MAHAN, LA SUA VITA E IL SUO PENSIERO A. S. (a) Ferdinando SANFELICE di MONTEFORTE Diceva Bernard BRODIE, nel 1943, “mai prima erano state dimostrate con altrettanta forza le potenzialità offensive del dominio del mare. Ma, curiosamente, in quel momento particolare divenne molto di moda denigrare l’apostolo del potere marittimo moderno, l’ammiraglio MAHAN, (definendolo) un falso profeta, e asserire che egli appartenesse ai maestri del Medioevo. Sfortunatamente per la memoria di MAHAN, egli è più spesso criticato di quanto non sia letto”1. In effetti, anche se l’autore si riferiva a un momento della Seconda Guerra mondiale, caratterizzato dalla massiccia offensiva aeronavale e anfibia giapponese, che due anni prima aveva portato in pochi mesi alla conquista dell’Indonesia, della Malesia e della Birmania, la sua osservazione ha una sua applicabilità di carattere generale. Ben pochi sono infatti andati oltre quello che viene definito – non del tutto a ragione – il suo capolavoro di propaganda marinara, “L’Influenza del Potere Marittimo sulla Storia 1660-‐1783” e, non avendo letto i suoi altri 19 libri, ignorano che, in realtà, esistono tre tipi di scritti di questo prolifico autore: quelli storici veri e propri, quelli giornalistici – incluse le raccolte dei suoi articoli per i giornali dell’epoca – e infine un solo, ma fondamentale libro di strategia, che ben pochi hanno letto, malgrado sia stato tradotto in Italiano nel 1997. 1 B. BRODIE. A Layman’s Guide to Naval Strategy. Oxford University Press, 1943, pag. 1. 1 Attenzione! Anche le prime due categorie di libri contengono ampie considerazioni di carattere strategico, ma queste sono spesso inserite “en passant” nel discorso storico o nella sua perorazione a favore della Marina, per cui gli studiosi più attenti hanno dovuto recuperarle una ad una2, facendo attenzione al fatto che, in alcuni testi di tipo “giornalistico”, esse risentono del fine “predicatorio” e “propagandistico” del libro, e quindi hanno la tendenza a debordare nell’eccesso di semplificazione. Purtroppo, son proprio queste ultime a essere le più citate! Ma iniziamo da qualche cenno biografico, per inquadrare il personaggio. Il padre era un virginiano di origini irlandesi, Dennis Hart MAHAN, uno stimato professore che insegnava sia “Scienza delle Fortificazioni”, sia quella che allora si chiamava “Arte della Guerra”, all’Accademia di West Point ed era un profondo conoscitore delle opere di JOMINI; il nostro personaggio nacque in quel comprensorio militare – dove il padre aveva un confortevole alloggio riservato all’incarico – il 27 settembre 1840 e fu battezzato Alfred Thayer (il secondo nome era stato scelto in onore del Soprintendente – e fondatore -‐ dell’Accademia, colonnello Sylvanus THAYER). A differenza del padre, capace di passare intere notti a preparare lezioni, il giovane Alfred studiava quanto bastava per essere tra i primi, avendo sempre cura di ritagliarsi uno spazio nella sua giornata per leggere romanzi di avventure, prevalentemente di mare. All’epoca erano di moda “COOPER, MARRYATT, Charles 2 Cfr. JON TETSURO SUMIDA. Inventing Grand Strategy and Teaching Command. John Hopkins Univ. Press, 1997. 2 LEVER e Sir Walter SCOTT. Anche quando faceva uno dei suoi sporadici sforzi per migliorare la sua già buona posizione in graduatoria, egli si permetteva almeno un romanzo alla settimana”3. Questa abitudine gli derivava da un sistema che il padre aveva usato fin dall’inizio, per invogliare i figli a leggere: alla sera, egli infatti poneva sulla tavola del salotto una grossa lampada e, tutt’intorno, dei libri che pensava potessero interessarli. Ogni tanto nel mucchio finiva qualche libro per grandi, ma lui non si preoccupava se vedeva qualche figlio sfogliarlo, dato che comunque “se (questo libro) piaceva loro, allargava la loro mente”4. Anche se avrebbe preferito vederlo entrare nell’Esercito, il padre appoggiò il giovane Alfred, procurandogli la prevista “raccomandazione” di un Parlamentare quando questi decise di entrare in Marina. Fu così che il nostro entrò ad Annapolis il 30 settembre 1856, direttamente al secondo anno di corso, cosa allora possibile quando il candidato aveva una cultura al di sopra di uno standard prefissato: certamente, con l’educazione impartitagli dal padre, Alfred non aveva problemi a inserirsi in una fase avanzata dell’iter educativo, e infatti risultò sempre tra i primi. Trascorsi i tre anni di corso, MAHAN fu nominato Guardiamarina e iniziò il suo periodo di destinazioni a bordo delle navi della US Navy, allora molto più piccola di quanto non sia ora. Durante questo periodo, egli – come del resto tutti i suoi contemporanei – fu toccato anzitutto dal dramma della Secessione del Sud, che 3 4 W. D. PULESTON. Mahan, the Life and Work. ED. Jonathan Cape, London, 1939, pag. 38. Ibid. pag. 30. 3 coinvolse profondamente ogni militare di carriera; mentre molti sui cari amici optarono per la Confederazione, lui decise di restare un Unionista, pur essendo la sua famiglia fiera delle origini virginiane. Questa prima esperienza gli rimase talmente impressa, che nelle sue memorie elaborò questi momenti di grande emotività, arrivando alla conclusione che: “la Musa della Storia negli ultimi anni è diventata così analitica da essere predisposta a ignorare l’influenza dominante delle semplici passioni elementari della natura umana. (In realtà) si è oltremodo saggi se si pensa che gli interessi possano frenare o gli statisti controllare; saggio fino alla follia è chi ignora che le emozioni disinteressate, anche irragionevoli, possano essere proprio quel fattore che la diplomazia non può padroneggiare”5. La scoperta dell’importanza dei fattori immateriali della Strategia, quindi, fu una delle prime lezioni apprese, che MAHAN applicherà poi nel descrivere le conseguenze della Rivoluzione Francese. Nel suo libro sull’Influenza del Potere Marittimo sulla Rivoluzione Francese e l’Impero, egli infatti notò che: “Quando il movimento di una nazione dipende da – no, è la semplice evidenza di – una profonda emozione che permea ogni individuo della massa, il potente impulso, (che possiede) una sua propria diffusione, non ha quei centri di potere vitali la cui distruzione paralizzi l’insieme”6. Da queste descrizioni si capisce quanto sia diverso, 5 A. T. MAHAN. From Sail to Steam. Ed. Harper & Broth., 1907, pag. 86. A. T. MAHAN. The Influence of Seapower upon the French Revolution and Empire. Sampson Low, Marston & Co. 1894. Vol II, pag. 407. 6 4 rispetto allo studio sui libri, parlare di fenomeni o eventi in cui si sono persi dei cari amici, in una guerra civile senza quartiere, come accadde a MAHAN. La sua seconda esperienza importante fu il blocco delle coste confederate, condotto dalle navi unioniste, su una delle quali lui era imbarcato. Fu un periodo di lunghi pattugliamenti con qualsiasi tempo, senza che la nave dove egli era imbarcato fosse coinvolta in episodi clamorosi o eroici; ma al giovane ufficiale non sfuggì l’efficacia di questo sforzo collettivo, specie quando – dopo la guerra – i suoi amici del Sud gli narrarono la terribile penuria in cui la Confederazione si era venuta a trovare, a causa del blocco. Da lì trasse origine la famosa frase, a proposito del Blocco Commerciale praticato dalla flotta britannica contro NAPOLEONE, in cui egli disse: “furono mesi piatti, stancanti, senza eventi, quei mesi (passati) sorvegliando e aspettando davanti agli arsenali francesi. Essi sono sembrati a molti senza scopo, ma salvarono l’Inghilterra. Il mondo (infatti) non ha mai visto una dimostrazione più possente del(l’influenza del) potere marittimo sulla sua storia: quelle lontane navi sbattute dalla tempesta, che la Grande Armata non vide mai, si interponevano tra questa e il dominio del mondo”7. In definitiva, le sue descrizioni delle guerre di commercio, prima tra Spagna e Inghilterra, poi tra quest’ultima e l’Olanda, ed infine quelle contro la Francia rivoluzionaria, che nei suoi libri occupano molte pagine, quasi le stesse rispetto a 7 Ibid. Vol. II, pag. 118 5 quelle dedicate alle battaglie navali, erano corroborate e ravvivate dalla sua esperienza di quegli anni. Non a caso, la concezione centrale nel suo pensiero, intorno alla quale tutto il resto ruotava, fu quella secondo cui: “eccetto per la sua funzione di grande arteria che unisce i paesi tra loro, il mare non è che un possedimento infruttifero. Il mare, o l’acqua, è solo un grande mezzo di circolazione creato dalla natura, proprio come il denaro è stato creato dall’uomo per lo scambio dei prodotti. Cambiate il flusso di uno qualsiasi di questi fattori come direzione o intensità e modificherete le relazioni politiche e industriali del genere umano”8. Il nostro giovane ufficiale aveva infatti dovuto scoprire, proprio durante il suo tirocinio navale, in quel periodo, che il Potere Marittimo non è costituito solo dalla sua componente commerciale: mentre infatti lui, insieme ai suoi colleghi, era impegnato nel blocco delle coste confederate, vide passare una grande flotta francese, le cui navi erano cariche di soldati; questa forza era diretta verso il Messico, che fu occupato, in barba alle pretese USA circa il fatto che l’America fosse lasciata agli Americani. Fu questo uno smacco terribile per gli Stati Uniti, che al momento passò inosservato, pur rimanendo impresso nelle menti di chi, come MAHAN, ne erano stati testimoni. Non a caso, “nei suoi anni successivi, MAHAN ricordò ripetutamente 8 A. T. MAHAN. Strategia Navale. Ed. Forum Relazioni Internazionali, 1997. Vol. I, pag. 201. 6 ai suoi connazionali che la protezione resa possibile dalla dottrina MONROE non era più forte della flotta americana”9 e in particolare della sua consistenza! In effetti, già da qualche decennio, ogni volta in cui gli USA entravano in un conflitto di interessi vuoi con la Francia, vuoi con la Gran Bretagna, alla semplice vista di una flotta i leader di Washington perdevano tutta la loro baldanza e accettavano ogni soluzione, anche i compromessi meno favorevoli, come nel caso della disputa con la Gran Bretagna sui cosiddetti “territori dell’Oregon”. Ma l’esempio più classico lo si era avuto qualche anno prima, nel 1835, quando, per regolare un contenzioso che durava fin dai tempi della “quasi – guerra” del 1798, fu fatta “circolare la voce che il suo governo stesse per mandare una flotta formidabile al di là dell’Atlantico per una crociera di osservazione, destinata manifestamente a intimidire il governo USA, oltre a essere in posizione per colpire in caso di guerra”10. Inutile dire che il governo USA, a causa della sua debolezza sul mare, dovette scendere a patti, pur di sventare quella minaccia! Senza quindi una “flotta rispettabile”11, per usare le parole di JOMINI, un’altra delle letture preferite di MAHAN, gli USA non avrebbero potuto controbilanciare le pressioni delle potenze marittime europee, che già tanti danni avevano procurato al commercio USA, durante le guerre contro NAPOLEONE: al problema che incontra una notevole flotta di commercio marittimo, priva però di una forza in grado di 9 W. D. PULESTON. Op. Cit. pag. 52 H. & M. SPROUT. The Rise of American Naval Power. Princeton University Press, 1939, pag. 106. 11 A. H. JOMINI. Précis de l’Art de la Guerre. Ed. IVREA, 1994, pag. 348. 10 7 proteggerla, il nostro dedicò uno dei suoi ultimi libri, la storia della guerra del 1812, nel quale egli spiega appunto quali effetti vi derivarono per gli Stati Uniti. Come vedremo tra poco, parlando del Canale di Panama, MAHAN vedeva le flotte come uno strumento di dissuasione: un equilibrio di potenza era, secondo lui, il modo migliore per scoraggiare ogni avventurismo, e per questo gli Stati Uniti dovevano possedere forze credibili, in grado di frenare la prepotenza altrui. La sua frase più descrittiva di questa sua concezione era: “un’oncia di prevenzione vale quanto una libbra di cura. Ci sta bene invocare il potere morale per curare le malvagità del mondo, ma pochi sono preparati a fare affidamento solo su di esso. Abbiamo bisogno anche di aiuto materiale: non inganniamo noi stessi immaginando che i forti impulsi materiali che muovono quelle masse di esseri umani che noi consideriamo essere le nazioni, o razze, possono essere fermati o incanalati, a meno che il potente supporto della forza organizzata non sia fornito a favore degli argomenti di una contesa ragionevole”12. Dalle sue letture di quegli anni, MAHAN sviluppò anche un’ammirazione incondizionata per NELSON, quasi allo stesso livello della venerazione che il padre nutriva per NAPOLEONE come generale. A parte il suo capolavoro, una biografia dell’ammiraglio britannico ancora insuperata, MAHAN amava spesso citare alcune frasi tratte dalle sue lettere, e in particolare quella in cui questi affermava che: “ciò 12 A. T. MAHAN. Some Neglected Aspects of War. Ed. Sampson Low, Marston & Co. 1907. Pagine 92-‐93. 8 di cui ha bisogno la Patria è l’annientamento del nemico; solo i numeri possono annientare”13. Tornando alla vita di MAHAN, il suo lungo periodo di imbarco, durante e dopo la Guerra di Secessione, gli consentì di conoscere nel 1863 un ufficiale più anziano di lui, il comandante del Macedonian, Stephen B. LUCE, sulla cui nave MAHAN fu imbarcato come ufficiale in seconda; il comandante apprezzò talmente le doti del suo più diretto collaboratore che anni dopo, come vedremo, lo avrebbe chiamato al neo costituito Naval War College, quale insegnante. Nel 1872 MAHAN fu promosso capitano di fregata ed ebbe il suo primo comando, la corvetta Wasp, stazionaria sulla costa atlantica del Sud America, dove operò per due anni. Da questa esperienza, nonché da quella del suo comando successivo, una nave stazionaria lungo la costa occidentale del Sud America, MAHAN ricavò la convinzione che la forza e la diplomazia dovessero agire in sintonia: “ogni progetto che non tenga conto delle relazioni internazionali di una grande nazione né dei limiti materiali fissati dalle sue risorse, riposa su una base debole e instabile”14. Ovviamente, egli si riferiva alle situazioni oggi note come parte della “parte bassa dello spettro delle crisi”, che occupano una parte non trascurabile delle sue opere e che impongono la collaborazione tra militari e diplomatici, ancor più che in caso di guerra dichiarata. 13 A. T. MAHAN. Strategia Navale, Vol. II pag. 66. A. T. MAHAN. Strategia Navale. Vol. I pag. 165. 14 9 Tornato negli USA, gli fu assegnato l’incarico di rimettere a posto l’Arsenale di Boston, piagato da una corruzione endemica, legata alla politica locale; nel suo sforzo egli si fece molti nemici, tanto che fu messo in congedo a mezza paga per un anno; fortunatamente, al termine di questo purgatorio, trascorso però in Francia, dove la vita era meno cara, MAHAN riprese servizio all’Accademia Navale di Annapolis, come Capo del Reparto artiglierie. Dato che il Sovrintendente si deliziava nel dirigere personalmente le esercitazioni degli allievi, egli aveva molto tempo libero e profittò della biblioteca – molto ben fornita di testi e di riviste in Inglese e in Francese – per mantenersi aggiornato su quanto avveniva all’estero e sugli sviluppi delle marine europee. A questo periodo risale anche il suo primo libro, The Gulf and Inland Waters, inserito in una collana di storia della Guerra di Secessione, per il quale egli era stato coinvolto dall’ammiraglio LUCE. Questi infatti lo aveva segnalato all’editore, dato che MAHAN aveva una conoscenza diretta della zona, in cui aveva servito come ufficiale su varie navi. Il nostro ne approfittò per descrivere in modo approfondito ed equilibrato quella campagna, in cui il fattore di successo fu la cooperazione tra le forze di terra del generale GRANT e quelle della Marina per tagliare in due la Confederazione, conquistando tutte le posizioni chiave lungo il fiume Mississipi, un evento che decretò la fine della Secessione. 10 Non è un caso che il contenuto del libro riflettesse la profonda convinzione dell’autore sull’importanza di una stretta e amichevole collaborazione tra Esercito e Marina. Più tardi, egli scriverà: “il frequente fallimento di operazioni congiunte militari e navali è stato causato -‐ più che da basse rivalità -‐ dalla mancanza di comprensione reciproca”15. Più che essere un “navalista”, come viene detto fin troppo spesso, MAHAN è quindi stato sempre un convinto assertore della cooperazione interforze. Il libro, per il quale egli consultò l’abbondante documentazione delle due parti in conflitto, oltre a intervistare i protagonisti nei due campi, fu la prima dimostrazione di questo suo convincimento; una volta pubblicato, il testo fu apprezzato da tutti, e decretò la fama di MAHAN come storico obiettivo, tanto che uno dei suoi lettori gli scrisse che il suo libro era: “onesto fino al limite del tollerabile per il sentimento nordista”16, un commento tanto più gradito quanto notevole era stato lo sforzo dell’autore di essere obiettivo. Nel 1883, dopo un breve periodo all’Arsenale di New York, MAHAN fu destinato a comandare un’altra corvetta, il Wachusett, stazionaria sulla costa occidentale del Sud America, con base a Callao, in Perù. In quell’area, la nave poté compire una attività indipendente, dato che il suo compito era quello di toccare tutti i porti dove vi fossero interessi americani da salvaguardare. 15 A. T. MAHAN. Strategia Navale. Vol. I pag. 72. Ibid. pag. 79. 16 11 Nel luglio 1884, però, la crisi del Perù, sconfitto dal Cile dieci anni prima e ancora sotto occupazione, si aggravò con il ritiro delle truppe cilene: il governo crollò e il partito di opposizione marciò sulla capitale, prendendo il potere. Per proteggere i residenti americani, la nave dovette restare a lungo in porto a Callao, pronta a sbarcare i suoi Marines. Nel settembre 1884, quindi, MAHAN fu ben contento di ricevere una lettera dall’ammiraglio LUCE, che gli proponeva di raggiungerlo nel neo costituito Collegio di Guerra Navale, a Newport, come insegnante di storia e tattica navale (allora, negli USA non si parlava ancora di “Strategia” ma di “Grande Tattica”, secondo l’uso napoleonico) e gli raccomandava di impostare il suo corso in modo da “usare il metodo comparativo, evitare il punto di vista puramente navale e considerare le interrelazioni fra tattiche e strategie militari e navali, la diplomazia e la potenza della nazione”17. Come si vede, MAHAN ebbe fin dall’inizio la direttiva di uscire dal ristretto ambito del navalismo, e approfondire le interrelazioni con Esercito e Diplomazia. Ma il suo periodo di comando non era ancora finito, e si protrasse fino al settembre 1885, con la nave impegnata a proteggere i connazionali, dovendo dividersi tra Panama, dove era scoppiata un’insurrezione, e altre zone del Centro America, anch’esse in preda a disordini; alla fine, MAHAN portò la nave a San Francisco, per il suo passaggio in riserva, e ricevette i complimenti per il suo ottimo 17 HATTENDORF, SIMPSON e WADLEIGH. Sailors end Scholars. Ed. Naval War College Press, 1984, pag. 23. 12 stato di efficienza. Il 23 settembre, all’atto dello sbarco, egli ricevette la promozione a capitano di vascello. A questo punto iniziò la parte più “statica” della vita di MAHAN, che riteneva di essere ormai “troppo vecchio” per navigare, pur avendo solo 45 anni, anche se poi egli sarà “costretto” a compiere ancora quasi due anni in mare, come vedremo. Dopo quasi un anno di preparazione, durante il quale scrisse i testi delle sue lezioni stando alla biblioteca comunale di New York, nel 1886 il nostro iniziò a insegnare a Newport. La vita della nuova istituzione si svolgeva però in mezzo a mille difficoltà, dato che vi erano forti opposizioni al fatto che il Naval War College fosse stato stabilito lontano dall’Accademia Navale. Il Soprintendente dell’Istituto, ammiraglio RAMSAY, riteneva infatti che tutta l’istruzione dovesse essere concentrata nello stesso luogo e lottò a lungo, anche se invano, per ottenere questo risultato. Bisogna ricordare che in Italia fu seguito proprio l’approccio raccomandato da RAMSAY, finché non divenne chiaro che in tal modo si creava una coabitazione difficile. Quindi, iniziò una specie di guerriglia tra coloro – capeggiati da RAMSAY – che si opponevano al Naval War College, ed i fautori di questa scelta, con conseguenti colpi bassi e tensioni che degenerarono in inimicizia personale. La contesa fu aggravata dalla pubblicazione delle lezioni di MAHAN, cui l’autore aveva aggiunto appassionate perorazioni in favore della Marina, nel già citato libro – L’Influenza del Potere Marittimo sulla Storia, 1660-‐1783 – che, malgrado le difficoltà iniziali di 13 pubblicazione, ebbe un notevole successo tra il pubblico specializzato, specie in Gran Bretagna. La ragione principale di questo successo era dovuta al fatto che il libro forniva una giustificazione al massiccio programma di ammodernamento della Marina Britannica, iniziato l’anno precedente, in esito alla deludente prestazione fornita dalle navi inglesi di fronte ad Alessandria, nel 1882. La causa di questo mezzo fiasco era stato il conservatorismo nelle costruzioni navali inglesi che aveva fatto decadere la capacità della Marina di influire sugli eventi; a questo si era aggiunta la recente comparsa di due nuove corazzate italiane, il Caio Duilio e il Dandolo, subito ribattezzate dalla stampa di Londra “monster ships” date le loro dimensioni e la loro potenza di fuoco. Ancora più successo ebbe il secondo libro di MAHAN, L’Influenza del Potere Marittimo sulla Rivoluzione francese e l’Impero, che fu venduto anche di più rispetto al precedente. Questo libro consacrò MAHAN come il paladino della rinascita navale USA, e l’esaltazione che lui aveva fatto della potenza navale inglese lo rese estremamente popolare anche al di là dell’Atlantico. Persino in Germania, dove si era sviluppato un forte movimento di opinione a favore della creazione di una potente Marina, come argine a quella britannica, il libro trovò appassionati lettori, incluso il Kaiser GUGLIELMO II. Inutile dire che, anche allora, le sue opere, che propugnavano un “marittimizzazione” dell’economia e della forza nazionale, furono recepite solo nella loro parte puramente militare. 14 Questo successo rese i detrattori di MAHAN ancora più rabbiosi, tanto che RAMSAY arrivò a dire che “non è compito degli ufficiali di Marina scrivere libri”18, e dalla sua nuova posizione a Washington cercò prima di abolire nuovamente il Naval War College, e poi contrastò con forza chi – come il futuro presidente Theodore ROOSEVELT -‐ gli chiedeva di lasciare MAHAN a terra, a scrivere libri, dato il loro effetto positivo sull’opinione pubblica americana, ancora concentrata sulla conquista del West. Quindi MAHAN fu inviato in comando dell’incrociatore Chicago – la più grande nave della Marina, ma oggetto di sarcasmo all’estero, dato che aveva ancora le alberature, per risparmiare carbone, a differenza delle navi similari europee. Egli vi rimase dal maggio 1893 al marzo 1895, un periodo in gran parte reso penoso dalla gelosia dell’ammiraglio ERBEN, che alzava la sua insegna sulla nave e mal sopportava che il suo comandante di bandiera ricevesse più attenzione di lui, nei vari porti, in giro per l’Europa, toccati dall’incrociatore. Bisogna ricordare che, mentre in Europa, dove l’espansione coloniale era in pieno svolgimento, si pensava in termini di imperialismo, negli USA solo una parte dei Repubblicani cercava di aprire la nazione a un maggiore protagonismo mondiale, anche se si trattava di un’ambizione ben più limitata rispetto a quella che animava le Cancellerie del Vecchio Continente. 18 W. D. PULESTON. Pag. 121. 15 In effetti, ormai il controllo del territorio americano, dall’Atlantico al Pacifico, era completo, e si sentiva il bisogno che il paese diventasse un protagonista più attivo delle relazioni internazionali, in modo da salvaguardare i suoi interessi permanenti, mentre fino ad allora ne era stato a volte spettatore, più spesso vittima. Questo momento viene considerato dagli studiosi come quello della cosiddetta “conversione” di MAHAN all’imperialismo. Fino ad allora, egli aveva infatti avversato qualsiasi possedimento USA oltremare, puntando su una Marina “corsara”, basata su veloci incrociatori per distruggere il commercio di un eventuale avversario. Già allora, però, MAHAN aveva posto un “caveat”, asserendo che la realizzazione di un canale nell’Istmo di Panama avrebbe cambiato la situazione radicalmente. Questo problema era dibattuto già dal 1880: all’epoca, infatti, per raggiungere la California dalla costa orientale, era necessario doppiare Capo Horn, il che richiedeva un viaggio di vari mesi. Illuminante a tal proposito è una sua lettera, in cui dice: “il canale nell’Istmo potrebbe portare i nostri interessi e quelli di altre nazioni in collisione – e in tale caso, noi dobbiamo iniziare senza ritardo a costruire una Marina che sia almeno pari a quella dell’Inghilterra quando il Canale sarà una realtà. Se non si farà (così) noi dobbiamo smettere immediatamente di parlare della Dottrina MONROE ”19 dato che, una volta bloccato il Canale, le truppe che lo presidiavano sarebbero state costrette alla resa. 19 W. D. PULESTON. Pag. 75. 16 Quindi MAHAN vedeva la Marina americana da un lato come una forza corsara capace di distruggere il commercio nemico – e in questo si avvicinava alle concezioni della Jeune École – ma dall’altro come un sistema per controbilanciare le potenze marittime europee, impedendo loro di intromettersi nelle questioni del continente americano: la lunga contesa di quegli anni con Londra, a proposito delle frontiere del Venezuela con la Guyana Britannica dava una concretezza alle sue idee in proposito, un fatto che a noi sfugge, dato che non teniamo presente il contesto nel quale quelle parole furono scritte. Quindi il Canale comportava la necessità di disporre di una flotta tale da frenare gli appetiti delle potenze marittime europee su questa infrastruttura: non bisogna infatti dimenticare che il costruttore di questo canale era francese, l’ingegnere DE LESSEPS, e MAHAN aveva visto in gioventù la flotta francese fare a pezzi la Dottrina MONROE, invadendo il Messico nel 1862. Questo spiega anche perché i banchieri USA lasciarono fallire DE LESSEPS, negandogli i finanziamenti, dando così il tempo al Presidente ROOSEVELT di proseguire, anni dopo, l’impresa. C’era poi un altro motivo che accentuò questo cambiamento d’enfasi rispetto al passato. Con l’accrescersi degli interessi commerciali USA nei traffici con Cina e Giappone, l’unico modo di proteggere questi traffici, in concorrenza con gli Europei, era quello di poter dislocare e mantenere un gruppo di navi da guerra in Asia. Per questo, a causa delle lunghe distanze, serviva una catena di basi intermedie, tra la costa della California e quelle asiatiche. L’avvento della 17 propulsione a carbone, infatti, rendeva necessari questi punti di appoggio, dato che una grossa componente navale USA non poteva illudersi di continuare a contare sulle basi asiatiche britanniche e francesi, come aveva fatto fino ad allora. Questo divenne un’esigenza soprattutto quando gli USA iniziarono a sostenere una politica non condivisa da queste nazioni: appunto la politica non proprio imperialista della “Porta Aperta” era l’esatto contrario di quanto Francia e Gran Bretagna volessero praticare in Cina, ritenuta da loro un “pollo da spennare” fino in fondo in regime di monopolio. In effetti, MAHAN riconosceva che “il vapore aveva aumentato la sicurezza e la rapidità di movimento delle flotte, ma senza tenere conto che esso ha anche imposto loro alcuni vincoli, data la necessità di rifornirsi di combustibile, così le imprese navali non possono più avere l’audacia e il lungo raggio d’azione che avevano un tempo, ma devono sottostare alle regole e condizioni cui gli eserciti hanno sempre dovuto sottostare”20. Le linee di comunicazione, per intenderci quelle che uniscono la base di partenza alla zona di operazioni, direttamente o mediante basi intermedie, erano quindi il principale vincolo cui accennava l’autore, il quale riconosceva quindi che ormai, come a terra, “le comunicazioni, nella pienezza del loro significato, dominano la guerra”21. Non a caso il dominio dei mari, da parte della Gran Bretagna, era assicurato da una catena di basi ben piazzate lungo le rotte oceaniche principali, e 20 A. T. MAHAN. Strategia Navale. Vol. II pag. 175. Ibid. Vol. II pag. 56 21 18 gli Stati Uniti, se volevano proteggere da un lato i loro commerci asiatici e dall’altro garantirsi l’accesso indisturbato al Canale di Panama, controllando gli ingressi al mar dei Caraibi, dovevano disporne anche loro. Questo portò gli Stati Uniti all’occupazione, negli anni successivi, di una serie di isole, come Portorico e le Isole Vergini nelle Antille, le Hawaii, Midway, le Samoa e Guam nel Pacifico. Le Filippine furono l’unica eccezione “imperialista”, che intervenne quasi surrettiziamente: infatti, all’inizio il governo USA, durante le trattative di pace con la Spagna, aveva dichiarato di volere solo la concessione di un porto, data la posizione dell’arcipelago di fronte al fiume delle Perle, sul cui estuario si trova Canton, il principale emporio commerciale della Cina. Però i Filippini si rifiutavano di sottostare di nuovo alla Spagna per cui, dopo una mezza promessa di immediata indipendenza -‐ poi smentita -‐ e una serie di accesi dibattiti interni nel Congresso USA, fu deciso che gli Stati Uniti avrebbero amministrato le isole, per “preparare” la popolazione locale all’autogoverno; quindi fu instaurato nei fatti un vero e proprio dominio coloniale, con la conseguenza che il controllo del territorio non fu affatto facile, data la ribellione dei locali, molto abili nella guerriglia22. Dopo lunghi anni di lotta e una vera e propria strage, solo la promessa di indipendenza, proclamata nel 1936 da ROOSEVELT, acquieterà la popolazione di quell’arcipelago e la porterà a combattere gli invasori giapponesi nel 1942, a fianco degli Americani. 22 Cfr. S. C. MILLER. Benevolent Assimilation. Yale University Press, 1982. 19 In definitiva, le diffuse considerazioni sull’imperialismo di MAHAN trascurano il fatto che la sua visione strategica era molto più sfaccettata: si potrebbe addirittura dire che essa era tipica di chi viva in una “media potenza regionale” con prospettive di ampliamento, dipendenti però dalla possibilità di controbilanciare regionalmente le pressioni delle maggiori potenze – molto più forti militarmente. Per giungere a una concezione strategica così sviluppata, tanto da poterla insegnare a Newport, in effetti, MAHAN aveva studiato a fondo i principali libri di strategia, sia quelli di JOMINI – da lui molto apprezzato – sia quello di CLAUSEWITZ, proseguendo poi con gli autori francesi di strategia navale. Il metodo per ricavare i principi e i fondamenti della strategia, usato da MAHAN, fu quello storico. Proprio all’inizio delle sue lezioni di strategia, egli infatti diceva: “la storia, che rappresenta una testimonianza di esperienze, se studiata in modo esauriente, enuncia tutti i fattori variabili che compongono la guerra: perché la storia, per quanto imperfetta, non ne tralascia alcuno. La storia registra i fatti, li fotografa secondo un processo razionale”23. Dalla storia, quindi, si poteva ricavare un insieme di principi, che però “possono servire poco a un novizio se questi non li ha ancora messi in rapporto con gli esempi tratti dalla storia, (che) riguardano l’esperienza altrui raccontata per il nostro uso”24; in particolare, MAHAN osservava che l’esperienza storica più utile era quella degli 23 A. T. MAHAN. Strategia Navale. Vol. I pag. 69. A. T. MAHAN. Strategia Navale. Vol. I pag. 63. 24 20 sconfitti, dato che “la sconfitta grida ad alta voce perché pretende spiegazioni; mentre il successo, come la carità, copre un gran numero di peccati”25. Curiosamente, le sue dispense di strategia rimasero a lungo inedite, e vennero lette religiosamente per anni dai suoi successori nella cattedra di Strategia durante le lezioni di quella materia, senza alcun aggiornamento, finché lui non fu richiamato in servizio per trasformarle in un libro tra il 1908 e il 1911. Ne venne fuori il Naval Strategy, già citato, nel quale l’autore dà piena prova di avere una concezione molto meno “becera” di quanto si pensi sulla strategia marittima e sulle sue relazioni con le altre branche della strategia. Abbiamo visto anzitutto il concetto di “Potere Marittimo”, straordinariamente vicino a quello formulato dal nostro Giulio ROCCO nel 1814, nel quale viene affermata l’interdipendenza tra la Marina militare e quella mercantile, dato che “nella strategia marittima l’importanza commerciale non può essere separata da quella militare, poiché il commercio ha nel mare il suo più grande interesse”26. In questa inconsapevole sintonia con il grande autore italiano, si rifletteva una situazione che si è ripetuta più volte nella Storia: troppo spesso, si presta attenzione al Potere Marittimo quando si subiscono le conseguenze della sua mancanza. Quasi un secolo dopo, la stessa formulazione sarebbe stata fatta dall’ammiraglio sovietico GORSHKOV, il quale lamentava che il mare fosse diventato un piattaforma di lancio delle armi offensive occidentali contro l’URSS. 25 Ibid. Vol. II pag. 179. Ibid. Vol. II pag. 113. 26 21 È poi rimarchevole l’affermazione che la strategia navale non sia solo un’attività da tempo di guerra, come ritenevano gli autori di strategia terrestre; invece la sua elaborazione doveva essere condotta in ogni situazione e in ogni momento, dato che lo scopo della Strategia è quello “di fondare, sostenere e accrescere sia in pace sia in guerra il potere marittimo del paese”27. Ancora, è notevole la sua attenzione ai punti, alle posizioni e alle linee – gli elementi che strutturano il pensiero strategico e consentono di trasformarlo in un piano di azione. In tale ambito si collocano le sue affermazioni, la prima sul fatto che “la scelta di una base, di un obiettivo e di una linea di operazioni (sono) i tre fattori condizionanti per ogni operazione di guerra”28, e la seconda che enfatizza la necessità di una grande attenzione alle posizioni e alle linee strategiche. Inoltre, merita sottolineare la sua convinzione sulla necessità di distinguere bene tra offensiva e difensiva strategica rispetto a quanto fatto sul piano tattico. Infatti, secondo MAHAN le azioni delle forze navali devono mantenere un carattere offensivo (oggi si direbbe “assumere l’iniziativa”), anche in una situazione di difensiva strategica, per limitare gli svantaggi derivanti dal fatto che, sul mare, “difendere significa semplicemente trarre il meglio da una cattiva situazione”29. Del libro sono infine pregevoli i suoi studi sulle spedizioni oltremare e sulle condizioni che le rendono possibili, dato che queste troveranno piena applicazione 27 Ibid. Vol. I pag. 177. Ibid. Vol. II pag. 13. 29 Ibid. Vol. II pag. 74. 28 22 solo nella Seconda Guerra mondiale. In questo, MAHAN sviluppava quanto JOMINI aveva scritto decenni prima, parlando delle cosiddette “discese”, aggiungendovi una casistica abbondante: inutile dire che persino in Gran Bretagna queste osservazioni non furono tenute presenti, quando fu intrapresa la fallimentare spedizione di Gallipoli, nel 1916! Tutto ciò dimostra quanto lui abbia mantenuto la strategia navale coerente con quella terrestre, allora l’unica a essere oggetto di libri, pur sapendo distinguere le peculiarità dovute alla diversità delle condizioni delle operazioni navali rispetto a quelle su terra. Prima di concludere, è necessario accennare ad un aspetto delle concezioni di MAHAN, che è stato oggetto di prolungate discussioni. Si tratta del discorso sulla cosiddetta “battaglia decisiva”, come unico modo per conquistare il dominio del mare. Va detto che quest’argomento era da tempo oggetto di una polemica tra gli studiosi francesi – che affermavano la predominanza dell’ “obiettivo ulteriore” rispetto al successo militare – e quelli britannici, che insistevano sulla necessità di sconfiggere le forze organizzate del nemico, come unico obiettivo importante. In effetti, mentre nel suo libro più noto MAHAN dà abbondante prova di propendere per la seconda linea di pensiero, già nel libro successivo egli fornisce la prova di una sua maggiore flessibilità: nel descrivere la battaglia del 1 giugno 1794 tra le flotte francese e britannica, egli evidenzia infatti che i Francesi, pur venendo decimati, conseguirono il loro fine. L’ammiraglio VILLARET JOYEUSE, infatti, riuscì a 23 trascinare la flotta inglese in alto mare, lontano dalle rotte commerciali, prima di dar battaglia in condizioni di inferiorità. Questo sacrificio deliberato della flotta francese permise di far arrivare a destinazione l’imponente convoglio di navi cariche di grano, necessario per evitare la carestia che i disordini interni e la siccità facevano temere per la nazione. In effetti MAHAN poi elaborò ancora questo concetto, notando che “lo scopo della guerra possa essere diverso dall’obiettivo del piano militare”30, in un’ottica che doveva essere caratterizzata dalla “necessità di armonizzare il pensiero e il fine o , per usare la frase di NAPOLEONE, di far prevalere l’esclusività del fine, così come la concentrazione delle forze”31 sull’obiettivo da perseguire. In quest’ambito, il requisito principale di una Marina è la sua capacità di “contendere il controllo del mare al suo nemico nelle condizioni del momento”32. Per questo, come si è visto nell’esempio precedente, a volte usare al meglio il potere navale può portare ad accettare una sconfitta: citando infatti la frase di NELSON, secondo il quale “quando (i Francesi) avranno battuto CALDER, per quest’anno non daranno più noia all’Inghilterra”33, MAHAN si schiera decisamente a favore dell’importanza dell’obiettivo generale del conflitto, che varia a seconda delle circostanze. 30 Ibid. Vol. II pag. 12. Ibid. Vol.II pag. 26. 32 Ibid. Vol. II pag. 12. 33 Ibid. Vol. I pag. 61. L’ammiraglio CALDER comandava una piccola squadra di vascelli che bloccava una forza ispano – francese superiore davanti a El Ferrol, pronta a uscire per unirsi alle altre navi destinate ad appoggiare lo sbarco in Inghilterra da parte della Grande Armata di NAPOLEONE, nel 1805. 31 24 Con questo, MAHAN non escludeva la necessità di ingaggiare la forza principale del nemico, specie “se non esista una decisa superiorità navale (fatto che obbliga a) prepararsi a dare battaglia in mare”34; infatti, in ogni situazione fortemente sbilanciata, il più debole avrebbe evitato lo scontro decisivo, ricorrendo alla difensiva, o addirittura alla “fleet in being”, una decisione però che, come nota l’autore, non deve degenerare nell’inerzia. A proposito della “battaglia tra eguali”, MAHAN era però pienamente consapevole che “dai risultati di questa (battaglia) probabilmente dipenderà il destino finale”35 di una guerra. In questo egli ammetteva che una battaglia decisiva fosse simile a una partita di poker, in cui tutto si giocava in un solo giro di carte, anticipando quanto poi accadde allo Jutland, nel 1916: in quell’occasione, infatti, le due flotte britannica e tedesca non spinsero a fondo il loro scontro per paura di perdere la guerra in un solo giorno. Tornando alla vita di MAHAN, questi andò in pensione a domanda nel novembre 1896 e divenne col tempo un consulente molto apprezzato dal governo sulle questioni navali, tanto che nel 1898, dopo aver informalmente rivisto i piani di guerra con la Spagna, fu richiamato in servizio quale membro del gruppo di studio strategico (War Board) che supervisionò le operazioni successive. Nel 1899, poi, MAHAN fu incluso nella delegazione USA alla prima conferenza dell’Aja; successivamente, egli ebbe occasionalmente altri incarichi ufficiali, quale 34 Ibid. Vol. II pag. 20. Ibid. 35 25 membro di commissioni incaricate di studiare problemi particolari, nonché quello di scrivere un resoconto delle attività del War Board durante la guerra con la Spagna, ma mantenne anche una corrispondenza continua con il Presidente ROOSEVELT, influenzandone le decisioni. Poi, nel 1908, egli fu richiamato in servizio per tre anni, allo scopo di revisionare e pubblicare le sue lezioni di strategia, come abbiamo visto. La sua attività principale era ormai quella di scrivere editoriali su varie riviste, periodicamente raccolti e pubblicati in volumi, che ci danno l’idea di quanto la sua visione fosse diventata geostrategica, anziché semplicemente navalista: il suo capolavoro di quest’ultimo periodo è il libro “il Problema dell’Asia” nel quale egli tracciò una valutazione delle condizioni del continente, ancor oggi importante da conoscere, tanto che questo libro è stato ripubblicato di recente. Promosso contrammiraglio nel ruolo della riserva nel giugno 1906, per effetto di un provvedimento a favore di tutti coloro che avevano combattuto nella Guerra di Secessione, egli dovette decidere se usare il suo nuovo grado come autore nei libri e negli articoli, ma ritenne più utile continuare a usare quello di capitano di vascello, ormai troppo noto per essere cambiato. Lo scoppio della Prima Guerra mondiale decretò la fine anche di quest’ultima sua attività di editorialista, quando MAHAN, per aver concesso un’intervista sugli evidenti propositi aggressivi delle Potenze Centrali e aver pubblicato un articolo sul “Potere Marittimo nell’attuale guerra europea” si trovò con il Presidente WILSON 26 che gli impose il silenzio, a mezzo di un decreto che proibiva anche agli ufficiali in pensione di commentare la guerra in corso. In effetti, avendo lui affermato che una vittoria della Germania avrebbe costituito un pericolo per il paese, ritenendo meno pericoloso avere a che fare con una potenza esclusivamente marittima, come la Gran Bretagna, piuttosto che con una che fosse anche in possesso di una cospicua potenza su terra, egli aveva preso una posizione che strideva sia con i sentimenti filo tedeschi di una parte cospicua dell’opinione pubblica, sia con la volontà fermamente neutralista del governo. Dopo pochi mesi, il 1 dicembre 1914, MAHAN fu colto dalla morte, per cui non poté assistere all’entrata in campo degli Stati Uniti a fianco dell’Intesa, le cui cause egli aveva così accuratamente previsto. Per concludere, le teorie di MAHAN furono utilizzate politicamente, sia in Gran Bretagna, sia negli Stati Uniti, e questo ha in parte frenato gli studiosi, impedendo loro di approfondirne il pensiero, come osservato da BRODIE nella frase citata all’inizio. Questo è solo un esempio di quanto sia fuorviante leggere le opere del passato al di fuori del loro contesto storico. Non bisogna infatti dimenticare che gli scritti di MAHAN erano rivolti anzitutto a un’opinione pubblica che pensava agli aspetti marittimi solo in caso di pericolo – quando cioè era troppo tardi – e poi a ufficiali di Marina che sapevano ben poco della storia e delle interconnessioni tra la loro attività e quelle dell’Esercito e della Diplomazia. Ma soprattutto, questi libri 27 cercavano di sensibilizzare ambedue sui pericoli di una situazione in cui le potenze europee interferivano regolarmente con le questioni americane. Di imperialismo, quindi, c’è ben poco in MAHAN: il rischio quindi per noi è di leggerlo in maniera distorta, perdendo quanto di originale e di attuale vi sia nella sua voluminosa opera. 28