IL CONFLITTO ARMATO E IL PROCESSO DI PACE COLOMBIANO Tesi di Laurea di Romina Surace Università di Trento - 2006 INDICE. Introduzione. Pag. 5 Primo capitolo. Le origini del conflitto armato colombiano. Pag. 15 Introduzione: una società frammentata Pag. 15 Ha inizio la lotta secolare tra conservatori e liberali Pag. 18 La Guerra de los Mil dias Pag. 19 La Repubblica Conservatrice (1880-1930) Pag. 20 La Grande crisi del 1929-1930 e i suoi effetti Pag. 23 La Repubblica liberale (1930-1946) Pag. 25 La Violencia (1946-1958) Pag. 32 Il contesto internazionale Pag. 32 Le disillusioni della Revoluciòn en Marcha Pag. 33 L’inizio della Violencia e la vittoria del Partito Conservatore Pag. 35 L’assassinio di Elicier Gaitàn e il fallimento del populismo in Colombia Pag. 37 Il governo dell’ultraconservatore Laureano Gòmez e il processo di sostituzione delle importazioni Pag. 43 Il regime militare di Rojas Pinilla Pag. 51 1 Il “Fronte Nazionale” (1957-1974) Pag. 55 Il processo di modernizzazione delle Forze Armate Pag. 57 Il generale Ruiz Novoa e l’ala progressista delle Forze Armate Pag. 60 Gli echi del Concilio Vaticano II in America Latina e in Colombia Pag. 64 La politica agraria del Fronte Nazionale e l’Alleanza per il Progresso Pag. 65 Il processo di sostituzione delle importazioni o il processo di sostituzione dei proprietari ? Pag. 66 Gli ostacoli al movimento sindacale Pag. 68 La nascita dei principali gruppi guerriglieri colombiani Pag. 70 Le forme d’opposizione politica Pag. 72 La seconda fase del Fronte Nazionale e il ritorno alla “crescita verso l’esterno” Pag. 73 Secondo capitolo. Le chiavi dell’attuale conflitto armato. Pag. 79 Introduzione: l’allargamento e la trasformazione del conflitto Pag. 79 L’ apertura democratica e l’intensificazione della guerra sucia (1974-1989) Pag. 81 Lo smantellamento dello Stato interventista-protezionista in Colombia Pag. 81 La militarizzazione delle funzioni pubbliche Pag. 85 La risposta del movimento sindacale Pag. 93 La diffusione e il rafforzamento della guerriglia Pag. 95 2 Il controllo territoriale e la crescita del fenomeno paramilitare Sviluppo e consolidamento dell’economia informale dominata dal narcotraffico Pag. 99 Pag. 103 Gli anni della “lotta alla droga” (1989-2002) Pag. 117 L’applicazione del modello neoliberista in Colombia Pag. 122 La ristrutturazione del narcotraffico Pag. 127 L’inarrestabile crescita del fenomeno paramilitare Pag. 131 La guerriglia Pag. 134 Terzo capitolo. Il processo di pace in Colombia. Pag. 141 Considerazioni sulla possibilità della pace in Colombia Pag. 141 Sulla via dell’internazionalizzazione della pace colombiana Pag. 155 Il coinvolgimento della comunità internazionale Pag. 156 La società civile globale Pag. 159 La società civile come mezzo e fine della nuova nozione di sviluppo Pag. 165 Il caso-studio: la Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in Colombia Pag. 169 Il contesto catalano Pag. 171 Descrizione dell’iniziativa Pag. 178 Limiti e possibilità Pag. 185 3 Il dibattito aperto dalle “Giornate Aperte” di Barcellona 2005 Pag. 186 Conclusioni. Pag. 200 Appendice. Pag. 205 Dichiarazione di intenti della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia Pag. 205 Interviste ad alcuni componenti della Tavola Catalana Pag. 207 Bibliografia. Pag. 249 4 INTRODUZIONE. Questo lavoro nasce con l’intenzione di fare chiarezza sulla complessità di un conflitto che colpisce il popolo colombiano da più di mezzo secolo nel tentativo di proporre a tutti i soggetti istituzionali e sociali della comunità internazionale, impegnati a promuovere il processo di pace in Colombia, l’orizzonte ritenuto più adatto per operare. L’ampio spazio dedicato alla ricostruzione dei processi storici che hanno investito la Colombia nel secolo appena trascorso vuole tentare di mettere alla luce la pluridimensionalità di un conflitto che oggi e nel passato è stato oggetto di varie semplificazioni ad opera dei diversi attori coinvolti nella confrontazione e dei loro simpatizzanti, sia sul piano nazionale che internazionale. Nonostante le non poche difficoltà che ciò comporta, oggi questo compito è ancor più necessario ed urgente alla luce degli avvenimenti che interessano il paese colombiano e la scena internazionale nel suo complesso. Da un lato, il fallimento delle trattative di pace del precedente Governo Pastrana ha prodotto una radicalizzazione dell’opinione pubblica ed una conseguente crescita dei consensi a favore di una risposta militare più decisa dello Stato contro gli attori armati. Questo ha condotto all’approvazione, da parte dell’attuale Governo Uribe, di un Piano di Sviluppo Nazionale, il cui asse portante si costituisce di una Politica di Sicurezza Democratica che nega l’origine politica del conflitto in atto riducendo la violenza in termini di terrorismo e, cosa ancor più grave, non distingue tra popolazione civile e popolazione combattente. Dall’altro, questa politica di guerra trova un terreno assai favorevole nel contesto politico internazionale del dopo 11 settembre, nel quale le questioni di sicurezza sembrano prevalere su qualsiasi altra istanza di libertà. È in un simile contesto che si spiega l’appoggio dimostrato dall’amministrazione statunitense alla Politica di Sicurezza Democratica di Uribe: appoggio che si è concretizzato di fatto in un aumento del coinvolgimento statunitense nel conflitto interno colombiano. In primo luogo si è cercato di risalire alle origini storiche delle divisioni oggi apparentemente insanabili che percorrono la società colombiana, soffermandosi sull’individuazione di quei fattori che hanno contribuito ad impedire che tali divisioni si risolvessero attraverso un confronto pacifico delle parti sociali in contrapposizione. Il primo obbiettivo è stato mettere alla luce le debolezze di quella che si presenta come la democrazia più longeva e meno interrotta da dittature militari dell’intero continente sudamericano. Da questo studio è emersa l’immagine di una società altamente frammentata 5 per percorsi economici distinti a livello regionale e culturale, dovuti alle divisioni politiche imposte dalla conquista europea e dal differente sviluppo economico che ha caratterizzato le regioni colombiane in seguito all’ingresso del paese nel mercato internazionale, avvenuto grazie alla produzione di caffè su larga scala. Questa frammentazione è alla base della debolezza politica di uno Stato che, fin dalla sua indipendenza, è stato attraversato da antagonismi regionali e rivalità locali sfociate, agli inizi del XX secolo, in una guerra civile sanguinosissima e, dal 1948, in un conflitto interno che ha contrapposto le comunità locali da allora ai giorni nostri. La debolezza statale ha fatto sì che il lunghissimo processo di colonizzazione delle terre incolte avvenisse senza alcun controllo diretto dello Stato e fosse accompagnato, fin dagli inizi, dalla comparsa di eserciti irregolari: tale processo ha permesso la privatizzazione della forza nella quasi totalità delle terre colombiane e l’affermazione di caudillos regionali nel controllo del territorio, delle milizie armate, dell’organizzazione sociale ed economica. Tale privatizzazione ha determinato: da un lato, l’appropriazione indebita della terra attraverso l’uso delle armi che, insieme alla mancanza di sussidi agricoli ed adeguati meccanismi di controllo capaci di limitare gli effetti della libera concorrenza delle merci, ha facilitato la concentrazione della terra nelle mani di una ristrettissima classe. Dall’altro, la formazione di uno Stato Nazionale costituito sulla base di una cultura politica federale in cui ha prevalso una logica di potere clientelare, grazie a cui le scelte politiche adottate non hanno trovato la loro legittimazione nella capacità di mediare i diversi interessi rappresentati, ma sono state determinate da “transazioni e conflitti tra i poteri in gioco a tutti i livelli della società”1. Difatti, fin dalla sua formazione lo Stato colombiano non è riuscito a garantire una sua presenza effettiva in molte zone del paese, il che ha permesso alle reti informali di potere, legali e non, di consolidarsi in reti clientelari ed in reti organizzate dai gruppi insurrezionali e dai narcotrafficanti. Da sempre lo Stato colombiano ha dovuto appoggiarsi su queste reti per esercitare la propria autorità. Questo ha fornito un terreno favorevole per il dilagare della corruzione in tutto l’apparato statale e per l’affermazione nella classe dominante di una cultura politica costruita sulla concezione di partito come espressione degli interessi di signorotti locali e su quella di Stato come bottino da spartire tra i vincitori alle elezioni presidenziali. Il secondo obbiettivo è stato quello di individuare gli avvenimenti che hanno determinato la nascita e il consolidamento della guerriglia più forte del continente sudamericano in relazione al suo radicamento all’interno della società, al suo protrarsi nel tempo e alla potenza raggiunta in termini militari. Due ordini di fattori intervengono a spiegare la sua 1 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 163. 6 diffusione nella società colombiana per un lasso di tempo così esteso. Innanzitutto, l’interruzione violenta del movimento populista in gestazione, avvenuta per mezzo dell’assassinio nel 1948 del suo leader, Elicier Gaitàn, e dello scoppio di una sanguinosissima guerra civile che sconvolse il popolo colombiano negli anni della Violencia. Le dinamiche internazionali della Guerra Fredda, che hanno costituito lo sfondo nel quale si è consumato questo omicidio, hanno finito per rafforzare quella società oligarchica caratterizzata da una profondissima distanza tra la democrazia formale e la democrazia reale. Secondariamente, l’incapacità e la non volontà dimostrata dalla classe politica dominante di attenuare le differenze esistenti in seno alla società colombiana per mezzo dello sviluppo economico del XX secolo. Nonostante la formazione di una classe media urbana, forte è rimasto il divario tra un ideale di cittadinanza ed uguaglianza politica e la realtà, che ha mantenuto un sistema di privilegi ereditato dal passato e rafforzato dalla legge dello Stato. Nella seconda metà del XX secolo la crescita urbana e una moderata versione del processo di sostituzione delle importazioni hanno solo aumentato la violenza politica e sociale. Rispetto ad altri paesi del continente sudamericano, in Colombia il processo di sostituzione delle importazioni raggiunse livelli moderati a causa della debolezza dell’autorità statale in campo economico. La classe politica dominante non riuscì ad evitare che la politica economica nazionale assumesse le vesti di un “ibrido tra il protezionismo industriale e il libero mercato”2, in balia delle scelte di lobby corporative molto potenti, espressioni degli interessi locali. L’acutizzarsi di uno sviluppo squilibrato e la chiusura del sistema politico fortemente autoritario e dirigista del Fronte Nazionale determinarono l’aumento delle tensioni sociali che si espressero attraverso il consolidamento di quei gruppi armati contadini, nati negli anni ’50 per difendersi dall’azione della polizia conservatrice (chulavita) e dei primissimi gruppi paramilitari (pajaros) finanziati dai grandi latifondisti. Mentre la concentrazione delle ricchezze non subì alcuna battuta d’arresto, la crescita ininterrotta del PIL nazionale non risolse nessuno dei gravi problemi socioeconomici del paese: la disoccupazione in aumento, la disgregazione del mondo agricolo, la proletarizzazione di gran parte dei settori urbani, la crescita dell’inflazione. Tutti questi elementi approfondirono la disaffezione già radicata nella società colombiana verso l’autorità centrale dello Stato e, più in generale, verso la politica come strumento di confronto e di negoziazione degli interressi. Nel corso degli anni del Fronte Nazionale si costituirono le quattro principali formazioni guerrigliere: le FARC, l’ELN, l’EPL e l’M19. La lotta armata condotta da questi gruppi mirava a 2 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 7 trasformare l’ordine sociale e lo Stato colombiano attraverso una serie di riforme strutturali riguardanti il piano economico (per l’attuazione di una riforma agraria e una maggiore redistribuzione delle ricchezze), il piano politico (per una maggior apertura degli spazi di partecipazione) e quello militare (per un minor ruolo dell’esercito nelle questioni di ordine interno). Dal punto di vista ideologico questi gruppi insurrezionali si rifacevano tutti al marxismo, ma se le FARC si affermarono come un gruppo fortemente radicato nel mondo rurale, sostenitore di un tipo di colonizzazione non controllata dai grandi latifondisti, gli altri gruppi minori nacquero come espressione del malcontento della classe media urbana e, pur nelle loro diversità, attinsero tutti dalla teoria foquista, diffusasi nel continente sudamericano attraverso la rivoluzione cubana. Negli anni successivi al Fronte Nazionale la nuova classe politica tornò a rivolgersi in modo più esplicito alle basi di potere locale. Procedendo nello smantellamento dello Stato interventista-protezionista e nell’implementazione delle politiche di liberalizzazione, la nuova classe dirigente rimase fedele in materia agraria alla strategia politica adottata dai suoi predecessori, che aveva concentrato gli investimenti nelle aree più ricche del paese a vantaggio della grande proprietà agricola, della sua tecnicizzazione e dell’aumento della mobilità del lavoro. L’onnipresente rifiuto delle forze governative di trattare in materia economica con le forze popolari e la persecuzione attuata verso i suoi leader, non produssero altro che l’ulteriore allargamento della disaffezione all’attività politico-legale. Fu così che dalla fine degli anni ‘70 e nel corso della decade successiva, in risposta alla crescente militarizzazione delle funzioni pubbliche e all’aggravarsi delle condizioni di vita delle classi subalterne l’attività della guerriglia crebbe considerevolmente. Dopo un lungo periodo in cui la sua presenza si era limitata a zone rurali di frontiera, questi gruppi raggiunsero anche il mondo urbano, nonostante la loro base sociale e politica continuò ad essere fondamentalmente legata al mondo rurale. Il potenziamento militare della guerriglia colombiana e le significative dimensioni territoriali raggiunte nel corso dell’ultimo ventennio si spiegano invece grazie all’abilità dimostrata dai gruppi insurrezionali di sviluppare una serie di dinamiche complesse che da allora legano l’economia guerrigliera a quella nazionale. “Le principali attività produttrici ricchezze per la nazione equivalgono, e ciò non è casuale, alle attività che producono la maggior parte delle entrate della guerriglia”3: petrolio e carbone tra le attività legali; cocaina, per quanto riguardo quelle illegali, a cui negli anni ’90 si è aggiunta l’eroina. Il rafforzamento della sua potenza in 2002, pag. 320. 3 Rangel Suarez Alfredo, Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001, pag. 369. 8 termini militari è stato affiancato dalla diminuzione considerevole del suo sostegno politico tra la popolazione civile, soprattutto tra quella parte della classe media che dalla fine anni ’70 la aveva sostenuta o semplicemente aveva simpatizzato per le sue cause e i suoi progetti politico-sociali. L’attuale scarsa legittimazione delle forze guerrigliere in seno alla società colombiana è legata alla degenerazione delle pratiche di violenza commesse indiscriminatamente a danno della popolazione civile, al solo ed unico scopo di accrescere il controllo territoriale. La caduta dell’URSS e la fine delle ideologie insieme al processo di istituzionalizzazione che ha investito i gruppi guerriglieri colombiani ancora attivi (le FARC e l’ELN) sono gli avvenimenti che hanno contribuito a favorire tale degenerazione della violenza. In particolare, in riferimento alle FARC, ossia l’organizzazione guerrigliera più grande e longeva del paese, il fallimento del socialismo reale ha comportato l’assunzione di atteggiamenti meno dogmatici. Il modello di sviluppo proposto per il popolo colombiano rimane legato ai precetti fondamentali della filosofia politica marxista (tra cui: l’analisi dell’economia capitalista, il ruolo attribuito alla classe sfruttata e l’obbiettivo di giustizia sociale cui dovrebbe tendere lo sviluppo), ma diffusa è la convinzione che non si tratti dell’applicazione di un modello già dato, piuttosto che la definizione stessa del modello costituisca un processo in fieri. Per alcuni analisti questo implica un importante passo avanti in termini democratici poiché tale apertura permette una maggiore partecipazione degli strati popolari nella formulazione delle proposte avanzate. Per altri la vaghezza di questo discorso dimostra l’inesistenza di un chiaro progetto politico, il che rende più difficile una possibile negoziazione con l’organizzazione. Sicuramente questa maggiore elasticità contribuisce a rendere i membri del gruppo più permeabili rispetto ad interessi particolaristici e più adattabili alla logica della guerra attuale, in cui quello per cui si combatte non è l’affermazione di un modello di sviluppo e di integrazione che includa l’intera società, bensì il potere territoriale ed economico. Il terzo obbiettivo è stato quello di comprendere le dinamiche di espansione del conflitto riguardo al territorio. A questo proposito è sembrato opportuno mettere in risalto che fin dai tempi dello scoppio della Violencia il maggior tasso di conflittualità ha interessato le regioni in procinto di essere inserite nell’economia nazionale ed internazionale. La correlazione tra espansione del latifondo e diffusione della guerriglia è sempre stata diretta: man mano che proseguiva la crescita dei latifondi e parte della manodopera in eccesso emigrava verso nuove terre da colonizzare, nelle nuove comunità fondate dagli sfollati prive di forti legami di coesione sociale cresceva il numero di contadini dediti alle 9 coltivazioni illecite ed il loro sostegno alla guerriglia. A partire dagli anni ’70, aumentando il valore degli interessi legati al narcotraffico e il conseguente numero di sicari reclutati per la difesa delle coltivazioni della foglia di coca, delle terre e delle raffinerie di cocaina di proprietà dei narcos, è cresciuta la conflittualità tra guerriglieri e narcotrafficanti affiancati dai paramilitari. Il quarto obbiettivo ha interessato l’individuazione dei fattori cha hanno reso possibile l’estendersi del fenomeno paramilitare fino alle dimensioni attuali. Se inizialmente questi gruppi, assoldati negli anni della Violencia dai grandi latifondisti per difendere i loro diritti di proprietà, mantennero un carattere difensivo, ben presto le loro azioni si iscrissero in una più ampia strategia d’attacco per il controllo territoriale rivolta contro i gruppi guerriglieri e i loro simpatizzanti. Il rifiuto di affrontare le cause politiche ed economiche delle tensioni sociali condusse la classe dominante a considerare il mantenimento dell’ordine pubblico una questione prettamente militare. L’intrinseca debolezza dell’autoritá statale, da sempre incapace di esercitare il monopolio della forza sull’intero territorio nazionale, portó la classe dominante all’adozione di una strategia che combinava: da un lato, l’aumento dell’autonomia delle Forze Armate nella gestione delle questioni relative alla sicurezza e l’estensione delle delle loro attivitá a funzioni civiche e sociali; dall’altro, il coinvolgimento della popolazione civile nelle questioni inerenti la garanzia dell’ordine pubblico. Man mano che il potere di questi gruppi paramilitari si è espanso grazie a non pochi decreti legislativi a loro favore ed agli ingenti finanziamenti provenienti dai narcos, dalla fine degli anni ’80 i loro capi hanno cominciato a rivendicare il diritto di essere riconosciuti come soggetti politici, pretendendo di svolgere un ruolo di arbitro nel processo di pace tra lo Stato e i gruppi guerriglieri. Alla luce dell’enorme peso che lo sviluppo del narcotraffico ha avuto in relazione sia al potenziamento degli attori armati illegali che all’estensione della violenza generalizzata con la conseguente crescita della disgregazione del tessuto sociale colombiano, l’altro interrogativo cui si è cercato di rispondere attraverso la ricostruzione storica degli eventi ha riguardato le motivazioni per le quali in Colombia si è sviluppata un’economia illegale di tali dimensioni e gli elementi che ne hanno favorito il consolidamento. Le peculiari condizioni create da una disuguale distribuzione delle ricchezze tra gli strati sociali e le aree geografiche del paese, l’immobilismo del sistema politico, l’assenza dello Stato in molte zone periferiche del paese, l’incapacità dei due partiti tradizionali di fungere da mediatori tra gli interessi delle diverse classi sociali e il dilagare della corruzione nell’intero apparato statale sono gli elementi indivituati alla base della creazione del 10 terreno favorevole in cui il narcotraffico ha potuto dare vita ad un vero e proprio sistema economico ed un potere territoriale parallelo a quello dello Stato, capace di permeare e coinvolgere l’intera società. L’apparato giuridico del paese è stato individuato come elemento chiave dell’intera macchina. Difatti, il sistema legale colombiano, da sempre uno degli anelli più deboli delle istituzioni nazionali, è rimasto ai margini della vita di un paese in cui la legge è garantita più dalla forza delle armi che da una cultura democratica fondata sullo Stato di Diritto ampiamente condivisa dall’intera società. Infine, la ricostruzione storica si è dimostrata estremamente utile per porre in evidenzia come parte delle cause e molte delle ripercussioni del conflitto interno colombiano abbiano acquisito una dimensione internazionale crescente. Oggi le dimensioni raggiunte dal narcotraffico, la partecipazione dei gruppi armati colombiani al traffico internazionale di armi, la sistematica violazione dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario e gli effetti prodotti dall’incessante fenomeno di sfollamento della popolazione colombiana dalle campagne sul piano delle migrazioni internazionali sono fenomeni che destano un’attenzione particolare da parte della comunitá internazionale sul caso colombiano. Abbracciata la tesi secondo cui il problema dell’internazionalizzazione del conflitto puó essere affrontato solo attraverso l’internazionalizzazione della pace, si ribadisce l’assoluta necessitá che la comunità internazionale riconosca ed assuma le proprie corresponsabilità in riferimento ai fattori di internazionalizzazione del conflitto ed elabori delle adeguate strategie di intervento per la sua risoluzione politica. In un mondo sempre più interdipendente la maggioranza delle decisioni che riguardano il benessere della popolazione colombiana vengono prese in centri decisionali molto lontani dalla Colombia. Basti pensare alla domanda di droga, al traffico di armi, alla politica finanziaria (aggiustamento strutturale, debito estero, liberalizzazione del commercio ed investimenti transnazionali) e alle politiche di immigrazione. Ugualmente, si considera estremamente importante che qualsiasi strategia d’intervento elaborata da parte dei diversi soggetti istituzionali e sociali della comunitá internazionale, impegnati nella promozione del processo di pace colombiano, non prescinda mai dal riconoscere che l’origine del conflitto colombiano è politica. Questo non significa non considerare che esiste una politica economica positiva emersa attorno al conflitto armato colombiano in cui tutti gli attori armati coinvolti (guerriglieri, paramilitari, Forze Armate) traggono il loro profitto dal mantenere una guerra a bassa intensità. Né significa non dare il 11 giusto peso al fatto che l’utilizzo del terrore contro la popolazione civile da parte di ogni attore armato rappresenta il mezzo indispensabile per ottenere quel “consenso” necessario al controllo dei territori conquistati, senza cui non è possibile sopravvivere in una guerra a bassa intensità come quella attuale, né è possibile perseguire i propri obbiettivi militari, nella misura in cui questi si allontanano sempre piú dalle rivendicazioni sociali ed economiche delle popolazioni locali. Piuttosto, riconoscere l’origine politica del conflitto conduce a porre in evidenza che il conflitto interno colombiano è nato come una confrontazione tra Stato e società, in cui la legittimità dello Stato è una questione di fondo. Pertanto, il rafforzamento di cui lo Stato colombiano ha bisogno è prima di tutto di tipo istituzionale, diretto ad assicurare alla società civile la difesa della propria persona e la possibilità di svolgere un ruolo di primo piano nel processo di pace. Solo una maggiore governabilità democratica può sfuggire all’inganno di soluzioni temporanee e parziali, generatrici di conflitti più profondi. Il recupero della legittimità statale, sia a livello nazionale che a livello internazionale, deve basarsi sul rispetto della legalità e sulla garanzia dei diritti umani, tanto civili e politici che economici, sociali e culturali. Concentrare gli sforzi sulla lotta antiterrorista e antidroga attraverso il potenziamento delle capacitá militari dello Stato colombiano sono considerate misure inefficaci poiché dirette ad attaccare le conseguenze e non le cause del conflitto armato: nessuna pace sarà mai possibile nel paese se non si affrontano questioni fondamentali come il problema agrario legato alla concentrazione della terra nelle mani di una ristretta minoranza. L’obbiettivo dell’intervento della comunitá internazionale deve invece essere diretto all’ottenimento di una risoluzione politica del conflitto armato, in un contesto di garanzie democratiche e sulla base di un quadro giuridico capace di stabilire rigorosi criteri di verità, giustizia e riparazione. Per questo è necessario promuovere tutti i possibili mezzi attraverso cui facilitare l’imbocco della strada del dialogo. Dialogo che non conduca alla sola firma di un trattato di negoziazione per la cessazione delle ostilità (pur essendo questa una tappa fondamentale e neppure di facile raggiungimento del processo di pace), ma che miri a sradicare le cause che hanno generato un sistema politico, economico e sociale che si regge sulla disuguaglianza e l’esclusione. Affinché il dialogo permetta l’avvio di un processo di pace duraturo ed integrale si ritiene indispensabile intervenire nel rafforzamento del tessuto sociale e dello Stato di Diritto colombiano, tanto dalla prospettiva nazionale quanto da quella internazionale. Lo scopo è quello di garantire un reale coinvolgimento della società civile colombiana e della societá civile mondiale nei diversi interventi avviati. Questa partecipazione è considerata un elemento fondamentale 12 per dare legittimità all’intero processo, senza la quale lo Stato colombiano e la comunitá internazionale invierebbero all’intera società mondiale un messaggio pericoloso, ossia che l’unico mezzo per accedere al potere è il ricorso alla violenza. Posto che l’operato della comunitá internazionale puó essere solo un complemento dell’azione dello Stato colombiano (che rimane il maggiore responsabile del rispetto dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario all’interno del proprio territorio), si ritiene che la riuscita di questo processo sarà possibile solo in seguito alla maturazione di una volontà politica da parte dello Stato di questo paese e della sua classe dirigente diretta a dare avvio ad una serie di politiche che risolvano in profonditá la crisi economica, sociale ed umanitaria del paese. L’orizzonte qui proposto per esercitare una pressione politica a livello internazionale affinché questo avvenga passa attraverso il potenziamento dei canali di comunicazione e di cooperazione della societá civile globale. Grazie alla trasformazione della società civile mondiale in seguito all’inserimento dei suoi attori in reti ed organizzazioni transnazionali di diversa tipologia (i cui attori agiscono in più luoghi superando i confini nazionali, ed i cui membri appartengono a più nazioni), all’espansione dei canali di comunicazione ed all’annullamento delle distanze oggi viviamo in un contesto assolutamente nuovo, segnato dalla fine di un epoca in cui le relazioni internazionali erano dominate dagli Stati nazionali e dall’inizio di una nuova epoca dove la politica mondiale si sviluppa secondo una pluralità di centri in cui, accanto agli Stati nazionali ed al capitale, si muovono anche le organizzazioni internazionali e la società civile globale per affermare diverse pratiche di emancipazione politica ed economica. L’approccio reticolare, peraltro oggi dominante, è qui considerato come il piú adatto per una serie di motivi. In primo luogo, esso garantisce un maggior grado di orizzontalitá ed inclusione sia ai soggetti promotori delle politiche di sviluppo, sia ai soggetti direttamente coinvolti nella realizzazione di tali politiche. Il maggior senso di appartenenza ai processi avviati garantisce migliori risultati dal punto di vista dell’efficacia e va ad incidere direttemente sul profondo senso di sfiducia maturato dal popolo colombiano rispetto ai canali d’azione politica legali. In secondo luogo, il maggior grado di informalitá che caratterizza questo approccio assicura una pluralitá maggiore degli interessi rappresentati. Questo aumenta le possibilitá per i soggetti della societá civile del Nord di avere un’informazione plurale su quanto accade in Colombia e di captare le reali esigenze della sua popolazione civile. Contemporaneamente, accresce la capillaritá dei campi d’azione, elemento che la pluridimensionalitá del conflitto colombiano richiede. Parallelamente, si 13 raggiunge un livello di sensibilizzazione e mobilitazione maggiore della popolazione civile del Nord attorno alle problematiche che investono il popolo colombiano. In terzo luogo, la maggiore comunicazione garantita dall’approccio reticolare a soggetti molto diversi tra loro è elemento indispensabile per aumentare il livello di coordinazione e la coerenza delle politiche realizzate. Questo rallenta l’intero processo ma potenzia il profilo d’azione ottenuto. Infine, tale approccio permette di coniugare l’universalitá degli intenti con la localizzazione della partecipazione. Allo scopo di illustrare le opportunitá offerte da questo connubio, l’ultima parte di questo elaborato è dedicata alla presentazione di un caso specifico di una rete di soggetti istituzionali e sociali che opera in un contesto locale, la Catalogna, per contribuire all’internazionalizzazione della pace colombiana: la Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia. Per la descrizione delle sue dinamiche di funzionamento, dei suoi obbiettivi, dei valori condivisi dai suoi membri, dei limiti e delle potenzialitá di questo coordinamento regionale si è ricorso all’utilizzo di alcune interviste fatte ai rappresentanti di quattro membri della Tavola e ad una rappresentante del movimento colombiano di donne Ruta Pacifica de las Mujeres Colombianas operante in Catalogna per un anno grazie a dei finanziamenti messi a disposizione dalla Tavola. Per concludere, si è ritenuto opportuno riportare alcune delle tematiche principali attorno cui quest’anno si è articolato il dibattito aperto durante l’evento piú importante organizzato annualmente a Barcellona dal coordinamento catalano. Difatti, il tema in discussione alle cosí dette “Giornate Aperte”, cui ho personalmente partecipato nell’aprile di quest’anno e riguardante il ruolo che puó svolgere la cooperazione internazionale, dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, in un paese in conflitto armato come quello colombiano, rappresenta un chiaro esempio del profilo politico locale, nazionale ed internazionale che il coordinamento vuole avere. 14 PRIMO CAPITOLO: LE ORIGINI DEL CONFLITTO ARMATO COLOMBIANO. Introduzione: una società frammentata. La conquista spagnola introdusse in Colombia il latifondo, divisione territoriale che andò ad affiancarsi al più tradizionale minifondo. I due modelli si distinguono per il differente sfruttamento del territorio. Al basso tasso di manodopera assorbita dal latifondo, che si caratterizza per il suo carattere estensivo, si contrappone l’eccesso di manodopera tipica del minifondo, in cui lavora l’intera famiglia contadina. Questa organizzazione del territorio determina un esubero della popolazione rurale in relazione alla sua capacità produttiva. La popolazione contadina in eccesso si trova di fronte a due possibilità: dirigersi verso le città commerciali, oppure spingersi in direzione delle zone di frontiera per l’occupazione di nuove terre. L’abbondanza di terre inoccupate e la mancanza di una riforma agraria, hanno fatto sì che la colonizzazione abbia costituito, per secoli, una valvola di sfogo alla pressione demografica e l’espediente per rimandare qualsiasi tipo di riforma sociale ed economica.4 Storicamente, il processo di colonizzazione si è costituito come un movimento della popolazione dal “centro” verso due grandi confini geografici: _ I “confini prossimi”, ovvero quelli rappresentati dalle pianure della zona caraibica e dai versanti esterni delle Ande. Questa fase della colonizzazione si è prolungata fino agli inizi del 1900 e le sue grandi ondate hanno determinato la colonizzazione dell’attuale Dipartimento di Antioquia e delle pianure del Magdalena Medio. Durante il processo di insediamento, entrambi i modelli si sono mantenuti: il minifondo, per quanto riguarda le Ande e la zona di coltivazione del caffè di Antioquia; il latifondo, dentro e, soprattutto, fuori dalle Ande. _ I “confini lontani”, ovvero quelli rappresentati dalle pianure e dai boschi della costa dell’oceano Pacifico, dell’attuale Dipartimento di Orinoquia e dell’Amazzonia. Questa fase di colonizzazione ha assunto ritmi sempre più rapidi nel corso degli ultimi decenni, in seguito al trasferimento forzato della popolazione per la violenza, e alla prospettiva di 4 Informe nacional de desarrollo Humano 2003. El conflicto, callejòn con salida. Programma delle Nazioni Unite, Bogotà, 2003. 15 guadagni derivanti dalla ricchezza di queste zone di prodotti altamente commerciabili, leciti (petrolio, banane, smeraldi, oro, etc.) e illeciti (cocaina, papavero).5 Il processo di colonizzazione, salvo rare eccezioni, è stato un processo spontaneo avvenuto senza il controllo diretto dello Stato. Attratto dalle possibilità di guadagno e di autonomia, il colono tipico si indebita con un proprietario capitalista o un fornitore locale per creare le condizioni necessarie allo sfruttamento del terreno. Le possibilità di successo non sono molte: è sufficiente una qualche carestia o la difficoltà di vendita sul mercato delle merci prodotte, per l’ instabilità del loro prezzo sul mercato internazionale, a provocare il fallimento dell’intera sua attività agricola. Infatti, sia la mancanza di servizi e sussidi agricoli statali, sia i monopoli esistenti nel mercato per la vendita e l’acquisto delle merci, costituiscono forti ostacoli all’accumulazione di una ricchezza iniziale e determinano spesso la perdita della terra da parte del contadino. Le sue proprietà divengono quindi proprietà del suo creditore. Tale meccanismo ha garantito la continua rinascita del ciclo del latifondo, il suo rafforzamento e la sua estensione, e, infine, la permanenza del cosiddetto “esercito di riserva”, sempre disponibile per la colonizzazione di nuove terre o, successivamente, per riversarsi nelle città e costituire la base necessaria allo sviluppo industriale. E’ facile comprendere come la cultura delle zone di frontiera si sia da sempre caratterizzata da diritti di proprietà ancora in via di definizione, del tutto precari. “Colui che riesce ad affermarsi appropriandosene, detiene il controllo del prodotto del lavoro, del capitale, della natura, dello sforzo collettivo, della spesa pubblica, di tutti i beni e servizi che esistono nel momento dato.” 6 Tutto questo contribuisce a creare un alto livello di incertezza, instabilità, conflitto. Le terre di frontiera sono terre in cui l’inesistenza quasi totale dello Stato e delle sue istituzioni, sia in termini di coercizione che in termini di autorità, si traduce in impossibilità di garantire il rispetto di qualsiasi tipo di contratto. Per molti autori, l’elevato livello di conflittualità come conseguenza diretta della privatizzazione della giustizia, accompagnata dalla comparsa di eserciti irregolari, non ha investito solo le zone di frontiera propriamente dette, ma si è estesa con tale intensità da prevalere nella maggior parte del il territorio colombiano. 5 Gouësset Vincent, El territorio colombiano y sus márgenes. La difícil tarea de la construcción territorial, in Territorios. Revista de Estudios Regionales y Urbanos, nº 1, agosto 1998-gennaio 1999, Bogotá, Cider (Universidad de los Andes). 6 North Douglas C., Institutions, Institutional Change and Economic Performance. Cambridge University Press, 1990, pag. 33. 16 Per Hubert Prolongeau, ad esempio, in Colombia “la guerra non è una coincidenza, ma un sistema di vita. Di più: è il fondamento del diritto”.7 Le sorti del paese non dipendono dalle decisioni risultanti dalla confrontazione tra le due tradizionali formazioni politiche, il Liberale e il Conservatore, ma dallo scontro fisico tra gli eserciti reclutati dai grandi proprietari, liberali e conservatori, dotatisi di una clientela di uomini arruolabili disposti a servire gli interessi dei propri capi in caso di bisogno. L’esercizio della forza è stata quindi la prerogativa caratterizzante l’occupazione della quasi totalità delle terre colombiane e l’affermazione e la legittimazione su di esse del potere di caudillos regionali. La struttura di potere conseguentemente consolidatasi per l’inesistenza di un’autorità centrale sufficientemente forte, è stata quella del “partito come confederazione di caciques regionali”8. Questa struttura di potere ha permesso la formazione dello “Stato nazionale, costituito su una cultura politica di tipo federale, essenziale presupposto per la definizione della forma stato oligarchica, che affidava ai caciques regionali il controllo del territorio, dell’organizzazione sociale e economica, e delle milizie armate”.9 D’altro canto la morfologia del territorio colombiano è particolarmente predisposta a tal fine. Si tratta infatti, di un arcipelago diviso da tre imponenti cordigliere e da alcuni grandi fiumi, come il Magdalena e il Cauca, estremamente diverso al suo interno: dai deserti caraibici e quelli centrali compresi tra la costa atlantica e quella pacifica, si passa agli altopiani, alle sterminate selve amazzoniche e alle immense pianure orientali. Infine, a differenza di altre zone del continente sudamericano, i conquistadores spagnoli giunti in Colombia, non si ritrovarono di fronte ad un impero centralizzato come quello dei maya o degli incas, bensì davanti ad una miriade di popoli assai diversi tra loro. Tale configurazione federale della forma Stato ha determinato per lungo tempo, un’incapacità di esercizio del monopolio statale della forza fisica. La privatizzazione della forza, così radicata nella società colombiana, costituisce sicuramente uno dei tanti elementi che ci aiutano a spiegare perché la violenza abbia rappresentato l’unico elemento di continuità nella storia della Colombia, a partire dalla sua indipendenza, fino ai giorni nostri. La Colombia si presenta oggi come il paese dell’America Latina che ha registrato il minor numero di dittature militari, ma in cui, paradossalmente, la violenza continua ad 7 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 40. 8 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze, 1991, pag. 105. 9 Ibidem. 17 essere, ancor più che negli altri paesi, l’unico mezzo di confronto tra le diverse parti sociali. Ha inizio la lotta secolare tra conservatori e liberali. La vita politica del paese, dalla metà del XIX secolo fino ai giorni nostri, è stata caratterizzata dalla lotta secolare tra il Partito Conservatore e quello Liberale costituitisi attorno al 1848. Immediatamente dopo la loro nascita, i due partiti cominciarono a scontrarsi perseguendo come unico obbiettivo l’eliminazione, uno dell’altro. Da allora, solo nel XIX secolo, in Colombia sono state combattute, oltre a due guerre con l’Ecuador, otto guerre civili nazionali e quattordici guerre civili regionali, fino ad arrivare alla cosiddetta Guerra de los Mil Dìas: “un’ ininterrotta carneficina realizzata, paradossalmente, in nome e per conto di due partiti, nati simili e diventati inesorabilmente uno la fotocopia dell’altro”. 10 La Colombia di quegli anni produceva prevalentemente tabacco per l’esportazione, il cui prezzo sul mercato internazionale si mantenne favorevole fino al 1875.11 L’oligarchia degli esportatori forniva le basi del capitale finanziario bancario e industriale. Le fortune delle grandi famiglie collegate alla terra e, inesorabilmente, alla politica, erano state risultato di concessioni e contratti privilegiati stipulati direttamente con lo Stato. È in nome di questi rapporti privilegiati con l’autorità centrale che fu possibile la prima accumulazione di capitale ad opera della classe oligarchica. Per la peculiare genesi del capitale originario, base del futuro avvio del processo di modernizzazione, l’economista Hector Mondragòn definisce il capitalismo colombiano un “capitalismo burocratico”: un capitalismo molto diverso da quello europeo e statunitense, prodotti dalla libera concorrenza delle merci nei loro mercati interni e sorretti da politiche protezionistiche nei confronti del mercato internazionale. Il “capitalismo burocratico” fece sì che, anche in ambito dell’industria nazionale nascente, si costituissero dinamiche molto simili, grazie a cui, monopoli e privilegi, vennero distribuiti in nome di amicizie e rapporti personali. Queste, furono le basi della coalizione bipartitica del governo Reyes, ovvero l’uomo che diede avvio allo sviluppo di un’industria di tipo capitalistica nel paese: la stessa coalizione costituì le fondamenta dello Stato colombiano del XX secolo. 10 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 22. Mondragòn Hector, economista e consigliere di diversi movimenti sociali colombiani, tra cui il “Movimento Campesino e Indigena Colombiano ”, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia, www.gratisweb.com/ciclocrisis. 11 18 La Guerra de los Mil dias. La Guerra de los Mil Dìas venne combattuta tra il 1899 e il 1902 e provocò la morte di 100.000 persone, anche se alcune fonti sostengono siano state 150.000. Essa riassegnò il potere al Partito Conservatore, che lo aveva mantenuto per l’ultimo ventennio del XIX secolo, e che lo conserverà fino al 1930.12 In realtà, la guerra non produsse né vinti, né vincitori. La pace sopraggiunse solo grazie all’armistizio tra i due partiti, firmato sulla nave statunitense “Wisconsin”. I danni provocati dalla guerra furono di tale portata, non solo per quanto riguarda il numero delle vittime, ma anche per la quantità di manifatture e piantagioni distrutte, da lasciare il paese in una situazione economica di crisi profonda, permettendo agli Stati Uniti di approfittare della situazione per aprirsi la strada al controllo di Panama. La presenza, fin dal 1839, di una spedizione statunitense sul territorio del canale, inviata per studiare le possibilità di guadagni derivanti dall’apertura di un canale in grado di collegare l’oceano Pacifico con quello Atlantico13, suggerisce l’idea che Washington non intervenne in Colombia guidata esclusivamente dal suo spirito umanitario. “L’intervento statunitense a Panama, fu determinante per la capitolazione dei liberali”.14 L’anno seguente l’armistizio, l’allora presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosvelt, provocò una ribellione nei territori di Panama, inviò delle truppe militari per “proteggere” i diritti dei rivoltosi guidati da Rafael Uribe Uribe e, infine, si affrettò a riconoscere immediatamente la costituzione del neonato Stato indipendente nel 1903. Lo stesso anno venne firmato un accordo tra Washington e il nuovo governo panamense per la costruzione del canale, i cui lavori cominciarono l’anno seguente.15 Ad ogni modo, la ragione principale per la quale le tensioni tra i due partiti vennero temporaneamente messe da parte, a conclusione della sanguinolenta Guerra de los Mil dìas, fu la promettente accumulazione di capitale proveniente dall’economia di esportazione.16 A partire dal crollo del prezzo del tabacco avvenuto durante l’ultimo quindicennio del XIX secolo, l’economia d’esportazione si stava riorientando verso la produzione del caffè. 12 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. Rizzoli. Piccoli Guido, Colombia. Utet Libreria, Milano, 1996. 14 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze, 1991. 15 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 16 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze, 1991. 13 19 La Repubblica Conservatrice (1880-1930). Durante la Repubblica conservatrice, la Colombia si affermò come paese monoesportatore di caffè. I nuovi produttori di caffè affiancatisi ai latifondisti tradizionali, rafforzarono gradualmente il loro potere economico. Gli enormi profitti derivanti dall’introduzione di metodi di coltura più moderni, avevano permesso lo sviluppo di un sistema bancario efficiente, l’incremento e la modernizzazione delle vie di comunicazione, per collegare i centri di produzione delle materie prime ai porti per l’esportazione. Tali trasformazioni erano avvenute ad opera di quella parte dell’oligarchia, rappresentata politicamente dal Partito Liberale, che fin dalla “Revoluciòn del Medio Siglo” del 1850, si era mostrata la più incline alle trasformazioni del vecchio sistema economico di tipo coloniale. Il paese divenne in quegli anni il secondo produttore al mondo di caffè (subito dopo il Brasile). Il caffè attrasse una parte rilevante della popolazione agricola, determinando una mobilità del lavoro fino ad allora del tutto sconosciuta. Tale mobilità portò nuove abitudini di vita, quali l’iniziale diffusione del sistema salariale che, rivoluzionando la tradizionale organizzazione del lavoro, di lì a qualche decennio, avrebbero portato enormi cambiamenti alla struttura delle relazioni di potere. Fino a quel momento, la maggioranza della popolazione contadina del paese, ovvero la maggioranza dei colombiani, era rimasta “prigioniera” nelle forme di organizzazione sociale pre-capitaliste rappresentate dal modello dell’hacienda. In tale sistema di potere, la dominazione veniva accettata come parte di un ordine naturale. Le relazioni di potere di questo modello si possono esemplificare in uno schema a triangolo, caratterizzato dall’inesistenza della base, di questo tipo: Patròn Peòn Peòn Spiegazione: la relazione di potere tra padròn e peòn è verticale, ciò indica un rapporto fortemente personalizzato e differenziato; l’inesistenza del rapporto orizzontale tra i peones, indica invece che la solidarietà tra contadini è inesistente, 20 da cui l’impossibilità di maturare una qualsiasi coscienza di classe e, conseguentemente, l’incapacità d’azione a livello socio-politico.17 Secondo l’economista Hector Mondragòn18, l’egemonia di questo modello fu sancita dalla storica sconfitta della rivolta degli artigiani di Santander, nel lontano 1854. L’economia del latifondo concentrava il capitale al campo del guadagno commerciale, allontanandolo da quello della produzione. Essa si reggeva sulle regole del libero commercio. Durante gli anni ’50 del XIX secolo, anche in America Latina giunsero gli echi delle idee rivoluzionarie alla base dei moti europei del ’48. La diffusione di queste idee non solo permise la Revoluciòn del Medio siglo, ad opera dell’oligarchia dominante di stampo liberale, ma costituì anche il collante tra gli artigiani colombiani, mobilitatisi per la prima volta “contro gli oligarchi della terra e del commercio, difensori delle idee liberiste della borghesia britannica e dei suoi economisti”. Il loro intento era quello di difendere il nascente mercato interno colombiano e la neonata piccola industria manifatturiera nazionale. Gli artigiani di Santander trovarono il sostegno delle popolazioni indigene locali, occupati ad impedire l’ingresso dei prodotti stranieri nella zona, per non rovinare gli artigiani locali. Inizialmente, anche l’esercito indipendentista appoggiò la rivolta. Le milizie irregolari reclutate dai grandi proprietari terrieri, vennero pertanto armate con l’aiuto finanziario delle grandi potenze europee di Gran Bretagna, Prussia e Francia. In particolare, la Francia si sentiva direttamente coinvolta dalle sorti di quel lontano paese, perché compromessa nell’ideazione di un mega-progetto, che sarebbe poi stato portato a termine dagli Stati Uniti molti anni dopo: la costruzione del canale di Panama. La rivolta degli artigiani, guidata dall’indigeno Josè Maria Melo, venne pertanto sedata e, la vittoria del latifondo, corrispose anche alla vittoria del libero commercio. Venne quindi sancita la dipendenza dell’economia esportatrice colombiana (dapprima di tabacco poi di caffè) all’economia internazionale. La sopravvivenza del modello coloniale dell’hacienda venne garantita, ancora per lungo tempo, da un sistema di potere di tipo feudale, basato sul monopolio delle classi dirigenti (conservatrici e liberali) in campo economico, politico, sociale e culturale. Contemporaneamente, il potere dell’èlite dominante fu sostenuto dal rafforzamento della grande proprietà terriera, protrattosi per tutti gli anni della Repubblica Conservatrice. Ciò 17 Alberti G., Lezione universitaria del corso “ Teoria dello sviluppo politico“, presso l’Università di Bologna, Facoltà di scienze Politiche, 2003. 18 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia, www.gratisweb.com/ciclocrisis. 21 avvenne in seguito alla privatizzazione di numerose terre pubbliche e di moltissime proprietà indigene, a beneficio dei grandi latifondisti.19 Le prospettive di guadagno, derivanti dall’ economia monoesporatrice del caffè, stimolarono ingenti prestiti concessi dalle banche straniere. I capitali stranieri costituirono un importante contributo per il finanziamento della costruzione delle nuove reti ferroviarie e dei nuovi porti, che si sommarono ai 25 milioni di dollari provenienti da Washington per il pagamento dell’indennizzo di Panama. Per dare un’idea dell’entità di questi contributi, per lo più provenienti dagli Stati Uniti, basti pensare che gli investimenti diretti statunitensi durante quella che venne chiamata la Danza de los Miliones, passarono dai 4 milioni di dollari del 1913 ai 173 milioni del 1929.20 Dopo il 1920, tali investimenti si concentrarono su due nuovi settori destinati a diventare componenti fondamentali dell’industria per l’esportazione: le banane e il petrolio. Ad esempio, la multinazionale statunitense “United Fruit Company” affermò in quegli anni il suo controllo su enormi piantagioni di banane, lungo la costa caraibica. Lo sviluppo dell’industria, la crescita delle città e la diffusione dei lavori pubblici, diedero origine ai primi nuclei di classe operaia. Quelli impiegati nelle industrie manifatturiere dei sigari, delle bevande, dei tessuti e del cemento, non erano ancora sufficientemente forti per guidare le azioni sindacali. Al contrario, i lavoratori delle città portuali (Santa Marta, Cartagena, Barranquilla), i trasportatori del Rìo Magdalena e i petroliferi della città di Barrancabermeja, organizzarono i primi imponenti scioperi avvenuti tra il 1924 e 1927. Dalle città, le mobilitazioni popolari si spostarono nelle campagne. Nel 1928 toccò alla “United Fruit Company” far fronte ad una delle lotte sociali più dure di quegli anni. Le rivendicazioni dei braccianti delle piantagioni di banane della località di Santa Marta erano basilari: il riposo domenicale, delle condizioni sanitarie umane, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, modesti aumenti salariali e, soprattutto, il pagamento del salario in denaro. I bananeros infatti, venivano pagati con dei buoni da spendere nei magazzini della stessa impresa, dove era possibile comprare solo merci carissime prodotte negli Stati Uniti e, importate, per non far tornare vuote le navi che portavano le banane a New Orleans. Il 5 dicembre del 1928, anziché un negoziatore governativo, venne mandato l’esercito a trattare con i braccianti. La “matanza en las bananeras”, il massacro attuato contro gli scioperanti e le loro famiglie, causò ben 100 morti e più di 200 feriti.21 Quest’evento gravissimo, reso 19 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 20 Ibidem. 21 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze, 1991. 22 popolare e famoso nel mondo da Gabriel Garcia Marquez (che lo raccontò nella sua opera più celebre “Cien años de soledad” del 1967), “mise fine alla vecchia visione della lotta politica fondata sui valori della tradizione e dell’ordine istaurando un diverso rapporto tra le classi dirigenti e quelle subalterne, fondato sulla violenza e la repressione”. “La carneficina della Cienaga chiarì inoltre che le forze armate colombiane erano disposte ad agire come un plotone d’esecuzione del proprio popolo, pur di tutelare gli interessi del capitale straniero”.22 L’atteggiamento delle forze militari, non era motivato solo da scelte politiche ed ideologiche, ma era anche assicurato dalla condotta delle imprese statunitensi, che fin da allora, usavano pagare direttamente i militari per garantire la protezione dei loro impianti. In Colombia il dominio feudale della vecchia classe di notabili cominciava a mostrare i primi segni di un lento, ma inesorabile, collasso su stesso. L’astuzia di alcuni li condusse ad allearsi con quei latifondisti più coraggiosi che avevano avviato il processo di modernizzazione. D’altronde non fu difficile cedere alla tentazione di partecipare agli ingenti profitti legati all’economia cafetalera e all’interesse che in essa venne immediatamente riversato dal capitale straniero (soprattutto inglese e americano). Molto meno allettanti si mostravano le conseguenze che quelle trasformazioni economiche avrebbero avuto in campo politico e sociale. La paura per l’emergere dei nuovi ceti, medi e popolari, e delle loro rivendicazioni economiche e sociali, aveva appena cominciato a farsi sentire. I decenni a seguire presagivano violenti sconvolgimenti, contro l’avanzata dei quali il potere costituito avrebbe scelto la via del sangue. La Grande crisi del 1929-1930 e i suoi effetti. L’ulteriore accelerazione e avanzamento del processo di modernizzazione colombiano avvenuto a partire dal 1930, fu conseguenza della situazione economica internazionale. In conseguenza degli effetti della Grande Crisi mondiale del 1929-30, iniziò in Colombia, come nel resto del continente sudamericano, il processo di sostituzione delle importazioni. Con esso si diede avvio allo sviluppo del paese, in senso propriamente capitalistico. Il processo di sostituzione delle importazioni fu possibile grazie all’accumulazione, nel trentennio precedente, di capitale proveniente dall’ economia cafetalera, ma anche, grazie all’ulteriore accumulazione di capitale, avvenuta durante gli anni del primo conflitto 22 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso.. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 36. 23 mondiale. Negli anni seguiti alla Prima Guerra mondiale, le classi dirigenti al potere adottarono una politica economica protezionistica. Gli effetti negativi della crisi mondiale furono limitati in Colombia, sia rispetto alle grandi potenze mondiali, sia rispetto ai grandi paesi del continente sudamericano (Argentina, Messico, Brasile), a causa del lento avvio del suo processo di industrializzazione: nel 1925, solo il 10% del PIL proveniva dall’industria nazionale.23 Il processo di sostituzione delle importazioni, caratterizzato da una politica economica di tipo interventista permessa dagli alti prezzi internazionali del caffè, si articolò in due fasi successive: una prima fase, in cui l’industria nazionale venne orientata verso la produzione dei beni di consumo immediato (i beni intermedi continueranno a dipendere ancora per molto tempo dall’industria pesante nordamericana); una seconda fase, in cui la Colombia cominciò a vendere sul mercato internazionale i suoi prodotti agricoli ed estrattivi e, in cambio, a ricevere le divise necessarie per acquistare i macchinari, per lo più provenienti dagli Stati Uniti.24 La meccanizzazione e tecnicizzazione avvenute in Colombia tra il 1932-1940 diedero avvio ad un ciclo industriale tipicamente capitalista, caratterizzato da un forte aumento della produttività.25 La meccanizzazione dei paesi dell’America Latina costituì una valvola di sfogo per l’economia degli Stati Uniti, colpita dalla Grande Depressione. Il potente vicino di casa ebbe modo di “rivalorizzare macchine non più rendibili nel suo paese, assicurandosi il monopolio nei mercati in espansione dei paesi in via di sviluppo.”26 Le innovazioni introdotte in Colombia favorirono, negli anni a venire, la concentrazione dell’industria e dei suoi profitti, mentre di pari passo la produzione artigianale e manifatturiera venne isolata per mancanza di competitività. Contemporaneamente, la politica prevalentemente antisindacale adottata dalla classe dirigente favorì il processo di concentrazione e accumulazione delle ricchezze. “Tale accumulazione non corrispose mai ad un aumento proporzionato della produzione dei beni di consumo immediato”.27 La sostituzione delle importazioni proseguì, a partire dalla sua seconda fase, concentrando il capitale nazionale e straniero nella produzione di beni intermedi basici (carta, caucciù, metalli, chimici e petrolchimici). Queste scelte economiche adottate dallo Stato 23 Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971. Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze, 1991. 25 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia, www.gratisweb.com/ciclocrisis. 26 Ibidem, pag. 7. 24 24 colombiano, fortemente volute dalle imprese private nazionali e straniere, generarono il consolidamento dei gruppi finanziari, colombiani e stranieri, in mezzo all’impoverimento popolare. La decisione dell’oligarchia liberale di non intaccare il potere dei signorotti locali fu dettata dall’alleanza bipartitica nata nel XIX secolo e rimasta alla base dello Stato colombiano nel secolo successivo. Questa scelta comportò l’aumento costante della distanza tra i tassi di crescita della produzione industriale e di quella agricola, a partire dal processo di sostituzione delle importazioni fino ai giorni nostri. Pertanto, le conseguenze di lungo termine della crisi mondiale e delle scelte economiche della classe dirigente colombiana penalizzarono nel complesso le classi lavoratrici, tra cui soprattutto quelle legate al mondo agrario. Anche gli effetti negativi di breve termine della crisi mondiale si riversarono sulle classi subalterne. In primo luogo, esse furono colpite dall’aumento della disoccupazione per la diminuzione della domanda sul mercato internazionale dei prodotti colombiani per l’esportazione; in secondo luogo, dalla caduta dei salari reali causata dall’aumento del costo della vita perché, nel paese monoesportatore, il fabbisogno alimentare della società veniva soddisfatto dai prodotti dell’importazione.28 Parallelamente, gli effetti a breve termine della crisi, colpirono anche la componente latifondista e quella legata al commercio del caffè, in seno alla classe dirigente. I settori legati all’economia monoesportatrice uscirono, nel complesso, indeboliti dalla crisi mondiale, a causa del crollo dei prezzi e della domanda di caffè sul mercato internazionale. D’altro canto, “la notevole concentrazione della ricchezza non poteva che avvenire in parte grazie alla sensibile diminuzione quantitativa del ceto dei notabili”.29 Come abbiamo visto però, parte della classe dirigente legata all’esportazione, per lo più di stampo liberale, seppe riprendersi rapidamente grazie all’avvio del nuovo ciclo propriamente capitalista dell’economia colombiana di cui divenne protagonista. La Repubblica liberale (1930-1946) Gli interessi dei poli più dinamici dell’economia colombiana, politicamente rappresentati dal Partito Liberale, furono largamente favoriti dagli effetti della Grande Crisi del 1929. 27 Ibidem. Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971. 29 Carmagnani Marcello, Casetta Giovanni, America Latina: la grande trasformazione.1945-1985. Einaudi, 1989. 28 25 Pertanto, la loro contrapposizione con l’immobilismo dei latifondisti più conservatori, legati ai tradizionali rapporti di lavoro e alla grande proprietà, si fece sempre più manifesta. Nella lotta al tradizionalismo rurale, i liberali decisero di intraprendere la strada delle riforme, cercando di attirarsi il sostegno delle classi popolari liberate dalla modernizzazione avviata.30 Il nuovo regime liberale attuò la propria politica di modernizzazione soprattutto durante il governo del figlio di uno degli uomini della finanza più importanti dell’epoca, le cui fortune erano legate all’esportazione di caffè: il banchiere Alfonso Lòpez Pumarejo. Durante i due mandati in cui governò, López portò al centro del dibattito politico istanze di carattere sociale e lavorativo. Il suo ruolo nella storia politica colombiana è simile a quello svolto dal suo contemporaneo Franklin D. Roosevelt negli Stati Uniti: le scelte politiche di López furono molto influenzate dalla politica del “New Deal”.31 Con quella che venne proclamata, non senza una forte carica demagogica, la “Revoluciòn en Marcha”, durante il suo primo mandato (1934-1938), Lòpez introdusse il suffragio universale maschile; adottò misure per un aumento dell’intervento statale a difesa della neonata industria nazionale; limitò il potere della Chiesa; tassò i profitti attraverso la riforma tributaria; stimolò la contrattazione collettiva con la costituzione del Dipartimento Nazionale del Lavoro, il riconoscimento e l’appoggio mostrato alle prime organizzazioni sindacali nazionali; legalizzò lo sciopero; promulgò la legge 200, che riconosceva la funzione sociale della proprietà terriera e prevedeva una distribuzione controllata delle terre incolte.32 La legge 200 del 1936 stabiliva la redistribuzione di quei latifondi superiori ai 300 ettari, in cui non veniva assicurato l’uso della terra a fini sociali.33 Inspirandosi a questo principio, la legge stabiliva che i campesinos sarebbero divenuti proprietari delle terre che lavoravano da più di dieci anni. Infine, a difesa del campesino, legalizzava solo quei titoli di proprietà emessi dallo Stato e, per quelli privati, convalidava solo quelli emessi prima del 1917 (il che significa che venivano legalizzati tutti i titoli privati falsi, prodotti dai vari notai, durante e dopo la lunga Guerra de los Mil dìas). 30 Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971. Bushnell D., The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 32 Livingstone G., Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 33 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004. 31 26 L’obbiettivo di tale provvedimento era quello di favorire la creazione di una classe media di contadini che avrebbe stimolato lo sviluppo economico del paese con l’introduzione della forma di produzione capitalista nelle campagne. In questo modo, si voleva frenare l’avanzata del comunismo nel mondo rurale. In quegli anni infatti l’attività dell’Union Nacional de la Izquierda Revolucionaria (UNIR) aveva cominciato ad attirare l’attenzione e il consenso di una parte sempre più consistente della popolazione contadina, ossia una delle componenti sociali più colpite dagli effetti immediati della crisi mondiale. Grazie alla sua grande capacità oratoria e alla forza evocativa di slogan quali “la terra a chi lavora” o “la fame non è né liberale né conservatrice”, il leader di tale organizzazione contadina, l’avvocato di origine india Jorge Eliécer Gaitàn, cercava di mettere in guardia le masse popolari dalle false divisioni esistenti in seno al popolo colombiano. Per Gaitàn i due partiti tradizionali non costituivano altro che un “unico partito a due facce, ossia il vero nemico del paese, schierato a difesa del potere oligarchico e contro gli interessi delle masse popolari”. 34 A partire dal 1934 i capi contadini dell’UNIR cominciarono a essere massacrati dalle “guardie regionali”, ossia sicari finanziati dai latifondisti. Dopo alcuni di questi massacri, Gaitàn scelse di far confluire il suo movimento nell’onnicomprensivo Partito Liberale. Se la riforma agraria promossa dalla legge 200 costituì uno degli ultimi colpi sferzati contro il tradizionale sistema agrario dominato dall’hacienda, l’introduzione del suffragio universale maschile e la legislazione del lavoro furono misure adottate dalle forze liberali al potere, per assicurarsi il consenso delle classi popolari, ossia il necessario alleato nell’opposizione al potere latifondista. Allo stesso tempo, queste misure servirono a canalizzare le tensioni sociali entro strutture sindacali facilmente controllabili. López e i suoi alleati erano infatti convinti che la negoziazione, e non l’autoritarismo, fosse la vera chiave per il progresso e per l’allargamento del potere d’intervento dello Stato centrale. La determinazione di un’ “aristocrazia di lavoratori”35 come interlocutrice preferenziale del governo, avrebbe impedito l’emergere di un movimento autonomo e più radicale della classe operaia, capace di mettere seriamente in pericolo la classe al potere e l’ordine costituito. 34 Jerez Cisar. Consigliere di varie organizzazioni contadine e rappresentante dell’associazione contadina di Cimitarra: Coordinaccion Coca Colombia; dalla sua esposizione al seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004. 35 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 64. 27 Per Giovanni Casetta36, con questa serie di riforme sociali la Colombia si inseriva in quel movimento politico-economico che coinvolse tutti i paesi del continente latinoamericano: il populismo. Questa forma di dominio statale caratterizzata da un ampio intervento e controllo dello Stato in campo economico, risentiva chiaramente degli effetti che provocò, a livello mondiale, la politica economica attuata dal potente vicino di casa, attraverso il New Deal di Roosvelt. Al contrario, Daniel Pécaut37 non riconosce affatto nella Revoluciòn en marcha della Repubblica Liberale una manifestazione di quello che fu il populismo. Anzi, nella politica di modernizzazione adottata dal Partito Liberale degli anni Trenta, egli scorge uno dei tre grandi ostacoli che hanno impedito la piena affermazione del populismo in Colombia, nelle due uniche occasioni in cui tale fenomeno raggiunse dimensioni nazionali: l’ immensa mobilitazione popolare suscitata da Jorge Eliécer Gaitan tra il 1945 e il 1948 e quella che riuscì ad ottenere l’ANAPO, l’organizzazione creata dal generale Rojas Pinilla per combattere il Fronte Nazionale. Come abbiamo già visto, quando Casetta tenta di spiegare le ragioni esistenti alla base della continuità della violenza nella storia colombiana, egli ricorre ad elementi strutturali della “forma-stato oligarchica” 38, sviluppatasi sulla base di una forma partito concepita come “configurazione di caciques regionali”.39 La frammentazione sociale, legata alla frammentazione del territorio e alla permanenza di numerose zone escluse al controllo statale è, anche secondo l’analisi di Pécaut, ciò che ha determinato il consolidarsi e il protrarsi fino ai giorni nostri di “pratiche politiche” che non trovano la loro legittimazione nella capacità di mediare i diversi interessi rappresentati, ma che sono derivate da “transazioni e conflitti tra i poteri in gioco, a tutti i livelli della società”.40 Questo però, come ci spiega nel suo libro Guerra contro la società, è solo uno dei tre aspetti alla radice del fallimento del populismo e, al secondo lui conseguente continuo ricorso nella storia della Colombia a pratiche di violenza. In particolare, la continuità con quanto sostenuto da Casetta continua, anche per quanto riguarda il secondo 36 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991. 37 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001. Daniel Pécaut è un grande esperto delle problematiche del continente sudamericano, in particolare è un profondo conoscitore del paese colombiano. Nella sua brillante carriera di studioso è succeduto, per ben dieci anni, ad Alain Touraine nella direzione del “Centro Studi dei Movimenti sociali”. Dopo tale incarico è stato direttore di una delle principali riviste riguardanti il continente sudamericano, la rivista francese Problemes d’Amèrique Latine. 38 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 105. 39 Ibidem. 40 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 55. 28 ordine di fattori, ossia la rigida rivalità esistente tra le due formazioni politiche tradizionali. È solo Pécaut però a mettere sufficientemente in evidenza il carattere non sostanziale di tale contrapposizione e della conseguente divisione della società colombiana secondo una “geografia di partito”.41 Pècaut insiste sulla scelta della classe dirigente, conservatrice e liberale, di mantenere la medesima intensità dello scontro tra le due formazioni politiche, dalla loro costituzione ai giorni nostri, senza che tra di esse ci fossero “precise differenze nei loro interessi socioeconomici, esclusa una diversa visione del ruolo della Chiesa nella creazione di un ordine sociale”.42 Se il Partito Conservatore ha da sempre considerato il forte potere clericale esercitato sul sistema culturale del paese e sulle sue istituzioni come il mezzo indispensabile per garantire l’ordine, il Partito Liberale lo ha sempre visto come un ostacolo alla progressiva modernizzazione del paese. Dall’altra, in questioni più centrali per lo sviluppo e la crescita della nazione, i due partiti hanno invece ripetutamente dimostrato, nel corso dei successivi decenni, di non avere visioni contrastanti né sulla questione della terra né, più in generale, sulle politiche redistributive dei beni e dei servizi e sulle rivendicazioni provenienti dalle classi medie e popolari per una maggiore partecipazione politica. Pertanto la divisione bipartitica della classe politica si consolida grazie al sangue versato nelle innumerevoli guerre interne dai partigiani di entrambe le fazioni politiche nel corso dei decenni. L’affiliazione alle due formazioni partitiche riesce a penetrare fino in profondità nella società colombiana, urbana e rurale, grazie alla trasformazione delle ideologie liberali e conservatrici in vere e proprie “sottoculture”, trasmesse di generazione in generazione. Dietro lo scontro demagogico tra valori propriamente conservatori (quali quelli legati a Dio, alla patria e alla famiglia) e valori sbandierati dai liberali (che si rifacevano ai principi di uguaglianza, libertà e fratellanza) la strategia politica più utilizzata da entrambi i partiti è sempre stata quella dell’esclusione dell’avversario. Modalità d’azione utilizzata congiuntamente quando qualche gruppo politico e sociale colpiva i privilegi del potere costituito, da trasformarsi in armo d’attacco per colpire l’avversario nei momenti di relativa calma, ovvero quando le rivendicazioni popolari erano già state precedentemente evitate e indefinitamente rimandate.43 Tornando a Pécaut, egli sostiene che questa lotta politica escludente interminabile ha favorito una generale sfiducia della società nell’autorità centrale dello Stato. Questo, lontano dall’aver raggiunto il monopolio della coercizione e della giustizia, viene per lo più 41 Ibidem, pag. 56. Ibidem. 43 Marquez Gabriel Garcia,Vivere per raccontarla, Mondatori, 2002. 42 29 percepito come una minaccia dei diversi poteri locali. Di conseguenza, l’idea stessa di cittadinanza politica possiede solo un contenuto vago, in un paese che riconosce come suo unico mito fondante l’uso della violenza in ogni circostanza: mito che “si attualizza ad ogni istante attraverso le guerre civili, ma anche nelle elezioni, percepite non come una derivazione del principio di legittimità, ma come la manifestazione di una semplice relazione di forza”44. E’ facile quindi comprendere Pécaut quando afferma che “le rappresentazioni del politico hanno privato l’idea di popolo unificato di qualsiasi significato”. 45 Infine, il terzo ed ultimo ostacolo al populismo (ed è qui che l’analisi di Pécaut si allontana in misura più consistente da quella di Casetta), è stato determinato dalla gestione privata della politica economica ad opera del Partito Liberale negli anni Trenta. La modernizzazione avviata non mette per nulla in discussione la struttura di potere tradizionale, né cerca di rinnovare l’immaginario sociale di un “popolo che possiede un’identità politica che va oltre alla sua identificazione con i due partiti”.46 Dopo la caduta del prezzo del caffè, conseguente alla crisi mondiale del 1929-1930, il compito di definire le misure economiche necessarie al superamento della crisi non venne assunto dal potere statale, bensì fu affidato ad un’organizzazione privata: la Federaciòn de Cafeteros (FEDECAFE’). Espressione dell’èlite economica legata alla coltivazione e alla commercializzazione del caffè, la FEDECAFE’ si schierò a difesa della liberalizzazione dell’economia e contro l’adozione di qualsiasi misura protezionistica. Del resto, anche gran parte dell’élite economica legata all’industria nascente rifiutava un intervento diretto dello Stato nella politica economica, che rimase pertanto gestita da un sistema di tipo corporativo. Rispetto agli altri paesi dell’America Latina, la Colombia ha potuto quindi limitare significativamente la propria spesa pubblica. In quegli anni, il vantaggio della gestione privata dell’economia politica è sicuramente stato quello di non avere dovuto soffrire le conseguenze, estremamente negative, delle numerose impennate inflazionistiche dei paesi vicini. Al contempo, la gestione privata dell’economia si è rivelata uno degli ostacoli più grandi per lo sviluppo industriale del paese e per la piena affermazione di un movimento populista che avrebbe facilitato il riconoscimento dei diritti sociali. Allo Stato Colombiano venne negata ancora una volta, ora per mano liberale, prima per mano conservatrice, la possibilità di assumere un’autonomia reale, dapprima in campo economico, quindi in 44 Pécaut. Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 56-57. Ibidem. 46 Ibidem, pag. 57. 45 30 quello politico. “Il gaitanismo mise alla luce le difficoltà davanti alle quali si trovò la mobilitazione populista, in un paese dove il processo di sostituzione delle importazioni e di industrializzazione rimanevano limitati, in quanto associati agli interessi costituiti.”47 Gli elementi necessari per la creazione di una nuova alleanza, sulla base della quale ricreare uno Stato nuovo, erano venuti meno. Innanzitutto, le dimensioni raggiunte dalla mobilitazione della forza lavoro erano insufficienti. Ancora troppo forte era il legame della classe media con l’èlite dominante per le possibilità d’impiego che quest’ultima gli offriva; né era avvenuta una riforma in senso progressista delle Forze Armate. Infine, la gestione privata dell’economia e il limite che essa esercitò sullo sviluppo industriale del paese fece sì che la popolazione rurale rimanesse una maggioranza determinante dal punto di vista elettorale. Questa, a sua volta, era ancora troppo legata ai poteri locali. Come ricordano Palacios e Abel, fino al 1947, nemmeno Gaitàn era riuscito a controllare la rete informale di potere dei caciques liberali. Non è quindi certo che il successo straordinario che il leader populista stava ottenendo tra le masse popolari, soprattutto quelle rurali, sarebbe stato tale da colmare l’assenza di altri fattori determinanti per la creazione della base sociale necessaria a sovvertire l’ordine costituito. Quel che è certo ed indiscutibile è che Gaitàn venne violentemente privato della possibilità di tentarci. Solo in ambito culturale la Revolucion en Marcha adottò le misure necessarie al rafforzamento del potere statale. Con la riforma costituzionale del 1936 il processo di secolarizzazione avanzò in misura considerevole. Innanzitutto, nel preambolo della Costituzione venne eliminato qualsiasi riferimento alla potenza divina come fonte di autorità. In secondo luogo, uno dei maggior meriti della riforma fu la diffusione dell’istruzione pubblica. Tra gli effetti più immediati, le nuove misure introdotte contribuirono ad esasperare lo scontro tra liberali e conservatori, i quali interpretarono le modifiche del testo costituzionale, come un vero e proprio sacrilegio. Intanto, i duri attacchi reciprochi non fecero altro che alimentare la già profonda sfiducia della società colombiana nei riguardi dell’autorità delle istituzioni statali. Secondo Pècaut48 quindi, il sistema di potere colombiano non venne minato nelle sue fondamenta. E’ per questo che egli non considera il progetto riformista liberale un progetto realmente populista. Se in America Latina il populismo ha assunto caratteri molto diversi a seconda della specificità delle differenti realtà nazionali, in tutti i casi il populismo si è presentato come un tentativo di fondare l’ordine sociale su nuove basi, in seguito al diffuso 47 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 612. 48 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001. 31 timore che la disorganizzazione avrebbe prevalso nelle società dei diversi paesi. Il populismo mise alla luce l’inadeguatezza, nel contesto sudamericano, di quelle rappresentazioni del politico e dell’economico capaci di garantire l’ordine sociale in Europa, a partire dall’idea di un mercato in grado di autoregolarsi, fino ad arrivare alle leggi naturali che sanciscono l’uguaglianza degli individui. Pècaut ritiene che attraverso il populismo, protagonista della realtà politica dei paesi latinoamericani nel corso degli anni ’20 e ’40, le società sudamericane tentarono “di scoprire quella realidad che sembrava rovinare il progetto politico della modernità. Le configurazioni populiste costituiscono un tentativo di evocare un’altra finzione, adatta a questa realtà, quella di un patto fondante attraverso cui il popolo diventa soggetto politico grazie ad un leader e senza passare attraverso i classici meccanismi di rappresentazione”.49 Il concetto espresso dal termine realidad, frequentemente utilizzato nei discorsi dei riformisti di quegli anni, si riferisce alla specificità della razza locale o alla sua cultura sottostante e, allo stesso tempo, vuole sottolineare la sua diversità in relazione alle istituzioni artificiali introdotte in America Latina dal potere colonialista. La Violencia (1946-1958) Il contesto internazionale. Il riconoscimento mondiale della supremazia della potenza statunitense tra i vincitori della seconda Guerra Mondiale si concretizzò con la nascita del sistema di Bretton Woods nel 1944: alla luce della posizione di privilegio conquistata dagli Stati Uniti il dollaro s’impose come modello monetario mondiale. Parallelamente vennero create le istituzioni internazionali necessarie per la coordinazione delle politiche economiche di tutti i paesi aderenti a Bretton Woods, il cui compito sarebbe stato determinante per garantire la stabilità e la solidità del nuovo sistema: il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM), istituti dipendenti dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.50 Immediatamente, si fece chiaro il principale obbiettivo del nuovo sistema: l’espansione del commercio, elemento chiave del modello di sviluppo capitalistico e mezzo necessario per frenare l’avanzata socialista nel mondo. Nel 1948 venne sottoscritto il General Agreements of Trade Tariffs (GATT), il cui schema insisteva sulla libertà del cambio. In questo modo si sarebbero favorite le esportazioni delle materie prime, provenienti dai paesi del Terzo 49 50 Ibidem, pag. 61-62. Giordano Giancarlo, La politica estera degli Stati Uniti. Franco Angeli, Milano, 1999. 32 Mondo, e dei prodotti finiti provenienti dai paesi industrializzati. Molti erano coloro che sosteneva che il nuovo sistema economico avrebbe favorito un’equa ripartizione delle ricchezze su scala mondiale, ma ben presto cominciarono a scorgersi i primi segni riguardo la formazione di una divisione gerarchica del lavoro a livello internazionale.51 La ridefinizione delle relazioni Nord-Sud nel continente americano non si limitò al campo commerciale, ma investì anche il piano politico: nel 1948 nacque l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA). Sul piano militare invece gli accordi relativi ad una comune politica di difesa erano già stati stipulati durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, attraverso l’istituzione della Giunta Interamericana di Difesa nel 1942. Tale collaborazione militare venne ribadita a due anni dalla conclusione dell’ultimo conflitto mondiale con la firma del Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR). Nella fattispecie, la posizione della Colombia sul mercato internazionale subì grossi cambiamenti a partire dal 1955, anno in cui fecero ingresso i nuovi raccolti di caffè provenienti dal continente Africano. Fu allora che la competitività del caffè colombiano, così come del caffè brasiliano, subì un duro colpo. Brasile e Colombia cercarono meccanismi difensivi distinti, ma le politiche liberoscambiste riguardo alla circolazione delle materie prime sul mercato mondiale non lasciavano grandi spazi di manovra.52 Al riguardo gli interventi del segretario del Tesoro degli Stati Uniti al Consiglio Economico e Sociale Interamericano dell’Organizzazione degli Stati Americani, Gorge Humpray, furono esaustivi: egli manifestò apertamente grosse ostilità riguardo le richieste avanzate di stipulare degli accordi per fissare il prezzo dei beni di prima necessità. 53 Le disillusioni della Revoluciòn en Marcha. Molti in quegli anni avevano voluto credere nel carattere riformatore della Revoluciòn en Marcha. Le promesse di Lòpez Pumarejo erano sembrate credibili non solo agli occhi degli intellettuali liberali, ma anche a quegli degli operai e del Partito Comunista Colombiano costituitosi nel 1930, forte soprattutto nelle zone del Tolima e della parte sud-occidentale del Cundinamarca, ovvero zone dedite alla coltura del caffè.54 Le prime disillusioni sopraggiunsero con la presidenza del liberale Eduardo Santos (193842), che non si preoccupò di mettere in atto la maggior parte dei provvedimenti della 51 Rodriguez Octavio, La teoria del subdesarrollo de la CEPAL. Siglo XXI Editores, quinta edizione, Bogotà, 1986. 52 Montoya A. S., Critica al Alca. Ediciones Aurora, Bogotà, 2003. 53 Bates Robert, Politica internacional y economica abierta. TM editores, Bogotà, 1999. 54 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001. 33 legislazione precedente.55 Soprattutto nel mondo agrario, l’insoddisfazione stava crescendo a macchia d’olio. Difatti, i provvedimenti della legge 200 erano rimasti praticamente inapplicati. A rendere inefficace quanto stabilito dalla riforma agraria del 1936 intervenne la complessità burocratica e, soprattutto, la strenua resistenza incontrata nei latifondisti. Per impedire l’applicazione del testo legislativo i grandi proprietari terrieri ricorsero ai mezzi più vari: da misure subdole di dubbia legalità (come la strategia di posizionare anche un unico capo di allevamento su enormi appezzamenti di terra, per dimostrare l’“utilizzo sociale” dell’intero latifondo), fino al dispiegamento dei mezzi di repressione più duri, grazie all’azione svolta da bande paramilitari da loro stessi armate. Di fronte all’indifferenza del Governo riguardo a questi atti illegali, i contadini reagirono cominciando ad occupare alcune terre pubbliche ed altre private, lasciate incolte dai latifondisti, in corrispondenza di alcune regioni della Cordigliera. Qui, vennero costituite le prime organizzazioni di “autodifesa contadina”: da un lato, i contadini volevano fare pressioni sul governo per il riconoscimento dei loro diritti sulla terra; dall’altro, volevano semplicemente difendersi dalla violenza messa in atto da questi primi gruppi paramilitari. Parallelamente, il malcontento continuava a crescere tra le forze conservatrici del paese. Da un lato, dura rimaneva l’opposizione alla riforma dell’istruzione: con l’introduzione di misure atte a limitare il monopolio della Chiesa sul mondo culturale non solo venivano minati i privilegi ecclesiastici, ma l’intero ordine sociale veniva messo in pericolo. Dall’altra, una grossa fetta del mondo economico si sentiva privata di un’adeguata protezione governativa di fronte alla crescente mobilitazione di una forza lavoro sempre più organizzata.56 Fu così che, in seguito al mancato intervento del primo governo López per frenare l’ondata di scioperi del 1934-35, sorsero diverse organizzazioni padronali, quali: l’Associazione nazionale degli Industriali (ANDI); la Federazione degli allevatori (FEDEGAN); la Federazione nazionale per il commercio (FENALCO). Sempre in quegli anni, le forze di destra si coalizzarono in un unico movimento militarizzato operativo soprattutto nelle campagne: l’Acción Patronal Económica Nacional (APEN).57 La rottura definitiva tra il mondo contadino e i liberali al potere avvenne con la cosiddetta “riforma del riformatore” 58, messa in atto dallo stesso Lòpez Pumarejo durante il suo 55 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 56 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995. 57 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991. 58 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004. 34 secondo mandato. Essa sopraggiunse in seguito all’approvazione di una legge del 1944, che legalizzava il despojo, ovvero l’espropriazione illegale della terra. Si trattava di un vero e proprio ritorno indietro rispetto a quanto stabilito dalla legge 200. Il 1945 fu, invece, l’anno della rottura definitiva con il movimento operaio. Cruciale fu la decisione del nuovo presidente ad interim Lleras Camargo (succeduto alla presidenza dopo le dimissioni di Lòpez, in seguito ad uno scandalo finanziario) di reprimere nel sangue lo sciopero dei lavoratori dei trasporti e degli scaricatori delle città portuali organizzato dal Partito Comunista.59 I motivi della polarizzazione sociale crescente vanno ricondotti alla congiuntura storica della Seconda Guerra mondiale e del suo immediato dopoguerra: ancora una volta gli effetti negativi delle dinamiche internazionali ricaddero sulle classi subalterne. Si assistette alla stessa successione di eventi, tra loro concatenati, che avevano caratterizzato gli anni immediatamente seguiti alla Grande Crisi del 1929. A causa di una drastica caduta delle importazioni dei beni di prima necessità, il conseguente aumento del costo della vita e la parallela diminuzione dei salari reali dei lavoratori si sommarono agli effetti della caduta delle esportazioni dei prodotti colombiani che, a sua volta, provocò un aumento della disoccupazione. Contemporaneamente, la nuova congiuntura storica ricreava le stesse condizioni favorevoli ad un’ulteriore concentrazione della ricchezza, a favore dell’èlites economiche di entrambi i colori. L’inizio della Violencia e la vittoria del Partito Conservatore. La regressione di Lòpez e la politica repressiva e antisindacale del governo di Lleras Camargo avevano causato divisioni insanabili all’interno del Partito Liberale, dividendolo in: un’ala radicale, capeggiata da Elicier Gaitàn, e un’altra moderata, guidata da Gabriel Turbay. Questa spaccatura fu la causa della sua sconfitta elettorale nelle elezioni presidenziali del 1946. In realtà, anche nel Partito Conservatore si riconoscevano un’ala più moderata e un’altra più estrema, quella degli historicos di Gòmez, stretti attorno al movimento dell’ANEP e accomunati dal comune desiderio di costituire “una forma stato fortemente centralizzata, corporativa e clericale”.60 Maggiore comunanza di interessi e di obbiettivi si riscontravano invece nelle due fazioni moderate di entrambi i partiti, fermamente schierate contro “l’orientamento dirigista e un eccessivo ruolo dello Stato 59 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 60 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 57. 35 nell’economia”.61 Ad ogni modo, di fronte al pericolo di perdere le elezioni, il Partito Conservatore pensò bene di non rischiare, presentandosi alle elezioni con un unico candidato: fu così che vinse il conservatore Ospina Perèz (i cui voti furono nettamente inferiori a quelli ottenuti dalla somma dei voti dei due candidati liberali). I risultati di queste elezioni confermarono, d’altro canto, l’enorme portata della mobilitazione guidata dal populista Elicier Gaitàn. Il linguaggio utilizzato nei discorsi tenuti davanti ad un pubblico sempre più consistente, costituito da varie componenti sociali della classe subalterna (lavoratori, piccoli artigiani, piccoli commercianti, disoccupati), era molto simile a quello dell’argentino Peròn. Gaitàn insisteva infatti nel denunciare le contraddizioni sociali di un sistema, quello della democrazia liberale, che si costituiva di un’oligarchia e di tutti coloro che confluivano nelle fila dei privi di diritto. Egli attaccava indistintamente la componente liberale e conservatrice di questa oligarchia, la stessa al potere dai tempi dell’Indipendenza. La sua fittizia divisione in due formazioni politiche contrapposte e in lotta da più di un secolo era funzionale a nascondere gli inganni di un partito unico a due facce. Le parole di Gaitàn superarono la “divisione storica del paese tra liberali e conservatori”, per accentuarla con “un taglio orizzontale e più realista tra sfruttatori e sfruttati: il paese politico e il paese nazionale”62, o “reale” 63. Infine, in comune con il peronoismo, il gaitanismo condivideva la “stessa aspirazione a superare le opposizioni tra capitale e lavoro, in nome di una ricostruzione organica della società”.64 Il largo consenso che in quegli anni il gaitanismo ottenne in seno alla società colombiana trovò conferma nei risultati delle elezioni parlamentari del 1947, ma anche nelle numerose manifestazioni popolari organizzate sull’onda dell’entusiasmo gaitanista, che interessarono ogni categoria produttiva. In particolare, la storia ricorda lo sciopero generale del maggio del 1947, non solo per la portata della mobilitazione che portò sulle strade migliaia di persone, ma soprattutto perché lo sciopero venne dichiarato illegale e represso nel sangue. In quell’occasione vennero arrestati centinaia di operai, in seguito alla decisione del nuovo governo conservatore di sospendere la personalità giuridica alla Confederaciòn de Trabajadores de Colombia (CTC), ovvero la prima confederazione sindacale nazionale costituitasi appena dieci anni prima con l’appoggio del governo López. Al suo posto venne creata una nuova organizzazione sindacale in linea con la politica del Partito Conservatore, 61 Ibidem. Garcìa Marquez, Gabriel, Vivere per raccontarla. Mondadori, Milano, 2002, pag. 82. 63 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 63. 64 Ibidem. 62 36 che incontrò un immediato sostegno nei grandi proprietari agrari e nella Chiesa: la Uniòn de Trabajadores de Colombia (UTC). Anche se alcuni storici fanno risalire l’inizio della Violencia a partire dal 9 aprile del 1948 in seguito all’esplosione del cosiddetto Bogotazo, molti altri riconoscono che gli orrori della Violencia avevano cominciato a dispiegarsi già due anni prima, immediatamente dopo la conquista della presidenza da parte del Partito Conservatore. L’utilizzo della forza fu il mezzo impiegato per sedare gli scioperi del 1946-47 e per diffondere il terrore soprattutto nelle campagne, tra i sostenitori di Gaitàn, prima e dopo le elezioni parlamentari e, soprattutto, in vista di quelle presidenziali del 1950. Solo in riferimento al 1947 le cifre ufficiali parlano di 14.000 morti.65 Come sottolinea Grace Livingstone, ciò fu possibile grazie al cambio dei vertici dei comandi delle forze di polizia e dei consigli comunali, in seguito alla vittoria dei conservatori alle presidenziali. Molti dei nuovi effettivi vennero reclutati tra i membri delle milizie private che, come già detto, venivano finanziate dai latifondisti e da parte degli industriali e banchieri, sin dal primo governo Lòpez. Vista la gravità del pericolo, i conservatori scelsero tra i membri di quelle bande paramilitari, formatesi nelle zone più conservatrici e cattoliche del paese: uno dei primi contingenti fu reclutato nella cittadina ultracattolica di Chulavo; da allora, la fama dei sanguinari poliziotti chulavitas non ha tralasciato di farsi conoscere in tutto il paese. L’assassinio di Elicier Gaitàn e il fallimento del populismo in Colombia Agli inizi del 1948 Gaitàn rese pubblico un Memoriale degli oltraggi subiti dai liberali per mano dei chulavitas, durante una manifestazione popolare che dimostrò, ancora una volta, le grandi capacità politiche ed oratorie di quest’avvocato di origine india, nemico numero uno dell’oligarchia al potere. La scelta di Gaitàn fu quella di organizzare un’impressionante “marcia del silenzio”, che coinvolse quasi la metà degli abitanti di Bogotà, riunitisi nella storica Piazza Bolivar. Questa scelta rispecchiò perfettamente, secondo Pècaut, l’impianto filosofico dell’immaginario gaitanista, fortemente influenzato dalla criminologia italiana66, che lo condusse ad un’interpretazione “biologica” della contrapposizione popolo-oligarchia. Anche alla luce di queste considerazioni, vanno interpretati gli slogan quali “La fame non 65 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 66 Gaitàn studiò criminologia in Italia dal 1926 al 1929 con Ferri, discepolo di Lombroso, il cui pensiero fu altamente influenzato dal darwinismo sociale. Gaitàn ebbe modo pertanto, di assistere alle prime manifestazioni mussoliniane, che lo impressionarono molto. 37 ha colore politico”, o “Le malattie non sono ne conservatrici, né liberali”67. Sicuramente queste frasi avevano lo scopo di mettere in discussione le false divisioni del partito a due facce, ma contemporaneamente “devono essere interpretate secondo il loro significato letterale: a causa della sua povertà biologica, il popolo non può ancora accedere da solo alla condizione di soggetto politico.”68 Parallelamente, anche il termine oligarchia non si riferisce ad un preciso soggetto politico, ad una classe sociale. Infatti, da essa egli “ suole escludere, esplicitamente, tutti i settori che partecipano alla produzione economica, da cui, è precisamente il suo carattere improduttivo che egli vuole denunciare”. 69 Con le parole di Gaitàn: “Cercare persone intelligenti e capaci, gente onesta e sociale negli organismi deboli e malati, colpiti da tutti i compiti ereditati e accidentali, è una impossibilità fisica”, oppure, “I nostri politici hanno dimenticato che l’uomo è prima di tutto una realtà biologica e fisiologica. Senza la nutrizione delle cellule, senza il funzionamento equilibrato del suo organismo, è vano parlare di giustizia, di grandezza nazionale”. Secondo l’analisi di Pécaut, “più che un conflitto tra due gruppi sociali”, Gaitàn “elabora la rappresentazione mitica di un combattimento tra forze inumane, delle quali una incarna la sofferenza, l’altra, il godimento.”70 La denuncia di Gaitàn al potere costituito è radicale in quanto egli non accusa la democrazia liberale solo di mantenere le disuguaglianze generate dalle contrapposizioni del paese politico-paese reale, oligarchia-popolo, capitale-lavoro, unità organica individualismo, ma quello che di essa critica è “il tentativo di favorire, in nome di un egualitarismo astratto, il regno politico dei mediocri”.71 La soluzione promossa da Gaitàn è, secondo la lettura di Pécaut, quella di un modello che si basa sulla fusione tra le masse e il suo leader, dove “l’energia delle prime si converte in sustrato di volontà politica del secondo”.72 Con le parole dello stesso Gaitàn, si tratta “un organismo in cui agiscono elementi diversi, a volte opposti, il cui equilibrio garantisce l’unità”. Da cui, si comprendono affermazioni quali: “Io non sono un uomo, sono un popolo”. Ed è così che Gaitàn decide di fare sfilare gli abitanti di Bogotà in silenzio, durante quella che sarà la sua ultima manifestazione, non solo perché il silenzio era probabilmente il mezzo più adatto per esprimere il dolore collettivo della morte causata dallo scoppio della Violencia nelle campagne, ma perché il silenzio della massa gli dà la possibilità di dimostrare che lui, 67 Tutte le citazioni di Gaitàn qui riportate sono state prese dal libro di Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001. 68 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 64. 69 Ibidem. 70 Ibidem, pag. 65. 71 Ibidem. 38 leader scelto dal popolo, è in grado di esprimere la volontà politica del “tutto organico”, di “neutralizzare le leggi della psicologia collettiva”, riuscendo a far vincere la disciplina sul disordine fisiologico delle masse. Il corpo della massa e quella del leader sono un tutt’uno. Il radicalismo del discorso gaitanista è stato percepito da altri autori, oltre che da Pécaut. Per Casetta, ad esempio, il “gaitanismo, come progetto politico, poteva dunque realizzarsi solo al di fuori del sistema politico tradizionale”73: anche Casetta si sofferma sul fatto che il bersaglio della critica di Gaitàn era fatto di tutte le oligarchie conservatrici e liberali del paese, entrambe schierate contro un aumento della partecipazione politica delle classi emergenti. Guido Piccoli, afferma che Gaitàn fu l’uomo che tentò di mettere in discussione la democrazia liberale per dar vita ad una “democrazia partecipativa” 74: le trasformazioni sociali ad essa collegate destarono nella classe dirigente una paura di tali dimensioni da mobilitare tutto l’apparato del potere contro il leader populista. Altri, invece, hanno negato il carattere rivoluzionario del suo discorso politico, considerando il contenuto delle riforme sociali da lui proposte, in fin dei conti, moderato: le sue battaglie non miravano altro che a favorire una politica economica maggiormente redistributiva e una più alta partecipazione politica. In questa prospettiva, Grace Livingstone ad esempio, lo definisce un “riformatore sociale”75, più che un rivoluzionario. Un riformatore in grado però di portare nelle strade della capitale migliaia di poveri e, per questo, percepito come sufficientemente pericoloso da provocare una durissima reazione nell’establishment politico di allora. La Livingstone condivide le affermazioni fatte da Gonzalez Sànchez76, nelle quali si denuncia il fatto che gli obbiettivi “moderati” del progetto gaitanista “furono sostenuti da una mobilitazione sociale di tale portata da sembrare trasformare il loro contenuto riformista, portando le forze dello status quo a percepire in esse una minaccia per l’intero impianto dell’edificio sociale”.77 Queste considerazioni in realtà, più che mettere in dubbio la radicalità del progetto gaitanista 72 Ibidem. Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 62. 74 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 38. 75 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003, pag. 65. 76 Sanchez G., The violence: an interpretative synthesis , nell’opera di C. Berquist, R. Peñaranda, G. Sanchez, Violence in Colombia: The contemporary crisis in Historical Perspective, Scholarly Resources, USA, 1992, pag. 77. 77 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 73 39 rispetto al sistema tradizionale di potere, non fanno altro che confermare la teoria del partito a due facce sostenuta in modo esplicito da Pécaut e da Piccoli. Il 1948 inizia con il ritiro delle forze liberali dal Governo e la conseguente rottura del Governo d’Unione Nazionale presieduto da Ospina, a causa della sua incapacità di frenare l’ondata di violenza. Il 9 Aprile del 1948 Elicier Gaitàn venne assassinato da alcuni sicari. In quei giorni a Bogotà si stava svolgendo la IX Conferenza Panamericana (presieduta da Laureano Gòmez), ovvero “quella specie di lasciapassare per l’ imperialismo quale era l’OSA (Organizzazione per gli Stati Americani)”.78 Tutti i colombiani non dubitarono, neanche per un attimo, che l’omicidio di Gaitàn fosse da imputare alle forze conservatrici del paese, terrorizzate da quelli che altrimenti sarebbero potuti essere i risultati delle presidenziali del 1950. L’omicidio venne attribuito ad un certo Juan Roa Sierra. Secondo le dichiarazioni ufficiali delle forze di polizia che indagarono sul caso, Roa altro non era che un fanatico che aveva agito per vendetta personale. Come ricordano Palacios e Safford79, molti hanno abbracciato la tesi del complotto. I mandanti sono stati variamente riconosciuti come appartenenti a forze conservatrici, liberali ortodosse o comuniste. In particolare, quest’ultima ipotesi, quella di un complotto organizzato dalle forze comuniste internazionali, venne adottata da alcuni esponenti dell’elite colombiana che in quei giorni si trovarono nell’imbarazzante situazione di giustificare quei tragici avvenimenti di fronte all’opinione pubblica mondiale, presente a Bogotà per la conferenza dell’OSA. In linea con questa teoria, la rivolta seguita all’assassinio di Gaitán, sarebbe stata un pretesto per la presa del potere da parte di forze di sinistra. Queste idee vennero prese ancor più sul serio non appena venne fuori che anche Fidel Castro si trovava a Bogotà in quei giorni.80 Ad ogni modo, l’implicazione di Castro non venne mai provata. L’unica cosa certa fu che, nei giorni a seguire, il giovane Fidel (tra l’altro, non ancora comunista nel 1948) cercò, senza successo, di influenzare il corso della protesta. Altri ancora, hanno sostenuto che gli Stati Uniti non fossero rimasti completamente estranei all’organizzazione dell’evento. Mentre la Cia sostiene ancora oggi la tesi della vendetta personale di Juan Roa Sierra, la tesi del complotto è stata condivisa da personalità celebri e importanti del mondo colombiano, quali lo stesso Gabriel Garcìa Màrquez. Ad ogni modo, quello che alimenta i sospetti sulla 78 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 62. 79 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 80 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 40 neutralità di Washington, aldilà delle dichiarazioni di qualsivoglia personaggio del mondo politico, economico o culturale è il rifiuto, per ragioni di sicurezza nazionale, del Federal Bureau Investigation (FBI) di aprire i suoi archivi sul caso, nonostante lo abbia fatto per altri avvenimenti più recenti, come l’assassinio di Salvador Allende. La reazione popolare fu immediata. Lo stesso giorno scoppiò una rivolta urbana nella capitale Bogotà. Da cui, il nome Bogotazo. Quella che si rivelò ben presto, con le parole della Livingstone, una “rivoluzione frustrata”81, fu un’“esplosione spontanea di rabbia impotente da parte dei poveri delle città”82, scagliatasi indistintamente contro ogni simbolo del potere. Immediatamente i disordini raggiunsero le altri principali città del paese e le aree rurali, dove vennero occupati prefetture e municipi. Il sindaco del centro petrolifero di Barrancabermeja, con l’appoggio della forza lavoro locale, forte dallo sciopero del 1934, costituì una giunta rivoluzionaria che riuscì a mantenere il potere per due settimane, fino a che la milizia popolare non capitolò in seguito all’intervento dell’esercito.83 Anche nella capitale si costituì una giunta rivoluzionaria fatta di intellettuali, professori universitari e scrittori, mentre gli studenti s’impossessarono delle stazioni radio. Nonostante le proclamazioni rivoluzionarie trasmesse, grazie al pronto intervento delle forze liberali, la giunta non riuscì ad impossessarsi del potere e costituì quindi una “Commissione di notabili” capeggiata da Lleras Restrepo, incaricata di arrivare ad un accordo con il governo di Ospina. Il 10 di aprile si costituì quindi quello che sarebbe stato l’ultimo governo di Unità Nazionale dell’amministrazione Ospina. Il Ministero di Guerra e quello degli Interni vennero affidati a uomini di estrazione liberale.84 Poiché la violenza continuava però ad espandersi e la mancanza di garanzie per le forze liberali si approfondiva sempre più, nel maggio del 1949 si ruppe anche quest’ultima compagine governativa. Tale rottura diede inizio ad una decade di governi non più bipartisan, a cui corrispose uno dei periodi più violenti e di maggior crisi nella vita politica del paese. A questo punto la Violencia non trovò più alcun ostacolo per dispiegarsi nella sua completezza. Il governo proclamò la stato di assedio: vennero proibiti gli scioperi e le riunioni politiche, chiuse le sedi sindacali, licenziati e arrestati migliaia di lavoratori. In quegli stessi anni la produzione industriale del paese non conobbe pause: tra il 1948 e 1953 81 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003, pag. 66. 82 Ibidem. 83 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004. 84 Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993. 41 la produzione industriale aumentò del 56%; contemporaneamente i salari diminuirono del 14% il loro potere d’acquisto. Immediatamente dopo la repressione del Bogotazo, l’esercito rimase imparziale. Il nuovo “terrorismo di stato” portò all’epurazione dal corpo di polizia, di ogni possibile elemento liberale rimasto. Inoltre, i poliziotti vennero affiancati da squadre di civili, come gli aplanchadores (letteralmente, stiratori) nella zona di Medellìn, e i pajaros (letteralmente, passeri, dalla loro velocità di agire e scomparire), nella zona attorno a Cali. Questi gruppi di civili armati diedero vita a veri e propri gruppi di controguerriglia. Si trattava di “forze paramilitari provenienti da comunità conservatrici di contadini, organizzate da capi politici dipartimentali o direttamente dalla polizia e dall’esercito”.85 Per Hubert Prolongeau, nel caos generato dall’assassinio di Gaitàn, queste squadre di assassini furono assoldate tanto dal Partito Conservatore quanto da quello Liberale e non solo. Sulla base dell’ennesima confrontazione armata tra le due formazioni politiche tradizionali, la Violencia si scagliò contro la società intera, divenendo l’espediente per regolare altri conti di varia natura. “ I pajaros finiscono per dettare legge in certe faide familiari, aiutando i proprietari terrieri a fare allontanare dalle loro terre i contadini per poi appropriarsi dei loro appezzamenti”.86 La questione della terra è alla base dello scoppio della Violencia anche per l’economista e sociologo Hector Mondragòn: sia l’eliminazione di Gaitàn, sia il dilagarsi della violenza in tutto il paese dopo la conseguente rivolta cittadina del Bogotazo, sono stati i mezzi che il potere costituito ha utilizzato per frenare e impedire il contenuto della legge 200 e le trasformazioni sociali ad essa legate. A partire dalla violenza degli anni ’50, in Colombia “non ci sono soltanto gli sfollati per la guerra, ma soprattutto c’è la guerra perché ci siano gli sfollati.”87 Mentre le famiglie costrette a lasciare le loro case furono spinte verso le zone più inospitali del paese (gli Llanos orientali e le foreste amazzoniche), gran parte di queste terre fertili che cambiarono di proprietà in quegli anni, finirono in mano alle aziende agricole, dedite per lo più alle nuovi produzioni su larga scala di cotone e zucchero. Anche se per David Bushnell la strenua rivalità tra le due formazioni partitiche tradizionali va considerata come causa principale della Violencia, anch’egli afferma che spesso i 85 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002, pag. 349. 86 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 42. 87 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004. 42 “motivi politici venivano usati come paravento per nascondere motivi economici.”88 Soprattutto, anche questo autore riconosce che le zone a più alta densità di violenza corrispondevano a zone che fin da prima del 1946 erano state luogo di agitazioni rurali, oppure erano zone di recente colonizzazione, dove forte era la competizione per le terre fertili e dove i titoli di proprietà erano ancora definiti in modo poco chiaro. Infine, anche Casetta sottolinea come la Violencia provocò cambiamenti epocali in relazione al tema terra, contribuendo a dare un “forte impulso capitalistico alle campagne, stimolando una diversa dinamica del mercato fondiario e una ricomposizione della struttura della proprietà, che avrà come conseguenza primaria la formazione di un eccedente di manodopera.” 89 Il tutto ha provocato un’accelerazione del processo che ha portato alla creazione di una distanza insanabile tra due poli: da un lato, i grandi proprietari terrieri che adottarono tecniche produttive capitalistiche, dall’altro, i sempre meno numerosi piccoli proprietari terrieri costretti a pagare i costi dell’accumulazione capitalistica. Secondo Pècaut90 le relazioni tra il dilagarsi della Violencia e la questione della terra passano attraverso il fallimento del populismo. Il nesso populismo-Violencia non è automatico, né semplicistico. Sicuramente, la violenza costituisce una costante della storia colombiana: essa esplode in corrispondenza di ogni cambio di potere, nell’alternanza tra le forze conservatrici e liberali del paese. La sua ricorrenza in tali occasioni è così evidente e prevedibile, che i presidenti che si sono trovati a vivere questo cambio, hanno tentato di limitare i rischi del dilagarsi della violenza dando vita, inizialmente, a dei governi di coalizione nazionale. Questo accadde: tra il 1930-34 all’inizi della Repubblica Liberale; tra il 1946 e il febbraio del 1948 durante la presidenza di Ospina; infine, dopo il Bogotazo fino all’aprile del 1949. La portata e il protrarsi della violenza scoppiata con la morte di Gaitàn può essere compresa solo attraverso le relazioni esistenti tra violenza e populismo. Queste relazione sono di tre tipi91. In primo luogo, la peculiare descrizione di Gaitàn delle masse come “energia” e il suo rifiuto di riconoscerle come soggetto politico vero e proprio, relega il popolo colombiano 88 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993, pag. 205. 89 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 70. 90 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001. 91 Ibidem. 43 privato del suo leader, ossia dell’unico interprete della propria volontà politica, a due uniche possibilità: la “passività” o la “rabbia”.92 In secondo luogo, il fatto che dopo il Bogotazo (quando cioè la mobilitazione delle masse torna ad inserirsi nella tradizionale contrapposizione bipartitica), la “dialettica dell’umano e dell’inumano”, che riassume le opposizioni introdotte dal linguaggio gaitanista, “non sparisce, ma va a porsi al servizio della lotta tra le due formazione politiche”93. Pertanto, da allora in avanti le guerriglie che vengono combattute rispecchiano la stessa logica delle guerre civili combattute nel XIX secolo. Infine, La Violencia costituisce la risposta delle èlite tradizionali al pericolo del populismo. La sconfitta delle classi popolari, rurali ed urbane è evidente nell’eliminazione totale dei sindacati indipendenti (vedi la CTC). “Le èlite riescono ad appropriarsi della dialettica dell’umano e dell’inumano, invertendola: mentre si propongono come uniche garanti dell’ordine, imputano la barbarie al caos delle masse popolari.”94 Il risultato di questo stravolgimento delle parti sarà quello di associare il populismo alla violenza delle masse, in modo diretto e necessario. Il governo dell’ultraconservatore Laureano Gòmez e il processo di sostituzione delle importazioni In questo clima di terrore e nel periodo di maggior crisi che ha vissuto il paese nel corso del XX secolo95, si svolsero le elezioni presidenziali del 1950 che, grazie al rifiuto dei liberali di parteciparvi, sancirono la vittoria del leader dell’estrema destra: il conservatore Laureano Gòmez. Di lì a poco sarebbe iniziata quella che alcuni storici hanno definito “un’austera controrivoluzione”.96 Le motivazioni alla base della decisione del Partito Liberale furono: la mancanza di garanzie costituzionali necessarie per un regolare svolgimento di elezioni democratiche e la violenza perpetrata dalle forze governative a danno, soprattutto, dell’ala più radicale del paese: le forze comuniste e quelle sindacali. Una metà della popolazione colombiana, quella dissidente, dichiarò illegittimi i risultati delle consultazioni elettorali e si rifugiò nelle zone di montagna del Tolima, Boyacà, Cundinamarca e Antioquia per scappare alla violenza. Qui, vennero organizzati dei 92 Ibidem, pag. 71. Ibidem. 94 Ibidem, pag. 72. 95 Tirado Mejia Alvaro, El gobierno de Laureano Gòmez. Nueva Historia de Colombia. Planeta, Bogotà, 1989. 96 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 622. 93 44 “Comitati di resistenza”, che diedero avvio alla costituzione di vere e proprie formazioni guerrigliere.97 La formazione dei primissimi gruppi armati irregolari di estrazione liberale risale al 1946, anno di inizio della Violencia. Questi gruppi dal carattere strettamente difensivo sorsero come risposta agli scontri tra la popolazione e la polizia, “davanti all’inefficacia di altre forme di resistenza per affrontare la violenza conservatrice”.98 Essi godevano dell’appoggio, espresso in forma per lo più ambigua, della Direzione Nazionale del Partito Liberale. Secondo quanto scrive Carlos Miguel Ortiz99, il numero dei guerriglieri passò da 4.500 uomini nel 1950 a 26.000 nel 1951. La velocità con la quale la guerriglia si espanse dimostra l’impreparazione delle forze d’ordine del paese. Mentre il processo di professionalizzazione e di nazionalizzazione del corpo di polizia era ancora in atto, la modernizzazione dell’esercito si trovava in uno stadio più avanzato, ma il paese soffriva della mancanza di un industria militare propria. Aldilà delle difficoltà tecniche le forze militari dimostrarono di non essere capaci di affrontare il conflitto interno per una serie di problemi. In primo luogo, esse dimostrarono l’incapacità di comprendere la natura del conflitto interno: non si trattava di una guerra convenzionale bensì di una guerra di movimento. Pertanto la solidarietà e l’appoggio della popolazione civile alle parti in lotta costituivano un elemento determinante nella confrontazione. L’esercito colombiano invece, non solo disponeva di armi, mezzi e aerei statunitensi adatti alla guerra convenzionale, ma si dimostrò particolarmente abile nell’utilizzare questi mezzi in modo totalmente inappropriato, ossia contro la popolazione civile.100 Difatti, le coordinate del Dipartimento di Stato e della OEA riguardo la sicurezza dell’emisfero occidentale in piena Guerra Fredda, identificavano il nemico come soggetto esterno, proveniente dalla “minaccia del comunismo internazionale”. Tale impostazione si scontrava con la realtà nazionale, in cui le cause del sovvertimento dell’ordine pubblico erano tutte interne. La distanza tra guerriglieri liberali e dirigenti di partito non tardò molto a farsi evidente. Tale distanza crebbe sempre più fino ad assumere le dimensioni di una rottura vera e propria. Questa, sopraggiunse nel 1952, anno in cui si svolse la conferenza di Boyacà e venne creata la Comisiòn Nacional Coordinadora, che non raggiunse l’obbiettivo sperato, ossia l’unità della totalità del movimento guerrigliero, ma contribuì a produrre i primi 97 Informe nacional de desarrollo Humano 2003. El conflicto, callejòn con salida. Programma delle Nazioni Unite, Bogotà, 2003. 98 Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 64. 99 Ortiz Carlos Miguel, Estrado subversiòn en Colombia. La violencia en el Quindìo años cinquanta. Cider, Cerec, Bogotà, 1985. 45 progressi in questa direzione. In tale occasione venne promulgata la cosiddetta “Primiera Ley del LLano”, con la quale la guerriglia lanciava il suo ultimatum a la direzione del Partito Liberale. Fu allora che le elite liberali annunciarono ufficialmente il ritiro dell’appoggio che inizialmente avevano mostrato verso questi primi gruppi di guerriglia, anche se i tempi non erano affatto maturi per la stipulazione di quello che dieci anni più tardi sarebbe stato l’accordo storico raggiunto da conservatori e liberali. La direzione del Partito Liberale optò per l’opposizione politica legale, accontentandosi di quegli spazi minimi e marginali in cui sarebbe rimasta relegata negli anni a seguire. Tutte le sue componenti abbandonarono l’obbiettivo di mettere in atto delle riforme istituzionali, economiche e sociali. Rispetto alle soluzioni da adottare per ristabilire l’ordine pubblico, i contrasti tra le due formazioni partitiche si limitarono alle differenti soluzioni proposte per sedare la rabbia dei rivoltosi. Mentre i conservatori non pensavano altro che alla forza come unico mezzo per ripristinare l’ordine, le elite liberali credevano possibile una smobilitazione consensuale delle forze dissidenti arroccate nelle montagne. Numerosa era ancora la base liberale che combatteva nelle campagne. Spesso però, aldilà delle differenze teoriche tra i due schieramenti, la prassi governativa si rivelava molto più bipartisan, grazie soprattutto alla supremazia degli interessi della grande proprietà. Così, quando la mediazione liberale non era possibile per la strenua resistenza incontrata soprattutto nelle campagne, i grandi proprietari terrieri liberali imponevano alla direzione del partito di optare per le scelte dei conservatori. Questi, a loro volta, lasciavano carta bianca all’esercito, che nel frattempo aveva perso l’iniziale posizione di neutralità, in seguito all’epurazione di ogni suo elemento liberale. Non ci sono ovviamente fonti realmente affidabili circa il numero di vittime provocato da questa prima fase della Violencia, prolungatasi fino all’unico colpo di stato militare avvenuto in Colombia, quello del 1953 ad opera del generale Rojas Pinilla. Le cifre più comunemente accolte ci parlano di un numero oscillante tra le 200.000 e le 300.000 vittime. A cui si deve aggiungere quello di 2.000.000 di persone in fuga dalle campagne verso le città: esodo questo che, secondo quanto afferma Hubert Prolongeau, ha provocato “la sovrappopolazione e la proletarizzazione delle periferie delle grandi città colombiane, alla base dell’attuale criminalità.” 101 100 Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà, 2000. 101 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. Biblioteca Universale Rizzoli. 46 Anche per Marco Palacios102 il processo di urbanizzazione colombiano raggiunse il massimo della sua velocità nel corso degli anni ‘50. Il ritmo di crescita delle città era stato piuttosto lento nel corso delle prime tre decadi del XX secolo. In relazione alle esperienze di altri stati dell’America Latina, tale crescita era rimasta piuttosto limitata anche negli anni ‘30. Fu invece tra il 1951 e il 1964 che il numero degli abitanti delle città colombiane raddoppiò, a causa della violenza e dell’insicurezza delle campagne. La violenza praticata in quegli anni assunse forme nuove: come il cosiddetto corte de corbata, il taglio della cravatta, ricordato dalla Livingstone, in cui, “il corpo della vittima veniva lasciato con la lingua penzolante da una fessura inferta nella gola”.103 Le atrocità furono innumerevoli: solo quelle raccontate da Prolongeau parlano di uomini castrati per privarli della naturale capacità di riproduzione; occhi strappati; orecchie tagliate e cucite alla cintura degli assassini; corpi di bambini lanciati contro le mura dei granai; ventri di donne incinta aperti, privati dei loro feti lasciati appesi sugli usci e sostituiti da corpi di animali, come galli o polli. “La morte diventa spettacolo, si ritualizza”104 perché, a detta di Prolongeau, lo scopo questa volta non era solo quello di uccidere, di eliminare l’avversario, piuttosto, di lasciare segni indelebili, nelle menti dei pochi che sarebbero sopravvissuti. L’appoggio incondizionato del presidente ultraconservatore Gòmez agli Stati Uniti ebbe modo di manifestarsi in diverse occasioni, ma raggiunse il suo apogeo nel 1951 grazie alla decisione di inviare dei contingenti colombiani a fianco dell’esercito nordamericano in Asia, nella guerra di Corea. La Colombia fu l’unico paese dell’intero continente sudamericano a partecipare a tale guerra. L’opposizione da parte dei comunisti alla decisione del presidente fu ripagata con la dichiarazione delle zone da loro occupate come “zone di guerra”. La scelta di Gòmez di inviare un battaglione dell’esercito in Asia va letta probabilmente come un’abile mossa per far dimenticare all’amministrazione Usa le sue passate e più volte dichiarate simpatie per la falange franchista e per Hitler. 105 Il paradosso di entrare in una guerra che si stava svolgendo al di là del globo negli anni più difficili e delicati della storia del paese si spiega, in parte, se si considera che a governare il paese era la frangia più conservatrice e militarista del Partito Conservatore. La partecipazione alla 102 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 103 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003, pag. 66. 104 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 43. 105 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 47 guerra permetteva, difatti, l’avvio di quella ristrutturazione dell’esercito, che avrebbe modernizzato le forze armate sia dal punto di vista tecnico ed organizzativo, sia dal punto di vista politico, assicurando loro un’autonomia crescente per la garanzia dell’ordine pubblico. Inoltre, l’invio di forze armate in Corea facilitava l’ingresso di armi statunitensi nel paese, che sarebbero state poi utilizzate nel conflitto interno. Spedizioni dello stesso tipo aumenteranno in seguito, durante il governo di Rojas Pinilla.106 Quanto alla legislazione che regolava l’invio di aiuti militari al paese, essa si basava sulla legge di assistenza e di Mutua Difesa del 1949 (Mutual Defense Assistance Act), attraverso cui l’amministrazione di Washington poteva rifornire le nazioni membri dell’OTAN di mezzi, materiali e servizi. Nel 1951 il Congresso statunitense approvò la legge di Mutua Sicurezza (Mutual Security Act) e la legge di Controllo dell’Assistenza per la Difesa Mutua (Mutual Defense Assistence Control Act), conosciuta come legge Battaglia. La prima riconosceva che, qualsiasi assistenza militare ritenuta necessaria per la difesa collettiva delle repubbliche americane sarebbe stata preceduta da accordi bilaterali. La seconda attribuiva un’ampia autonomia al presidente nordamericano nello stabilire la sospensione degli aiuti ai paesi che, secondo la sua opinione, non cooperavano in modo adeguato e non fornivano informazioni sufficienti per il controllo dei beni strategici.107 Grazie alle scelte del presidente Gomez e delle forze conservatrici, la Colombia si distinse in quegli anni come il primo paese sudamericano a firmare simili accordi con il potente vicino di casa, avviando così i primi corsi specifici per l’addestramento alla controguerriglia. In cambio, il paese ottenne importanti incarichi internazionali (vedi la presidenza della Commissione per l’Osservazione della Pace e della Commissione Politica e della Sicurezza dell’ONU) e all’interno di organismi centrali del sistema panamericano. Il tutto serviva a dimostrare che le forze conservatrici del paese erano in grado di assicurare alla nazione un ruolo di maggior rilievo nella difesa della democrazia sul piano internazionale e migliori relazioni con gli Stati Uniti, rispetto a quanto invece era stato fatto negli anni della Repubblica Liberale. Per quanto riguarda l’economia politica colombiana, il 1950 fu l’anno in cui il protezionismo industriale a sostegno della manifattura nazionale divenne il credo della politica statale. Con il beneplacito della Commissione Economica per l’America Latina, nei singoli stati sudamericani vennero adottate diverse misure a sostegno della manifattura 106 Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993. Brown Williams Adams e Redverse Opie, American Foreign assistence. The Brookings Institution, Washington, 1954. 107 48 nazionale per facilitare il processo di diversificazione delle esportazioni.108 La limitata disponibilità dei beni di consumo provenienti dai paesi industrializzati a seguito degli avvenimenti legati alla Seconda Guerra mondiale non aveva fatto altro che dare un nuovo slancio a quel processo di sostituzione delle importazioni, iniziato dai tempi della Prima Guerra mondiale e favorito dagli anni successivi alla Grande Crisi del 1929. Oltre alle tariffe protezionistiche, il governo colombiano utilizzò altri mezzi per facilitare la produzione interna, quali: crediti di favore alle banche, sovvenzioni per l’energia elettrica, facilitazioni fiscali per gli investimenti nell’industria. Infine, anche in Colombia, come nella maggior parte degli stati sudamericani, vennero create delle imprese a conduzione statale, in cui i capitali privati venivano attratti dalle facilitazioni fiscali concesse dallo stato. In Colombia, il consolidamento di una politica economica di tipo nazionalistico non fu impresa affatto facile e priva di contrasti. L’introduzione di misure protezionistiche incontrava una forte ostilità di tutti i settori legati alla coltivazione e all’esportazione del caffè. Tra il 1945 e il 1953 il paese dovette affrontare tutte le conseguenze negative di quella che assunse i toni di una vera e propria battaglia tra l’Associazione Nazionale degli industriali (Andi) e la federazione Nazionale dei Commercianti (Fenalco). Andi e Fenalco godevano entrambe del sostegno di potenti lobby politiche, attraverso cui cercavano di aggiudicarsi il controllo della politica economica nazionale, che di fatto aveva preso le forme di un “ibrido tra il protezionismo industriale e il libero mercato”.109 Nel 1949 l’Andi riuscì ad impedire che il paese partecipasse al General Agreement on Trade and Tariffs (GATT) e che si compromettesse in altri accordi commerciali con gli Stati Uniti. La decisione governativa del 1950 di adottare una politica protezionistica sancì definitivamente il sodalizio tra industriali e regime conservatore. Parallelamente il libero mercato era difeso da Fenalco e dal Partito Liberale.110 Il governo di Laureano Gòmez sostenne gli interessi degli industriali. Egli era convinto che lo sviluppo di un’industria nazionale su larga scala sarebbe stato possibile solo grazie ad un forte intervento dello Stato, al quale spettava il compito di coordinare i vari interessi economici, oltre che di garantire la sicurezza nazionale. La nuova politica economica doveva fondarsi sulle imprese e sull’edilizia statali e sugli organismi governativi per la sicurezza sociale. Il suo nazionalismo si inscriveva in parte nell’atteggiamento 108 Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971. Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002, pag. 320. 110 Ibidem. 109 49 paternalistico condiviso dall’intero Partito Conservatore nei riguardi della classe lavoratrice. Anche la precedente presidenza del più moderato Ospina Pèrez aveva adottato un programma economico in cui i profitti industriali venivano ridistribuiti attraverso un sistema di indennità concesse ai lavorativi su base annuale. Pérez era ricorso a simili palliativi nel 1948, immediatamente dopo la morte di Gaitàn. Alla base della scelta di promuovere un rudimentale sistema di sicurezza sociale c’era la convinzione dell’ala moderata del Partito Conservatore che erano meglio contrattazioni collettive con gruppi selezionati di lavoratori, soprattutto se appartenenti alla UTC e impiegati nelle moderne fattorie agricole, che trattare con l’intera popolazione lavorativa.111 Il governo ultra conservatore di Gòmez si allontanò da simili concessioni fatte alle forze sindacali. Per l’ala più conservatrice della destra al potere le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro non dovevano essere conflittuali, bensì dovevano ispirarsi ad un sostanziale sentimento di solidarietà. La redistribuzione dei profitti sarebbe stata garantita da un forte controllo statale sull’inflazione e dall’operato degli organismi governativi per la sicurezza sociale. Scelte queste che non tardarono a produrre malcontenti sia tra i membri dell’Andi che della Fenalco. Per la verità, questi meccanismi ridistribuitivi ebbero effetti assai limitati. Al contrario, in un attimo vennero cancellati i pochi benefici ottenuti dai lavoratori urbani dopo anni di lotte: i salari vennero congelati mentre i leader sindacali venivano ferocemente perseguiti. Contemporaneamente, nulla venne fatto per migliorare le difficili condizioni di lavoro del mondo agrario, che continuava a rimanere vincolato a forme di dominazione tradizionale, con l’unica differenza rispetto ai lontani tempi della Repubblica Conservatrice, che ora i grandi proprietari terrieri agivano sotto l’ala della legalità.112 Il ferreo nazionalismo di Gòmez e della destra più estrema trovava il suo fondamento su un’idea di Stato forte, i cui poteri andavano accresciuti sia in campo economico che militare. Se la coesione sociale del suo popolo non ammetteva alcuna conflittualità interna, la stessa ostilità non era dimostrata nei confronti del capitale straniero. Con il fine di favorire l’accumulazione capitalista in continua ascesa, gli investimenti stranieri erano accolti nei migliori dei modi.113 Fu così che, per meglio orientare tali investimenti, venne creata la Corporaciòn Financiera Industrial. Essi si concentrarono soprattutto nelle nuove colture della canna da zucchero e del cotone, per quanto riguarda il campo agrario; 111 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 112 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 113 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995. 50 nell’estrazione del petrolio, per quanto concerne il campo dell’industria. Tra il 1951 e il 1959 vennero create ben 114 installazioni industriali straniere: 12 più di quelle fondate in tutta la storia precedente.114 In riferimento alla produzione petrolifera, l’unica operazione in senso nazionalistico che venne condotta, fu la decisione di non rinnovare i diritti sulla concessione rilasciata alla più importante tra le compagnie di petrolio internazionali, la Tropical Oil, nelle mani dell’americano Jersey Standard. Tali diritti tornarono allo Stato colombiano e fu così che nel 1951 nacque la prima e unica società petrolifera statale: ECOPETROL. Naturalmente la Tropical Oil continuò a svolgere un ruolo primario nella commercializzazione del petrolio.115 La violenza nel frattempo non mostrava sintomi di arresto: il paese continuava a vivere nel caos più totale mentre la lotta si era intensificata nelle zone in cui gli interessi in gioco erano molto alti, ovvero nelle aree di coltivazione del caffè. L’unica istituzione statale in grado di esercitare una qualche autorità era quella dell’esercito. L’incapacità di frenare la Violencia largamente dimostrata dal governo ultraconservatore, faceva crescere il malcontento non solo tra la classe lavoratrice, ma anche tra gli interessi dei possidenti. Se la guerra aiuta a rimodellare i confini delle proprietà e a difendere le nuove terre conquistate, essa diventa un ingombro nella fase successiva all’espropriazione, in quanto l’insicurezza mette costantemente a rischio i diritti di proprietà appena affermatisi. In secondo luogo, la maggioranza delle elite economiche e politiche volevano maggiori garanzie dal governo riguardo l’abbassamento delle tasse. Infine, l’insoddisfazione si fece evidente nei riguardi della proposta di riforma costituzionale avanzata da Gòmez. Secondo tale riforma, il potere parlamentare sarebbe stato fortemente limitato a vantaggio di quello presidenziale, il suffragio universale eliminato e il controllo dell’istruzione riaffidato alla Chiesa. Nel 1952 Gòmez dovette dimettersi per un malessere e venne sostituito da un presidente ad interim, Roberto Urdaneta Arbelaèz. Il cambio di guardia alla testa del governo non portò cambiamenti rivelanti. Urdaneta era stato difatti l’architetto della crociata Anti-Comunista del 1945. Era un aristocratico, abile nella diplomazia al punto da essere riuscito a ricoprire incarichi ministeriali in governi sia conservatori che liberali. Egli proseguì nella direzione tracciata da Gòmez, quella cioè di considerare ogni tipo di 114 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia, www.gratisweb.com/ciclocrisis. 115 Guillermo Alvarez Carlos, Economìa y politica petrolera. Comisiòn de Derechos Humanos y paz, Bogotà, 2000. 51 problema sociale come un problema di ordine pubblico.116 Pertanto, nel 1953 tutto sembrava predisposto a che il generale Rojas Pinilla s’impossessasse del potere attraverso un golpe militare. Si chiudeva così la prima delle quattro fasi in cui, secondo Palacios e Safford117, si articolò la Violencia. In questa prima fase, compresa tra il 1946 e il 1953, la violenza messa in atto nelle campagne dai diversi attori in gioco (guerriglia liberale, forze paramilitari, polizia conservatrice e forze militari) rispecchiava ancora le divisioni di partito in cui la popolazione colombiana si era imbattuta fin dai tempi dell’indipendenza. In questa fase iniziale, grazie al sangue versato in quegli anni, l’elaborazione dei miti che contrapponevano liberali e conservatori da più di un secolo si completò. Da queste rappresentazioni scaturirono una lunga serie di comportamenti e pratiche di violenza che sarebbero state tramandate nelle fasi successive. In nome dell’amnistia e dei programmi di pacificazione offerti dal regime militare di Rojas, in Colombia quella che per Clausewitz è “la violenza originale, […], l’odio e l’animosità, che deve essere considerata come una pulsione naturalmente cieca”118 e che sta alla base di ogni guerra, cambiò forma ma non sostanza. Il nocciolo della confrontazione non riguardò più la storica rivalità tra liberali e conservatori. In modo sempre più chiaro si era passati alla lotta di classe. Conseguentemente, da allora in avanti la guerriglia avrebbe acquisito gradualmente un carattere di tipo offensivo. Il regime militare di Rojas Pinilla La presa del potere di Rojas Pinilla venne sostenuta dall’insieme delle elite economiche, di estrazione conservatrice e liberale. Anche gli Stati Uniti accolsero ben volentieri il golpe militare, messo in atto da un uomo che Washington aveva già avuto modo di conoscere (Rojas era stato Comandante Supremo delle forze militari colombiane che avevano preso parte nella guerra di Corea) e che consideravano un moderato. Fu così che grazie al Programma di Mutua Difesa, la Colombia fu il primo paese del continente sudamericano a comprare jets statunitensi per la propria forza aerea. Per quanto riguarda il resto della popolazione colombiana, le classi medio basse e la classe lavoratrice erano stremate da una carneficina che non aveva subito arresti dal 1946. Esse vollero pertanto credere alle promesse di questo generale, che si presentava al popolo con un linguaggio di tipo 116 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995. 117 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 52 populista, che parlava di pace, giustizia e libertà e che si proponeva come unica autorità in grado di guidare il paese nell’interesse dell’intera nazione, al di là delle divisioni tra liberali e conservatori. Rojas non aveva una strategia chiara per porre fine alla Violencia. Da subito, assunse un atteggiamento assai diverso da quello di Gomez, riconoscendo che parte delle motivazioni alla base dello scoppio della Violencia avevano radici sociali ed economiche. Ai principali leader della guerriglia venne quindi offerta l’amnistia, alla quale risposero ben diecimila guerriglieri, che consegnarono le armi. Nacquero nuove istituzioni quali la Segreteria Nazionale di Assistenza Sociale e Protezione Infantile (SENDAS), che riuscì ad utilizzare i fondi messi a disposizione da organismi internazionali quali FAO, UNICEF, e CARE per finanziare programmi di distribuzione di alimenti, per l’assistenza medica e la riabilitazione delle vittime della Violencia. 119 Infine, per sostenere la ripresa dell’economia, oltre che mantenere un forte controllo sull’inflazione, grazie ai profitti derivanti dagli alti costi che il caffè era tornato ad avere sul mercato internazionale, si agì su due fronti. Da un lato, venne varato un programma di welfare, messo in atto dall’Ufficio di Riabilitazione ed Assistenza, che si proponeva di promuovere la ripresa degli investimenti soprattutto nelle regioni maggiormente colpite dalla Violencia e di restaurare la proprietà espropriata in modo illegale. Dall’altra, vennero finanziati importanti lavori pubblici, quali la costruzione di sistemi d’irrigazione, centrali idroelettriche, una rete ferroviaria lungo la costa atlantica e una stazione televisiva nazionale. In questo modo Rojas sperava di assicurarsi il sostegno di quelle forze economiche e politiche del paese che erano state così determinanti nel sostenere la sua presa del potere: la piccola borghesia dedita all’industria e i nuovi proprietari terrieri, dediti alle colture del cotone e dello zucchero. Parallelamente, queste riforme destarono il dissenso di quei settori legati all’economia del caffè: inutile ricordare che tutti i fondi statali destinati all’industria e alla diversificazione delle colture erano sottratti alla coltura del caffè. 120 Il dissenso verso la politica di Rojas cominciò ad assumere dimensioni preoccupanti quando le aspirazioni populiste del generale lo portarono a cozzare apertamente con gli interessi economici e politici di chi lo aveva appoggiato fino a quel momento. In primo luogo, i motivi del malessere furono generati da una serie di provvedimenti che miravano 118 Clausewitz C., Della guerra. Mondatori, Milano, 1997, pag. 71. Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995. 120 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 119 53 ad alzare le imposte sui redditi industriali, a sostegno della politica sindacale del generale. Rojas si preoccupò di dar vita ad una nuova confederazione sindacale di stampo populista, la Confederaciòn Nacional de Trabajadores (CNT). Quest’ultima, doveva svolgere una funzione di freno nei riguardi di quello che rimaneva delle due confederazioni nazionali che, fino a quel momento, avevano raccolto la maggioranza della forza lavoro organizzata: la CTC e la UTC. Queste scelte no piacquero affatto alle alte gerarchie ecclesiastiche, secondo cui la CNT altro non era che un’imitazione dell’Asociaciòn de Trabajadores Latino-americanos (ATLAS), voluta da Peròn.121 La Chiesa divenne pertanto un punto di riferimento per l’opposizione al regime di Rojas, anche tra forze anticlericali. Fu così che Rojas tentò di sedare il dissenso della Chiesa, intensificando il suo anti-protestantesimo e, soprattutto, lanciando una crociata anti-comunista. Il Partito Comunista tornò ad essere illegale. Era dal 1949 che le forze comuniste avevano adottato una strategia di “auto-difesa”, in corrispondenza delle zone della parte orientale degli Llanos, del Tolima e di Antioquia. Dopo la morte di Gaitàn i grandi latifondisti cercarono di distruggere i gruppi di autodifesa contadini nati nel 1946. Il governo conservatore di allora si schierò dalla parte dei latifondisti ed utilizzò i programmi di colonizzazione per espandere le forze conservatrici attorno alle zone dominate dai comunisti. 122 Come spiegarono pubblicamente nel 1952, lo scopo che condusse alla formazione dei loro gruppi di guerriglia non era la di messa in atto di un “piano rivoluzionario”, ossia, non aspiravano alla presa del potere. Il loro obbiettivo era quello di “rispondere alla violenza dei banditi Falangisti con una violenza organizzata delle masse”.123 Quando Rojas nel 1953 cessò le operazioni militari e promise l’amnistia ai guerriglieri che avrebbero deposto le armi, la base contadina del Partito Comunista accettò l’offerta dell’amnistia. Molti, tra coloro che avevano deposto le armi vennero assassinati. Manuel Marulanda Vèlez (futuro leader delle FARC) e altri decisero pertanto di proseguire la lotta, ossia di continuare ad organizzare l’auto-difesa contadina e di continuare a battersi in difesa delle rivendicazioni contadine. La loro azione nelle campagne continuava ad allarmare i ceti possidenti, perché questi gruppi guerriglieri cominciarono a finanziarsi, “tassando” la popolazione e controllando la vendita del caffè. Nel 1955, le forze armate lanciarono un’offensiva aerea e di terra. In particolare i bombardamenti aerei si 121 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995. 122 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 123 AA. VV., Las verdaderas intenciones de las FARC. Observatorio de Paz, Intermedio, Bogotà, 1999, pag. 29. 54 concentrarono sulla città di Villarica, dove si compì un vero e proprio massacro. I contadini sopravvissuti si rifugiarono nel Meta, dove diedero vita ai primi nuclei delle Fuerzas Armadas Revolucionarias Colombianas (FARC). In secondo luogo, Rojas premeva per la formazione di una “Terza forza”, ovvero una sorta di movimento civico che avrebbe dovuto permettere la superazione della storica contrapposizione tra conservatori e liberali. Venne creato il Movimento de Acciòn Nacional. A questo punto, i timori delle elite economiche e politiche nei confronti del probabile successo elettorale di quello che somigliava sempre più all’embrione di una nuova formazione politica e nei riguardi della costante crescita del numero degli effettivi dell’esercito, fecero sì che il Rojas venisse percepito come una minaccia, sempre più reale, al loro potere.124 Quando Rojas Pinilla arrivò a sfidare l’intero sistema di potere, in seguito alla creazione di due nuove banche nazionali e, nel 1956, del Banco Popular Hipotecario a favore dei ceti medio bassi e bassi, le corporazioni padronali reagirono: l’Andi proclamò l’unico sciopero mai realizzato nella sua storia. Contemporaneamente, i prezzi del caffè sul mercato internazionale cominciarono a scendere. In questo clima di dissenso crescente, iniziarono le trattative segrete tra le forze liberali e quelle conservatrici che confluirono nella firma, presso la lontana località turistica spagnola di Sitges, dello storico accordo bipartitico che prese il nome di “Fronte nazionale”. Correva l’anno 1957. Il “Fronte Nazionale” (1957-1974) Di fatto, l’accordo ideato dai capi dei due partiti tradizionali nel 1957 e approvato da una votazione plebiscitaria125, stabilì l’alternanza al vertice dello Stato, tra le tradizionali formazioni politiche. Inoltre, ogni quattro anni e per la durata di sedici anni, i due partiti avrebbero provveduto a spartirsi equamente tutti gli incarichi governativi, a partire dai seggi parlamentari, ai seggi ministeriali, a quelli delle assemblee regionali e municipali, fino ad arrivare agli incarichi burocratici dell’intero apparato statale. L’alternanza venne istituzionalizzata da un’apposita Riforma Costituzionale, con la quale si vietava a qualsiasi altra formazione partitica, ogni possibilità di competere per l’assegnazione degli incarichi dell’intero corpo legislativo. Infine, il nuovo testo costituzionale stabiliva una generale 124 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991. 55 diminuzione del potere parlamentare, dovuta alla necessaria approvazione di ogni suo provvedimento, attraverso una maggioranza dei due terzi. L’accordo sopraggiunto per porre fine ad una confrontazione che durava da più di un secolo e che non si era limitata al solo campo della politica, si presentava come quel grande rinnovamento capace di porre fine alla storica conflittualità e permettere al paese di continuare lungo la strada dello sviluppo, della civiltà e del progresso. Allo stesso tempo, sulla base della nuova collaborazione responsabile nata tra liberali e conservatori e delle nuove restrizioni elettorali, le tradizionali formazioni politiche assunsero le vesti di unici rappresentanti legittimi degli interressi nazionali. La competizione elettorale non scomparve del tutto; essa si limitò alle diverse liste di candidati, contrapponendo fazioni distinte, appartenenti a partiti opposti o allo stesso partito. Né, il nuovo dettato costituzionale, specificava i requisiti necessari per essere considerati membri dei due partiti tradizionali. Ciò significava che chiunque poteva presentarsi alle elezioni come candidato liberale o conservatore indipendente. Questo meccanismo, come ci ricorda David Bushnell126, limitava significativamente gli effetti dell’esclusione legale nei riguardi di partiti terzi. Non bisogna dimenticare però, che l’esclusione dell’avversario in Colombia era spesso stata non solo politica ma anche fisica. Pertanto, per garantire una competizione libera reale, bisognava agire non solo con riforme elettorali, ma soprattutto con quelle riforme economiche e sociali necessarie a garantire una maggiore mobilità sociale. Inoltre, una competizione elettorale simile, contribuì fortemente alla banalizzazione del dibattito politico. In verità, le modifiche in atto in quegli anni in Colombia, sembrano rispecchiare le parole di un famoso scrittore italiano, Giuseppe Tomasi de Lampedusa che, nella sua celebre opera “Il Gattopardo”, scrisse: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.127 La logica funzionale, di quella che oggi viene chiamata da alcuni storici “Dittatura costituzionale”128, continuò difatti, ad essere la stessa del passato: ossia, regolata da una forte dose di clientelismo e una visione politica dell’intero sistema in cui lo Stato, i suoi ministeri e le sue istituzioni, altro non rappresentavano che una torta da spartire tra le elite 125 Il Fronte Nazionale ottenne il 95% dei voti a favore; non solo, ma anche l’affluenza alle urne raggiunse livelli molto elevati, sorpassando il 73%. Fonte: Palacios M., El populismo en Cololombia.Bogotà, 1971. 126 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 127 Tomasi de Lampedusa Giovannni, Il gattopardo. Decima edizione, febbraio 1992, Feltrinelli, Milano, pag. 41. 56 del paese. “I boss regionali, liberali e conservatori, mantennero il loro prestigio ripartendo favori, da importanti contratti per i grandi uomini di affari, a nuove strade per gli abitanti delle baraccopoli”.129 Per gli autori Palacios e Safford, il Fronte Nazionale tentò di unire il neoconservatorismo con i principi alla base della passata Repubblica Liberale. Il risultato fu la “nazionalizzazione del clientelismo”130, in cui l’accesso al potere non era più garantito dall’appartenenza alle reti locali di potere, bensì dall’appartenenza all’apparato statale. Né, la violenza, soprattutto quella praticata nelle campagne, cessò di manifestarsi. Secondo Pecaut, con il Fronte Nazionale la violenza non si preparava a scomparire, ma a istituzionalizzarsi. “L’ordine ristabilitosi nel 1958 corrispose più ad una violenza cronica, che all’instaurazione del populismo. Anche se cronica, la violenza non minacciava il potere delle corporazioni, né il mantenimento di un modello di sviluppo ortodosso e non ugualitario, né l’egemonia dei partiti tradizionali.”131 Secondo Palacios e Safford132 invece, la seconda delle quattro fasi in cui si articola la Violencia in Colombia, iniziata nel 1954, non si concluse affatto con l’inizio del Fronte Nazionale, ma si prolungò fino al 1964. In questa fase, le pratiche di violenza perpetrate dalle diverse fazioni in lotta, interferirono con questioni economiche centrali, legate al processo di modernizzazione: dall’esubero dell’offerta di manodopera nelle terre coltivate a caffè (in seguito all’avvio della modernizzazione della produzione agricola), alle questioni legate al commercio e alla distribuzione del caffè, a quelle legate al controllo della terra (ora contesa tra i coltivatori di caffè e dei nuovi prodotti minori, quali la canna da zucchero, il cotone, i fiori). In questo senso, la violenza continuava a rappresentare un mezzo d’ascesa sociale e di redistribuzione delle risorse. Non sono solo questi due autori a ritenere la violencia come una “forma criminale di impresa economica”133 tipica di quel periodo. Anche Carlos Miguel Ortiz parla di “violenza come business”.134 Le parole di Alejandro Lòpez135 invece, sono molto utili per comprendere in che modo la terra 128 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 105. 129 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 130 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002, pag. 325. 131 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 72-73. 132 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 133 Ibidem, pag. 351. 134 Ortiz M. Carlos, Estrado y subversiòn en Colombia. La violencia en el Quindìo años 50. Planeta Colombiana, Bogotà, 1985,pag. 93. 135 Lòpez Alejandro, Problemas colombianos. Tercer Mundo Editores, Bogotà, 1993. 57 rappresentava il mezzo d’ascesa sociale per eccellenza. Negli studi fatti su una delle zone più colpite dalla violenza di quegli anni, quella del Caldas e del Quindìo, di recente colonizzazione, gli scontri coinvolgevano diversi attori sociali: contadini poveri contro i proprietari delle grandi fattorie agricole modernizzate; coloni medi contro i grandi proprietari terrieri; municipalità confinanti. Per tutti, l’obbiettivo era il controllo della terra. Lo scontro che Lòpez definisce “la battaglia tra ascia e carta stampata”136, contrapponeva gli uomini che si erano impossessati della terra con la forza e quelli che godevano di una posizione nella gerarchia sociale tale da manipolare le decisioni legali sui diritti di proprietà, a proprio favore. L’utilizzo della forza come mezzo per la conquista di potere politico ed economico non si limitò solo alle campagne, ma si allargò anche alle piccole città in crescita: qui, i killer assoldati dalle bande mafiose (tra cui i pajaros) utilizzarono la forza per assicurare ai loro mandanti il controllo del commercio. Infine, come già visto, in quegli stessi anni anche la guerriglia comunista si rafforzò (soprattutto nella zona del Tolima e sul massiccio del Sumapaz), dando origine a quell’embrione da cui, a partire da metà degli anni ’60, sorsero i gruppi di lotta armata. Il processo di modernizzazione delle Forze Armate Le strategie adottate dai diversi governi del Fronte Nazionale per risolvere il problema dell’ordine pubblico seguirono il modello formulato dal generale Rojas Pinilla137. Le proposte d’amnistia vennero affiancate dal “braccio di ferro”, usato con tutti coloro che si mostravano restii all’abbandono delle armi. Inoltre, per tenere sottocontrollo il malcontento nelle zone rurali e nelle periferie delle maggiori città colombiane, si ricorse all’ Azione Civica Militare (ACM). Per garantire la fedeltà delle Forze Armate e la loro subordinazione allo Stato (non più ai partiti politici), il neopresidente Lleras Camargo (1958-1962) espose, in un discorso pubblico tenutosi il 9 maggio del 1958, quella che passò alla storia col nome di “Dottrina Lleras” e che ancora oggi continua ad essere la dottrina ufficiale di stato, circa le relazioni tra civili e militari.138 Secondo i principi di questa dottrina la professionalizzazione delle forze militari e l’aumento della loro autonomia nella gestione dell’ordine pubblico, sono i mezzi necessari a garantire la fedeltà e la subordinazione delle Forze Armate all’autorità 136 Ibidem, pag. 39. Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 137 58 dello Stato. Uno dei corollari della “Dottrina Lleras” fu il ricorso allo stato d’assedio quasi permanente negli anni del Fronte Nazionale. Anche se Bushnell afferma che molti dei suoi strumenti non vennero mai messi in atto, anch’egli riconosce che il ricorso alla giurisdizione militare per i reati d’ordine pubblico avvenne con una certa regolarità, e che l’uso della tortura e il trattamento arbitrario delle persone cadute sotto la giurisdizione dell’esercito non costituì un fatto isolato.139 Durante il governo di Lleras Camargo le Forze Armate attraversarono una fase di transizione avvenuta su diversi piani. Innanzitutto, il governo riorganizzò il Ministero della Guerra e il servizio d’Intelligenza Colombiano (SIC), che assunse il nuovo nome di Dipartimento Amministrativo di Sicurezza (DAS). Nel 1960 il Congresso nazionalizzò le forze di Polizia e, attraverso un decreto legislativo dell’anno seguente, collocò il Corpo sotto la direzione del ministro di Guerra.140 Per quanto concerne le forze militari, si ebbero dei cambiamenti significativi riguardanti diversi aspetti: l’organizzazione interna, il reclutamento e le modalità d’azione. Rispetto al primo punto, un decreto del 1960 stabiliva che il Consiglio Superiore di Difesa Nazionale sarebbe stato preseduto dal Ministro di Guerra e che ad esso avrebbero partecipato anche: il Primo ministro, il ministro delle Opere Pubbliche, degli Esteri e delle Finanze. Nello stesso anno venne creato il Consiglio Nazionale di Sicurezza, presieduto direttamente dal Primo ministro, affiancato dal ministro degli Esteri, di Giustizia e di Guerra. Chiara era l’intenzione di moltiplicare gli strumenti attraverso cui assicurare la subordinazione delle alte gerarchie militari al potere civile e garantire i mezzi necessari alle forze militari, per adempiere alle nuove funzioni dell’esercito, nel migliore dei modi possibili. Riguardo al reclutamento, fino ad allora l’obbiettivo era stato quello di preparare un numero sufficiente di riserve per mantenere un elevato quantitativo numerico di effettivi. Le caratteristiche della guerra moderna richiedevano invece una maggiore professionalizzazione delle reclute e una mobilitazione nazionale a più livelli: non solo quello militare e politico, ma anche e soprattutto quello economico e industriale. Pertanto, non era necessario che la maggior parte delle forze giovani del paese partecipassero alle operazioni belliche, ma che molti di loro venissero impiegati nello sviluppo economico e 138 Leal Buitrago Francisco, El oficio de la guerra. La seguridad nacional en Colombia. Bogotà, Tercer Mundo Editores, 1994. 139 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 140 Hernandéz Pardo Rafael, Memoria del ministro de Guerra al Congresso del 1961. Imprenta y pubblicaciones de las Fuerzas Armadas, Bogotà, 1961. 59 industriale del paese. Inoltre, un degli effetti voluti della specializzazione del reclutamento fu la diminuzione della presenza contadina nell’esercito, che passò deal 70% al 53%.141 Infine, circa i cambiamenti avvenuti nelle modalità d’azione delle forze militari, determinanti furono gli avvenimenti internazionali, in particolare: a) le decisioni prese durante il XX Congresso del Partito Comunista Sovietico del 1956, riguardo la transizione pacifica al socialismo; b) il trionfo della Rivoluzione Cubana del 1959; c) l’approvazione da parte del IX Congresso Comunista, nel 1961, della tesi riguardante la “combinazione di tutte le forme di lotta”. Questi avvenimenti portarono l’allora presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy a pronunciare il discorso alla nazione del 28 marzo del 1961, in cui si affermava che le minacce all’ordine e la pace mondiale potevano provenire da un attacco nucleare, da un’aggressione diretta o indiretta, da un’infiltrazione, da una rivoluzione interna, da un’insurrezione armata o da una serie di guerre limitate. La paura degli Stati Uniti riguardava soprattutto gli effetti derivanti dalla diffusione degli ideali della Rivoluzione Cubana sull’intero continente. Le forze militari dei singoli paesi apparivano, agli occhi statunitensi, come l’unica forza capace di affrontare il nemico interno ai singoli stati. Per rendere più efficace il suo operato, l’istituzione militare aveva però bisogno di portare a termine il suo processo di modernizzazione, che gli avrebbe garantito una maggiore autonomia e un aumento delle sue funzioni, assicurandogli un ruolo chiave nella vita delle singole nazioni. Sulla base di quella che prese il nome di “risposta flessibile”, gli Stati Uniti elaborarono i principi della teoria controinsurrezionale, che riconosceva nell’azione civica militare una delle sue tattiche principali.142 Improvvisamente, si guardava alla guerriglia non come l’origine dei disordini, ma come il risultato di una realtà economica e sociale determinata. Era proprio su questo tipo di realtà che bisognava agire, favorendo il progresso e lo sviluppo dei paesi latinoamericani. In particolare, secondo le dottrine degli strateghi statunitensi diffuse attraverso le Conferenze degli Eserciti Americani (CEA) e la Giunta Interamericana di Difesa (JID), convertita in braccio militare della OEA, l’ azione civica militare avrebbe garantito la collaborazione tra la popolazione e le Forze Armate. In questo contesto, l’Ottava Riunione tra i Ministri degli Esteri partecipanti alla OEA del 1962, stabilì che le Forze Armate dovevano: a) aprire le scuole militare al personale civile, permettendo la sua partecipazione ai corsi tecnici; 141 Ibidem. Child John, The Inter-American Military System. The American University, Ph.D. dissertation, 1978. 142 60 b) partecipare ai programmi governativi per il miglioramento delle condizioni sanitarie e per la distribuzione degli alimenti; c) fornire un aiuto tecnico nei programmi governativi riguardanti la costruzione di alloggi popolari; d) aumentare il numero di ingegneri dentro le truppe e aiutare la messa in atto del piano nazionale riguardante le opere pubbliche; e) appoggiare il progetto di legge sulla riforma agraria. Ad ogni modo, durante il primo governo del Fronte Nazionale, quello di Lleras Camargo, prevalse la “mano dura”, perché la debole coalizione appena costituitasi aveva bisogno di rafforzarsi. La fedeltà delle Forze Armate all’autorità statale e la subordinazione del potere militare a quello civile vennero ripagate non solo con un aumento dei salari militari e di polizia, ma anche cedendo alle pressioni dell’ala conservatrice del governo, che stava all’opposizione. Fu così che molti dei guerriglieri che accolsero la proposta di amnistia vennero assassinati.143 Il generale Ruiz Novoa e l’ala progressista delle Forze Armate. Fu durante il successivo governo di Guillermo Leòn Valencia (1962-1966) che la maggior parte dei cambiamenti ideologici dell’istituzione militare trovarono la loro applicazione. Il tutto non avvenne certo per volontà del presidente. Non che il presidente si discostasse dalla linea assunta dal suo predecessore, quanto a sostegno delle scelte di Washington o a sostrato ideologico anticomunista. Piuttosto, le idee progressiste di alcuni ufficiali e dell’amministrazione Usa non potevano attecchire su un uomo che aveva più volte reso manifeste le sue simpatie verso la falange franchista. Inoltre, l’elite politica che lo sosteneva nutriva forti dubbi sull’efficacia della riabilitazione e premeva per il rafforzamento dell’apparato repressivo dello Stato. In effetti, tra il 1964 e il 1968, il numero degli effettivi triplicò, passando da 22.800 a 64.000.144 A distinguersi come uomo chiave del cambiamento dell’apparato militare colombiano fu pertanto il generale Alberto Ruiz Novoa, eletto Ministro della Difesa nel 1962. Si trattava di un uomo la cui fedeltà era stata ampiamente provata per Washington, per aver diretto il battaglione colombiano nella guerra di Corea. Grazie al vecchio amico di un tempo, le accademie militari colombiane si riempirono facilmente di istruttori militari nordamericani, mentre alcuni ufficiali colombiani vennero a loro volta inviati nelle accademie di Panama. 143 Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993. Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 144 61 Secondo le idee progressiste di Novoa, l’origine e lo sviluppo della Violencia erano risultato di un insieme di fattori che fuoriuscivano dal campo strettamente militare. Di conseguenza, più che attraverso misure militari, il problema dell’ordine pubblico andava affrontato con misure politiche, socioeconomiche ed etiche. Nel 1962 il generale presentò il Piano di Azione Civica Militare (ACM), che nello stesso anno venne implementato nel paese con il nome di Plan Lazo. Con esso venne legittimato l’utilizzo di qualsiasi mezzo, per arrestare l’avanzata del “nemico interno”: più volte, l’arrivo dei battaglioni di controguerriglia venne preceduto da bombardamenti al napalm. I principi base di questo piano rispecchiavano i cambiamenti ideologici dell’istituto militare precedentemente esposti. Unica novità introdotta fu la scelta di formalizzare la costituzione di gruppi formati dai cosiddetti “cittadini onorati”, che presero ironicamente lo stesso nome di “autodifesa contadina”, già usato in passato dai liberali ribelli e dai comunisti. Ai loro membri, il governo decise di concedere ufficialmente il permesso “di acquistare armi regolarmente immatricolate per difendere la propria vita e i propri beni”.145 Inoltre, per assicurarsi la fedeltà dei membri di questi gruppi, il Piano Lazo specificava che la selezione del personale scelto sarebbe prioritariamente avvenuta tra gli ex membri delle forze di polizia e delle forze militari. Secondo le opinioni del gruppo de La Nuova Prensa146, questa scelta rappresentava una sorta di “dimissioni dello Stato”147, era sintomo di una guerra civile e per questo motivo l’esercito doveva intervenire per evitarla. Secondo l’analisi di Alfred Rangel148 con la firma del Plan Lazo si apriva la così detta fase “progressista”, nella quale l’atteggiamento adottato dallo Stato rispetto alle questioni d’ordine pubblico e, nella fattispecie, al problema della lotta armata assunse la forma di una confrontazione totale. Sulla base ideologica di un forte anticomunismo, la risposta si articolò in una componente militare e una politica. L’obbiettivo della prima fu l’eliminazione fisica dell’avversario e lo sradicamento delle “repubbliche indipendenti”. Per questo, il Piano stimolò la militarizzazione dei comuni e delle regioni, soprattutto in corrispondenza delle zone a più alta presenza della guerriglia comunista. Sotto questo punto di vista, il Plan Lazo ottenne dei successi concreti, in quanto effettivamente queste 145 Plano Lazo, Dipartimento 2 del Comando Generale delle Forze Militari, Bogotà, 11 aprile 1962, documento contenuto in appendice nell’opera di Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà, 2000, pag. 263-270. 146 Questa rivista diffondeva le argomentazioni dei militari riformisti colombiani. Era controllata da un settore nazionalista di destra, antioligarchico, contrario al Fronte Nazionale e ai partiti politici tradizionali, a favore di un governo militare. Il suo primo numero apparve il 19 aprile del 1961. Queste considerazioni sono contenute nel n. 55 del 16 maggio 1962. 147 Ibidem, pag. 7. 148 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001. 62 zone vennero riportate sotto il controllo statale. La guerriglia però, per natura era una guerra di movimento. Pertanto, il recupero di alcuni territori non significava certo la distruzione dei gruppi guerriglieri. L’obbiettivo della seconda componente, quella politica, era l’avvicinamento delle Forze Armate alla comunità, per limitare l’appoggio della guerriglia presso la popolazione civile. La grande novità introdotta dal Plan Lazo fu per l’appunto il riconoscimento che la ribellione aveva cause di ordine economico e sociale. Fu su questo versante che le Forze Armate fallirono: l’appoggio alla guerriglia crebbe, mentre le azioni civiche realizzate dai militari nelle zone a più alta presenza delle forze comuniste, vennero percepite per lo più come campagne di promozione dell’immagine militare. Il generale Novoa, ispiratore del Piano e dell’anima più progressista delle Forze Armate, arrivò ad affermare che tra le cause che avevano determinato il diffondersi e protrarsi nel tempo della lotta armata, stavano sicuramente l’impunità dei responsabili intellettuali della Violencia e la debolezza dell’autorità statale. Secondo il generale, in Colombia la violenza era di tre tipi: a) politica, portata avanti dai vincitori delle elezioni; b) economica, che utilizzava il terrore per acquistare la terra a basso prezzo; c) sociale.149 “Non è difficile provare che in Colombia esiste uno stato di ingiustizia nel possesso della terra e che questa situazione sia la responsabile della povertà e del ritardo del progresso del paese.[…] La maggior parte della terra non è in mano a chi la lavora e questo suo carattere strutturale è totalmente inadeguato per stimolare la produzione.”150 Questo ed altri interventi tenuti pubblicamente nel corso del 1964 crearono scompiglio in seno all’oligarchia colombiana, creando grosse pressioni sul presidente affinché ritirasse l’incarico ministeriale al generale. Inizialmente Valencia difese il suo funzionario, ma quando le pressioni cominciarono a provenire anche da settori delle Forze Armate, in particolare dal generale Rebeiz Pizarro, Valencia cedette alle pressioni e destituì Ruiz Novoa dal suo incarico.151 Così, anche il tentativo di emancipazione avvenuto in seno alle forze militari, venne stroncato dall’alto. Inoltre, si procedette all’epurazione dell’esercito da tutti quegli ufficiali che avevano abbracciato posizioni progressiste simili, riuniti nella cosiddetta Estrella Dorata. Gli echi del Concilio Vaticano II in America Latina e in Colombia 149 La Nueva Prensa, 15 settembre 1992. Revista de las Fuerzas Armadas, 26 maggio del 1964, pag. 349. 151 Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993. 150 63 Il nuovo clima progressista arrivò a coinvolgere anche la Chiesa. Fin dai tempi della Conquista spagnola, questa istituzione si era da sempre distinta come perno centrale delle posizioni più conservatrici. Nel corso dei secoli, molti suoi rappresentanti si macchiarono di complicità e a volte della diretta partecipazione a crimini inauditi, rispetto a quanto professato ufficialmente dalla fede cattolica. La nuova corrente democratica progressista apertasi negli anni ’60 con l’apertura del Secondo Concilio Vaticano avvenne in seguito a dei cambiamenti al vertice dello stato pontificio. Il nuovo clima ispirato al cristianesimo sociale doveva sicuramente ringraziare il benefico contributo di Papa Giovanni XII, ma non solo. Le alte gerarchie della Chiesa cattolica cominciarono ad essere profondamente scosse dalla dilagante povertà delle classi popolari.152 Nel continente sudamericano, mentre le alte gerarchie assunsero posizioni di progressismo moderato riguardo alle questioni politiche e sociali, una minoranza crescente di preti cominciò ad avvicinarsi a posizioni più radicali, condividendo parte delle teorie marxiste e sostenendo apertamente le cause di chi combatteva in nome di principi rivoluzionari. Nella fattispecie, nella realtà colombiana gli influssi della teologia della liberazione si manifestarono con minore intensità rispetto ad altre realtà nazionali sudamericane. Forse per questo motivo, l’esigua minoranza di preti che abbracciarono questi ideali in Colombia assunsero posizioni ancora più estreme e militanti. Non si può non pensare a un personaggio di fama leggendaria nella società colombiana, il prete Camillo Torres, il quale incarna, a detta di Prolongeau, il Che “Guevara colombiano”.153 Oltre a rivestire il ruolo di rappresentante di Dio in Terra, Camillo Torres fu titolare della cattedra di Sociologia nel 1960 all’Università di Bogotà. Dopo un soggiorno in Europa, tornato nel suo paese, si unì ai gruppi marxisti e le sue posizioni divennero sempre più radicali. “Dalla rivolta Torres passa alle riforme, dalle riforme alla rivoluzione, dalla rivoluzione alla lotta armata.”154 Nel 1964 entrò a far parte a tutti gli effetti dell’Ejercito de Liberaciòn Nacional (ELN), appena costituitosi. Nel 1966 morì durante dei combattimenti. Ad ogni modo, in Colombia prevalse la posizione moderata della Conferenza Episcopale dell’America Latina tenutasi nel 1968 a Medellìn. Anche la Chiesa appariva profondamente segnata da divisioni interne, così come tutte le altre istituzioni e gruppi sociali del paese. La politica agraria del Fronte Nazionale e l’Alleanza per il Progresso 152 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995. 153 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 161. 64 Affianco alle nuove dottrine militari, Washington diede vita all’Alleanza per il Progresso nel 1961, piano attraverso cui gli Stati Uniti s’impegnavano a donare ai diversi paesi del continente sudamericano un’ingente quota di aiuti, per collaborare nello sviluppo della regione. Nella fattispecie, l’Alleanza stanziò 20 milioni di dollari per la Colombia, da versare a favore del paese nel corso di dieci anni. Inoltre, la Colombia fu beneficiaria degli aiuti dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (AID). In totale, tra il 1961 e il 1965, il paese ricevette 833 milioni di dollari in aiuti e prestiti, da parte degli Stati Uniti e degli organismi internazionali.155 Gli obbiettivi dell’Alleanza per il Progresso del 1961 in riferimento alla Colombia erano: a) aiutare la nazione nella questione del bilancio dei pagamenti; b) rafforzare e diversificare la produzione agricola; c) migliorare l’alimentazione della popolazione; d) modernizzare il sistema di educazione. Per l’implementazione di tale programma, il punto 10 dell’Alleanza stabiliva l’invio dei cosiddetti Corpi di Pace, che avrebbero dovuto operare sul campo per collaborare: a) nello sfruttamento intensivo delle terre; b) nella costruzione delle case popolari; c) nella pianificazione e costruzione di strade. L’organismo colombiano incaricato di facilitare l’azione dei Corpi di Pace fu La Divisione Nazionale di Azione Comunale, sotto la direzione del Ministero del Governo.156 Fu così che al centro della demagogia populista dei governi del Fronte Nazionale, vi furono le infinite discussioni attorno alla necessità di una riforma agraria e della sua applicazione, col fine di accrescere il numero dei piccoli proprietari terrieri, permettere la nascita e lo sviluppo di un mercato interno e riuscire quindi a diminuire la conflittualità nelle campagne. In proposito, in linea con le decisioni dell’ Alleanza per il Progresso di Kennedy, Lleras Camargo creò l’istituto di riforma agraria INCORA nel 1961. Lo scopo era di provvedere alla redistribuzione della terra tra i contadini, attraverso l’esproprio delle terre incolte dei grandi latifondisti e la distribuzione di terre pubbliche. Ancora una volta però, il contenuto di altri provvedimenti varati in parallelo, non garantirono gli effetti promessi.157 I risultati ottenuti dall’INCORA, furono un fallimento se si pensa che in 14 anni espropriò solo l’1,5% delle terre occupate dai latifondi. Nel 154 Ibidem, pag. 162. Randall Stephan J., Aliados y distantes. Historia de las relaciones entre Colombia y Estados Unidos. Desde la Indipendencia hasta la guerra contra las drogas. Bogotà, Tercer MunndoEdiciones UniAndes-CEI,1992. 156 Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà, 2000. 157 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991. 155 65 complesso, negli anni del Fronte Nazionale non si registrarono miglioramenti negli indici di polarizzazione sociale ed economica, né in quelli relativi alla crescita senza controllo delle città. A metà degli anni ’60 la popolazione delle città principali continuava a salire di 500.000 abitanti l’anno. “Conservatori e liberali continuarono a privilegiare le grandi imprese agricole, mediante l’adozione di politiche finanziarie e creditizie che favorivano esclusivamente le unità produttive capitalistiche dedite all’agricoltura commerciale”.158 Nel 1966 fu la volta della legge agraria del presidente Lleras Restrepo (1966-1968). Il presidente più illuminato del Fronte Nazionale cercò di combattere la dura resistenza dei grandi proprietari delle imprese agricole commerciali, lasciando al mondo contadino qualche spazio aperto per organizzarsi. La mobilitazione sarebbe comunque dovuta avvenire sotto il rigido controllo statale. A tal proposito, venne creata l’ Asociaciòn nacional unida de campesinos (ANUC). La base di sostegno dell’ANUC divenne, col tempo, sempre più grande: se da un lato il movimento divenne sempre più indipendente rispetto alla politica governativa, contemporaneamente, esso perse forza e compattezza, man mano che le tensioni interne crescevano. Alla fine degli anni sessanta, negli ultimi anni della presidenza Restrepo, le crescenti disillusioni rispetto ad una riforma agraria mai messa in atto, condussero l’organizzazione contadina a radicalizzare la sua opposizione al sistema di potere e a procedere all’occupazione di alcune terre. Le terre così ottenute furono superiori, in superficie, a quelle che l’istituto agrario INCORA era riuscito a ridistribuire nei dieci anni della sua attività. La decisione del governo di non intervenire con la forza in quell’occasione, fu però accompagnata dalla stipulazione del cosiddetto “Accordo di Chicoral” del 1971, che impediva qualsiasi altro futuro ridimensionamento del latifondo.159 Fu allora che l’INCORA smise definitivamente di distribuire le terre. Le motivazioni del fallimento dei progetti di riforma agraria di quegli anni, vanno in parte ricondotte allo spirito sottostante le diverse proposte di riforma: il loro obbiettivo era quello di trovare una soluzione immediata alla conflittualità, piuttosto che risolvere in profondità le problematiche del mondo agrario e delle classi subalterne. Inoltre, con la morte di Kennedy prevalse sull’amministrazione Usa e, di rimando sulla mentalità dell’elite colombiana, la nuova visione sullo sviluppo del mondo agrario, promossa dall’economista Currie. Questi, riteneva che il contadino rappresentasse un ostacolo per l’agricoltura moderna e quindi allo sviluppo: la soluzione stava quindi nella sua “eliminazione”, attraverso il sostegno allo sviluppo industriale, che avrebbe attirato la 158 Ibidem, pag. 82. Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 159 66 manodopera in eccedenza nelle campagne. Solo favorendo la grande proprietà, la sua tecnicizzazione e l’aumento della mobilità del lavoro, la terra avrebbe finalmente avuto modo di essere “libera” e costituire una base per lo sviluppo della nazione.160 “Man mano che i proprietari terrieri cominciarono a rispondere in modo positivo agli incentivi governativi offerti nel corso degli anni ’60, divenne improvvisamente chiaro che le grandi proprietà potevano essere modernizzate e trasformate in efficienti imprese capitaliste”.161 Negli ultimi anni del Fronte Nazionale e durante i governi successivi ad esso, allontanatosi il pericolo della propagazione degli ideali rivoluzionari nel continente sudamericano, per mitigare il fallimento della riforma agraria, le elite politiche colombiane abbracciarono i programmi ideati dalla Banca Mondiale per limitare la povertà nel mondo rurale. I programmi di nutrizione vennero soprattutto messi in atto in quelle zone la cui popolazione era considerata particolarmente vulnerabile all’azione dei gruppi guerriglieri. Il processo di sostituzione delle importazioni o il processo di sostituzione dei proprietari ? Per quanto riguarda la politica economica nel suo complesso, l’autorità statale rimase relegata in una posizione marginale. Nella politica industriale imperava l’ANDI, in quella agricola dominava la FEDEGAN mentre, riguardo al commercio estero, era la potentissima Federaciòn de Cafeteros a legiferare. Negli anni del Fronte nazionale, i gruppi d’interesse assunsero le vesti di associazioni di categoria apolitiche. Nel corso degli anni ’60 e ’70 il loro numero aumentò e, anche se molte di loro si presentavano come associazioni operanti per l’interesse nazionale, di fatti, continuavano ad essere espressione degli interessi locali. Vedi quelle operanti nella produzione dello zucchero di canna (dominate dagli abitanti della Valle del Cauca), o delle banane (controllate dagli abitanti di Antioquia) dei fiori (dominate dagli imprenditori della capitale).162 Per tutti gli anni del Fronte Nazionale, la Colombia continuò a dimostrare di voler compiacere il più possibile le volontà degli Stati Uniti. Grazie ai regolari pagamenti del debito estero163, all’utilizzo dei fondi e degli aiuti statunitensi per la messa in atto della modernizzazione delle campagne e la professionalizzazione delle Forze Armate, 160 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004. 161 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003, pag. 70. 162 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 67 all’attuazione di un rigoroso controllo sulle nascite (si passò da sette a tre figli per famiglia), l’amministrazione Usa fece della Colombia la sua “figlia prediletta”164 agli occhi del mondo e dei suoi organismi internazionali. A queste ragioni, se ne aggiungevano altre da comprendere alla luce del contesto internazionale. Il pericolo cubano si era allontanato, ma la Guerra Fredda non si era ancora conclusa e gli Stati Uniti necessitavano di alleati sicuri, a maggior ragione nel loro “cortile di casa”. Dagli anni ’50, l’America Latina era afflitta dalle dittature militari (spesso sostenute dagli Stati Uniti d’America). Ad ogni modo, questi non erano i regimi ideali per sostenere le rivendicazioni di Washington, secondo cui la Guerra Fredda era un’epica battaglia tra il “mondo libero” e la “tirannia Comunista”. La Colombia, con la sua regolare alternanza di governi civili, venne scelta come vetrina dell’ Alleanza per il Progresso di Kennedy. Le condizioni economiche della stragrande maggioranza dei colombiani durante gli anni del Fronte Nazionale rimasero critiche: la recessione nell’economia mondiale del 1957-58, aveva provocato una forte caduta del prezzo del caffè. Gli effetti negativi della recessione mondiale furono più forti nelle economie dei paesi in via di sviluppo. In particolare, in Colombia si registrò una caduta del prezzo del caffè del 16%, mentre i prezzi dei beni importati scesero solo del 4%.165 Se nel ciclo economico precedente, le perdite dei profitti, dovute ala crisi delle esportazioni, erano state compensate dallo spostamento dei capitali dall’agricoltura all’industria, dando avvio al processo delle importazioni, ora, questa soluzione aveva perso la sua efficacia iniziale. Ad ostacolare la crescita industriale concorrevano alcune delle contraddizioni del sistema economico colombiano: il basso tasso di profitto industriale e la bassa propensione al consumo della società colombiana. Agli inizi degli anni ’60, la bilancia dei pagamenti cominciò a registrare i primi saldi negativi a causa della combinazione di diversi fattori: la remissione degli utili degli investitori esteri, il saldo dell’acquisto dei mezzi tecnologici importati, la consegna del petrolio estratto, la caduta del prezzo del caffè. Tutto questo provocò una rapida fuga dei capitali stranieri. Nel 1962 la classe dirigente decise di procedere all’applicazione della soluzione proposta dal Fondo Monetario Internazionale, dando avvio ad una lenta ma continua svalutazione del peso. Ciò provocò un graduale aumento dei tassi d’inflazione e 163 In questo campo la Colombia si distinse come unico paese del continente a rispettare le scadenze dei pagamenti. 164 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003, pag. 69. 165 Mondragon Hector, Los ciclos y las crisis economicas en Colombia, www.gratisweb.com/ciclocrisis. 68 un processo di espropriazione delle ricchezze degli imprenditori nazionali ad opera del capitale straniero: “il processo di sostituzione delle importazioni fu sostituto dal processo di sostituzione dei proprietari”.166 Gli ostacoli al movimento sindacale La caduta dei salari reali e l’allontanamento dei partiti dalle organizzazioni sindacali provocò un periodo di agitazioni nel mondo lavorativo tra il 1957 e il 1966. Di fatti, la chiusura del sistema di potere negli anni del Fronte Nazionale non solo era diretta contro l’affermazione di formazioni partitiche alternative, ma anche contro la crescita e il consolidamento dell’intero movimento sindacale. Alcuni storici sostengono che la debolezza del movimento sindacale colombiano sia dovuta a motivi strutturali. Charles Berquist167, ritiene per esempio che questa debolezza sia conseguenza del fatto che la coltivazione del principale prodotto colombiano per l’esportazione, il caffè, ha interessato in Colombia, soprattutto la piccola proprietà e che, per questo, ha escluso la classe lavoratrice dal principale settore dell’economia. Oltre a queste argomentazioni, è necessario tenere presente che la principale organizzazione sindacale nazionale di quei tempi, la CTC, era stata il bersaglio principale delle diffuse pratiche di violenza perpetrate, con l’ampio sostegno governativo, nel corso dei dodici anni della sanguinolenta guerra civile seguita all’assassinio di Elicier Gaitàn. Gran parte dei leader della CTC e molti suoi sostenitori furono fisicamente eliminati con la Violencia. Il terrore che questa guerra riuscì a produrre e a diffondere in seno alla società colombiana, fa sì che a tutt’oggi, tra i sopravvissuti, il ricordo di quei giorni costituisca ancora un tabù. 168 L’altra grande organizzazione sindacale nazionale invece, la UTC, sorta durante i primi anni della Violencia per volontà dell’allora presidente conservatore Ospina Pèrez, espressione degli interessi dei grandi impresari agrari e della parte più conservatrice della Chiesa, come già visto, era stata marginalizata negli anni successivi, durante il regime militare di Rojas Pinilla. Durante i sedici anni del Fronte Nazionale la mobilitazione della forza lavoro raggiunse il suo culmine nel 1963, anno in cui venne organizzato un’ondata di scioperi dai lavoratori della ECOPETROL, nella città di Barrancabermeja. Questi avvenimenti contribuirono alla 166 Ibidem, pag. 11. Berquist C., in Violence in Colombia: The contemporary crisis in Historical Perspective, Scholarly Resources, USA, 1992. 167 69 nascita di una delle formazioni guerrigliere più forti del paese, l’Ejercito de Liberaciòn Nacional. Ad ogni modo, i conflitti sul mondo del lavoro non destarono particolare attenzione nell’opinione pubblica per il disinteresse mostrato dai partiti tradizionali e per l’autocensura operata dagli stessi media. Per limitare la libertà di stampa non era nemmeno necessario ricorrere all’intervento pubblico. Era sufficiente negare il pagamento delle entrate pubblicitarie e qualsiasi altro finanziamento ai giornali che non difendevano gli interessi della classe dominante.169 Fu così che a partire dalla metà degli anni ’60 sorsero confederazioni sindacali regionali e indipendenti controllate dalle forze di sinistra, soprattutto dal Partito Comunista. Tra il 1959 e il 1965 il numero dei lavoratori iscritti ai sindacati crebbe: da 250.000 a 700.000. La Confederacion Sindical de Trabajadores de Colombia era l’organizzazione più numerosa, ma non contava più di 100.000 iscritti.170 I governi del Fronte Nazionale scelsero di affrontare il problema della povertà crescente rafforzando le comunità locali, soprattutto nelle aree rurali più marginali del paese, dove l’intensità della conflitto era elevato e la presenza dello Stato era minima, se non addirittura inesistente. Le cosiddette Juntas de Acciòn Comunal furono create dal primo presidente del Fronte Nazionale, Lleras Camargo. L’idea di base era che in ogni comunità si creasse un leader naturale, capace di dar voce alle necessità dell’intera comunità e di agire nel nome dei suoi interessi. Questi comitati divennero i maggiori beneficiari degli aiuti statali e i canali preferenziali attraverso cui le dinamiche clientelari vennero consolidate nelle zone di recente colonizzazione.171 La nascita dei principali gruppi guerriglieri colombiani Nel corso degli anni del Fronte Nazionale si costituirono le quattro principali formazioni guerrigliere colombiane: il 1964 fu l’anno della nascita dell’Ejercito de Liberaciòn Nacional (ELN); due anni dopo fu la volta delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC); l’ Ejercito Popular de Liberaciòn (EPL) si costituì invece nel 1967; infine, nel 1970 nacque il Movimiento Diecinueve de Abril (M19). 168 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004. 169 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 170 Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogot, 2001. 171 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 70 Si è già visto come in passato, in seguito alla Violencia degli anni ’50, si verificò la nascita di gruppi di “autodifesa contadina” contro l’azione della polizia conservatrice (chulavita) e dei primi gruppi paramilitari finanziati dai grandi proprietari terrieri (pajaros). Questi gruppi, armati a scopo difensivo, furono inizialmente guidati da forze liberali e comuniste. A partire dalla decade successiva, l’intensificarsi dei rapporti tra gli aderenti a questo “movimento sociale armato”172 e il Partito Comunista contribuì alla nascita ed al consolidamento di quello che in seguito divenne il gruppo guerrigliero più numeroso e forte del paese: le FARC. La Colombia si situa tra i paesi dell’America Latina in cui la portata raggiunta dalla guerriglia ha superato quella delle realtà degli altri paesi latinoamericani, quanto a diffusione all’interno della società e al suo protrarsi nel tempo. Le ragioni di ciò vanno ricercate in diversi ordini di fattori. Uno dei principali è, sicuramente, la chiusura del sistema politico scaturito da quella sanguinosissima guerra civile che fu la Violencia, al termine della quale i sopravvissuti elementi del movimento democratico sconfitto e in gran parte distrutto, dovettero scontrarsi con la realtà di un sistema fortemente autoritario e dirigista. Il radicalismo dell’opposizione all’ordine costituito prosegue di pari passo con il peggioramento della situazione economica delle classi subalterne e la contemporanea ulteriore concentrazione delle ricchezze. “La riduzione degli spazi di intervento della guerriglia ” coincise, nel corso di questo ventennio, ai pochi e limitati momenti in cui si verificò “un ampliamento dei canali di partecipazione dei colombiani nella società e nella politica”.173 L’intensità dello scontro rimase molto elevata per tutti gli anni del Fronte e del suo smantellamento. Solo tra il 1958 e il 1966 ben 17.500 omicidi vengono compiuti per motivi politici.174 Secondo gli autori Palacios e Safford175, i tipi di guerriglia sorti in Colombia possono essere raggruppati in due tipologie: quella rurale- comunista e quella foquista. Le FARC rientrano, per la maggior parte della loro storia, nella prima tipologia. Le FARC sono nate nel mondo rurale per dare espressione alla volontà del mondo contadino sostenitore di un tipo di colonizzazione autonoma, ossia non controllata dai grandi proprietari terrieri. Ottenere una riforma agraria a vantaggio dei piccoli proprietari è stato l’obbiettivo principale della loro lotta, per la maggior parte degli anni in cui essa si è 172 Pizarro Eduardo Longomez, Insurgencia sin revoluciòn. La guerrilla en Colombia en una prespectiva comparada. Tercer Mundo, Bogotà, 1996, pag. 57. 173 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 89. 174 Ibidem. 71 manifestata, ossia almeno fino alla metà degli anni ‘80. In corrispondenza dei territori dove la grande proprietà era fortemente consolidata, lo scopo della loro mobilitazione era invece quello di ottenere migliori condizioni lavorative.176 La cosiddetta teoria foquista invece, ispirata dalla rivoluzione Cubana e dalle teorie rivoluzionarie di Che Guevara, credeva che la rivoluzione dovesse essere guidata da un’avanguardia armata di origine urbana. I membri di questa minoranza intellettuale illuminata avrebbero dovuto lasciare la città per stabilizzarsi temporaneamente nel mondo rurale. Qui, avrebbero beneficiato del contatto diretto con il mondo contadino grazie, al quale sarebbero riusciti in un certo senso a purificarsi delle aspirazioni di potere proprie della classe a cui loro stessi appartenevano, ossia la classe medio -alta. Contemporaneamente, le loro idee rivoluzionarie e conoscenze intellettuali avrebbero costituto un utile apparato teorico su cui si sarebbe strutturata la mobilitazione della base contadina. L’ELN, l’EPL e l’M19 presentano chiari caratteri tipici di questo tipo di guerriglia. Ad ogni modo, nonostante l’origine urbana di questi gruppi, l’insurrezione nelle città ha ricoperto un ruolo marginale anche per loro. Di fatti, la loro mobilitazione si è concentrata nel mondo rurale, soprattutto in corrispondenza delle terre di frontiera. Le forme d’opposizione politica Le uniche forme legali possibili di opposizione politica negli anni del Fronte Nazionale, furono quelle rappresentate dal Movimiento Revolucionario Liberal (MRL) e dall’ Acciòn Nacional Popular (ANAPO). L’MRL era stato fondato nel 1960 da quello che sarà il primo presidente eletto dopo la fine del Fronte Nazionale: Lòpez Michelsen, figlio dell’ideatore della Revoluciòn en Marcha, Lòpez Pumarejo. Questo movimento osteggiava la politica conciliatrice del Fronte e raccoglieva gran parte del suo sostegno nelle zone rurali. Sotto l’influsso della Rivoluzione Cubana abbracciò posizioni ancora più a sinistra. Dopo un iniziale successo elettorale, Lòpez Michelsen “deluse le aspettative dei suoi sostenitori tornando nelle fila del Partito Liberale e negoziando con il politico di vecchio stampo Julio César Turbay Ayala, per vincere il biglietto presidenziale.”177 175 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 176 AA. VV., Las verdaderas intenciones de las FARC. Observatorio de Paz, Intermedio, Bogotà, 1999. 177 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003, pag. 75. 72 I successi dell’ANAPO furono invece di più lunga durata. Il movimento era stato fondato nel 1961 niente meno che dal generale Rojas Pinilla. Questo movimento riuscì ad ottenere una mobilitazione popolare di ampie dimensioni, non più verificatesi dai tempi del gaitanismo. Nato come movimento di protesta nei confronti dei due partiti tradizionali e dell’intero sistema di potere oligarchico, si mostrò capace di canalizzare il malessere di settori molto diversi della società colombiana, accomunati dal solo fatto di essere tutti ugualmente esclusi dal sistema di potere. Inizialmente, l’ingresso del generale in campo politico fu motivato più da un’esigenza di riscatto che da un progetto politico preciso, elaborato nel nome dell’interresse nazionale. Lo stesso uomo che era stato elevato al ruolo di unico possibile pacificatore della nazione dall’intera classe dominante del paese, si era sentito tradito quando, quattro anni dopo, per volontà della stessa classe oligarchica, era stato messo da parte e mostrato come un pericolo per i principi della democrazia e dello Stato di Diritto. In una prima fase, questo movimento trovò sostegno nelle fila del Partito Conservatore, soprattutto nelle zone rurali. Le sue critiche rivolte al sistema politico del Fronte Nazionale, vennero elaborate all’insegna dei valori tradizionali, soprattutto cattolici. Il suo atteggiamento antigovernativo e la sua demagogia antioligarchica, gli garantirono un discreto successo elettorale fin dalle elezioni del 1966. Considerando la vaghezza del discorso politico dell’ANAPO (basti pensare che fino al 1970 non accennò ad alcuna proposta di riforma agraria), il suo successo si spiega in parte per il “malessere di certi elettori rispetto ad un Fronte Nazionale che li obbligava a votare per un candidato, Carlos Lleras Restrepo (1966-1970), impopolare tra gli antichi simpatizzanti gaitanisti, per essere stato uno degli oppositori più fermi al movimento, e tra i conservatori, per aver diretto per molto tempo la resistenza liberale contro il governo di Laureano Gòmez”.178 Nella sua seconda fase, in seguito alle delusioni rispetto ai propositi riformatori del presidente Lleras Restrepo, l’ANAPO trovò l’appoggio di numerosi sostenitori anche tra le forze liberali del paese. La popolarità dell’ANAPO crebbe considerevolmente anche tra i settori più emarginati delle città, dove l’organizzazione di Rojas Pinilla, aveva cominciato a costituire le proprie reti assistenziali in modo da sostituire quelle clientelari del mondo rurale. Nessun sindacato garantì mai il sostegno al movimento di Rojas Pinilla, anche se, individualmente, molti membri dei settori organizzati appoggiarono la candidatura del generale alle presidenziali del 1970. La mobilitazione popolare ottenuta da Pinilla fu di ampia portata, nonostante il suo discorso populista non suscitò mai l’immaginario di una società altra. Ad ogni modo, 178 Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 77. 73 “agitando il tema dell’ingiustizia sociale, di una società umiliata e con profonde disuguaglianze, stava toccando la stessa corda di Gaitàn”.179 Naturalmente la classe politica era ben cosciente della portata del successo ottenuto dal generale. Fu così che utilizzò tutti i mezzi a sua disposizione per mettere a freno i pericoli di eventuali stravolgimenti dell’ordine. La seconda fase del Fronte Nazionale e il ritorno alla “crescita verso l’esterno” Un emendamento costituzionale del 1968 prolungò alcune delle regole dell’alternanza che la precedente Riforma Costituzionale sanciva per il tempo di quattro presidenze. Nel 1974 caddero effettivamente le restrizioni riguardo la competizione elettorale per quanto concerne la carica presidenziale e i seggi parlamentari; le cariche ministeriali invece, avrebbero continuato ad essere equamente suddivise tra liberali e conservatori ancora fino al 1978. Addirittura, nello stesso emendamento costituzionale si stabiliva che anche dopo il 1978, il partito vincente alle elezioni, avrebbe dovuto garantire una divisione “equa” nell’esecutivo tra forze liberali e conservatrici (non specificando il significato di “equa”). L’alternanza si prolungò in pratica fino al 1986, anno in cui il neoeletto presidente Virgilio Barco costituì il primo governo dalla fine del Fronte Nazionale, in cui la maggioranza degli incarichi ministeriali era affidata ad un solo partito, quello liberale.180 Con il 1968 ha inizio la seconda fase del Fronte Nazionale, in cui la volontà politica della classe dominante affievolisce la sua componente populista per imboccare ancora una volta la strada dell’autoritarismo e del dirigismo economico. L’inizio di questa fase successiva coincide con la formalizzazione di quelle tendenze economiche già adottate, durante la prima fase del Fronte Nazionale, dalla maggior parte dell’elite economica. Il nuovo indirizzo di politica economica sanciva definitivamente l’abbandono di quelle misure protezionistiche che avevano dato luogo al processo di sostituzione delle importazioni, permettendo l’avvio dell’industria nazionale. Durante il primo decennio del Fronte il flusso della manodopera in eccesso proveniente dalle campagne e diretta verso la città, aveva contribuito fortemente allo stimolo di un’industria manifatturiera moderna orientata nella produzione di petrolchimici, automobili, carta, prodotti metallurgici ed elettrici. Nel corso degli ultimi anni invece, la maggior parte degli investimenti nazionali e stranieri erano 179 Ibidem, pag. 79. Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 180 74 tornati a concentrarsi sui beni di esportazione, col fine di sostenere l’agricoltura commerciale e il processo di diversificazione dei prodotti agricoli. 181 Ancora una volta, le parole d’ordine tornarono ad essere quelle di “promozione delle esportazioni” o “crescita verso l’esterno”.182 Tale cambiamento fu possibile grazie alla ripresa dell’economia mondiale e al conseguente aumento del prezzo del caffè colombiano sul mercato internazionale. Tutti gli sforzi fatti negli ultimi decenni per favorire la crescita della produzione industriale e consolidare lo sviluppo del mercato interno, furono messi da parte. Vennero introdotti due nuovi strumenti economici a sostegno dell’esportazione: il Fondo de Promociòn de Exportaciones (PROEXPO) e l’Instituto Colombiano de Comercio Exterior (INCOMEX); l’imposta sui valori esportati venne limitata; si stimolò la circolazione di denaro estero sottoforma di crediti e si tentò di aumentare il controllo statale sull’attività delle multinazionali, per evitare il rischio di una fuga di capitali (quale era avvenuta in seguito all’ultima recessione mondiale del 1957-58); al potere esecutivo venne riconosciuto il potere di emettere decreti a sostegno dell’esportazione e per il controllo dell’occupazione. Nel 1969 si formalizzò l’adesione al Patto Andino concessa tre anni prima dal presidente Lleras Restrepo. Questo patto avrebbe favorito le attività commerciali e le collaborazioni economiche tra la Colombia, la Bolivia, il Cile, il Perù e l’Ecuador.183 I paesi industrializzati tornarono ad investire in un mercato che prometteva di crescere; d’altro canto, nei paesi occidentali si era conclusa la fase di espansione del capitale e, conseguentemente, il tasso di profitto era tornato ad essere inferiore a quello latinoamericano. Con la presidenza di Lleras Restrepo la Colombia usciva dall’immobilismo della prima fase del Fronte Nazionale: la modernizzazione del paese aveva ripreso il suo corso, soprattutto per quanto riguarda il settore agricolo. Nonostante le scelte economiche adottate fossero tutte a vantaggio dell’elite dominante, le ostilità verso il presidente liberale rimasero inalterate, a causa della volontà di Lleras Restrepo di combattere e diminuire il clientelismo alla base del sistema di potere. Battaglia questa che non si rivelò d’altro canto sufficiente ad assicurargli l’appoggio dei settori popolari. Nel complesso, “Lleras Restrepo non fece altro che aumentare le resistenze e risvegliare la sfiducia storicamente radicata 181 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995. 182 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia, www.gratisweb.com/ciclocrisis, pag. 11. 183 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991. 75 verso il potere centrale.”184 Per sostenere le scelte economiche degli ultimi anni infatti, i partiti tradizionali aumentarono la rigidità già mostrata nel corso dell’ultimo decennio verso le rivendicazioni sindacali. Per regolare i conflitti di lavoro venne creato il Tribunal de Arbitraje Obligatorio, dal quale rimanevano esclusi tutti quei settori considerati di “pubblico interesse”. I salari vennero congelati. Non a caso, nel 1968 venne promulgata la legge 48, pilastro legale del paramilitarismo in Colombia. Il testo di questa legge conferiva al governo il potere di creare pattuglie civili e rifornirle di armi di uso esclusivo dell’esercito. Si trattava del quadro legislativo di riferimento per quanto stabilito dal Plano Lazo circa i gruppi di autodifesa. Inoltre, cominciarono ad essere distribuiti manuali sull’organizzazione della popolazione civile, il cui contenuto sostanziale identificava il “nemico interno” da combattere, con tutti i leader dei movimenti organizzati protagonisti delle lotte sociali.185 Il 19 Aprile del 1970 iniziò l’ultimo mandato presidenziale del Fronte Nazionale. La legalità delle elezioni che sancirono la vittoria del conservatore Misael Pastrana venne messa in dubbio da gran parte dell’opinione pubblica di allora e da alcuni osservatori internazionali. Alle elezioni partecipò, in veste di candidato conservatore indipendente, anche il presidente dell’ANAPO: Rojas Pinilla. Mentre i programmi televisivi riferivano sugli aggiornamenti riguardanti lo spoglio delle schede, quando il vantaggio di Rojas cominciò ad essere evidente, le trasmissioni vennero oscurate. Qualche ora dopo le radio annunciarono la vittoria di Rojas. Il giorno seguente, i risultati ufficiali attribuirono il 38,7% dei voti a Rojas e il 40,3% a Pastrana.186 Secondo Bushnell, quelle elezioni furono “rubate” né più né meno di quanto non lo siano tutte le elezioni colombiane, caratterizzate da una serie di irregolarità commesse da tutte le parti: “un po’ di false credenziali qui, un tocco di intimidazioni di là, mentre i sostenitori del governo hanno chiari vantaggi a farla franca con i loro abusi.”187 Ad ogni modo, l’importanza di queste elezioni fu rendere evidente gli effetti della “polarizzazione sociale senza precedenti”188 avvenuta in seguito al successo crescente del movimento populista dell’ANAPO. Qualcosa di importante era cambiato nella cultura 184 Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 79. Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004. 186 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 187 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993, pag. 230. 188 Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 76. 185 76 politica della popolazione colombiana. Per la prima volta dall’inizio della storia della Repubblica di Colombia, la divisione in seno alla società colombiana non si era articolata secondo la tradizionale confrontazione liberali -conservatori, ma aveva assunto una connotazione di classe: “i settori emarginati votarono in massa per l’ex dittatore, mentre quelli più stabili votarono per il candidato del Fronte Nazionale.”189 Queste considerazioni sono confermate dall’attenta lettura di Robert Dix190 dei dati forniti dal Dipartimento Amministrativo Nazionale di Statistica della Colombia191, che mostrano una chiara vittoria del generale nelle città, soprattutto per quanto riguarda i quartieri non residenziali, abitati dalla classe media e medio- bassa. La convinzione della frode elettorale avvenuta, radicata in alcuni settori urbani, sostenitori del movimento di Rojas e non solo, determinò la fuoriuscita di alcuni intellettuali dall’ANAPO che, unitisi ad altri dissidenti delle FARC, costituirono nel 1972 il Movimiento 19 de Abril (M19). Questa nuova formazione guerrigliera portò con forza la lotta armata nelle città, in particolare fu molto popolare nel Dipartimento del Cauca e nella città di Cali. In generale, per molti colombiani queste elezioni non rappresentarono che una conferma ulteriore alla già diffusa convinzione dell’impossibilità della via democratica per un rinnovamento reale della società. La sconfitta di Rojas Pinilla segnava il fallimento dell’ANAPO e del populismo e apriva il passo alla contestazione politico-militare. Nella popolazione “si installava una nuova divisione, determinata dall’adesione o dall’opposizione alla prospettiva della lotta armata. Ancora una volta, il populismo non apparve se non come una fase transitoria che condusse alla riscrizione della divisione sociale nei termini della violenza politica”.192 La vittoria di Misael Pastrana corrispose ad un continuo aumento dell’autoritarismo per garantire la continuità dello sviluppo capitalistico delle campagne e per affrontare la conseguente conflittualità crescente. Durante gli anni del Fronte Nazionale, le contraddizioni di uno sviluppo squilibrato, non fecero altro che acutizzarsi. Le differenze dei tassi di crescita industriale registrati tra gli anni 1968-74 e gli anni 1932-56, dimostrano che le aspettative di coloro che avevano creduto nelle ricette economiche del Fondo Monetario Internazionale, dell’amministrazione Usa e dei suoi economisti non erano state ben calibrate. L’idea di 189 Ibidem, pag. 76. R. Dix, Political opposition under the National Front, in A. Berry, R.H. Hellmann e M. Solaun, Politics of compromise, New Brunswick, New Jersey, 1980. 191 Fonte: DANE, Boletin Mensual de Estadistica, n. 229, 1970. 192 Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 82. 190 77 base dell’americano Currie, di un “capitalismo creolo” 193 che, con l’aiuto del capitale estero sarebbe riuscito finalmente ad eliminare gli ostacoli che si opponevano alla crescita (senza però risolvere le profonde disuguaglianze sociali ed economiche), mostrava tutta la sua fragilità. I centri dell’innovazione rimanevano lontani, così come lontane erano le sedi delle multinazionali. Proseguiva invece la riorganizzazione della divisione internazionale del lavoro, attraverso cui alcuni settori della produzione venivano trasferiti nei paesi in via di sviluppo, approfittando dei bassi costi della mano d’opera.194 Pertanto, le tensioni sociali durante gli anni del Fronte Nazionale si approfondirono: l’adesione e il sostegno alla guerriglia si diffuse, così come alta fu la mobilitazione popolare ottenuta dal movimento conservatore e populista del generale Rojas Pinilla. Nel mondo contadino, il malcontento si raccolse attorno all’unica organizzazione legale del settore, quella fondata dal liberale Lleras Restrepo, l’ANUC. Mentre la concentrazione delle ricchezze non subì alcuna battuta d’arresto, la crescita costante del PIL nazionale non risolse nessuno dei gravi problemi socioeconomici della società colombiana: la disoccupazione in aumento, la disgregazione del mondo agricolo, la proletarizzazione di gran parte dei settori urbani, la crescita dell’inflazione. Tutti questi elementi approfondirono la disaffezione già radicata nella società colombiana verso l’autorità centrale dello Stato e, più in generale, verso la politica come strumento di confrontazione e di negoziazione degli interressi. La nuova ondata di autoritarismo sostenuta dagli ultimi governi del Fronte Nazionale, non ottenne altro che l’aumento del consenso sociale, verso forme di potere extrastatali. A fianco all’immagine venduta nel mondo di un paese moderno, ricco e democratico si poteva scorgere un’altra immagine dai colori più vivi e reali, di una “democracy by default”195, ossia di una “democrazia mancante”, alla cui popolazione era impedito avere una propria rappresentanza politica attraverso cui esprimere liberamente la propria opposizione alle politiche di governo, pena l’accusa di sovversione. 193 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia, www.gratisweb.com/ciclocrisis, pag. 13. 194 Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogot, 2001. 195 Alberti, Democracy by default, Movimientismo and Social Anomie. Università di Bologna e CESDE, 1991, pag. 1. 78 SECONDO CAPITOLO: LE CHIAVI DELL’ATTUALE CONFLITTO ARMATO. Introduzione: l’allargamento e la trasformazione del conflitto. Negli anni successivi alla “dittatura costituzionale”196 le èlites politiche conservatrici e liberali continuarono a collaborare per una gestione condivisa del potere. La teoria del partito unico a due facce, condivisa da diversi autori, ci aiuta a capire come gli elementi alla base di questa collaborazione risalivano a tempi ben più remoti rispetto a quelli in cui l’alternanza al potere si era istituzionalizzata nel Fronte Nazionale. Alla base di questa teoria c’è l’individuazione in Colombia di una cultura politica di tipo federale, che aveva accompagnato lo stato oligarchico colombiano fin dalla sua nascita. Nel corso del capitolo precedente ci si è soffermati su alcuni degli elementi base di questa cultura politica. Da un lato, una logica di potere clientelare; dall’altro, la diffusa condivisione, tra conservatori e liberali, della concezione di partito politico come espressione degli interessi di “signorotti” locali e, quella di Stato, come bottino da spartire tra i vincitori alle elezioni presidenziali. Era stata proprio questa cultura politica a fungere da motore di quei meccanismi che per decenni avevano alimentato la medesima spirale di violenza. La chiusura del sistema politico e il permanente rifiuto di adottare le misure necessarie per dare avvio alle trasformazioni economiche, politiche e sociali rivendicate dalla maggioranza della popolazione, avevano negato allo Stato colombiano la possibilità di fungere da mediatore tra i diversi interessi rappresentati. Lo Stato colombiano non era stato in grado di svolgere quella funzione che, secondo la moderna teoria democratica, legittima l’intero apparato statale: garantire l’unità e la coesione sociale per la messa in atto di un progetto collettivo e di un modello di sviluppo, espressione degli interessi dell’intera società.197 L’uso della forza ad opera delle elite politiche per la difesa degli interessi costituiti, determinò il ricorso alla strategia della lotta armata da parte di settori della popolazione sempre più ampi. La diffusione dei movimenti insurrezionali produsse, a sua volta, una reazione statale ancor più repressiva e autoritaria. Il risultato più evidente ottenuto da decenni di violenza fu la sfiducia verso la politica come mezzo di confronto in seno 196 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 105. 197 AA. VV., Repensar a Colombia: Hacia un nuevo contrato social. Panamericana Formas e Impresos, Bogotà, 2002. 79 all’intera società colombiana. Crebbero così gli spazi, le occasioni e le motivazioni per il consolidamento di poteri informali extrastatali: non solo quelli della guerriglia, ma anche quelli del narcotraffico e del paramilitarismo. La crescita di questi poteri paralleli, affiancati ad uno Stato incapace di garantire il monopolio della forza, finì per alimentare la dilagante militarizzazione delle funzioni pubbliche. Il tutto non fa che confermare le considerazioni di un noto teorico dello sviluppo politico, Samuel Huntington.198 A fine anni ’70, egli elabora la teoria sociologica secondo cui la stabilità sociale è il risultato del rapporto tra il livello di istituzionalizzazione di un paese e il grado di partecipazione politica garantito ai diversi settori sociali. I rapidi mutamenti sociali ed economici avvenuti nella seconda metà del XIX secolo nei paesi in via di sviluppo dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina (quali l’urbanizzazione, l’ avvio dell’industrializzazione, l’aumento del grado di istruzione e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa) sono stati accompagnati da un aumento del benessere materiale, ma anche da una crescita della frustrazione sociale. I motivi di ciò, vanno ricercati nel fatto che la ricchezza ottenuta dallo sviluppo economico, non è stata sufficientemente ridistribuita tra i diversi settori sociali. La mobilità sociale seguita al processo di modernizzazione ha creato una serie di aspettative rimaste insoddisfatte a causa dell’incapacità dimostrata dall’apparato statale di rispondere alle nuove aspirazioni attraverso le sue istituzioni economiche e politiche. Pertanto, il malcontento non ha trovato altra valvola di sfogo se non quella della forza e del conflitto sociale. Infine, la redistribuzione in Colombia, così come negli altri paesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia, non è stata ostacolata solo dalle esigenze capitalistiche di accumulazione delle elite economiche nazionali, ma anche da quelle delle nuove elite economiche in via di affermazione in campo internazionale.199 198 Huntington S. P., Ordine politico e mutamento sociale. Angeli, Milano, 1979. Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogotá, 2001. 199 80 L’ apertura democratica e l’intensificazione della guerra sucia (19741989). Lo smantellamento dello Stato interventista-protezionista in Colombia Secondo Hector Mondragòn200, i governi colombiani succedutisi negli ultimi venticinque anni hanno sposato la fede neoliberale. Questo ha sancito la definitiva emarginazione dei ceti popolari e della vecchia classe dirigente che, scampata alla Violencia, era stata protagonista e artefice della riconciliazione tra liberali e conservatori. I membri delle nuove elite neoliberali in via di affermazione si formarono professionalmente nelle maggiori istituzioni finanziarie internazionali (FMI e BM), nelle esclusive università di Chicago e nella prestigiosa Universidad de los Andes di Bogotá. Dato il selettivo accesso a questo tipo di istruzione universitaria, più economico che meritocratico, i legami di parentela tra le vecchie e le nuove elite rimasero forti. La novità del cambiamento riguardava soprattutto la base del consenso che la nuova generazione di politici andava creandosi negli anni dello smantellamento del Fronte Nazionale. Se la politica dei loro padri era stata formalmente impregnata di populismo perché il loro scopo era stato quello di emergere come leader indiscussi degli interessi della nazione intera, l’atteggiamento politico dei loro figli era tornato a rivolgersi esplicitamente alle reti di potere su base locale.201 Nel capitolo precedente si è cercato di illustrare come molte delle scelte della classe al potere durante il Fronte Nazionale, oltre alla demagogia populista e all’effettivo processo di nazionalizzazione della forza realizzato, avevano perseguito i seguenti obbiettivi: a) mantenere in vita e, in un certo senso, rafforzare le reti locali di potere sia in campo economico che in quello socio-politico. Basti pensare al ruolo marginale ricoperto dall’autorità statale nell’economia del paese, a vantaggio dei gruppi d’interesse regionali e al mantenimento di un sistema assistenziale che privilegiava le giunte comunali, a scapito delle grandi confederazioni sindacali; b) favorire il più possibile gli interessi economici stranieri, in particolare del potente vicino di casa, gli Stati Uniti d’America. 200 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis economicas en Colombia. w w w . g r a t i s web.com/ciclocrisis. 201 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 81 Ad ogni modo, durante gli anni del Fronte Nazionale anche lo Stato colombiano visse momenti in cui accrebbe le proprie funzioni e la propria forza grazie ad un maggiore intervento in campo economico, finalizzato all’avvio della produzione industriale e alla crescita del mercato interno. Nella seconda fase del Fronte, anche se la classe politica nazionale cominciò ad allontanarsi dal modello di sviluppo basato sul processo di sostituzione delle importazioni, l’intervento statale in campo economico rimase forte. In particolare, in seguito alla ripresa dell’economia mondiale, durante la presidenza di Lleras Restrepo (1966-1970) l’intervento statale tornò a privilegiare il settore delle esportazioni.202 Secondo Rosemary Thorp203 i meriti di Lleras in campo economico sono stati molti, in particolare quello di essere riuscito a salvaguardare l’indipendenza nazionale rispetto alle pressioni provenienti dal FMI, espressosi a favore del mantenimento di un tasso di cambio flessibile e della svalutazione della moneta colombiana. Con la scelta di una politica monetaria e fiscale “prudente”204 egli riuscì a garantire un aumento della produzione nazionale (che a sua volta favorì la diversificazione degli investimenti privati), delle entrate statali e delle sue possibilità di spesa, tenendo sotto controllo il tasso di inflazione. Il primo governo dopo la fine del Fronte Nazionale, quello di Lòpez Michelsen (1974-78) ebbe inizio in un momento difficile in cui, in seguito all’aumento del prezzo del petrolio sul mercato internazionale ed all’esaurimento delle riserve dei giacimenti petroliferi colombiani fino ad allora scoperti, il tasso di inflazione colombiano passò dal 7% nel 1973 al 25% nel 1974.205 Alla luce della nuova situazione internazionale i settori in espansione per gli effetti positivi delle politica economica di Lleras, quello delle esportazioni non tradizionali e delle costruzioni, subirono una forte battuta d’arresto. Nonostante le difficoltà, Lòpez dimostrò una certa continuità con la tradizione colombiana, adottando una politica monetaria rigorosa, che tenesse sotto controllo l’indebitamento pubblico con l’estero. Per agevolare l’entrata di investimenti stranieri nel settore petrolifero, il governo optò per un aumento della tassazione fiscale, con l’eliminazione di detrazioni e indennità. Il processo di liberalizzazione del mercato annunciato dal presidente seguì un andamento tutt’altro che lineare durante gli anni del suo governo. In campo finanziario la liberalizzazione fu difatti accompagnata dalla nazionalizzazione delle banche, che provocò 202 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis economicas en Colombia. w w w . g r a t i s web.com/ciclocrisis. 203 Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia, MacMillan Academic and professional, London, 1991. 204 Ibidem, pag. 150. 205 Ibidem, pag. 164. 82 una crescita del tasso d’interesse anziché una sua liberalizzazione. Parallelamente, l’indice di liberalizzazione delle importazioni costruito da Garcia206 non mostra cambiamenti significativi tra il 1974-78. Secondo Thorp207, l’implementazione di queste misure non dipese dalle scelte amministrative della squadra al governo, piuttosto da due eventi da essa indipendenti. Da un lato, la crescita del prezzo del caffè colombiano in seguito alla caduta dell’offerta brasiliana sul mercato internazionale per motivi climatici. Dall’altro, l’entrata di un enorme flusso di dollari provenienti dal commercio di sostanze illegali, quali la marijuana e la cocaina. Poiché in nessuno dei due casi il governo aveva accesso diretto ai profitti ottenuti, né aveva modo di incidere sulla loro distribuzione e sul controllo del prezzo delle merci vendute208, l’unico strumento a sua disposizione per neutralizzare l’aumento del flusso di dollari e frenare il tasso di inflazione era rappresentato da una serie di misure rivolte a stimolare il risparmio privato e pubblico. Fu così che la spesa pubblica venne drasticamente ridimensionata e che dal 1977 i salari registrarono una rapida caduta. Pertanto il governò Lòpez ha spianato la strada al modello di sviluppo neoliberale, non tanto in termini di liberalizzazione del mercato, quanto in termini di ridefinizione delle relazioni capitale-lavoro. Nonostante fin dal suo arrivo al potere Lòpez abbia cercato demagogicamente di porre al centro della sua politica la negoziazione, portando sul medesimo tavolo delle trattative i rappresentanti del governo, dei sindacati e delle confederazioni economiche,209 risultato di quegli incontri fu l’introduzione di quello che, con le parole del presidente, venne definito salario integral: ovvero, un salario più elevato, accompagnato dalla diminuzione delle già limitate garanzie sociali, a danno del regime pensionistico e della stabilità lavorativa. In più, i profitti capitalistici ottenuti da queste manovre, anziché essere investiti nel miglioramento della produzione nazionale, vennero convertiti in strumenti speculativi che favorirono la concentrazione monopolistica.210 Anche Thorp ritiene che l’errore più grande commesso dall’amministrazione Lòpez e dall’elite economica nel gestire il boom di quegli anni fu determinato dall’incapacità di stimolare un incremento degli investimenti a favore della produzione industriale e di quella agricola del cotone e dello zucchero. I profitti del boom economico produssero invece una crescita incontrollata del settore finanziario, favorendo le operazioni speculative. 206 Jorge Garcia, The timing and sequency of a trade liberalization policy: Colombia 1967-1982. Mimeo, World Bank, 1986, pag. 87. 207 Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia, MacMillan Academic and professional, London, 1991. 208 Per quanto riguarda il caffè, questi strumenti erano in mano alla Federaciòn de cafeteros ed ai produttori privati di cui essa rappresentava gli interessi. 209 Pecaut Daniel, Orden y Violencia. Tomo II. El Siglo XXI, Bogotà, 1988. 83 Infine, anche Palacios e Safford211 concordano col ritenere che la politica di Lòpèz altro non fece che favorire i finanziamenti diretti al settore del caffè, a sostegno della grande agricoltura commerciale. Secondo la loro analisi, Lòpez e la classe al potere erano guidati dalla convinzione che i finanziamenti statali a favore dell’industria manifatturiera avrebbero reso la produzione meno efficiente e competitiva ed avrebbero aggravato il decifit statale. Durante il successivo governo, quello del liberale Ayala Turbay (1978-82), il prezzo del caffè colombiano cominciò progressivamente a scendere, anche a causa della ripresa della produzione brasiliana. La moneta circolante rimase comunque abbondante grazie ai profitti derivati dal mercato del narcotraffico, ma questo non fu sufficiente a finanziare la crescita nazionale. Come vedremo più avanti, ai tempi dei grandi cartelli della droga, gran parte degli investimenti dei narcos si limitavano difatti all’acquisto di beni immobili. Contemporaneamente, il taglio della spesa pubblica deciso dal governo Lòpez aveva fatto sì che le infrastrutture pubbliche si trovassero in uno stato di deterioramento tale da ostacolare lo sviluppo economico del paese. Fu così che il nuovo governo cedette all’alta offerta internazionale di credito e si indebitò pesantemente, guidato “dalla convinzione che la messa in atto di grandi progetti avrebbe avuto un effetto a pioggia sull’intera economia del paese”.212 Vennero eliminate anche le restrizioni riguardo l’indebitamento estero da parte di soggetti privati. In particolare, per quanto riguarda questo settore i crediti si concentrarono per il 43% a favore di soli 5 grandi imprese.213 Rapidamente, anche in Colombia si verificarono le stesse condizioni sfavorevoli che caratterizzavano le economie del resto dei paesi latinoamericani, già da tempo attanagliati dalle conseguenze negative legate alla crescita del debito estero, all’aumento del costo del debito in termini di interessi, ai ridotti periodi di pagamenti concessi, all’ingente indebitamento di poche grandi imprese. Man mano che il servizio del debito aumentava, passando dal 18% nel 1977 al 33% nel 1982, si crearono le condizioni favorevoli al processo di “latinamericanizzazione”214 della Colombia che spianò la strada alla finanza estera per l’acquisto dei titoli di stato colombiani. 210 Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogotá, 2001. 211 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 212 Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia, MacMillan Academic and professional, London, 1991, pag. 174. 213 Ocampo & Lora, Colombia y la deuda externa. Fedesarrollo, Tercer Mundo Editores, Bogotà, 1988, pag. 93. 214 Ibidem, pag. 87. 84 L’implementazione più radicale delle politiche di liberalizzazione appena accennate dal governo precedente non produsse gli effetti sperati. L’estensione delle liberalizzazioni a nuovi gruppi industriali nel cambiato contesto di recessione delle esportazioni produsse un’ulteriore danno all’industria nazionale. Infine, l’aumento della corruzione nel settore finanziario favorì la formazione di pochi e potenti gruppi ai quali venne data la possibilità di indebitarsi senza limiti alcuni. L’intero sistema economico ne uscì fortemente indebolito. 215 La militarizzazione delle funzioni pubbliche Nel corso della seconda metà degli anni ‘70 e della decade successiva il risultato di queste trasformazioni economiche e la mancata redistribuzione degli utili determinarono: • la risposta del movimento sindacale; • la diffusione e il rafforzamento della guerriglia; • lo sviluppo e il consolidamento di un’ economia informale dominata dal narcotraffico. Il dilagare degli ultimi due di questi elementi contribuirono a creare un forte clima di insicurezza generalizzata, per contrastare il quale le istituzioni governative favorirono l’aumento e la diversificazione delle funzioni militari. Fin dagli anni del Fronte Nazionale gli sforzi messi in atto dalla classe politica per garantire la sicurezza e l’ordine pubblico si limitarono al potenziamento delle forze militari.216 A causa dell’incapacità dello Stato di adempire alle proprie funzioni, da allora le Forze Armate vennero sovraccaricate di attività, che non appartenevano all’ambito strettamente militare. L’atteggiamento della classe al potere negli anni successivi al Fronte Nazionale rimase inalterato: oltre alle funzioni civiche e sociali ereditate dal Plan Lazo, ai militari vennero affidati compiti di polizia: dal contenimento delle tensioni interne, al controllo del contrabbando di smeraldi e, successivamente, del traffico di marijuana e cocaina. Di conseguenza, molti militari vennero coinvolti negli interressi locali a scapito della loro professionalità. Il timore che con la fine del Fronte Nazionale le tensioni sociali esplodessero senza controllo e che le forze d’opposizione prendessero il sopravvento fece sì che anche i primi governi seguiti al Fronte Nazionale ricorressero in modo quasi permanente allo stato d’assedio: i militari continuarono quindi a svolgere quella funzione di “garanti dell’ordine 215 Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia, MacMillan Academic and professional, London, 1991. 216 Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993. 85 e delle istituzioni democratiche”217 di cui erano stati insigniti a partire dal 1962 con l’adozione del Plan Lazo. La risposta del governo liberale di Lòpez Michelsen (1974-1978) di fronte al diffondersi della guerriglia e di altre forme di criminalità, fu l’istituzione nel 1974 della Comisión Nacional para la Prevención de la Delincuencia. Dopo aver riconosciuto che il ricorso al crimine in seno alla società colombiana non costituiva più il “risultato di fenomeni isolati di disgregazione sociale, bensì stava assumendo forme permanenti di perturbazione”218, i membri di questa commissione avviarono quel processo di militarizzazione delle istituzioni statali che si sarebbe poi completato durante il successivo governo. Gli anni dell’amministrazione del liberale Turbay Ayala si rivelarono di fatti tra i più repressivi dai tempi della Violencia.219 Sull’esempio delle dittature militari argentine e cilene anche la Colombia era ricorsa nell’ultimo governo del Fronte Nazionale, quello del conservatore Misael Pastrana (1970-74), alla Doctrina de Seguridad Nacional. Secondo questa dottrina, il nemico era interno e la necessità di combatterlo era vitale per la sovranità nazionale: ogni opposizione al governo finiva quindi per essere considerata come sovversiva e pericolosa per la sicurezza del paese. Turbay sposò in toto i principi di questa dottrina e, grazie a lui, i militari assunsero una capacità d’iniziativa e uno spazio d’azione mai avuti prima. Fu così che nel 1978 sottoscrisse una serie di leggi repressive, contenute in un decreto legislativo che prese il nome di Estatuto de Seguridad Nacional. Tale decreto va letto come atto risultante di una serie di misure adottate d’urgenza da Pastrana e da Lòpez per contenere la protesta dei settori cittadini, sindacali e popolari.220 Anche per Alfred Rangel221 con Misael Pastrana si era aperta una fase nuova, in cui l’atteggiamento adottato dallo Stato riguardo le questioni d’ordine pubblico e, in particolare, in relazione alla lotta armata, aveva assunto le vesti dell’“indifferenza totale”222. A partire dal 1970 e fino al 1982 la minaccia della guerriglia venne sottostimata dal potere politico, tanto che l’attenzione si concentrò sulla difesa verso l’esterno, in relazione ad una disputa territoriale con il Venezuela. 217 Ibidem, pag. 124. Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 98. 219 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 220 Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà, 2000. 221 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001. 222 Ibidem, pag. 154. 218 86 L’Estatuto de Seguridad fu difatti una misura ideata e realizzata dalle Forze Armate più che da quelle politiche. Con esso venne ufficialmente proclamata la supremazia della legge d’emergenza rispetto a quella ordinaria. Il momento non era certo casuale: il paese stava vivendo il massimo momento di espansione della guerriglia di origine urbana. Le sue dimensioni erano comunque marginali rispetto alla guerriglia rurale, ma la sua visibilità venne estremamente amplificata grazie all’M19.223 Con l’Estatuto de Seguridad si crearono nuove figure penali, aumentarono le sanzioni per i delitti, venne permesso il giudizio dei civili ad opera dei militari, vennero ratificate le facoltà straordinarie riconosciute alle autorità locali (sindaci e polizia regionale), si stabilirono meccanismi di censura per le radio e le televisioni, venne negata la possibilità di ricorrere in seconda istanza per le sentenze emesse dai comandanti dell’Esercito, della Marina e della Forza Aerea.224 Inoltre, “anche se nello statuto la ribellione mantenne il suo carattere politico, vennero introdotte tutta una serie di figure criminali, come l’associazione a delinquere, per non riconoscere la connessione di questi crimini con l’origine politica della ribellione e ridurre le manifestazioni di quest’ultima a questioni di reato comune.”225 “In un contesto in cui la società era scossa dal dilagare del narcotraffico e dal momento di massima espansione del movimento guerrigliero, nella sua componente urbana e rurale, gli effetti della repressione ricaddero soprattutto sui movimenti sociali e politici, studenteschi e sindacali”226, a danno dei settori più emarginati dei quartieri delle grandi città, ma anche del grosso della classe media urbana che fino ad allora era rimasta lontana dalla guerriglia. A detta di Leal Francisco Buitrago, questo fu “uno degli esempi più eclatanti a conferma dell’assimilazione colombiana della dottrina sudamericana di sicurezza nazionale.”227 223 Questo gruppo guerrigliero si era distinto fin dalla sua nascita per la spettacolarità delle sue azioni, volte a mettere in ridicolo l’esercito. Basti pensare a quanto accadde nel gennaio del 1974, anno della fondazione del gruppo. Uno dei suoi membri s’impossessò della spada di Simon Bolivar, nientemeno che l’eroe della lotta per l’indipendenza colombiana, custodita nel Museo della Quinta, nel cuore del quartiere residenziale coloniale di Bogotà, a due passi dal palazzo presidenziale. Nei giorni festivi a cavallo del Capodanno del 1979 invece, alcuni uomini dell’organizzazione clandestina riuscirono a svuotare completamente uno degli arsenali militari principali del paese, quello del Cánton Norte. Dopo quell’episodio, tra esercito e M19 fu guerra aperta. 224 Reyes Alejandro, Guillermo Hoyos e Jaime Herredia, Estatuto de Seguridad. Serie Controversia, N. 70-71, Bogotà, Cinep, 1978. 225 Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà, 2000, pag. 220. 226 Ibidem. 227 Leal Buitrago Francisco, El oficio de la guerra. La seguridad nacional en Colombia. Bogotà, Tercer Mundo Editores, 1994, pag. 104. 87 In quegli anni molte furono le violazioni dei diritti umani e le torture realizzate a danno dei detenuti da parte di alcuni settori delle Forze Armate. Secondo il rapporto di Amnesty International del 1980, in quell’anno vennero perpetrati almeno 6.000 casi di tortura. 228 Di fronte alle denuncie, la versione dei militari sotto processo era sempre la stessa: ossia, “che nessun membro del corpo si era mai permesso di perseguire qualcuno a causa delle sue idee politiche o filosofiche”; allo stesso tempo, “che tutti suoi membri avevano dispiegato tutto il loro potere e loro mezzi, e avrebbero continuato a farlo, contro chi ricorreva a metodi illegali per sovvertire l’ordine istituzionale”.229 Il popolo doveva comprendere che il nemico non era definito, né manifesto, bensì latente e in azione, capace di infiltrarsi in tutte le istituzioni, dalla famiglia ai gruppi economici. Il comandante dell’Esercito, il generale Landazàbal, riteneva inoltre che anche il sistema educativo poteva essere un mezzo di sovversione.230 Difatti, molte delle vittime degli arresti e delle torture perpetrate dall’esercito furono insegnanti delle scuole medie, superiori e professori universitari. Come ci fa notare l’economista e storico Hector Mondragòn, gli insegnati sono stati i bersagli più facili delle Forze Armate perché, a causa della funzione pubblica da loro svolta, gli orari e i luoghi in cui esercitano la loro professione sono informazioni di dominio pubblico. Mondragòn è stato professore universitario nella città petrolifera di Barrancabermeja. Nel 1977, anno in cui venne organizzato lo sciopero nazionale generale che registrò il maggior numero di aderenti in tutta la storia contemporanea della Colombia, venne eletto come rappresentante di un movimento civico di Barrancabermeja. Immediatamente dopo la fine della mobilitazione, “ingenuamente”, come egli stesso ha affermato231, tornò nel suo luogo di lavoro, l’Università. Qualche minuto dopo l’inizio della sua lezione venne portato via dalle Forze Armate. Durante i giorni in cui fu tenuto prigioniero, venne torturato al punto che, quando i militari decisero di lasciarlo libero, non era in grado di andarsene con le proprie forze: di fatto non gli era possibile muovere nessuno dei suoi arti. Fu riportato a casa dai suoi familiari. A causa dell’utilizzo da parte dei torturatori di forti scosse elettriche, a tutt’oggi gli è impossibile avere piena mobilità del suo corpo, soprattutto per quanto riguarda le dita delle mani, e la sensibilità della sua pelle è rimasta per sempre danneggiata. 228 Numerose furono anche le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale commessi dai gruppi guerriglieri, come il sequestro di persona, gli attacchi contro la popolazione civile, gli assassini mirati di membri della classe dirigente. 229 Revistas de las Fuerzas Armadas, N. 94, gennaio-marzo 1980 230 El Espectador, Bogotà, 19 gennaio, 1982. 231 In relazione alla ricostruzione delle violazioni perpetrate a danno di Hector Mondragòn, si fa riferimento a quanto raccontatomi durante una conversazione informale avvenuta nell’aprile di quest’anno. 88 Quel che è peggio è che a tutt’oggi gli è negata la possibilità di esercitare liberamente la propria professione: il rischio di morte sarebbe troppo elevato. Continua coraggiosamente a tenere conferenze in diverse città del paese a condizione che non venga fatta alcuna pubblicità sulla sua presenza agli eventi pubblici a cui partecipa. Inoltre, è invitato in numerose conferenze e convegni in diversi paesi europei, non solo per testimoniare quanto gli è accaduto, ma per esporre le sue lucidissime e precise analisi circa la situazione attuale colombiana e le sue origini storiche. In questa fase, per quanto concerne invece la guerriglia rurale, essa non rientrò nelle preoccupazioni né governative, né militari. Tutti gli sforzi si concentrarono nel combattere quello che appariva il problema più visibile: la guerriglia urbana. Il risultato di questa impostazione fu l’arresto di buona parte dei capi dell’M19, ma dal punto di vista politico, l’offensiva messa in atto fallì clamorosamente. L’utilizzo della tortura e della repressione indiscriminata da parte delle Forze Armate accompagnate dal beneplacito delle elite politiche ed economiche che accettarono come necessarie l’applicazione di queste azioni, non fece altro che favorire le possibilità di reclutamento della guerriglia.232 Quest’ultima rafforzò la sua immagine a livello nazionale ed internazionale come unico strumento contro le restrizioni delle libertà democratiche e contro l’oppressione. Fu necessario attendere l’inizio della decade successiva e l’elezione del primo presidente conservatore dalla fine del Fronte Nazionale, Belisario Betancur (1982-86), affinché le questioni d’ordine pubblico tornassero ad essere affrontate in primo luogo dalla classe politica anziché dalle Forze Armate. Per Betancur, la guerriglia non aveva solo un carattere politico, ma anche “cause oggettive”.233 Il progetto politico di Betancur era ispirato da una politica di pace in cui la messa in atto di una serie di riforme sociali ed economiche costituiva la necessaria premessa delle negoziazioni tra il governo e la guerriglia. Fu così che, per la prima volta, il governo riconobbe nei guerriglieri dei soggetti politici con i quali interloquire. Venne così varato il Plan de Rehabilitaciòn (PNR), che prevedeva una serie di investimenti governativi a favore delle zone più colpite dal conflitto. Queste misure economiche furono accompagnate da importanti misure politiche, quali: - la concessione di un’amnistia, che portò alla scarcerazione di 700 combattenti; 232 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001. 233 Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 139. 89 - l’istituzione di una Commissione di Pace nella quale vennero incluse tutte le forze politiche, comprese quelle di opposizione, tra cui i rappresentanti del Partito Comunista, praticamente illegale; - l’avvio di una riforma costituzionale per l’introduzione dell’elezione popolare dei sindaci.234 Il successo della politica di Betancur si concretizzò con la firma di due tregue bilaterali del 1983. La prima, con l’M19 e l’EPL i cui uomini rientrarono nella legalità. Fu allora che, per volontà degli uomini dell’M19, venne aperto il dibattito circa la necessità di istituire un’assemblea costituente per la redazione di un nuovo testo fondante. La seconda tregua venne raggiunta con le FARC. I militanti del gruppo guerrigliero più grande del paese, per numero di aderenti e per dimensione delle zone controllate, accettarono una tregua incondizionata e diedero vita all’Union Patriotica (UP), una formazione partitica che avrebbe dovuto favorire il transito dei guerriglieri, dalla lotta armata alla vita politica. Il fallimento del processo di pace dipese dall’isolamento in cui Betancur venne relegato dalla classe politica, dalle corporazioni economiche e dalle Forze Armate.235 Di conseguenza, i contatti con i gruppi guerriglieri furono condotti da delegazioni prive di una reale capacità di negoziazione, a causa della mancanza dell’elaborazione di un chiaro piano politico di riferimento. Ancora una volta, alla base del fallimento governativo stava l’incapacità di riunire le volontà dei due partiti tradizionali su temi chiave quali: a) la riforma agraria; b) l’intervento statale necessario ad assicurare l’incolumità delle forze di opposizione, attraverso una definizione chiara del ruolo dell’esercito nel processo di pace236; c) il rafforzamento del potere centrale nei confronti dei poteri locali; d) la necessaria limitazione della mentalità guerriera predominante nelle Forze Armate. Inoltre, anche tra gli alleati più stretti di Betancur vi erano alcuni elementi impregnati di una visione troppo semplicistica della situazione, che considerava l’amnistia e i piccoli spazi aperti sul piano politico, come misure sufficienti a risolvere una serie di problematiche che il radicamento della guerriglia nel tessuto sociale faceva percepire come 234 Villaraga Álvaro, presidente del Consiglio Nazionale di Pace della Fondazione Colombiana Democratica per la Pace. Intervento alla tavola “Smobilitazione, disarmo e reinserimento: passato, presente, futuro” durante il seminario “La Cooperazione Internazionale in Colombia: Pace e Diritti Umani?”, tenutosi tra il 14e il 16 aprile 2005 a Barcellona. 235 Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993. 236 Solo tra il 1981 e il 1986 le bande paramilitari di destra furono responsabili di 3536 esecuzioni, 2028 casi di tortura e 645 casi denunciati di desaparecidos, secondo quanto ripartato da Giovanni Casetta in Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti; Firenze, 1991, pag. 101. 90 questioni molto più complesse. Parte delle responsabilità del fallimento del processo di pace vanno d’altra parte sicuramente ricondotte ai gruppi armati. “L’incapacità della guerriglia di comprendere la portata dei cambiamenti in atto, in proporzione alla sua debolezza e frammentazione, unita alla sopravvalutazione delle proprie capacità e il conseguente riavvio delle proprie attività di guerra, ebbero un peso enorme nel fallimento delle negoziazioni.”237 Le Forze Armate mostrarono fin dall’inizio una forte ostilità verso il progetto politico di Betancur: ancora oggi la maggior parte di loro considera l’amnistia concessa da questo governo e i suoi tentativi di negoziazione coi capi della guerriglia quali cause principali del suo consolidamento in tutto il territorio nazionale. La distanza tra autorità civili e militari divenne evidente nel 1985, l’anno dell’assalto da parte di alcuni membri dell’M19 al Palazzo di Giustizia di Bogotà. A partire da allora la guerra sucia contro i guerriglieri che avevano accolto l’invito del governo e avevano abbandonato le armi, assunse dimensioni incontrollabili mentre le Forze Armate cominciarono a fare proselitismo politico vero e proprio. 238 Nel 1985, per denunciare l’inadempienza degli accordi di pace e i passi indietro fatti da Betancur nella lotta al paramilitarismo, 33 militanti dell’M19 assaltarono il Palazzo di Giustizia di Bogotá e per ventotto ore tennero in ostaggio più di mille persone, tra cui 15 giudici della Corte Suprema. L’obbiettivo dei guerriglieri era quello di celebrare un pubblico processo al governo Betancur. A “trattare” con i militanti furono immediatamente inviati 2000 effettivi dell’esercito colombiano che, dopo aver sfondato il portone principale con un carro armato, cominciarono a rioccupare il palazzo a suon di fucilate. Il bilancio fu drammatico: 43 morti tra gli ostaggi (tra cui 12 giudici), 12 tra le forze armate e 33 guerriglieri, mentre vennero fatti sparire 13 superstiti. Nei mesi successivi, le indagini del procuratore generale, Alfonso Gómez, condussero alle accuse del comandante della XIII brigata, alla guida dell’operazione per la riconquista del Palazzo di Giustizia, “di aver omesso ogni azione tesa a salvare la vita e l’integrità degli ostaggi”.239 La mobilitazione dei vertici militari e delle elite politiche ed economiche a difesa dell’accusato fu immediata. Dopo le costrette dimissioni, l’amara conclusione di Gómez, a dispetto delle precedenti dichiarazioni di Betancur, fu la seguente: “ In Colombia ci sono due costituzioni, una in edizione economica che si trova nelle librerie o dai 237 Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 141. Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001. 239 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 82. 238 91 giornalai, ad uso della maggioranza della popolazione, e l’altra assimilata silenziosamente dal corpo della società e dello Stato, ad uso delle forze armate.”240 Un nuovo cambio sopraggiunse con l’elezione del liberale Virgilio Barco (1986-1890). Nonostante l’amministrazione Barco avesse riconosciuto le cause oggettive del conflitto armato, essa non condivideva il ruolo di primo piano che era stato riconosciuto ai guerriglieri durante il precedente governo per la messa in atto del processo di pace. Secondo gli uomini di Barco, quello di cui aveva bisogno il paese erano soluzioni più tecniche. Bisognava cioè rafforzare il Plan de Rehabilitaciòn Nacional, per accrescere la presenza dello stato nelle zone dove la guerriglia era particolarmente forte, limitando l’appoggio che essa aveva tra la popolazione civile. Le negoziazioni con le FARC, aperte dalla precedente amministrazione, passarono in secondo piano La questione centrale divenne il disarmo dei guerriglieri, senza che esso si vincolasse alle trasformazioni economiche e politiche rivendicate dai guerriglieri. Pertanto, nonostante i meriti indiscussi del PNR, una tale strategia di pace che non soddisfaceva la sua condizione fondamentale, ossia il riconoscimento dell’avversario, si dimostrò evidentemente insufficiente. “Senza negoziazioni e in una situazione di guerra, il movimento guerrigliero si rafforzò e la via militare tornò ad imporsi”.241 Basti pensare che “nel 1986, dopo venticinque anni di vita della riforma agraria del 1966, erano stati distribuiti solo 900.000 ettari di terra, a beneficio appena del 4% degli aventi diritto.”242 Questo dimostrava che, in materia agraria, i governi successivi al Fronte Nazionale erano rimasti fedeli alla strategia politica che concentrava gli investimenti nelle arre più ricche del paese, a vantaggio dell’agricoltura commerciale. Lo slogan adottato dalla classe politica divenne quello di “mano tesa e braccio fermo”, mentre aumentava il numero degli effettivi dell’esercito. L’unico risultato positivo ottenuto dall’amministrazione Barco poco prima della fine del suo mandato riguardo al tema della lotta armata fu la smobilitazione dell’M19, oramai allo stremo dal punto di vista militare e politico: i suoi membri e simpatizzanti erano infatti stati il bersaglio principale delle Forze Armate sin dal governo di Turbay Ayala e ancor più dopo gli avvenimenti del Palazzo di Giustizia. Parallelamente, colpevoli di sequestri spettacolari (quali quello della sorella dei tre fratelli Ochoa, narcotrafficanti ai vertici del cartello di Medellìn, avvenuto nel 1981) i militanti dell’M19 vennero perseguitati con una ferocia e una determinazione mai viste da 240 El Palacio de Justicia y el derecho de gentes. Printer Editorial, Bogotà, 1986. Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 154. 242 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 101. 241 92 uno degli squadroni della morte più pericolosi del paese, quello guidato dal narcotrafficante Carlos Lehder, stretto alleato di Pablo Escobar. La risposta del movimento sindacale. Nel corso degli anni ‘70 la popolazione colombiana sperimentò una nuova forma di lotta, quella dello “sciopero civico”. Si trattava di una strategia d’azione che combinava arresti della produzione, blocchi stradali, marce collettive, proteste. Il 14 febbraio del 1977 venne proclamato uno sciopero generale indetto dal primo consiglio nazionale formato dai sindacati nazionali principali (l’UTC di stampo cattolico e la CTSC di stampo comunista) e una serie di sindacati minori indipendenti: il Consejo Nacional Sindical (CNS). La dura risposta governativa messa in atto dalle forze militari e di polizia alla mobilitazione popolare che era riuscita a bloccare i servizi pubblici e i sistemi di trasporto dell’intero paese, non fece altro che aumentare il sostegno della popolazione al CSN. Quello che prometteva di essere il primo passo verso la realizzazione di un unione dei lavoratori, così importante in un paese dilaniato dalle innumerevoli guerre e confrontazione civili, spaventava la classe al potere. Tra il 1977-1978 ci furono 50 scioperi civici, tra il 1982-83 altri 78 per un totale di 5 milioni di persone mobilitate.243 L’ondata di repressione messa in atto dal governo fu di tale intensità da diffondere il terrore tra la popolazione che aveva aderito alle diverse manifestazioni. Assassinii dei maggiori leader sindacali e comunitari, detenzioni, sparizioni, veri e propri massacri collettivi, fecero si che i successivi tre scioperi generali nazionali, organizzati tra il 1984-87, ottennero mobilitazioni solo parziali. Queste, ebbero comunque il merito di mantenere l’unità d’azione delle forze sindacali e delle altre forze di opposizione ai tradizionali partiti politici. L’unità era stata la risposta alle crisi interne ai quattro sindacati nazionali, legate alle trasformazioni economiche e statali in atto e alla presa di coscienza che solo attraverso l’unità dei lavoratori la società sarebbe stata in grado di trovare un’alternativa alla crisi e all’offensiva del capitale. Si giunse così alla costituzione nel 1986 della Central Unitaria de Trabajadores (CUT), ovvero la prima centrale “unitaria classista, democratica e progressista”244. Questa 243 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 244 Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogot, 2001, pag. 170. 93 confederazione, tutt’ora esistente, è nata come risposta difensiva davanti alla repressione governativa diretta contro l’azione sindacale e contro ogni tipo di opposizione allo status quo. Si tratta di un’organizzazione indipendente dallo Stato e dai partiti politici, i cui membri si riunirono per la prima volta nel novembre del 1986 per sottoscrivere: a) una dichiarazione di principi; b) una piattaforma di lotta (che mira al raggiungimento di 13 obbiettivi, a tutela della classe lavoratrice, urbana e rurale, dei diritti delle donne, della difesa ambientale); c) le modalità per eleggere il Comitato Esecutivo della Centrale. In alcuni dei documenti emessi nell’anno della sua formazione, si dichiarava che la CUT sarebbe ricorsa alla “mobilitazione come forma principale di lotta, incluso lo sciopero” e che avrebbe praticato “la più ampia unità d’azione con le organizzazioni popolari”.245 Oltre a fornire un’esaustiva analisi della situazione economica del paese, la CUT si propone anche di elaborare piani di sviluppo economici alternativi; tuttavia, poiché tenta di raggiungere compromessi tra forze sociali assai diverse, la sua forza propositiva presenta molte debolezze. Il suo maggior merito è quello di aver proposto una forma nuova di sindacalismo, in cui l’unità sindacale lascia il passo a quella dei lavoratori nel loro complesso. Pertanto, fermo restando che l’unità dei lavoratori è il principio base da cui partire, i membri della CUT credono nella necessità di procedere all’auto-organizzazione dei lavoratori nelle singole imprese, nei singoli rami industriali, aziende agricole, stabilimenti commerciali, etc. Inoltre, ferma è la sua opposizione alle imposizioni del FMI e al debito estero. La CUT rappresenta quindi uno spazio sociale e politico nuovo nella scena colombiana contemporanea, utile alla classe lavoratrice per lo sviluppo di una coscienza completa della crisi. I governi dei liberali Lòpez, Turbay e Barco, così come quello del conservatore Betancur, cercarono di ostacolare l’unità d’azione realizzata dalla CUT, continuando a distinguere tra un sindacalismo comunista e uno democratico. Intimoriti dagli effetti che l’unità delle forze avrebbe potuto provocare, questi governi preferirono rimanere ancorati alla vecchia strategia del divide et impera. Così, nei momenti di maggiore crisi, quando la mobilitazione popolare ottenuta dalle forze sindacali raggiunse dimensioni davvero ampie, i governi di entrambi i colori tentarono di raggiungere forme di contrattazione distinte, a seconda dei soggetti coinvolti. In quegli anni di fatti, anche in Colombia erano giunti gli echi della contrattazione, che rimase però relegata più al campo della teoria che a quello 245 Ibidem, pag. 171. 94 della prassi politica: “escluse le trattative per il salario minimo, non è mai esistita in Colombia, nessun tipo di contrattazione in materia economica, lavorativa, sociale.”246 L’onnipresente rifiuto delle forze governative di trattare in materia economica con le forze popolari e la persecuzione attuata verso suoi leader, non produssero altro che l’ulteriore allargamento della disaffezione all’attività politico-legale. Parallelamente cresceva la fiducia nell’efficacia della lotta armata grazie anche a quanto accadeva in quei decenni nella vicina Nicaragua e in altri paesi del Sud America. La Rivoluzione Sandinista del 1979 aveva dimostrato che l’azione delle forze guerrigliere, ampiamente sostenute dalle forze popolari, era in grado di far cadere una dittatura militare quale quella del generale Somoza. La guerriglia era diventata particolarmente rumorosa anche nei territori del Guatemala e del Salvador, mentre in Brasile e Argentina aumentavano le mobilitazioni di massa.247 In tutto il continente latinoamericano diminuiva il numero di coloro che credevano possibile canalizzare la mobilitazione di massa in atto in forme d’azione legali e pacifiche e, con la stessa velocità, i diversi gruppi guerriglieri rinsaldavano il loro radicamento nel tessuto sociale. La diffusione e il rafforzamento della guerriglia. Secondo Palacios e Safford248, quella che inizia nei primi anni ’60 e che termina con la caduta dell’Unione Sovietica è la terza delle quattro fasi in cui si articola la violencia in Colombia. Questo, è il trentennio del conflitto armato propriamente detto, in cui “l’azione dei diversi gruppi guerriglieri aveva come obbiettivo comune la trasformazione rivoluzionaria dell’ordine sociale e di quello statale che lo proteggeva”,249 attraverso le sue forze militari e paramilitari. In generale, gli obbiettivi politici di questi gruppi riguardavano riforme radicali che investivano il piano economico (riforma agraria), quello politico (maggior apertura degli spazi di partecipazione) e quello militare (minor ruolo dell’esercito nelle questioni d’ordine interno). A partire dalla fine degli anni ‘70 e soprattutto nella decade successiva, in risposta alla militarizzazione delle istituzioni statali e all’aggravarsi delle condizioni di vita delle classi 246 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004. 247 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 248 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 95 subalterne per la concentrazione crescente delle ricchezze nazionali nelle mani di pochi, l’attività della guerriglia crebbe considerevolmente. Dopo un lungo periodo in cui la presenza dei gruppi guerriglieri si era limitata a zone rurali di frontiera, questi gruppi raggiunsero anche il mondo urbano, nonostante la loro base sociale e politica continuò ad essere fondamentalmente legata al mondo rurale. Nel corso degli anni ’80 queste formazioni rivoluzionarie acquisirono delle dinamiche di crescita estremamente rapide, raggiungendo delle dimensioni territoriali significative. Ciò fu possibile grazie alla capacità di adattamento dimostrata dai gruppi guerriglieri colombiani rispetto ai grandi cambiamenti strutturali che modificarono profondamente l’economia del paese. Dopo essere stata per secoli centrata sulla produzione agricola di caffè, l’economia nazionale si é difatti trasformata in brevissimo tempo in un’economia prevalentemente mineraria, che ricava la maggior parte dei suoi profitti dall’estrazione del petrolio, del carbone e dell’oro. L’abilità dei gruppi insurrezionali è stata quella di aver saputo sviluppare una serie di dinamiche complesse che da allora legano l’economia guerrigliera a quella nazionale. “Le principali attività produttrici ricchezze per la nazione equivalgono, e ciò non è casuale, alle attività che producono la maggior parte delle entrate della guerriglia”250: petrolio e carbone tra le attività legali; cocaina, per quanto riguardo quelle illegali, a cui, negli anni ’90, si aggiunge l’eroina. Questo, ha permesso inoltre alla guerriglia colombiana di mantenere un elevato grado di autonomia in relazione agli aiuti esterni, tra l’altro da sempre molto esigui. Secondo Naylor, “l’economia di un gruppo insurrezionale è determinata, da un lato, dal tipo di relazioni che esso riesce ad istaurare con il territorio e la sua popolazione, dall’altro dalla capacità di controllo dello Stato su quelle aree”.251 In base a questa considerazione egli ha stilato tre casistiche. _ Quando la guerriglia è presente in un territorio limitato e i suoi legami con la popolazione locale sono deboli, le sue attività economiche sono essenzialmente “predatorie”252 (ad esempio, l’estorsione, gli assalti alle banche, i sequestri occasionali). Data l’elevata capacità di coercizione dello Stato in queste aree, i gruppi rivoluzionari cercano di ottenere il massimo del guadagno con il minimo dell’esposizione possibile. 249 Ibidem, pag. 354. Rangel Suarez Alfredo, Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001, pag. 369. 251 Naylor R.T, The insurgent economy: black market operations of guerrilla organizations. Nella rivista Crime, law and social change, n. 20, Kluwer Academic Publishers, 1993, pag. 14. 252 Ibidem. 250 96 _ Quando le azioni di guerriglia cominciano a raggiungere l’ambito regionale e dipartimentale, le loro attività economiche diventano “parassitarie”253: con esse i guerriglieri cercano di integrarsi a lungo termine nel tessuto sociale. Un esempio è l’estorsione in cambio della protezione. _ La fase più avanzata è raggiunta quando la guerriglia ottiene un appoggio incondizionato dalla popolazione delle aree da essa occupate, in cui la capacità di controllo dello Stato è così bassa che le attività economiche illegali della guerriglia entrano in “simbiosi”254 con quelle dell’economia formale. Per Alfredo Ranger Suarez, “il prolungamento del fenomeno insurrezionale - circa quarant’anni – e il suo rapido processo di crescita negli ultimi quindici anni sono conseguenza dell’esistenza contemporanea delle diverse forme di economia guerrigliera […] nelle diverse aeree del paese, a seconda che la sua presenza sia recente o prolungata”.255 Se nel mondo urbano l’esiguo appoggio della popolazione non gli ha mai permesso niente più che delle azioni predatorie, nelle aree in cui essa ha ottenuto l’appoggio della popolazione locale si è trasformata in parassita dell’economia regionale, soprattutto in quelle zone attraversate da rapidi sviluppi in seguito alla scoperta di materie prime minerarie di grande importanza economica. Solitamente, queste erano zone di frontiera nelle quali la scarsa presenza istituzionale non permetteva il rispetto dei diritti, né il compimento dei contratti.256 Infine, nei territori in cui l’arrivo delle forze rivoluzionarie ha addirittura preceduto lo Stato, i guerriglieri hanno avuto modo di stabilire un’economia propria. Per Vincent Gousset , “parte del successo, dell’arricchimento e della lunga durata della guerriglia colombiana si spiegano per il fatto che essa è riuscita a costruire dei territori, come spazi finiti, delimitati politicamente ed amministrativamente.257 In queste aree ha saputo esercitare il monopolio della forza, amministrare la giustizia, stimolare l’economia contadina: qui, la sua presenza, in contrasto con quella dello Stato, ha saputo mostrarsi come garante degli interessi della popolazione locale, in particolare dei settori più deboli ed emarginati. 253 Ibidem. Ibidem. 255 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001, pag. 386. 256 Montenegro Armando e Posada Carlos, Criminalidad en Colombia. Banco de la Repubblica, Borradores Settimanale di Economia n. 4, Bogotà, 1994. 257 Gouësset Vincent, “El territorio colombiano y sus márgenes. La difícil tarea de la construcción territorial”. Nella rivista Territorios, n. 1, Cider , Universidad de los Andes, agosto 1998, pag. 79. 254 97 Nel 1988 si costituì la Coordinadora Guerrillera Simon Bolivar, che aspirava a diventare nel tempo una forza di coordinazione tra i guerriglieri appartenenti alle FARC, all’ELN e all’EPL, sulla base della loro comune adesione alla matrice ideologica bolivariana. Fino a quel momento Simon Bolivar, il Libertador, eroe della guerra d’indipendenza colombiana, era stato rivendicato come eroe nazionale dagli ambienti della destra conservatrice, in quanto espressione dei valori di autorità ed ordine. Inoltre, la vicinanza iniziale del Partito Comunista con le forze liberali aveva promosso, negli ambienti più a sinistra del paese, la contrapposizione dell’eroe Bolivar (a favore di un potere forte e centralizzato) con quella di un'altra personalità storica: Santander (sostenitore di un potere decentralizzato). Infine, la sottovalutazione del pensiero bolivariano viene in parte attribuita alla critica che Marx rivolse all’indipendenza ottenuta dai paesi ispanici, riconoscendo in essa lo strumento attraverso cui si è realizzata l’espansione del capitalismo britannico.258 A 150 dalla sua morte, venne proposta un’immagine “più completa” del Libertador. Sulla base di questi studi nuovi, emersero gli elementi che vennero riscattati dagli aderenti alla Coordinadora Guerrillera Simon Bolivar. In primo luogo, essi condividono la concezione dell’esercito di Bolivar: le forze armate devono essere super partes rispetto ai partiti politici e la loro azione deve essere diretta al conseguimento degli interessi della patria. In secondo luogo, considerano incompiuto il progetto dell’eroe colombiano. Questo progetto si avvaleva di propositi politici che, attraverso la lotta anticolonialista, miravano all’instaurazione di un regime rivoluzionario basato su profondi cambiamenti democratici. Tali cambiamenti non sono mai stati messi in atto nella storia della Repubblica di Colombia, a causa degli interessi dei settori meno dinamici della società: i latifondisti. Da qui, il compito di questa organizzazione di dare continuità ai propositi politici del Libertador.259 Di fatto, la Coordinadora Guerrillera Simon Bolivar non realizzò mai un’effettiva opera di coordinamento tra i diversi gruppi guerriglieri, limitandosi a fornire alcuni elementi ideologici vagamente condivisi, incapaci di eliminare differenze fortemente radicate. 258 Patiño Otty, Las verdaderas intenciones de las FARC, Corporaciòn Observatorio de PazIntermedio Editores, Bogotà, 1999. 259 Ferro Guillermo e Graciela Uribe, El orden de la guerra. Centro Editorial Javeriano, Bogotà, 2002. 98 In quegli anni non solo si rafforzarono le formazioni già esistenti e aumentarono i canali di contatto tra loro, ma nacquero nuovi gruppi armati minori, tra cui quello del Quintìn Lame. Questa organizzazione nacque per difendere quella che era, da oramai 500 anni, la minoranza meno protetta dalla forza del diritto e la più castigata dalla forza delle armi: le comunità indigene. La violenza perpetrata a danno degli indios non proveniva solo dall’esercito. Negli ultimi anni, di fatto aveva preso piede una nuova consuetudine: quella che vedeva i proprietari terrieri collaborare nientemeno che con alcuni membri delle FARC. Questi, accettavano delle ricompense in denaro dai grandi latifondisti e in cambio s’impegnavano ad utilizzare la loro forza per costringere alla fuga le popolazioni indigene che si erano organizzate per la difesa delle loro terre.260 Le relazioni con i membri dell’M19 erano invece cordiali, al punto che furono i membri di questa organizzazione armata di origine urbana ad addestrare militarmente i componenti del Quintìn Lame.261 Con le ingenti ricchezze legate alla nuova economia legale (petrolio e carbone) e illegale (cocaina) il controllo territoriale diventava sempre più vitale e importante per poter affermarsi come soggetti politici ed economici. Nuove alleanze e nuovi conflitti nascevano attorno a quello che rimaneva l’oggetto principale conteso in tutte le guerre che il paese aveva vissuto fin dai tempi dell’indipendenza: il controllo territoriale. Il controllo territoriale e la crescita del fenomeno paramilitare. Fu così che la violenza nelle campagne continuò a seminare le sue vittime. Come nella Violencia degli anni ’50, il maggior tasso di conflittualità veniva registrato nelle “regioni in procinto di essere inserite nell’economia nazionale, come l’Urabá, il Magdalena Medio, il Caquetá, il Guaviare, l’Amazzonia, etc.”262 La correlazione tra espansione del latifondo e diffusione della guerriglia era diretta. Man mano che proseguiva la crescita dei latifondi e parte della manodopera in eccesso emigrava verso nuove terre da colonizzare, nelle nuove comunità fondate dagli sfollati prive di forti legami di coesione sociale, cresceva sia il numero di contadini dediti alle coltivazioni illecite, sia il loro sostegno alla guerriglia. 260 Palechor Libio, Rappresentante del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca. Intervento alla conferenza organizzata dalla Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia, Barcellona, 14-16 aprile 2005. 261 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 262 Orejuela J.L., Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. In Narcotraffico en Colombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá, 1991, pag. 212. 99 Contemporaneamente, aumentando il valore degli interessi legati al narcotraffico e il conseguente numero di sicari reclutati per la difesa delle coltivazioni della foglia di coca e delle sue raffinerie, cresceva la conflittualità tra guerriglieri e narcotrafficanti affiancati, questi ultimi, dai paramilitari. Guerriglia, paras e narcos erano le nuove componenti della stessa guerra che continuava a spargere sangue nelle campagne sin dai tempi dello scoppio della Violencia e che aveva come comune denominatore il controllo territoriale. Mentre i narcos erano espressione di un potere economico e sociale emergente, la guerriglia e i paras erano attori presenti nel conflitto colombiano da almeno tre decadi. Allo stesso tempo, le trasformazioni avvenute in seno alla società colombiana avevano determinato profondi cambiamenti all’interno di queste due organizzazioni armate. Difatti, lo sviluppo del narcotraffico ebbe importanti effetti non solo sulla guerriglia, ma anche sulle forze paramilitari. Questi eserciti privati reclutati dai latifondisti a difesa della grande proprietà fin dai tempi della Violencia degli anni ’50, cominciarono a ricevere ingenti finanziamenti provenienti da coloro che si stavano arricchendo col narcotraffico. A causa della natura del conflitto, per lo più clandestino, è assai difficile fornire un bilancio complessivo riguardo gli omicidi avvenuti in quegli anni. Solo tra il 1988 e il 1989 le morti furono 12.000, tra cui 5.200 ufficialmente riconosciute di matrice politica.263 Ancora una volta la popolazione contadina costituiva la vittima principale delle violenze e dei massacri, per fuggire ai quali era costretta ad abbandonare la propria terra. Mentre lo spostamento forzato della popolazione rurale continuava ininterrotto da oramai quarant’anni, la frequenza e le dimensioni dei massacri raggiunsero livelli tali che l’intera classe politica cominciò a temere i pericoli derivanti da una simile situazione. La politica riformatrice di Betancur tentò di affrontare il problema affidando alla Procura Generale il compito di avviare le prime indagini di governo sul fenomeno del paramilitarismo. In particolare, l’attenzione si concentrò su una delle sue organizzazioni più grandi e pericolose di quegli anni, il così detto Muerte a Secuestradores (MAS).264 Questa organizzazione di giustizia privata, fondata nel 1981, aveva ottenuto donazioni generose dai capi del cartello di droga più potente della Colombia e del mondo, il cartello di Medellìn. Alla guida del MAS vi era, non a caso, uno dei capi del cartello: Carlos Lehder. Per il resto, l’organizzazione era formata da ex ufficiali dell’esercito e da 263 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale, Firenze, 1991, pag. 104. 264 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001. 100 proprietari di fattorie del Magdalena Medio, zona in cui gran parte delle terre era di proprietà dei narcos. 265 Difatti le persone che in questa regione avevano fatto fortuna con il traffico della droga avevano cominciato ad investire parte dei loro profitti nell’acquisto di terre, che molti proprietari del luogo erano stati ben felici di vendere ai nuovi acquirenti. Dato che la presenza della guerriglia in queste zone era cospicua, l’arrivo dei nuovi proprietari portò non pochi problemi agli abitanti del Magdalena Medio. I narcos infatti non si mostrarono disposti a pagare la cosiddetta “tassa rivoluzionaria”, né temevano gli attacchi della guerriglia perché disponevano a loro volta di armi sufficienti per rispondere al fuoco dei gruppi guerriglieri. Così, mentre gli interessi dei narcos si avvicinavano sempre più a quelli dei latifondisti e crescevano le collaborazioni tra i sicari della droga e i paras assoldati dai grandi latifondisti (a cui si affiancarono elementi deviati delle Forze Armate) sorsero numerosi gruppi rurali di autodifesa.266 Tra questi, il MAS rappresentava uno dei più forti e meglio organizzati. Bersaglio di questo squadrone della morte divennero ben presto non solo i membri della guerriglia ma anche i suoi simpatizzanti, uomini politici, avvocati e giornalisti scomodi. Le preoccupazioni riguardo l’aggravarsi del conflitto non riguardavano esclusivamente la società civile. Forti insoddisfazioni circa i mezzi adottati dal governo per la risoluzione del problema della guerriglia provenivano anche da parte di alcuni elementi delle Forze Armate. “Dato che, a partire dal 1970 i fronti della guerriglia si erano visibilmente moltiplicati nonostante le misure di sicurezza adottate, che l’Estatuto de Seguridad veniva utilizzato per combattere l’opposizione legittima, e che il governo sottovalutava la portata del progetto politico delle FARC, il generale Josè Joaquìn Matanalla si ritirò dall’esercito, ritenendo che solo un movimento basato sull’adozione di misure socialiste avrebbe potuto porre fine alla violenza dilagante nel paese.”267 A distanza di qualche mese dall’avvio delle indagini il capo della Procura Generale, Carlos Jiménez Gomez, rese pubblico un documento con il quale si accusavano 163 persone di appartenere al MAS, tra cui 59 ufficiali e militari in servizio. Nel testo del procuratore generale si parlò, in modo molto esplicito, delle connivenze tra le forze militari e quelle paramilitari. Con le stesse parole di Jiménez, si trattava di “ufficiali che, cedendo alla 265 Richani Nazih, The paramilitary connection. In NACLA Report on the Americas, vol XXXIV, Settembre/Ottobre 2000. 266 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 267 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The Cambridge History of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 668. 101 tentazione di ottenere risultati” nella lotta contro il dilagare delle forze guerrigliere, “hanno utilizzato dei civili, inizialmente come guide o informatori poi come sicari, per far loro eseguire ufficiosamente delitti che non potevano essere eseguiti ufficialmente.”268 La reazione delle elite militari, politiche ed economiche fu immediata di fronte a queste dichiarazioni. I vertici militari fecero in modo che il caso degli indagati passasse sotto la loro giurisdizione. Ben presto il caso venne insabbiato e le accuse ai militari ed agli ufficiali si convertirono in altrettante promozioni e avanzamenti di carriera nelle forze armate. Il sostegno all’esercito provenne da tutti i settori dell’establishment: a partire dalle associazioni degli industriali, degli agrari e dei commercianti, fino ad arrivare ai vertici politici, Betancur incluso. Betancur aveva perso già da tempo il sostegno della maggioranza delle corporazioni economiche e di una grossa fetta della classe politica, secondo cui l’ordine pubblico era materia esclusivamente militare.269 L’appoggio alle accuse della Procura Generale avrebbe messo fortemente in pericolo la sua posizione di fronte all’esercito. Pertanto, si affrettò a dichiarare che “le forze armate non utilizzano forze paramilitari, né ne hanno bisogno. La loro disciplina militare impedisce loro di ricorrere a metodi contrari alla Costituzione, della quale sono i migliori guardiani.” 270 “La maggioranza delle vittime non sono guerriglieri, ma uomini pacifici, donne e bambini che non hanno mai imbracciato un’arma contro le istituzioni”271. Queste furono le parole utilizzate in un’udienza parlamentare quattro anni dopo dal presidente Barco (era il 1989) in riferimento ai massacri attuati nelle campagne. Il presidente decise pertanto di affidarsi ai servizi segreti colombiani (DAS) per la lotta contro le forze paramilitari. I risultati delle indagini degli uomini del DAS misero alla luce l’esistenza di fosse comuni e di campi per l’addestramento dei paras. In realtà, le prime rivelazioni riguardo l’esistenza di questi campi furono rese pubbliche dalla stampa colombiana. Nel giugno del 1989, il settimanale “Semana” denunciò i “servizi di consulenza paramilitare”272 prestati ai narcos di Medellìn da alcuni ex ufficiali israeliani. In particolare, nella rivista si accusò il generale israeliano Yair Klein di gestire in prima persona numerosi campi di addestramento sparsi nelle campagne del Magdalena Medio per istruire i sicari assoldati da Pablo Escobar e di aver architettato un gigantesco traffico d’armi, che aveva la sua base logistica nell’isola caraibica di Antigua. La notizia fu 268 El Espectador del 20 febbraio 1983. Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil.Cinep, Bogotà, 1993. 270 El Espectador, 13 marzo 1985. 271 El Tiempo, 20 aprile 1989. 272 Posada Camilo Ayerbe, In Colombia una guerra impari tra armi e parole. Nella rivista Cooperazione, n. 102, gennaio 1991, Fratelli Palombi Editori, pag. 54. 269 102 resa nota dalla stampa internazionale solo a seguito del ritrovamento di una videocassetta contenete immagini degli addestramenti e, solo nel dicembre del 1990, dopo una lunga inchiesta il governo di Tel Aviv giudicò Klein e i suoi soci colpevoli di esportazione illecita d’armi. Dai rapporti dei servizi segreti colombiani emerse chiaramente il fatto che le connivenze tra narcos, paras ed elementi deviati delle Forze Armate andavano oltre i semplici casi isolati. A questo punto, l’establishment si adoperò per salvare il salvabile. “L’attenzione dei servizi segreti si concentrò sul tassello meno difendibile del composito fronte paramilitare, e cioè i narcos.”273 Contemporaneamente, dagli Stati Uniti giungevano pressioni sempre più forti sul presidente per l’attuazione di un’efficace campagna contro il narcotraffico. Fu così che in quell’anno ebbe inizio la “guerra alla droga”. Sviluppo e consolidamento dell’economia informale dominata dal narcotraffico L’ulteriore concentrazione dei capitali e il conseguente impoverimento degli strati medi avvenuto nel corso degli anni ’70, produsse una crescita notevole dell’economia informale. Già da decenni le classi popolari riversatesi nelle città avevano trovato in questo tipo di economia l’unica alternativa per sopravvivere. L’accoglimento dei nuovi poveri entro le braccia dell’economia sotterranea non fu il solo fattore ad intervenire per assicurare un ruolo di primaria importanza a questo tipo di economia. Le sue novità maggiori riguardarono la nascita e il rapido sviluppo di attività legate ai traffici illeciti della marijuana e della cocaina. La crescita del narcotraffico in Colombia, iniziata alla fine degli anni ‘70 e largamente proseguita nel corso della decade successiva, va in parte letta “come risposta delle classi medie e popolari colombiane alla crescente diminuzione di reddito e all’immobilismo del sistema politico.”274 Fino a metà del XX secolo in Colombia marijuana e coca erano due erbe coltivate su piccola scala e utilizzate da indigeni e contadini a scopi esclusivamente curativi. A partire dagli anni ’60, per soddisfare la domanda statunitense di marijuana, per la quale non bastava più la produzione messicana, in Colombia si diede avvio alla coltivazione intensiva della canapa indiana. Poche famiglie della costa dell’Urabà si assicurarono in breve tempo il controllo totale del trasporto della marijuana verso le coste della California, 273 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 86. Orejula J.L., Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en Colombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá, 1991, pag. 25. 274 103 dove la sua distribuzione proseguiva per mano di contrabbandieri statunitensi. La sua produzione cominciò a scendere verso la fine degli anni ’70 quando la California e la Giamaica entrarono nel mercato con varietà più pregiate.275 Mentre “gli Usa costrinsero il governo colombiano di Julio Cesar Turbay Ayala a dare avvio ad una campagna di distruzione delle coltivazioni di canapa, allo stesso tempo permisero che nel proprio territorio si sviluppasse una produzione tale da soddisfare una parte della domanda interna.“276 Fu così che nella decade successiva le piste aeree e la forza lavoro impiegata nel business della marijuana, vennero riutilizzate per la coltivazione della foglia di coca, la raffinazione della sua pasta base e l’esportazione del prodotto finito: il cloridrato di cocaina. Durante gli anni ‘70 il ciclo produttivo della cocaina non avveniva interamente in suolo colombiano. L’impasto di foglie di coca veniva difatti importato dalla Bolivia e dal Perù, paesi in cui cresceva una varietà d’erba più pregiata. Una volta passato il confine, gli enormi quantitativi di questo impasto finivano nei laboratori colombiani. La coltivazione intensiva della foglia di coca cominciò in Colombia solo un decennio più tardi, quando la produzione boliviana e peruviana della foglia divenne insufficiente rispetto alla domanda e i controlli aerei statunitensi lungo i confini con la Bolivia e il Perù cominciarono a costituire un rischio troppo elevato.277 La Colombia, invece, ha da sempre detenuto l’esclusiva sulla seconda fase di trasformazione della sostanza. In essa, l’impasto viene sottoposto a complessi procedimenti che permettono di ottenere la cocaina di base. Quest’ultima, viene infine immersa nell’etere (un alcool volatile che si trova facilmente nelle farmacie) e nell’acido cloridrico: si arriva così, al cloridrato di cocaina. In tutto, i precursori chimici utilizzati nelle due fasi di raffinazione sono cinquantadue, la cui maggior parte non è prodotta nel territorio nazionale. I contadini cocaleros che forniscono la materia prima (la foglia di coca) altro non sono che l’ultimo anello di questa lunga catena di produzione, che rese ricchi e potenti coloro che impiantarono un laboratorio o si occuparono dell’esportazione del prodotto finito. Basti pensare a qualche cifra: bisogna disporre di un quintale di foglie per ottenere 275 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 276 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 160. 277 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its implications for regional stability. Rand, USA, 2001. 104 un chilo di impasto, dal quale è possibile ricavare al massimo duecento grammi di cloridrato di cocaina.278 Dall’altra, alla fine degli anni ‘70 il costo di produzione di un chilo di cloridrato di cocaina era di 12 dollari; lo stesso quantitativo sulle strade di New York valeva invece 10.000 dollari.279 Ancora più alti divennero i profitti ricavati dal riciclaggio del denaro sporco. Inizialmente gli investimenti furono diretti all’acquisto di beni immobili negli Stati Uniti ma, quando le limitazioni legali cominciarono a rallentare questo tipo di transazioni, nacque una nuova figura di delinquente dal colletto bianco: fu allora che banchieri e finanzieri ottennero la loro fetta di guadagno, grazie ai profitti derivanti dalle speculazioni finanziarie. Per Palacios e Safford280, le peculiari condizioni create da una disuguale distribuzione delle ricchezze tra gli strati sociali e le aree geografiche del paese, l’assenza dello Stato in molte delle zone periferiche e l’incapacità dei due partiti tradizionali di fungere da mediatori tra gli interessi delle diverse classi sociali, crearono le condizioni necessarie affinché il narcotraffico desse vita ad un vero e proprio sistema economico e un potere territoriale parallelo a quello dello Stato. Tale sistema riuscì a permeare e coinvolgere l’intera società, a partire dai contadini cocaleros che, per sfuggire ai morsi della fame e alla precarietà di una vita fatta di stenti, accettarono in massa la conversione delle loro terre alla coltura di quest’erba molto resistente alle intemperie, capace di fornire fino a quattro raccolti l’anno e assai più proficua di altri prodotti tradizionali. Anche gli strati subalterni delle città garantirono la loro collaborazione.281 L’appoggio provenne innanzitutto dalle schiere di sicari reclutati per difendere gli interessi dei narcotrafficanti: uomini e ragazzini, scelti tra le macerie delle baraccopoli delle periferie delle grandi città colombiane, la cui fedeltà ai boss era garantita dalla voglia di fuggire dalla miseria e di riuscire ad essere finalmente “qualcuno da rispettare”. Inoltre, negli stessi quartieri di periferia venivano selezionate le cosiddette “mule”, gli addetti al trasporto di quantitativi minori di droga. Si tratta di abitanti delle bidonville, così poveri e disperati da accettare di ingerire fino a sessanta pacchettini (per lo più preservativi) riempiti di droga, in cambio della ricompensa pattuita. Oltre a correre il rischio derivante dalla possibile 278 Ibid. Montañana Antonio, Il ruolo della droga, in AA. VV., Colombiani: Storie da un paese sotto sequestro. Indice Internazionale, Roma, 2000. 280 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 279 105 corrosione degli ovuli ingeriti ad opera dei succhi gastrici, la “mula” attira facilmente l’attenzione dei doganieri. I motivi sono vari. In primo luogo, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di persone che parlano uno spagnolo nativo, tipico di chi non è mai uscito dai confini della propria bidonville, in possesso però di un passaporto nuovissimo. In secondo luogo, prima di imbarcarsi, molti di loro assumono pillole apposite per combattere la nausea provocata dagli ovuli ingeriti. Le controindicazioni di questi medicinali vanno dalla tachicardia, al colorito verdognolo a uno sguardo febbricitante. Queste vittime sacrificali non sono il risultato di errori o distrazioni commessi dai narcos. Al contrario, la loro presenza è funzionale a far sì che l’uomo elegantemente vestito al loro seguito non incorra in nessun disguido e riesca a passare la dogana con il vero carico di cocaina, tenuto nell’ impeccabile ventiquattro ore. La complicità di ampi settori della polizia, guardie di finanza e doganieri fu determinante. Senza la loro collaborazione sarebbe stato sicuramente molto più complicato, se non impossibile, esportare quantitativi di droga dalle dimensioni molto più consistenti ed ingombranti; così come altrettanto complicato sarebbe stato ripassare il confine colombiano con intere valigie piene di denaro in contante. A questo scopo, venivano infatti utilizzati non solo piccoli aerei e imbarcazioni private, ma anche voli nazionali e mezzi della marina mercantile.282 Inoltre, il sostegno delle forze militari e di polizia era funzionale a garantire l’impunità agli esecutori e ai mandanti degli orrendi massacri perpetrati ai danni della popolazione ad opera delle forze paramilitari, strette alleate di molti narcos. Nel 1987 la rivista “Semana” valutava che l’80% dei poliziotti di Medellìn fossero implicati nel narcotraffico a vari livelli.283 Gli uomini politici attirati dai facili guadagni provenienti dal racket della cocaina furono altrettanto numerosi, così come altrettanto elevate e prestigiose erano le cariche occupate da alcuni di loro. Il primo scandalo risale addirittura al 1969, anno in cui il console colombiano in Bolivia venne accusato di narcotraffico. Nel 1983 ben otto parlamentari vengono denunciati per legami intrattenuti con alcuni narcos. Due anni più tardi il parlamentare Carlos Nader Simons venne condannato a sei anni di carcere negli Stati Uniti per traffico di droga. Lo stesso anno due senatori vennero accusati di riciclaggio di denaro sporco. Nel 1986 toccò ad uno dei candidati alla presidenza del Partito Liberale, Eduardo 281 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellín. Biblioteca Universale Rizzoli. 282 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994. 283 Semana, n. 247, del 27 gennaio 1987. 106 Mestre Sarmento, ad essere accusato di aver fatto da prestanome nel 1981 al capo del cartello di Cali, allo scopo di garantirgli il controllo della Corporaciòn Financiera del Boyacà.284 Nemmeno gli ambienti ai vertici della Repubblica rimasero esclusi da questa ondata di arresti: il nipote di Mariano Ospina Perez venne arrestato a Miami dopo aver consegnato un milione e mezzo di dollari ad un riciclatore che più tardi si rivelò un agente della DEA; il nipote di Turbay Ayala rimase coinvolto in un’operazione antidroga a New York; il fratello di Belisario Betancur cadde in un’operazione della DEA in Florida.285 Infine, l’apparato giuridico del paese ha rappresentato e continua ad essere la chiave centrale dell’intera macchina. Il sistema legale colombiano, da sempre uno degli anelli più deboli delle istituzioni nazionali, è rimasto ai margini della vita di un paese in cui la legge è garantita più dalla forza delle armi che da una cultura democratica fondata sullo stato di diritto, ampiamente condivisa dall’intera società. Secondo l’analisi di Salomón Kalmanovitz Krauter286, le ragioni alla base della debolezza del sistema giuridico-legale colombiano sono di varia natura. In primo luogo, egli sostiene che l’origine cattolica e scolastica dell’impianto filosofico sottostante le istituzioni colombiane ha impedito lo sviluppo di un sistema di giustizia efficiente ed ugualitario. La visione cattolica del mondo, fortemente gerarchica e corporativa, non ha promosso lo sviluppo di un’ideologia basata sulla responsabilità individuale, impedendo così l’affermazione di principi meritocratici. Questa impostazione ha portato il sistema di giustizia colombiana a negare la possibilità della rieleggibilità dei funzionari pubblici, deresponsabilizzando la loro azione di fronte all’elettorato. In secondo luogo, la debolezza della Corona Spagnola e la conseguente decentralizzazione amministrativa, ha permesso l’affermazione della “tradizione della simulazione, in cui si compie l’apparenza ma si evita il contenuto.”287 L’inganno tra gli individui e nei confronti dell’autorità è un elemento presente nell’intera società colombiana, dai tempi del colonialismo ad oggi. In essa, quanto più l’uomo è opportunista, tanto più è considerato scaltro e astuto. Tutto questo ha ostacolato l’interiorizzazione delle norme. In terzo luogo, la mancanza di una tradizione parlamentare forte a vantaggio del potere esecutivo ha reso possibile la subordinazione della legge ordinaria alla legge dello stato d’assedio, dettato dalle diverse situazioni d’emergenza (di ordine pubblico, economico, giuridico, etc.). Secondo tale prospettiva la legge straordinaria concede diritti speciali ai diversi gruppi sociali, a seconda della forza 284 Ibidem. Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994. 286 Kalmanovitz Salomón, Las instituciones y el desarrollo económico en Colombia. Editorial Norma, Bogotà, 2001. 287 Ibidem, pag. 127. 285 107 con la quale vengono espresse le diverse rivendicazioni. Infine, il basso livello intellettuale diffuso nell’intero apparato giuridico si aggiunge ai forti legami intrattenuti da molti suoi membri con gruppi industriali- finanziari o addirittura illegali. Il risultato è stato un sistema legale poco coerente, confuso, basato su un sistema penale poco rigoroso verso il crimine, che si è tradotto in un’impunità generalizzata. L’impunità ha alimentato nel cittadino la convinzione che il crimine paga. In questo contesto, l’impossibilità di una terza via rispetto alla plata o al plomo (denaro o piombo), ha imposto la suddivisione dei giudici del paese tra corrotti ed eroi. A chi sostiene, secondo la teoria marxista, che la giustizia è sempre di classe, Kalmovitz risponde che “in Colombia esiste un sistema di giustizia che non serve né alla classe dominante, né a nessun altra classe. Per non incorrere nell’inefficienza e nella corruzione del sistema legale, gli imprenditori hanno sviluppato un sistema semi-giuridico, che è quello della conciliazione e dell’arbitraggio.”288 Secondo questa prassi, i conflitti in campo economico vengono risolti amichevolmente nelle camere di commercio piuttosto che in un’aula di tribunale. L’analisi di Kalmovitz è utile anche a spiegare come l’ammirazione e la stima verso i narcos fossero sentimenti largamente diffusi tra la popolazione, per la cui maggioranza, il traffico di cocaina altro non rappresentava che una delle forme più redditizie dell’arte dell’arrangiarsi. Infine, anche il risentimento nazionale nei confronti dei gringos ebbe la sua parte fungendo da lubrificante di questa immensa macchina.289 Il traffico di droga, oltre a beneficiare soprattutto famiglie che fino a quel momento non avevano fatto parte dell’establishment politico ed economico colombiano, si dimostrava in grado di privare i gringos di grossi capitali. La circolazione di quantitativi così elevati di dollari nell’economia informale aveva provocato una sopravvalutazione del peso tale che il valore del dollaro sul mercato nero era molto inferiore al tasso di cambio ufficiale. A livello macroeconomico, questa situazione contribuì a prolungare gli effetti postivi della bonanza del caffè, i cui prezzi sul mercato internazionale erano cominciati a scendere dalla fine degli anni ’70. Nel corso degli anni ‘80 fu la bonanza della cocaina a salvaguardare la stabilità della moneta colombiana dalle numerose svalutazioni che colpirono le altre monete sudamericane. Il tutto, aiutò la Colombia a saldare i pagamenti del debito estero e a comprare beni capitali che la sua 288 Ibidem, pag. 133. 108 economia tanto necessitava. Dall’altra però, fece sì che le sue manifatture perdessero competitività nel resto dell’America Latina.290 Di fronte a questa inaspettata distribuzione di nuovi redditi, le elite economiche non si limitarono certo a guardare. A partire dalla metà degli anni ’70 si assistette a diversi tentativi fatti da parte delle istituzioni statali e private per far confluire gli alti profitti dell’economia informale in quelli dell’economia legale. Una delle prime iniziative provenne dal Banco della Repubblica. Per otto anni, dal 1975 al 1983, all’interno di quest’istituzione bancaria fu possibile cambiare in pesos la valuta in dollari di dubbia provenienza grazie ad un apposito sportello, la cosiddetta ventanilla sinistra. Messe da parte le proposte di legalizzazione della produzione e della distribuzione della marijuana avanzate negli anni ‘70, una volta scoppiato il coca boom nella decade successiva, molti settori della società cominciarono a premere per la legalizzazione dei profitti legati al traffico di droga, piuttosto che insistere sulla meno lucrativa legalizzazione del prodotto. La concessione di un’amnistia di tipo economica era fortemente voluta anche da molti narcos, interessati a convertire il potere economico acquisito in corrispondente potere politico. Dopo anni in cui tali rivendicazioni erano state affidate al braccio armato dei narcos, ossia bande di sicari che a volte finivano per affiancarsi ad alcuni gruppi paramilitari, l’amnistia tributaria venne concessa dal presidente conservatore Betancur.291 I grandi laboratori di raffinazione della cocaina furono impiantati nelle aree meno accessibili del paese, come quelle amazzoniche. Fu qui, in particolare nelle foreste del dipartimento del Caquetà, che nel 1984 venne scoperto il primo grande complesso. Tranquilandia apparteneva agli uomini di quello che allora era il cartello marginale del paese: il cartello di Cali. La gestione delle attività di quella che la stampa del tempo definì la “cattedrale della cocaina” era possibile agli uomini di Gilberto Rodriguez Orejula, capo indiscusso del cartello, grazie al possesso di una vasta rete di farmacie e di numerosissime fabbriche di vernici. Queste attività garantivano di fatti un’ampia disponibilità di etere e dei restanti precursori chimici necessari alla raffinazione della droga. Fin dall’inizio i due cartelli, pur non essendo da subito acerrimi rivali, non erano accomunati da molte cose. Entrambi investivano nell’acquisto di beni immobili e di aziende agricole. Entrambi cominciarono da subito ad assoldare killer professionisti per 289 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994. Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993. 291 Orejula J.L., Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en Colombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá, 1991. 290 109 garantire il superamento di qualsiasi ostacolo per il trasporto e la consegna della merce. Entrambi divennero tra i maggiori finanziatori delle compagnie di sicurezza privata, dirette da ex ufficiali dell’esercito e della polizia. Fin dagli inizi però, gli investimenti fatti dagli Orejula si diversificarono molto di più.292 Tra le numerosissime attività avviate nei settori più disparati, oltre all’acquisto di un gran numero di imprese edilizie, agenzie immobiliari, complessi residenziali, centri commerciali e catene alberghiere, di gran rilievo fu l’acquisto di un network di 45 emittenti radiofoniche e il finanziamento di numerosi istituti universitari (tra cui uno dei più moderni e accreditati, l’Università di Santiago di Cali). Lo “Scacchista”, così veniva chiamato Orejula il padre, pensò bene di attorniarsi dei più bravi laureati in legge, economia e amministrazione aziendale. Le competenze di questi uomini furono indispensabili per mettere in piedi il sistema di riciclaggio di denaro sporco, tra i più grandi ed efficienti del mondo. Il boss del cartello capì da subito che il modo più sicuro per muovere tanto denaro e finanziare allo stesso tempo l’impero economico che stava nascendo, era quello di controllare delle banche in prima persona. Oltre al controllo di quattro istituti bancari fuori dal paese (a Panama, Miami, Ecuador, e nelle Isole Cayman), Orejula divenne presidente del Banco de los Trabajadores de Colombia. Oltre alla diversificazione degli investimenti, le differenze tra i due cartelli riguardarono i diversi rapporti intrattenuti con le elite politiche del paese. Se Pablo Escobar commise l’errore di entrare in politica in prima persona, Rodriguez Orejula si limitò a controllarne le fila. I finanziamenti messi a disposizione dal cartello di Cali arrivarono nelle tasche di conservatori, liberali e progressisti, senza risparmiare leader sindacali e uomini delle liste civiche, a seconda degli interessi da difendere. La scelta di Orejula sul non esporsi direttamente fu però ferma. Quest’atteggiamento si tradusse in uno “stile di vita severo imposto a tutti i membri appartenenti all’immensa rete di distribuzione e in una disciplina dell’organizzazione (strutturata sulla base di cellule separate) così rigida, da spingere un consulente della DEA a definirla leninista”.293 Quella che secondo le parole del sociologo Alonso Salazar rappresenta la “razza pioniera”294 della malavita colombiana, proveniva invece da una zona più a nord del Tolima: il Dipartimento di Antioquia. I primi uomini ad intuire le possibilità di immensi 292 Montañana Antonio, Il ruolo della droga. In Colombiani: Storie da un paese sotto sequestro. Indice Internazionale, Roma, 2000. 293 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994, pag. 215. 294 Salazar Alonso e Jaramillo A., Las subculturas del narcotraffico. Cinep Ediciones, Bogotá, 1992, pag. 14. 110 guadagni legati alla produzione e al traffico del cloridrato di cocaina erano già dediti ad attività illegali, quali il contrabbando di alcool, sigarette, apparecchi hi-fi: tutta merce proveniente dai porti franchi di Panama. Gli abitanti di questa zona della Colombia erano comunemente detti paisá. Qui, la minoranza bianca al potere, borghese e razzista, si distingueva per la particolare dedizione rivolta all’unico dio considerato realmente onnipotente: il denaro. Da cui, il detto “por la plata lo que sea” (per il denaro qualsiasi cosa), uno dei principi cardine ampiamente condiviso dalla gente di Medellín.295 Dopo il crollo della produzione di marijuana, lo spirito d’iniziativa e la dedizione agli “affari” degli abitanti di Antioquia costituirono la spinta necessaria per avviare l’intero sistema che portò alla formazione di quello che si mantenne, per tutta la decade degli anni ‘80 e i primi anni ‘90, il cartello di droga più grande e potente della Colombia e del mondo: il cartello di Medellín. Il capo indiscusso del cartello, Pablo Escobar, proveniva da una famiglia umile e religiosa di Rionegro. La sua storia è simile a quella di molti altri narcotrafficanti, rappresentanti di quella che per i colombiani era la “clase emergente, fatta di persone che sono riuscite a cambiare rapidamente il proprio status economico: poco importa se lo hanno fatto attraverso attività illegali.”296 Fin da ragazzo Escobar si era dedicato a questo genere di attività: dal furto e contrabbando di pietre tombali a quello di automobili, presto sostituitesi alle biciclette. Nel 1975, grazie ai soldi di un sequestro, Escobar arrivò ad occuparsi del suo primo traffico di cocaina: un carico proveniente dall’Ecuador e diretto agli Stati Uniti. Il tasso di crescita delle sue attività e dei profitti ad esse legati furono inarrestabili, così come la domanda di droga proveniente dagli Stati Uniti, dove la generazione hippye degli anni ’70 stava lasciando il posto a quella yuppie. Le dimensioni del coca boom furono tali da spingere i narcotrafficanti del Dipartimento di Antioquia a smettere di combattersi tra loro per il controllo di piccoli mercati locali, per unirsi e costruire un’immensa rete di distribuzione ed assicurarsi così il controllo del traffico di cocaina nelle principali città nordamericane. Vennero costruiti complessi produttivi e infrastrutture di dimensioni tali che le opportunità economiche e lavorative fornite dalla produzione, dalla trasformazione e dal commercio della droga riuscirono a generare degli spostamenti interni di popolazione 295 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellín. Biblioteca Universale Rizzoli. 296 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993, pag. 263. 111 di così ampia portata che Camino Echandia Castillia parla di una vera e propria “rivoluzione demografica”.297 In pochi anni Escobar divenne uno degli uomini più ricchi del mondo: nelle classifiche pubblicate dalle riviste statunitensi “Forbes” e “Fortune” del 1987 Escobar occupava il 14° posto. Le sue fortune avevano superato quelle di grandi famiglie come quella dei Rockfeller e degli Agnelli.298 Il tasso di crescita delle sue ricchezze venne eguagliato solamente dal ritmo di crescita della sua popolarità. Don Pablo, come veniva comunemente chiamato nelle periferie delle grandi città colombiane, aveva aspirazioni che uscivano dal campo economico. Queste aspirazioni vennero alimentate dalla chiusura della tradizionale classe politica di Medellín, i cui membri si mostrarono sempre assai reticenti nel concedere l’accesso alla loro cerchia ristretta a uomini dello stampo di Pablo Escobar. Al contrario, le istituzioni economiche pubbliche e private di Antioquia e della Colombia intera si erano mostrate di più larghe vedute, accettando con estrema facilità che il denaro della mafia irrigasse l’intera economia nazionale.299 Nella sua campagna politica Escobar si rivolse dapprima alle classi popolari, tra le quali il suo progetto “Medellín senza tuguri” ebbe un successo immediato. Con esso egli investì una piccola parte dei suoi immensi guadagni nella costruzione di case popolari e nell’istallazione di impianti di illuminazione degli stadi. Presto però le mire di Escobar si rivolsero verso piani ben più alti della politica. Don Pablo scelse inizialmente di entrare nel movimento progressista “Nuevo liberalismo”, guidato da Luis Carlos Galán e Lara Bonilla. Nel 1982 sopraggiunse l’espulsione ufficiale dal movimento, a seguito di un’inchiesta promossa da Galàn e condotta dal giudice Lara Bonilla. I risultati dell’indagine avevano infatti confermato i sospetti circa la provenienza da attività illecite delle ricchezze di don Pablo. Indispettito, Escobar si avvalse dell’appoggio del parlamentare Jairo Ortega Ramirez (suo avvocato di fiducia) per entrare a far parte del movimento “Renovación liberal”, guidato dal senatore Santofimio Botero. A seguito di una campagna elettorale ben orchestrata che vide la coppia Escobar-Ortega muoversi ininterrottamente da un luogo all’altro del paese, nel 1983 Ortega confermò il suo seggio in parlamento mentre Escobar divenne il suo supplente. Il personaggio chiave della vittoria, colui che organizzò e condusse la campagna elettorale, fu il futuro presidente della Repubblica Ernesto Samper, 297 Camilo Echandia Castilla, El conflicto armado y las manifestaciones de la Violencia en las Regiones de Colombia. Presidenza della Repubblica di Colombia, Ufficio dell’Alto Comisionado por la Paz, Bogotà, 2000, pag. 79. 298 The World’s Billionaires, nella rivista Forbes, 5 ottobre, 1987. 299 Montañana Antonio, Il ruolo della droga, in AA. VV., Colombiani: Storie da un paese sotto sequestro. Indice Internazionale, Roma, 2000. 112 che nel 1994 è stato al centro di un grosso scandalo, dopo essere stato accusato di aver ricevuto grosse somme di denaro da ambienti legati al narcotraffico per il finanziamento della propria campagna elettorale. Grazie a lui, don Pablo aveva raggiunto quello che voleva: entrare nell’elite politica nazionale e poter godere dell’immunità parlamentare. Inoltre, la posizione conquistata nel Congresso poteva essergli di grande aiuto nella strenua lotta che da anni Escobar conduceva contro il famoso trattato di estradizione voluto fortemente dagli Stati Uniti. Questo prevedeva l’estradizione dei cittadini dei due paesi accusati di una serie di reati gravi, quali il narcotraffico. Per sanare i rapporti tra Usa e Colombia, inaspritisi attorno a queste tematiche già dalla fine degli anni ‘70, l’allora ambasciatore colombiano a Washington e futuro presidente della Repubblica di Colombia, Virgilio Barco, aveva promosso la firma di due trattati bilaterali, avvenuta nel 1979. Uno riguardava l’estradizione, l’altro prevedeva lo scambio di prove giudiziarie, il cui obbiettivo consisteva nel limitare l’azione della ventanilla sinistra. Mentre il secondo trattato cadde dopo una lunga serie di giochi diplomatici, quello sull’estradizione finì per assumere un’importanza fondamentale nel mantenimento di buone relazione con gli Stati Uniti. Pablo Escobar si adoperò con tutto il suo potere e la sua influenza nell’organizzare mobilitazioni contro il trattato di estradizione. In queste manifestazioni pubbliche Escobar seppe abilmente ricorrere a temi legati al sentimento nazionale per la difesa dei suoi interessi personali. Il tutto non fece altro che aumentare la sua popolarità. La fine dell’avventura politica di don Pablo sopraggiunse a causa dell’accanimento del giudice Laura Bonilla e del leder del movimento liberale dissidente Luis Carlos Galàn contro Escobar e i suoi uomini. Mentre nei comizi tenuti da Galàn non venivano risparmiati colpi per denunciare le strategie dei boss di partito e i loro legami nascosti con “l’economia borghese della droga”,300 dal 1982 le indagini del giudice Bonilla (rappresentante della fazione di Galàn nel governo conservatore di Betancur) attorno alle attività di don Pablo erano continuate ininterrottamente, coinvolgendo un numero sempre più grande di persone. Quando nel 1984 il giudice Bonilla si rifiutò di negare il consenso per la richiesta di estradizione di un altro dei boss del cartello, Carlos Lehder, i narcos se la cavarono grazie all’intercessione svolta dal procuratore generale Jimenez Gomez, che più volte si era espresso sull’incostituzionalità del trattato. Il rumore prodotto dall’intera vicenda convinse i boss del cartello della necessità della fine della loro partecipazione diretta nell’attività 300 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of California Press, Oxford, 1993, pag. 263. 113 politica, anche se gli appoggi in parlamento continuarono a svolgere un ruolo fondamentale.301 Il 30 aprile del 1984 il ministro Lara Bonilla venne ucciso. La morte del giudice venne seguita da una serie di misure restrittive a danno dell’industria della droga, che condusse al sequestro di numerosi veicoli e altro materiale e all’arresto di molte figure minori legate al traffico della cocaina. L’applicazione della misura di estradizione su questi arresti provocò l’indignazione dei grandi narcotrafficanti. Fu allora che sopraggiunse la decisione della Corte Suprema del 1987 di invalidare il trattato sull’estradizione firmato nel 1979: il risentimento verso lo Stato, per la sua incapacità dimostrata con gli avvenimenti di Palazzo di Giustizia di salvaguardare le proprie istituzioni, si sommò alle paure provocate dal sangue versato quasi quotidianamente nelle grandi città del paese ad opera dei sicari assoldati dai narcos per l’eliminazione di giudici, avvocati e politici scomodi. Come già accennato, il 1984 fu anche l’anno in cui veniva scoperto il complesso di Tranquilandia. “La più grande operazione mai realizzata al mondo contro la droga”302 condusse al sequestro di 10 tonnellate di cocaina. Il suddetto laboratorio venne dichiarato di appartenenza dei fratelli Ochoa e di Pablo Escobar; la responsabilità della sua protezione venne invece attribuita alle FARC. In quegli stessi giorni l’ambasciatore statunitense a Bogotà, Lewis Tambs, sostenne che le FARC erano in possesso di numerose coltivazioni di cocaina della foresta colombiana e lanciò la teoria della “narcoguerriglia”303, basata sulle strette relazioni esistenti tra narcotrafficanti e gruppi radicali di sinistra. Tali connessioni vennero immediatamente confermate dal Ministro della Difesa colombiano, il generale Gustavo Matamaros D’Costa.304 Come abbiamo visto nel capitoletto dedicato allo sviluppo del fenomeno paramilitare, in realtà, buona parte dei narcotrafficanti aveva ampiamente dimostrato di essere fortemente ostile nei confronti delle forze di sinistra del paese, tanto da stipulare salde alleanze con i gruppi paramilitari. È vero anche che un’altra parte dei narcos era rimasta inizialmente lontana da questi estremismi apprezzando alcune posizioni dei guerriglieri, quali il forte 301 Orejula Javier Luis, Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en Colombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá, 1991. 302 El Espectador, 22 marzo 1984, 25 marzo 1984, La Repubblica, 21 marzo 1984. 303 Poco tempo dopo, lo stesso Tambs venne indagato per legami intrattenuti con la CIA, accusata di finanziare i contras nicaraguesi attraverso il traffico di armi e droga. (Pecaut D., Midiendo fuerzas. Planeta, Bogotà, 2003, pag. 52) 304 Orejula Javier Luis, Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en Colombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá, 1991. 114 risentimento anti-gringos e la strenua opposizione al trattato di estradizione, considerato atto lesivo della sovranità nazionale. Soprattutto, l’alleanza strategica con le forze guerrigliere diffusissime nelle aree rurali di recente colonizzazione, corrispondenti alle aree di maggiore coltivazione della foglia di coca, era di vitale importanza per gli affari dei narcos. Mentre questi beneficiavano delle risorse di queste terre e sfruttavano i loro spazi impervi e sperduti nella foresta amazzonica per l’istallazione dei laboratori di raffinazione, l’alleanza pragmatica con i gruppi guerriglieri alleggeriva di fatti il loro lavoro, poiché essi commissionavano la protezione e il controllo della terra coltivata a foglia di coca ai gruppi insurrezionali. “Si trattava, in questo caso, di una forma di delegazione che risparmiava costi politici” (necessari ad esempio per il mantenimento di un’organizzazione stabile che svolgesse lo stesso compito in un territorio determinato), “priva inoltre di grossi rischi.”305 Tale alleanza durò però poco. Secondo Guido Piccoli,306 agli attacchi provenienti dal potere giudiziario colombiano e soprattutto da quello statunitense i narcos risposero con determinazione, optando per le alleanze più convenienti, quale quella coi gruppi paramilitari cui fornire aiuto per l’eliminazione del “nemico interno”. Il trovarsi a fianco di alleati così diversi non stupisce se si considera che “l’azione dei narcos è sostanzialmente diretta alla difesa dei propri interessi economici; le loro modalità d’azione sono pertanto fondamentalmente pragmatiche e non possono essere attribuite ad un orientamento politico permanente.”307 Parallelamente, si è già visto come l’investimento di gran parte dei loro profitti nell’acquisto di terre aveva contribuito ad avvicinare sempre più i loro interessi a quelli dei grandi proprietari, di cui oramai condividevano anche le idee politiche conservatrici. La difesa della proprietà e la continuità del processo di accumulazione delle ricchezze del paese erano i due assi portanti su cui venne impiantata una vera e propria “controriforma agraria”, per la messa in atto della quale i narcos “cercarono e, in molte zone del paese, trovarono il supporto entusiastico delle unità locali dell’esercito.”308 Secondo Orejula Javier Luis “si è speculato molto attorno alla teoria della narcoguerriglia, senza che siano mai esistite prove determinanti di questa relazione. Se sia esistita o esistano queste connessioni, esse possiedono un carattere meramente strategico e 305 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 168. Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003. 307 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 159. 308 Jorge Orlando Melo, The drug trade, politics and the economy: the colombian experience, in E. Joyce e C. Malamud editores, Latin America and the multinational drug trade. St. Martin’s Press, New York, 1998, pag. 79. 306 115 congiunturale per entrambe le parti”.309 Ad ogni modo, le relazioni tra narcotrafficanti e gruppi paramilitari, “il narcoparamilitarismo messo alla luce dalle indagini del DAS”310, è una prova, secondo Orejula, del fatto che le relazioni strategico-funzionali tra narcotrafficanti e guerriglieri fossero estremamente deboli in quegli anni. “Fu soprattutto nel Magdalena Medio che prese forma una vasta e indubbia alleanza antisovversiva”.311 Il narcotrafficante Rodriguez Gacha, stretto alleato di Escobar, si distinse come leader di quella che si rivelò una guerra aperta contro la guerriglia colombiana e tutti i suoi simpatizzanti. Nel frattempo, l’allora presidente conservatore Betancur si batteva per portare avanti quel processo di pace che aveva condotto all’abbandono delle armi di alcuni gruppi insurrezionali minori e alla tregua accettata dalle FARC nel 1984, in seguito alla creazione nel Dipartimento del Meta, ad un centinaio di chilometri da Bogotà, di una zona smilitarizzata chiamata la “Casa Verde”. Anche se la tregua si ruppe a causa degli avvenimenti del Palazzo di Giustizia, Betancur ottenne un successo ulteriore: la costituzione nel 1986 di quello che doveva essere lo strumento attraverso cui facilitare il passaggio dei membri delle FARC dall’insurrezione armata all’opposizione politica legale, l’Unión Patriotica. I suoi membri divennero presto i bersagli preferiti della nuova fase della guerra sucia appena cominciata nel paese. Nei soli primi cinque anni di vita del movimento vennero massacrati ben 3000 sostenitori (in media una persona al giorno).312 Dopo l’assassinio nel 1987 del candidato presidenziale Pardo Leal, militante del Partito Comunista sostenuto dall’Unión Patriotica, le FARC passarono al contrattacco contro tutte le forze coinvolte nella guerra sucia, narcos inclusi. I mezzi utilizzati comprendevano attacchi militari, sequestri ed appropriazione dei beni per la cui protezione erano stati assoldati dai trafficanti di droga. “Da allora in poi, i gruppi politici collegati alle forze guerrigliere, furono le vittime di un’intensa campagna di sterminio, largamente coordinata e promossa dai trafficanti di droga, ma che ha sempre contato sul supporto più o meno segreto dei membri dei corpi di sicurezza dello Stato, in particolar modo dell’esercito.”313 La situazione precipitò nel 1989 con l’omicidio del candidato liberale alla presidenza Luis 309 Orejula Javier Luis, Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en Colombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá, 1991, pag. 224. 310 Ibidem. 311 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994, pag. 106. 312 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003. 313 Jorge Orlando Melo, The drug trade, politics and the economy: the colombian experience, in E. Joyce e C. Malamud editores, Latin America and the multinational drug trade. St. Martin’s Press, New York, 1998, pag. 81. 116 Carlos Galàn, assassinato nella periferia di Bogotà. Erede del movimento di democratizzazione Carlos Lleras Restrepo degli anni ’70, leader del movimento del Nuovo Liberalismo negli anni ’80, Galàn era finalmente riuscito a conquistare il consenso politico della classe media, oltre che quello degli strati popolari. “La sua morte paralizzò la nazione. L’evento sembrò essere il segnale dell’ultimo atto di decomposizione della Colombia come sistema civile.”314 Gli anni della “lotta alla droga” (1989-2002). La decade degli anni ’90 è stata caratterizzata dall’internazionalizzazione accelerata del conflitto colombiano, a seguito della nuova congiuntura nazionale ed internazionale. I suoi vincoli con il problema della droga e la violazione dei diritti umani hanno fatto sì che il conflitto uscisse dalle campagne colombiane, avvicinandosi ai centri di potere urbani, e destasse un’attenzione mai avuta sul piano internazionale. Con la caduta dell’Unione Sovietica le priorità dell’agenda statunitense ed internazionale cambiarono: la difesa dei diritti umani e della democrazia divennero il loro nucleo centrale. Fu allora che il tema della “lotta alla droga” entrò ufficialmente tra gli obbiettivi della maggior parte degli organismi internazionali. Il traffico e il consumo di droga divennero questioni presentate per la prima volta come parte di un fenomeno transnazionale, le cui responsabilità dovevano essere condivise a livello globale. Il direttore del Fondo delle Nazioni Unite per il Controllo dell’Abuso delle Droghe, Giuseppe di Gennaro, affermava in un’intervista rilasciata nel 1991: “Solo opponendo alla transnazionalità dell’attacco la transnazionalità della reazione è possibile sperare in un reale successo. […] Criminalità organizzata dei narcotrafficanti significa oggi una struttura articolata di un vero e proprio potere internazionale che è servito da istituzioni bancarie, società finanziarie e che dispone dei più qualificati consulenti e di emissari di grandi capacità e prestigio.”315 Nel 1990 una Sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dedicata interamente al problema droga, si espresse a favore della creazione di un nuovo organismo 314 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002, pag. 336. 315 Roberto Maurizio (a cura di), Armonizzare le leggi per costruire una strategia comune. In Cooperazione, n. 102, gennaio 1991, Fratelli Palombi editori, pag. 44-45. 117 atto a garantire una lotta più capillare contro la dimensione internazionale del problema. Nasceva l’United Nations International Drug Control Programme (UNIDCP), “la cui novità principale consisteva nell’interdipendenza delle sue funzioni” e nelle sue possibilità di creare nuovi collegamenti per “mettere a confronto diversi aspetti del fenomeno droga (controllo della domanda e dell’offerta)”.316 Gli interessi statunitensi però, hanno fatto si che “l’internazionalizzazione del problema della droga abbia continuato a consistere, in sostanza, nell’imposizione di una politica repressiva contro l’offerta, ad opera degli Stati Uniti.”317 Di diversa natura erano le motivazioni che portarono il tema della droga al centro della politica statunitense alla fine degli anni ’80. Elemento di non poca importanza fu il fatto che gli Stati Uniti costituivano il mercato principale delle sostanze illegali prodotte dai tre maggiori produttori di droga in America Latina (Colombia, Perù, Bolivia). Come sottolineano Angel Rebasa e Peter Chalk318, affrontare il problema di una domanda in costante crescita dalla fine degli anni ’70 in poi, produce alti costi sociali che finiscono per gravare in modo non indifferente sulla spesa pubblica. D’altro canto però, le preoccupazioni riguardo la spesa pubblica non sembrarono essere altrettanto determinanti per il Congresso statunitense, che non esitò a mettere a disposizione molte delle proprie forze di sicurezza (CIA e DEA) per la cattura dei capi del cartello di Medellìn, né si tirò indietro quando approvò il “più ampio spiegamento di forze armate americane dai tempi del Vietnam”319, ossia la cosiddetta Operazione giusta causa, per la cattura del generale Antonio Noriega. “La strategia della guerra alla droga” adottata dagli Stati Uniti “definiva il problema soprattutto in termini di offerta di narcotici […]. Essa assegnava agli eserciti dei paesi produttori delle sostanze illegali la maggior parte del lavoro per la soppressione dell’offerta.”320 In Colombia, la suddetta strategia subì qualche modifica. In seguito al fallimento dell’esercito nella cattura di Pablo Escobar, gli Stati Uniti avviarono e finanziarono la riforma del corpo di polizia colombiano, che da allora divenne il principale strumento utilizzato nella lotta contro i narcotrafficanti. Gli Stati Uniti si impegnarono 316 Savona U. Nasce un nuovo organismo delle Nazioni Unite. In Cooperazione, n. 102, gennaio 1991, Fratelli Palombi editori, pag. 48. 317 Soccorro Ramirez, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Instituto de Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia, Planeta, Bogotà, 2001, pag. 17. 318 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its implications for regional stability. Rand, USA, 2001. 319 Giordano Giancarlo, La politica estera degli Stati Uniti. Franco Angeli, Milano, 1999, pag. 289. 118 inoltre ad aiutare la Colombia nella sua lotta alla droga sostenendo altre due importanti campagne: quella a favore dell’estradizione e quella riguardante i programmi di desertificazione, attraverso la fumigazione delle terre coltivate a marijuana, coca e papavero. Si è già visto come a fine anni ‘80 la reazione dei narcotrafficanti provocata dalla questione dell’estradizione fu di tale portata da generare una vera e propria guerra nelle grandi città colombiane. La crisi dell’ordine pubblico terminò solo con la decisione dell’Assemblea Costituente del 1991, pronunciatasi a favore dell’incostituzionalità di tale provvedimento. La battaglia si concluse nel 1997 con una vittoria degli Stati Uniti: la norma venne reintrodotta attraverso una legge di revisione costituzionale promossa dal presidente Samper che, “a causa della sua estrema vulnerabilità, non riusciva ad opporre resistenza alle rivendicazioni degli Stati Uniti”.321 A fine anni ‘90 però, la reazione dei narcotrafficanti non è stata quella di ricorrere alle armi del terrorismo urbano. Come vedremo più avanti, gli anni ’90 sono stati decisivi per alcuni cambiamenti avvenuti in seno al sistema del narcotraffico. Tra questi Palacios e Safford annoverano il superamento della logica di repressione.322 Per quanto riguarda la campagna di fumigazione, ad occuparsene è stata ed è la polizia anti-narcotici colombiana “finanziata ed addestrata dagli Stati Uniti”323: dal 1978 si è assistito alla distruzione dei campi coltivati a marijuana, coca e papavero attraverso l’emissioni aerea di diversi erbicidi. Dal 1986 il più usato è il glifosfato: la versione in commercio più venduta di questo prodotto si chiama Roundup e viene fabbricata dalla Monsanto, un’industria biotecnlogica statunitense. Il Roundup sembra provocare grossi problemi di salute alle popolazioni contadine, quali: nausea, vertigine, problemi respiratori, disturbi alimentari e aumento della pressione del sangue. A correre il rischio di questi disturbi non sono solo i contadini direttamente esposti agli erbicidi utilizzati, poiché tali sostanze chimiche avvelenano anche le falde acquifere, gli animali e le altre piante che ne vengono a contatto. Questa situazione ha fatto si che le popolazioni colpite dalle fumigazioni abbiano abbandonato le loro terre per spostarsi sempre più nell’interno della foresta vergine delle Amazzoni, dove la mancanza di mezzi di comunicazione e le 320 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002, pag. 339. 321 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 172. 322 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002, pag. 340. 323 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003, pag. 136. 119 difficoltà del territorio fanno si che la cocaina e l’eroina rimangano l’unico prodotto economicamente vantaggioso da coltivare. Nonostante negli anni ’90 la quantità di terra colpita dalle fumigazioni sia cresciuta, la quantità prodotta di cocaina ed eroina è aumenta. Oltre a quello che Grace Livingstone chiama “effetto palloncino”324, ossia lo spostamento forzato dei contadini appena descritto, la campagna di fumigazioni ha difatti stimolato i coltivatori a produrre erbe con un più elevato contenuto di sostanze psicotrope. Inoltre, mentre in Colombia la produzione di sostanze illegali ha subito un’impennata, in Perù e in Bolivia, paesi in cui il programma di fumigazioni non è stato applicato con la stessa intensità, la produzione è nettamente diminuita. Fenomeno questo che per Grace Livingstone325 si spiega solo alla luce della sconfitta dei grandi cartelli colombiani, che assicuravano i traffici con i paesi vicini. Pertanto, dalla prima metà degli anni ’90 i nuovi trafficanti hanno diretto i loro acquisti quasi esclusivamente verso i produttori locali. In questa scelta, aggiungono Rebasa e Peter Chalk326, ha sicuramente contribuito il successo della strategia del “ponte aereo” promossa dal presidente Clinton, diretta ad intercettare gli aerei che trasportavano la pasta di coca dalla Bolivia e dal Perù alla Colombia. Ad ogni modo, molte sono le perplessità riguardo la politica degli Stati Uniti di fronte al problema droga. Quello che non convince è, in primo luogo, la sottovalutazione di tutti gli altri aspetti della “complessa catena planetaria del narcotraffico, come il consumo, la vendita di precursori chimici necessari alla raffinazione delle sostanze, lo sfruttamento di denaro illegale nei circuiti finanziari mondiali e le reti di contrabbando di armi, per porre un interesse unilaterale nella lotta contro l’offerta.”327 In secondo luogo, come il caso contragate328 ha ampiamente dimostrato, la crociata contro la droga può essere strumentalmente utilizzata per il perseguimento dei fini geopolitici statunitensi in America Latina. Essa può giustificare un maggior coinvolgimento di Washington negli affari interni di ognuna di queste nazioni, nel momento in cui gli Stati Uniti lo ritengano più opportuno. Infine, attraverso il finanziamento della lotta alla droga “le agenzie statunitensi antinarcotici ricevono una quantità ingente di risorse che consente di mantenere il loro 324 Ibidem, pag. 144. Ibidem. 326 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its implications for regional stability. Rand, USA, 2001. 327 Soccorro Ramirez, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Instituto de Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia, Planeta, Bogotà, 2001, pag. 18. 328 Secondo quanto emerso dal contragate, alcuni funzionari dell’amministrazione Reagan, tra cui lo stesso ambasciatore statunitense a Bogotà Tambs, sono stati accusati di aver appoggiato alcuni noti narcotrafficanti appartenenti alle contras nicaraguesi in funzione anti Noriega. Ibidem. 325 120 bilancio e di ottenere guadagni vantaggiosi. Questo spiegherebbe le motivazioni per cui gli Stati Uniti perseguano mete irraggiungibili con mezzi inappropriati e perché essi persistano nella loro fallimentare strategia antinarcotici.”329 Tali finanziamenti hanno subito un forte incremento nel 2000 con l’approvazione da parte del Congresso statunitense del cosiddetto Plan Colombia, promosso dal governo Pastrana. Sin dalla sua campagna elettorale, il filo conduttore del programma di governo del conservatore Pastrana (1998-2002) è stato il processo di pace e “l’internazionalizzazione della pace per la disinternazionalizzazione del conflitto.”330 Poco dopo la sua elezione si giunse alla prima formulazione del Plan Colombia, contenuta nel Plan Nacional de Desarrollo 1998-2002 del nuovo governo. In esso si faceva riferimento alle cause oggettive e soggettive della violenza e del conflitto colombiano, tra le quali la povertà, la mancanza di democrazia, la disuguaglianza economica e sociale; allo stesso tempo, si faceva riferimento alla relazione esistente tra il conflitto e la produzione e il commercio delle sostanze illegali. L’obbiettivo centrale del piano sembrava essere la creazione delle condizioni economiche, sociali ed ambientali necessarie allo sviluppo di una pace integrale, attraverso la creazione di strumenti partecipativi. Come sottolinea Soccorro Ramirez331, solo questa versione del Plan Colombia è passata al vaglio dell’opinione pubblica e del Congresso colombiano. In seguito sono state formulate altre tre versioni, differenti a seconda degli organismi internazionali e delle amministrazioni straniere a cui esso è stato presentato. Mentre “la seconda e la quarta versione si riferiscono agli stessi temi, anche se con ordine di priorità ed accento diversi”332, e non differiscono a loro volta dal nucleo centrale della prima versione, la terza formulazione del 1999, chiamata anche US Aid Package e frutto del lavoro congiunto di tecnici colombiani e statunitensi, centra il Piano sulla lotta contro il narcotraffico. “Tutte le misure destinate a superare la crisi economica e fiscale appaiono orientate ad evitare che altri colombiani si vincolino alla produzione ed esportazione di droghe, piuttosto che a creare le condizioni sociali ed economiche per favorire pace.”333 L’obbiettivo centrale sembra limitarsi all’eliminazione dei “vincoli stretti tra i trafficanti di droga e i gruppi armati al margine della legge, che 329 Ibidem, pag. 109-110. Punto 5 del primo capitolo del Piano, Presidencia de la Republica, Departamento Nacional de Planeaciòn, Plan Nacional de Desarrollo. Bases 1998-2002. Bogotà, 1998. 331 Soccorro Ramirez, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Instituto de Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia, Planeta, Bogotà, 2001. 332 Ibidem, pag. 89. Tali versioni sono state presentate rispettivamente: nel 1999 all’incontro svoltosi a Rio de Janero, a cui hanno preso parte funzionari provenienti dall’Unione Europea, dall’America Latina e dal Caribe; nel 2000 ad assemblee svoltesi con le autorità europee e giapponesi. 330 121 hanno obbligato le Forze Armate ad impegnarsi in uno sforzo forte e deciso nella lotta integrale e coerente contro questa minaccia.”334 Su un totale di 7.500 milioni di dollari previsti per il finanziamento del piano, l’apporto degli Stati Uniti ammonta a 1.600 milioni di dollari, mentre quello delle amministrazioni del resto del mondo è di 1.046 milioni e quello proveniente dall’insieme degli organismi internazioni è di 2.646 milioni. Gli Stati Uniti rappresentano il paese straniero che contribuisce in modo maggiore alla realizzazione del piano, a cui va aggiunto l’immenso peso politico che essi esercitano all’interno dei maggiori organismi internazionali. Anche se l’obbiettivo dichiarato dell’intervento USA è la lotta al narcotraffico, molti in America Latina vi intravedono “un mezzo utilizzato contro i governi latinoamericani che si oppongono fermamente all’apertura selvaggia ai prodotti e capitali nordamericani.”335 L’ambiguità del Plan Colombia e dei dibattiti attorno ad esso è conseguenza della coesistenza di diverse formulazioni del piano. In definitiva, esso può essere visto come l’atto finale del processo di internazionalizzazione del conflitto colombiano, già avviato dagli inizi degli anni ’90. Tale processo è stato favorito, da un lato, dalle preoccupazioni crescenti della classe politica colombiana in relazione alle minacce provenienti dai narcos ed alla crescita inarrestabile delle forze armate illegali (guerriglia e paramilitari); dall’altro, dai cambiamenti avvenuti nella congiuntura internazionale e nei piani della politica estera statunitense. L’applicazione del modello neoliberista in Colombia L’applicazione del modello neoliberista ha accresciuto il sottosviluppo, la fame e la dipendenza alimentare della nazione, costringendola in un circolo vizioso di sottosviluppo–guerra-sottosviluppo. In Colombia il dispiegamento totale della cosiddetta “politica di apertura” è cominciato con una decade di ritardo rispetto al resto del continente sudamericano. Fu il presidente Barco a lanciare il Programma per la Modernizzazione dell’Economia Colombiana (PMEC) nel 1990. In cambio, il paese ottenne l’autorizzazione ad accedere al cosiddetto credito “Challenger” promosso dalla Banca Mondiale. “Il Programma non rappresentò altro che la riproposizione sul piano interno degli interventi di stabilizzazione e aggiustamento strutturale prescritti dal Fondo Monetario internazionale nella decade 333 Ibidem, pag. 85. Plan Colombia, Plan para la Paz, la prosperidad y el fortalecimiento del Estado, settembre 1999, pag. 30-31. 334 122 precedente: completa apertura dell’economia al mercato, al capitale e agli investimenti privati internazionali, dolorosi tagli alla spesa pubblica, l’eliminazione dei sussidi sociali, la privatizzazione delle imprese statali e delle banche che erano state acquistate durante una crisi finanziaria all’inizio degli anni ’80 (il Banco Tequendama, il Banco del Comercio, il Bancolombia, il Banco de los Trabajadores).”336 Il risultante flusso di capitali in entrata non è stato però investito in attività produttrici e stimolatrici della crescita dell’occupazione, bensì si è centrato nelle attività prettamente speculative, nel settore delle costruzioni o nell’acquisto di beni immobili, come le estese proprietà agricole riconvertite al pascolo. Con il successivo governo Gaviria (1990-1994) vennero varate le riforme che hanno avuto le conseguenze più immediate nella vita di milioni di lavoratori colombiani. In particolare, la “legge 50” ha sancito l’eliminazione del pagamento degli straordinari, ha modificato le politiche di contrattazione a svantaggio dei lavoratori (limitando anche il diritto allo sciopero), ha generalizzato l’impiego temporaneo e a tempo parziale. Inoltre, essa ha legittimato una nuova tipologia di contratti cosiddetti “contratti verbali”, diffusissimi nei settori del commercio, delle costruzioni e dell’agricoltura. Tali contratti non prevedono l’iscrizione ad alcun sistema di previdenza sociale, né orari di lavoro e incarichi stabiliti, né il rispetto di parametri salariali previsti a norma di legge. Secondo una stima del Dipartimento Amministrativo Nazionale di Statistica (DANE), nel 2000 il 46,6% degli occupati salariati non contava su un contratto di lavoro scritto.337 Nel 1993 venne approvata la “legge 100” su proposta dell’allora senatore Alvaro Uribe Velez, nota come “Riforma della Salute e della Sicurezza Sociale”, nel quadro del processo di decentramento e trasferimento ai municipi della gestione della spesa dei servizi di base. “Il nuovo sistema introdotto è in linea con i principi delle politiche neoliberiste, la cui spina dorsale si basa sull’indebolimento del ruolo dello Stato come fornitore dei servizi sociali e sulla privatizzazione delle imprese pubbliche. In conseguenza, si ricorre sempre più agli sforzi degli individui e delle comunità per fornire questi servizi in modo da alleggerire il potere centrale nell’adempimento delle proprie responsabilità.”338 Contemporaneamente, riguardo al settore pensionistico, i governi hanno cercato di favorire in tutti i modi il versamento dei contributi lavorativi a favore di fondi privati: Questo 335 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004. 336 Ahumada Consuelo, El modelo neoliberal y su impacto en la sociedad colombiana. El Ancora Editores, Bogotà, 1998, pag. 13. 337 DANE, Encuesta de hogares. Bogotà, 2000. 123 trasferimento di capitali, dalle strutture pubbliche a quelle private, ha contribuito largamente a prosciugare le casse statali. Nonostante simili riforme sociali ed economiche, a conclusione di una missione in Colombia, nel 1995 il Fondo Monetario Internazionale denunciava “i pericoli imminenti legati allo squilibrio delle finanze pubbliche e dell’aumento del costo della vita” e insisteva sulla “necessità urgente” di frenare la crescita della spesa e degli investimenti statali e di aumentare le tariffe dei servizi del settore pubblico, in particolare dell’elettricità e dei telefoni. L’FMI propose inoltre l’ulteriore aumento dei trasferimenti di fondi statali agli enti locali, per aumentare le loro responsabilità in tema di organizzazione e gestione dei servizi relativi alla salute, all’educazione e alle politiche sociali.339 Furono i successivi governi Samper (1994-98) e Pastrana (1998-2002) a preoccuparsi dell’attuazione di queste indicazioni, accelerando la crisi economica e aumentando la distanza tra i diversi settori sociali. Nel 1999 Pastrana sottoscrisse il cosiddetto Acuerdo de Facilitades Extendidas. Si trattava di un programma di aggiustamento macroeconomico da realizzare in tre anni, che mirava alla riduzione del decifit fiscale e delle spese sociali, al raggiungimento dell’equilibrio delle finanze delle Stato e all’implementazione di una politica fortemente recessiva, al fine di assicurare il pagamento del debito estero. Si diede così avvio alle cosiddette “riforme di seconda generazione”, basate sulla razionalizzazione della spesa delle entità territoriali, il congelamento dei salari e nuove misure restrittive sul piano tributario e pensionistico. Gli autori di una ricerca del CINEP di Bogotà sulle “Politiche sociali in Colombia nel periodo 1980-2000” sostengono che: “La trasformazione radicale della struttura economica – conseguenza dell’errata politica di liberalizzazione commerciale e cambiaria applicata negli anni ’90 – ha avuto un’incidenza così negativa sul benessere della popolazione al punto di annullare i successi che erano stati conseguiti nel decennio precedente. L’apertura economica e la politica monetaria e cambiaria che l’hanno resa possibile, hanno generato una dinamica perversa, che si è evidenziata con il deterioramento della produzione, la perdita della competitività e il peggioramento dei principali indicatori sociali.”340 Il Plan Nacional de Desarrollo per il quadriennio 1998-2002 impegnava il governo a “stimolare la partecipazione dei privati nei settori degli acquedotti e delle fognature, nella concessione dell’amministrazione delle reti viarie, degli aeroporti regionali, delle piccole 338 Ahumada Consuelo, El modelo neoliberal y su impacto en la sociedad colombiana. El Ancora Editores, Bogotà, 1998, pag. 241. 339 Ibidem, pag. 22. 340 AA. VV., Politicas sociales en Colombia 1980-2000. CINEP, Bogotà, 2002, pag. 106. 124 centrali idroelettriche, delle reti di distribuzione, dei fiumi, dei canali navigabili e dei porti della rete fluviale nazionale, nella prestazione dei servizi di telecomunicazione”.341 L’apertura dell’economia ai capitali e ai prodotti stranieri (in buona parte di provenienza statunitense) ha reso sempre più profondo il processo di deindustrializzazione dell’economia colombiana a favore di una relativa terziarizzazione. Solo nel periodo tra il 1990-1995 la partecipazione del settore industriale sul PIL si è ridotta dal 18,7% al 16,2%.342 La competitività dell’industria nazionale si è progressivamente deteriorata perché, come sostiene Suárez Montoya, “gli imprenditori colombiani non competono con l’estero sulla base della produttività ma solo attraverso una profonda riduzione dei salari.”343 Pertanto, “tagliati i salari e la manodopera impiegata, gli industriali hanno convertito la loro produzione alle esportazioni che non sono altro che l’assemblaggio o la confezione di beni importati; produzione che non aggiunge maggior valore aggregato e che priva l’intero comparto industriale di una politica che risponda agli obbiettivi nazionali dello sviluppo e dell’occupazione, per sottoporlo agli interessi e alle finalità delle maggiori imprese transnazionali.”344 Con l’apertura neoliberista è stato definitivamente abbandonato il modello di produzione nazionale dei beni di base, di sostituzione delle importazioni di beni intermedi con prodotti locali. In Colombia e nel resto dei paesi dell’America Latina gli anni ’90 sono stati pertanto caratterizzati dalla cosiddetta “riprimarizzazione” del settore delle esportazioni. Nel 1997, il 63,2% delle esportazioni colombiane aveva origine dal settore primario rappresentato da caffè, fiori, banane, idrocarburi, carbone, ferro, oro, smeraldi e petrolio.345 Il nuovo trend delle esportazioni assieme al decifit della bilancia commerciale sono tra le cause principali dell’indebitamento della Colombia. Se nel 1990 il debito estero ammontava a 14.966 milioni di dollari, nel 1997 aveva raggiunto i 29.454 milioni di dollari. Nel 2001 esso era ulteriormente cresciuto raggiungendo la cifra di 49.000 milioni di dollari.346 Parallelamente alla crescita del debito estero si è registrata la vertiginosa crescita degli interessi che il paese deve pagare annualmente per il suddetto debito: a fine 341 Presidencia de la Repùblica, Departamento Nacional de Planeaciòn, Cambio para construir la paz. Plan Nacional de Desarrollo 1999-2002. Tercer Mundo Editores, Bogtà, 1998, pag. 80. 342 Yepes A., Quien se beneficia del ajuste, la guerra y el libre mercato? Paper, Bogotà, 2002. 343 Suarez Montoya A., Modelo del FMI. Economia colombiana 1999-2000. Ediciones Aurora, Bogotà, 2002 pag. 89. 344 Palacio Sarmento E., Como construir una nueva organización económica. Editorial Escuela Colombiana de Ingenieria, Bogotà, 2000, pag. 88. 345 AA. VV., Politicas sociales en Colombia 1980-2000. CINEP, Bogotà, 2002, pag. 67-68. 346 Controlería general de la República,Colombia: entre la exclusión y el desarrollo. Bogotà, 2000. 125 2000 i servizi del debito hanno rappresentato il 36,2% dell’intero bilancio statale; l’anno successivo avevano già raggiunto il 41%.347 L’applicazione del modello di sviluppo neoliberista ha avuto i suoi effetti più gravi sull’agricoltura e sul mondo rurale, contribuendo ad accrescere la dipendenza alimentare del paese dai maggiori produttori internazionali. Lo smantellamento dei diversi sistemi di protezione delle produzioni tipiche nazionali, dei sussidi e dei sostegni a favore degli agricoltori, la forte riduzione dei dazi doganali per i prodotti d’importazione dal 38% al 12%, hanno fortemente ridotto il peso dell’agricoltura nell’economia nazionale, che è passata dal 40% nel 1950 al 12% odierno.348 Il conseguente processo di fuga dalle campagne ha determinato la perdita, secondo il Ministero dell’Economia, di un milione di ettari coltivabili, cioè il 25% dell’intera area coltivabile del paese.349 Inoltre, mentre si riducono le aree delle coltivazioni transitorie, destinate all’alimentazione della popolazione (fagioli, mais, riso, patate), crescono invece quelle destinante alle culture permanenti, ossia ai prodotti destinati all’esportazione, e caratterizzate dalla monocultura delle cosiddette “coltivazioni tropicali” (palma africana, canna da zucchero, banane e tabacco). Nel corso degli anni ‘90 le aree coltivate a cereali e oleaginose si sono ridotte di 760.446 ettari, ossia del 37,4%; mentre, nello stesso periodo, la superficie delle coltivazioni permanenti è aumentata di 290.000 ettari.350 Il processo di impoverimento della terra destinata all’agricoltura ha raggiunto dimensioni tali che, su 18,3 milioni di ettari potenziali, solo 4,4 milioni sono attualmente coltivati: il resto è destinato a pascolo per gli allevamenti estensivi.351 Questo processo di “rilatifondizzazione”352 del territorio colombiano, che sembra presentare tutte le caratteristiche di una controriforma agraria, è una delle cause principali del lungo conflitto sociale che ha interessato le aree rurali del paese. Secondo Hector Mondragòn, all’origine di tale processo sono riconoscibili un insieme di fenomeni politici ed economici. In primo luogo, l’espansione di gruppi paramilitari. Essa ha di fatti costretto le popolazioni locali ad abbandonare la propria terra, favorendo così i processi di concentrazione della proprietà terriera a vantaggio dei narcotrafficanti, degli allevatori, degli speculatori e degli stessi capi paramilitari. In secondo luogo, come si è già visto, 347 Portafolio, 3 agosto 2000, pag. 32. El editorial agrario, luglio-settembre 1999, pag. 10. 349 Ibidem. 350 Balcazar A., Las transformaciones agrícolas en la décade de los noventa. Misión Rural, Bogotà, 1998, pag. 6. 351 Semana, La tierra del olvido, 7 gennaio 2002, pag. 28-29. 352 Mondragòn Hector, Relatifundaciòn y megaproyectos en Colombia, pag. 3, www.gratisweb.com/ciclocrisis. 348 126 l’economia del narcotraffico ha prodotto una nuova tipologia di acquirenti di terra. La loro entrata nel mercato d’acquisto ha contribuito a provocare, da un lato, un aumento del costo del denaro e del credito che a sua volta ha favorito le speculazioni; dall’altro, il fallimento economico dei piccoli e medi coltivatori, rifugiatisi nelle zone di colonizzazione per cause economiche o per fuggire alla violenza. Infine, l’apertura economica ha aumentato le importazioni di prodotti alimentari del 700%, provocando una drastica riduzione dell’area nazionale coltivata. La fine degli investimenti pubblici nel settore agricolo, degli incentivi statali alle esportazioni e dell’intervento pubblico nella commercializzazione di beni e servizi agricoli sono misure adottate in accordo alle imposizioni delle organizzazioni finanziarie internazionali e del maggior partner economico: gli Stati Uniti. Il fine raggiunto è stato quello di rendere i maggiori prodotti agroindustriali colombiani più competitivi sul mercato internazionale ma, dall’altra, questo ha contribuito all’ulteriore accumulazione della terra. Pertanto, secondo Mondragón, il nodo dell’ingiustizia imperialistica delle potenze occidentali sta in questo: mentre esse impongono ai paesi terzi l’adozione di modelli di sviluppo che eliminano qualsiasi incentivo a favore dei produttori locali, mantengono sussidi elevatissimi per gli agricoltori che vivono dentro i loro confini.353 Risultato di questa accumulazione senza limiti della terra è sintetizzabile in un solo dato: in Colombia solo l’1,8% dei proprietari agrari possiede il 53% della terra.354 La ristrutturazione del narcotraffico. Per catturare i capi del cartello di Medellìn e porre un freno alla “guerra allo Stato”355 scatenata dai narcos a fine anni ’80 le autorità colombiane e statunitensi si avvalsero non solo del contributo della DEA, della CIA e dei corpi di sicurezza colombiani, ma anche della collaborazione degli uomini del cartello di Cali e di alcuni gruppi paramilitari ad esso legati.356 Fu così che nel 1989 venne ucciso Gonzalo Rogriguez Gacha, mentre Pablo Escobar si consegnò alle autorità nel 1991. Per alcuni anni Don Pablo continuò a manovrare il suo impero criminale da una prigione in cui riuscì a non farsi mancare nulla, grazie alla collaborazione delle forze militari colombiane. La complicità dell’esercito fu tale da rendergli addirittura possibile la fuga, avvenuta nel 1992. Fu in seguito a questo episodio, in cui la credibilità dell’esercito subì un durissimo colpo a livello internazionale, 353 Ibidem. Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003, pag. 89. 355 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003, pag. 83. 356 Patiño Otto, Las verdaderas intenciones de los paramilitares. Observatorio de paz, Intermedio, Bogotà, 2002. 354 127 che Washington decise di procedere nella riforma del corpo di polizia colombiano. Gli inseguimenti continuarono fino al 1993 quando Pablo Escobar venne ucciso. Tra il 1995 e il 1996 anche il cartello rivale venne smantellato: alcuni dei suoi capi vennero uccisi, altri, come i fratelli Orejula, finirono in carcere dopo aver definito le condizioni del loro “assoggettamento alla giustizia”.357 Negli anni a seguire il sistema del narcotraffico colombiano si sottopose ad un processo di ristrutturazione che gli permise non solo di mantenere in vita le sue attività, ma addirittura di accrescerle. Se nel 1995 le coltivazioni di coca corrispondevano a 50.900 ettari, nel 2000 avevano raggiunto la cifra di 136.200 ettari.358 Nel loro libro preparato per la Forze Aeree degli Stati Uniti Angel Rebasa e Peter Chalk sostengono che da allora in avanti il sistema del narcotraffico colombiano è stato caratterizzato da un’organizzazione più “diffusa.”359 A partire dalla seconda metà degli anni ’90 il mercato della droga ha cominciato ad essere controllato da cellule di dimensioni minori, dotate di una maggiore autonomia e comunicanti tra loro attraverso i nuovi mezzi di comunicazione (Internet e telefoni cellulari). I rapporti di potere della nuova criminalità organizzata colombiana, che continua a controllare una grossa fetta del mercato mondiale delle sostanze illegali (secondo le cifre del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti nel 1999 la Colombia produceva l’80% della produzione globale di cocaina360), si snodano secondo una logica di tipo orizzontale. I piccoli gruppi che la costituiscono affidano molte delle attività legate al traffico a specialisti del settore, i quali si offrono per delle collaborazioni, anziché entrar a far parte integrante della struttura. “L’effetto immediato della passata repressione è stata la disorganizzazione dei grandi network. Per fare di necessità virtù, queste grandi organizzazioni hanno rapidamente realizzato che le strutture decentralizzate sono molto meno vulnerabili ed hanno quindi iniziato il processo di trasformazione per adattarsi alla nuova situazione.”361 L’operazione Millenium messa in atto dalle autorità statunitensi e colombiane conclusasi nel 1999 con lo smantellamento del gruppo di Alejandro Bernal è stata determinante, secondo questi due analisti, per cogliere i cambiamenti appena descritti. Essa ha di fatti 357 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 172. Fonte: Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, International Narcotics Control Strategy Report, 1996 e 2000, Bureau for International Narcotics and Law. 359 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 14. 360 Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Bureau for International Narcotics and Law, International Narcotics Control Strategy Report, 1999. Washington D.C., 2000. 358 128 messo in luce che questo gruppo non costituisce “un’entità unica e isolata, ma appare piuttosto un’organizzazione enorme, alimentata da molte altre cellule più piccole, contrattate a tempo determinato per delle singole operazioni.”362 Questo è quanto emerge dalle dichiarazioni di un ufficiale della polizia antinarcotici colombiana a conclusione dell’operazione: “stimiamo ci siano diverse centinaia di piccoli cartelli operanti secondo una modalità atomizzata. Alcuni di questi gruppi confluivano nell’organizzazione che abbiamo smantellato, ma ci sono diverse altre organizzazioni che non abbiamo ancora identificato, grandi come quella di Bernal, la cui forza è derivata dalla collaborazione di organizzazioni più piccole”.363 Daniel Pecaut sostiene invece che gli adattamenti dei grandi cartelli del passato alla nuova situazione non siano stati di così ampio respiro. Secondo le sue considerazioni, anche se con un “profilo più basso, le grandi organizzazioni di Cali e Medellìn possiedono ancora molte ramificazioni; quella del Norte del Valle, ad esempio, è più forte che mai”.364 Tale diversità di vedute è facilmente spiegabile se si prende in considerazione la teoria del sociologo francese secondo cui “il termine cartello è di per sé discutibile”365 se applicato al sistema del narcotraffico colombiano, anche nella decade degli anni ’80, in quanto “esso implica una coordinazione che esiste solo parzialmente nella realtà colombiana”.366 La logica di funzionamento dei cartelli si è sempre avvicinata a quella di un’impresa economica, piuttosto che ad un’organizzazione politica con un controllo stabile su un territorio determinato: “questi cartelli erano, soprattutto, centrali di commercializzazione che si appoggiavano ad una molteplicità di collaboratori relativamente autonomi”.367 Gli uomini da loro assoldati in modo diretto, scelti in base a vincoli di tipo familiari o di amicizia, hanno sempre rappresentato un numero limitato in proporzione alla grandezza del loro raggio d’azione. La particolarità del tessuto sociale di un “paese di colonizzazione non controllata”368 in cui sono emerse le reti dei narcotrafficanti, ha garantito loro la disponibilità di “numerosi circoli concentrici di persone che intrattenevano con loro un qualche tipo di relazione: quelli che ricevevano da loro l’appoggio finanziario (come numerosi poliziotti di Cali a fine anni ’80); quelli che portavano a termine per loro 361 Geopolitical Drug Watch, A drug primer for the late 1990s. Nella rivista Current History, n. 97/618, 1998, pag. 151. 362 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 15-16. 363 New drug cartels hold tech advantage, Washington Post, 15 novembre 1999. 364 Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003, pag. 157. 365 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 158. 366 Ibidem. 367 Ibidem. 368 Ibidem, pag. 163. 129 eventuali contratti (come i sicari di Medellìn) o quelli che beneficiavano, in maggiore o minor misura, della generosità dei loro capi.”369 È per questo che in Colombia i cartelli “non hanno mai avuto la necessità di assumere una struttura generale di protezione, né un controllo territoriale stabile, né un sistema di regole orientate ad organizzare la vita collettiva”.370 Quando il potere acquisito dai narcotrafficanti è arrivato a far vacillare l’intero sistema delle istituzioni statali a fine anni ’80 la tolleranza implicita del governo nei confronti di tali organizzazioni illegali ha lasciato il posto a politiche di repressione. Ancora una volta, la “razionalità fondata nella difesa dei loro interessi si è imposta sopra qualsiasi altra logica: La frammentazione delle reti ha costituito la risposta più adeguata per proteggersi contro le misure di repressione.”371 Anche per Pecaut il processo di segmentazione che ne è derivato ha concesso ai capi secondari di acquistare una maggiore autonomia, determinando lo sviluppo di nuclei di organizzazione criminali di più modeste dimensioni, in grado di controllare la produzione delle sostanze illegali, attraverso piccoli laboratori mobili, e la distribuzione delle stesse nella propria fetta di mercato. Ciò non toglie però che queste cellule facciano riferimento a centrali molto più grandi. La nuova configurazione del sistema del narcotraffico sembra aver tratto molti spunti dall’organizzazione di quello che era il cartello colombiano minore nella decade degli anni ’80, quello controllato da Gilberto Rodriguez Orejula. Con la sua personale scelta di non costituire mai una sfida al potere costituto scendendo direttamente in campo politico, preferendo utilizzare i soldi alle armi per il perseguimento dei propri interessi, diversificando in misura più ampia i propri investimenti372 e mettendo in piedi un potere fondato su cellule separate rette da una ferrea disciplina, Orejula ha fornito il “modello da seguire per i futuri signori della droga colombiani”.373 Quello che per Guido Piccoli rappresenta il vero cambiamento occorso dalla metà degli anni ’90 è la scomparsa delle “megastrutture dotate di imponenti apparati militari”.374 Da allora in avanti i narcotrafficanti hanno ritenuto più vantaggioso optare per una più netta divisione dei compiti con i gruppi paramilitari. In particolare, i fratelli Castaño si sono affermati come 369 Ibidem, pag. 166. Ibidem, pag. 167. Tale funzione di protezione, capace di supplire ad una mancanza di reciproca fiducia, è quella che secondo Dino Gambetta caratterizza invece il sistema mafioso siciliano. Vedi D. Gambetta, The sicilian mafia. The business of private protection. Cambridge, Harvard University Press, 1993. 371 Ibidem, pag. 168. 372 Oltre ad imporsi nel settore agricolo ed edilizio, Orejula cercò da subito di estendere il suo potere e la sua influenza nel settore finanziario. 373 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994, pag. 227. 374 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 106. 370 130 interlocutori tra i due nuclei di potere, garantendo ai narcotrafficanti la massima sicurezza dei loro interessi e delle loro proprietà senza confusioni di ruolo, rivelatesi dannose per entrambe le organizzazioni criminali. Se l’uso delle armi da parte dei narcotrafficanti aveva risvegliato una reazione frontale del potere statale trasformando le loro organizzazioni in facili bersagli delle autorità, la nuova politica di repressione messa in atto dal governo aveva determinato conseguenze ancor più dure per i gruppi paramilitari. Sotto le pressioni USA e in seguito all’omicidio di Galàn, durante il governo Barco la linea della guerra frontale al narcoterrorismo fu diretta contro tutte le sue manifestazioni, paramilitarismo compreso. Il fenomeno paramilitare colombiano attraversò quindi la sua prima grande crisi, in cui si determinò la “fine dell’egemonia del gruppo di Puerto Boyacà come base dei gruppi di autodifesa che, protetti dal decreto legislativo 3398375 del 1965 del presidente Guillermo Leon Valencia, erano sorti tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80.”376 Lo smantellamento del gruppo egemonico, avvenuto tra il 1989 e il 1992, risentì gravemente della morte di Rodriguez Gacha, narcotrafficante a capo del gruppo. L’inarrestabile crescita del fenomeno paramilitare. In pochissimo tempo le forze paramilitari riuscirono a riorganizzarsi grazie al sostegno immutato dei tre alleati d’eccezione che ne avevano permesso l’inarrestabile crescita nel corso dell’ultimo ventennio: i grandi latifondisti, i narcotrafficanti e le Forze Armate locali e nazionali. Nel 1994 molti gruppi regionali confluirono nell’organizzazione fondata da Fidel Castaño a fine anni ’80, le Autodifensas Campesinas de Cordobà y Urabà (ACCU). Grazie ad una serie di massacri e assassini selettivi a danno delle forze civili di sinistra di questi due dipartimenti, confinanti con la regione panamense, l’ACCU si era affermata come uno degli “squadroni della morte” più violenti e pericolosi del paese. In quell’anno il capo di tale organizzazione morì e il suo posto venne preso dal fratello minore Carlos, le cui aspirazioni a creare una forza di portata nazionale ebbero ben presto modo di realizzarsi. Fu così che nel 1997 l’organizzazione assunse il nuovo nome di Autodifensas Unidas de Colombia (AUC). Il fine dichiarato da tale organizzazione è quello di ristabilire il controllo e l’ordine nel paese e di eliminare i gruppi insurrezionali armati. Come afferma Jenny Pearce, si tratta di “una forza militare brutale e potente, autonoma rispetto all’esercito colombiano, che ne condivide però gli obbiettivi e gli fornisce gran parte del supporto 375 Decreto che tre anni più tardi venne formalizzato con la legge n. 48, che autorizzava il governo a creare pattuglie civili e a rifornirle di armi di uso esclusivo dell’esercito. 376 Patiño Otto, pag. 11. 131 effettivo.”377 Nel 2001 Carlos Castaño, spinto dalla volontà di affermare la propria organizzazione come un soggetto politico nazionale, ha abbandonato la carica di comandante militare autoproclamandosi capo del “consiglio d’amministrazione politico.” Salvatore Mancuso ha assunto la carica di capo militare delle AUC. Fino a questo momento le AUC non hanno ancora fondato alcun partito politico vero e proprio, preferendo sostenere a livello locale dei candidati compatibili con i loro interessi. “La strategia e i mezzi utilizzati dalle AUC rispecchiano quelli della guerriglia. Le AUC stanno cercando di estendere il loro controllo a livello locale ed esercitare influenza politica attraverso il controllo o l’intimidazione degli ufficiali locali. La loro strategia consiste nel competere per il controllo delle aree di produzione di sostanze illegali, dove la guerriglia incontra le sue maggiori fonti di finanziamento”.378 In relazione ad alcune dichiarazioni di Castaño, pare che la ricerca di fedeli alleati tra le elite politiche dominanti sia arrivata al piano nazionale. L’attuale presidente Alvaro Uribe è stato da lui dichiarato come “l’uomo più vicino alla filosofia delle AUC”379. Sempre con le parole di Castaño, “la base sociale delle AUC lo considera come il proprio candidato politico.”380 Tale vicinanza è stata denunciata durante la campagna politica del 2002 anche dai gruppi d’opposizione di Uribe, che si sono spesso riferiti a lui come il “candidato dei paramilitari”.381 Nel settembre del 2002 gli Stati Uniti hanno avanzato la richiesta di estradizione di Carlos Castaño, con l’imputazione di collusioni col narcotraffico. Il successivo annuncio di Castaño di avviare una ristrutturazione della sua organizzazione al fine di eliminare le componenti più vicine ai narcotrafficanti non è valsa a far cadere la richiesta di estradizione. I primi anni ’90 furono caratterizzati anche dalla nascita delle Cooperativas comunitarias de vigilancia rural (Convivir), promosse dal presidente Samper. Proposte come “strumenti di difesa civile”, finanziate dai privati, armate e coordinate da polizia ed esercito, le Convivir sembravano una fotocopia dei gruppi di autodifesa contadina creati vent’anni 377 Pearce Jenny, nell’introduzione dell’opera di Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 11. 378 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 55. 379 Aranguren Molina M., Mi confesión. Carlos Castaño revela sus secretos. Editorial Oveja Negra, Colombia, 2001, pag. 177. 380 Ibidem. 381 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004; Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 220. 132 prima dalla legge 48. “Le Convivir […] furono deliberatamente create per evitare le sembianze dei gruppi paramilitari illegali.”382 Con esse il governo voleva promuovere la partecipazione della popolazione civile nella battaglia contro le organizzazioni sovversive, senza conferire loro un assetto di milizia. Oltre a svolgere funzioni di intelligence, i loro membri vennero autorizzati ad utilizzare armi secondarie. Nella seconda metà degli anni ’90 lo Stato colombiano si pronunciò a favore della loro messa al bando: fu allora che molti loro membri confluirono nelle AUC. Secondo i dati messi a disposizione dal Ministro della Difesa colombiano nel 2001 le AUC contavano 10.600 unità.383 Secondo Alfredo Rangel384 la sottovalutazione del problema paramilitare da parte dello Stato ha contribuito all’espansione progressiva del fenomeno. Se inizialmente questi gruppi erano nati da esigenze di carattere difensivo a sostegno dei diritti di proprietà, ben presto le loro azioni si iscrissero in una più ampia strategia d’attacco per il controllo territoriale, rivolta contro i gruppi guerriglieri e i loro simpatizzanti. Per Rangel “gruppi paramilitari colombiani rispondono ad un progetto controinsurrezionale di carattere civile”385. Man mano che il loro potere si è espanso, grazie principalmente ai finanziamenti dei narcos, le loro pretese sono cresciute tanto che, a partire dagli anni ’80, hanno cominciato a rivendicare il diritto di essere riconosciuti come soggetti politici e a pretendere di svolgere un ruolo di arbitro nel processo di pace tra lo Stato e i gruppi guerriglieri. Per Gary Leech, è stato il massiccio intervento statunitense, giustificato in nome della “lotta alla droga”, ad “esacerbare la situazione di per sé disastrosa”386. Per lo studioso la crescita del fenomeno paramilitare colombiano non può prescindere dal significativo ruolo svolto nell’addestramento degli “squadroni della morte” e nella modernizzazione delle loro tecniche di combattimento, ad opera dell’Istituto per la Cooperazione alla Sicurezza dell’Emisfero Occidentale dell’Esercito degli Stati Uniti, creatore e finanziatore delle School of Americas (SOA). A tal riguardo John Green387 non mette in dubbio la partecipazione statunitense, ma sottolinea che molti “squadroni della 382 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 54. 383 Echeverry J. C., Manejo de riesgos del Estado: violencia, secuestro y seguridad personal. Departamento Nacional de Planeación. www.dnp.gov.co/03_PROD/PRESEN/0p_dir.htm. 384 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador y Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001. 385 Ibidem, pag. 412. 386 Leech Gary, Killing peace: Colombia’s conflict and the failure of U.S. intervantion. Information Network of the Americas, New York, 2002, pag. 2-3. 387 Green John, Guerrillas, soldiers, paramilitaries, assassins, narcos and gringos: the unhappy prospects for Peace and democracy in Colombia. Nella rivista Latin American Research Review, vol. 40, n. 2, Giugno 2005. 133 morte” colombiani hanno goduto di vari decreti a loro favore, se non di veri e propri finanziamenti, da parte di numerosi governi colombiani fin dagli anni ’40. Nella sua opera Leech enfatizza come ogni passo avanti fatto nella “lotta alla droga” abbia contribuito “all’emergere di una nuova, più efficiente ed oscura organizzazione”388. Egli non esita a mettere in relazione l’avanzata del processo di globalizzazione in Colombia con la guerra sucia e l’attitudine dei gruppi paramilitari a riconoscere come bersagli primari gli attivisti non governativi e i leader sindacali. Il tutto a beneficio degli interessi delle corporazioni statunitensi. Considerazioni condivise anche da Nazih Richani, secondo cui all’origine dell’attuale forza dei gruppi paramilitari colombiani sta la “terribile alleanza”389 tra narcotrafficanti, grandi proprietari terrieri, multinazionali, gruppi industriali e rappresentanti dello Stato colombiano, suggellata nel 1983 nel Magdalena Medio con la formazione delle ACCU. Sulla base di queste già collaudate collaborazioni, tre differenti formazioni paramiliari (quella legata alla mafia sviluppatasi sulle ricchezze derivanti dal traffico di smeraldi, quella legata alle reti dei narcotrafficanti, quella legata alle elite latifondiste) “confluirono negli anni ’90 sotto una leadership unica e con un progetto politico conservatore a sostegno delle Forze Armate dello Stato”.390 Da allora “i massacri sono diventati uno strumento effettivo nel processo di concentrazione della terra.”391 La guerriglia. La gravità della crisi istituzionale in cui si ritrovò il paese a fine anni ’80 condusse le elite politiche a ritenere opportuno rifondare lo Stato sulla base di un sistema più partecipativo e decentralizzato, più orientato alla giustizia sociale, più trasparente e meno corrotto. Alle consultazioni elettorali indette nel 1990 per la nomina dei delegati dell’Assemblea costituente si registrò, però, il più basso tasso di affluenza dal 1958, anno della restaurazione del sistema costituzionale: ben il 74% degli aventi diritto al voto non parteciparono alle consultazioni.392 Sulla base di questo dato è pertanto possibile mettere in discussione la base legale dell’Assemblea. 388 Leech Gary, Killing peace: Colombia’s conflict and the failure of U.S. intervantion. Information Network of the Americas, New York, 2002, pag. 43. 389 Richani Nazih, Sistems of violence: the political economy of war and peace in Colombia. Albany, SUNY Press, 2002, pag. 102. 390 Ibidem, pag. 104. 391 Ibidem, pag. 120. 392 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press, 2002. 134 Il nuovo testo costituzionale affermava per la prima volta principi fondamentali quali la garanzia e il rispetto dei diritti umani, il riconoscimento della pluralità etnica della popolazione colombiana, il rispetto ambientale e il necessario avvio di processi di democratizzazione e decentralizzazione del potere. Essa si appellava alla società colombiana perché si compromettesse in un processo di riconciliazione, tale da permettere l’incorporazione delle bande armate illegali nel tessuto sociale nazionale. Contemporaneamente, il testo costituzionale indeboliva il potere del Congresso a vantaggio del presidente, dell’esecutivo e delle municipalità. Al presidente venivano riconosciute ampie prerogative nella vita economica della nazione, nelle relazioni internazionali, nella riorganizzazione dell’amministrazione pubblica e del sistema giudiziario. Forti poteri venivano assicurati all’Esecutivo nella programmazione economica, nelle politiche fiscali, nell’elaborazione del bilancio nazionale e nella gestione del debito e del commercio estero. Le autorità locali vennero rafforzate attraverso la decentralizzazione del fisco: misura questa che ha accentuato nel paese la polarizzazione tra aree povere e ricche. Inoltre, l’introduzione dell’elezione diretta dei sindaci e di un differente calendario elettorale sul piano locale hanno formalizzato quel processo di “frammentazione politica”393 avviatosi, dalla fine degli anni ‘70, in seguito alla progressiva sostituzione dei leader del Fronte Nazionale con una nuova classe politica più legata agli interessi locali e regionali. Rispetto al testo costituzionale del 1958, infine, la nuova costituzione limitava le condizioni in cui poter dichiarare lo stato d’emergenza, “ma non affrontò la delicata questione del ruolo delle Forze Armate in un paese democratico”.394 La partecipazione alla competizione elettorale per la formazione dell’Assemblea costituente aperta alla nuova coalizione denominata Acciòn Democratica-M19, guidata dall’ex guerrigliero Antonio Navarro Wolf, doveva essere la prova delle buone intenzioni dell’elite politica. La formazione di tale coalizione era stata possibile grazie agli accordi di pace firmati nel 1989 dal presidente Barco e dalla rappresentanza dei militanti dell’M19 e dell’EPL. In seguito all’offerta di abbandonare le armi da parte della Coordinadora Guerrillera Símon Bolívar (CGSB), negli ultimi mesi della presidenza Barco, anche i vertici militari concessero una tregua. Lo stesso giorno delle consultazioni elettorali del 1990 però, l’esercito attaccò senza successo la Casa Verde, sede centrale riconosciuta delle FARC, situata in corrispondenza del Dipartimento del Meta, ricominciando la guerra contro le due formazioni ancora attive: le FARC e l’ELN. Quest’iniziativa militare voleva 393 Ibidem, pag. 338. 135 mostrare il dissenso dell’esercito alle proclamazioni di pace del neoeletto presidente Gaviria (1990-1994). Nel 1994 l’ELN uscì dalla Coordinadora Guerrillera Símon Bolívar: le tensioni tra le due formazioni guerrigliere erano giunte ad un punto di non ritorno. Anche negli anni in cui condivisero l’esperienza della CGSB, i due gruppi erano rimasti di fatto distinti. Oltre alla differente base sociale e alla diversa tipologia del territorio sotto il loro controllo395, i militanti dell’ELN si erano differenziati per aver sempre rifiutato di trarre vantaggio dalla produzione e dal traffico di sostanze illegali. La posizione dell’ELN su questo tema è stata determinata non solo dalla scarsa presenza dell’organizzazione in territori coltivati a coca, ma anche dalla visione politica molto ideologica del gruppo, fortemente permeato dalle idee e dai valori cristiani.396 Al contrario, il carattere ideologico delle FARC aveva dimostrato di essere meno radicato tra la sua base sociale rurale, legata ad una razionalità molto più pragmatica e quindi adattabile alle circostanze imposte dalla logica della guerra. Anche se la sua organizzazione interna si è sempre distinta per essere autoritaria e gerarchica, come spesso accade alle organizzazioni politiche i cui membri hanno un’origine popolare397, gli ambigui rapporti che hanno da sempre caratterizzato le relazioni tra la dirigenza delle FARC e del Partito Comunista ha reso possibile una maggiore dinamicità dell’organizzazione, soprattutto “a seguito del cambiamento della natura della guerra – consolidamento narcotraffico e caduta dell’Unione Sovietica – che ha permesso alle FARC di acquistare una sempre più grande autonomia rispetto al Partito Comunista, fino ad arrivare all’indipendenza totale.”398 A partire dal 1994 le tensioni tra i due gruppi si svilupparono attorno alle diverse strategie d’azione adottate: “se le FARC si concentrarono sulla crescita militare, l’ELN preferì 394 Ibidem, pag. 337. La base sociale delle FARC è sempre stata di origine rurale, forte soprattutto in corrispondenza delle zone di recente colonizzazione. L’unica occasione in cui ha goduto di un apporto decisivo tra le componenti urbane è stata durante la seconda metà degli anni ’80. Grazie a questo ampio sostegno e in seguito al processo di pace avviato da Betancur fu possibile la creazione dell’Uniòn Patriotica. Al contrario, la base sociale dell’ELN è sempre stata di origine urbana: dapprima legata agli ambienti intellettuali ed universitari, in seguito si è allargata tra i settori più disagiati della città. 396 Corporación Observatorio para la Paz, Las verdaderas intenciones dell’ELN. Intermedio, Bogotà, 2001; Rangel A., La dinámica y la perspectiva de la confrontación armada. Nell’opera: Casa de América, Democrazia y paz, Madrid, 2002. 397 Panebianco A., Modelli di partito. Organizzazione di potere nei partiti politici. Il Mulino, Bologna, 1982. 398 Guiterrez F., Prologo dell’opera di Ferro Medina G. e Uribe Ramón G., El orden de la guerra. Las FARC-EP entre la organización y la política. Centro Editorial Javeriano, Bogotà, 2002, pag. 14 395 136 tentare di aprire un dialogo con la società civile”.399 Il ricorso alla tassazione sulla produzione e sul traffico della droga da parte delle FARC aveva difatti aumentato visibilmente le forze sul campo degli uomini di Marulanda, che dalla metà degli anni ’90 dimostrarono di essere in grado di attaccare su multipli fronti con colonne di più di 1000 uomini, dotati di armi moderne. Si stima che il numero dei combattenti delle FARC sia passato da 3.600 unità nel 1986 a 16.000-20.000 unità nel 2001400; anche il numero dei militanti dell’ELN è aumentato rispetto al 1986 (in cui si contavano appena 800 uomini) ma, dopo aver raggiunto il massimo di 5.000 unità nel 1995, esso è tornato ad abbassarsi oscillando tra 3.500 e 4.500 unità nel 2001.401 Forse mossa dalla consapevolezza di una capacità militare ben più ridotta, la dirigenza dell’ELN promosse allora la nascita di un forum, in cui vennero invitati i rappresentanti di diversi settori per partecipare al dibattito sulle riforme sociali ed economiche necessarie allo sviluppo della nazione. Per la ripresa del dialogo tra governo e guerriglia si dovette attendere l’elezione del conservatore Pastrana (1998-2002): sia le FARC che l’ELN rifiutarono difatti con decisione di scendere al tavolo delle trattative con il presidente Samper, la cui vicinanza ai narcos, e di conseguenza ai paramilitari, aveva messo in serio dubbio la credibilità politica. Fu così che nel 1998, davanti agli occhi increduli dell’intera nazione, ancora in piena campagna elettorale si svolse lo storico incontro trasmesso in TV tra Pastrana e il leader indiscusso delle FARC, Manuel Marulanda, in una località sconosciuta della foresta amazzonica colombiana. Per qualche mese molti membri della società civile crederono davvero nella possibilità della fine del conflitto. Il mese successivo l’ELN organizzò un meeting in Germania a cui parteciparono la Chiesa, alcuni sindacati e alcune ONG. Oltre alla discussione sulle necessarie riforme da attuare a lungo termine nella nazione colombiana, l’ELN rivendicava la concessione di una zona smilitarizzata, dove la garanzia del mantenimento della tregua fosse affidata a delle forze internazionali. La debolezza militare del gruppo però, fece sì che il governo decidesse di scendere a trattative solo nel 1999, in seguito al dirottamento di un aereo commerciale 399 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London, 2003, pag. 212. 400 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 26; fonte: Rangel A. Colombia: Guerra en el fin de siglo, Tercer Mundo Editores, Bogotà 1998. I dati messi a disposizione dal Ministro della Difesa per il 2001 riportano la cifra di 16.600 unità. 401 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 26; fonte: Rangel A. Colombia: Guerra en el fin de siglo, Tercer Mundo Editores, Bogotà 1998. I dati messi a disposizione dal Ministro della Difesa per il 2001 riportano la cifra di 4.500 unità. 137 dell’Avianca in cui si trovavano 56 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio, e della messa sotto sequestro per una settimana di un’intera congregazione di una Chiesa di Cali. La zona scelta dall’ELN corrispondeva a due municipalità, situate in quella che era da sempre stata la roccaforte dell’organizzazione e che, dalla seconda metà degli anni ’80, si era rivelata come zona strategica per la presenza del petrolio: si trattava dei dipartimenti di Arauca, Santander e Casanare, a nord-est del paese. Non a caso, nell’ultimo ventennio la presenza delle forze paramilitari era cresciuta in maniera progressiva in questi territori, a conferma dell’aumentato loro valore strategico. Il valore degli interessi in gioco era così alto, che ancor prima dell’annuncio ufficiale dei propositi dell’ELN, vennero organizzate numerose proteste di massa e la zona smilitarizzata non venne mai creata. Nel 2002 l’amministrazione Pastrana bloccò definitivamente le trattative avviate. Anche il fallimento delle trattative con le FARC non tardò ad arrivare, grazie alla collaborazione di entrambe le parti in causa. Da parte loro, per tutta la durata del processo di pace le FARC continuarono ad avanzare militarmente, riuscendo ad assicurarsi il totale controllo di un’aerea delle dimensioni di 42.000 chilometri quadrati, in corrispondenza dei Dipartimenti del Meta e del Caquetà, attorno alla “zona smilitarizzata” concessa da Pastrana nel novembre del 1998. Quest’area, liberata dalla presenza dell’esercito, avrebbe dovuto costituire il luogo neutrale in cui permettere lo svolgimento delle trattative di pace. Di fatto le FARC utilizzarono il territorio per “rafforzare la propria capacità militare, espandere la propria influenza territoriale e continuare le operazioni di sequestro e di estorsione contro la popolazione civile.”402 Il dialogo con Pastrana fu quindi intervallato da lunghi periodi di stallo: senza il raggiungimento di una tregua sul campo di battaglia, le FARC hanno continuato a rappresentare una minaccia armata concreta. Secondo Angel Rangel, dato che le condizioni imposte dalle FARC durante le trattative con il governo Pastrana riguardavano cambiamenti sociali a lungo termine, realizzabili attraverso una serie di riforme costituzionali, misure legislative ed esecutive riguardanti il campo agrario, economico, fiscale e politico- sociale, il persistere della minaccia armata su tutta questa serie di decisioni governative avrebbe conferito alle FARC una “prerogativa di co-governo nazionale”.403 Per Rangel, il successo delle FARC ha dipeso dalla capacità dei suoi leader di imporre la tregua come un oggetto di negoziazione, facendola dipendere dal compimento, da parte del governo, di specifiche condizioni. Il tutto ha consentito ai membri del gruppo guerrigliero di apparire agli occhi di alcuni come i “difensori della 402 Pearce Jenny, nell’introduzione dell’opera di Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 13. 403 Ibidem. 138 pace, di fronte ad un governo che le FARC avrebbero segnalato come complice delle forze paramilitari ed asservito alla politica statunitense.”404 Quanto alla prima accusa, non bisogna dimenticare che nonostante la battaglia contro le forze paramilitari fosse una delle priorità assolute del governo Pastrana405, l’accanimento delle forze armate era evidentemente diretto contro le forze guerrigliere. Tra il 1997 e il 1999, ad esempio, il numero dei paramilitari uccisi o catturati ha rappresentato rispettivamente l’1,6% e il 12,63% del totale delle loro forze; mentre, per quanto riguarda le forze guerrigliere, questi dati hanno sfiorato il 10,37% e il 14,72%.406 L’elevata sproporzione tra il numero dei paramilitari e quello dei guerriglieri uccisi, non dimostra trattamenti di favore riservati ai paras ma, secondo il Ministro della Difesa dei Diritti Umani colombiano, essa va ricondotta all’attitudine dei guerriglieri di preferire in misura maggiore il confronto diretto con le Forze Armate. Ad ogni modo, durante tutto il processo di pace, le forze paramilitari hanno continuato a crescere in modo ininterrotto aumentando considerevolmente la loro zona di controllo.407 Per quanto concerne la seconda accusa mossa dalle FARC al governo Pastrana, i cambiamenti ottenuti da questa amministrazione riguardo le relazioni con gli Stati Uniti furono di tale portata che Grace Livingstone ha addirittura affermato: “Pastrana cambiò l’immagine della Colombia, da nazione pariah a nazione con la quale Stati Uniti e Unione Europea si felicitavano di collaborare”.408 A soli due mesi dalla sua inaugurazione come presidente, Pastrana fu ricevuto alla Casa Bianca dall’allora presidente Bill Clinton: l’importanza di questo incontro sta nel fatto che erano trascorsi ben 23 anni dall’ultima visita ufficiale di un presidente colombiano a Washington. Nel 1999 Pastrana ottenne la certificazione degli Stati Uniti riguardo l’impegno governativo nella lotta anti-droga. Lo stesso anno il presidente liberale presentò il suo Plan de Desarrollo, contenente, come si è visto, la prima formulazione del Plan Colombia, che dopo un anno di discussioni ed incontri con diversi membri dell’amministrazione degli Stati Uniti, finì per assumere le vesti di un piano militare orientato contro il traffico di sostanze illegali.409 404 Ibidem, pag. 231. Le forze paramiliatri erano state dichiarate illegali per la prima volta da Barco nel 1989; nel 1993 il governo tornò a legalizzare la “sicurezza privata” e le “cooperative di vigilanza” permettendo la nascita delle Convivir; nel 1999, infine, per volontà del governo Pastrana tali organizzazioni vennero nuovamente dichiarate illegali. 406 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and its implications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 57. 407 Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003. 408 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 86. 409 Instituto de Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Planeta, Bogotà, 2001; 405 139 Ad ogni modo, una volta fallito il processo di pace, le FARC hanno cominciato ad essere viste progressivamente come la causa della guerra e della violenza: tra i vari soggetti coinvolti nelle trattative di pace “sono state le FARC a rimetterci di più dal punto di vista politico”.410 L’organizzazione vive oggi un momento in cui gode della massima potenzialità militare e della minima legittimità politica tra la popolazione civile, soprattutto tra quella parte delle classi medie che dalla fine anni ’70 la aveva sostenuta o semplicemente aveva simpatizzato per le sue cause e i suoi progetti politico-sociali. Il processo di istituzionalizzazione, inteso come tensione tra gli interessi riproduttivi dell’organizzazione e i fini per i quali essa fu creata411, ha reso possibile il processo di adattamento delle FARC alla logica della guerra attuale, nella quale “quello che è in gioco non è fondamentalmente l’ideologia, ma il potere.”412 I cambiamenti avvenuti nella natura del conflitto armato hanno accresciuto le violazioni dei diritti umani e del Diritto Umanitario Internazionale da parte di tutti gli attori coinvolti nel combattimento. In particolare, per quanto riguarda le forze guerrigliere, queste violazioni riguardano: il reclutamento dei minori di diciotto anni; l’utilizzo indiscriminato contro la popolazione civile di pipette a gas piene di dinamite; l’uso di mine antipersona; la pratica diffusa del sequestro di persone.413 L’utilizzo del terrore contro la popolazione civile da parte di ogni attore armato (guerriglieri, paras, Forze Armate) rappresenta il mezzo indispensabile per ottenere quel “consenso” necessario al controllo dei territori conquistati, senza il quale non è possibile sopravvivere in una guerra a bassa intensità come quella attuale. Forti dei mezzi economici di cui dispongono grazie al consolidamento dell’economia del narcotraffico e alla conseguente internazionalizzazione del conflitto, le parti coinvolte perseguono i loro fini militari ma sono costrette a ricorrere sempre più al terrore perché tali fini si allontanano in misura crescente dalle rivendicazioni sociali ed economiche delle popolazioni locali. Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003; Mondragón H., “Plan Colombia”: para mantener el status quo. www.gratiswb.com/ciclocrisis; Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003; Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003; Sánchez Ricardo, Crítica y alternativa. Las izquierdas en Colombia. Editorial la Rosa Roja, Bogotà, 2001. 410 Pearce Jenny, nell’Introduzione dell’opera di Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 12. 411 Panebianco A., Modelli di partito. Organizzazione di potere nei partiti politici. Il Mulino, Bologna, 1982. 412 Kirk Robin, More terribile than death: massacres, drugs and America’s war in Colombia. Pubblic Affairs, New York, 2003, pag. 16. 413 Dominguez Gomez E., Verdades para la guerra y verdades para la historia. Nell’opera: Casa de América, Democrazia y paz, Madrid, 2002. 140 Grazie al consolidamento del narcotraffico, punto di partenza dell’estendersi della violenza generalizzata e della totale disgregazione del tessuto sociale, in Colombia oggi si può parlare di una “guerra contro la società.”414 TERZO CAPITOLO: IL PROCESSO DI PACE IN COLOMBIA. “Come sostituire il circolo vizioso discendente di violenza con il circolo ascendente di rispetto mutuo?”415 Considerazioni sulla possibilità della pace in Colombia. In seguito alla vittoria di Alvaro Velez Uribe alle lezioni presidenziali del 2002, le misure adottate dallo Stato colombiano per affrontare il conflitto interno sembrano in parte rispecchiare le raccomandazioni fatte da Alfred Rangel già allo scadere del mandato elettorale di Pastrana. Per Rangel416, le difficoltà in cui si è imbattuto il processo di pace avviato dal precedente governo sono state diretta conseguenza della debolezza militare dello Stato colombiano, del tutto incapace, con le forze a disposizione, di controllare due fenomeni oramai alla deriva. L’autore si riferisce: 1. al fatto che qualsiasi processo di negoziazione è destinato a fallire di fronte alle dimensioni assunte, dalla seconda metà degli anni ’90 in poi, dalla potenza militare delle FARC (da allora esse “non solo raggruppano la forza, ma sono in grado di disperderla in maniera organizzata”417); 414 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 9-13. Citazione di Michael Ignatieff, riportata da Michael Frühling, direttore della sede dell’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani in Colombia, www.hchr.org.co/publico/pronunciamentos/ponencias, pag. 9. 416 Alfred Rangel, Las dinámicas y las perspectivas de la confrontación armada en el país. In Democracia y Paz, A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002. 417 Ibidem, pag. 82. 415 141 2. al fatto che la debolezza della risposta statale ha contribuito ad accrescere nella società colombiana la base di appoggio del “progetto controinsurrezionale di carattere civile, molto autonomo dallo Stato” 418: il paramilitarismo. In questo contesto, lo Stato non può far altro che utilizzare la via della forza per dimostrare alle FARC che la loro vittoria militare sullo Stato non è possibile. Parallelamente, è necessario che lo stesso messaggio provenga chiaro dalla popolazione civile. Rangel è molto deciso nel ribadire che “non ci sono alternative: se si desidera la pace bisogna finanziare la guerra.”419 Le negoziazioni potranno aprirsi solo quando la forza militare a disposizione di una delle due forze in campo, o le Forze Armate o la guerriglia, sarà doppia rispetto a quella dell’avversario. Malcolm Deas420 condivide il realismo delle tesi di Rangel, che apprezza molto quando fa chiaro riferimento alle parole di Richard Nixon, secondo il quale “la distensione accompagnata dalla forza di dissuasione è la condizione per il successo della pacificazione, mentre la distensione senza tale forza è la strada sicura verso il fallimento.”421 La distanza tra la politica di Uribe e le raccomandazioni di Rangel si fa evidente in relazione alla prudenza dell’autore riguardo l’opportunità dell’intervento degli Stati Uniti. La critica di Rangel rivolta al tipo d’azione condotta dalle forze militari statunitensi è totale. L’inadeguatezza del tipo di aiuto militare fornito da Washington è tale che Rangel lo include tra gli elementi che contribuiscono a favorire il conflitto, anziché frenarlo: il punto è che servirebbero meno elicotteri e maggiore professionalità delle forze armate, un loro maggior attaccamento alla legge e migliori relazioni intrattenute con la popolazione civile colombiana. Altrettanto importante per l’autore è la garanzia di indipendenza degli aiuti statunitensi rispetto a qualsiasi tipo di imposizione strategica, economica o politica. Infine, la classe politica colombiana deve impegnarsi ad assicurare che il ricorso agli aiuti esterni sia temporaneo: la Colombia non deve dipendere da questo tipo di aiuti che, se prolungati, “generano dipendenza e diminuiscono lo sforzo proprio, come con le droghe, si comincia a richiederne in quantità sempre crescente fino a perdere la propria autonomia”.422 Al contrario, l’unico punto comune che caratterizza i vari scenari, tra loro molto diversi, contenuti nell’opera pubblicata nel 2001 dalla RAND Corporation per la Forza Aerea degli 418 Ibidem, pag. 83. Ibidem, pag. 90. 420 Prologo del libro di Alfred Rangel, Guerreros y politicos. Intermedio, Bogotà, 2003. 421 Ibidem, pag. 14. 422 Alfred Rangel, Las dinámicas y las perspectivas de la confrontación armada en el país. In Democracia y Paz, A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002, pag. 89. 419 142 Stati Uniti423, è la convinzione che gli aiuti militari statunitensi possano svolgere un ruolo decisivo per aiutare lo Stato colombiano a trovare la via d’uscita dal conflitto interno. Per Rebasa e Chalk questi aiuti devono essere sospesi solo nel caso in cui la situazione assuma le forme di un “fujimorazo” 424, ossia, se alla rottura totale delle negoziazioni segua il dispiegamento di tutte le forze di repressione in mano allo Stato colombiano contro la guerriglia. Per Rebasa e Chalk nel 2001 questo era uno scenario altamente improbabile, perché fortemente associato alla possibilità di ricorrere a strumenti altamente lesivi dei diritti umani. Basti pensare al caso del Perù, in cui la messa in atto di questa strategia si è avvalsa dell’aiuto non indifferente di innumerevoli processi ai sospetti guerriglieri o ai loro simpatizzanti ad opera dei servizi segreti. Per gli autori della Rand Corporation questa possibilità potrebbe verificarsi nel caso in cui la fiducia della popolazione verso il processo di pace si deteriorasse in modo crescente. L’iniziativa potrebbe partire dalle forze politiche o da quelle militari. Ad ogni modo, il prezzo di una simile scelta sarebbe l’isolamento internazionale. A tre anni dall’elezione di Uribe, da alcuni membri della società colombiana e da una parte della comunità internazionale provengono segnali preoccupanti sulla possibilità che questo scenario si stia già verificando. Sotto l’attuale presidenza si è prodotto il passaggio da un modello basato sul dialogo tra Stato e gruppi insurrezionali (non privo di difficoltà, contraddizioni e crescita della tensione) ad un modello basato sull’aumento dell’intensità della guerra, accompagnato dall’apertura degli spazi di dialogo tra governo e gruppi paramilitari. La prima preoccupazione riguarda i mezzi posti in atto dal governo per il raggiungimento del controllo militare del territorio nazionale. Tra gli strumenti utilizzati, il principale è rappresentato dal Programa de Seguridad Democratica, la cui logica si fonda sull’ampio coinvolgimento della popolazione civile nelle questioni inerenti l’ordine pubblico, attraverso un riconoscimento ed un rafforzamento dei compiti di intelligence da essa svolti. Con la creazione delle figure di cooperantes e di informantes, tale strategia ha contribuito ad offuscare la già labile distinzione tra popolazione civile e popolazione combattente. Una simile politica, giustificata in nome del fatto che la popolazione civile costituisce il maggiore bersaglio del conflitto interno, ricorda la vecchia dottrina di Seguridad 423 424 Angel Rebasa & Peter Chalk, Colombian labyrinth. RAND Corporation, Santa Monica, 2001. Ibidem, pag. 82. 143 Nacional.425 Nel 2001 la Corte Costituzionale colombiana ha condannato la logica ispiratrice di simile dottrina, sulla base del fatto che essa ostacola i compiti costituzionali dello Stato inerenti la salvaguardia dei diritti umani e il rispetto del Diritto Internazionale Umanitario. Secondo la Corte Costituzionale la logica semplificata di amico-nemico che essa sottintende riduce l’autonomia della popolazione civile rispetto agli attori armati e criminalizza qualsiasi altro tipo di opposizione politica. In secondo luogo, i timori della comunità internazionale e di parte della società civile colombiana riguardano la generale tendenza dell’attuale governo a ricorrere a vari mezzi per il rafforzamento autoritario del potere del presidente: dall’utilizzo dello stato di assedio, ai tentativi in atto di riforma costituzionale necessari a rendere possibile la rielezione di Uribe ed ad istituzionalizzare alcune misure introdotte dal suo governo, tra cui le detenzioni arbitrarie, le intercettazioni telefoniche, la violazione di domicilio senza mandato giuridico, la concessione di funzioni di polizia giudiziaria alle Forze Armate. Secondo Soraya Gutierrez, rappresentante del collettivo di avvocati Josè Alvear Restrepo, anche il referendum plebiscitario tenutosi nel 2003 va considerato parte integrante di quest’ampia strategia. Con esso Uribe mirava ad ottenere il consenso dei colombiani su temi impopolari, cari alle èlites economiche tradizionali che lo sostengono, quali l’aggiustamento della politica fiscale su base regressiva, il pagamento puntuale degli accordi presi con la Banca Mondiale e l’approvazione delle misure adottate per ottenere i mezzi necessari al finanziamento della guerra. Sulla base di queste iniziative politiche, Guiterrez parla di un “processo di controriforma rispetto alla carta costituzionale del 1991”426, il cui effetto immediato è di favorire l’indebolimento dello Stato Democratico di Diritto. In terzo luogo, l’apertura del dialogo con i paramilitari desta non poche preoccupazioni. La messa da parte del primo progetto governativo, che sembrava andare incontro a tutte le richieste di impunità rivendicate dai paramilitari, è avvenuta solo in seguito alla mobilitazione sociale in Colombia ed, in particolare, in seguito alle critiche provenienti dalla comunità internazionale. Si è così giunti alla formulazione del progetto attuale che riguarda la creazione di un sistema penale alternativo.427 Rispetto ad esso, numerose 425 Consultoria para los Derechos Humanos y el Desplazamiento Forzado (Cohdes), Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo y Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004 426 Dal suo intervento durante la conferenza tenutasi a Barcellona tra il 14 ed il 16 di aprile 2005, riguardo il tema La cooperazione internazionale a favore della Colombia: Pace e Diritti Umani? 427 Maria Eugenia Sanchez, presidente della Casa de la mujer de Bogotà, membro della Alianza de Organizaciones Sociales y Afines. Dal suo intervento durante la conferenza tenutasi a Barcellona 144 rimangono le raccomandazioni dell’ONU e le critiche dell’Organizzazione degli Stati Americani: entrambe le organizzazioni ritengono insufficienti le garanzie statali per il rispetto dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario. Anche l’amministrazione degli Stati Uniti vuole maggiori garanzie riguardo il rispetto del Diritto Internazionale Umanitario e l’adempimento da parte del governo colombiano alle richieste di estradizione di alcuni paramilitari coinvolti in questioni legate al narcotraffico. Nel mezzo dell’offensiva militare, il governo mantiene la pretesa di dialogo con i gruppi insurrezionali, nonostante si mostri deciso a negare l’origine politica delle loro organizzazioni e a considerarle come semplici gruppi terroristici. Coerentemente con tale prospettiva, la massima apertura del governo verso questi gruppi si limita alla discussione sulle possibilità del loro reinserimento nella vita civile, senza prevedere alcun tipo di accordo sulle riforme strutturali del paese.428 L’inevitabile radicalizzazione della loro posizione viene utilizzata dal governo per giustificare la strategia militare adottata. Ne consegue un ulteriore polarizzazione tra gli attori armati coinvolti. Herbert Braun429 è uno dei numerosi autori che riconoscono nella degenerazione delle pratiche di guerra avvenuta nel corso degli anni ’90 ad opera dei gruppi armati illegali una delle ragioni principali della vittoria elettorale di Uribe. Per Braun, oggi la guerriglia agisce in modo indiscriminato colpendo giornalisti, leader progressisti, bambini: le convinzioni morali ancora chiaramente definite negli anni ’80 si sono arenate nella realtà di una guerra prolungata, in cui l’utilizzo di pratiche lesive dei diritti umani è cresciuto in modo esponenziale. Alla loro violenza si aggiunge quella delle forze paramilitari che colpiscono qualsiasi voce pubblica indipendente. Il terrore diffusosi nella popolazione ha alimentato e continua ad alimentare la generale sfiducia nelle pratiche convenzionali della politica. È a causa di questo terrore che “poche persone di questi giorni contemplano cambiamenti economici e sociali”.430 Anche Daniel Pecaut si allontana dalla visione clausewitziana di guerra per l’analisi dei conflitti odierni e pone “gli attriti al centro delle strategie adattate”.431 Secondo l’autore, tra il 14 ed il 16 di aprile 2005, riguardo il tema La cooperazione internazionale a favore della Colombia: Pace e Diritti Umani? 428 Alvaro Villalarga, rappresentante del Consejo nacional de Paz. Dal suo intervento su Smobilitazione, disarmo ed inserimento: passato, presente e futuro, durante il seminario tenutasi a Barcellona tra il 14 ed il 16 di aprile 2005, riguardo il tema La cooperazione internazionale a favore della Colombia: Pace e Diritti Umani? 429 Herbert Braun, Our guerrillas, our sidewalks: a journey into the violence of Colombia. Rowman and Littlefield Publishers, New York, 2003. 430 Ibidem, pag. 255. 431 Daniel Pecaut, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 12. 145 nella grande maggioranza delle guerre civili di oggi i fenomeni di violenza producono nuovi contesti, assai lontani da quelli iniziali che hanno contribuito a provocare lo scoppio della guerra. Pertanto, i conflitti vanno compresi sulla base del loro carattere progressivamente in evoluzione. Rispetto ad altre guerre civili odierne, Pecaut ritiene che il conflitto colombiano presenti similitudini e differenze. Da un lato, egli ritiene che i caratteri individuati da Mary Kaldor432 come caratterizzanti le guerre civili del mondo post Guerra Fredda siano tutti presenti nel conflitto colombiano. In primo luogo, la caduta delle ideologie ha comportato confini meno precisi tra le parti in conflitto, per cui non è più opportuno riferirsi ad una contrapposizione netta tra nemici-amici che attraversa l’intera popolazione. In secondo luogo, la popolazione civile è diventata sempre più l’obbiettivo delle operazioni militari. Questo rende sempre più difficile distinguere tra quella parte della popolazione che appoggia attivamente i gruppi armati e quella che si trova in ostaggio dei combattenti. Infine, gli obbiettivi dei gruppi armati non sono solo politici ma anche economici. La conquista del potere è possibile solo attraverso il controllo delle risorse del paese, che avviene attraverso la sottomissione dei poteri locali o l’instaurazione di logiche protezionistiche di tipo mafioso. Dall’altro lato, Pecaut ritiene che il termine di “guerra civile” non sia appropriato per il conflitto colombiano e propone quello di “guerra contro la società”.433 Alla base di questa proposta stanno due considerazioni. La prima fa riferimento al fatto che in Colombia non si possa parlare di un totale collasso dello Stato, nonostante la sua assenza in molte zone del paese. A questo si aggiunge il fatto che la popolazione colombiana non sia caratterizzata da un “punto di riferimento centrale di divisione, come nel caso di una guerra civile, ma da una disorganizzazione sociale più ampia che favorisce tutti i tipi di violenza”.434 Lo sviluppo della solida ed estesa economia del narcotraffico rappresenta per Pecaut l’elemento che ha reso possibile la generalizzazione e la depoliticizzazione della violenza in Colombia. Questo rappresenta un ulteriore fattore di indebolimento istituzionale. Pertanto, il processo di pacificazione non può limitarsi alla sola negoziazione tra gli attori armati, ma deve includere un insieme di riforme strutturali che garantiscano una maggiore partecipazione della popolazione colombiana nel potere politico ed economico. Tuttavia, come abbiamo visto, il governo attuale sembra disposto a considerare un maggior grado di 432 Mary Kaldor, Le nuove guerre. La violenza organizzata nell’età globale. Carocci, Roma, 1999. Daniel Pecaut, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 12. 434 Ibidem, pag. 14. 433 146 partecipazione all’insieme della popolazione colombiana solo in riferimento al mantenimento dell’ordine pubblico. La crescente polarizzazione nella società colombiana e l’ulteriore accelerazione del conflitto hanno contribuito a far slittare la situazione di alcune zone del paese nello stato di guerra civile. Per Pecaut, esiste ancora un margine di incertezza sulla possibilità che questo stato si generalizzi a tutto il territorio nazionale: “la debolezza politica della guerriglia costituisce un freno”435. La mancanza di attori sociali forti evita un ulteriore movimento di radicalizzazione, anche se l’attuale polarizzazione è stata sufficiente a creare la base di consenso necessaria per assicurare la popolarità di Uribe, nonostante l’alto “rischio di paramilitarizzazione”436 che la sua politica comporta. Per l’autore, la complessità della situazione attuale e la dipendenza della strategia militare del governo Uribe dall’appoggio statunitense rende molto difficile ogni sforzo di previsione. Ad ogni modo egli elenca tre scenari possibili: 1. L’estensione del conflitto ai paesi confinanti per complicazioni politiche legate al narcotraffico: la Colombia assicura difatti vie di uscita per il commercio di droga e la possibilità di rifugio a merci o persone perseguibili dalla legge. 2. L’ulteriore degenerazione del conflitto potrebbe condurre al sorprendente avvicinamento delle forze paramilitari e di quelle guerrigliere. La conclusione del processo di negoziazione in corso tra paramilitari e governo potrebbe mettere in discussione la coesione delle forze guerrigliere e determinare l’apertura di spazi di dialogo tra la guerriglia e lo Stato colombiano. In questo caso, la vicinanza di interessi di quella parte dei paramilitari e dei guerriglieri più connessa al narcotraffico, insieme alla somiglianza dei loro modi di socializzazione, alla comune sfiducia verso l’autorità statale, verso le èlites tradizionali colombiane e le elite statunitensi, potrebbe condurre ad avvicinamenti ulteriori. D’altro canto, già ci sono stati dei passaggi dai gruppi guerriglieri ai gruppi paramilitari. 3. Alto è il rischio di atti terroristici da parte FARC verso altissime cariche governative. Viceversa, i diversi interventi contenuti nell’opera pubblicata dalla Banca Mondiale437 sembrano condividere l’ottimismo dei curatori del libro, i quali insistono sul fatto che “oggi c’è un’opportunità” per i colombiani di interrompere “il circolo della violenza, della distruzione e della povertà”.438 Nonostante convengano sulle migliaia di morti e i milioni 435 Ibidem, pag. 201. Ibidem, pag. 202. 437 M. Giugale, Olivier Lafourcade, Conie Luff, Colombia the economic foundation of peace. The World Bank, Washington, 2003. 438 Ibidem, pag. 1. 436 147 di sfollati, il loro ottimismo si fonda sulla fede nella capacità di recupero di un popolo che “ha reso possibile che il paese crescesse ininterrottamente ogni anno per le precedenti sette decadi”.439 D’altro canto, riconoscono che “la sola prosperità materiale non ha messo fine e non metterà fine alla guerra”.440 Pertanto, le raccomandazione per il prossimo futuro non riguardano solamente il raggiungimento di una rapida crescita sostenibile, ma fanno esplicitamente riferimento ad una maggiore distribuzione dei frutti tra tutti i colombiani. Entrambe sono ritenute condizioni necessarie per la “costruzione di un governo di qualità.”441 John Green442 si mostra scettico rispetto all’ottimismo degli autori del volume pubblicato dalla Banca Mondiale e ritiene che la loro analisi non tenga sufficientemente conto delle dinamiche politiche in gioco, né delle difficoltà di porre sotto controllo il potere economico generato dal narcotraffico. Gli utili generati da questo commercio hanno irrorato l’intera società concentrandosi, in particolare, nelle mani di tutti gli attori armati e, grazie alla corruzione dilagante e il riciclaggio di denaro sporco nei circuiti finanziari, nelle mani dell’elite politica ed economica. Ecco perché il narcotraffico è per Green ciò che alimenta di più la degenerazione della guerra e la polarizzazione della società colombiana. Da un lato, esso ha contribuito a far sì che tutti gli attori armati ricorressero alla strategia del terrore per il controllo territoriale. Dall’altro, ha ulteriormente rafforzato il potere di quella classe oligarchica già denunciata da Gaitàn alla fine della prima metà del XX secolo. Per Green, oggi questo potere ha raggiunto un livello neppure sognato dai contemporanei di Gaitàn, grazie alla messa in atto di strategie fortemente repressive che hanno impedito molti cambiamenti politici. “Invece di rispondere alle rivendicazioni provenienti dalle classi popolari, la classe al potere ha trovato più facile e conveniente tollerare la guerriglia nelle zone rurali più disabitate e reprimere i movimenti popolari nelle città.”443 Riguardo il tema della convenienza della guerra, Green abbraccia la teoria di Nazih Richani, il quale ha denunciato per primo l’esistenza di un “comfortable impasse”444, ossia l’esistenza di una politica economica positiva emersa attorno al conflitto armato colombiano in cui, non solo 439 Ibidem. Ibidem, pag. 2. 441 Ibidem. 442 W. John Green, Gueriillas, soldiers, paramilitaries, assassins, narcos, and gringos: the unhappy prospects for peace and democracy in Colombia. In Latin American Research Review, vol. 40, num. 2, Giugno 2005. 443 Ibidem, pag. 148. 444 Nazih Richani, Sistems of violence: the political economy of war and peace in Colombia. SUNY Press, Albany, 2002, pag. 4. 440 148 la classe dominante ma tutti gli attori coinvolti traggono il loro profitto dal mantenere una guerra a bassa intensità. In primo luogo Richani affronta la questione delle Forze Armate, la cui autonomia rispetto alle forze politiche in riferimento alle questioni di sicurezza è rimasta grande sin dai tempi della Violencia. Da allora, le Forze Armate hanno perseguito i propri interessi corporativi che, per Richani, non sono sicuramente interessi di pace. Contemporaneamente, le modalità d’azione della guerriglia, ossia la guerra a bassa intensità, è largamente tornata a loro vantaggio. Pertanto, le Forze Armate non hanno fatto altro che limitarsi a difendere alcune zone strategiche, lasciando mano libera alla guerriglia in altre parti del territorio. La guerriglia ha così avuto modo di consolidare il proprio potere in molte zone rurali, fornendo servizi alla popolazione civile locale ed amministrando la giustizia. In seguito alla crescita del mercato della droga, alla guerriglia si è inoltre presentata la possibilità di ingenti guadagni che le hanno permesso di diventare una potenza militare molto forte. Secondo Richani gli interessi di gran parte delle forze paramilitari, convogliate nelle AUC a metà degli anni ’90, coincidono con gli interessi di quella “terribile alleanza”445, formatasi nel Magdalena Medio nel lontano 1983 tra narcos, latifondisti, multinazionali, gruppi industriali e rappresentanti dello Stato colombiano, ossia tutte quelle componenti sociali favorevoli ad un ulteriore concentrazione della terra. Se inizialmente “l’evidente crescita degli omicidi che ha preso piede dopo il 1985”446 è stata funzionale all’eliminazione della base di consenso della guerriglia, successivamente la diminuzione del tasso degli omicidi registrata dalla metà degli anni ’90 in poi ha risposto alle “esigenze di mantenimento del conflitto”.447 I benefici derivati alla classe dominante dalla diffusione di una simile violenza si riferiscono al soffocamento sul nascere di qualsiasi tipo di politica populista ed alle conseguenti possibilità di espansione del capitale negli anni della crescita, iniziata dalla seconda guerra mondiale in poi. Tali benefici sono ancora più evidenti per quella che Richani chiama “narcoborghesia”.448 Nonostante la cruda analisi, scrivendo in prossimità della fine del governo Pastrana e dell’inizio del governo Uribe, ma soprattutto prima dei fatti dell’11 settembre, Richani scorgeva nella Colombia e nel contesto internazionale di tre anni fa dei segnali che lo portarono a credere che il tempo fosse “maturo”449 per porre fine al “sistema di guerra”450 445 Ibidem, pag. 102. Ibidem, pag. 127. 447 Ibidem. 448 Ibidem, pag. 143. 449 Ibidem, pag. 154. 446 149 colombiano. Per l’autore, gli effetti negativi del ricorso alla violenza erano diventati chiari ad una parte cospicua dell’elite economica e politica, in particolare quella legata ai circuiti internazionali. Anche Jenny Pearce451 converge con Richani e la teoria del “comfortable impasse”452. Premesso che le cause della violenza attuale in Colombia sono complesse e che non è possibile parlare di colpe, secondo Pearce è invece doveroso individuare chi ha avuto più o meno responsabilità nel favorire la violenza in atto. Secondo la sua analisi è stata la classe dominante ad imboccare per prima il “comodo vicolo cieco” di cui parla Richani, scegliendo di condurre una guerra controinsurrezionale non attraverso le Forze Armate dello Stato (rimaste relativamente deboli rispetto al resto del continente) ma attraverso il coinvolgimento della popolazione nelle questioni di garanzia dell’ordine pubblico fin dai tempi della Violencia. Ponendo le basi per lo sviluppo e la crescita del fenomeno paramilitare le scelte della classe dominante hanno portato, in tempi più recenti, alla morte di molti attivisti sociali civili, per il semplice sospetto di essere simpatizzanti dei gruppi armati di sinistra. Pearce parla di un vero e proprio “sabotaggio dall’alto”453 dei progetti di riforma avanzati negli anni ’80: tutte le iniziative di quegli anni hanno “vacillato di fronte alle difese dispiegate dal vecchio ordine”.454 Questo ha portato all’utilizzo della tortura, dell’assassinio e delle desapareciones a danno di molti attivisti politici e sociali, la cui unica colpa per Pearce è stata quella di aver mantenuto una posizione intellettualmente ambigua rispetto alle forze armate di sinistra, anche se la loro grande maggioranza non ha mai impugnato un’arma né ha mai pienamente fatto propria la logica d’azione dei gruppi armati. Queste considerazioni non conducono Pearce a ritenere che l’attuale situazione in Colombia sia spiegabile in termini di guerra civile, piuttosto per l’autore “la violenza è stata incastonata negli spazi della socializzazione in cui tutti i colombiani sono nati e che tutti i colombiani hanno contribuito a perpetuare”.455 Pertanto, egli condivide l’opinione di quanti si sono riferiti al caso colombiano in termini di “violenza multipolare”.456 Rimane invece dubbioso sull’opportunità della definizione di Pecaut di “guerra contro la 450 Ibidem, pag. 3. Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003. 452 Nazih Richani, Sistems of violence: the political economy of war and peace in Colombia. SUNY Press, Albany, 2002, pag. 4. 453 Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 17, pag. 15. 454 Ibidem. 455 Ibidem, pag. 17. 456 Ibidem. 451 150 società”457, poiché tale definizione sembra far ricondurre tutti i problemi della violenza colombiana agli attori armati. Invece, se è vero che gli “attori civili dotati di potere (uomini e donne in misura diversa) e gli attori armati uomini devono riconoscere una larga parte di responsabilità nel aver prodotto e riprodotto questi processi, ugualmente gli attori civili privi del potere (uomini e donne in misura diversa) e gli attori armati di sesso maschile privi di potere hanno contribuito alla perpetuazione di questi processi, immergendo la violenza nella vita politica e trasformandola in qualcosa di convenzionale e tollerato”.458 Senza voler in alcun modo mettere in dubbio la centralità delle questioni politiche “la socializzazione dello spazio nazionale passa attraverso la socializzazione dello spazio della famiglia459, degli spazi comunitari e della vita associativa”.460 Per l’autore è necessario abbandonare le tradizionali visioni binarie che contrappongono il politico al sociale, la guerra alla pace, il pubblico al privato e considerare invece “la violenza come un continuum in cui la forma più organizzata, controllata dai gruppi armati, rappresenta solo uno spettro di esso.”461 Da cui, emerge la necessità di appoggiare qualsiasi forma di azione non- violenta. Per l’autore la pace in Colombia sarà possibile solo tramite una nuova configurazione delle relazioni socio–politiche, la cui logica dovrà concentrarsi sulle questioni legate alla partecipazione, alla tolleranza, al dibattito, alla concessione di potere alle donne, alle classi emarginate, alle razze discriminate. Per questo Pearce non crede nella possibilità di successo della politica autoritaria di Uribe, lontana dalla necessità di creare un nuovo consenso normativo attorno al principio di non violenza, di giustizia sociale e di democrazia. Ugualmente, l’intensificazione delle risposta autoritaria sotto l’attuale amministrazione Bush non funzionerà, perché “una violenza imposta dall’alto e proveniente dall’estero ignora gli sforzi di chi in Colombia cerca di mantenere aperti quegli spazi civili di opposizione necessari a cambiare un ordine che di per sé genera violenza.”462 457 Daniel Pecaut, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 12. Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 17. 459 Riguardo al tema, Pearce sottolinea l’importanza del compito svolto di recente dalle femministe colombiane, impegnate a mettere in luce il fatto che la violenza perpetrata a danno delle donne colombiane e del loro corpo si sia dispiegata a partire dallo spazio familiare. Il loro lavoro ha portato a considerare che, nonostante il minor tasso di morte tra le donne, anch’esse sono soggette a drammi della stessa intensità. Basti pensare alle difficoltà conseguenti le migrazioni forzate e quelle da affrontare per mandare avanti la propria famiglia e la comunità in condizioni di guerra. 460 Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 21. 461 Ibidem. 462 Ibidem, pag. 23. 458 151 L’analisi del CODHES, un’organizzazione non governativa per i Diritti Umani e le Migrazioni Forzate463, è molto dura circa la situazione attuale della Colombia: l’aumento dell’intensità della guerra negli anni della presidenza Uribe sta contribuendo all’eliminazione di ogni spazio politico a favore di una risoluzione negoziata del conflitto, mentre cresce la sfiducia sociale nella possibilità di convivenza pacifica. Anche se il governo in carica, guidato da una prospettiva di breve termine, punta sulla diminuzione di alcuni indici come dimostrazione del successo della sua politica autoritaria basata sui programmi di Seguridad Democratica, secondo l’organizzazione la diminuzione del tasso di omicidi politici e del numero dei massacri di massa sono dati che vanno letti valutando le trasformazioni in atto delle strategie dei gruppi armati. In particolare bisogna tenere conto che oggi la diminuzione dei massacri collettivi ad opera dei paramilitari è accompagnata dall’aumento degli omicidi selettivi a danno dei leader dei movimenti sociali e comunitari. Questo non è l’unico dato in aumento: in questi tre anni è cresciuto il numero delle esecuzioni extragiuridiche e degli omicidi intenzionali di persone protette perpetrate dagli agenti statali e parastatali, delle desapariciones, delle persone morte in combattimento464, delle detenzioni arbitrarie465, dei colombiani rifugiati all’estero, dei sequestri dei leader politici o comunitari ad opera della guerriglia, che tenta di utilizzare la tattica dello scambio umanitario come mezzo per ottenere la libertà di guerriglieri catturati e per screditare la politica di Seguridad Democratica di Uribe. Secondo il CODHES anche il valore assoluto e relativo del fenomeno delle migrazioni forzate è aumentato. Infine, 463 Consultoria para los Derechos Humanos y el Desplazamiento Forzado (Codhes), Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo y Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004. 464 Secondo i dati del Banco de Datos de Derechos Humaos y Violencia Politica, la media annuale del numero esecuzioni extragiuridiche e degli omicidi intenzionali di persone protette perpetrate dagli agenti statali e parastatali commesse tra il 1990 ed il 2002 è di 1067, mentre quella del 2003 è di 1140; delle desaparecios commesse tra il 1990 ed il 2002 è di 215, mentre quella del 2003 è di 815; delle morti avvenute in combattimento tra il 1990 ed il 2002 è di 1336, mentre quella del 2003 è di 1849. Banco de Datos de Derechos Humaos y Violencia Politica, Cinep, Observatorio Derechos Humanos y Derecho Humanitario della Coordinazione Colombia-Europa-Stati Uniti, El talante autoritario. Derechos civiles y politicos y DIH. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo y Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004, pag. 179. 465 Secondo i dati del Banco de Datos de Derechos Humaos y Violencia Politica il tasso di detenzioni arbitrarie è cresciuto del 129% tra il 2002 ed il 2003. Consultoria para los Derechos Humanos y el Desplazamiento Forzado (Codhes), Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo y Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004, pag. 165. 152 sono diventati più numerosi gli atti istituzionali rivolti a giustificare le violazioni dei diritti umani a nome della politica di sicurezza.466 Oggi alcune zone del paese sono diventate veri e propri “laboratori di guerra”467, in cui la vita quotidiana è scandita da uccisioni selettive e sistematiche, restrizioni alla mobilità di uomini e prodotti alimentari, minacce di autorità locali e fuga delle forze politiche locali. Contemporaneamente, il CODHES legge nel presente dei segnali che inducono a pensare ad una possibilità di cambiamento a livello nazionale ed internazionale, a favore del rafforzamento della lotta per i diritti umani e per la democrazia e a favore della ricerca di vie alternative a quella della forza per la risoluzione dei conflitti mondiali. Da un lato, riconosce l’importanza di alcune dinamiche di resistenza di guerra che hanno interessato delle zone regionali della Colombia, come i processi costituenti nel Nariño, nel Cauca, nel Tolima, in Antioquia; i laboratori di pace nell’Oriente Antinoqueño e nel Bolivar; i movimenti sociali attivi organizzati dalle popolazioni indigene e dalle donne; le mobilitazioni per diritti umani e per la pace. Contemporaneamente, il fallimento di Uribe al referendum popolare del 2003, iniziativa politica avanzata dalla sua stessa coalizione di governo, potrebbe essere interpretato come un primo segnale che la popolarità del presidente si stia incrinando. Dall’altro, riconosce il fallimento a livello internazionale della dottrina della guerra preventiva unilaterale promossa dall’amministrazione Bush. Se davvero in futuro si riaprisse uno spazio per la negoziazione tra lo Stato colombiano e la guerriglia, utilissime sarebbero le considerazioni di Marco Palacios. Anche per questo autore “Non c’è una via di uscita militare al conflitto armato, prima o poi l’uscita dovrà essere di tipo politico”.468 Poiché il problema principale del paese non è la pace ma il rafforzamento dello stato democratico Palacios critica la logica soggiacente i processi di pace avviati in passato in Colombia. Tra le maggiori carenze egli individua: 1. La “discontinuità”469 con il passato: tutti i governi che si susseguono sembrano guidati dall’idea che è necessario ricominciare tutto da capo, con una nuova metodologia, una nuova retorica, una nuova prospettiva. 2. L’incoerenza e la frammentazione delle strategie adottate dovuta alla frammentazione dei poteri pubblici. 466 Consultoria para los Derechos Humanos y el Desplazamiento Forzado (Codhes), Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo y Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004, pag. 171-172. 467 Ibidem, pag. 171. 468 Marco Palacios, El labirinto de las negociaciones. In Democracia y Paz. A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002, pag. 67. 469 Ibidem, pag. 71. 153 3. La frammentazione tra le organizzazioni guerrigliere, ognuna delle quali è impegnata ad accrescere la propria forza politica. 4. Il carattere prolungato dei processi, che rischiano di diventare eterni perché funzionali allo status quo. Palacios denuncia il fatto che in passato i processi di pace sono stati più volte utilizzati “affinché non si discutesse su temi importanti, quali le questioni di politica economica, gli scandali di corruzione politica ed amministrativa, le crisi sociali, i deficit allarmanti di educazione pubblica, il deterioramento del capitale umano, la fuga di centinaia di migliaia di professionisti dal paese.”470 Al contrario, tali processi dovrebbe affrontare questioni legate alla deposizione delle armi, al reinserimento dei guerriglieri nella vita politica, familiare, lavorativa e privata affinché essi tornino ad essere dei cittadini a tutti gli effetti. Di questo nessuno parla, nemmeno la guerriglia che nei dodici punti presentati al precedente governo si è limitata ad elencare una serie di obbiettivi che possiedono solo una valenza astratta. L’adozione di una strategia di negoziazione adeguata con i gruppi armati è fondamentale anche per il direttore della sede colombiana dell’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani, Michael Frühling.471 Esso rappresenta difatti uno dei quattro campi in cui deve articolarsi quella “risposta integrale dello Stato”472, che il carattere pluridimensionale del conflitto interno impone. Tale risposta deve sempre tener conto del Diritto Internazionale Umanitario, dei diritti umani e del Diritto Penale Internazionale. In particolare, le raccomandazioni delle Nazioni Unite riguardano l’attuale processo di negoziazione che il governo Uribe ha aperto con i paramilitari. Frühling non si stanca di ribadire che “la tensione tra la negoziazione e l’impunità deve risolversi senza apportare alla popolazione colombiana un ultimo danno: quello cioè di rinunciare, nel supposto nome della pace o della democrazia, a quanto le spetta”473, ossia al compimento di un processo di verità, giustizia e riparazione. Affinché lo Stato colombiano porti a termine le negoziazioni senza venire meno ai suoi doveri costituzionali ed internazionali, Frühling raccomanda la creazione di una Commissione di Chiarimento, extragiuridica, imparziale ed 470 Ibidem, pag. 76. Michael Frühling, www.hchr.org.co/publico/pronunciamentos/ponencias. 472 Ibidem, pag. 1. Gli altri tre campi individuati sono: 1) quello politico-democratico dello Stato di Diritto (necessaria è la cooperazione di tutte le forze civili democratiche, opposizione compresa); 2) quello relativo alle politiche economiche, sociali ed umanitarie (incluso una politica contro la produzione, il traffico ed il consumo di droga); 3) politica militare. 473 Ibidem, pag. 3. 471 154 indipendente.474 Il compimento di un simile processo è essenziale perché “non esiste nessuna riconciliazione giusta e duratura che non soddisfi la necessità della giustizia; il perdono è, senza dubbio, un fattore importante della riconciliazione, però suppone, come atto privato, che la vittima conosca l’autore delle violazioni e che questo abbia avuto la possibilità di riconoscere quanto commesso e di manifestare il suo pentimento.” D’altro canto, Frühling ritiene legittimo che all’interno di un processo di negoziazione di pace uno Stato adotti un sistema penale alternativo applicabile ai membri dei gruppi armati illegali, allo scopo di facilitare la loro integrazione nella vita civile del paese e di creare delle condizioni che favoriscano la convivenza pacifica tra i membri della comunità. Tuttavia, questo sistema deve essere pensato e messo in atto in pieno accordo dei diritti fondamentali delle vittime: “lo Stato deve dare le garanzie adeguate contro l’utilizzo della riconciliazione e del perdono come mezzi per fomentare l’impunità”.475 Pertanto, le norme adottate per la reintroduzione dei membri dei gruppi armati illegali nel corpo sociale devono avere carattere obbligatorio, devono garantire la messa in atto di azioni individuali di restituzione delle ricchezze ottenute attraverso l’uso della violenza e devono prevedere il pagamento di indennità per i danni commessi. Utili suggerimenti per la comprensione dei fallimenti dei processi di pace avviati in passato in Colombia provengono anche dall’equipe di ricerca del Centro di Investigazione per la Pace (CIP). In particolare, Maria Rudas e Claudia Clavijo476 ritengono indispensabile il verificarsi di alcune condizioni prima dell’avvio della negoziazione, che stabiliscano chi saranno i partecipanti, come si porteranno a termine le negoziazioni con i differenti gruppi armati, quali sono le condizioni che ogni parte considera irrinunciabili, come si stabilirà l’agenda, quali saranno i meccanismi di finanziamento ed i tempi del processo. La mancanza di questi elementi sta all’origine del fallimento del processo di pace avviato da Pastrana. L’accordo necessario per l’elaborazione di queste condizioni basilari è possibile in seguito alla “percezione comune della situazione di punto morto”477 a livello militare tra gli attori coinvolti nel conflitto. In nome di tale percezione e del riconoscimento del 474 I compiti di una simile commissione dovrebbero riguardare: l’investigazione sulla condotta di coloro che hanno commesso violazioni del DIH e dei diritti umani, individuali o di massa; la determinazione dei fattori oggettivi e soggettivi che hanno creato le condizioni in cui tali lesioni sono avvenute; l’esame dei fattori che hanno permesso la loro impunità fino a questo momento; l’analisi dei meccanismi statali grazie ai quali queste violazioni sono potute avvenire; l’identificazione delle vittime; l’identificazione degli organismi e delle entità coinvolte nella commessa di tali violazioni; la conservazione delle prove; l’emissione di raccomandazioni che possano limitare l’impunità. 475 Michael Frühling, www.hchr.org.co/publico/pronunciamentos/ponencias, pag. 8. 476 Maria Rudas & Claudia Clavijo, Consideraciones claves en el diseño de las negociaciones de paz: reflexiones para el caso colombiano. In Papeles de questiones internacionales n. 83, 2003. 477 Ibidem, pag. 110. 155 nemico è possibile dare avvio alla costruzione di fiducia tra gli avversari ed ai necessari cambiamenti nella struttura interna delle parti, tali da rendere percorribili le proposte di negoziazione. Secondo le autrici, oggi tale percezione è ancora lontana. Sulla via dell’internazionalizzazione della pace colombiana Aldilà della condivisione delle speranze del CODHES riguardo l’imminenza di un forte cambiamento politico a livello nazionale ed internazionale in grado di riaprire il cammino della negoziazione, personalmente convergo con le parole di Marco Palacios: “non c’è una via di uscita militare al conflitto armato, prima o poi l’uscita dovrà essere di tipo politico”.478 Dopo un’accurata ricostruzione storica dei fatti degli ultimi sessant’anni della storia del paese, necessaria alla comprensione della complessità dell’odierno conflitto armato colombiano, ritengo che il lavoro più utile che si possa fare oggi consista nell’individuare i possibili mezzi attraverso cui facilitare l’imbocco della strada del dialogo. Dialogo che non conduca alla sola firma di un trattato di negoziazione per la cessazione delle ostilità (pur essendo questa una tappa fondamentale e neppure di facile raggiungimento del processo di pace), ma che miri a sradicare le cause che hanno generato un sistema politico, economico e sociale che si regge sulla disuguaglianza e l’esclusione. Affinché il dialogo permetta l’avvio di un processo di pace duraturo ed integrale, preludendo l’inizio di una nuova vita nazionale, ritengo indispensabile proseguire nel rafforzamento della società civile, tanto dalla prospettiva nazionale come da quella internazionale, per garantire un suo reale coinvolgimento nel processo di pace. Difatti la partecipazione della società civile è elemento fondamentale per dare legittimità all’intero processo: senza un suo adeguato coinvolgimento lo Stato invierebbe all’intera società un messaggio pericoloso, ossia che l’unico mezzo per accedere al potere è il ricorso alla violenza.479 Nessuno ritiene che si tratti di un progetto di facile e rapida soluzione. Nelle pagine precedenti mi sono ampiamente soffermata a porre in evidenza le enormi difficoltà che la tipologia del conflitto colombiano pone su questo tema. In un contesto in cui la popolazione civile rappresenta il bersaglio principale degli attori armati, evidenti sono le difficoltà inerenti alla sua mobilitazione ed organizzazione. Sia dal punto di vista morale 478 Marco Palacios, El labirinto de las negociaciones. In Democracia y Paz. A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002, pag. 67. 156 ed etico che da quello della governabilità mondiale la degenerazione del conflitto pone urgenti interrogativi alla comunità internazionale su come rendere i cittadini colombiani protagonisti del processo di pace. In particolare, nelle pagine a seguire si discuterà sulle potenzialità d’azione della società civile globale a favore della pace in Colombia, fermo restando che la riuscita di questo processo sarà possibile solo in seguito alla maturazione di una volontà politica dello Stato colombiano e della sua classe dirigente diretta a generare una proposta che renda possibile la fine delle ostilità e l’avvio di una serie di politiche che risolvano la crisi economica sociale ed umanitaria del paese. Il coinvolgimento della comunità internazionale. Prima di indagare su quello che dovrebbe essere l’obbiettivo e l’utilità dell’intervento della comunità internazionale nel sostenere il processo di pace colombiano, vorrei soffermarmi sulle motivazioni che hanno indotto di recente la comunità internazionale a rivolgere una maggiore attenzione al caso. Come si è visto nel capitolo precedente, negli ultimi venticinque anni alcuni caratteri del conflitto interno hanno prodotto delle ripercussioni non indifferenti sul piano mondiale, conducendo ad un’internazionalizzazione crescente del conflitto colombiano, tra cui: le dimensioni raggiunte dal fenomeno del narcotraffico, la partecipazione dei gruppi armati colombiani al traffico internazionale di armi, la sistematica violazione dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario, gli effetti sul piano delle migrazioni internazionali dell’incessante fenomeno di sfollamento della popolazione colombiana dalle campagne. Si è anche visto come alla luce di questi fenomeni alla fine degli anni ‘90 il presidente Pastrana seppe adoperare la sua arte diplomatica affinché sul piano mondiale si cominciasse a pensare che il problema dell’internazionalizzazione del conflitto colombiano potesse essere affrontato solo attraverso l’“internazionalizzazione della pace”.480 Posto che il punto di partenza per l’azione internazionale deve essere la comprensione del conflitto in atto, tale comprensione non può prescindere dalla considerazione che l’origine del conflitto colombiano è politica. Anche il realismo di Rangel non può che considerare che il conflitto odierno è un “problema non risolto di integrazione nazionale di un paese 479 Catherine Barnes, Conciliation Resources. Owning the process. Pubblic Partecipation in Peace Making, ACCORD; Enrique Alvarez, The Grand National Dialogue and the Oslo consultations: creating a peace agenda, ACCORD, Issue 13, 2002. 480 Instituto de Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Planeta, Bogotà, 2001, pag. 76. 157 escluso, ossia del paese rurale che non è mai riuscito a raggiungere i benefici dello sviluppo e della modernizzazione del resto della nazione”.481 Questo non significa non riconoscere che le attuali dinamiche del conflitto hanno condotto i gruppi insurrezionali ad utilizzare il potere militare in modo indiscriminato col solo obbiettivo di guadagnare una posizione di vantaggio a livello militare e politico rispetto all’avversario. Nemmeno, significa negare che il narcotraffico sia il miglior “combustibile”482 del conflitto interno. Piuttosto, riconoscere l’origine politica del conflitto conduce a porre in evidenza che il conflitto interno colombiano è nato come uno scontro tra Stato e società, in cui la legittimità dello Stato è una questione di fondo. Il recupero della legittimità statale, sia a livello nazionale che a livello internazionale, deve basarsi sul rispetto della legalità e sulla garanzia dei diritti umani, tanto civili e politici che economici, sociali e culturali.483 Pertanto, il rafforzamento di cui lo Stato colombiano ha bisogno è prima di tutto di tipo istituzionale: questo rafforzamento deve essere diretto a tutelare la società civile e ad assicurarle la possibilità di svolgere un ruolo di primo piano nel processo di pace. Solo una maggiore governabilità democratica può sfuggire all’inganno di soluzioni temporanee e parziali, generatrici di conflitti più profondi. Ecco perché le importanti riforme introdotte sul piano politico dalla Costituzione del 1991 non hanno risolto il conflitto, dimostrando che “non solo siamo di fronte ad un problema che riguarda l’accesso al potere dei settori marginali, ma che si tratta di un problema di conformazione e di esercizio del potere politico.”484 La reazione della comunità internazionale agli appelli di Pastrana e a quelli dell’attuale presidente Uribe non è affatto omogenea: gli Stati Uniti e l’Unione Europea si trovano ai due poli opposti. “Mentre la politica statunitense pone l’accento sulla produzione della foglia di coca ed i suoi effetti sul finanziamento degli attori armati al margine della legge, l’Unione Europea dà enfasi agli aspetti sociali ed umanitari del conflitto”.485 Conseguentemente, da un lato assistiamo all’aumento del coinvolgimento statunitense nel conflitto attraverso una crescita degli aiuti finanziari a sostegno delle Forze Armate colombiane tramite il Plan Colombia, cui si aggiunge un aumento della presenza sul 481 Alfred Rangel, Las dinámicas y las perspectivas de la confrontación armada en el país. In Democracia y Paz, A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002, pag. 81. 482 Maria Rudas & Claudia Clavijo, La comunidad internacional y la resoluciòn del conflicto armado colombiano. In Papeles de questiones internacionales n. 83, 2003, pag. 127. 483 Alejo Vargas Velazquez, Los desafios del proximo Gobierno colombiano, El Espectador, 16 giugno, 2002. 484 Maria Rudas & Claudia Clavijo, La comunidad internacional y la resoluciòn del conflicto armado colombiano. In Papeles de questiones internacionales n. 83, 2003, pag. 128. 158 territorio di agenti dei corpi di sicurezza privati statunitensi. Dall’altro, nonostante gli eventi dell’11 settembre e la linea dura del presidente Uribe, l’Unione Europea sembra rimanere ferma nel sostenere che l’obbiettivo della sua politica nei confronti della Colombia rimane quello di facilitare una soluzione negoziata del conflitto, attraverso il finanziamento di programmi sociali ed istituzionali finalizzati al rafforzamento dello Stato di Diritto. L’Unione Europea si propone pertanto di appoggiare tutti gli sforzi precedentemente avviati per la ricerca della pace, di intervenire per eliminare le cause del conflitto, di somministrare aiuti umanitari alle vittime e di seguire con maggiore attenzione la situazione umanitaria in Colombia.486 Tuttavia, nonostante le differenze qui accennate, oggi entrambe le potenze condividono lo stesso atteggiamento che, aldilà del riconoscimento più o meno esplicito della dimensione politica del conflitto, rimane fermo riguardo l’inclusione dei gruppi insurrezionali colombiani nella lista dei gruppi terroristici internazionali. Inoltre, nessuna delle due potenze ha adottato serie misure per limitare il commercio illegale di armi o quello legale dei precursori chimici necessari alla raffinazione della cocaina. La mobilitazione della comunità internazionale non si è limitata ad interessare l’insieme degli stati nazionali ma, attorno alle le istanze provenienti da vari attori della società civile colombiana si è mobilitato un numero crescente di attori della società civile globale, con l’intento di porre all’attenzione internazionale le dinamiche perverse e lesive dei diritti fondamentali dell’uomo messe in atto da uno Stato dimostratosi ampiamente incapace di garantire l’ordine sociale all’interno di un insieme di regole condivise. Questo fenomeno si spiega alla luce di un insieme di processi legati alla globalizzazione (quali l’annullamento tecnologico delle distanze, la conseguente “multilocalizzazione delle biografie”487, l’espansione dei canali di comunicazione e d’azione) che dopo la fine della Guerra Fredda hanno condotto ad una ridefinizione delle reti associative già individuate da Hirschmann488, a metà degli anni ’80, come un importante risorsa per la democratizzazione e lo sviluppo. La società civile globale. 485 Ibidem, pag. 131. Risoluzione del Parlamento Europeo del febbraio del 2002; messaggio del commissario delle Relazioni Estere dell’Unione Europea, Chris Patten durante il Forum dell’Unione Europea tenutosi a Bogotà il 12-13 maggio 2003; intervento di Aude Maio Coliche, membro della Commissione Europea, durante la conferenza tenutasi a Barcellona il 14-16 di aprile 2005, riguardo il tema La cooperazione internazionale a favore della Colombia: Pace e Diritti Umani? 487 Ulrich Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999, pag. 97. 486 159 Molti autori si sono espressi circa la nuova potenzialità politica della società civile globale e le sua possibile funzione di democratizzazione. Secondo Ulrich Beck i processi di globalizzazione hanno aperto le porte alla “società mondiale, intesa come nascita della possibilità di potere, spazi d’azione, di vita e di percezione del sociale che spezzano e scompigliano la concezione ortodossa nazional-statale della politica e della società.” 489 Ciò ha determinato una trasformazione della società civile in seguito all’inserimento dei suoi attori in reti o piattaforme transnazionali di diversa tipologia, alla globalizzazione delle reti informative, alla crescita ed al rafforzamento delle organizzazioni transnazionali, i cui attori agiscono in più luoghi, superando i confini nazionali, ed i cui membri appartengono a più nazioni. Pertanto, oggi viviamo in un contesto assolutamente nuovo, segnato dalla fine di un epoca in cui le relazioni internazionali erano dominate dagli Stati nazionali e dall’inizio di una nuova epoca in cui la politica mondiale si sviluppa secondo una pluralità di centri in cui, accanto agli Stati nazionali ed al capitale, si muovono anche le organizzazioni internazionali e la società civile globale. Per Beck490 il simbolo adatto a raffigurare la nuova realtà emergente è Lilliput, il paese immaginato da Jonathan Swift, nel quale il gigante Gulliver (ossia la globalizzazione dominante) si ritrova immobilizzato dai suoi piccoli abitanti che hanno saputo ricorrere ad una fitta rete di sottilissimi legacci. Il linguaggio di Falk è più diretto: anche per lui la società civile globale emergente rappresenta contemporaneamente una sfida non solo rispetto al tradizionale sistema degli stati-nazione, ma anche rispetto alla “globalizzazione dall’alto”491 messa in atto dalle forze del mercato. Questo concetto nuovo può venire inteso come una sorta di movimento di “globalizzazione dal basso”492 che si pone in modo conflittuale contro le tendenze perverse della globalizzazione che tendono a dar forma ad un sistema mondiale in cui i processi decisionali sono difficilmente visibili e controllabili. Gli editori dell’annuario Global Civil Society del Centre for Civil Society e del Centre for the Studies of Global Governance della London School of Economics and Political Science, Helmut Anheier, Marlies Glasius e Mary Kaldor493 insistono anche loro sulla possibile funzione di democratizzazione della società civile globale sui processi di globalizzaizione in atto. Inoltre sottolineano la possibile aspirazione normativa del concetto, che suggerisce l’esistenza di una coscienza 488 Albert Hirschmann, Ascesa e declino dell’economia dello sviluppo e altri saggi. Rosenberg & Sallier, Torino, 1983. 489 Ulrich Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999, pag. 87. 490 Ibidem, pag. 95. 491 Ricard Falk, Law in an emerging global village: a post westphalian perspective. ARDSLEY, New York, 1998, pag.7. 492 Ibibem. 160 globale in fieri rispetto a cui prende forma il pensiero e l’azione dei soggetti della società civile globale. Anche Marc Nerfin si spende per esaltare il nuovo potenziale di quello che egli definisce il “terzo sistema”. Nella sua analisi egli identifica la società civile con il cittadino che si distingue dal principe (il potere governativo) e dal mercante (il potere economico) e che rappresenta un potere diverso, autonomamente conquistato dalla gente. “Qualcuno tra il popolo ne prende coscienza, si associa, agisce con gli atri e diviene così cittadino”.494 Secondo Anheier495 oggi le società civili nazionali continuano in misura diversa a rimanere legate ai contesti nazionali in cui si sono formate, ma allo stesso tempo si situano in un nuovo spazio globale che non si limita ad essere una somma delle sue componenti, piuttosto si tratta di uno spazio che contribuisce a ridefinirle ed a sovradeterminarle. Per spiegare le interconnessioni complesse tra spazio nazionale e globale Beck ricorre ancora una volta ad un’immagine simbolica. Mentre “i lavoratori, i sindacati, i governi giocano ancora a filetto, i gruppi industriali transnazionali giocano a scacchi. In questo modo una pedina per il filetto nelle mani dei gruppi industriali può diventare un cavallo che dà improvvisamente scacco matto all’attonito re nazional-statale.”496 La globalizzazione è un fenomeno complesso attraversato da spinte contraddittorie. La messa in crisi del primato statale nella promozione della crescita economica e dell’integrazione sociale non è accompagnata solo da spinte universalizzanti, che tendono ad esautorare lo Stato di alcune funzioni che confluiscono in uno spazio sovradeterminato; contemporaneamente, esso è soggetto a spinte centrifughe che determinano un processo di decentramento a favore di nuove identità subnazionali. L’interconnessione complessa degli spazi locali e delle reti internazionali ha portato molti autori contemporanei a parlare di glocalizzazione. Il termine allude ad un complesso processo che non vede il locale ed il globale contrapporsi ed escludersi a vicenda, ma che conduce ad una valorizzazione e “rilocalizzazione delle culture locali nel nuovo contesto globale”.497 Per Pieterse “la 493 Helmut Anheier, Marlies Glasius e Mary Kaldor (a cura di), Global Civil Society 2001. Oxford University Press, Oxford, 2001. 494 Marc Nerfin, Né principe, mè mercante: cittadino. Un’introduzione al terzo sistema. Citato in A.Tarozzi, (a cura di), Visioni di uno sviluppo diverso. Gruppo Abele, Torino, 1990, pag. 136-137. 495 Helmut Anheier, Marlies Glasius e Mary Kaldor (a cura di), Global Civil Society 2001. Oxford University Press, Oxford, 2001. 496 Ulrich Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999, pag. 88. 497 Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan, Torino, 2004, pag. 48. 161 peculiarità di ogni luogo risulta dal fatto che esso sta nel centro di una peculiare miscela tra rapporti sociali transnazionali e locali.”498 L’idea politica di società civile globale passa attraverso la reinvenzione della società civile avvenuta negli anni ’70 ed ’80 contemporaneamente in America Latina e nell’Europa Orientale.499 A metà degli anni ’80 Guillermo O’Donnell e Philippe Schmitter500 parlano di rinascita della società civile descrivendo i processi di mobilitazione degli attori sociali e politici e di allargamento della sfera pubblica che hanno segnato l’uscita dagli autoritarismi nel contenente latino. Per Michael Ignatieff501 il recupero del termine nell’Europa Orientale avviene in termini di estraniamento e distanziamento dall’ideologia del regime, rivelandosi utile mezzo di resistenza all’autoritarismo e strumento di transizione democratica. Il recupero del termine nell’Europa Orientale viene guardato con interesse da altre parti del mondo, specie dall’Occidente, investito anch’esso da un insieme di trasformazioni che lo avrebbero condotto alla società postindustriale. La diffusione crescente di idee quali l’autonomia personale, l’organizzazione dal basso e lo spazio privato in Occidente stavano contribuendo in quegli stessi anni ad allentare i legami comunitari ed a creare nuove forme di organizzazione, mentre il ruolo dello Stato come unico regolatore dell’ordine e promotore della crescita economica e dell’integrazione sociale veniva sempre più messo in discussione. La trasformazione delle comunicazioni ha contribuito in modo decisivo ad erodere i confini nazionali della società civile.502 In quegli anni l’interconnettività crescente permise il nascere di “isole di impegno civile”503 sia in America Latina che in Europa Orientale. I movimenti pacifisti europei e nordamericani, eredi dei movimenti sociali degli anni ’70, si mobilitarono stabilendo un numero crescente di contatti con gruppi ed individui di quei continenti, nel tentativo di garantire loro solidarietà e forme di protezione. Grazie a quello 498 J. N. Pieterse, Der Melange-Effect. Citato in U. Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999, pag. 87. 499 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004; Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan, Torino, 2004; Maggie Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004. 500 Guillermo O’Donnell & Philippe Schmitter, Latin America. John Hopkins University Press, London, 1986. 501 Michael Ignatieff, Blood and belonging. Paperback, London, 1994. 502 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004. 503 Ibidem, pag. 5. 162 che Margaret Kekk e Katheryn Sikkink hanno definito “effetto boomerang”504 i gruppi di società civile aggirarono lo Stato e si appellarono a network ed istituzioni transnazionali o a Stati stranieri per far sì che le loro richieste tornassero nel paese d’origine con una maggiore forza. Il successo di questa mobilitazione globale è stata inoltre possibile grazie al terreno favorevole creato dagli accordi politici e giuridici che le grandi potenze stavano siglando, come ad esempio gli accordi di Helsinky del 1975, la cui portata fu decisiva per aprire spazi di autonomia in Europa dell’Est ed altrove. In seguito alla fine della Guerra Fredda e la caduta del socialismo reale la nozione di società civile ha raggiunto le restanti aeree geografiche, ossia l’Asia, l’Africa ed il Medio Oriente.505 Da allora secondo Mary Kaldor “al posto di forme verticali di società civile a base territoriale assistiamo all’affermazione di reti orizzontali transnazionali e globali, civili come incivili.”506 Così come lo spettro di significati del concetto di società civile è ampio e passa da una visione che comprende ogni spazio esterno allo Stato, compreso il mercato, ad una più delimitata che identifica la società civile con l’insieme delle organizzazioni sociali che occupano lo spazio intermedio esistente tra Stato e mercato, anche lo spettro di significati del concetto di società civile globale è ugualmente esteso e differenziato. Martin Shaw ha tentato di fare un elenco completo delle diverse categorie in cui suddividere gli infiniti soggetti della società civile: “organizzazioni formali che collegano istituzioni nazionali (partiti, chiese, sindacati, ordini professionali, corpi educativi, media, etc.); collegamenti di reti informali e movimenti (per esempio di donne, gay, gruppi pacifisti e movimenti); organizzazioni globali (per esempio Amnesty International, Greenpeace, Medici senza Frontiere) con uno specifico orientamento globale, iscritti globali, e scopi globali”.507 Le tematiche affrontate sono di varia natura, spesso affrontate in modo univoco. Gli obbiettivi sono immediati o di più lunga durata. Per Vanna Ianni508 con il termine di società civile globale si allude ad un insieme eterogeneo di soggetti che includono organizzazioni non governative con una forte 504 Margaret Keck & Katheryn Sikkink, Activists beyond borders: advocacy networks in international politics. Cornell University Press, Ithaca, 1998, pag. 11. 505 Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan, Torino, 2004. 506 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 6. 507 Martin Shaw, Global society and international relations. Polity Press, Cambridge, 1994, pag. 650. 508 Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan, Torino, 2004. 163 vocazione internazionale, movimenti sociali, reti formali ed informali, associazioni di diversa tipologia. Per quanto concerne la modalità d’azione seguita dai diversi soggetti della società civile globale Jan Aart Scholte propone un utile griglia che scompone nel seguente modo: “a) affronta tematiche transnazionali; b) comporta comunicazioni transfrontaliere; c) è dotata di un’organizzazione di dimensioni globali; d) lavora sulla base di una concezione di solidarietà sovraterritoriale.”509 Per l’autore, la sola presenza di una delle quattro componenti è sufficiente per classificare una attore globale, mentre la presenza di più di uno degli elementi comporta un grado di globalizzazione maggiore. Mary Kaldor510 schematizza le diverse posizioni assunte dai teorici partecipanti al dibattito inerente l’inclusività della società civile globale individuando cinque differenti versioni del concetto, due delle quali attingono da versioni passate mentre le altre tre sono contemporanee. La prima versione identifica l’idea di società civile come una sfera di diritto, ovvero di una comunità politica pacificata fondata sul consenso implicito od esplicito degli individui. Nell’ideale di Kant i confini di questa comunità politica si estendono al mondo intero: per lui il concetto di società civile universale afferisce ad una legalità cosmopolitica, garantita da un insieme di trattati ed istituzioni internazionali. La seconda versione si sviluppa attorno all’idea hegeliana e marxiana di società borghese, ovvero di società di mercato contrapposta allo Stato. Trasposta su un piano globale la società civile è considerata una sorta di processo di globalizzazione dal basso che comprende tutti i movimenti globali che avvengono al di sotto o al di fuori dello Stato e delle istituzioni politiche internazionali, tra cui anche le imprese transnazionali, l’investimento estero e le reti finanziarie mondiali. John Keane511, ad esempio, è uno di quegli autori che include nella società civile globale gli attori economici con finalità di lucro. La terza versione è quella detta postmarxista e corrisponde alla visione degli attivisti odierni che si rifà all’accezione espressa dai movimenti di opposizione dell’Europa Centrale degli anni ’70 e ’80. Presupponendo il primato della legge e del potere statale, essa insiste sulla redistribuzione democratica di questo potere. La società civile coincide in questo caso con l’attivismo civico e le forme di autorganizzazione degli spazi al di fuori dei circuiti politici formali dirette ad accrescere l’autonomia e la partecipazione dei 509 J. A. Scholte, Globalisation: a critical introduction. Mcmillan, London, 2000. Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004. 511 John Keane, Global civil society? Cambridge University Press, Cambridge, 2003. 510 164 cittadini. La società civile globale fa riferimento all’esistenza di una sfera pubblica globale nella quale abitano reti associative transnazionali che ricorrono ai media internazionali ed a strumenti di comunicazione non strumentali per attirare l’attenzione mondiale sulle loro campagne e sulle “nuove religioni civiche”512 globali, quali i diritti umani o l’ambientalismo. Secondo la versione neoliberista la società civile corrisponde ad alla vita associativa che non solo mette in discussione il potere dello Stato, ma cerca di sostituirsi ad esso assumendo sue funzioni proprie. Nella sua trasposizione globale essa è “l’equivalente sociale o politico della globalizzazione intesa come globalizzazione economica, liberalizzazione, privatizzazione, deregulation ed aumento della mobilità di beni e capitali. In assenza di uno Stato globale, un esercito di ONG svolgono le funzioni necessarie per facilitare la strada della globalizzazione economica.”513 La loro attività è rivolta a fornire aiuto umanitario alle popolazioni vittime di crisi politiche ed economiche, nell’intento di limitare i danni provocati dalla globlaizzazione. “Il lavoro delle organizzazioni più riformiste si sviluppa sulla base di un numero sempre crescente di rapporti di parternariato con le imprese, sulla lenta crescita di progetti di microeconomia, sui progetti per l’aiuto allo sviluppo.”514 In generale, la loro attività è rivolta all’implementazione di iniziative di democracy-bulding finanziate a livello pubblico e privato nell’intento di affermare la sovranità della legge ed il rispetto dei diritti umani su scala globale. Infine, nella versione postmoderna il termine società civile globale si scinde in un insieme di società civili globali formatesi a partire dalla “diffusione globale dei terreni di contestazione”515: secondo questa visione, lo spazio mondiale è abitato da una pluralità di reti organizzate su scala globale che non include solo i soggetti dell’attivismo civico, ma anche le reti sviluppatesi sulla base di identità religiose, etniche o nazionali. A tutt’oggi rimane molto dibattuta la possibilità di inclusione nel concetto di società civile globale anche di quei gruppi che giustificano il ricorso alla violenza. Scholte516, ad esempio è uno di quegli autori che considera le reti criminali, i gruppi razzisti, ultranazionalisti e fondamentalisti membri della società civile globale. 512 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 9. Ibidem. 514 Tuerry Pech & Marc Olivier Padis, Le multinazionali del cuore. Feltrinelli, Milano, 2004, pag. 85. 515 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 10. 516 J. A. Scholte, Globalisation: a critical introduction. Mcmillan, London, 2000. 513 165 La società civile come mezzo e fine della nuova nozione di sviluppo. Il potenziale politico di queste trasformazioni trova un suo primo riscontro nella nuova concezione di sviluppo umano sostenibile che si afferma in modo progressivo nel corso degli anni ’90 attraverso una serie di incontri, vertici e conferenze internazionali e che segna l’entrata della società civile contemporaneamente come fine e mezzo della modalità decentrata della cooperazione allo sviluppo. Secondo Vanna Ianni517, all’origine della messa in discussione delle politiche di sviluppo fino ad allora adottate dagli Stati nazionali, sia in riferimento agli obbiettivi raggiunti che alla metodologia utilizzata, vanno identificati gli effetti della crisi dello Stato e della conseguente affermazione della società civile nella sua dimensione nazionale e globale, insieme agli effetti generati dall’aumento delle insicurezze provocate da un numero crescente di conflitti, dai danni all’ambiente e dall’aumento dell’esclusione sociale sul piano globale. Il nuovo approccio si articola su di un insieme di concetti strettamente connessi: lo sviluppo umano, sostenibile, partecipativo. In primo luogo, la nuova visione colloca l’uomo come fine in sé al centro, secondo la nota posizione kantiana a cui fanno espressamente richiamo i Rapporti del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite elaborati negli anni ’90. Al riguardo, il Rapporto sullo sviluppo umano 5 afferma esplicitamente che «è bene ricordare l’ammonimento di Immanuel Kant “a trattare l’umanità come un fine, mai come un semplice mezzo.” La qualità della vita umana è un fine.»518 In secondo luogo, si afferma il concetto di sostenibilità, ossia della necessità di fare un uso delle risorse terrestri tale da rispettare l’ecosistema e non privare le generazioni future delle stesse opportunità di scelta di oggi. Per alcuni autori, tra cui Ignacy Sachs519, tale concetto contiene degli aspetti economici, sociali, culturali, ecologici, geografici. Con esso non si allude solo alla preservazione delle risorse naturali della terra, ma anche ad una crescita economica accompagnata da una maggiore equità sociale, una più equilibrata distribuzione degli spazi abitati e processi di modernizzazione rispettosi della diversità dei singoli contesti culturali. In terzo luogo, la partecipazione diventa sia fine che strumento della modalità decentrata della cooperazione allo sviluppo. La nozione di sviluppo si afferma come un processo procedente dal basso, che apre nuovi spazi d’intervento alla società civile ed alle autorità locali. Il riconoscimento della pluralità di soggetti e la politica di decentramento dei poteri 517 Vanna Ianni, La cooperazione decentrata allo sviluppo. Rosenberg & Sallier, Torino, 1999. Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, Rapporto sullo sviluppo umano 5. Nuove insicurezze. Rosenberg & Sallier, Torino, 1994, pag. 27. 519 Ignacy Sachs, Un modello di sviluppo alternativo per il Brasile. EMI, Bologna, 1993. 518 166 vengono presentati come metodi privilegiati per la promozione dello sviluppo umano sostenibile. Come componente fondamentale della partecipazione si afferma la nozione di empowerment, cioè di possibilità di accesso dei gruppi più deboli e marginali non solo alle risorse, ma anche e soprattutto ai momenti decisionali riguardanti questioni che si rivolgono all’intera collettività. “La partecipazione è intesa come capacità di concertazione, di dialogo e negoziato, tra soggetti diversi locali, nazionali, internazionali, pubblici e privati.”520 Le conferenze tenutesi nel corso degli anni ’90 vanno considerate, secondo Vanna Ianni521, parte di un unico processo, nel quale si afferma l’universalità dei diritti dell’uomo, pur cercando di coniugare tale universalità con il rispetto delle particolarità culturali e delle diversità di esperienze storiche. Queste conferenze mostrano un’attenzione crescente per le relazioni di partenariato, che progressivamente subiscono un processo di estensione e di trasformazione qualitativa. “La nozione di partner passa ad includere non solo i rapporti di cooperazione nord-sud e sud-sud, ma anche e significativamente quelli tra stato e società civile e, all’interno di quest’ultima, tra i soggetti diversi che la compongono.”522 Il rafforzamento del partenariato con la società civile ed il rafforzamento della società civile attraverso lo sviluppo delle sue capacità vengono considerati fattori decisivi per il superamento della dipendenza dagli aiuti che indebolisce la sostenibilità delle politiche di sviluppo. Uno degli elementi distintivi della modalità decentrata della cooperazione allo sviluppo diviene pertanto il territorio, definito come “spazio di radicamento delle politiche e degli attori dello sviluppo: esso corrisponde ad un livello intermedio di decentramento politico-amministrativo, tale da essere sufficientemente piccolo da permettere dei processi di partecipazione effettivi, e sufficientemente grande da avere le necessarie risorse per avviare uno sviluppo locale”523, indissociabilmente legato a quello nazionale ed internazionale. Anche se si considera che questo approccio comporta l’avvio di processi di più lunga durata si ritiene che l’arricchimento finale sarà sicuramente maggiore di quello ottenuto dalle vecchie politiche di sviluppo, poiché con esso si potrà disporre del contributo dei saperi locali, garantire una maggiore efficacia degli interventi, alimentare il senso di ownership, ossia il senso di appartenenza nei confronti dei processi intrapresi, assicurando un maggior grado di governabilità democratica. 520 Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan, Torino, 2004, pag. 90. 521 Vanna Ianni, La cooperazione decentrata allo sviluppo. Rosenberg & Sallier, Torino, 1999. 522 Ibidem, pag. 39. 523 Undp/Unops, Oms, Idndr, Cooperazione italiana, la sfida dello sviluppo sociale. Roma, 1995, pag. 11. 167 Molti sono coloro che denunciano il fatto che gran parte degli impegni assunti dalla comunità internazionale è rimasto confinato nel piano della retorica. “Questi obbiettivi non sono ancora stati realmente all’attenzione internazionale e, anche nel caso in cui occasionalmente o parzialmente lo sono stati, si è scoperto che esiste una drammatica mancanza di strumenti metodologici ed operativi per tradurre in pratica con coerenza questa nuova volontà politica.”524 “Questi concetti si aggirano in punta di piedi ai margini della vera politica dello sviluppo, quella del controllo delle risorse, della distribuzione delle terre, dell’emarginazione, della sicurezza e del potere decisionale.”525 Per Maggie Black la potenzialità delle nuove partnership tra governi e soggetti della società civile per l’implementazione di forme di sviluppo alternative non ha modo di esprimersi perché quando queste collaborazioni si scontrano con i forti interessi della classe dominate di un paese le forze della società civile vengono screditate, viene messa in discussione la loro legittimità e capacità d’intervento. La partecipazione viene intesa da molti non come mezzo di riorganizzazione del potere, quanto come concetto che presenta “utili caratteristiche di gestione, amministrazione e di rientro dei costi”.526 I concetti di partnership e di co-sviluppo dovrebbero implicare la negoziazione degli obbiettivi, mentre nella realtà si suppone la loro condivisione. Alcuni membri dell’Institute of Development Studies del Sussex527 ritengono che la distanza tra principi enunciati e sottoscritti dagli Stati nazionali e le pratiche attuate si allarga sempre di più in questi anni. Mentre il concetto di empowerment richiede una messa in discussione degli assetti di potere esistenti, nella pratica di gran parte degli interventi questo aspetto non viene preso in considerazione. Anche la messa in atto del principio di ownership vacilla nel momento in cui i governi nazionali e le agenzie dello sviluppo operanti a livello internazionle utilizzano tutto il loro potere politico ed economico per definire le strategie ed i metodi d’intervento. In alcune circostanze si è riusciti a far sì che l’assistenza sanitaria di base e la pubblica istruzione beneficiassero i gruppi più emarginati. Tuttavia, in società fortemente ingiuste in cui l’esercizio del potere è prerogativa di una ristretta elite, l’intento di assicurare un maggior grado di governabilità democratica si è limitato a garantire che le strutture già esistenti agissero in modo più responsabile ed efficace in relazione ai costi, rispettando 524 Ibidem, pag. 4. Maggie Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004, pag. 125. 526 Ibidem. 527 Institute of Development Studies of Sussex, Policy Briefing august 2001, www.ids.ac.uk/ids. 525 168 alcune norme politiche e sociali. Solo di rado il controllo delle risorse viene affidato alla popolazione dando loro la possibilità di modificare le strutture che la circondano. Se ciò accade si tratta di questioni di portata ridotta, come quella inerente l’eliminazione dei rifiuti, ma mai di questioni riguardanti la proprietà della terra o la risoluzione di conflitti.528 Vanna Ianni ammette che il nuovo quadro entro cui opera la comunità internazionale può assumere caratteristiche di slogan, impoverendo di significato sia il linguaggio della cooperazione che gli studi sullo sviluppo e sulla società civile. “La nozione di società civile, in particolare, si estende, si riduce e si trasforma secondo i contenuti ad essa attribuiti dai diversi donatori”.529 Tuttavia, questa vaghezza può dimostrarsi un terreno fertile per il confronto-scontro di strategie diverse, in cui convivono e si alimentano contrapposizioni che progressivamente “vanno generando – al di sotto del guscio degli obbiettivi condivisi nelle dichiarazioni ma distintamente intesi – sensibilità ed elementi concettuali comuni.”530 Per Mary Kaldor531 l’idea politica di società civile e la sua portata globale non rappresentano una panacea di tutti i mali, piuttosto, la prospettiva che aprono deve essere intesa come un processo, come un “orizzonte”532 entro cui l’umanità opera per affermare diverse pratiche di emancipazione, politica ed economica. Maggie Black533 riconosce che negli ultimi dieci anni sono stati fatti passi importanti ed utili per attribuire un nuovo significato al termine dello sviluppo, spostando l’attenzione non solo sui valori di partecipazione, ma anche sulla centralità dei diritti dell’uomo, intesi secondo un’accezione più ampia di quella che per decenni li ha confinati nell’ambito dei diritti civili e politici. In modo progressivo, dalla fine degli anni ’80 in poi, l’accento si è spostato sulla componente sociale ed economica dei diritti umani, in seguito alla presa di coscienza che “solo in questo modo si sarebbero potute mettere in discussione le disuguaglianze perpetrate dalle dinamiche di sviluppo in atto.”534 Gli attivisti ed i movimenti costituiti dalle vittime hanno così cominciato a ricorrere in modo crescente alla legge nelle loro campagne di trasformazione della realtà, anche perché le istanze dei diritti umani godono di un importante vantaggio rispetto a quelle centrate sul benessere: il consenso che riescono a mobilitare attorno ad alcune questioni è molto più ampio. 528 Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, Poverty Report 2000. Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan, Torino, 2004, pag. 94. 530 Ibidem. 531 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004. 532 Thomas Dietz, International ethics and Euroean integragion: federal state or network horizon? In Alternatives, n.22, 1997. 533 Maggie Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004. 529 169 L’autrice non risparmia però critiche rivolte all’inefficienza di un sistema giuridico internazionale che fino ad oggi ha previsto un’unica arma a disposizione dei comitati di controllo, ossia l’ammonizione rivolta agli Stati, mentre la possibilità di costituire un tribunale internazionale per giudicare sui crimini contro l’umanità viene limitata a pochi casi eclatanti. Manca un codice penale internazionale che preveda come crimini la guerra e le violazioni dei diritti umani commesse dagli Stati, così come mancano giurisdizioni internazionali abilitate a sanzionare gli uni e le altre. Ad ogni modo, anche Maggie Black converge sulla valenza positiva assunta dall’aumento della complessità del concetto di sviluppo e della molteplicità degli aspetti che oggi lo riguardano. Difatti per l’autrice “è più probabile che la povertà e lo sfruttamento si riducano maggiormente attraverso una molteplicità di sforzi che tramite una grandiosa teoria o un nuovo insieme di risoluzioni di portata globale.”535 Il caso-studio: la Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in Colombia. La tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia si costituisce a Barcellona nel 2002, anche se la dichiarazione di intenti risale al febbraio dell’anno successivo. Essa nasce in seguito all’escalation del conflitto colombiano degli ultimi anni e si propone di costruire uno spazio di concertazione tra i differenti attori sociali ed istituzionali operanti in Catalogna, impegnati a sostenere una soluzione politica del conflitto armato e la difesa dei diritti umani in Colombia. Il coordinamento è formato da un insieme di soggetti di varia natura che appartengono alla sfera istituzionale e a quella sociale includendo amministrazioni comunali, provinciali, regionali, ONG, organizzazioni sociali, sindacati, università. La Tavola non possiede lo statuto di entità giuridica, ma costituisce uno spazio d’incontro informale adatto alla confrontazione di soggetti differenti disposti a sedersi allo stesso tavolo, poiché convinti che la propria capacità d’intervento in Colombia possa accrescere enormemente attraverso la collaborazione di entità potenzialmente complementari. Al di là delle diversità, tutti i partecipanti al coordinamento regionale si trovano d’accordo nel ritenere che il processo di pace in Colombia potrà condurre ad una pace integrale e duratura solo se lo Stato colombiano, ossia il principale garante del rispetto dei diritti 534 535 Ibidem, pag. 128. Maggie Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004, pag. 135. 170 umani nel proprio territorio, si impegnerà ad assicurare la messa in atto di un processo di verità, giustizia e riparazione. Inoltre, i diversi soggetti della Tavola sono convinti che per porre termine al conflitto interno colombiano sia assolutamente necessario che la comunità internazionale riconosca ed assuma le proprie corresponsabilità in riferimento ai fattori di internazionalizzazione del conflitto colombiano. Fermo restando che la trasformazione sociale, politica ed economica di cui ha bisogno il paese deve avere come protagonista la società colombiana, i componenti della Tavola si trovano d’accordo nel riconoscere che in un mondo caratterizzato da un’economia sempre più interdipendente, la maggioranza delle decisioni che riguardano il benessere della popolazione colombiana vengono prese in centri decisionali molto lontani dalla Colombia: essi fanno riferimento alla domanda di droga, al traffico di armi, alla politica economica e finanziaria (aggiustamento strutturale, debito estero, liberalizzazione del commercio ed investimenti transnazionali), così come alle politiche di immigrazione. Riferendosi al contesto macroregionale più prossimo allo Stato spagnolo di cui la Catalogna fa parte, i soggetti della Tavola ritengono indispensabile che l’Unione Europea porti avanti una politica che in nessun modo approfondisca la polarizzazione crescente della società colombiana.536 Le iniziative principali che questo coordinamento regionale porta avanti sono riconducibili a progetti di informazione e di dibattito pubblico finalizzati ad aumentare il grado di conoscenza presso la popolazione catalana di quanto avviene in Colombia, sia in riferimento alle iniziative di pace portate avanti dalla società civile colombiana, sia in riferimento alle operazioni militari perpetrate dai diversi attori armati. Il fine è quello di costruire un discorso propositivo che stimoli l’opinione pubblica catalana ad impegnarsi a collaborare per la trasformazione del conflitto colombiano e di esercitare una pressione politica a diversi livelli (catalano, spagnolo, europeo e colombiano) per favorire la pace e il rispetto dei diritti umani in Colombia. I diversi soggetti che ne fanno parte sono impegnati a loro volta in progetti di varia natura: a partire da progetti di cooperazione decentrata volti ad individuare e a sostenere quelle controparti colombiane che si ritiene possano svolgere un ruolo importante nella trasformazione del conflitto a livello locale e regionale, per arrivare a progetti miranti a fornire rifugio politico a rappresentanti della società colombiana, sindacalisti o giornalisti in pericolo di vita. La volontà di coordinare le attività di differenti attori sociali ed istituzionali non si limita al solo territorio catalano, ma tra i propositi del coordinamento regionale si riconosce anche 536 Dichiarazione di intenti della Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in Colombia 171 la volontà di cercare la collaborazione e l’armonizzazione del proprio operato con quello condotto da altri spazi di coordinamento regionali. Il contesto catalano. Qui di seguito si cercherà di illustrare quali possono essere le ragioni che spiegano la costituzione di un simile coordinamento regionale nel territorio catalano: i quesiti cui si cercherà di rispondere si riferiscono al motivo per il quale in Catalogna la sensibilità verso il caso colombiano è così alta e quali caratteristiche del territorio catalano hanno facilitato la formazione della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia. Innanzitutto, l’attenzione rivolta dalla comunità catalana alla situazione colombiana può essere spiegata sulla base dei dati riguardanti i flussi di immigrazione. Fermo restando che la precisione dei dati raccolti non può che essere viziata da una realtà in cui molti immigrati sono costretti alla clandestinità, uno sguardo alle cifre riportate dall’Istituto di Statistica della Catalogna (IDESCAT) e dall’Istituto Nazionale di Statistica di Spagna (INE) rimane assai utile per capire che la comunità colombiana di immigrati è una delle più numerose sia a livello catalano che spagnolo. Secondo l’INE la percentuale del numero di colombiani al primo gennaio del 2004 sul totale degli immigrati censiti in Catalogna è di 5,8%: la comunità è pertanto la terza in termini di grandezza dopo quella marocchina e quella ecuadoriana. Per quanto riguarda il territorio spagnolo la percentuale sale al 8,2% anche se la posizione occupata rimane la stessa, ossia il numero dei colombiani in Spagna rimane comunque inferiore a quello dei marocchini e degli ecuadoriani.537 Secondo i dati riportati dall’IDESCAT la percentuale di colombiani residenti in Catalogna al primo gennaio del 2004 rappresenta il 4,04% del totale degli immigrati residenti. La comunità colombiana si situa al quinto posto in ordine di grandezza dopo la comunità marocchina, ecuadoriana, peruviana e cinese. Di particolare interesse è inoltre il fatto che rispetto al primo gennaio del 2000 il numero dei colombiani residenti in Catalogna è aumentato dell’81,9%.538 Per la costituzione della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia la presenza sul territorio della cattedra UNESCO per la Pace ed i Diritti Umani, presso la Scuola di Pace dell’Università Autonoma di Barcellona è stata estremamente rilevante. Tale cattedra si è costituita agli inizi del 1997 in seguito ad un accordo tra l’UNESCO, il contenuta nell’appendice. 537 Fonte: Instituto Nacional de Estadistica INE, www.ine.es/inebase. 538 Fonte: Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali. Osservatorio permanente sull’immigrazione, www.idescat.es. 172 Governo della Catalogna e l’Università. Il compito che è stato affidato alla cattedra è quello di lavorare su temi legati al disarmo, alla trasformazione di conflitti e alla cultura della pace. Oltre ai programmi di docenza e di ricerca il nucleo centrale dell’attività svolta dalla cattedra è costituito dall’iniziativa “Unità di Allerta”. Avvalendosi di un equipe interdisciplinare che analizza giorno per giorno la situazione in tutti i paesi del mondo dalla prospettiva della corsa agli armamenti, dello sviluppo, dei diritti umani e dei conflitti, attraverso questo programma la cattedra elabora una relazione annuale, trimestrale e settimanale descrittiva della situazione dei paesi in guerra che viene distribuita sul web539. Negli ultimi anni l’“Unità di Allerta” si è inoltre occupata della campagna “Addio alle Armi” promossa da Greenpeace, Amnesty International, Medici senza Frontiere ed Intermon-Oxfam. In quest’occasione l’Università ha svolto un importante ruolo di coordinazione tra le diverse ONG coinvolte nella campagna. La cattedra aspira ad arrivare a svolgere un ruolo strategico nella “diplomazia cittadina”540 necessaria alla trasformazione dei conflitti. I suoi collaboratori sono convinti che l’istituzione universitaria possieda alcune caratteristiche che le permettono di convertirsi in un referente importante per gli attori in conflitto e gli attori sociali ed istituzionali coinvolti in situazioni di guerra. L’idea di base è che, potenzialmente, l’Università può fornire degli spazi e dei momenti di riflessione in grado di facilitare l’avvicinamento tra attori in disputa. Per Alicia Barbero541 il ruolo dell’istituzione universitaria è molto importante anche sotto un altro punto di vista: essa ha la possibilità di accedere a dei canali di finanziamento pubblici che possono essere dirottati nel finanziamento di progetti finalizzati ad accrescere i ponti esistenti tra società civili nazionali di differenti paesi. In sintesi, secondo la prospettiva dei collaboratoti della cattedra dell’UNESCO, operante all’interno della Scuola di Pace, l’Università possiede i mezzi per realizzare quelle condizioni necessarie affinché si materializzino fondi o, più in generale, terreni favorevoli per la nascita di nuove alleanze tra soggetti sociali ed istituzionali, locali, nazionali ed internazionali. Simbolicamente il ruolo potenziale dell’istituzione universitaria somiglia a quello di una “badante che si occupa di un bambino: una volta cresciuto il bambino la badante se ne va’.”542 539 Vedi il sito della Escuela de Pau: www.esoladepau.org. Kristian Herbolheimer, La Universidad como tejidora de paz, www.escolapau.org, pag. 1. 541 Alicia Barbero e Kristian Herbolheimer sono i due principali componenti di quella parte dell’equipe della cattedra dell’UNESCO che lavora al programma colombiano. 542 Intervista ad alicia Barbero, pag. 3. 540 173 In riferimento al caso colombiano, dall’ottobre del 2000 la cattedra ha promosso il programma chiamato “Colombia: internazionalizzare la pace”, la cui funzione non consiste tanto nell’investigare ulteriormente sulle cause del conflitto in atto, quanto nel contribuire in modo diretto nella costruzione di pace. Alla luce della limitata incidenza delle numerose iniziative europee promosse in appoggio alla pace, ai diritti umani e allo sviluppo in Colombia e del profondo scetticismo che attraversa l’opinione pubblica europea, dovuto alla complessità del conflitto e alla difficoltà di identificarsi con uno degli attori coinvolti, i collaboratori della cattedra si sono impegnati in parallelo su cinque fronti. In primo luogo, la cattedra ha promosso il consolidamento e la nascita di alleanze già avviate o potenziali, sia sul piano sociale che su quello istituzionale, al fine di rendere complementare e quindi più efficace l’azione di differenti soggetti catalani già operanti in Colombia. Mosso dalla convinzione che spesso esistono attori internazionali con un ruolo potenziale maggiore di quello esercitato in un dato momento, come per esempio i comuni, le regioni, le scuole ed i collettivi di colombiani immigrati, e che il compito dell’istituzione universitaria sia quello di aiutare nell’identificazione di obbiettivi comuni pur riconoscendo le necessarie differenze, l’equipe della cattedra si è adoperata affinché la Tavola Catalana per la Pace e per i Diritti Umani in Colombia divenisse una realtà. Insieme alla ONG catalana Cooperaciò i collaboratori della cattedra si sono occupati di prendere i primi contatti con altre ONG ed amministrazioni pubbliche del territorio catalano per invitarle a prendere parte al progetto della Tavola e a condividere quel “minimo comune denominatore necessario all’azione congiunta del coordinamento”.543 In secondo luogo, la cattedra UNESCO si è preoccupata di “armare un discorso propositivo”544, capace di avvalersi dell’utilizzo di tutti i mezzi di comunicazione per spiegare nella maniera più chiara e completa possibile all’opinione pubblica catalana, spagnola ed europea quello che avviene nel paese colombiano. Difatti, sulla base di una conoscenza dei fatti adeguatamente approfondita è possibile ottenere una maggiore risposta dalla società civile occidentale alle proposte di azione di solidarietà. La Colombia è stata così uno dei primi paesi su cui si è applicato il programma “Unità di Allerta.” Gli studi condotti sul paese sono stati inoltre pubblicati in riviste specializzate. Infine, per coinvolgere in modo più diretto la popolazione locale sul tema colombiano l’Università si è impegnata a promuovere e coordinare quello che è l’evento più importante che annualmente viene organizzato dalla Tavola: le così dette “Giornate Aperte”, ossia un 543 Intervista ad Alicia Barbero, pag. 1. Si riferisce ai principi condivisi nella Dichiarazione di intenti. 544 Kristian Herbolheimer, La Universidad como tejidora de paz, www.escolapau.org, pag. 3. 174 insieme di conferenze e seminari aperti al pubblico in cui di anno in anno si affrontano tematiche cruciali diverse inerenti il conflitto interno colombiano. In terzo luogo, la cattedra si è impegnata nell’elaborazione di proposte di politiche municipali di costruzione di pace per tutte quelle amministrazioni catalane interessate a sostenere programmi di sensibilizzazione, programmi di cittadinanza per la popolazione immigrata ed azioni di solidarietà diretta con alcuni municipi colombiani. In armonia con i principi alla base della cooperazione decentrata allo sviluppo che insistono sulla necessità di incrementare la partecipazione della popolazione locale alle politiche di sviluppo poste in atto ed il suo senso di appartenenza nei confronti dei processi avviati, l’equipe della cattedra dell’UNESCO ritiene difatti che il Comune sia il livello di amministrazione pubblica più vicina al cittadino e pertanto anche il più adatto a canalizzare la solidarietà della popolazione. Gli sforzi fatti in tal senso si sono concretizzati con l’adesione del Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment alla Tavola fin dalla sua costituzione. In quarto luogo, la cattedra ha voluto che la sua opera di divulgazione delle informazioni non si centrasse solo sulle operazioni di guerra perpetrate dagli attori armati e sulle ragioni che motivano la loro azione di guerra, ma soprattutto sulle iniziative di pace provenienti dalla società civile colombiana. La strada che conduce ad una soluzione negoziata del conflitto passa attraverso il rafforzamento delle misure atte a garantire una maggiore protezione della popolazione civile colombiana, affinché le resistenze della popolazione di fronte alle opzioni di allearsi a uno degli attori armati o di abbandonare la propria casa e la propria terra siano sempre più numerose. Sulla base di queste convinzioni l’idea ispiratrice della prima edizione delle “Giornate Aperte” ha riguardato il tentativo di avvicinare la popolazione catalana ad una nuova prospettiva del conflitto che scaturisse dai resoconti e dalle proposte di costruzione di pace provenienti da alcuni esponenti della società civile colombiana. Infine, alla luce del fatto che “davanti a problemi globali è possibile procedere solo con risposte globali”545, l’equipe della cattedra ha ritenuto opportuno rafforzare tutti i mezzi a disposizione della Tavola per esercitare una pressione politica diretta a ridurre l’enorme gap esistente tra le azioni intraprese da alcuni governi occidentali e le dichiarazioni rilasciate dai suoi rappresentanti. La cattedra dell’UNESCO ritiene difatti che l’Unione Europea e i suoi Stati membri debbano riconoscere pubblicamente le proprie corresponsabilità in relazione ai fattori di internazionalizzazione del conflitto colombiano e, a partire da lì, elaborare strategie specifiche per limitare l’incidenza di questi fattori. Una 545 Ibidem, pag. 4. 175 delle ragioni principali che ha mosso l’istituzione universitaria a dare vita alla Tavola è stata la convinzione che in questo modo fosse possibile dare vita ad una vera e propria “lobby”546 in grado di esercitare una maggiore pressione politica a livello catalano, spagnolo, europeo e colombiano. A livello locale l’incidenza politica cresce grazie alle nuove dinamiche della cooperazione internazionale decentrata: coinvolgendo nella Tavola attori istituzionali quali ad esempio il Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment, che amministra i fondi che 270 comuni catalani hanno deciso di destinare a programmi di sviluppo e cooperazione, i paesi donanti finiscono per “assumere nella propria agenda politica gli obbiettivi delle agende dei paesi beneficiari degli aiuti, al fine di ottenere un risvolto politico sulla scena locale.”547 L’incidenza politica a livello statale e macroregionale è invece cresciuta nella misura in cui il numero di rappresentati politici di organismi internazionali, di istituzioni europee, spagnole e colombiane invitati alle “Giornate Aperte” è aumentato enormemente nelle edizioni del 2004 e 2005. Infine, la situazione estremamente favorevole che vive la cooperazione decentralizzata sul territorio spagnolo ha sicuramente contribuito a creare un terreno fertile capace di stimolare la nascita di coordinamenti regionali di questo tipo. Gli aiuti alla cooperazione internazionale delle Comunità Autonome e delle entità locali hanno subito un progressivo aumento a partire dalla seconda metà degli anni ’80 in seguito a due ordini di fattori. In primo luogo, la conquista di un numero crescente di strumenti di autogoverno a favore delle entità autonome e locali in seguito al processo di decentralizzazione politica ed amministrativa dello Stato spagnolo. In secondo luogo, la crescente sensibilizzazione sociale in riferimento alle istanze di solidarietà internazionale ha aumentato la pressione politica sulle entità amministrative più vicine ai cittadini per un impegno più attivo in questo ambito. Nel corso della seconda metà degli anni ’90 il tasso di crescita dei contributi messi a disposizione dalle amministrazioni decentralizzate ha addirittura superato il tasso di crescita dell’ammontare totale degli aiuti destinati alla cooperazione internazionale da parte del governo centrale. Si tratta di un’esperienza che non ha eguali sul piano internazionale.548 In queste ultime due decadi sono inoltre nati dei Fondi di Cooperazione e Solidarietà in molte delle Comunità Autonome di Spagna. Si tratta di organismi senza animo di lucro in cui si riuniscono comuni ed altre istituzioni pubbliche e private per la gestione congiunta di fondi economici destinati allo sviluppo dei paesi più 546 Intervista a Nuria Camps, pag. 4. Intervista ad Alicia Barbero, pag. 4. 548 Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, 2ª jornada estatal de cooperaciòn descentralizada. Confederacion de Fondos de Cooperaciòn y Solidariedad, Barcelona, 2001. 547 176 poveri. Ognuno di loro ha origini ed identità proprie, legate al territorio in cui si sono costituiti. Dal 1995 sono tutti raggruppati nella Confederazione di Fondi di Cooperazione e Solidarietà. In particolare, il Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment è un organismo di carattere misto in cui sono confluite istituzioni pubbliche (comuni, giunte provinciali e la giunta regionale della Generalitat) ed entità cittadine (associazioni, collettivi ed imprese più sensibili a queste tematiche) che vanta diversi primati: oltre ad essere il più longevo (si è formato nel 1986) è sempre stato il primo in riferimento al numero di istituzioni pubbliche associate e all’importo dei mezzi amministrati, come si vede dai dati delle tabelle a seguito, secondo quanto riportato dal Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment.549 Tabella 1. Istituzioni pubbliche associate e mezzi amministrati in migliaia di euro per ogni Fondo nel 2002. Confederazi one di fondi Istituzioni pubbliche Mezzi economici associate amministrati di Anno di Cooperazion fondazione e e Solidarietà Fondo 1986 258 3.945 Fondo Basco 1988 78 1.081 Fondo 1992 88 1.031 1993 57 2.212 1993 10 924 1997 64 325 Catalano Valenziano Fondo Maiorca Fondo Minorca Fondo Galiziano 549 Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, Realidad de los Fondos de Cooperaciòn 2001-2003. Confederacion de Fondos de Cooperaciòn y Solidariedad, Barcelona, 2003. 177 Fondo Pitiùs 1999 5 796 Fondo 2000 39 371 2002 52 - 651 10.685 Andaluso F. Estremadura TOTALE Tabella 2. Evoluzione del numero di soci dei Fondi di Cooperazione e Solidarietà 19962003. 178 Tabella 3. Evoluzione dei mezzi amministrati dai Fondi di Cooperazione e Solidarietà 1996-2003. Descrizione dell’iniziativa. La Tavola Catalana per la Pace e i Diritti umani in Colombia è un coordinamento regionale di carattere misto, che si avvale della partecipazione di attori istituzionali e sociali.550 Essa presenta un’organizzazione di tipo reticolare: i soggetti che ne fanno parte godono degli stessi diritti e degli stessi doveri e tutti lavorano “affinché le decisioni siano le più condivise possibili”.551 All’interno del coordinamento coesistono tre livelli di organizzazione. Il primo livello è quello dell’Assemblea Plenaria, ossia un organo decisionale formato da un rappresentante di ciascuno dei componenti partecipanti alla Tavola, che si riunisce una volta al mese. La logica interna dell’Assemblea “non è modellata sulla base della teoria democratica, viceversa ogni membro esercita il diritto di veto.”552 Pertanto, le decisioni vengono prese per consenso unanime. Affianco 550 Per l’elenco completo dei soggetti partecipanti vedi la Dichiarazione di intenti contenuta in appendice. 551 Intervista a Lola Crespo, pag. 2. 552 Ibidem. 179 all’Assemblea Plenaria lavora la segreteria tecnica, un organo amministrativo responsabile dell’implementazione dell’agenda stabilita in Assemblea. La segreteria è composta di una o due unità. Non ci sono delle attività di esclusiva competenza della segreteria: la sua funzione è quella di “organizzare e canalizzare”553. Gran parte del lavoro viene svolto dai diversi componenti della Tavola che partecipano secondo la propria disponibilità, specializzazione ed interesse. Tutto quello che non viene svolto dall’insieme dei membri della Tavola viene svolto dalla segreteria: “il tutto avviene in modo molto spontaneo”.554 Infine, c’è il Comitato Operativo formato anch’esso da un rappresentante di ogni componente membro del coordinamento, che si occupa dell’organizzazione delle “Giornate Aperte”. Non esiste un rappresentante unico della Tavola: quando di tanto in tanto si presentano situazioni che richiedono la presenza di un portavoce per l’intero coordinamento, come la partecipazione a riunioni politiche ufficiali, in Assemblea Plenaria si procede alla designazione della persona che per capacità e competenze si ritiene sia la più adatta a seconda della tipologia dell’incontro. La comunicazione tra i diversi soggetti avviene in modo diretto, ma poiché l’Assemblea si riunisce una sola volta al mese, in caso di urgenze si ricorre alla comunicazione elettronica per informare tutti i componenti della Tavola e per trovare un accordo su come agire. Come già accennato, la Tavola non possiede lo statuto di entità giuridica, pertanto non amministra fondi propri. I finanziamenti attraverso cui viene garantita l’esistenza stessa del coordinamento provengono dalla donazione annuale che i suoi membri sono tenuti a versare. Per ogni categoria di soggetti la segreteria tecnica avanza una proposta; successivamente, i componenti della Tavola mettono a disposizione una somma di denaro corrispondente alla loro grandezza e capacità economica. Questi fondi vengono utilizzati per coprire le spese d’ufficio, eventuali viaggi e per ricompensare il lavoro di quanti prendono attivamente parte ai lavori di coordinazione. I finanziamenti necessari al pagamento della persona che lavora per un anno nella veste di segretario tecnico costituiscono la spesa più elevata: fino ad ora, questi fondi sono stati ottenuti attraverso la partecipazione di uno dei membri della Tavola al bando aperto dall’Agenzia Catalana di Cooperazione allo Sviluppo. Questo significa che l’ottenimento di questi fondi non è automatico e che in futuro la procedura seguita potrebbe variare. Il finanziamento della Tavola da parte della Generalitat non avviene in modo diretto proprio perché essa non possiede uno statuto giuridico proprio. Anche il resto delle iniziative promosse dalla 553 Intervista a Alicia Barbero, pag. 4. 180 Tavola vengono finanziate attraverso fondi pubblici: l’accesso a questi finanziamenti può essere messo a disposizione da uno o più componenti del coordinamento tra i cui compiti figura l’amministrazione di fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, come il caso del Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment o, come nel caso appena citato riguardante il finanziamento della segreteria tecnica, dalla partecipazione di uno o più soggetti della Tavola a bandi indetti dalla Generalitat. L’obbiettivo principale della Tavola è, con le parole della segretaria tecnica Lola Crespo, “quello di far arrivare al governo della Catalogna e di Spagna e, in minor parte, ad alcuni parlamentari che lavorano nell’Unione Europea con i quali il coordinamento mantiene delle relazioni, le rivendicazioni della società civile colombiana organizzata che preme per una soluzione politica del conflitto e per la protezione dei diritti umani.”555 La Tavola fa proprie queste rivendicazioni e si adopera affinché esse assumano una forza maggiore sul piano catalano, spagnolo, internazionale e quindi colombiano. Tali rivendicazioni fanno tutte riferimento al compimento delle raccomandazioni della sede colombiana dell’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani. Lo spazio pubblico designato alla loro affermazione è offerto dalle così dette “Giornate Aperte”, ossia l’iniziativa maggiore e più importante organizzata dal coordinamento che ha luogo annualmente nella città di Barcellona. Dal 2003 la Tavola promuove tre giorni di dibattito pubblico attorno a tematiche specifiche riguardanti il conflitto interno colombiano. Queste giornate sono nate con l’intenzione di contribuire allo sforzo fatto dalla Tavola di costruire un discorso propositivo che induca l’opinione pubblica catalana e tutti gli agenti sociali, politici, di governo, locali, spagnoli, colombiani ed internazionali a lavorare insieme per la trasformazione del conflitto colombiano. Il fatto che per l’apertura dell’evento e lo svolgimento degli incontri del primo giorno venga utilizzato il palazzo della Generalitat conferma l’attenzione rivolta all’evento da parte delle istituzioni catalane ed il carattere politico che i promotori delle giornate conferiscono a tale dibattito pubblico. Nel 2003 il proposito delle “Giornate Aperte” fu quello di avvicinare la società catalana ad una nuova prospettiva del conflitto, informando ed analizzando le sue cause e condizioni attraverso alcuni protagonisti della società civile colombiana e le loro proposte per la costruzione della pace, nel tentativo di uscire dalle visioni offerte dagli attori armati. Le giornate di quell’anno ebbero per titolo “La società colombiana e la costruzione di pace”. Nelle giornate dell’anno seguente, intitolate “Colombia: un vicolo cieco con via di uscita”, si approfittò dell’opportunità di presentare la “Relazione Nazionale di Sviluppo Umano, Colombia 2003” appena 554 Intervista a Lola Crespo, pag. 3. 181 pubblicata dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo: si tratta della prima relazione di sviluppo umano del mondo centrata su di un paese attraversato da un conflitto armato interno, messa in risalto per il suo sforzo di avanzare proposte concrete, elaborate a partire da un ampio processo di partecipazione di diversi settori sociali e politici per contribuire alla superazione del conflitto. Quest’anno infine, la Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani ha cercato di offrire uno spazio di riflessione sul ruolo che la cooperazione internazionale, dell’Unione Europea e dei suoi paesi membri, può avere in paesi in conflitto armato come la Colombia: di rafforzamento delle istituzioni democratiche, protezione dei diritti umani e ricerca di una soluzione politica o, al contrario, di favorire il prolungarsi ed intensificarsi del conflitto. Le iniziative promosse singolarmente dai diversi componenti della Tavola sono molteplici e di varia natura. Si è visto che il fronte principale su cui lavora il soggetto fondatore della Tavola, la Scuola di Pace dell’Università Autonoma di Barcellona, è ad esempio orientato contemporaneamente sul tentativo di fornire e diffondere un numero sempre maggiore di strumenti di analisi del conflitto e del processo di pace in Colombia e sul proposito di sostenere un numero crescente di reti di soggetti che lavorano in relazione al caso colombiano. Riguardo a quest’ultimo punto, il suo impegno non si esaurisce nell’appoggio offerto alla Tavola Catalana nei lavori di pianificazione e divulgazione delle sue iniziative, ma si estende ad ambiti più ampi. Difatti, la Scuola di Pace è impegnata nell’accompagnamento internazionale di altre due reti. Da un lato, tale accompagnamento si rivolge alle organizzazioni locali, nazionali ed internazionali mobilitate attorno ai diritti delle donne in Colombia; dall’altro, riguarda un gruppo di comuni colombiani impegnati in azioni di resistenza alla guerra e in iniziative civili di pace, in parte sostenute da un gruppo di comuni catalani. In questi ultimi due anni, tale accompagnamento è riuscito a concretizzarsi nel finanziamento di due borse di durata annuale, grazie a cui dei rappresentanti della società civile colombiana attivi in questi due campi hanno avuto modo di lavorare sul territorio catalano per sensibilizzare la popolazione locale rispetto a quanto viene fatto dalle istituzioni o dai gruppi associativi di cui essi fanno parte. Quest’ultimo anno le due borse sono state offerte ad una rappresentante del movimento Ruta Pacifica de las Mujeres Colombianas e a un rappresentante della campagna Governabilidad participativa desde los municipios. La Ruta Pacifica rappresenta una parte dell’ampio movimento sociale delle donne colombiane. Essa è sorta nel 1996 sulla base di un accordo nazionale di differenti 555 Ibidem, pag. 3. 182 organizzazioni unite allo scopo di dare una maggiore visibilità alla drammatica situazione in cui vivono le donne colombiane in corrispondenza delle zone del conflitto armato a cause delle azioni commesse da paramilitari, guerriglieri e membri dell’esercito colombiano. Con questo scopo, dal 1996 sono state organizzate una serie di manifestazioni in corrispondenza di quelle che la Ruta Pacifica chiama “zone focali”556 del paese. Queste mobilitazioni culminano nella giornata del 25 novembre, giornata nazionale della non violenza contro le donne. La Ruta Pacifica raccoglie più di 350 organizzazioni di donne attive in diverse parti del paese; al suo interno, anche la presenza di donne che aderiscono al movimento in forma individuale è alta: approssimativamente la Ruta Pacifica è formata da 3500 donne. Non si tratta solo di un movimento di denuncia, ma le sue varie componenti si dedicano anche all’elaborazione di una serie di proposte per sostenere una soluzione politica del conflitto, tutte accomunate dalla convinzione che “la via militare non rappresenti una soluzione possibile di un conflitto così prolungato.”557 L’ obbiettivo del movimento è quello di contribuire alla “costruzione di relazioni etiche che permettano di valorizzare il tessuto sociale e la diversità delle iniziative provenienti da tutti i soggetti sociali che condividono la via del pacifismo.”558 Alla campagna Governabilidad participativa desde los municipios aderiscono invece un numero crescente di comuni colombiani, alcuni dei quali si sono costituiti collettivamente come Assemblea Municipale Costituente. Il loro intento è quello di opporsi alle dinamiche del conflitto e al ricorso alle pratiche di violenza ad opera di tutti i gruppi armati contro la popolazione civile. Ispirandosi ai principi di non violenza e a quelli contenuti nella Costituzione del 1991 l’azione di questi comuni insiste sull’urgenza di procedere nell’implementazione di alcuni importanti principi e diritti sanciti dal testo costituzionale. Il rispetto dei principi alla base dello Stato di Diritto ed il riconoscimento della Repubblica Unita di Colombia come forma Stato fondato sulla democrazia partecipativa e pluralista e su di un ordinamento amministrativo decentralizzato, che riconosce alti gradi di autonomia alle sue entità territoriali, sono i principi base a cui questi patti costituzionali si rifanno. Il progetto chiamato Assemblea Municipale Costituente è partito dal Comune del Tarso, nel Dipartimento di Antioquia, il 28 gennaio del 2001. Con esso la comunità locale si è svincolata da tutti gli attori armati presenti sul luogo dichiarandosi “Municipio di Pace” e ha posto le basi per l’avvio di un processo atto a modificare il sistema di governo del municipio. Se prima il modello si fondava sui principi di democrazia rappresentativa oggi 556 Intervista a Monica Valencia, pag. 1 Ibidem, pag. 2. 558 Ibidem. 557 183 esso si ispira ai principi di democrazia partecipativa, grazie a tre importanti strumenti: la convocazione di un’assemblea annuale aperta a tutta la popolazione del Comune che nomina un gruppo di 150 suoi delegati rappresentanti dei diversi settori sociali che lavorano a fianco del sindaco nell’implementazione del Piano di Sviluppo, nelle sue parti più tecniche; la partecipazione diretta della comunità nell’implementazione del Piano di Sviluppo; il compito di valutazione e controllo svolto dalla comunità sull’operato del sindaco rispetto al Piano di Sviluppo grazie a cui, in nome del patto costituente, il sindaco sarà costretto ad abbandonare la sua carica nel caso la popolazione esprimesse un giudizio insoddisfacente. Considerati i successi ottenuti dal Municipio del Tarso in riferimento alla convivenza pacifica raggiunta, all’unità della popolazione garantita grazie ad un previo processo di perdono ed inclusione di tutte le parti sociali e ai bilanci positivi ottenuti dai processi produttivi avviati, il modello è stato imitato dal governatore del Dipartimento di Antioquia, Guillermo Gaviria Correa che l’11 agosto del 2003 ha costituito l’Assemblea Costituente di Antioquia. Ogni Comune del dipartimento è pertanto chiamato ad elaborare una propria agenda di governo; successivamente, tutti i documenti elaborati a livello comunale confluiscono a livello regionale.559 Alcuni Comuni colombiani che hanno partecipato alla nascita delle Assemblee Municipali Costituenti in corrispondenza del Dipartimento di Antioquia sono i beneficiari dei fondi amministrati dal Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment. L’obbiettivo di questa fondazione è quello di “dare vita ad una relazione stabile e durevole nel tempo tra popolo e popolo, costruendo un ponte tra i comuni catalani e quelli dei paesi beneficiari.”560 Le attività di cooperazione decentrata finanziate dal Fondo sono dirette a promuovere la crescita di questo movimento attraverso il rafforzamento di queste amministrazioni con il finanziamento, ad esempio, di progetti produttivi capaci “di creare nuove possibilità di lavoro e ridurre di conseguenza la partecipazione della popolazione colombiana al conflitto armato.”561 Il successo maggiore raggiunto dal Fondo è di aver fatto sì che più di cento municipi catalani siano riusciti a mettere in pratica le raccomandazioni delle Nazioni Unite, decidendo di destinare lo 0,7% del loro bilancio alla cooperazione internazionale.562 Allo stesso tempo il Fondo è impegnato nel sostegno di alcune iniziative promosse dalle Brigate Internazionali di Pace, una ONG internazionale che concentra i propri sforzi su iniziative di accompagnamento di 559 Oscar de Jesus Hurtado, sindaco del Municipio del Tarso, Municipio de Tarso. Comunidad y territorio de paz en Assemblea Costituyente. In Fondo Catalano di Cooperazione allo Sviluppo, Encuentro de municipalismo en America del sur., Barcellona, 2004. 560 Intervista a Nuria Camps, pag. 3 561 Ibidem, pag. 2. 562 Ibidem, pag. 3. 184 persone costrette ad abbandonare la propria casa e la propria terra; da Amnesty International, la cui attività è rivolta a fornire protezione a persone perseguitate per motivi politici, garantendo loro i mezzi necessari ad uscire dal paese e rimanere in una situazione di sicurezza per periodi di tempo determinati. La protezione della vita di persone colombiane perseguitate, nella fattispecie sindacalisti, è da sempre stato uno degli ambiti attorno a cui si è mobilitata la Fondazione Pau y Solidarietat, ossia un comitato operaio per la cooperazione e la solidarietà nato in seno al sindacato spagnolo CCOO. I contatti tra il sindacato spagnolo ed i sindacati colombiani della CUT e la USO sono antecedenti l’adesione della CCOO alla Tavola Catalana. Queste relazioni sono state intessute nel corso degli ultimi dieci anni, periodo in cui il sindacato spagnolo ha tentato di fornire il suo pieno appoggio politico alla CUT e la USO, ogni volta che esse lo richiedevano: per esempio, per la presentazione ai vari Governi colombiani di carte di denuncia delle violazioni dei diritti umani subite dai loro leader o lavoratori iscritti. Da un anno a questa parte la fondazione Pau y Solidarietat è impegnata nella realizzazione del suo primo progetto di cooperazione decentrata nella regione del Valle, la zona attorno a Cali. Il progetto è già stato approvato dalla Generalitat ma non è ancora stato avviato: comincerà entro la fine dell’anno in corso e durerà un anno, anche se l’intenzione è quella di rinnovarlo ed ampliarlo. Esso si occuperà della formazione di un gruppo di sindacalisti appartenenti alla CUT attorno a tematiche legate alla salute lavorativa. Per Alonso Ceferino il “compito primario della fondazione consiste nel sensibilizzare ed informare la popolazione catalana e spagnola su quanto sta accadendo in Colombia, cercando di far chiarezza sulle caratteristiche di un conflitto che si prolunga oramai da così tanto tempo.”563 Fino ad ora la fondazione ha ricevuto e finanziato la visita di numerosi sindacalisti colombiani, in particolar modo di rappresentanti di lavoratori dell’agenzia telefonica nazionale della Colombia (ossia Telecom Spagna), di compagnie petrolifere e di imprese tessili. L’obbiettivo della loro visita in Catalogna è quello di denunciare la situazione critica del movimento sindacalista colombiano, sia dal punto di vista dei diritti dei lavoratori sia per quanto concerne il bassissimo livello di sicurezza in cui sono costretti a lavorare i leader sindacali. La Colombia è il paese con il più alto numero di morti violente tra sindacalisti: solo nel 2001 sono stati assassinati 223 sindacalisti, ovvero il 90% dei sindacalisti uccisi nello stesso periodo nel mondo.564 563 564 Intervista ad Alonso Ceferino, pag. 2. Guido Piccoli, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli, Milano, 2003, pag. 14. 185 Limiti e possibilità. La Tavola Catalana per la Pace e i diritti Umani in Colombia presenta naturalmente dei vantaggi e degli svantaggi. Tra le sue forti potenzialità, in primo luogo sta la partecipazione istituzionale catalana, aspetto che la complessità di un simile conflitto così prolungato negli anni rivela assolutamente positivo ed importante. Per Alicia Barbero esso “eleva il peso politico dell’accompagnamento fornito dalla Tavola alle iniziative civili di pace provenienti dalla popolazione colombiana.”565 Anche Nuria Camps considera la Tavola uno “spazio interessante come piattaforma di incidenza politica, sia a livello locale che nazionale: a livello nazionale, soprattutto in seguito al cambio di Governo, si sono aperti nuovi spazi di collaborazione estremamente interessanti.”566 L’informalità che contraddistingue la Tavola rappresenta uno dei suoi vantaggi maggiori, in quanto permette che la coordinazione delle attività venga di volta in volta assunta da chi si trova nella situazione migliore per poterlo fare. Considerazione condivisa da Nuria Camps e dal sindacalista Alonso Ceferino, per il quale l’assenza di obblighi determinati “rende molto aperta la partecipazione alla Tavola a qualsiasi organizzazione che lo desideri.”567 L’orizzontalità assicura inoltre l’uguaglianza e lo stesso diritto d’intervento a tutti i partecipanti del coordinamento. Lola Crespo invece individua nell’elevata operatività del coordinamento il suo maggior vantaggio. Tale operatività è resa possibile dal pragmatismo, la competenza e l’interesse dimostrati dalle persone che ne fanno parte. Questo ha permesso al coordinamento di raggiungere importanti successi sia dal punto di vista dell’alto profilo politico delle attività realizzate, sia riguardo l’aumento della conoscenza della situazione colombiana in Catalogna tra la società civile e nelle amministrazioni. L’orizzontalità del coordinamento limita in parte questa operatività, in particolare la segretaria tecnica della Tavola riscontra non poche difficoltà nella produzione di documenti scritti a causa della necessaria loro approvazione all’unanimità da parte di tutti i suoi membri. Il non avere una struttura rende più complesso e meno agile il processo decisionale del coordinamento anche secondo Alonso Ceferino. Nelle situazioni di emergenza la segreteria tecnica finisce per assumere delle responsabilità e dei compiti che non le appartengono. Per Ceferino questo costituisce in realtà uno svantaggio per la persona che svolge il lavoro di segretaria, mentre assicura l’operatività della Tavola che ne beneficia. 565 566 Intervista ad Alicia Barbero, pag. 5. Intervista a Nuria Camps, pag. 4. 186 Per Alicia Barbero l’operatività del coordinamento è invece in parte limitata dalla stessa presenza istituzionale: “la limitazione del tempo dedicato al caso colombiano da parte della maggior parte dei soggetti istituzionali della Tavola rappresenta il limite maggiore all’avanzamento dell’analisi collettiva del coordinamento in relazione ad un conflitto così complicato.”568 Il dibattito aperto dalle “Giornate Aperte” del 2005 riguardo il ruolo che può svolgere la cooperazione internazionale, dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, in un paese in conflitto armato come quello colombiano In queste giornate svoltesi a Barcellona nel mese di aprile dell’anno in corso numerosi e diversi esponenti di istituzioni ed organizzazioni sociali catalane ed internazionali, così come numerosi rappresentanti istituzionali e della società civile provenienti dalla Colombia hanno avuto modo di confrontarsi sul tema della cooperazione europea in Colombia. La presentazione della politica che ispira la partecipazione dell’Unione Europea al processo di pace in Colombia è stata affidata a Dusan Chrenek, membro del Consiglio dell’Unione Europea il quale non ha mancato di precisare che la politica dell’intera comunità internazionale in relazione a questo paese è guidata dal processo intavolato nel luglio del 2003 nella città di Londra. In quell’occasione fu il Governo colombiano a stimolare l’apertura di una “Tavola di donanti” in cui presentò una serie di proposte di cooperazione internazionale, sulla base delle quali i diversi paesi membri del G-24 offrirono il loro appoggio economico: gli accordi presi hanno carattere vincolante per il Governo colombiano e per i paesi donatori. In quell’occasione, tutti i paesi partecipanti convennero sul carattere multilaterale del processo di pace colombiano, riconoscendo il ruolo fondamentale delle Nazioni Unite e della comunità internazionale nella soluzione della crisi umanitaria generata dal conflitto interno colombiano, che affonda le sue radici nella povertà, nell’esclusione sociale e nell’impunità. Venne sottolineata la necessità di intervenire promuovendo una soluzione negoziata del conflitto armato interno, in un contesto di garanzie democratiche e sulla base di un quadro giuridico capace di stabilire rigorosi criteri di verità, giustizia e riparazione. Gli accordi di cooperazione siglati in quell’occasione vennero presentati come diretti a sostegno di uno sviluppo equo ed inclusivo, caratterizzato da una serie di misure atte a 567 568 Intervista ad Alonso Ceferino, pag. 4. Intervista ad Alicia Barbero, pag. 5. 187 produrre dei cambiamenti strutturali e non immediati. Contemporaneamente gli Stati del G-24 si espressero a favore della creazione di una serie di meccanismi di controllo in grado di vigilare sull’adempimento delle raccomandazioni provenienti dall’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani e per il Diritto Internazionale Umanitario da parte del Governo colombiano. Tale ademppimento venne considerato parte integrante del quadro politico di riferimento di tutte le politiche di cooperazione presenti e future promosse da tutti i paesi firmatari degli accordi presi. In particolare l’Unione Europea sottolineò il fatto che tali raccomandazioni non possono essere considerate un ostacolo al processo di pace, bensì sono uno strumento utile a rafforzare lo Stato di Diritto in Colombia. La seconda fase di questo processo ha portato allo svolgimento di un secondo incontro tenutosi nella città colombiana di Cartagena nel febbraio di quest’anno, in cui gli Stati partecipanti si sono espressi sullo stato di avanzamento delle politiche intraprese ed in cui il Governo di Uribe ha cercato di riconfermare gli aiuti promessi dai paesi donatori nel 2003. Secondo quanto affermato da Dusan Chrenek l’Unione Europea riconosce ed esprime forti preoccupazioni riguardo la grave crisi umanitaria presente in Colombia; condanna tutte le pratiche di violenza perpetrate a danno della popolazione civile da parte di tutti i gruppi armati illegali e per questo ha inserito nella lista dei terroristi internazionali sia i gruppi guerriglieri delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC), sia l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), sia i gruppi paramilitari raggruppati nei gruppi di Autodifesa Unita di Colombia (AUC). Per questo motivo appoggia pienamente il lavoro svolto dall’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani e dichiara di sostenere l’operato dello Stato colombiano solo nella misura in cui dimostri di rispettare le raccomandazioni provenienti da questo organismo delle Nazioni Unite. A tutt’oggi l’Unione Europea rimane ferma nel ritenere che la ricerca di una soluzione negoziata al conflitto rappresenti la strada migliore per risolvere i gravi problemi di cui soffre il paese e, per questo, attribuisce una grande importanza al ruolo della società civile colombiana: si rallegra pertanto della volontà dimostrata a Cartagena dall’insieme della società civile colombiana di voler partecipare attivamente nella ricerca di una soluzione pacifica del conflitto. Contemporaneamente, in linea alle opinioni espresse dai restanti paesi del G-24 partecipanti alle riunioni di Cartagena, riconosce gli sforzi realizzati ed i successi raggiunti dal Governo Uribe, facendo riferimento alla sua disposizione ad impegnarsi nell’applicazione delle raccomandazioni delle Nazioni Unite e nella lotta al narcotraffico ed al terrorismo, all’avvio del processo di reinserimento delle forze paramilitari alla vita 188 civile e alla diminuzione del numero dei sequestri e dei massacri perpetrati a danno della popolazione civile. Monica Girarldo Valencia569, rappresentante del movimento colombiano di donne Ruta pacifica de las Mujeres Colombianas, tiene a sottolineare il fatto che a Cartagena il presidente Uribe abbia negato, di fronte ai rappresentanti dei paesi del G-24, l’esistenza del conflitto armato e di una crisi umanitaria, riferendosi alla situazione colombiana solo in termini di violenza come prodotto del terrorismo e di “situazioni umanitarie critiche”, nel tentativo di svincolare la concessione degli aiuti dal tema del rispetto dei diritti umani. In risposta a questo atteggiamento la società civile colombiana ha intensificato la propria mobilitazione avviando una campagna internazionale sostenuta ampiamente dalla comunità internazionale delle ONG, che a loro volta hanno fatto pressione sui propri governi. Il risultato di tale mobilitazione congiunta ha fatto sì che nel documento finale sottoscritto dall’Unione Europea, dalla Gran Bretagna e dal Canada si riconoscesse l’esistenza del conflitto armato colombiano e l’insufficienza dell’intervento dello Stato colombiano per risolvere la situazione di crisi umanitaria ed adempire alle raccomandazioni dell’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani. Per Monica Valencia questo è stato un atto importante agli occhi della popolazione civile colombiana: così facendo, i suddetti paesi occidentali firmatari della dichiarazione finale hanno dimostrato la volontà di non concedere carta bianca allo Stato colombiano, riconoscendo in esso uno dei responsabili delle violazioni dei diritti umani, per l’insufficienza d’intervento dimostrata in situazioni drammatiche come quella vissuta dai 2 milioni di sfollati e dalle comunità “confinate.” Nell’intervento di Dusan Chrenek durante le “Giornate Aperte” di Barcellona la strategia dell’Unione Europea in riferimento alle trattative di pace presenti e future avviate in Colombia è stata definita in termini di un “compromesso graduale”570 che si articola in quattro fasi. Il sostegno fornito nella prima fase, ossia quella attuale, si limita al campo morale. Quando lo Stato colombiano darà vita ad un quadro giuridico di riferimento sulla base del quale si apriranno delle trattative di pace con tutti i gruppi armati senza venire meno ai suoi compromessi internazionali, e nel momento in cui i gruppi armati illegali dichiareranno il cessate il fuoco, allora il coinvolgimento politico dell’Unione Europea nelle trattative aumenterà vigorosamente, per esempio attraverso l’invio di una missione diplomatica della UE a Bogotà. L’Unione Europea mette a disposizione un “pacchetto finanziario per la pace” nel momento in cui si avvierà il processo di smobilitazione, 569 Intervista a Monica Girarlo Valencia in appendice. Intervento di Dusan Chrenek, La politica dell’Unione Europea in relazione alla Colombia, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 570 189 disarmo e reinserimento nella vita civile di tutti i gruppi armati e dopo che tutte le parti sociali coinvolte nel narcotraffico si saranno impegnate a porre fine alla produzione e al commercio di droga. Infine, l’Unione Europea si mostra disposta a togliere dalla lista internazionale dei terroristi esclusivamente quei gruppi armati colombiani che abbiano cessato tutte le ostilità e si siano compromessi in modo irreversibile nel processo di pace. Aude Maio-Coliche, membro della Commissione Europea e Desk Officer per la Colombia, si è occupata della presentazione delle relazioni bilaterali esistenti tra l’Unione Europea e la Colombia. Tali relazioni ebbero inizio nel 1976 con il finanziamento di progetti di ONG attraverso il bilancio comunitario; a partire dal 1984 iniziò a strutturarsi una politica di cooperazione più ampia e dal 1990 i fondi destinati a questa cooperazione cominciarono ad essere significativi: 87 milioni di ecus vennero stanziati tra il 1990 e il 1994. La risposta della UE alla politica estera colombiana degli ultimi anni ‘90 centrata sulla ricerca della pace, il rispetto dei diritti umani, la lotta alla droga, la protezione della biodiversità e la ricerca di un appoggio internazionale per sostenere il difficile processo di pace è stata immediata: l’Unione Europea ha svolto un ruolo attivo nei tre incontri internazionali del Gruppo di appoggio al processo di pace colombiano che ebbero luogo tra il 2000 e il 2001. Durante questi incontri l’Unione approvò il “Peace Package”, stanziando 330 milioni di euro per gli anni 2001-2006. Questo pacchetto di aiuti si suddivide in due componenti principali: 105 milioni di euro sono stati destinati ai così detti “Laboratori di Pace” con lo scopo di intervenire in aree riguardanti lo sviluppo sociale ed economico, lo sviluppo alternativo, la riforma del settore giuridico e la promozione dei diritti umani. I restanti 225 milioni di euro sono stati destinati agli aiuti di emergenza: la loro amministrazione è stata affidata al Dipartimento di Aiuti Umanitari della UE per far fronte alle necessità dei due milioni di persone sfollate, al cofinanziamento di progetti di ONG, alla protezione dell’ambiente. Il programma dei “Laboratori di Pace” si è materializzato nel febbraio del 2002 con la sottoscrizione di un accordo specifico tra la UE e la Repubblica di Colombia. Con le parole di Maio-Coliche, il loro obbiettivo era “consolidare, in un numero determinato di Comuni, un insieme articolato di processi partecipativi a sostegno di programmi di sviluppo sostenibile, della convivenza cittadina e del rafforzamento istituzionale, allo scopo di realizzare un’alternativa socio-economica, culturale e politica nel Magdalena Medio.”571 Nella regione del Magdalena Medio vennero scelti 29 Comuni: la scelta ricadde sulla 571 Intervento di Aude Maio-Coliche, I Laboratori di Pace nell’ambito delle relazioni politiche e di cooperazione tra l’Unione Europea e la Colombia, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 190 popolazione di questo territorio in quanto si tratta di una zona in cui il tasso di conflittualità tra i gruppi armati è molto elevato ed in cui le rivendicazioni della popolazione civile a favore di una soluzione pacifica del conflitto sono altrettanto forti. La durata del programma è di otto anni ed il suo costo complessivo è di 42,2 milioni di euro, dei quali la UE finanzierà 34 milioni mentre i restanti fondi sono stati messi a disposizione dal Governo colombiano. In seguito, è stata avviata l’implementazione di un secondo Laboratorio nelle regioni del Norte di Santander, nell’Oriente Antinoqueño e nell’Alto Patia, che beneficerà altri 62 comuni. Anche in questo caso la maggioranza dei fondi proviene dalla UE (33 milioni su 41,4 milioni di euro complessivi) mentre la restante parte proviene dalle casse dello Stato colombiano. Infine, il finanziamento di un terzo Laboratorio, che concluderà i fondi disponibili per il periodo 2001-2006, è stato già deciso: in questo momento la Commissione Europea sta identificando le sue caratteristiche e l’area in cui verrà svolto. Le entità responsabili del Programma sono la Commissione Europea per la UE e l’Agenzia Colombiana di Cooperazione Internazionale per il Governo colombiano, le quali si sono occupate della selezione delle organizzazioni locali cui affidare l’implementazione e l’esecuzione del Programma. Secondo Aude Maio-Coliche le opportunità offerte al paese colombiano da questi Laboratori sono importanti in quanto essi rappresentano uno strumento atto a creare delle “aree di cultura di pace”572 attraverso progetti di sviluppo alternativo finalizzati a liberare queste terre dalla coltivazione della foglia di coca, attraverso mezzi pacifici e rispettosi dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario. Con essi l’Unione Europea ha modo di dare visibilità alle sue attività di appoggio al processo di pace colombiano nel rispetto delle raccomandazioni provenienti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani attraverso la presenza diretta sul campo, che avvicina le istituzioni europee alla popolazione locale, affinché gli aiuti offerti si avvicinino il più possibile alle reali esigenze della popolazione colombiana. Nel dibattito aperto dalla Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia durante queste giornate di riflessione e discussione sono emerse alcune importanti critiche riguardanti i Laboratori di Pace. In particolare, le preoccupazioni maggiori espresse da alcuni esponenti della società civile colombiana, catalana e di altri paesi dell’Unione Europea presenti al dibattito pubblico riguardano i criteri adottati per la selezione dei territori scelti per l’implementazione della seconda e terza fase dei Laboratori di Pace, i quali sono stati recentemente interessati da un aumento della presenza delle forze paramilitari e da una crescita del fenomeno di sfollamento delle popolazioni locali. 572 Ibidem. 191 Josè Luis Campo, rappresentante della Piattaforma delle Organizzazioni Europee per lo Sviluppo in Colombia, ad esempio ha affermato di non comprendere perché la scelta non abbia privilegiato altre zone del paese caratterizzate da una forte mobilitazione della società civile a favore della costruzione di processi di pace e del rafforzamento del tessuto sociale ed istituzionale, così come è avvenuto per il primo Laboratorio; né si spiega “perché l’Unione Europea non abbia promosso un dibattito pubblico sulle lezioni apprese (punti di forza, limiti, etc.) dalla prima fase, così come è stato reclamato in varie occasioni.”573 Secondo Luis Campo molte sono le incoerenze della politica europea che, da un lato, manifesta la volontà di favorire lo sviluppo locale delle zone adibite all’implementazione dei Laboratori di Pace, dall’altro permette che le zone scelte per la seconda e terza fase di questo progetto siano soggette alla fumigazione dei campi, azione che danneggia non solo le terre coltivate con la foglia di coca, ma anche i restanti campi destinati alla produzione di cacao. Campo ribadisce l’importanza e la necessità di assicurare una politica di cooperazione europea che si contraddistingui da altre politiche di cooperazione come quelle sostenute dagli Stati Uniti d’America improntate sulla base del Plan Colombia: se tale differenza rimane limitata al piano della retorica si corre il rischio che l’Unione Europea legittimi politiche rispetto alle quali ha espresso di non essere d’accordo. Campo sostiene inoltre che altrettanto evidenti sono le incompatibilità tra i principi sottostanti i Laboratori di Pace e la Politica di Sicurezza Democratica adottata dall’attuale Governo colombiano, concepita sulla base della “negazione dell’esistenza di un conflitto armato che affonda le sue radici in un conflitto sociale e sulla riduzione della crisi umanitaria all’effetto dell’azione terrorista e del narcotraffico.”574 La Piattaforma delle Organizzazioni Europee per lo Sviluppo in Colombia guarda con estrema preoccupazione alle iniziative del Governo Uribe, che si propongono di utilizzare i fondi destinati al finanziamento dei Programmi Regionali per lo Sviluppo e la Pace e dei Laboratori di Pace per l’implementazione di progetti quali quello delle famiglie di guardaboschi. Secondo le dichiarazioni ufficiali del Governo colombiano, confermate tra l’altro nell’intervento alle “Giornate Aperte” di Barcellona tenuto dall’ambasciatrice colombiana in Spagna, Noemi Sanin, quello delle famiglie di guardaboschi è un progetto teso a stimolare l’abbandono delle armi e il reinserimento individuale alla vita civile di membri dei gruppi paramilitari attraverso l’offerta di un’occupazione utile anche dal punto di vista della salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità. Le obiezioni rivolte a questo 573 Intervento di Josè Luis Campo, I laboratori di Pace nel quadro della politica di cooperazione in Colombia: un assegno in bianco?, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 574 Ibidem. 192 programma riguardano, in primo luogo, il pericolo di far prevalere l’impunità in assenza di un adeguato quadro giuridico di riferimento che garantisca il regolare svolgimento di un processo di verità, giustizia e riparazione; in secondo luogo, il timore che l’implementazione di un simile progetto potrebbe essere utilizzata come una strategia volta ad assicurare il controllo territoriale a favore di quei gruppi armati che si pretende smobilitare proprio attraverso questo progetto. Queste preoccupazioni sono condivise dalla rappresentante dell’Alleanza delle Organizzazioni Sociali Colombiane, Maria Eugenia Sanchez, che inquadra questi timori in una cornice più ampia delineata da una Politica di Sicurezza, asse portante del Piano Nazionale di Sviluppo del Governo Uribe, che “attenta alla Costituzione del paese e contravviene ai principi riconosciuti dal Diritto Internazionale in difesa dei diritti umani. In questa politica, la popolazione non viene considerata come un soggetto di diritto, né come destinataria di protezione da parte dello Stato, bensì come uno strumento di guerra.”575 Difatti, un punto fondamentale di questa politica è il non riconoscimento della distinzione tra combattenti e popolazione civile. Secondo la Sanchez, in questo contesto aumentano le preoccupazioni inerenti l’atteggiamento ostile dimostrato dal Governo Uribe nei confronti delle ONG e di altre organizzazioni sociali e popolari: in più di un’occasione, misure repressive quali la persecuzione e l’incarceramento arbitrario sono state dirette contro alcuni dei loro leader e membri. Nel mese di luglio del 2003, nel documento Una coaliciòn mundial por la paz il Governo si è impegnato a “impedire la deformazione della realtà del paese di fronte all’opinione pubblica mondiale”.576 Ugualmente, preoccupano le affermazioni del Governo contenute nel documento riguardante la Politica di Sicurezza e la Difesa in cui si dichiara che “è interesse del Governo e delle ONG evitare l’abuso delle capacità di queste organizzazioni da parte delle persone al margine della legge, come già avvenuto in alcune circostanze.”577 Secondo Sanchez, “queste affermazioni, in un contesto di conflitto e in un ambiente di persecuzione quale quello esistente in Colombia, contribuiscono ad accrescere i rischi derivanti da una politica di Governo diretta a dequalificare l’operato delle organizzazioni sociali, popolari e per i diritti umani a causa 575 Intervento di Maria Eugenia Sanchez, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. Documento presentato dal Governo colombiano agli incontri preparatori della “Tavola dei donanti” di Londra, tenutasi il 25 luglio del 2003 e convocata su richiesta del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo. 577 Presidenza della Repubblica di Colombia, Ministero della Difesa Nazionale, Politica de Defensa y de Seguridad Democratica. Bogotà, 2003, pragrafo 19, pag. 18. 576 193 delle loro analisi della realtà e delle loro denuncie riguardanti le violazioni dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario.”578 Al riguardo, anche Monica Girarlo Valencia579 denuncia le difficoltà di operare delle ONG colombiane ed internazionali. In un progetto di legge che non ha ancora ottenuto la maggioranza parlamentare il Governo si propone di centralizzare gli aiuti alla cooperazione destinati al rafforzamento dei diritti umani. L’idea consiste in far sì che questi fondi entrino nelle casse dello Stato, dalle quali poi verrebbero successivamente ripartiti a favore delle diverse ONG che operano in questo campo. La risposta immediata delle ONG internazionali presenti sul territorio colombiano è stata quella di minacciare l’abbandono del paese, nel caso in cui la legge fosse stata approvata. In seguito, il governo Uribe ha tentato di introdurre dei meccanismi di controllo sull’operato delle organizzazioni sociali colombiane, interrogandole sulle loro fonti di informazione e sulle modalità in base alle quali elaborano i loro documenti: con queste misure il governo ha cercato di limitare il protagonismo delle organizzazioni della società civile. Successivamente, ha istaurato altri meccanismi di controllo anche sulle ONG internazionali. Per esempio, ha preteso la consegna dei loro bilanci mensili al Governo Nazionale e ha deciso la chiusura di alcune organizzazioni i cui bilanci superavano determinate soglie. Contro la resistenza opposta da alcune di queste organizzazioni a presentare la documentazione richiesta è stato fissato il pagamento di una multa così alta da mettere in pericolo la loro stessa sopravvivenza. Tornando al tema delle opportunità e dei limiti dei Laboratori di Pace, la Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia ha chiamato ad intervenire nel dibattito pubblico delle “Giornate Aperte” di Barcellona il direttore del Programa de Desarrollo y Paz del Magdalena Medio (PDMM), ossia l’organizzazione sociale colombiana cui è stata affidata l’implementazione delle attività del primo Laboratorio di Pace: Padre de Roux. È importante sottolineare che il PDMM è un programma che esiste da molto tempo prima l’avvio delle attività inerenti il Laboratorio di Pace del Magdalena Medio e la sua lunga vita conferma la vivacità della società civile colombiana anche in corrispondenza dei territori in cui le tensioni tra le diverse parti in conflitto sono molto alte. Questo progetto ebbe inizio nel 1995 in seguito alla volontà del Comitato per i Diritti Umani creato dalla USO, ossia il sindacato dell’impresa petrolifera ECOPETROL, che volle condurre un’indagine sui problemi sociali della città petrolifera di Barrancabermeja e dei suoi 578 579 Intervento di Maria Eugenia Sanchez, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. Intervista a Monica Girarlo Valencia contenuta in appendice. 194 dintorni. Lo scopo era quello di mettere in luce le “dinamiche perverse”580 capaci di determinare un altissimo livello di povertà in una delle zone più ricche del paese per risorse naturali e i “necessari cambiamenti strutturali, senza i quali era evidente che non sarebbe stato possibile convertire la regione in un territorio di pace, nel rispetto della dignità e della giustizia sociale della sua popolazione.”581 Fu così che si arrivò all’elaborazione di una Proposta Municipale per ognuno dei Comuni del territorio del Magdalena Medio con l’intento di coinvolgere tutte le parti sociali, senza distinzioni di ogni sorta, nella convinzione che la pace e lo sviluppo umano sostenibile per la popolazione del territorio dovesse scaturire dalle proposte delle comunità locali. Inizialmente, il PDMM trovò come suo punto di forza l’autonomia della popolazione civile e la sua indipendenza dalle istituzioni statali, ma il lavoro di ogni giorno mise in evidenza che il “garante principale delle condizioni necessarie a vivere una vita dignitosa era lo Stato e che, per questa ragione, bisognava lavorare con lo Stato alla ricerca delle trasformazioni che a livello istituzionale erano richieste affinché si compissero gli obbiettivi per i quali un popolo sovrano lo aveva costituito.”582 Durante il biennio 20002001 due missioni europee visitarono la Colombia e in quell’occasione i delegati della UE ebbero modo di conoscere la realtà del PDMM, che scelsero come controparte locale per la messa in atto del primo Laboratorio di Pace, in quanto “trovarono in esso quelle caratteristiche attraverso cui la cooperazione europea in Colombia voleva contraddistinguersi”.583 Padre de Roux affronta inoltre alcune delle critiche emerse nel dibattito. In risposta a chi afferma che i Laboratori di Pace altro non sono che il risultato di accordi tra Governi e che per questo non è possibile per l’Unione Europea soddisfare le reali esigenze delle comunità, egli difende fermamente il valore di una politica di cooperazione del tutto lontana dalla politica nordamericana che invece sembra non dimostrare affatto alcuna volontà di avvicinarsi alle rivendicazioni della popolazione locale. Secondo Padre de Roux è naturale che i Governi coinvolti in queste politiche (quello europeo e quello colombiano) perseguano, in parte, interessi propri e crede che le comunità del Magdalena Medio siano perfettamente consce di questo. “La sfida per i processi cittadini regionali consiste nell’accettare che questi interessi esistono e nel tentativo di difendere, nelle discussioni della politica reale, l’autonomia di questi processi cercando di mantenere in vita la lotta per la giustizia, per la pace, per l’affermazione della 580 Intervento di Padre de Rouux, Il Programma di Sviluppo e Pace del Magdalena Medio. Primo Laboratorio di Pace in Colombia, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 581 Ibidem. 582 Ibidem. 583 Ibidem. 195 sovranità popolare e per porre le basi della convivenza e delle istituzioni che desideriamo.”584 A chi denuncia il fatto che i Laboratori sono stati messi in atto in territori caratterizzati dalla presenza delle forze paramilitari, dal dispiegamento delle politiche di Sicurezza Democratica e dalla lotta controinsurrezionale, Padre de Roux risponde che sono proprio questi i territori in cui intervenire, in cui le comunità hanno deciso di rimanere nonostante le enormi difficoltà: “è rimanendo nei territori dove alte sono le tensioni e il pericolo che si possono vedere le cose con maggiore chiarezza e incontrare le possibili vie d’uscita, non fuggendo, né abbandonando la propria casa, né nella distanza delle ONG di Bogotà, né nei seminari di discussione degli Stati Uniti o dell’Europa, né nell’autismo degli accademici o nell’ideologia dei politici (senza disconoscere l’enorme appoggio che forniscono tutti questi gruppi dal di fuori delle regioni critiche).”585 Secondo de Roux l’esistenza del PDMM e del Laboratorio di Pace nel Magdalena Medio hanno evitato che la zona cadesse completamente nelle mani delle forze paramilitari e hanno garantito la sopravvivenza del movimento popolare e cittadino. Alla luce di queste considerazioni e del riconoscimento che l’intolleranza e la violenza diffusa nella società colombiana e nel Magdalena Medio aumentano le possibilità di avere delle perdite umane tra chi lavora a sostegno del processo di pace, Padre de Roux considera assolutamente necessario che l’aiuto dell’Unione Europea sia incondizionato. In particolare, considera indispensabile l’appoggio della UE per ottenere la smobilitazione del Blocco Centrale Bolivar; la ricerca di un cammino di pace con l’ELN; un chiarimento sulle trattative avviate tra il Governo di Uribe e le forze paramilitari che sembrano parlare molto di questioni inerenti il disarmo e troppo poco di pace e risoluzione delle cause profonde del conflitto. L’opinione di Libio Pachelor, rappresentante del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, ossia una delle organizzazioni sociali che partecipa all’implementazione del secondo Laboratorio di Pace, è molto più critica in relazione al cofinanziamento dei Laboratori da parte dello Stato colombiano. Il giudizio complessivo dei Laboratori è, anche in questo caso, molto positivo: si riconosce difatti che essi rappresentano importanti spazi di dialogo che “permettono di pensare e ripensare nuove strategie per la risoluzione del conflitto e, la cosa più importante, è che consentono di affrontare la questione non solo come movimento indigeno ma come processo di unità con altri settori della società civile che soffrono le stesse conseguenze della guerra.”586 Pachelor non manca però di soffermarsi sui limiti dei Laboratori. In primo luogo, è importante riconoscere che le tensioni che vivono questi 584 Ibidem. Ibidem. 586 Intervento di Libio Palechor, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 585 196 territori e che fungono da combustibile del conflitto in atto non sono legate esclusivamente al fuoco e alle violenze dei guerriglieri, dei paramilitari e dell’esercito colombiano, ma anche a “problemi legati alla difesa della cultura indigena, all’ingerenza di politiche internazionali come il neoliberismo e le sue strategie di globalizzazione che concorrono a mettere in pericolo le ricchezze naturali del territorio colombiano in seguito ad un loro eccessivo sfruttamento”.587 Nessun Laboratorio di Pace sarà in grado di risolvere queste problematiche nella loro interezza e complessità, ma queste politiche di sviluppo centrate sull’“investimento sociale”588 rappresentano un buon inizio poiché solo con questo tipo di investimenti sarà possibile trovare delle soluzioni all’attuale crisi umanitaria. Pertanto, il basso tasso di spesa sociale e l’alto tasso di spesa militare che caratterizzano la politica dell’attuale Governo sono considerati da Pachelor come ostacoli enormi per il raggiungimento di una risoluzione duratura del conflitto colombiano. In secondo luogo, l’altro grosso limite dei Laboratori è rappresentato dal loro cofinanziamento da parte dello Stato colombiano: difatti l’amministrazione di questi fondi risponde ad un programma di Governo che, per il rappresentante del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, al momento attuale sembra essere del tutto incompatibile con la politica sottostante i Laboratori. Secondo Palechor oggi “non esiste un cofinanziamento, bensì due programmi opposti, uno dell’Unione Europea e l’altro del Governo Nazionale colombiano.”589 Per Pachelor non si tratta di una questione di importanza marginale, tanto che egli afferma che se il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca fosse stato tempestivamente informato della partecipazione di fondi statali nell’implementazione dei Laboratori di Pace, sicuramente il Consiglio avrebbe rifiutato di prendere parte alle attività dei Laboratori. Dal pubblico presente alle “Giornate Aperte” di Barcellona sono emerse altre critiche riguardanti la strategia di cooperazione europea, non strettamente attinenti i Laboratori di Pace. Innanzitutto è stata denunciata la mancanza di adeguati controlli che impediscano la vendita illegale di armi ai gruppi armati colombiani attraverso organizzazioni criminali operanti in Europa; allo stesso tempo è stata denunciata l’inesistenza di una dura presa di posizione dell’Unione nei confronti di quegli Stati Europei che continuano a vendere armi al Governo colombiano e ad esportare i precursori chimici necessari alla raffinazione della cocaina. È indicativo il fatto che nessuno di questi precursori venga prodotto all’interno del territorio colombiano. L’Unione dovrebbe quindi garantire maggiori controlli sulle attività delle imprese europee o a partecipazione europea presenti in Colombia o in strette relazioni 587 Ibidem. Ibidem. 589 Ibidem. 588 197 commerciali con il paese. È stata inoltre ribadita la necessità che la UE adotti dei meccanismi di vigilanza più efficaci sui fondi destinati alla cooperazione internazionale, sia che si tratti di rapporti di cooperazione bilaterali sia nel caso di politiche di cooperazione decentrata. In un conflitto armato come quello colombiano, l’arrivo di questi fondi in mano di attori interessati al proseguimento delle ostilità (guerriglieri, paramilitari, esercito colombiano) non fa che aggravare la crisi umanitaria che colpisce il paese. Rispetto a questo pericolo, da un lato è stata denunciata l’esistenza di ONG ed organizzazioni sociali formate da gruppi armati, soprattutto ad opera dei gruppi paramilitari. Dall’altro, l’Unione Europea è stata invitata a tenere nella giusta considerazione la storia di un paese in cui le organizzazioni sindacali e sociali ed i partiti politi di opposizione, quali l’Uniòn Patriotica, sono stati vittime della persecuzione e del genocidio dei suoi leader per via di “errori” commessi in passato dall’esercito colombiano. Alla luce di questi eventi molte sono le perplessità di coloro che si interrogano sul come sia possibile che oggi l’Unione Europea consideri il Governo colombiano una vittima del conflitto ed un beneficiario degli aiuti, anziché un attore del conflitto. L’Unione Europea è stata criticata per aver firmato alcuni documenti elaborati nelle riunioni di Londra e Cartagena, in cui sono stati riconosciuti dei passi avanti fatti dal Governo Uribe: non si comprende quali siano questi successi ottenuti da Uribe visto che le violazioni dei diritti umani, le desapariciones e le detenzioni di massa continuano, mentre il Governo ha dimostrato di essere incapace di promuovere la realizzazione di un effettivo processo di verità, giustizia e riparazione. Pertanto, la UE è stata invitata a privilegiare la cooperazione decentrata rispetto alla cooperazione bilaterale. Infine, alcuni hanno parlato di una contraddizione profonda nella politica dell’UE in relazione al processo di pace in Colombia: l’incoerenza e l’ambiguità dell’atteggiamento europeo emerge dalla volontà di promuovere una soluzione dialogata del conflitto in atto, mentre allo stesso tempo ferma è la posizione del Consiglio Europeo nel considerare gli attori del conflitto come terroristi con cui non è possibile istaurare nessuna forma di dialogo. Per Liliana Uribe590, rappresentante della Coordinazione Colombia - Europa - Stati Uniti, la caratterizzazione del conflitto colombiano in chiave terrorista genera diversi ostacoli per la risoluzione pacifica del conflitto. Liliana Uribe ritiene inefficace concentrare gli sforzi sulla lotta antiterrorista e antidroga, poiché in questo modo si attaccano le conseguenze e non le cause del conflitto armato colombiano: nessuna pace sarà mai possibile nel paese se 590 Intervento di Liliana Uribe, Retos en materia de derechos humanos de la cooperaciòn de la Uniòn Europea en Colombia, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 198 non si affrontano questioni fondamentali come il problema agrario legato alla concentrazione della terra nelle mani di una ristretta minoranza. Per Michael Frühling591, direttore dell’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani, è di estrema importanza che il Governo colombiano riconosca il conflitto armato interno e le sue origini politiche. Altrettanto importante è che la cooperazione internazionale sia orientata al rafforzamento delle istituzioni democratiche: il rispetto dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario devono fungere da guida di tutte le attività intraprese. Per Eugenia Maria Sanchez592 la cooperazione internazionale deve essere diretta al superamento della crisi umanitaria, al rafforzamento dello Stato di Diritto, del tessuto sociale e delle iniziative volte all’educazione alla pace. Tutte le attività di cooperazione internazionale devono essere dirette a generare processi che tolgano terreno alla guerra e devono inserirsi all’interno di un quadro giuridico capace di garantire adeguati criteri di verità, giustizia e riparazione. Per Ignacio Leòn593, membro della Coordinazione degli Aiuti Umanitari alle Nazioni Unite, è opportuno che tutti gli agenti di cooperazione condividano un’agenda comune in cui il rispetto dei diritti umani, economici e sociali sia alla base di tutte le politiche di cooperazione ed in cui si riconosca che la risposta alla crisi umanitaria in Colombia debba essere neutrale ed imparziale, così come stabilito dall’Assemblea Generale dell’ONU. Leòn denuncia il fatto che tra gli enti cooperanti della UE manca un dialogo capace di assicurare non solo la comunanza di intenti ma anche l’effettiva armonizzazione degli sforzi intrapresi. Ad ogni modo Leòn ci tiene a ribadire che l’operato delle organizzazioni internazionali può essere solo un complemento dell’azione dello Stato colombiano, che rimane il maggiore responsabile del rispetto dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario all’interno del proprio territorio. Con l’intento di delineare le vie lungo cui è necessario procedere per la risoluzione del conflitto colombiano, nel suo intervento Teresa Muñoz594, direttrice del Banco de Buenas Practicas para superar el conflicto del PNUD, fa riferimento al contenuto della relazione sullo sviluppo umano in Colombia, intitolata Colombia: callejòn con salida?, redatta nel 2003 dal Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite. In esso il conflitto armato è riconosciuto come l’ostacolo maggiore per lo sviluppo umano ed investire nello sviluppo 591 Intervento di Michael Frühling, Los derechos humanos y el Derecho Internacional Humanitario son guìas ùtiles para la superaciòn del conflicto armado en Colombia y para la politica de cooperaciòn internacional, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 592 Intervento di Maria Eugenia Sanchez alle “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 593 Intervento Ignaco Leòn alle “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 594 Intervento di Teresa Muñoz alle “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 199 umano è considerata l’opzione migliore per porre fine al conflitto. L’estrema complessità di quest’ultimo richiede l’adozione di un’insieme di misure congiunte che intervengono sul piano politico (per garantire l’esercizio legittimo del potere politico), sul piano militare (per rafforzare il binomio sicurezza-giustizia ed aumentare le azioni che rinvigoriscono le relazioni democratiche tra cittadinanza e Stato), sul piano economico-finanziario (con azioni miranti a diminuire i profitti di coloro che sono legati al narcotraffico, allo scopo di denarcotizzare il conflitto), sul piano sociale (con azioni in grado di aumentare le opzioni di coloro che possono essere attratti dall’ingresso in gruppi armati irregolari e con iniziative miranti a mediare i conflitti sociali, soprattutto in relazioni alle questioni lavorative e agrarie, di estremo interesse dei gruppi armati, allo scopo di aumentare gli spazi di espressione pacifica della protesta popolare e della lotta sociale), sul piano del potere territoriale (a favore di una maggiore trasparenza nella gestione pubblica e per un rafforzamento della democrazia locale), sul paino dello sviluppo umano (garantendo una maggiore protezione ed attenzione delle persone colpite dal conflitto armato, attraverso azioni dirette ad umanizzare il conflitto e rafforzare la giustizia penale). 200 CONCLUSIONI. La conoscenza diretta della Tavola Catalana per la Pace e i Dititti Umani in Colombia è avvenuta quest’anno, durante i mesi in cui mi trovavo nella cittá di Barcellona per svolgere uno stage di lavoro finanziato dalla borsa europea “Leonardo”. La mia personale esperienza lavorativa non si è svolta all’interno del coordinamento, ma in un’agenzia di consulenza catalana che opera nel campo della cooperazione internazionale, all’interno della quale ho avuto modo di occuparmi di alcuni progetti di sviluppo inerenti il paese colombiano. In particolare, il mio compito consisteva nel visionare alcuni di questi progetti elaborati da una serie di istituzioni pubbliche del Dipartimento colombiano di Antioquia ed adattarli alle regole previste dai bandi di concorso indetti per l’assegnazione di aiuti alla cooperazione in Spagna e Italia, sia a livello regionale che nazionale. In pratica, quest’agenzia di consulenza si prefigge lo scopo di svolgere un ruolo di intermediazione tra i soggetti istituzionali e sociali che si occupano di cooperazione internazionale in Colombia, Spagna ed Italia. Le difficoltà incontrate non sono state poche: in particolare, hanno riguardato la ricerca di quelle controparti spagnole o italiane necessarie alla partecipazione a questi concorsi. Anche se molti dei soggetti istituzionali e sociali contatti hanno dimostrato dell’interesse riguardo i progetti di sviluppo loro proposti, nei cinque mesi di tirocinio solo in un unico caso la disponibilitá offerta per un’effettiva collaboarzione ha rappresentao un obbiettivo raggiunto, nonostante l’impegno personale e quello dei miei colleghi. A mio parere, la spiegazione di questo fallimento riguarda la scarsa fiducia che quest’agenzia di consulenza è in grado di suscitare nei soggetti con cui si propone di collaboare, in relazione al modo in cui essa opera. In primo luogo, ritengo che le piccole dimensioni che la caratterizzano dovrebbero essere compensate da una fitta rete di rapporti da tessere primariamente nel territorio catalano, secondariamente anche a livelli piú estesi. In secondo luogo, credo sia opportuno che in questa rete di rapporti vengano inclusi non solo soggetti privati, ma anche pubblici. Nella mia breve esperienza lavorativa ho avuto modo di rilevare che il carattere privato dell’agenzia presso cui operavo era di sovente la causa del rifiuto della collaborazione richiesta. Al contrario, la presenza pubblica funge da garanzia di controlli. Personalmente considero queste preoccupazioni giuste e reali, soprattutto per quanto riguarda la cooperazione con paesi in conflitto, dove forte è il rischio che i finanziamenti arrivino nelle mani di soggetti legati agli attori armati, contribuendo a prolungare il conflitto. 201 La mia insoddisfazione per il lavoro svolto presso questa agenzia di consulenza e il mio interesse crescente per il caso colombiano (grazie anche alla conoscenza personale di molti immigrati colombiani a Barcellona) sono stati gli stimoli che mi hanno spinto a ricercare nel territorio catalano altre esperienze che si iscrivessero entro il campo dell’internazionalizzazione della pace colombiana: è così che mi sono imbattuta nella Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia. Sulla base della precedente esperienza lavorativa, della conoscenza personale di alcune persone che lavorano presso la Tavola Catalana, della partecipazione ad alcune loro iniziative e della friuzione di alcuni servizi informativi da loro offerti ho maturato un giudizio complessivo di gran lunga migliore sul coordinamento catalano presentato in questo elaborato. La rete catalana fornisce un buon esempio di internazionalizzazione della pace colombiana per i motivi esposti qui di seguito. Innanzittuto, essa ha dimostrato di essere in grado di coniugare l’universalitá di intenti e la localizzazione della partecipazione. In riferimento all’universalitá di intenti, si è visto come le sue rivendicazioni facciano espressamente riferimento a quelle provenienti dalla società civile colombiana e al compimento delle raccomandazioni dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Per quanto concerne la localizzazione della partecipazione, l’adesione che essa è riuscita a generare nel territorio è ampia e diversificata grazie alla propria struttura reticolare a base locale. Il coordinamento costituisce uno spazio d’incontro informale adatto al confronto di soggetti differenti disposti a sedersi allo stesso tavolo, poiché convinti che la propria capacità d’intervento in Colombia possa accrescere enormemente attraverso la collaborazione di entità potenzialmente complementari. Nell’azione del coordinamento la dimensione locale rappresenta il luogo di partenza e di arrivo delle strategie di intervento proposte e realizzate. Questa caratteristica è ancor più importante se si pensa alla specificità della situazione spagnola e colombiana. Da un lato, si è visto come a partire dalla seconda metà degli anni ’90 il tasso di crescita degli aiuti destinati alla cooperazione allo sviluppo messi a disposizione dalle amministrazioni decentralizzate ha superato il tasso di crescita dell’ammontare totale degli aiuti destinati allo stesso fine da parte del Governo centrale di Spagna. Dall’altro, il fatto che le comunitá locali colombiane siano al centro delle politiche di intervento è quanto piú opportuno alla luce dei cambiamenti avvenuti nella decade passata sia all’interno delle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico (in cui ha prevalso la disorganizzazione dei grandi network a favore di strutture di potere piú decentralizzate), sia nelle modalità d’azione dei gruppi armati illegali (rivolta a cooptare e 202 controllare i poteri locali), sia nell’organizzazione del potere statale (le cui funzioni e risorse vengono delegate in misura crescente alle amministrazioni locali). In secondo luogo, il carattere misto della Tavola ha fatto in modo che essa divenisse una vera e propria “lobby”595 in grado di esercitare una pressione politica a livello catalano, spagnolo, europeo e colombiano. La partecipazione istituzionale catalana, aspetto che la complessità di un simile conflitto così prolungato negli anni rivela assolutamente positivo ed importante, ha difatti “elevato il peso politico dell’accompagnamento fornito dal coordinamento regionale alle iniziative civili di pace provenienti dalla popolazione colombiana.”596 A livello locale, l’incidenza politica è cresciuta grazie alla presenza di due soggetti istituzionali: la Cattedra dell’UNESCO, operante presso la Scuola di Cultura di Pace dell’Università Autonoma di Barcellona, ed il Fondo Catalano di Cooperazione allo Sviluppo. Si è visto come il ruolo dell’istituzione universitaria sia stato fondamentale per la nascita ed il consolidamento della Tavola. L’Università Autonoma di Barcellona ha dimostrato un forte impegno per realizzare quelle condizioni necessarie affinché si materializzassero fondi e terreni favorevoli per la nascita di nuove alleanze tra soggetti impegnati a promuovere il processo di pace colombiano. Un simile coinvolgimento dell’Università è stato possibile in nome della convinzione che l’istituzione universitaria possa fornire degli spazi e dei momenti di riflessione tali da permetterle di convertirsi in un referente importante per gli attori in conflitto ed i soggetti istituzionali e sociali coinvolti in situazioni di guerra, nell’identificazione di obbiettivi comuni e nel riconoscimento e nel rispetto delle differenze. Gli sforzi del Fondo Catalano per la Cooperazione allo Sviluppo si sono rivolti a far sì che più di cento Comuni catalani mettessero in pratica le raccomandazioni delle Nazioni Unite, decidendo di destinare lo 0,7% del loro bilancio alla cooperazione internazionale. La partecipazione del Fondo Catalano alla Tavola ha quindi fortemente contribuito a far sì che l’amministrazione catalana assumesse nella propria agenda politica le rivendicazioni di pace della società civile colombiana non solo in nome di valori di solidarietà, ma, più concretamente, anche per ottenere un risvolto politico sulla scena locale. L’incidenza politica a livello statale e macroregionale è invece cresciuta nella misura in cui è aumentata la presenza di rappresentati politici di organismi internazionali, di istituzioni di governo europee, spagnole e colombiane ai dibattiti pubblici organizzati annualmente 595 596 Intervista a Nuria Camps, pag. 4. Intervista ad Alicia Barbero, pag. 5. 203 dalla Tavola allo scopo di contribuire ad “armare un discorso propositivo”597, capace di avvalersi di tutti i mezzi di comunicazione per spiegare nella maniera più chiara e completa possibile all’opinione pubblica catalana, spagnola ed europea quello che avviene in Colombia. Confido che la Tavola Catalana per la pace e i Diritti Umani in Colombia prosegua sulla via intrapresa e che i suoi successi possano produrre effetti emulativi anche altrove. Il processo di internazionalizzazione della pace colombiana ha bisogno che queste esperienze si moltiplichino e si integrino nel tempo. Gli effetti concreti che possono essere raggiunti sono abilmente illustrati da due metafore. La prima è quella dell’“effetto boomerang”598, concetto utilizzato da Margareth Keck e Katheryn Sikkink per spiegare il fenomeno per il quale dei gruppi locali di società civile, bloccati a livello nazionale, aggirano lo Stato e si appellano a reti transnazionali per indurre Stati stranieri ed istituzioni internazionali ad intervenire e sbloccare la situazione nazionale. Come un boomerang, le loro richieste tornano al luogo d’origine con una forza maggiore. Dall’intervista fatta a Monica Girarlo Valencia, rappresentante del movimento di donne Ruta Pacifica de las Mujeres Colombianas, questo è quanto è avvenuto quest’anno durante gli incontri di Cartagena. Qui, di fronte ai rappresentanti dei paesi del G-24, il presidente Uribe ha negato l’esistenza del conflitto armato e di una crisi umanitaria riferendosi alla situazione colombiana solo in termini di violenza come prodotto del terrorismo e di “situazioni umanitarie critiche”, nel tentativo di svincolare la concessione degli aiuti dal tema del rispetto dei diritti umani. In risposta a questo atteggiamento la società civile colombiana ha intensificato la propria mobilitazione avviando una campagna internazionale sostenuta ampiamente dalla comunità internazionale nel suo insieme, che ha esercitato forti pressioni sui propri governi. Il risultato di tale mobilitazione congiunta ha fatto sì che nel documento finale sottoscritto da alcuni paesi (l’Unione Europea, la Gran Bretagna e il Canada) si riconoscesse l’esistenza del conflitto armato e l’insufficienza dell’intervento dello Stato colombiano per risolvere la situazione di crisi umanitaria ed adempire alle raccomandazioni dell’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani. 597 Kristian Herbolzheimer, la Universidad como tejidora de paz, www.escolapau.org, pag. 3 Margaret Keck & Katheryn Sikkink, Activists beyond borders: advocacy networks in international politics. Cornell University Press, Ithaca, 1998, pag. 11. 598 204 La seconda metafora è quella del “doppio effetto boomerang”599, con la quale Mary Kaldor si riferisce al fatto che i successi ottenuti da queste iniziative possono contribuire di rimando a rafforzare gli strumenti d’intervento internazionali che, a loro volta, potranno essere utilizzati per altre campagne locali. Inutile dire che le difficoltà di questo processo sono numerose e sempre nuove: anche per piccoli successi è necessario disporre di elevate capacità e risorse. Ad ogni modo, si ritiene che le potenzialità del concetto di società civile globale e della nuova nozione di sviluppo umano sostenibile siano assolutamente importanti quanto meno per l’approccio che propongono. Tale approccio si fonda sull’idea che la povertà, l’esclusione e lo sfruttamento siano problemi risolvibili attraverso una molteplicità di sforzi, piuttosto che tramite una grandiosa teoria di portata globale. L’obbiettivo che questa ricerca voleva raggiungere è quello di contribuire a far luce sui possibili canali di comunicazione e cooperazione tra società civili appartenenti a contesti nazionali diversi, ma sempre più vicine in seguito al loro inserimento in un contesto mondiale caratterizzato da dinamiche e problematiche tra loro interdipendenti. In quest’ottica, anche questo elaborato rappresenta un contributo piccolo, ma concreto affinché, anche a Bologna, cresca l’attenzione rivolta al paese colombiano, al conflitto armato interno e alle iniziative di pace che provengono dalla sua società civile. 599 Kaldor M., L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 105. 205 APPENDICE. Dichiarazione di intenti della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia.600 L’escalation del conflitto colombiano ha fatto sì che la preoccupazione per il futuro della Colombia crescesse tra le istituzioni e le associazioni catalane, che hanno cominciato ad interrogarsi sul come si possa intervenire dalla Catalogna nella trasformazione del conflitto colombiano. Le entità che formano parte della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia condividono l’idea che la propria capacità d’intervento in Colombia sarà superiore nella misura in cui si riuscirà a costruire uno spazio di concertazione tra i differenti attori sociali ed istituzionali della Catalogna. Questo spazio deve permettere di: _ scambiare i diversi punti di vista per costruire un’analisi ed una proposta di azione concertata; _ cercare la complementarietà delle azioni intraprese da ogni entità della Tavola; _ identificare in modo congiunto le controparti sociali ed istituzionali colombiane alle quali si desidera dare appoggio; _ mettere in comune i criteri di priorità dell’azione in Colombia; _ elaborare una strategia di comunicazione finalizzata ad incrementare la mobilitazione della società catalana per la pace in Colombia; _ invitare tutti quegli attori sociali ed istituzionali catalani (ONG, organizzazioni sociali, amministrazioni, sindacati, università, scuole, etc.) che lavorano o possono iniziare a lavorare per la pace e i diritti umani in Colombia a prendere parte alla Tavola. Le entità che partecipano alla Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia condividono alcuni principi basilari, tra cui la convinzione che: 600 La tavola per la Pace e i Diritti Umani in Colombia è formata da: Comune di Barcellona, Comune di Lleida, Comune di Sant Cugat del Valles, Comune di Santa Pau, Associazione Catalana per la Pace, Associazione Catalana per l’Aiuto ai Rifugiati, Commissione Catalana d’Aiuto ai Rifugiati CEAR, Consiglio Nazionale della Gioventù della Catalogna, Cooperaciò, Entredobles, Federazione Catalana di ONG per lo Sviluppo, Fondo Catalano di Cooperazione allo Sviluppo, Fondazione Josep Comaposda, Fondazione Pace e Solidarietà- CCOO, Fondazione per la Pace, Giustizia e Pace, Intermon-Oxfam, Movimento per la Pace, Pagesos Solidaris, Provincia di Barcellona, Regione Autonoma della Catalogna, Scuola di Cultura di Pace dell’Università Autonoma di Barcellona. Osservatori: Brigate internazionali di Pace- Catalogna, Comitato catalano ACNUR. 206 _ in Colombia è possibile conseguire una vera pace duratura solo attraverso una soluzione politica del conflitto che si basi sulla messa in atto di un processo di verità, giustizia e riparazione; _ lo Stato colombiano è il principale responsabile del controllo del rispetto dei diritti umani dentro il suo territorio; _ attraverso la Tavola non si fornisce alcun appoggio diretto a nessun attore armato; _ la trasformazione sociale, politica, economica che necessita il paese deve avere come protagonista la società colombiana; _ la comunità internazionale deve assumere le proprie corresponsabilità per quanto riguarda i fattori di internazionalizzazione del conflitto; _ in Europa è necessario vigilare affinché la polarizzazione crescente che caratterizza la società colombiana non si riproduca. Al di là di questa generica dichiarazione di intenti si individuano alcuni obbiettivi concreti primari su cui lavorare: _ proteggere la popolazione civile colombiana; _ individuare le controparti colombiane riteniamo possano svolgere un ruolo importante nella trasformazione del conflitto a livello locale e regionale; _ esercitare una pressione politica a diversi livelli (catalano, spagnolo, europeo e colombiano) per favorire la pace e il rispetto dei diritti umani in Colombia; _ promuovere il consolidamento di strumenti a disposizione dei municipi della Catalogna per sostenere i processi di pace in Colombia; _ costruire un discorso propositivo che stimoli l’opinione pubblica catalana a lavorare per la trasformazione del conflitto colombiano; _ cercare la complementarietà con altri spazi di coordinamento. Barcellona, febbraio 2003 207 INTERVISTE. Intervista alla segretaria esecutiva della “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colòmbia”. Giorno dell’intervista: 16.02.2005 Nome della persona intervistata: Lola Crespo, segretaria tecnica della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia. Riguardo al coordinamento. 1. Identificazione del coordinamento: a) Quando è nato b) Per soddisfare quali esigenze c) Quali sono i soggetti che ne fanno parte. La tavola è nata nel 2002, ma la dichiarazione di intenti risale al febbraio del 2003. Le motivazioni che hanno portato alla sua fondazione sono di due tipi: da un lato, la volontà di aumentare le conoscenze sulla situazione colombiana in Catalogna; dall’altro, quella di rafforzare le diverse iniziative delle varie organizzazioni ed amministrazioni già impegnate per la Colombia. L’idea di fondo è che la coordinazione del lavoro di soggetti diversi contribuisce ad ottenere una maggiore influenza politica in relazione al tema colombiano. Un’influenza politica maggiore a che livello? Un’influenza maggiore rispetto alla Regione della Catalogna, al Governo centrale spagnolo ed all’Unione Europea. L’operato di un simile coordinamento, i cui soggetti condividono gli stessi principi e lavorano per il raggiungimento degli stessi fini, si diversifica molto da quello di un’organizzazione o amministrazione che opera in modo isolato. I soggetti partecipanti sono tutti quelli riportati nella dichiarazione dei principi ? Tutti quelli e qualcuno di più. Quell’elenco non comprende il Municipio di Santa Pau, né il Movimento per la Pace, l’Associazione Catalana per l’Aiuto ai Rifugiati, le Brigate 208 Internazionali di Pace e il Comitato Catalano per l’ACNUR. Gli ultimi due non sono membri effettivi, ma osservatori. 2. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale? Si lavora affinché le decisioni siano le più condivise possibili. Esse vengono prese attraverso l’Assemblea Plenaria. Ve ne sono alcune quasi automatiche, per le quali non serve neppure consultarsi: con esse si procede direttamente ad informare tutti i componenti della tavola via Internet. Per il resto, si ricorre all’Assemblea Plenaria, ossia un organo decisionale formato da un rappresentante di ciascuno dei componenti della tavola. Normalmente le decisioni vengono prese per consenso unanime: fino ad ora non abbiamo mai votato. Se c’è qualcuno che è molto contrario all’iniziativa, al progetto di cui si sta discutendo, allora il tutto si blocca e quell’iniziativa non potrà essere svolta. Ugualmente, se si deve firmare un documento che, per intero o per una sua parte, è contrario al mandato di un componete della tavola, quel documento non viene firmato. La logica interna al coordinamento non è modellata sulla base della teoria democratica, viceversa ogni membro esercita il diritto di veto. Affianco all’Assemblea Plenaria c’è una segreteria tecnica che ha il compito di mettere in atto quanto deciso. Questo non significa che ci siano delle attività esclusivamente attribuite alla segreteria tecnica. Nella realizzazione di tutte le attività della tavola che hanno un’incidenza politica possono partecipare tutti i suoi componenti, dalle amministrazioni, alle associazioni, alle ONG. Per esempio, l’organizzazione delle giornate che si svolgono annualmente, a cui partecipano vari esponenti delle amministrazioni pubbliche e della società civile colombiana, catalana ed internazionale, è affidata alla segreteria tecnica; accanto ad essa c’è, però, un comitato che ha funzioni amministrative e decisionali. In sintesi, nel coordinamento coesistono tre livelli: l’Assemblea Plenaria, che si riunisce una volta al mese; il comitato operativo formato da un rappresentante per ogni suo componente, creato per l’organizzazione delle giornate annuali, ossia l’evento più importante della tavola; infine, la segreteria tecnica. In questo momento la segreteria è formata da due persone: una si occupa del lavoro che viene svolto normalmente da questa struttura, mentre l’altra si concentra sull’organizzazione delle giornate. 209 Dove si celebreranno le giornate? La partecipazione ad esse è aperta al pubblico? Le giornate quest’anno si svolgeranno dal 14 al 16 aprile. Stiamo ancora definendo lo spazio, sicuramente l’evento si svolgerà nella città di Barcellona. È possibile che gli incontri del primo giorno si svolgeranno in uno spazio istituzionale, come l’anno passato, in cui l’apertura ha avuto luogo nella sede della Regione, ossia il palazzo della Generalitat. Per quanto riguarda la partecipazione essa è aperta a tutto il mondo. 3. C’è un rappresentante unico della Tavola? Se si, come è stato eletto? No, non c’è un rappresentante unico. Di tanto in tanto accade che qualche situazione ne richieda la presenza: per esempio, la partecipazione ad una riunione ufficiale. A quel punto, nell’Assemblea Plenaria si decide chi assumerà le vesti di rappresentante della Tavola. La scelta viene fatta in base alle capacità e competenze delle singole persone che lavorano nel coordinamento e a seconda della tipologia dell’incontro. 4. Come si distribuiscono i compiti tra i diversi componenti della Tavola? Tutti i soggetti partecipano in forma uguale o a seconda della loro disponibilità e della loro specializzazione? Secondo la loro disponibilità, specializzazione ed interesse. È tutto molto libero in questo senso. Tutto quello che non viene svolto dall’insieme dei membri della tavola, viene svolto dalla segreteria tecnica. Gran parte del lavoro viene svolto dai componenti della tavola, ma il tutto avviene in modo spontaneo. Nell’Assemblea Plenaria si stabilisce l’agenda da seguire. Successivamente si decide chi si occuperà di una cosa e chi di un’altra. Ripeto, è tutto molto spontaneo e dettato dalle capacità e dall’interesse personale di ognuno. 5. Quali sono le linee programmatiche, le priorità e i comuni criteri d’azione della Tavola? Il fine del nostro lavoro è quello di far arrivare al governo della Catalogna e di Spagna e, in minor parte, ad alcuni parlamentari che lavorano nell’Unione Europea con cui siamo in contatto, le rivendicazioni della società civile colombiana organizzata, che preme per una soluzione politica del conflitto e per la protezione dei diritti umani. Inoltre, la Tavola 210 lavora congiuntamente con altre coordinamenti europei che lavorano contro l’impunità e l’applicazione del Diritto Internazionale Umanitario in Colombia. Tutte le nostre rivendicazioni fanno riferimento al compimento delle raccomandazioni dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Per quanto riguarda i comuni principi che regolano il nostro operato essi sono raccolti nella nostra dichiarazione di intenti del 2003. 6. Quali sono i progetti proposti dalla Tavola per la promozione del processo di pace in Colombia? Come accennato, l’evento più importante è quello delle giornate, che organizziamo annualmente. Il primo anno, le conferenze tenutesi hanno voluto contribuire alla visibilizzazione dei movimenti sociali colombiani attivi per la costruzione della pace. In quell’occasione ospitammo rappresentanti istituzionali, membri del movimento delle donne, del movimento indigeno, delle organizzazioni sindacali, persone operanti non solo sul piano politico, ma anche su quello culturale. L’anno seguente abbiamo presentato la relazione del 2003 del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, intitolata Colombia: vicolo cieco senza uscita?, ed invitammo l’equipe che ha lavorato per la sua stesura. Quest’anno riguarderà la politica europea verso la Colombia, ossia si cercare di gettare uno sguardo su quanto sta facendo l’Unione Europea a favore del processo di pace in Colombia, alla promozione e alla protezione dei diritti umani: in che misura sta contribuendo al raggiungimento di questi propositi o se, al contrario, non lo sta facendo. Ogni quanto prepara questo genere di relazione il PNUD? Questo tipo di relazione viene pubblicato occasionalmente. L’equipe del PNUD considera ogni sua relazione come un lavoro aperto. Difatti nella regione si continua a lavorare, ad osservare. La prossima loro pubblicazione è prevista per la metà dell’anno in corso. 7. La Tavola catalana si definisce come un agente di cooperazione decentralizzata? 211 La tavola catalana non possiede lo statuto di entità giuridica e pertanto non amministra fondi. Di conseguenza, non siamo impegnati nella realizzazione di nessun progetto di cooperazione, né abbiamo nulla a che vedere con questo. La tavola è fondamentalmente un coordinamento regionale mirante ad ottenere una maggiore incidenza politica sul territorio catalano, attraverso la divulgazione delle iniziative di pace nella società catalana, utilizzando tutti i mezzi di comunicazione. Come Tavola non possediamo alcuna controparte con cui cooperare per la realizzazione di progetti di cooperazione. Ciò non toglie che all’interno della Tavola ci siano dei soggetti che portano avanti questo tipo di progetti per conto proprio. Per esempio, le diverse amministrazioni municipali catalane raggruppate nel Fondo Catalano di Cooperazione allo Sviluppo. 8. Caratteri positivi e negativi della Tavola: svantaggi e vantaggi. In che aspetti potrebbe migliorare? Come? Tra i vantaggi figurano sicuramente l’elevata operatività e la possibilità di realizzare attività con un profilo politico molto alto. Fin dal principio la Tavola ha dimostrato di essere operativa, poiché a tutti i suoi membri è costato molto poco trovare dei punti d’incontro. Questo ha reso molto spontaneo il processo decisionale del coordinamento. Credo che questa spontaneità ed operatività dipendano soprattutto dal tipo di persone che ne fanno parte, dal loro pragmatismo e dal loro impegno. Questa operatività avrebbe potuto essere ancora più elevata in alcune occasioni, ma l’essenza stessa della Tavola (ossia la coordinazione di numerosi soggetti, la diffusione delle informazioni tra tutti i suoi membri e la necessaria approvazione degli stessi su qualsiasi decisione presa) lo ha impedito. La Tavola potrebbe migliorare sotto diversi aspetti. Prima di passare a questo tema vorrei esporre gli obbiettivi raggiunti. In primo luogo, si è ottenuta una maggiore conoscenza della situazione colombiana in Catalogna, sia tra le amministrazioni che tra la società civile; questo ha fatto sì che il livello di preoccupazione e di attenzione sul conflitto armato colombiano sia molto accresciuto. Attraverso le giornate che annualmente organizziamo da tre anni si è riusciti a far maggiore chiarezza sulle cause del conflitto interno armato colombiano. 212 Una delle carenze maggiori consiste nella difficoltà di produrre dei documenti scritti riguardo le attività portate avanti. La necessità di passare al vaglio dell’opinione di tutti i suoi membri può portare a questo tipo di inconveniente, soprattutto se si considera che la Tavola è ancora in processo di formazione. Alludo alle motivazioni per le quali poco fa le ho spiegato il perché io non possa rispondere alle domande della seconda parte della sua intervista, riguardante il conflitto colombiano nella fattispecie. Una volta risposto alle tue domande, dovrei passarle al vaglio di tutti i membri della tavola e sarebbe un lavoro lungo e faticoso riuscire a dare delle risposte che comprendano tutte le opinioni presenti nel coordinamento. 9. Da dove provengono i mezzi economici e umani della Tavola? Come dicevo prima, la Tavola non amministra denaro in quanto non possiede alcuna personalità giuridica. Quanto ai fondi attraverso cui si sostenta la Tavola essi provengono da una donazione annuale dei membri che ne fanno parte, diversa a seconda della natura dei componenti. Per ogni categoria di soggetti, la segreteria esecutiva fa una proposta, dopodiché i diversi membri offrono quanto possono in base ai loro bilanci, alla loro grandezza e capacità economica. Questi fondi vengono utilizzati per coprire le spese d’ufficio, di eventuali viaggi e per ricompensare il lavoro del rappresentante di ogni soggetto della Tavola che prende attivamente parte ai lavori di coordinazione. La persona che lavora per un anno nella veste di segretario tecnico lo fa grazie ai finanziamenti ottenuti attraverso l’approvazione di un progetto presentato da uno dei membri della Tavola. La sua retribuzione rappresenta la spesa più alta. Di anno in anno, a rotazione, una delle entità della tavola partecipa al bando aperto dall’Agenzia Catalana di Cooperazione allo Sviluppo. Pertanto, ottenere questi fondi non è automatico: per adesso è stata questa la procedura seguita, ma non è detto che lo sarà per sempre. L’amministrazione catalana non finanzia la Tavola in modo diretto proprio perché essa non possiede uno statuto giuridico ben definito. Per quanto riguarda le giornate che organizziamo annualmente, esse vengono finanziate grazie all’apporto di alcune amministrazioni pubbliche partecipanti al coordinamento: di anno in anno possano cambiare. 213 10. Oltre alla Tavola catalana per la Colombia, in Europa ci sono altri coordinamenti regionali simili: che tipo di relazioni esistono tra voi? Quali sono o quali dovrebbero essere i criteri comuni d’azione adottati o da adottare? Le relazioni in verità sono molto poche, se non nulle. Conosciamo un poco alcune coordinazioni regionali che hanno partecipato ad un seminario sulla cooperazione decentralizzata in Colombia organizzato nel 2003 dal Fondo Catalano di Cooperazione allo Sviluppo. Poi conosciamo alcune coordinamenti che fanno parte dell’Oficina de Derecho Internacional Acciòn Colombia (OIDACO), che è la controparte europea della coordinazione colombiana Coordinaciòn Colombia/Europa/Estados Unidos. OIDACO è costituita da coordinazioni nazionali di agenti di cooperazione che lavorano per la protezione dei diritti umani in Colombia. Essa è presente in Gran Bretagna, Francia, Belgio, Germania, Svizzera, Irlanda. In Spagna ancora no: sul territorio spagnolo operano delle ONG che ne fanno parte, ma ancora manca una coordinazione forte tra loro, che ad ogni modo sta crescendo nel tempo. Noi siamo un suo osservatore ed alcune delle nostre azioni le abbiamo organizzate in modo congiunto con OIDACO, ma non ne facciamo parte a tutti gli effetti perché la Tavola è costituita non solo da agenti di cooperazione ma anche da amministrazioni pubbliche. I nostri principi cardine sono: la risoluzione politica del conflitto armato e il rispetto delle raccomandazioni delle Nazioni Unite. Per quanto concerne i comuni criteri da adottare dalle diverse coordinazioni europee credo che più l’azione sarà coordinata più potrà essere efficace. 214 Intervista alla rappresentante di un componente della “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colòmbia”: Escola de cultura de Pau i Càtedra UNESCO sobre Pau i Drets Humans, presso l’Università Autonoma di Barcellona Data dell’intervista: 25.02.2005 Nome della persona intervistata: Alicia Barbero, Responsabile del Programma “Colombia internazionalizzare la pace”, Scuola di Pace, UAB. Riguardo alla fondazione ed alla sua attività di cooperazione. 1. Da quanto tempo l’Università fa parte del coordinamento? In che modo è entrata a farne parte? Per soddisfare quale esigenze? In realtà il processo è stato contrario: l’Università Autonoma di Barcellona è uno tra i fondatori del coordinamento catalano. Il programma sulla Colombia è iniziato attorno al 2000. Uno degli obbietti della Escola de cultura de Pau era aumentare il numero degli attori catalani coinvolti nell’accompagnamento internazionale delle iniziative di pace a favore della Colombia e, contemporaneamente, far sì che le attività portate avanti dai pochi soggetti catalani già mobilitati attorno a questo tema si armonizzassero. Insieme alla ONG Cooperaciò ci occupammo quindi di prendere i primi contatti con altre ONG ed amministrazioni pubbliche del territorio catalano per invitarle a prendere parte al nostro progetto. In questi anni abbiamo notato che il lavoro di accompagnamento internazionale a sostegno della pace in Colombia ha incontrato molti ostacoli e difficoltà, tanto che a volte si è arenato. Secondo la nostra visione questo è successo perché la prospettiva adottata da molti coordinamenti che operano attorno al caso colombiano ha spesso preferito mettere in risalto le differenze delle diverse posizioni coinvolte nel processo di pace. Quello che invece tenta di fare il coordinamento catalano è porre sulla tavola il minimo denominatore comune che ci permetta di operare. Fu così che arrivammo alla redazione della Dichiarazione di intenti del coordinamento, i cui principi stanno alla base di tutto il nostro lavoro. 215 2. Quali sono le iniziative promosse dall’Università? Quello che tenta di fare la Escola de cultura de Pau è molto semplice è può essere sintetizzato in questo modo: il nostro obbiettivo è quello di contribuire all’internazionalizzazione della pace colombiana; a questo scopo lavoriamo per mettere in contatto diversi soggetti che lavorano a sostegno di iniziative internazionali di pace e ci preoccupiamo affinché quelli operanti sul territorio catalano si complimentino uno con l’altro. Più in concreto, in primo luogo ci occupiamo di elaborare una serie di documenti attraverso cui informiamo sulla situazione del conflitto e, soprattutto, diamo visibilità alle diverse iniziative civili di pace colombiane. I documenti elaborati sono disponibili in Internet sul sito della scuola e vengono redatti settimanalmente e ogni tre mesi: si tratta del Colombia Semanal e El Boletìn Trimestral. Inoltre, ci occupiamo della redazione di altri documenti destinati alla pubblicazione su riviste specializzate. In secondo luogo, appoggiamo reti di soggetti che lavorano in relazione al caso colombiano. Da un lato, tentiamo di stimolare il lavoro della “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colombia”; dall’altra, ci occupiamo della sensibilizzazione della popolazione catalana sul tema colombiano. Con l’aiuto delle ONG Cooperacciò ed Amnesty International cerchiamo di fornire sempre nuovi elementi di analisi sul caso colombiano dal punto di vista dell’internazionalizzazione della pace, sulla base dei quali indirizzare il lavoro degli altri attori. Il nostro sostegno alla Tavola consiste quindi in un aiuto ai lavori di pianificazione e di diffusione delle informazioni riguardo al lavoro svolto. Contemporaneamente, siamo impegnati nell’accompagnamento internazionale di altre due “reti”, ovvero noi le chiamiamo così ma si tratta di reti solo dal punto di vista informale. Tale accompagnamento è rivolto alle organizzazioni mobilitate attorno ai diritti delle donne in Colombia e alle iniziative civili di pace provenienti da alcuni municipi colombiani, in contatto con alcuni municipi catalani. Riguardo a queste ultime due tematiche, quello che abbiamo fatto è stato elaborare una strategia che si è concretizzata nel programma di due borse offerte a rappresentanti colombiani operanti in questi due ambiti. Questo è il secondo anno che siamo riusciti ad offrire queste due borse. Quest’anno, una è stata offerta ad una rappresentante della Ruta Pacifica de las mujeres colombianas e l’altra ad un rappresentante della Governabilidad participativa desde los municipios. 216 3. In che modo è stata garantita l’implementazione (mezzi economici, risorse umane) di queste iniziative? Per l’elaborazione di documenti e la loro diffusione i mezzi provengono dal bilancio dell’Università o da altre istituzioni che ce li commissionano. Per esempio, al momento stiamo lavorando attorno ad un documento sul movimento di donne colombiane finanziato dalla ONG catalana Justicia y Pau. Anche il nostro lavoro di appoggio alla “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colòmbia” viene finanziato in parte dall’Università, ossia dai fondi che questa riceve dalla Generalitat. Riguardo al finanziamento delle due borse annuali l’iter è stato un poco più complicato. Per esempio, prima di arrivare alla borsa concessa per due anni a due rappresentanti della Ruta pacifica de las mujeres il nostro lavoro ha consisto nel metterci in contatto con diverse organizzazioni impegnate su questo fronte in Colombia e in Catalunya. Una volta stabilita una fitta rete di relazioni con le promotrici di diverse iniziative civili di pace, abbiamo organizzato un seminario sul tema qui a Barcellona, al quale hanno partecipato membri di amministrazioni pubbliche e numerose ONG operanti a livello catalano, colombiano ed internazionale. Al momento sono alte le probabilità che questi fondi siano riconfermati negli anni a venire: grazie ad essi oggi esiste realmente un movimento internazionale di donne fatto dall’insieme delle organizzazioni che lavorano per la difesa dei diritti delle donne colombiane. Per quanto riguarda l’altra borsa a favore del rafforzamento delle iniziative civili di pace di alcuni municipi colombiani, la realizzazione del progetto si è avvalsa del sostegno del Fons Català e della Deputaciò di Barcellona, ossia i primi soggetti con cui abbiamo cominciato a lavorare attorno al tema. Dopo la loro partecipazione alla prima edizione delle giornate del 2003 sulle diverse iniziative di pace provenienti dalla popolazione civile colombiana, durante le quali ospitammo alcuni rappresentanti delle municipalità colombiane interessate all’iniziativa, vennero avviate le prime relazioni tra amministrazioni locali catalane e colombiane. I rapporti si consolidarono in maniera più stabile e continuativa nel tempo anche attraverso questa borsa. I fondi delle borse provengono dalla Generalitat, dal Fons Català e dalla Deputaciò. Quello che noi cerchiamo di fare come Università e Escola de cultura de Pau è realizzare le condizioni necessarie affinché si materializzino questi fondi. Simbolicamente il nostro 217 lavoro somiglia a quello di una badante che si occupa di un bambino: una volta cresciuto il bambino la badante se ne va’. 4. Qualche vostro componente ha avuto la possibilità di recarsi in Colombia ed operare sul territorio? Le due persone che in questo ufficio dell’UNESCO si occupano del caso colombiano siamo io e Kristian Herbolzheimer. Sia io che Kristian abbiamo vissuto in Colombia per due anni, dove torniamo regolarmente per periodi di tempo più o meno lunghi. Kristian in particolare vive lì per almeno sei mesi l’anno. Viaggiamo entrambi per nostro conto. Le nostre attività sul territorio sono finalizzate al mantenimento delle relazioni intrattenute con numerosi attori colombiani, operanti a diversi livelli: università, sindacati, municipi, ONG, ecc., a seconda del tema attorno cui stiamo lavorando. 5. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio degli Stati nazionali? La crescita dell’interesse e della diversità dei soggetti operanti su temi quali lo sviluppo dei paesi del Sud del mondo è molto importante in quanto contribuisce ad allargare il raggio d’azione della cooperazione, ossia ad aumentare le possibilità che le diverse iniziative proposte vengano approvate. Naturalmente il buon finanziamento della cooperazione dipende oggi, così come ieri, dal tipo di progetti finanziati. Inoltre, nessuno nega che oggi esistano rischi legati al minor controllo. Dall’altra, le enormi possibilità derivanti dalla decentralizzazione della cooperazione sono innegabili, al meno dal punto di vista teorico. Il maggior grado di informalità che oggi la caratterizza può, di fatti, facilitare il processo per il quale le esigenze della popolazione civile del Sud siano captate in modo più efficace e reale dalla molteplicità degli attori che oggi operano in questo campo, sia nel Nord che nel Sud. La capillarità dei campi d’azione di questi attori fa in modo che la sensibilizzazione della popolazione del Nord attorno a queste tematiche sia maggiore. Pertanto, la possibilità d’incisione del locale sull’agenda mondiale diviene oggi un fatto reale. Questo perché le nuove dinamiche della cooperazione non permettono solo che diversi attori del Nord finanzino un maggior numero di progetti 218 nel Sud, ma anche che i paesi donanti assumano nella propria agenda politica gli obbiettivi delle agende dei paesi beneficiari, al fine di ottenere un risvolto politico sulla scena locale d’appartenenza. Riguardo al coordinamento. 3. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale? La dinamica di funzionamento è di tipo orizzontale. C’è una segreteria tecnica che organizza e canalizza, ma le decisioni vengono prese all’unanimità all’interno dell’Assemblea Plenaria che si riunisce mensilmente. Nel caso di un’urgenza si utilizza la comunicazione elettronica per informare tutti i componenti della Tavola e per trovare un accordo su come agire. La distribuzione dei compiti tra i soggetti partecipanti alla tavola avviene in modo spontaneo, ossia secondo il loro interesse e la loro disponibilità. 4. Caratteri positivi e negativi del coordinamento: vantaggi e svantaggi. In che cosa potrebbe migliorare? Tenuto conto della difficoltà d’azione nella situazione colombiana, credo che la partecipazione istituzionale catalana sia un aspetto assolutamente positivo della Tavola, in quanto eleva il peso politico dell’accompagnamento alle iniziative civili di pace provenienti dalla popolazione colombiana. Contemporaneamente anche i limiti, più che le difficoltà, risiedono nella stessa partecipazione istituzionale. Esclusi noi, gli altri soggetti istituzionali partecipanti operano allo stesso tempo in cinque o sei paesi. Pertanto la partecipazione alla Tavola corrisponde per loro ad un lavoro extra. La conseguente limitazione del tempo dedicato al caso colombiano da parte di molti componenti della Tavola rappresenta quindi il limite maggiore all’avanzamento dell’analisi collettiva del coordinamento in relazione ad un conflitto complicato, che richiederebbe una maggiore operatività. 219 5. Oltre alla Tavola catalana per la Colombia, in Europa ci sono altri coordinamenti regionali simili: che tipo di relazioni esistono tra voi? Quali sono o quali dovrebbero essere i criteri comuni d’azione adottati o da adottare? Credo che tra i diversi coordinamenti regionali operanti sul piano europeo attorno al tema colombiano esistano delle relazioni adeguate, capaci cioè di permettere la nascita di collaborazioni e di assicurare contemporaneamente la giusta autonomia ad ognuno. Mi riferisco ad esempio al lavoro svolto da OIDACO, dal Cono Sur e dalle Brigate Internazionali di Pace. Noi della “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colombia” intratteniamo rapporti stabili con tutti e tre queste organizzazioni. Chiaramente esistono altri coordinamenti, più o meno diversi dal nostro, che abbiamo incontrato e contattato solo occasionalmente. Questo è il caso ad esempio di Swippcool, un coordinamento svizzero molto simile alla Tavola catalana per le sue finalità d’incidenza politica sul piano locale e internazionale, ma maggiormente orientato nella realizzazione di progetti di cooperazione sul territorio colombiano. Ugualmente, solo di tanto in tanto abbiamo intrattenuto relazioni con il coordinamento italiano della Regione Lombardia, che ha approfondito in modo più specifico la prospettiva delle municipalità, per il rafforzamento del potere e della governabilità locale in Colombia. Riguardo il processo di pace colombiano. 1. Quali sono gli attori coinvolti nel processo di pace colombiano? Quali dovrebbero essere? Il conflitto colombiano è molto complesso: non è solo un conflitto armato, bensì un conflitto economico, sociale, culturale e armato. La situazione di un conflitto armato è simile ad una piramide. Semplificando, potremmo dire che il vertice è rappresentato dal governo, la guerriglia e le forze paramilitari, ossia gli attori armati coinvolti nella confrontazione diretta; seguono gli attori intermedi, quali le municipalità, i sindacati, le imprese e gli attori internazionali; infine, c’è la base, il resto della popolazione. Una negoziazione pura e dura implica evidentemente che si raggiunga un accordo tra gli attori direttamente coinvolti nei combattimenti: quindi le forze nazionali di sicurezza, la guerriglia e le forze paramilitari. Affinché ci sia un processo di pace integrale, mi riferisco cioè ad una costruzione di pace che provenga dalla base della società 220 e che passi per tutti i successivi livelli, è necessario generare delle condizioni che passino attraverso uno sviluppo sostenibile, per l’inclusione del differente, per il cambiamento dell’atteggiamento degli attori intermedi ed internazionali che stanno alimentando la guerra e la povertà. Tutti questi attori dovrebbero essere coinvolti. 2. Quali sono le maggiori difficoltà per raggiungere la pace in Colombia? Per l’accordo di pace tra gli attori primari le maggiori difficoltà sono: la grande sfiducia maturata in modo reciproco nel processo storico degli ultimi 60 anni; la non partecipazione della società civile organizzata; l’esistenza di fonti d’ingresso che alimentano la guerra, connessi al conflitto economico internazionale. Lo Stato colombiano dovrebbe cercare di generare le condizioni necessarie perché tutti gli attori primari si siedano simultaneamente al tavolo delle trattative. Questo avverrà solo dopo che il governo si deciderà ad avviare cambiamenti strutturali di ampio raggio nella politica interna del paese e dopo che anche gli attori armati si decideranno a modificare il loro atteggiamento. Inoltre, affinché vengano create queste condizioni, è necessario che ci sia un cambio anche nella politica estera del governo, soprattutto per quanto riguarda le sue strette connessioni con gli Stati Uniti. 3. Quali sono i soggetti istituzionali, politici, sociali che dovrebbero apportare gli sforzi maggiori per la risoluzione del paramilitarismo? In primo luogo, il governo colombiano; in secondo luogo, tutti gli attori nazionali ed internazionali che lo stanno finanziando in modo diretto e tutti gli attori che, alimentando il commercio internazionale di droga, lo finanziano in modo indiretto . E per la risoluzione del narcotraffico? Da un lato, tutti gli attori nazionali ed internazionali che finanziano il paramilitarismo; dall’altro, lo Stato colombiano che porta avanti una politica di guerra. 221 4. Analisi dei movimenti sociali e politici attivi oggi per la costruzione di pace della società colombiana. Caratteri negativi e positivi. Quali sono le carenze più evidenti e come potrebbero migliorare. Ci sono movimenti legati alla difesa dei diritti umani e movimenti legati al tema della pace. Nonostante l’alto tasso di violenza che comporta un conflitto di così lunga durata, la Colombia è uno dei paesi in cui più forti e grandi sono i movimenti sociali. Le difficoltà della loro azione sono legate alle divergenze esistenti tra le sue componenti, così diverse tra loro che molte volte risulta difficile giungere a degli accordi. Difficoltà ancora maggiori sono determinate dal protagonismo che gli attori primari del conflitto hanno nelle negoziazioni e nelle trattative di pace, a svantaggio del resto dei movimenti. La Tavola di Cartagena ha fornito recentemente una dimostrazione della forza e della vastità della società civile colombiana mobilitata nella difesa dei diritti umani e della pace. Forza che è stata possibile esprimere grazie ad un accordo raggiunto da vari suoi esponenti: dalla chiesa, alle imprese, ai difensori dei diritti umani, etc. 5. Analisi della politica portata avanti dallo Stato colombiano riguardo al processo di pace durante l’attuale Governo del presidente Uribe. Individuare quali sono le maggiori carenze e difetti. La politica dell’attuale presidente Uribe non potrebbe essere più lontana dal creare quelle condizioni di cui parlavo prima necessarie ad avviare il processo di pace. Di fatti, essa si rifiuta in tutti i modi di riconoscere l’esistenza del conflitto armato e delle sue cause, preferendo riferirsi ad esso in termini di violenza e di terrorismo contro cui opporre la sola forza bellica. 6. Qual è l’atteggiamento degli Stati Uniti in relazione alla situazione colombiana dell’attuale presidenza Bush? L’atteggiamento dell’attuale amministrazione Bush appoggia pienamente la strategia militare di Uribe, sostenendola finanziariamente attraverso il Plan Colombia e il Plan Patriota. Questa sua posizione, insieme all’accanimento mostrato riguardo la domanda di estradizione di alcuni criminali legati non solo al narcotraffico ma anche alla guerriglia, mette in serie difficoltà il processo delle negoziazioni. Infine, evidente è l’interesse degli 222 Stati Uniti per il controllo del territorio e delle risorse colombiane, a causa della posizione geografica strategica del paese rispetto al resto del continente sudamericano, su cui gli Stati Uniti mantengono forti ambizioni di controllo economico. Contemporaneamente però, la politica di Bush ha dimostrato una chiara posizione rispetto al processo di negoziazione avviato dal Governo colombiano con i paramilitari, per il quale il Governo statunitense ha preteso chiari segnali che dimostrassero la volontà del Governo colombiano di non far prevalere l’impunità. 7. Qual è l’atteggiamento dell’Unione Europea in relazione alla situazione colombiana? L’atteggiamento dell’Unione Europea verso la Colombia è estremamente ambiguo. Solo per fare un esempio, l’Unione ha condannato più volte la vendita di armi in Colombia ma non ha preso nessun provvedimento chiaro che facesse desistere i suoi Stati membri dal continuare commerci d’armi già avviati. L’atteggiamento dell’Unione dovrebbe essere diretta al compimento di differenti strategie: innanzitutto dovrebbe rivolgersi al taglio dei circuiti che finanziano la guerra, adottando misure contro il riciclaggio di denaro di dubbia provenienza; dovrebbe togliere la guerriglia dalla lista dei terroristi; operare affinché la cooperazione europea sia realmente promotrice dello sviluppo sostenibile. Infine, dovrebbe essere molto più propositiva nell’agenda mondiale affinché si generino le condizioni necessarie all’avvio del processo di pace: la sua posizione dovrebbe assumere contorni più definiti per contrastare quella degli Stati Uniti. 223 Intervista alla rappresentante di un componente della “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colómbia”: il Fons Català de Cooperació al Desenvolupament . Data dell’intervista: 23.02.2005 Nome della persona intervistata: Nuria Camps, direttrice del Fondo Catalano di Cooperazione allo Sviluppo. Riguardo alla fondazione ed alla sua attività di cooperazione. 6. Da quanto tempo la fondazione fa parte del coordinamento? In che modo è entrata a farne parte? Per soddisfare quale esigenze? Il Fondo Catalano è una rete costituita da più di 270 municipi che desiderano svolgere attività di cooperazione internazionale in modo congiunto. Il fondo esiste da diciotto anni. Quando è nata l’idea di costituire la “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colómbia” il fondo ha ritenuto necessaria la propria presenza nella tavola fin dal principio. Dal punto di vista strategico l’azione del fondo in America Latina si è sempre basata sull’idea che il sostegno al processo di pace sia il prerequisito fondamentale per qualsiasi politica di cooperazione allo sviluppo: questa è stata la nostra posizione davanti al processo di pace in Guatemala, del Salvador, del Nicaragua. Negli ultimi anni abbiamo lavorato sul caso colombiano, in riferimento al quale riteniamo che la ricerca del dialogo tra le parti costituisca la priorità assoluta per l’uscita dal conflitto. Il nostro impegno in Colombia è iniziato molto prima della nascita della tavola catalana e anche dopo essere entrati a far parte di questo coordinamento regionale, il nostro intervento in Colombia ha continuato ad essere gestito direttamente dal Fondo. I vantaggi apportati dalla tavola non si riferiscono ad un aumento della nostra presenza in Colombia; piuttosto, la tavola ha permesso di approfondire la riflessione sulla situazione colombiana qui in Catalunya, di sensibilizzare in misura maggiore la popolazione catalana e di ottenere una maggiore incidenza a livello politico, sia sul piano regionale, nazionale ed europeo. 7. Da quanto tempo la fondazione si interessa al processo di pace in Colombia? Quali sono le iniziative promosse dalla fondazione? 224 Il nostro interesse per il caso colombiano risale a molti anni fa. In un primo momento il fondo ha sostenuto in modo diretto alcuni gruppi colombiani attivi per la difesa dei diritti umani; successivamente ha finanziato dei progetti attraverso le Brigate Internazionali di Pace, concentrando i propri sforzi su iniziative di intermediazione ed accompagnamento di persone sfollate ed in pericolo di vita. Più recentemente abbiamo avuto modo di conoscere la realtà di alcuni municipi colombiani costituitisi collettivamente come Assemblea Costituente. Con tale iniziativa i municipi aderenti si oppongono alle dinamiche del conflitto e alle pratiche di violenza perpetrate da tutti i gruppi armati a danno della popolazione civile. Condividendo la posizione assunta da questi municipi, stiamo finanziando dei progetti a sostegno del comune di Tarso, di Caramanta e di altri comuni situati in corrispondenza del Dipatimento di Antioquia, volti a rafforzare queste amministrazioni ed a promuovere la crescita di questo movimento. Alla base della politica ispiratrice del fondo sta la convinzione che la risoluzione del conflitto passa attraverso la formazione di condizioni di sviluppo. Per questo, in corrispondenza di queste zone finanziamo anche progetti produttivi, al fine di creare nuove possibilità di lavoro e ridurre, di conseguenza, la partecipazione della popolazione colombiana al conflitto armato. Infine, in alcune occasioni sosteniamo delle iniziative di Amnesty International, la cui attività è centrata nel fornire protezione a persone perseguitate, garantendo loro i mezzi necessari ad uscire dal paese e rimanere in una situazione di sicurezza per periodi di tempo determinati. 8. In che modo viene garantito il finanziamento delle iniziative e la loro sostenibilità nel tempo? Il sostentamento delle iniziative proviene interamente dalle risorse messe a disposizione dai 270 municipi catalani che hanno deciso di destinare parte delle loro entrate al finanziamento di progetti di cooperazione internazionale. È proprio grazie all’unione degli sforzi di un così gran numero di municipi che il fondo riesce a sostenere economicamente le sue controparti in modo continuativo nel tempo: può capitare che i progetti sostenuti cambino, ma quello che il fondo si propone è di garantire alle sue controparti lo stesso appoggio per lunghi periodi di tempo. 225 9. Qualche vostro componente ha avuto la possibilità di recarsi in Colombia ed operare sul territorio? Quali sono le maggiori difficoltà incontrate? Noi non ci occupiamo dell’implementazione dei progetti che sosteniamo, né della loro ideazione: queste sono funzioni svolte dalle diverse controparti con cui lavoriamo sul territorio colombiano. Come fondo ci preoccupiamo di fornire i mezzi economici necessari per la loro messa in atto. Quanto alle maggiori difficoltà incontrate nella nostra attività di sostentamento alle varie iniziative di pace, esse sono dovute alla complessità stessa del conflitto colombiano, in cui risulta molto difficile identificare i ruoli svolti dai diversi attori coinvolti nella violenza. 10. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio degli stati nazionali? Oggi si cerca di dare spazio ad una cooperazione più orizzontale, che riconosca come propri soggetti attivi i popoli del Sud del mondo: sono le loro comunità che sono tenute ad elaborare le diverse proposte, curando i progetti realizzati dalla fase di pianificazione a quella di implementazione. Per comunità del Sud si intende non solo l’insieme delle sue istituzioni, ma la collettività locale in senso ampio del termine. L’idea è quella di dare vita ad una relazione stabile e durevole nel tempo tra popolo e popolo, costruendo un ponte tra le municipalità catalane e quelle dei paesi beneficiari dei fondi messi a disposizione. Il successo del fondo è quello di aver fatto si che più di cento municipi catalani siano riusciti a mettere in pratica le raccomandazioni delle Nazioni Unite, decidendo di destinare lo 0,7% del loro bilancio alla cooperazione internazionale. Le risorse della cooperazione catalana sostengono progetti presentati dalla stessa Agenzia per la Cooperazione della Generalitat, dalle ONG locali, dalle municipalità e ONG dei paesi beneficiari. Una volta selezionate le proposte, i fondi vengono trasmessi alle controparti vincitrici che decideranno in prima persona come gestire le risorse messe loro a disposizione per la realizzazione dei progetti presentati. 226 Riguardo al coordinamento. 6. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale? La tavola ha un’organizzazione orizzontale e informale. Di fatto non esiste a livello giuridico, bensì come spazio comune che mette in contatto diversi soggetti: dalle ONG, ai sindacati, alle amministrazioni pubbliche locali operanti a diversi livelli. In essa sono presenti il Governo della Catalunya, la Provincia di Barcellona, diversi comuni (tra cui quello di Barcellona) e il Fons Catalá come rete di municipi. Il fine è quello di esercitare un’incidenza politica forte, di creare una lobby. Attraverso le giornate che si organizzano annualmente i diversi componenti della tavola scambiano idee e si confrontano su diverse tematiche affrontate. 7. Caratteri positivi e negativi del coordinamento: vantaggi e svantaggi. In che cosa potrebbe migliorare? La tavola è uno spazio interessante come piattaforma di incidenza politica, sia a livello locale che nazionale. A livello nazionale si sono aperti nuovi spazi interessanti da quando nel paese si è avuto un cambio di governo: l’attuale amministrazione è di fatti molto più vicina alle nostre posizioni e le nostre tesi rispetto a quella precedente. L’informalità che contraddistingue la tavola è uno dei suoi maggiori vantaggi: questa informalità permette che la coordinazione della tavola e delle sue iniziative venga di volta in volta assunta da chiunque lo desideri. Per questo motivo ritengo che una sua istituzionalizzazione, ossia la sua trasformazione in un’organizzazione con uno statuto giuridico a sé, un proprio bilancio, una chiara suddivisione degli incarichi, non comporterebbe alcun progresso. La forma attuale della tavola non presenta alcuna mancanza o difetto di funzionamento. 8. Oltre al coordinamento catalano, in Europa, esistono altri coordinamenti regionali mobilitati attorno al caso colombiano. Quali sono o quali dovrebbero essere i loro criteri comuni d’azione? 227 Sarebbe utile che questi coordinamenti regionali si impegnassero affinché ci fosse una conoscenza tra loro sempre più ampia ed articolata. Un maggior confronto e un maggior numero di collaborazioni aiuterebbe a tessere una rete sempre più fitta sulla quale potrebbe consolidarsi una posizione europea più chiara e definita rispetto alla situazione in Colombia. Allo stesso tempo questo accrescerebbe il potere d’incidenza politica dell’Unione Europea in riferimento al tema colombiano sul piano internazionale. Nuria Camps non ha voluto rispondere alle successive domande riguardanti la situazione colombiana più nello specifico, giustificandosi con un malessere. Nonostante fossi riuscita a strapparle la promessa di rispondere al resto dell’intervista via mail, non ho mai ricevuto alcuna sua risposta. 228 Intervista al rappresentante di un componente della “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colòmbia”: la Fondazione Pau y Solidarietat della Confederazione operaia catalana (CCOO) Data dell’intervista: 17.02.2005 Nome della persona intervistata: Alonso Ceferino, sindacalista responsabile del programma dedicato alla Colombia all’interno del comitato operaio Pau y Solidarietat. Riguardo alla fondazione ed alla sua attività di cooperazione. 11. Da quanto tempo la fondazione fa parte del coordinamento? In che modo è entrata a farne parte? Per soddisfare quale esigenze? La fondazione Pau y Solidarietat è un comitato operaio per la Cooperazione e la Solidarietà con i paesi del terzo mondo. Essa è membro della tavola catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia dalla fondazione del coordinamento. La tavola si è costituita nel febbraio del 2003, ma prima di essa in Catalunya sono sorti altri comitati di solidarietà mobilitati attorno al problema colombiano, costituiti da organizzazione sociali, sindacali, politiche, ONG, etc. Con la costituzione della tavola anche le istituzioni pubbliche sono entrate a far parte di questo coordinamento già esistente, a cui noi partecipiamo da 8-10 anni. 12. Da quanto tempo la fondazione si interessa al processo di pace in Colombia? Quali sono le iniziative promosse dalla fondazione? La fondazione si interessa al processo di pace colombiano da sicuramente più di dieci anni, visto che il conflitto risale a tempi molto più lontani. I contatti con alcune delle organizzazioni sindacali colombiane, quali la CUT e la USO, risalgono a tempi più lontani. Queste relazioni sono state intessute nel tempo attraverso diverse collaborazioni. A seconda di quanto ci è stato chiesto nei diversi momenti, abbiamo di volta in volta sostenuto queste organizzazioni fornendo loro aiuti concreti, permettendogli, ad esempio, di compiere delle visite qui in Catalunya; altre volte, abbiamo fornito loro il nostro appoggio politico, per esempio, per la presentazione ai governi colombiani di Carte di denuncia da loro realizzate. 229 A livello catalano, la fondazione è impegnata nella realizzazione di un progetto di cooperazione nella regione del Valle, attorno a Cali. Di fatto si tratta del primo progetto di cooperazione che realizziamo. Il progetto è già stato approvato dalla Generalitat, ma non è ancora stato avviato: comincerà entro la fine dell’anno in corso. Esso si occuperà della formazione di un gruppo di sindacalisti appartenenti alla CUT, attorno a tematiche legate alla salute lavorativa. Le modalità ed i caratteri specifici del progetto sono stati elaborati in Colombia: sono stati i membri della CUT a rivolgersi a noi perché li aiutassimo a dare al progetto la forma tecnica necessaria per potere partecipare ai bandi di finanziamento catalani. Il progetto approvato durerà un anno; ad ogni modo contiamo di rinnovarlo ed ampliarlo. A livello nazionale si stanno finanziando altri progetti che riguardano interventi di varia natura: dalla ricostruzione di uffici sindacali, alla fornitura di equipe informatici e di materiale da stampa, al sostegno per popolazioni sfollate, incluso emigranti costretti ad uscire dal paese. Ad ogni modo, sia a livello locale che nazionale, riteniamo che il nostro compito primario consista nel sensibilizzare ed informare la popolazione catalana e spagnola su quanto sta accadendo in Colombia, cercare di far chiarezza sulle caratteristiche di un conflitto che si prolunga oramai da così tanto tempo. Nessuno di noi pretende fornire soluzioni al conflitto: riteniamo che questo competa alla popolazione colombiana. Da cui, consideriamo necessario sostenere e divulgare qualsiasi iniziativa proveniente dalla popolazione civile colombiana mirante alla risoluzione politica del conflitto. In particolare, condividiamo appieno le tematiche attorno a cui sta lavorando la CUT e altri sindacalisti colombiani. 13. In che modo è stata garantita l’implementazione (mezzi economici, risorse umane) di queste iniziative? Finanziariamente il progetto verrà sostenuto dalla Generalitat della Catalunya. Per quanto concerne le risorse umane, per la maggior parte sarà la CUT locale a fornirle. Naturalmente se avessero bisogno di un qualche supporto - supervisori, insegnanti o materiale didattico ci preoccuperemo di inviare loro quanto richiesto. 14. Qualche vostro componente ha avuto la possibilità di recarsi in Colombia ed operare sul territorio? 230 Come fondazione Pau y Solidarietat non siamo ancora stati in Colombia: come le dicevo prima, questo che realizzeremo l’anno che viene è il nostro primo progetto di cooperazione. Fino ad ora abbiamo ricevuto diverse visite da sindacalisti colombiani: dell’agenzia telefonica nazionale della Colombia (ossia Telecom Spagna), di compagnie petrolifere, di imprese tessili. Abbiamo accolto queste persone venute qui per tenere conferenze e denunciare quanto sta accadendo nel loro paese. 15. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio degli stati nazionali? Non so se si possa dire che la cooperazione realizzata secondo modalità decentrate sia più o meno efficace rispetto a quella realizzata nel passato da stato a stato. Sicuramente, quello che si può dire è che la cooperazione di oggi, capace di collegare tra loro le diverse comunità, è più democratica e plurale. Queste caratteristiche derivano dal fatto che la modalità d’azione decentrata consente di arrivare a beneficiare una maggior varietà di soggetti, rivolgendosi non solo alle amministrazioni pubbliche locali ma anche alle numerose ONG che operano in Colombia su tematiche molto diverse tra loro: dal tema di genere, a quello legato al mondo agrario, a quello sindacale, a quello indigeno, a quello ambientale. Credo che questo garantisca una maggiore pluralità e ricchezza rispetto al passato in cui la cooperazione internazionale era affidata e totalmente gestita dai governi dei paesi donatori e dei paesi beneficiari. Naturalmente, il suo orientamento era molto più influenzato dalla tipologia e dall’ideologia dei governi in carica. Riguardo al coordinamento. 9. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale? Esiste un rappresentante unico della tavola? Come viene scelto? La tavola ha una struttura orizzontale. La parola “struttura” non è adeguata: non abbiamo di fatti nemmeno un presidente. Si tratta di un punto d’incontro tra diversi soggetti che si sono riuniti per parlare e discutere sulle possibili modalità d’intervento a sostegno della popolazione colombina. È vero che esiste una segreteria, ma le decisioni all’interno della tavola si prendono sempre per consenso di tutti i partecipanti. 231 10. Caratteri positivi e negativi del coordinamento: vantaggi e svantaggi. In che cosa potrebbe migliorare? Il non avere una struttura rende più complesso e lento il processo decisionale. Questo significa ad esempio che la sua produzione di documenti scritti sia molto difficile. Dovendo tutto dipendere dal consenso unanime dei suoi componenti, il coordinamento è poco agile, poco operativo in relazione al tempo. In una situazione d’urgenza quello che normalmente accade è che il gruppo di ONG che ha avuto le prime informazioni riguardo a fatti concreti informa la segretaria, che in linea teorica possiede solo compiti amministrativi, nessuna responsabilità politica. La ristrettezza dei tempi di una simili situazione però, fa sì che la segretaria assuma delle responsabilità e dei compiti non propriamente suoi. Questo a svantaggio della persona che svolge il lavoro di segretaria e a vantaggio della tavola, che altrimenti non opererebbe. I vantaggi derivanti dall’inesistenza di un’organizzazione verticale permette però che nessuno predomini sugli altri: tutti i partecipanti della tavola sono uguali, tutti hanno potenzialmente lo stesso diritto d’intervento. Contemporaneamente, non ci sono obblighi di alcun tipo: ognuno può partecipare secondo la propria disponibilità ed interesse. Questo rende molto aperta la partecipazione alla tavola a qualsiasi organizzazione che lo desideri. 11. Oltre al coordinamento catalano, in Europa, esistono altri coordinamenti regionali: che relazioni esistono tra voi? Quali sono o quali dovrebbero essere i criteri comuni d’azione adottati o da adottare dai diversi coordinamenti regionali europei? Per quanto riguarda il nostro coordinamento regionale ci sono stati contatti ed occasioni che ci hanno reso possibile la conoscenza di alcuni coordinamenti simili operanti in altre zone d’Europa, ma non ci sono relazioni che ci legano a loro stabilmente nel tempo. Ad ogni modo dei coordinamenti a livello europeo ci sono: per esempio, mi riferisco ad OIDACO, con la quale abbiamo collaborato senza farne direttamente parte; oppure, ad alcuni coordinamenti europei tra associazioni e soggetti istituzionali di matrice cristiana, con cui abbiamo lavorato bene. Per quanto concerne dei possibili criteri comuni da raccomandare a questi coordinamenti, sicuramente ci si può riferire all’apertura necessaria degli stessi verso soggetti istituzionali e non, appartenenti a qualsiasi orientamento politico. In questo la tavola catalana riesce 232 molto bene: la varietà politica dei suoi componenti è molto ampia e ciò non costituisce un problema per nessuno. Tutti hanno modo di sentirsi a proprio agio. Credo che questo dipenda dalla drammaticità della situazione di violenza vissuta dalla popolazione colombiana: di fronte alla gravità della situazione tutti dimostrano un’elevata disponibilità a sedersi sullo stesso tavolo e a confrontarsi. Riguardo il processo di pace colombiano. 8. Quali sono gli attori coinvolti nel processo di pace colombiano? Quali dovrebbero essere? Gli attori da coinvolgere nel processo di pace sono tutti: perché un processo di pace sia efficace è necessario coinvolgere l’intera cittadinanza colombiana, dal governo, all’esercito, ai partiti politici, alle organizzazioni sindacali, etc. Non bisogna escludere nessuno. 9. Quali sono le maggiori difficoltà per raggiungere la pace in Colombia? La domanda è troppo ampia e la risposta è complessa. Ad ogni modo questa complessità dipende soprattutto dalla lunga durata del conflitto che ha largamente contribuito ad approfondire le distanze tra le posizioni dei diversi soggetti coinvolti. Poi c’è la mancanza di democrazia reale. Nonostante nel paese non ci siano stati periodi di dittatura, se non un breve governo militare negli anni ‘50, lo svolgimento di elezioni per la scelta dei governanti non è stato sufficiente ad assicurare la democrazia, perché queste elezioni si sono svolte in modo irregolare. In una situazione di guerra, quale è quella colombiana, non è possibile garantire ai cittadini la libera espressione delle proprie opinioni senza che essi rischino di mettere in pericolo la propria vita. 10. Quali sono i soggetti istituzionali, politici, sociali che dovrebbero apportare gli sforzi maggiori per la risoluzione del fenomeno del narcotraffico? E del fenomeno del paramilitarismo? Il narcotraffico è solo un problema del paese. Molti credono che risolvendo le questioni legate al narcotraffico tutti i problemi del paese trovino una soluzione: questa è una visione 233 errata. Ci sono problemi strutturali della società colombiana che sono indice della mancanza di democrazia nel paese e che contemporaneamente alimentano il narcotraffico, come ad esempio l’elevato tasso di disoccupazione. I sindacalisti colombiani sono consapevoli che la situazione economica del paese non facilita affatto l’avanzamento democratico della nazione. Quindi, se si vuole incidere sulla diminuzione del fenomeno del narcotraffico bisogna intervenire con misure atte a diminuire il tasso di disoccupazione, rafforzare gli strumenti di democrazia reale, garantire il rispetto dei diritti umani, risolvere la questione agraria fornendo soluzioni diverse ai contadini coltivatori di coca. Quanto all’esistenza di bande paramilitari che agiscono nell’assoluta impunità, questo è un problema la cui responsabilità va attribuita ai diversi governi che si sono susseguiti in Colombia. Non ci sono altri responsabili visto che la crescita e il consolidamento di queste gruppi è imputabile ad un cattivo funzionamento di alcune sue istituzioni chiavi, dalle forze di sicurezza ai rappresentanti del potere giuridico. 11. Analisi dei movimenti sociali e politici attivi oggi per la costruzione di pace della società colombiana. Caratteri negativi e positivi. Quali sono le carenze più evidenti e come potrebbero migliorare. L’attività politica colombiana è limitata da condizioni molto precarie e grosse difficoltà determinate dallo stato di guerra del paese. I sindacati non possono esercitare appieno la loro attività, così come le organizzazioni di donne e tutte le altre organizzazioni mobilitate attorno ad altre tematiche: finché la situazione non cambierà il loro operato rimarrà limitato. 12. Analisi della politica portata avanti dallo stato colombiano riguardo al processo di pace durante l’attuale governo del presidente Uribe. Individuare quali sono le maggiori carenze e difetti. Quando Uribe arrivò al governo e durante la sua campagna elettorale promise di porre fine alla violenza nel paese. La questione è che non spiegò chiaramente quale era la violenza cui si riferiva: quella dei paramilitari, dei narcotrafficanti, dei guerriglieri, del capitalismo selvaggio, dei latifondisti o delle corporazioni multinazionali. Col passare del tempo, è stato chiaro che la violenza cui si riferiva era una sola: quella dei guerriglieri, per 234 combattere i quali ha ottenuto l’appoggio incondizionato del governo degli Stati Uniti. Dato che il suo mandato si era concentrato nel perseguimento della sicurezza nazionale, ritengo che il suo mandato possa essere considerato solo un grosso fallimento. Nel paese continuano ad esserci omicidi, popolazioni contadine costrette ad abbandonare le loro terre, violenza nelle fabbriche, nelle città. Se le statistiche mostrano una diminuzione del tasso di omicidi, contemporaneamente esse mostrano che il numero degli omicidi selettivi è aumentato. Ciò significa che è cresciuto il numero di uccisioni a danno di dirigenti sindacali, leader politici, leader dei movimenti contadini, delle comunità indigene: si sta cercando di eliminare l’opposizione alla politica del governo di Uribe tagliando le “teste pensanti” del paese. 13. Qual è l’atteggiamento degli Stati Uniti in relazione alla situazione colombiana dell’attuale presidenza Bush? Credo che la Colombia sia uno degli ultimi stati dell’America Latina su cui l’amministrazione statunitense possa esercitare una profonda influenza. Nell’ultimo periodo abbiamo visto come nel continente sudamericano siano sorti dei governi ostili alla politica statunitense, a partire dal governo di Chavez in Venezuela, che gode della più ampia legittimità politica nel continente; del governo di Lula in Brasile, del governo dell’Ecuador e dell’Uruguay, di quello dell’Argentina. Inoltre la Colombia è l’unico paese del continente nel quale ci sia ancora una situazione di guerra, per cui tutta l’aggressività, tutti gli investimenti degli Stati Uniti diretti nell’industria bellica sono confluiti in Colombia. L’aumento della presenza militare statunitense in Colombia e soprattutto nelle zone di confine con il Venezuela potrebbe essere estremamente pericoloso. 14. Qual è l’atteggiamento dell’Unione Europea in relazione alla situazione colombiana? Credo che la politica europea dovrebbe essere più chiara, più lontana e distante da quella statunitense. Penso che dovrebbe sostenere in modo più efficace il rafforzamento democratico e il rispetto dei diritti umani. Ritengo che attualmente l’Unione Europea non agisca nel pieno delle sue potenzialità ma con molta paura e indugio, rimanendo troppo condizionata dall’atteggiamento degli Stati Uniti e dalla opinioni espresse dei suoi governanti. Di fatto essa interviene solo con programmi umanitari e di solidarietà, quando 235 invece dovrebbe aumentare il proprio sostegno economico per interventi miranti al rispetto dei diritti umani, politici, sindacali, alla costruzione di un paese realmente democratico. 236 Intervista ad una rappresentante della Ruta Pacifica de las Mujeres, ospite a Barcellona grazie ad un progetto finanziato dalla “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colòmbia”: Data dell’intervista: 23.02.2005 Nome della persona intervistata: Monica Valencia Giraldo, rappresentante della Ruta pacifica de las Mujeres Colombianas. Monica Valencia è una rappresentante del movimento colombiano di donne Ruta pacifica de las Mujeres, ospite in Catalunya per un anno grazie a dei fondi ottenuti dalla Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colombia e messi a disposizione dalla Generalitat. Il progetto di questa borsa è stato presentato all’Agenzia di Cooperazione Catalana attraverso la ONG catalana Cooperacciò, membro del coordinamento. È il secondo anno consecutivo che la Ruta Pacifica ha potuto beneficiare di questa borsa. Il fine della borsa è quello di far conoscere l’esistenza del movimento di donne colombiane, la drammatica situazione in cui sono confinate, le loro rivendicazioni e le iniziative che portano avanti in Colombia. Riguardo al movimento Ruta pacifica de las mujeres 1. Quando è nato il movimento? La Ruta Pacifica rappresenta una parte dell’ampio movimento sociale delle donne colombiane. Essa è sorta nel 1996 sulla base di un accordo nazionale di differenti organizzazioni che si sono unite per dare una maggiore visibilità alla drammatica situazione in cui vivono le donne colombiane in corrispondenza delle zone del conflitto armato. 2. Qual è la sua composizione? La Ruta Pacifica raccoglie oggi più di 350 organizzazioni di donne attive in diverse parti del paese; al suo interno cospicua è anche la presenza di donne che aderiscono al movimento in forma individuale. In modo approssimativo la Ruta Pacifica è formata da 3500 donne. La sua presenza è dislocata in quelli che noi definiamo le “zone focali” del 237 paese, che attualmente corrispondono a nove grandi città colombiane. Ad ognuno di essi corrisponde una sede regionale. 3. Quali sono le sue dinamiche di funzionamento? È un movimento orizzontale o verticale? Si tratta di un movimento circolare: nello spazio più esterno ci sono i coordinamenti regionali che raccolgono le diverse organizzazioni sparse nel territorio regionale; in quello più interno c’è il coordinamento nazionale, formato da una rappresentante per ogni sede regionale e coordinato da una segretaria esecutiva. 4. Quali sono i principi condivisi dall’insieme delle organizzazioni presenti nella Ruta Pacifica? La Ruta Pacifica nasce dalla volontà di rendere visibili i danni del conflitto armato provocati da tutti gli attori coinvolti nel combattimento, in sostanza: la guerriglia, i paramilitari e l’esercito colombiano. Non si tratta solo di un movimento di denuncia: le sue varie componenti hanno elaborato una serie di proposte per sostenere una soluzione politica del conflitto, tutte accomunate da quello che è il nostro principio fondante, ossia la scelta della via pacifica. Gli altri principi basilari condivisi sono quelli della non violenza, della resistenza civile, dell’antimilitarismo. Tutte le sue componenti operano nella convinzione che la via militare non rappresenti una soluzione possibile di un conflitto così prolungato. L’ obbiettivo del movimento è quello di contribuire alla costruzione di relazioni etiche che permettano di valorizzare il tessuto sociale e la diversità delle iniziative provenienti da tutti i soggetti sociali che condividono la via del pacifismo. 5. Quali sono state e quali sono le iniziative del movimento? Per la difesa di queste idee sono anni che organizziamo una serie di manifestazioni che culminano nella giornata del 25 novembre, che corrisponde alla giornata nazionale della non violenza. In quest’occasione i temi affrontati non sono legati ovviamente solo alla pace, ma anche e soprattutto alla guerra. Di fatti uno dei nostri obbiettivi è quello di rendere visibili le differenti manifestazioni del conflitto che interessano le diverse zone del paese. 238 La nostra mobilitazione è iniziata nel 1996 nella zona dell’Urabà, nel nord-est del paese, nelle vicinanze del confine con Panama. Si tratta di una zona dove in passato la presenza delle forze guerrigliere era molto elevata: sia delle FARC, che dell’ELN, che dell’EPL. Attorno al 1996 cominciarono ad esserci delle tensioni tra le FARC e l’EPL. Qualche anno prima invece, tra il 1994-95, la zona fu interessata da un rafforzamento delle truppe di autodifesa, ossia eserciti privati assoldati dai grandi latifondisti e industriali, nelle zone dove lo stato non riesce a garantire un controllo sufficiente del territorio. Il paramilitarismo è un fenomeno che ha cominciato a manifestarsi a partire dagli anni ’80 e rappresenta un mezzo con cui gli industriali e i latifondisti hanno scelto di difendere i propri interessi e proprietà, messi in pericolo dalle azioni predatorie dei gruppi guerriglieri. La zona dell’Urabà rappresenta un territorio strategicamente molto importante per la propria posizione geografica: sia per il commercio internazionale di armi e di sostanze illegali, ma anche per essere destinatario di un immenso progetto statunitense, quello legato alla costruzione del canale interoceanico. Infine, questa regione inizia ad essere interessata anche dall’avvio di progetti di sostituzione delle coltivazioni preesistenti: quella che è stata per molto tempo una zona bananiera, oggi viene coltivata sempre più intensamente con la palma, destinata al commercio internazionale. Una delle caratteristiche dell’attuale conflitto armato è di fatti quello di consistere in una disputa per il controllo di territori strategici dal punto di vista economico e geopolitico. Sono territori in cui si concentrano molte delle risorse del paese o in corrispondenza dei quali dovrebbero essere avviati grandi progetti internazionali. Si tratta pertanto di terre dall’elevato valore economico, soprattutto per investitori stranieri: statunitensi in primo luogo, ma anche europei e giapponesi. In seguito abbiamo proseguito la mobilitazione in altre regioni: per due anni siamo state nella città di Barrancabermeja, nel Magdalena Medio; poi nella città costiera di Cartagena. Nel 2002, in corrispondenza della fine dell’amministrazione Pastrana, organizzammo una grossa mobilitazione nella citta di Bogotà, insieme a Iniciativas de mujeres por la Paz, Iniciativas nacionales de mujeres, Iniciativas Nacionales de Consertaciòn, Organizaciòn Feminil Popular de Barranca. In quell’occasione riuscimmo a radunare più di 50.000 donne colombiane. La finalità di questa mobilitazione era di elaborare un’agenda politica da presentare alla nuova amministrazione. Il suo punto centrale consisteva nell’affermazione della necessità di una soluzione politica del conflitto armato. L’agenda conteneva inoltre: una denuncia della violenza generalizzata tra tutti gli attori armati contro le donne (esercito incluso); l’affermazione della necessità del rispetto dei Diritti Umani e 239 del Diritto Umano Internazionale; la rivendicazione di una maggior partecipazione delle donne nella formulazione dell’agenda politica della nazione. Nel 2003 scegliemmo la regione a sud del paese, confinante con il Brasile, Ecuador e Perù, il Putumayo. Questa è una delle aree maggiormente interessate dalla messa in atto del Plan Colombia. Questo piano d’intervento mirante alla soluzione del conflitto e caratterizzato da una forte componente militarista è stato elaborato dal governo colombiano e statunitense. La sua implementazione è stata possibile grazie ad un forte appoggio proveniente dell’amministrazione statunitense, che lo ha interpretato come strumento della sua lotta anti-droga. Pertanto, essere una delle zone maggiormente interessate dai fondi messi a disposizione del piano significa, in concreto, essere colpiti da un intenso programma di fumigazioni. Il prodotto chimico utilizzato nelle fumigazioni è il glifosfato, che produce seri danni all’ambiente e alla popolazione che ne viene a contatto. Questo prodotto non brucia solo le piante di coca e papavero sulle quale viene gettato dagli aerei, ma contamina anche il resto dei prodotti coltivati nelle vicinanze, a danno della popolazione contadina che non riesce a produrre nemmeno i prodotti necessari alla sopravvivenza. Ricerche svolte sul territorio interessato hanno dimostrato che questo agente chimico, infiltrandosi nelle falde acquifere, è capace di rendere improduttiva la terra colpita e quelle delle vicinanze in modo definitivo. Nel 2003 la Ruta Pacifica decise di organizzare diverse manifestazioni nel territorio del Putumayo per far conoscere tutti questi aspetti che si celano dietro il conflitto. Ogni anno scegliamo di andare in una regione differente perché, come accennato prima, il conflitto ha caratteri e manifestazioni diverse a seconda dei differenti territori del paese. Quest’anno andremo in Chocò, una regione molto ricca in biodiversità. Poiché essa corrisponde ad una delle zone più piovose del mondo, il suo valore economico è molto elevato essendo il territorio ideale per qualsiasi tipo di progetto idroelettrico. Inoltre, la zona del Chocò è di grossa importanza strategica anche perché dovrebbe essere attraversato dal canale interoceanico. In corrispondenza di questa zona, per l’aumento dell’intensità del conflitto, si sono registrati i tassi più elevati di abbandono forzato delle terre da parte di numerose comunità e del conseguente appropriamento illegale delle stesse da parte dei diversi attori armati. Alto è anche il numero di comunità costrette all’isolamento: quelle comunità che si rifiutano di abbandonare la loro terra vengono confinate in piccole zone estremamente controllate dalle bande armate: la possibilità di uscire ed entrare da queste zone viene limitata non solo alle persone ma anche a qualsiasi prodotto agricolo o medicamento. Queste pratiche di appropriazione illegale e di 240 confinamento vengono messe in atto non solo dai guerriglieri e dai paramilitari, ma anche dallo stesso esercito colombiano: esse rappresentano un modo efficace di controllare le migrazioni delle comunità e di utilizzare alcune di loro come scudi umani. Le nostre mobilitazioni hanno lo scopo primario di mostrare cosa significa per le comunità locali vivere in una situazione di conflitto, con particolare riguardo alle violenze vissute dalle donne. Da un lato, esse sono oggetto di violenze psico-sociali determinate dal clima di terrore che si istaura nel conflitto; dall’altro, sono vittime di forme di schiavitù sessuale e domestica, del controllo della loro vita affettiva e del loro corpo, anche per quanto riguarda il suo lato meramente estetico (abbigliamento, etc.). Tutte queste violenze fanno si che il corpo della donna rappresenti un bottino di guerra, in particolare la riappropriazione dell’immagine della donna viene utilizzata simbolicamente come dimostrazione di forza di fronte all’avversario. 6. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio degli stati nazionali? Sul territorio è possibile notare cambiamenti visibili rispetto al passato? Personalmente non opero nella cooperazione internazionale. Ad ogni modo, rispetto al tema posso riferirle circa alcuni tentativi fatti da Uribe per l’approvazione di un suo progetto di legge che ancora non ha ottenuto la maggioranza in Parlamento. Con esso il governo si propone di centralizzare gli aiuti alla cooperazione destinati al rafforzamento dei diritti umani. L’idea consiste in far sì che questi fondi entrino nelle casse dello Stato, dalle quali poi verrebbero successivamente ripartiti a favore delle diverse organizzazioni non governative che operano in questo campo. La risposta immediata delle organizzazioni internazionali presenti sul territorio colombiano è stata quella di minacciare l’abbandono del paese, nel caso in cui la legge fosse stata approvata. In seguito, il governo Uribe ha tentato di introdurre dei meccanismi di controllo sull’operato delle organizzazioni sociali colombiane, interrogandole sulle loro fonti di informazione e sulle modalità in base alle quali elaborano i loro documenti: con queste misure il Governo ha cercato di limitare il protagonismo delle organizzazioni della società civile. Successivamente, ha istaurato altri meccanismi di controllo anche sulle organizzazioni internazionali. Per esempio, ha preteso la consegna dei loro bilanci mensili e ha deciso la chiusura di alcune organizzazioni i cui bilanci superavano determinate 241 soglie. Contro la resistenza opposta da alcune di queste organizzazioni, che si sono rifiutate di presentare la documentazione richiesta, è stato fissato il pagamento di una multa così alta da mettere in pericolo la loro stessa sopravvivenza. Riguardo il processo di pace colombiano. 15. Quali sono gli attori coinvolti nel processo di pace colombiano? Quali dovrebbero essere? Il processo di negoziazione dovrebbe coinvolgere tutti gli attori armati. Fino a questo momento lo stato colombiano ha cercato diverse volte di avviare dei processi di negoziazione, ma i fallimenti ottenuti sono stati determinati dalla metodologia adottata. La scelta della classe politica al governo è sempre stata quella di convocare i diversi attori armati in momenti differenti, presentando loro proposte tra loro molto distanti. Secondo noi, l’unica soluzione consiste nel far sedere tutti gli attori coinvolti nel conflitto sullo stesso tavolo delle trattative. Questa è una delle ragioni per le quali non condividiamo il modo in cui lo stato colombiano sta affrontando il processo di negoziazione con le forze paramilitari. Inoltre, a parte la consegna delle armi, questo processo non è affiancato da un quadro giuridico appropriato, che definisca in modo chiaro quali sono le condizioni del processo e in che modo verrà garantita la giustizia e la verità riguardo a quanto accaduto sessanta anni di guerra. Di fatti, lo stato non ha presentato alcuna agenda politica da adottare dopo la consegna delle armi, finalizzata al reinserimento degli ex combattenti nella vita civile. Visto e considerato che le forze paramilitari possiedono oggi un forte potere politico, economico e sociale, la consegna delle armi non garantisce che il disegno paramilitare venga effettivamente fermato. Oggi le loro aspirazioni tendono ad essere di carattere prevalentemente politico, piuttosto che militare. 16. Quali sono le maggiori difficoltà per raggiungere la pace in Colombia? Le difficoltà maggiori sono quelle legate alla messa in atto di un processo di pace realmente sostenibile nel tempo. È necessario apportare cambiamenti strutturali nella società colombiana: economici, politici, sociali e culturali. Per questo, uno dei primi passi 242 dovrebbe essere l’apertura di processi di negoziazione supportati da un chiaro quadro giuridico che garantisca la giustizia, la verità e la riparazione. 17. Quali sono i soggetti istituzionali, politici, sociali che dovrebbero apportare gli sforzi maggiori per la risoluzione del fenomeno del narcotraffico? L’economia illegale della droga ha permeato tutta la società e le sue classi: dagli industriali, ai politici, alle classi povere che forniscono eserciti di sicari a loro servizio, a tutti i gruppi armati. Lo stato colombiano ha cominciato a lottare contro il narcotraffico solo sotto la pressione degli Stati Uniti: la politica portata avanti è stata una politica fondata sulla forza, mirante alla distruzione delle grandi strutture dei narcotrafficanti (cartello di Medellìn e di Cali) e alla distruzione delle terre che forniscono il commercio della sua materia prima. La strategia adottata non ha tenuto conto del fatto che l’economia del narcotraffico ha permeato la società così in profondità che il sistema non ha mostrato grosse difficoltà a riprodursi ed adattarsi alla nuova situazione di attacco frontale. Per sconfiggere il fenomeno bisogna quindi tenere conto che chi controlla le fila di questo commercio si riproduce con facilità, che dietro le quinte ci sono anche le forze paramilitari, non solo quelle guerrigliere. La strategia statale continua ad attaccare gli ultimi anelli della catena: mi riferisco ai piccoli coltivatori di coca e papavero che traggono un profitto economico minimale, sufficiente solo per garantire la loro sopravvivenza; oppure, alle numerose donne arrestate per piccole quantità di droga. Quali sono invece gli strumenti adottati contro i grandi produttori e trafficanti di droga? Come si stanno attaccando le fondamenta di questa economia immensa che ha permeato anche gli strati di potere più elevati? Non bisogna dimenticare che sono numerosissime le industrie e le imprese nazionali alimentate dal denaro proveniente dal narcotraffico. Simili critiche possono essere rivolte al governo statunitense, che ritiene che il problema possa essere risolto concentrando tutte le forze sulla limitazione dell’offerta proveniente dai paesi produttori, senza tener conto che il commercio internazionale di droga è alimentato, in primo luogo, dalla domanda, proveniente in gran parte dai paesi occidentali, Stati Uniti in testa. Perché gli Stati Uniti non si agiscono, ad esempio, contro la produzione e l’esportazione dei prodotti chimici necessari alla raffinazione delle droghe, visto e considerato che la maggior parte di questi prodotti viene proviene dal loro paese? 243 Che tipo di ruolo svolgono le donne in questo commercio? Si è riscontrato che nelle zone ad alta intensità del conflitto le donne godono di una maggiore facilità di movimento rispetto agli uomini, sospettati di appartenere ad uno o all’altro gruppo armato. Per questo motivo, nelle comunità di queste zone sono loro ad occuparsi della commercializzazione di tutti i prodotti agricoli. Questo mette le donne in una situazione di maggiore esposizione di fronte alla violenza dei gruppi armati. La commercializzazione di coca o pasta di coca invece, è ancora concentrata nelle mani degli uomini delle comunità, anche se lentamente sta coinvolgendo in misura sempre maggiore l’intera famiglia. E del paramilitarismo? Il paramilitarismo è un fenomeno che è sorto e si è consolidato fino alle sue dimensioni attuali (si parla di 10.000-15.000 unità) grazie alla complicità dello stato centrale e alla permissività delle forze di sicurezza dipartimentali e locali, nonostante lo stato non riconosca nessuna responsabilità o connessione esistente tra le forze armate e quelle paramilitari. In realtà, molti sono stati i casi denunciati dalla popolazione civile riguardo le collaborazioni tra membri delle forze armate e paramilitari. Lo stato colombiano ha invece sempre negato con forza la teoria della strategia di stato, attribuendo tutte le responsabilità del fenomeno al comportamento individuale di alcuni generali. Ad ogni modo, il paramilitarismo ha da sempre rappresentato una forza armata che non si è mai opposta al potere statale e che, al contrario, ha sempre riconosciuto la legittimità della sua autorità. L’obbiettivo di questa forza in armi è ottenere il controllo dell’ordine pubblico. Per il raggiungimento di questo obbiettivo, le forze paramilitari hanno da sempre sposato una strategia in linea a quella adottata dallo stato colombiano: la via militare. Infine, non bisogna dimenticare che in passato, di fronte all’inefficienza e alle ristrettezze numeriche dell’esercito, fu lo stato ad affidare alle forze paramilitari il compito di assicurarsi il controllo di quelle terre di frontiera, che avrebbero poi dovuto essere riconsegnate all’autorità centrale. 244 Perché lo stato colombiano non ha direttamente investito le proprie risorse nelle forze di sicurezza già esistenti per assicurare allo stato il monopolio della forza in tutto il territorio della nazione? Da un lato, le forze di sicurezza sono state impegnate per anni nella guerra condotta contro le forze guerrigliere del paese: questo ha naturalmente limitato la disponibilità degli effettivi. Dall’altra, lo stato ha trovato nelle forze paramilitari lo strumento migliore per poter compiere ogni genere di azione senza dover risponderne in modo diretto. Ad ogni modo, il punto centrale della questione è la mancata presa di coscienza da parte delle istituzioni statali che il controllo del territorio non si esaurisce nella sola presenza militare. Quello che dobbiamo domandare alla classe politica è perché i governi colombiani non hanno pensato di investire in altre istituzioni statali che assicurassero in modo più efficiente e democratico la propria presenza sul territorio nazionale ed un consenso nazionale più ampio. Mi riferisco, ad esempio, a strutture sanitarie o educative. Pertanto, per rispondere alla sua domanda iniziale, credo che il soggetto istituzionale tenuto ad apportare lo sforzo maggiore per la risoluzione del fenomeno paramilitare altro non possa essere che lo stato stesso. Come accennato prima, tale sforzo non deve però limitarsi al raggiungimento della sola consegna di armi. Lo stato colombiano deve assicurare lo smantellamento dell’intero apparato paramilitare, soprattutto nella sua componente economica e politica. Questo significa garantire i mezzi giuridici necessari affinché prevalga la giustizia e non l’impunità. Solo attraverso la restituzione delle terre ai legittimi proprietari si assicurerà la riparazione dei danni subiti dalla popolazione civile e, contemporaneamente, lo smantellamento del potere economico paramilitare. Infine, solo riconoscendo pubblicamente tutte le connessioni tra forze di sicurezza statali, forze paramilitari e forze politiche, si potranno porre le basi necessarie per avviare un vero processo di riconciliazione, sulla base del quale ricostruire l’intero tessuto sociale nazionale. In particolare, per noi è importante che in queste aule di tribunale venga data la giusta visibilità a tutti i crimini commessi a danno delle donne 18. Analisi dei movimenti sociali e politici attivi oggi per la costruzione di pace della società colombiana. Caratteri negativi e positivi. Quali sono le carenze più evidenti e come potrebbero migliorare. In modo molto sintetico elencherei: 245 a. Il movimento di donne, all’interno del quale si trovano organizzazione attive per la difesa dei diritti umani, l’avanzamento del processo di pace, la visibilizzazione degli effetti della guerra a danno delle donne; b. Il movimento per la pace; c. Il movimento per la difesa dei diritti umani e il rispetto del Diritto Internazionale Umanitario; d. Il movimento indigeno, che negli ultimi anni ha acquisito molta forza soprattutto in risposta alla politica di Seguridad Democratica di Uribe. Questa politica prevede l’estensione della presenza militare in tutto il territorio nazionale, attraverso il coinvolgimento della popolazione civile: con un programma che ha portato all’organizzazione di un milione di “vigilanti” e di “reti di informatori”, il governo ha coinvolto parte della popolazione civile nello svolgimento di operazioni di intelligenza, offrendo laute ricompense a tutti coloro che offrono informazioni ai corpi di sicurezza dello stato. In seguito, ha completato questa politica militarista con la creazione dei cosiddetti “soldati-contadini”, a cui sono state consegnate armi dell’esercito. Questo ha portato a detenzioni arbitrarie ed, in alcuni casi, a detenzioni di massa per il recupero di informazioni. La popolazione indigena ha saputo mettere in atto una strategia di pressione a proprio favore contro questo tipo di politica, rivendicando l’autonomia territoriale e giuridica dei propri territori. In seno alla società colombiana esistono molteplici differenze: questo di per sé non rappresenta una difficoltà ma, nel momento in cui forti rimangono le divisioni determinate dalle appartenenze politiche, è difficile trovare i necessari punti in comune sulla base dei quali rafforzare l’azione dei diversi movimenti sociali. Per quanto riguarda il movimento di donne, per il momento le carenze più evidenti non sono interne al movimento, piuttosto, riguardano la scena politica nel suo complesso: nonostante le rivendicazioni delle donne comincino ad essere sempre più ascoltate in seno alla società colombiana, la sordità dello stato non accenna a migliorare. Questo perché le nostre domande fanno riferimento all’apertura di spazi politici e perché quello che mettiamo alla luce sono i danni provocati dalla guerra. La stessa strenua resistenza dello stato e della classe politica dominante non riguarda solo il movimento delle donne, ma tutti i movimenti provenienti dalla società civile che appoggiano una politica di pace. Tutti i processi di negoziazione avviati dallo stato si sono sempre rivolti esclusivamente agli attori armati, guerriglieri o paramilitari. Al contrario, lo 246 stato continua a negare l’apertura di qualsiasi spazio di concertazione verso la società civile. Nel 2003 il governo colombiano stimolò l’apertura di una “Tavola di donanti” che si tenne nella città di Londra. In quest’occasione il governo presentò una serie di proposte di cooperazione internazionale, sulla base delle quali i diversi paesi donatori offrirono il loro appoggio economico. La società civile colombiana si mobilitò affinché l’utilizzo degli aiuti messi a disposizione dall’Unione Europea fosse condizionato al rispetto dei diritti umani e al riconoscimento da parte dello stato colombiano delle proprie responsabilità, in riferimento alle valutazioni negative riguardo a questa tematica provenienti dalla sede di Bogotà dell’Alto Commissionato delle Nazioni Unite. Nel 2005 si è tenuta un secondo incontro nella città colombiana di Cartagena, in cui il governo di Uribe ha cercato di rendere effettivi gli aiuti promessi l’anno precedente dalle potenze occidentali. Di fronte ai rappresentanti dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e del Canada Uribe ha negato l’esistenza del conflitto armato e la crisi umanitaria, riferendosi alla situazione colombiana solo in termini di violenza come prodotto del terrorismo e di “situazioni umanitarie critiche”. Inoltre, ha tentato di svincolare la concessione degli aiuti dal tema del rispetto dei diritti umani. In risposta a questo atteggiamento la società civile colombiana ha continuato nella sua mobilitazione avviando una campagna internazionale sostenuta ampiamente dalla comunità internazionale delle organizzazioni non governative, che a loro volta hanno fatto pressione sui propri governi. Il risultato di tale mobilitazione congiunta ha fatto sì che nel documento finale sottoscritto dall’Unione Europea, dalla Gran Bretagna e dal Canada si riconoscesse l’esistenza del conflitto armato colombiano e l’insufficienza dell’intervento dello Stato colombiano per risolvere la situazione di crisi umanitaria e adempire alle raccomandazioni dell’Alto Commissionato delle Nazioni Unite. Agli occhi della popolazione civile colombiana questo è stato un atto importante: così facendo, i paesi occidentali firmatari della dichiarazione finale non hanno concesso carta bianca allo Stato colombiano, riconoscendo in esso uno dei responsabili delle violazioni dei diritti umani, a causa dell’insufficienza d’intervento dimostrata in situazioni drammatiche come quella vissuta dai 2 milioni di sfollati e dalle comunità “confinate.” 19. Analisi della politica portata avanti dallo stato colombiano riguardo al processo di pace durante il passato governo Pastrana e l’attuale governo Uribe. Individuare quali sono le maggiori carenze e difetti. 247 Pastrana ebbe il merito di avviare un processo di negoziazione con le FARC, dopo quasi un decennio in cui lo stato si era rifiutato di riconoscere nella guerriglia un soggetto politico. Le trattative fallirono prima ancora che si arrivasse alla discussione dei punti focali dell’agenda, ossia le riforme sociali, politiche ed economiche. Il processo di negoziazione si arenò sulla discussione attorno alle condizioni preliminari, ossia le condizioni riguardanti la zona sgombrata dalle forze dello stato e lasciata al controllo delle FARC e l’impegno dello stato nel risolvere la questione del paramilitarismo, per garantire la vita e il rispetto dei diritti umani dei guerriglieri disposti ad abbandonare le armi e delle comunità loro sostenitrici. Dal canto suo, Uribe non ha promosso l’avvio di alcun tipo di negoziazione con nessuno degli attori armati. Da un lato, non considera affatto la guerriglia come un soggetto politico con il quale poter aprire un dialogo. Dall’altro, come già accennato, sta procedendo nella smobilitazione delle forze paramilitari limitandosi alla sola consegna delle armi. Quello di cui ha bisogno il paese è una politica di negoziazione basata su una metodologia capace di confrontarsi con tutti gli attori armati. Allo stesso tempo, nella definizione di questa politica lo stato colombiano deve tenere conto delle rivendicazioni provenienti dalla società civile. 20. Qual è l’atteggiamento degli Stati Uniti in relazione alla situazione colombiana dell’attuale presidenza Bush? L’atteggiamento del governo degli Stati Uniti si fonda sulla convinzione che la guerriglia rappresenta una grave minaccia per la stabilità colombiana. In riferimento al tema del paramilitarismo, il governo Bush ha espresso alcune riserve sulla condotta del governo colombiano, affermando che lo stato non sta fornendo sufficienti garanzie perché il processo avviato non si limiti ad essere solo una smobilitazione. Poiché gli interessi economici e politici degli Stati Uniti in Colombia sono molto forti, è probabile che il governo di Uribe si mostri accondiscendente verso le sue raccomandazioni, permettendo così il rafforzamento di un sistema politico più favorevole agli Stati Uniti. La posizione assunta da Uribe riguardo alla scelta di riferirsi al conflitto in termini di terrorismo e non di conflitto armato, è evidentemente in linea con la politica assunta dagli Stati Uniti in seguito agli avvenimenti dell’11 settembre 2001. Molte sono le implicazioni derivanti dal cambiare la prospettiva di un conflitto armato interno; la più grave consiste nel non riconoscere allo 248 stato il ruolo attivo avuto nel conflitto e nel mostrarlo all’opinione pubblica nazionale e mondiale unicamente nelle vesti di una vittima, il cui dovere militare è la strenua difesa della democrazia. Al contrario, l’esistenza stessa di un conflitto interno indica che esistono profonde disfunzioni e disagi legati a condizioni socio-politiche da riformare. Parlare di terrorismo nega le ragioni del conflitto armato, nega la sua storia e le ragioni politiche ed economiche che hanno causato la nascita dei gruppi armati. Questa strategia potrebbe essere risultato della volontà del governo statunitense che si adopera per raggiungere una maggiore stabilità colombiana, a patto che essa sia consona ai propri interessi. 21. Qual è l’atteggiamento dell’Unione Europea in relazione alla situazione colombiana? In base a quanto si è potuto vedere negli incontri di Londra e Cartagena l’atteggiamento dell’Unione Europea è ambiguo. Nonostante le dichiarazioni, l’Unione non si è espressa in modo esplicito contro la prosecuzione della guerra colombiana e fino ad ora non ha garantito l’effettivo blocco degli aiuti provenienti dai suoi paesi membri. La posizione assunta a Cartagena è stata importante anche perché in quell’occasione Uribe cercava l’appoggio politico e finanziario al piano di smobilitazione avviato con le forze paramilitari. La popolazione civile si è mobilitata affinché venisse riconosciuto necessario non solo l’adempimento delle raccomandazioni dell’Alto Commissionato delle Nazioni Unite riguardo al rispetto dei diritti umani, ma anche riguardo la necessità della definizione di una chiaro quadro giuridico di riferimento, sulla base del quale procedere nello smantellamento dell’intero apparato paramilitare e nell’instaurazione di un tribunale di Verità, Giustizia e Riparazione. Pertanto, è necessario che l’Unione Europea prosegua nella direzione intrapresa a Cartagena, prendendo i provvedimenti necessari per assicurare che i suoi stati membri vincolino effettivamente la concessione degli aiuti all’adempimento di tali condizioni. 249 BIBLIOGRAFIA. Sui problemi relativi allo sviluppo in America Latina: G. ALBERTI, Democracy by default, Movimientismo and Social Anomie. Università di Bologna e CESDE, 1991. G. ALBERTI, Transizione democratica in Perù: Problemi e possibilità, 1985. F. H. CARDOSO, E. FALETTO, Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971. M. CARMAGNANI, G. CASETTA, America Latina: la grande trasformazione.19451985. Einaudi, 1989. E. GALEANO, Le vene aperte dell’America Latina. X edizione, Sperling & Kupfler Editori, Milano, 1997. S.P. HUNTIGTON, Ordine politico e mutamento sociale. Angeli, Milano, 1979. G. O’DONNELL, Delegative Democracy. CEBRAP, University of Notre Dame, Kellogg Institute. G. O’DONNELL & P. 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