllo sufficiente del territorio. Il paramilitarismo
è un fenomeno che ha cominciato a manifestarsi a partire dagli anni ’80 e rappresenta un
mezzo con cui gli industriali e i latifondisti hanno scelto di difendere i propri interessi e
proprietà, messi in pericolo dalle azioni predatorie dei gruppi guerriglieri. La zona
dell’Urabà rappresenta un territorio strategicamente molto importante per la propria
posizione geografica: sia per il commercio internazionale di armi e di sostanze illegali, ma
anche per essere destinatario di un immenso progetto statunitense, quello legato alla
costruzione del canale interoceanico. Infine, questa regione inizia ad essere interessata
anche dall’avvio di progetti di sostituzione delle coltivazioni preesistenti: quella che è stata
per molto tempo una zona bananiera, oggi viene coltivata sempre più intensamente con la
palma, destinata al commercio internazionale. Una delle caratteristiche dell’attuale
conflitto armato è di fatti quello di consistere in una disputa per il controllo di territori
strategici dal punto di vista economico e geopolitico. Sono territori in cui si concentrano
molte delle risorse del paese o in corrispondenza dei quali dovrebbero essere avviati grandi
progetti internazionali. Si tratta pertanto di terre dall’elevato valore economico, soprattutto
per investitori stranieri: statunitensi in primo luogo, ma anche europei e giapponesi.
In seguito abbiamo proseguito la mobilitazione in altre regioni: per due anni siamo state
nella città di Barrancabermeja, nel Magdalena Medio; poi nella città costiera di Cartagena.
Nel 2002, in corrispondenza della fine dell’amministrazione Pastrana, organizzammo una
grossa mobilitazione nella citta di Bogotà, insieme a Iniciativas de mujeres por la Paz,
Iniciativas nacionales de mujeres, Iniciativas Nacionales de Consertaciòn, Organizaciòn
Feminil Popular de Barranca. In quell’occasione riuscimmo a radunare più di 50.000
donne colombiane. La finalità di questa mobilitazione era di elaborare un’agenda politica
da presentare alla nuova amministrazione. Il suo punto centrale consisteva
nell’affermazione della necessità di una soluzione politica del conflitto armato. L’agenda
conteneva inoltre: una denuncia della violenza generalizzata tra tutti gli attori armati contro
le donne (esercito incluso); l’affermazione della necessità del rispetto dei Diritti Umani e
239
del Diritto Umano Internazionale; la rivendicazione di una maggior partecipazione delle
donne nella formulazione dell’agenda politica della nazione.
Nel 2003 scegliemmo la regione a sud del paese, confinante con il Brasile, Ecuador e Perù,
il Putumayo. Questa è una delle aree maggiormente interessate dalla messa in atto del Plan
Colombia. Questo piano d’intervento mirante alla soluzione del conflitto e caratterizzato da
una forte componente militarista è stato elaborato dal governo colombiano e statunitense.
La sua implementazione è stata possibile grazie ad un forte appoggio proveniente
dell’amministrazione statunitense, che lo ha interpretato come strumento della sua lotta
anti-droga. Pertanto, essere una delle zone maggiormente interessate dai fondi messi a
disposizione del piano significa, in concreto, essere colpiti da un intenso programma di
fumigazioni. Il prodotto chimico utilizzato nelle fumigazioni è il glifosfato, che produce
seri danni all’ambiente e alla popolazione che ne viene a contatto. Questo prodotto non
brucia solo le piante di coca e papavero sulle quale viene gettato dagli aerei, ma contamina
anche il resto dei prodotti coltivati nelle vicinanze, a danno della popolazione contadina
che non riesce a produrre nemmeno i prodotti necessari alla sopravvivenza. Ricerche svolte
sul territorio interessato hanno dimostrato che questo agente chimico, infiltrandosi nelle
falde acquifere, è capace di rendere improduttiva la terra colpita e quelle delle vicinanze in
modo definitivo. Nel 2003 la Ruta Pacifica decise di organizzare diverse manifestazioni
nel territorio del Putumayo per far conoscere tutti questi aspetti che si celano dietro il
conflitto.
Ogni anno scegliamo di andare in una regione differente perché, come accennato prima, il
conflitto ha caratteri e manifestazioni diverse a seconda dei differenti territori del paese.
Quest’anno andremo in Chocò, una regione molto ricca in biodiversità. Poiché essa
corrisponde ad una delle zone più piovose del mondo, il suo valore economico è molto
elevato essendo il territorio ideale per qualsiasi tipo di progetto idroelettrico. Inoltre, la
zona del Chocò è di grossa importanza strategica anche perché dovrebbe essere
attraversato dal canale interoceanico. In corrispondenza di questa zona, per l’aumento
dell’intensità del conflitto, si sono registrati i tassi più elevati di abbandono forzato delle
terre da parte di numerose comunità e del conseguente appropriamento illegale delle stesse
da parte dei diversi attori armati. Alto è anche il numero di comunità costrette
all’isolamento: quelle comunità che si rifiutano di abbandonare la loro terra vengono
confinate in piccole zone estremamente controllate dalle bande armate: la possibilità di
uscire ed entrare da queste zone viene limitata non solo alle persone ma anche a qualsiasi
prodotto agricolo o medicamento. Queste pratiche di appropriazione illegale e di
240
confinamento vengono messe in atto non solo dai guerriglieri e dai paramilitari, ma anche
dallo stesso esercito colombiano: esse rappresentano un modo efficace di controllare le
migrazioni delle comunità e di utilizzare alcune di loro come scudi umani.
Le nostre mobilitazioni hanno lo scopo primario di mostrare cosa significa per le comunità
locali vivere in una situazione di conflitto, con particolare riguardo alle violenze vissute
dalle donne. Da un lato, esse sono oggetto di violenze psico-sociali determinate dal clima
di terrore che si istaura nel conflitto; dall’altro, sono vittime di forme di schiavitù sessuale
e domestica, del controllo della loro vita affettiva e del loro corpo, anche per quanto
riguarda il suo lato meramente estetico (abbigliamento, etc.). Tutte queste violenze fanno si
che il corpo della donna rappresenti un bottino di guerra, in particolare la riappropriazione
dell’immagine della donna viene utilizzata simbolicamente come dimostrazione di forza di
fronte all’avversario.
6. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al
passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio
degli stati nazionali? Sul territorio è possibile notare cambiamenti visibili rispetto al
passato?
Personalmente non opero nella cooperazione internazionale.
Ad ogni modo, rispetto al tema posso riferirle circa alcuni tentativi fatti da Uribe per
l’approvazione di un suo progetto di legge che ancora non ha ottenuto la maggioranza in
Parlamento. Con esso il governo si propone di centralizzare gli aiuti alla cooperazione
destinati al rafforzamento dei diritti umani. L’idea consiste in far sì che questi fondi entrino
nelle casse dello Stato, dalle quali poi verrebbero successivamente ripartiti a favore delle
diverse organizzazioni non governative che operano in questo campo. La risposta
immediata delle organizzazioni internazionali presenti sul territorio colombiano è stata
quella di minacciare l’abbandono del paese, nel caso in cui la legge fosse stata approvata.
In seguito, il governo Uribe ha tentato di introdurre dei meccanismi di controllo
sull’operato delle organizzazioni sociali colombiane, interrogandole sulle loro fonti di
informazione e sulle modalità in base alle quali elaborano i loro documenti: con queste
misure il Governo ha cercato di limitare il protagonismo delle organizzazioni della società
civile. Successivamente, ha istaurato altri meccanismi di controllo anche sulle
organizzazioni internazionali. Per esempio, ha preteso la consegna dei loro bilanci mensili
e ha deciso la chiusura di alcune organizzazioni i cui bilanci superavano determinate
241
soglie. Contro la resistenza opposta da alcune di queste organizzazioni, che si sono rifiutate
di presentare la documentazione richiesta, è stato fissato il pagamento di una multa così
alta da mettere in pericolo la loro stessa sopravvivenza.
Riguardo il processo di pace colombiano.
15. Quali sono gli attori coinvolti nel processo di pace colombiano? Quali dovrebbero
essere?
Il processo di negoziazione dovrebbe coinvolgere tutti gli attori armati. Fino a questo
momento lo stato colombiano ha cercato diverse volte di avviare dei processi di
negoziazione, ma i fallimenti ottenuti sono stati determinati dalla metodologia adottata. La
scelta della classe politica al governo è sempre stata quella di convocare i diversi attori
armati in momenti differenti, presentando loro proposte tra loro molto distanti. Secondo
noi, l’unica soluzione consiste nel far sedere tutti gli attori coinvolti nel conflitto sullo
stesso tavolo delle trattative.
Questa è una delle ragioni per le quali non condividiamo il modo in cui lo stato
colombiano sta affrontando il processo di negoziazione con le forze paramilitari. Inoltre, a
parte la consegna delle armi, questo processo non è affiancato da un quadro giuridico
appropriato, che definisca in modo chiaro quali sono le condizioni del processo e in che
modo verrà garantita la giustizia e la verità riguardo a quanto accaduto sessanta anni di
guerra. Di fatti, lo stato non ha presentato alcuna agenda politica da adottare dopo la
consegna delle armi, finalizzata al reinserimento degli ex combattenti nella vita civile.
Visto e considerato che le forze paramilitari possiedono oggi un forte potere politico,
economico e sociale, la consegna delle armi non garantisce che il disegno paramilitare
venga effettivamente fermato. Oggi le loro aspirazioni tendono ad essere di carattere
prevalentemente politico, piuttosto che militare.
16. Quali sono le maggiori difficoltà per raggiungere la pace in Colombia?
Le difficoltà maggiori sono quelle legate alla messa in atto di un processo di pace
realmente sostenibile nel tempo. È necessario apportare cambiamenti strutturali nella
società colombiana: economici, politici, sociali e culturali. Per questo, uno dei primi passi
242
dovrebbe essere l’apertura di processi di negoziazione supportati da un chiaro quadro
giuridico che garantisca la giustizia, la verità e la riparazione.
17. Quali sono i soggetti istituzionali, politici, sociali che dovrebbero apportare gli sforzi
maggiori per la risoluzione del fenomeno del narcotraffico?
L’economia illegale della droga ha permeato tutta la società e le sue classi: dagli
industriali, ai politici, alle classi povere che forniscono eserciti di sicari a loro servizio, a
tutti i gruppi armati.
Lo stato colombiano ha cominciato a lottare contro il narcotraffico solo sotto la pressione
degli Stati Uniti: la politica portata avanti è stata una politica fondata sulla forza, mirante
alla distruzione delle grandi strutture dei narcotrafficanti (cartello di Medellìn e di Cali) e
alla distruzione delle terre che forniscono il commercio della sua materia prima. La
strategia adottata non ha tenuto conto del fatto che l’economia del narcotraffico ha
permeato la società così in profondità che il sistema non ha mostrato grosse difficoltà a
riprodursi ed adattarsi alla nuova situazione di attacco frontale. Per sconfiggere il
fenomeno bisogna quindi tenere conto che chi controlla le fila di questo commercio si
riproduce con facilità, che dietro le quinte ci sono anche le forze paramilitari, non solo
quelle guerrigliere.
La strategia statale continua ad attaccare gli ultimi anelli della catena: mi riferisco ai
piccoli coltivatori di coca e papavero che traggono un profitto economico minimale,
sufficiente solo per garantire la loro sopravvivenza; oppure, alle numerose donne arrestate
per piccole quantità di droga. Quali sono invece gli strumenti adottati contro i grandi
produttori e trafficanti di droga? Come si stanno attaccando le fondamenta di questa
economia immensa che ha permeato anche gli strati di potere più elevati? Non bisogna
dimenticare che sono numerosissime le industrie e le imprese nazionali alimentate dal
denaro proveniente dal narcotraffico.
Simili critiche possono essere rivolte al governo statunitense, che ritiene che il problema
possa essere risolto concentrando tutte le forze sulla limitazione dell’offerta proveniente
dai paesi produttori, senza tener conto che il commercio internazionale di droga è
alimentato, in primo luogo, dalla domanda, proveniente in gran parte dai paesi occidentali,
Stati Uniti in testa. Perché gli Stati Uniti non si agiscono, ad esempio, contro la produzione
e l’esportazione dei prodotti chimici necessari alla raffinazione delle droghe, visto e
considerato che la maggior parte di questi prodotti viene proviene dal loro paese?
243
Che tipo di ruolo svolgono le donne in questo commercio?
Si è riscontrato che nelle zone ad alta intensità del conflitto le donne godono di una
maggiore facilità di movimento rispetto agli uomini, sospettati di appartenere ad uno o
all’altro gruppo armato. Per questo motivo, nelle comunità di queste zone sono loro ad
occuparsi della commercializzazione di tutti i prodotti agricoli. Questo mette le donne in
una situazione di maggiore esposizione di fronte alla violenza dei gruppi armati. La
commercializzazione di coca o pasta di coca invece, è ancora concentrata nelle mani degli
uomini delle comunità, anche se lentamente sta coinvolgendo in misura sempre maggiore
l’intera famiglia.
E del paramilitarismo?
Il paramilitarismo è un fenomeno che è sorto e si è consolidato fino alle sue dimensioni
attuali (si parla di 10.000-15.000 unità) grazie alla complicità dello stato centrale e alla
permissività delle forze di sicurezza dipartimentali e locali, nonostante lo stato non
riconosca nessuna responsabilità o connessione esistente tra le forze armate e quelle
paramilitari. In realtà, molti sono stati i casi denunciati dalla popolazione civile riguardo le
collaborazioni tra membri delle forze armate e paramilitari. Lo stato colombiano ha invece
sempre negato con forza la teoria della strategia di stato, attribuendo tutte le responsabilità
del fenomeno al comportamento individuale di alcuni generali. Ad ogni modo, il
paramilitarismo ha da sempre rappresentato una forza armata che non si è mai opposta al
potere statale e che, al contrario, ha sempre riconosciuto la legittimità della sua autorità.
L’obbiettivo di questa forza in armi è ottenere il controllo dell’ordine pubblico. Per il
raggiungimento di questo obbiettivo, le forze paramilitari hanno da sempre sposato una
strategia in linea a quella adottata dallo stato colombiano: la via militare. Infine, non
bisogna dimenticare che in passato, di fronte all’inefficienza e alle ristrettezze numeriche
dell’esercito, fu lo stato ad affidare alle forze paramilitari il compito di assicurarsi il
controllo di quelle terre di frontiera, che avrebbero poi dovuto essere riconsegnate
all’autorità centrale.
244
Perché lo stato colombiano non ha direttamente investito le proprie risorse nelle forze di
sicurezza già esistenti per assicurare allo stato il monopolio della forza in tutto il
territorio della nazione?
Da un lato, le forze di sicurezza sono state impegnate per anni nella guerra condotta contro
le forze guerrigliere del paese: questo ha naturalmente limitato la disponibilità degli
effettivi. Dall’altra, lo stato ha trovato nelle forze paramilitari lo strumento migliore per
poter compiere ogni genere di azione senza dover risponderne in modo diretto.
Ad ogni modo, il punto centrale della questione è la mancata presa di coscienza da parte
delle istituzioni statali che il controllo del territorio non si esaurisce nella sola presenza
militare. Quello che dobbiamo domandare alla classe politica è perché i governi
colombiani non hanno pensato di investire in altre istituzioni statali che assicurassero in
modo più efficiente e democratico la propria presenza sul territorio nazionale ed un
consenso nazionale più ampio. Mi riferisco, ad esempio, a strutture sanitarie o educative.
Pertanto, per rispondere alla sua domanda iniziale, credo che il soggetto istituzionale
tenuto ad apportare lo sforzo maggiore per la risoluzione del fenomeno paramilitare altro
non possa essere che lo stato stesso. Come accennato prima, tale sforzo non deve però
limitarsi al raggiungimento della sola consegna di armi. Lo stato colombiano deve
assicurare lo smantellamento dell’intero apparato paramilitare, soprattutto nella sua
componente economica e politica. Questo significa garantire i mezzi giuridici necessari
affinché prevalga la giustizia e non l’impunità. Solo attraverso la restituzione delle terre ai
legittimi proprietari si assicurerà la riparazione dei danni subiti dalla popolazione civile e,
contemporaneamente, lo smantellamento del potere economico paramilitare. Infine, solo
riconoscendo pubblicamente tutte le connessioni tra forze di sicurezza statali, forze
paramilitari e forze politiche, si potranno porre le basi necessarie per avviare un vero
processo di riconciliazione, sulla base del quale ricostruire l’intero tessuto sociale
nazionale. In particolare, per noi è importante che in queste aule di tribunale venga data la
giusta visibilità a tutti i crimini commessi a danno delle donne
18. Analisi dei movimenti sociali e politici attivi oggi per la costruzione di pace della
società colombiana. Caratteri negativi e positivi. Quali sono le carenze più evidenti e
come potrebbero migliorare.
In modo molto sintetico elencherei:
245
a. Il movimento di donne, all’interno del quale si trovano organizzazione attive per la
difesa dei diritti umani, l’avanzamento del processo di pace, la visibilizzazione degli effetti
della guerra a danno delle donne;
b. Il movimento per la pace;
c. Il movimento per la difesa dei diritti umani e il rispetto del Diritto Internazionale
Umanitario;
d. Il movimento indigeno, che negli ultimi anni ha acquisito molta forza soprattutto in
risposta alla politica di Seguridad Democratica di Uribe. Questa politica prevede
l’estensione della presenza militare in tutto il territorio nazionale, attraverso il
coinvolgimento della popolazione civile: con un programma che ha portato
all’organizzazione di un milione di “vigilanti” e di “reti di informatori”, il governo ha
coinvolto parte della popolazione civile nello svolgimento di operazioni di intelligenza,
offrendo laute ricompense a tutti coloro che offrono informazioni ai corpi di sicurezza
dello stato. In seguito, ha completato questa politica militarista con la creazione dei
cosiddetti “soldati-contadini”, a cui sono state consegnate armi dell’esercito. Questo ha
portato a detenzioni arbitrarie ed, in alcuni casi, a detenzioni di massa per il recupero di
informazioni. La popolazione indigena ha saputo mettere in atto una strategia di pressione
a proprio favore contro questo tipo di politica, rivendicando l’autonomia territoriale e
giuridica dei propri territori.
In seno alla società colombiana esistono molteplici differenze: questo di per sé non
rappresenta una difficoltà ma, nel momento in cui forti rimangono le divisioni determinate
dalle appartenenze politiche, è difficile trovare i necessari punti in comune sulla base dei
quali rafforzare l’azione dei diversi movimenti sociali.
Per quanto riguarda il movimento di donne, per il momento le carenze più evidenti non
sono interne al movimento, piuttosto, riguardano la scena politica nel suo complesso:
nonostante le rivendicazioni delle donne comincino ad essere sempre più ascoltate in seno
alla società colombiana, la sordità dello stato non accenna a migliorare. Questo perché le
nostre domande fanno riferimento all’apertura di spazi politici e perché quello che
mettiamo alla luce sono i danni provocati dalla guerra.
La stessa strenua resistenza dello stato e della classe politica dominante non riguarda solo
il movimento delle donne, ma tutti i movimenti provenienti dalla società civile che
appoggiano una politica di pace. Tutti i processi di negoziazione avviati dallo stato si sono
sempre rivolti esclusivamente agli attori armati, guerriglieri o paramilitari. Al contrario, lo
246
stato continua a negare l’apertura di qualsiasi spazio di concertazione verso la società
civile.
Nel 2003 il governo colombiano stimolò l’apertura di una “Tavola di donanti” che si tenne
nella città di Londra. In quest’occasione il governo presentò una serie di proposte di
cooperazione internazionale, sulla base delle quali i diversi paesi donatori offrirono il loro
appoggio economico. La società civile colombiana si mobilitò affinché l’utilizzo degli aiuti
messi a disposizione dall’Unione Europea fosse condizionato al rispetto dei diritti umani e
al riconoscimento da parte dello stato colombiano delle proprie responsabilità, in
riferimento alle valutazioni negative riguardo a questa tematica provenienti dalla sede di
Bogotà dell’Alto Commissionato delle Nazioni Unite.
Nel 2005 si è tenuta un secondo incontro nella città colombiana di Cartagena, in cui il
governo di Uribe ha cercato di rendere effettivi gli aiuti promessi l’anno precedente dalle
potenze occidentali. Di fronte ai rappresentanti dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e del
Canada Uribe ha negato l’esistenza del conflitto armato e la crisi umanitaria, riferendosi
alla situazione colombiana solo in termini di violenza come prodotto del terrorismo e di
“situazioni umanitarie critiche”. Inoltre, ha tentato di svincolare la concessione degli aiuti
dal tema del rispetto dei diritti umani. In risposta a questo atteggiamento la società civile
colombiana ha continuato nella sua mobilitazione avviando una campagna internazionale
sostenuta ampiamente dalla comunità internazionale delle organizzazioni non governative,
che a loro volta hanno fatto pressione sui propri governi. Il risultato di tale mobilitazione
congiunta ha fatto sì che nel documento finale sottoscritto dall’Unione Europea, dalla Gran
Bretagna e dal Canada si riconoscesse l’esistenza del conflitto armato colombiano e
l’insufficienza dell’intervento dello Stato colombiano per risolvere la situazione di crisi
umanitaria e adempire alle raccomandazioni dell’Alto Commissionato delle Nazioni Unite.
Agli occhi della popolazione civile colombiana questo è stato un atto importante: così
facendo, i paesi occidentali firmatari della dichiarazione finale non hanno concesso carta
bianca allo Stato colombiano, riconoscendo in esso uno dei responsabili delle violazioni
dei diritti umani, a causa dell’insufficienza d’intervento dimostrata in situazioni
drammatiche come quella vissuta dai 2 milioni di sfollati e dalle comunità “confinate.”
19. Analisi della politica portata avanti dallo stato colombiano riguardo al processo di
pace durante il passato governo Pastrana e l’attuale governo Uribe. Individuare quali
sono le maggiori carenze e difetti.
247
Pastrana ebbe il merito di avviare un processo di negoziazione con le FARC, dopo quasi un
decennio in cui lo stato si era rifiutato di riconoscere nella guerriglia un soggetto politico.
Le trattative fallirono prima ancora che si arrivasse alla discussione dei punti focali
dell’agenda, ossia le riforme sociali, politiche ed economiche. Il processo di negoziazione
si arenò sulla discussione attorno alle condizioni preliminari, ossia le condizioni
riguardanti la zona sgombrata dalle forze dello stato e lasciata al controllo delle FARC e
l’impegno dello stato nel risolvere la questione del paramilitarismo, per garantire la vita e
il rispetto dei diritti umani dei guerriglieri disposti ad abbandonare le armi e delle comunità
loro sostenitrici.
Dal canto suo, Uribe non ha promosso l’avvio di alcun tipo di negoziazione con nessuno
degli attori armati. Da un lato, non considera affatto la guerriglia come un soggetto politico
con il quale poter aprire un dialogo. Dall’altro, come già accennato, sta procedendo nella
smobilitazione delle forze paramilitari limitandosi alla sola consegna delle armi.
Quello di cui ha bisogno il paese è una politica di negoziazione basata su una metodologia
capace di confrontarsi con tutti gli attori armati. Allo stesso tempo, nella definizione di
questa politica lo stato colombiano deve tenere conto delle rivendicazioni provenienti dalla
società civile.
20. Qual è l’atteggiamento degli Stati Uniti in relazione alla situazione colombiana
dell’attuale presidenza Bush?
L’atteggiamento del governo degli Stati Uniti si fonda sulla convinzione che la guerriglia
rappresenta una grave minaccia per la stabilità colombiana. In riferimento al tema del
paramilitarismo, il governo Bush ha espresso alcune riserve sulla condotta del governo
colombiano, affermando che lo stato non sta fornendo sufficienti garanzie perché il
processo avviato non si limiti ad essere solo una smobilitazione. Poiché gli interessi
economici e politici degli Stati Uniti in Colombia sono molto forti, è probabile che il
governo di Uribe si mostri accondiscendente verso le sue raccomandazioni, permettendo
così il rafforzamento di un sistema politico più favorevole agli Stati Uniti. La posizione
assunta da Uribe riguardo alla scelta di riferirsi al conflitto in termini di terrorismo e non di
conflitto armato, è evidentemente in linea con la politica assunta dagli Stati Uniti in seguito
agli avvenimenti dell’11 settembre 2001. Molte sono le implicazioni derivanti dal cambiare
la prospettiva di un conflitto armato interno; la più grave consiste nel non riconoscere allo
248
stato il ruolo attivo avuto nel conflitto e nel mostrarlo all’opinione pubblica nazionale e
mondiale unicamente nelle vesti di una vittima, il cui dovere militare è la strenua difesa
della democrazia. Al contrario, l’esistenza stessa di un conflitto interno indica che esistono
profonde disfunzioni e disagi legati a condizioni socio-politiche da riformare. Parlare di
terrorismo nega le ragioni del conflitto armato, nega la sua storia e le ragioni politiche ed
economiche che hanno causato la nascita dei gruppi armati. Questa strategia potrebbe
essere risultato della volontà del governo statunitense che si adopera per raggiungere una
maggiore stabilità colombiana, a patto che essa sia consona ai propri interessi.
21. Qual è l’atteggiamento dell’Unione Europea in relazione alla situazione colombiana?
In base a quanto si è potuto vedere negli incontri di Londra e Cartagena l’atteggiamento
dell’Unione Europea è ambiguo. Nonostante le dichiarazioni, l’Unione non si è espressa in
modo esplicito contro la prosecuzione della guerra colombiana e fino ad ora non ha
garantito l’effettivo blocco degli aiuti provenienti dai suoi paesi membri.
La posizione assunta a Cartagena è stata importante anche perché in quell’occasione Uribe
cercava l’appoggio politico e finanziario al piano di smobilitazione avviato con le forze
paramilitari. La popolazione civile si è mobilitata affinché venisse riconosciuto necessario
non solo l’adempimento delle raccomandazioni dell’Alto Commissionato delle Nazioni
Unite riguardo al rispetto dei diritti umani, ma anche riguardo la necessità della definizione
di una chiaro quadro giuridico di riferimento, sulla base del quale procedere nello
smantellamento dell’intero apparato paramilitare e nell’instaurazione di un tribunale di
Verità, Giustizia e Riparazione. Pertanto, è necessario che l’Unione Europea prosegua
nella direzione intrapresa a Cartagena, prendendo i provvedimenti necessari per assicurare
che i suoi stati membri vincolino effettivamente la concessione degli aiuti all’adempimento
di tali condizioni.
249
BIBLIOGRAFIA.
Sui problemi relativi allo sviluppo in America Latina:
G. ALBERTI, Democracy by default, Movimientismo and Social Anomie. Università di
Bologna e CESDE, 1991.
G. ALBERTI, Transizione democratica in Perù: Problemi e possibilità, 1985.
F. H. CARDOSO, E. FALETTO, Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli,
Milano, 1971.
M. CARMAGNANI, G. CASETTA, America Latina: la grande trasformazione.19451985. Einaudi, 1989.
E. GALEANO, Le vene aperte dell’America Latina. X edizione, Sperling & Kupfler
Editori, Milano, 1997.
S.P. HUNTIGTON, Ordine politico e mutamento sociale. Angeli, Milano, 1979.
G. O’DONNELL, Delegative Democracy. CEBRAP, University of Notre Dame, Kellogg
Institute.
G. O’DONNELL & P. SCHMITTER, Latin America. John Hopkins University Press,
London, 1986.
V. BULMER THOMAS, The economic history of Latin America since indipendence.
Cambridge Universitu Press, Londra, 1994.
Per la ricostruzione dei processi storici, economici e sociali della Colombia:
AA. VV., Repensar a Colombia: Hacia un nuevo contrato social. Panamericana Formas e
Impresos, Bogotà, 2002.
250
A. ALAPE, Manuel Marulanda: Tirofijo. Colombia: 40 anos de lucha guerrillera.
Txalaparta, Nafarroa, 2000.
AHUMADA CONSUELO, El modelo neoliberal y su impacto en la sociedad colombiana.
El Ancora Editores, Bogotà, 1998.
M. ARANGUREN MOLINA, Mi confesión. Carlos Castaño revela sus secretos. Editorial
Oveja Negra, Colombia, 2001.
A. BALCAZAR, Las transformaciones agrícolas en la décade de los noventa. Misión
Rural, Bogotà, 1998.
C. BERQUIST, R. PE_ARADA, G. SANCHEZ, Violence in Colombia: The contemporary
crisis in Historical Perspective, Scholarly Resources, USA, 1992.
L. BETHELL, The Cambridge history of Latin America. Volume V. Cambridge University
Press, Cambridge, 1986.
L. BETHELL, The Cambridge history of Latin America. Volume VIII. Cambridge
University Press, Cambridge, 1991.
E. BLAIR TRUJILLO, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.
F. LEAL BUITRAGO, El oficio de la guerra. La seguridad nacional en Colombia.
Bogotà, Tercer Mundo Editores, 1994.
D. BUSHNELL, The making of modern Colombia: a nation in spite of itself. University of
California Press, Los Angeles, 1993.
G. CASETTA, Colombia e Venezuela. Il progresso negato. Giunti, Firenze, 1991.
CINEP & CREDHOS, Barrancabermeja, la otra versión: paramilitarismo, control social
y desaparición forzada 2000-2003. Bogotà, 2004.
251
CINEP, Politicas sociales en Colombia 1980-2000. CINEP, Bogotà, 2002.
.
C. ECHANDIA CASTILLA, El conflicto armado y las manifestaciones de la Violencia en
las Regiones de Colombia. Presidenza della Repubblica di Colombia, Ufficio dell’Alto
Comisionado por la Paz, Bogotà, 2000.
J. G. FERRO & G. URIBE RAMON, El orden de la guerra. Centro Editoriale Javeriano,
Bogotà, 2002.
M. GARCIA, En busca de una paz viable. Mimeo. Cinep. Bogotà, 1991
J. GARCIA, The timing and sequency of a trade liberalization policy: Colombia 19671982. Mimeo, World Bank, 1986
J. I. GONZALEZ, Colombia ante los retos del siglo XXI: desarrollo, democrazia y paz.
Ediciones Universidad Salamanca, Salamanca, 2004.
C. GUILLERMO ALVAREZ, Economía y política petrolera. Fotolito America, Bogotà
2002.
R. HERNANDEZ PARDO, Memoria del ministro de Guerra al Congresso del 1961.
Imprenta y pubblicaciones de las Fuerzas Armadas, Bogotà, 1961.
IEPRI, Instituto de Estudios Políticos y Relaciones Internacionales, Universidad Nacional
de Colombia, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Planeta, Bogotà,
2001.
G. IRIARTE, La deuda externa es inmoral. Ediciones Paulinas, segunda ediciòn, Bogotà,
1992.
G. N. JIMENEZ, Plan Colombia. ABC de una tragedia. Zitra, 2001.
S. KALMANOVITZ, Las instituciones y el dasarrollo econòmico en Colombia. Norma,
Bogotà, 2001.
252
R. KIRK, More terribile than death: massacres, drugs and America’s war in Colombia.
Pubblic Affairs, New York, 2003.
G. LIVINGSTONE, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau,
London, 2003.
A. LOPEZ, Problemas colombianos. Tercer Mundo, Bogotà, 1993.
A. MONTA_ANA, Il ruolo della droga. In Colombiani: Storie da un paese sotto
sequestro. Internazionale Indice, Roma, 2000.
A. MONTENEGRO e C. POSADA, Criminalidad en Colombia. Banco de la Repubblica,
Borradores Settimanale di Economia n. 4, Bogotà, 1994.
A. S. MONTOYA, Modelo del FMI. Economia Colombiana 1990-2000. Ediciones Aurora,
Bogotà, 2002.
A. S. MONTOYA, Critica al Alca. Ediciones Aurora, Bogotà, 2003.
L. NAPOLEONI, La nuova economia del terrorismo. Il Saggiatore, Milano, 2003.
Observatorio de Paz, Las verdaderas intenciones del ELN. Intermedio, Bogotà, 2001.
Observatorio de Paz, Las verdaderas intenciones de las FARC. Intermedio, Bogotà, 1999.
Observatorio de Paz, Las verdaderas intenciones de los paramilitares. Intermedio, Bogotà,
2002.
OCAMPO & LORA, Colombia y la deuda externa. Fedesarrollo, Tercer Mundo Editores,
Bogotà, 1988.
J. ORLANDO MELO, The drug trade, politics and the economy: the colombian
experience, in E. Joyce e C. Malamud editores, Latin America and the multinational drug
trade. St. Martin’s Press, New York, 1998
253
C. M. ORTIZ, Estado y subversiòn en Colombia. La violencia en el Quindìo años
cinquenta. Cider, Cerec, Bogotà, 1985.
J. L OREJULA, Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. In Narcotràfico en
Colombia. Dimensiones politicas, econòmicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo,
Bogotà, 1991.
M. PALACIOS, El populismo en Colombia. Bogotà, 1971.
M. PALACIOS & F. SAFFORD, Colombia: fragmented land, divided society. Oxford
University Press, New York, 2002.
E. PALACIO SARMENTO, Como construir una nueva organización económica. Editorial
Escuela Colombiana de Ingenieria, Bogotà, 2000.
G. PICCOLI, Colombia il paese dell’eccesso: droga e privatizzazione della guerra civile.
Feltrinelli, Milano, 2003.
G. PICCOLI, Pablo e gli altri: trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994.
E. PIZARRO LONGOMEZ, Insurgencia sin revoluciòn. La guerrilla en Colombia en una
perspectiva comparada. Tercer Mundo, Bogotà, 1996
D. PECAUT, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.
D. PECAUT, Midiendo fuerzas. Balance del primer año del govierno de Alvaro Uribe
Vèlez. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003.
Presidencia de la Repùblica, Departamento Nacional de Planeaciòn, Cambio para
construir la paz. Plan Nacional de Desarrollo 1999-2002. Tercer Mundo Editores, Bogtà,
1998.
254
H. PROLONGEAU, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellìn.
Rizzoli, Milano, 1994.
A.REBASA, P. CHALK, Colombian Labyrinth: the synergy of drugs and insurgency and
its implications for regional stability. Rand, Santa Monica, CA, 2001.
S. J. RANDALL, Aliados y distantes. Historia de las relaciones entre Colombia y Estados
Unidos. Desde la Independencia hasta la guerra contra las drogas. Bogotà, Tercer
Munndo-Ediciones UniAndes-CEI, 1992.
A. S. RANGEL, Guerreros y politicos. Dialogo y conflicto en Colombia, 1998-2002.
Intermedio, Bogotà, 2003.
A. S. RANGEL, Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y
Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001.
N. RICHANI, The paramilitary connection. In NACLA Report on the Americas, vol
XXXIV, Settembre/Ottobre 2000.
R. SANCHEZ, Critica y alternativa. Las izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogotà,
2001.
A. SALAZAR & A. M. JARAMILLO, Las subculturas del narcotraffico. Cinep
Ediciones, Bogotá, 1992.
R. THORP, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia,
MacMillan Academic and professional, London, 1991.
A. TIRADO MEJIA, El gobierno de Laureano Gòmez. Nueva Historia de Colombia.
Planeta, Bogotà, 1989.
A. TORRES DEL RIO, Fuerzas armadas y seguridad social. Planeta Colombiana
Editorial, Bogotà, 2000.
255
A. YEPES, Quien se beneficia del ajuste, la guerra y el libre mercato? Paper, Bogotà,
2002.
Articoli e riviste sull’argomento:
V. GOUESSET,
El territorio colombiano y sus márgenes. La difícil tarea de la
construcción territorial. In Territorios. Revista de Estudios Regionales y Urbanos, nº 1,
agosto 1998 - gennaio 1999, Bogotá, Cider (Universidad de los Andes).
R. MAURIZIO (a cura di), Armonizzare le leggi per costruire una strategia comune. In
Cooperazione, n. 102, gennaio 1991, Fratelli Palombi editori.
F. MOSQUERRA, Hagamos del debate un cursillo que eduque a las masas. In Revista
Civil, Editorial Presencia, Bogotà, 1995.
R. T. NAYLOR, The insurgent economy: black market operations of guerrilla
organizations. In Crime, law and social change, n. 20, Kluwer Academic Publishers, 1993.
C. POSADA AYERBE, In Colombia una guerra impari tra armi e parole. In
Cooperazione, n. 102, gennaio 1991, Fratelli Palombi Editori.
A. REYES, G. HOYOS e J. HERREDIA, Estatuto de Seguridad. In Controversia, N. 7071, Bogotà, Cinep, 1978.
U. SAVONA, Nasce un nuovo organismo delle Nazioni Unite. In Cooperazione, n. 102,
gennaio 1991, Fratelli Palombi editori.
El Espectador, 20 febbraio 1983; 19 gennaio 1982; 22 marzo 1984; 13 marzo 1985; 25
marzo 1984.
El editorial agrario, luglio-settembre 1999.
El Tiempo, 20 aprile 1989.
256
Forbes, 5 ottobre1987: The World’s Billionaires.
Geopolitical Drug Watch, A drug primer for the late 1990s. Nella rivista Current History,
n. 97/618, 1998.
La Nueva Prensa, 15 settembre 1992.
La Repubblica, 21 marzo 1984.
Portafolio, 3 agosto 2000.
Revista Foro. Numero 49 Dic. 2003 - Febbr. 2004. Foro Nacional por Colombia.
Revistas de las Fuerzas Armadas, N. 94, gennaio-marzo 1980
Semana, n. 247, del 27 gennaio 1987.
New drug cartels hold tech advantage, Washington Post, 15 novembre 1999.
Pagine Web sull’argomento:
•
www.gratisweb.com/ciclocrisis/
Contiene i saggi dello storico ed economista H. MONDRAGON.
•
www.amnestiainternacional.org
Amnesty International
•
www.indymedia.org
•
www.cut.org.co
Sede Unitaria dei Lavoratori della Colombia (CUT)
•
www.onic.org.co
Organizzazione Nazionale Indigena della Colombia
257
Altro materiale sull’argomento:
Seminario “El conflicto social colombiano: una mirada historica”, tenutosi a Barcellona il
10-11 dicembre 2004.
Sul processo di pace in Colombia:
AA. VV., Democracia y Paz. A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002.
H. BRAUN, Our guerrillas, our sidewalks: a journey into the violence of Colombia.
Rowman and Littlefield Publishers, New York, 2003.
M. GIUGALE, O. LAFOURCADE, C. LUFF, Colombia the economic foundation of
peace. The World Bank, Washington, 2003.
LEECH GARY, Killing peace: Colombia’s conflict and the failure of U.S. intervantion.
Information Network of the Americas, New York, 2002.
Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo y Democrazia, Relecciòn: el
embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004.
Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, Informe nacional de desarrollo Humano
2003. El conflicto, callejòn con salida?, Bogotà, 2003, www.pnud.org.co/indh2003.
Presidenza della Repubblica di Colombia, Ministero della Difesa Nazionale, Politica de
Defensa y de Seguridad Democratica. Bogotà, 2003.
N. RICHANI, Sistems of violence: the political economy of war and peace in Colombia.
SUNY Press, Albany, 2002.
258
Articoli e riviste sull’argomento:
C. BARNES, Conciliation Resources. Owning the process. Pubblic Partecipation in Peace
Making; E. Alvarez, The Grand National Dialogue and the Oslo consultations: creating a
peace agenda. In ACCORD, Issue 13, 2002.
T. DIETZ, International ethics and Euroean integragion: federal state or network
horizon? In Alternatives, n.22, 1997.
W. J. GREEN, Gueriillas, soldiers, paramilitaries, assassins, narcos, and gringos: the
unhappy prospects for peace and democracy in Colombia. In Latin American Research
Review, vol. 40, num. 2, Giugno 2005.
M. RUDAS & C. CLAVIJO, Consideraciones claves en el diseño de las negociaciones de
paz: reflexiones para el caso colombiano. In Papeles de questiones internacionales n. 83,
2003.
VARGAS VELAZQUEZ, Los desafios del proximo Gobierno colombiano. In E l
Espectador, 16 giugno, 2002.
Pagine Web sull’argomento:
•
www.hchr.org.co
Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani
•
www.peacebrigades.org
Brigate internazionali di pace
•
www.escolapau.org
Semaforo e barometro della “Escuela de Cultura de Paz” della Università Autonoma di
Barcellona
•
www.codhes.co
Agenzia di Consulenza per le Popolazioni Sfollate e i Diritti Umani
259
•
www.observatoriomujeresderechos.org
Osservatorio di Donne e dei Diritti Umani
•
www.euro-colombia.org
Sulla concetto di società civile e la sua dimensione globale:
H. ANHEIER, M. GLASIUS e M. KALDOR (a cura di), Global Civil Society 2001.
Oxford University Press, Oxford, 2001.
U. BECK, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999.
R. FALK, Law in an emerging global village: a post westphalian perspective. ARDSLEY,
New York, 1998.
M. KALDOR, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004.
M. KALDOR, Le nuove guerre. La violenza organizzata nell’età globale. Carocci, Roma
J. KEANE, Global civil society? Cambridge University Press, Cambridge, 2003.
M. KECK & K. SIKKINK, Activists beyond borders: advocacy networks in international
politics. Cornell University Press, Ithaca, 1998.
M. IGNATIEFF, Blood and belonging. Paperback, London, 1994.
M. SHAW, Global society and international relations. Polity Press, Cambridge, 1994.
J. A. SCHOLTE, Globalisation: a critical introduction. Mcmillan, London, 2000.
Siti web sull’argomento:
_ www.ids.ac.uk/ids.
260
Istituto per gli Studi sullo Sviluppo del Sussex, Policy Briefing august 2001.
Sulla cooperazione allo sviluppo e la sua modalità decentrata:
M. BLACK, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004.
V. IANNI, La cooperazione decentrata allo sviluppo umano. Rosenberg & Sellier, Torino,
1999.
V. IANNI, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo: approcci
teorici e forme d’azione. Harmattan, Torino, 2004.
A. HIRSCHMANN, Ascesa e declino dell’economia dello sviluppo e altri saggi.
Rosenberg & Sallier, Torino, 1983.
T. PECH & M. O. PADIS, Le multinazionali del cuore: le organizzazioni non governative
tra politica e mercato. Feltrinelli, Milano, 2004.
Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, Rapporto sullo sviluppo umano 5. Nuove
insicurezze. Rosenberg & Sallier, Torino, 1994.
Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, Poverty Report 2000.
I. SACHS, Un modello di sviluppo alternativo per il Brasile. EMI, Bologna, 1993.
A. TAROZZI, (a cura di), Visioni di uno sviluppo diverso. Gruppo Abele, Torino, 1990.
UNDP/UNOPS, OMS, IDNDR, Cooperazione italiana, la sfida dello sviluppo sociale.
Roma, 1995.
Sulla cooperazione catalana in Colombia:
Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, Construyendo democracia y poder local.
Confederaciòn de Fondos de cooperaciòn y solidariedad, Barcelona, 2000.
261
Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, Municipalismo y solidariedad. Guia sobre la
cooperaciòn descentralizada. Confederaciòn de Fondos de cooperaciòn y soliariedad,
Barcelona, 2001.
Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, Realidad de los Fondos de Cooperaciòn 2001-2003.
Confederacion de Fondos de Cooperaciòn y Solidariedad, Barcelona, 2003.
Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, 2ª jornada estatal de cooperaciòn descentralizada.
Confederacion de Fondos de Cooperaciòn y Solidariedad, Barcelona, 2001.
Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupament, Encuentro de municipalismo en America
del Sur. Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupament, Barcelona, 2004.
Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupament, Memoria 2003. Fons Català de
Cooperaciò al Desenvolupament, Barcelona, 2004.
Siti web sull’argomento:
_ www.taulacolombia.org.
Tavola per la Pace e i Diritti Umani in Colombia
Altro materiale sull’argomento:
Dichiarazione di intenti della Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in Colombia.
Febbraio 2003, Barcellona.
Interviste ai rappresentanti di cinque organizzazioni partecipanti alla Tavola Catalana per
la Pace e i Diritti Umani in Colombia.
262
Sulla cooperazione europea in Colombia:
Documento presentato dal Governo colombiano agli incontri preparatori della “Tavola dei
donanti” di Londra, tenutasi il 25 luglio del 2003 e convocata su richiesta del Programma
delle Nazioni Unite per lo Sviluppo.
Seminari tenutisi durante le “Giornate Aperte dedicate al tema: Il ruolo della cooperazione
internazionale, dell’Unione Europea e dei suoi paesi membri, in paesi in conflitto armato
come la Colombia”, Barcellona, 14-16 aprile, 2005.
Altri libri:
R. BATES, Politica internacional y economica abierta. Tercer Mundo, Bogotà, 1999.
W. A. BROWN e O. REDVERSE, American Foreign assistence. The Brookings
Institution, Washington, 1954
J. CHILD, The Inter-American Military System. The American University, Ph.D.
dissertation, 1978.
C. CLAUSEWITZ, Della guerra. Mondatori, Milano, 1997.
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Bureau for International Narcotics and Law,
International Narcotics Control Strategy Report, 1999. Washington D.C., 2000.
G. GARCIA MARQUEZ, Cent’anni di solitudine. Mondadori, Milano, 1998.
G. GARCIA MARQUEZ, Vivere per raccontarla. Mondadori, Milano, 2000.
G. GIORDANO, La politica estera degli Stati Uniti. Franco Angeli, Milano, 1999.
D. C. NORTH, Institutions, Institutional Change and Economic Performance. Cambridge
University Press, 1990.
263
A. PANEBIANCO, Modelli di partito. Organizzazione di potere nei partiti politici. Il
Mulino, Bologna, 1982.
J. E. ROBLEDO, Www.neoliberalismo.com, El Ancora Editores, Bogotà, 2000.
O. RODRIGUEZ, La teoria del subdesarrollo de la CEPAL. Siglo XXI Editores, quinta
edizione, Bogotà, 1986.
A. SEN, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia. Mondatori,
Milano, 2000.
G. TOMASI DE LAMPEDUSA, Il gattopardo. Decima edizione, febbraio 1992,
Feltrinelli, Milano.
Altri siti web:
_ www.ine.es/inebase.
Istituto Nazionale di Statistica di Spagna (INE)
_ www.idescat.es.
Istituto di Statistica della Catalogna (IDESCAT)
264
Scarica

il conflitto armato e il processo di pace colombiano