F ruttiferi AZZERUOLO CASTAGNO MELO OLIVO PERO SORBO SUSINO La biodiversità frutticola reggiana cambiamenti che hanno interessato la società e l’agricoltura nel secolo scorso hanno trasformato il paesaggio rurale del territorio reggiano. L’esodo dalle montagne, l’abbandono della coltivazione delle aree marginali, la meccanizzazione e la specializzazione dell’agricoltura in pianura hanno cancellato sistemi colturali tradizionali e presenze vegetali antiche. Per le piante da frutto, tuttavia, se ne possono ancora identificare tracce, soprattutto in alcune aree collinari e montane. La longevità degli alberi da frutto, pur variabile tra le specie e condizionata dall’evoluzione degli ambienti in cui sono inseriti e dal grado di antropizzazione, ha consentito la sopravvivenza di antiche varietà. Esempi ci sono offerti dagli esemplari plurisecolari di peri, castagni, sorbi e anche olivi, che sono una testimonianza vivente della presenza antica di queste specie. Le relazioni di Filippo Re (1800) e del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio (1879) descrivono una frutticoltura emiliana e reggiana costituita in prevalenza da piante sparse e rari frutteti, la scarsa o assente applicazione di cure colturali e la mancata sostituzione delle piante morte. Le specie più diffuse, dopo la vite, erano pero e melo, con numerose varietà a diversa epoca di maturazione, fico, susino e castagno, ma erano utilizzate anche specie minori, come il sorbo e l’azzeruolo, citati da Filippo Re (1800) e Casali (1915). I castagneti delle montagne reggiane fornivano alimento alla popolazione e racchiudevano una ampia variabilità genetica, se Filippo Re riporta 17 varietà, oltre a descrivere le differenti condizioni degli impianti e gli effetti devastanti delle guerre su questa coltura. L’olivo era coltivato nel territorio reggiano sin dall’antichità per la produzione di olio, come testimonia un frantoio portato alla luce tra i resti di una villa romana del 1° secolo. Il pomologo Gallesio (1772-1839) ci descrive nei suoi racconti di viaggio i mercati di Reggio Emilia colmi di frutti di ogni genere, e le “campagne ubertose e ridenti”, con viti maritate e alberi da frutto negli orti e nei giardini, che egli attraversò nel 1819 (Baldini, 1995). Nell’attuale assetto del territorio, le piante da frutto caratterizzano ancora la fisionomia del paesaggio agrario e le tradizioni alimentari e gastronomiche della Provincia di Reggio Emilia. I frutteti specializzati con cultivar moderne, per lo più di origine estera, occupano superfici limitate, in un territorio storicamente a vocazione viticola. Le varietà locali sono continua Una varietà ultracentenaria di pero e il suo “custode” F ruttiferi ancora presenti nei frutteti famigliari, in rari impianti commerciali e, più di frequente, come piante sparse o isolate, spesso in precarie condizioni per senescenza e abbandono. Alcune di esse hanno continuato ad alimentare i mercati locali per soddisfare una richiesta che si è mantenuta nel tempo, grazie anche all’uso radicato in ricette tradizionali. è il caso della pera Nobile, del melo Campanino e della prugna Zucchella. Altre stanno destando un nuovo interesse nell’ambito di specifici canali commerciali (mercati contadini, chilometro zero, aziende agrituristiche e agriapistiche, etc.) e nelle operazioni di recupero di prodotti tradizionali (le pere e mele del “savurett”, dei “savor”, delle mostarde). Altre, che pure hanno uno stretto legame con l’area in cui sono state selezionate, sono maggiormente esposte a rischio di scomparsa per la rarità delle piante e per l’abbandono di usi del frutto oggi desueti (cottura con le castagne, essiccazione per la preparazione di “fleppi” e “sciapelli”), ma sono risorse genetiche di interesse storico-culturale ed anche scientifico. Bibliografia • Bagnoli G. (2008). Frutti e vegetali nell’uso alimentare occasionale e nelle merende dei fanciulli nella tradizione popolare reggiana; in: I frutti della nostra terra. Guastalla Ambiente. pp. 96. • Baldini E., Sansavini S. (1967). Monografia delle principali cultivar di melo. Consiglio Nazionale delle Ricerche. pp. 302. • Baldini E. (1995). Giorgio Gallesio. I giornali di viaggi. Trascrizioni, note e commento di Enrico Baldini. Firenze, Nuova stamperia Parenti. 478 pp. • Bignami C., Kurzmann M. (2000). L’azzeruolo. L’Informatore Agrario, 36: 57-61. • Bounous G. (2002). Il Castagno. 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Situazione attuale L’azzeruolo è specie polifunzionale, di notevole interesse per il valore ornamentale, per la qualità del frutto e per le potenzialità medicinali e nutraceutiche. Presente sporadicamente in tutta Italia, ma soprattutto nelle regioni meridionali (Campania, Puglia, Sicilia), nel territorio reggiano è attualmente continua FRUTTIFERI Situazione attuale specie rara e poco conosciuta. Sono state individuate poche piante, nella zona di Albinea e Canossa, tutte appartenenti alla tipologia a frutto rosso e di piccole dimensioni (Bignami e Kurzmann, 2000), a cui fa riferimento la descrizione qui riportata. Una delle piante di Borzano (Albinea) è secolare ed è stata censita tra i patriarchi tutelati dalla Regione Emilia Romagna (2009). Caratteristiche agronomiche Molto produttiva. Rustica nei confronti della siccità e del freddo invernale. è sensibile al colpo di fuoco batterico. Caratteristiche del prodotto Il frutto di questa tipologia di azzeruolo è dolce e non molto saporito; attualmente non viene in genere utilizzato per il consumo diretto, mentre in altre aree della regione (Bologna, Romagna) le poche piante ancora esistenti delle tipologie a frutto bianco e rosso-arancio vengono raccolte per la vendita o la trasformazione. Si presta alla preparazione di marmellate e gelatine. La pianta descritta è prevalentemente di interesse ornamentale. Usi tradizionali Notizie storiche Filippo Re (1800), tra i modi per migliorare l’agricoltura delle montagne reggiane, prospetta la possibilità di innestare i biancospini con dei lazzeruoli, anticipando quella esigenza di diversificazione della produzione frutticola che è sentita anche oggi. Il pomologo Gallesio, nei suoi diari di viaggio, nel settembre 1819 scrive di avere visto nei mercati di Reggio Emilia “delle azeruole gialle e rosse, delle melagrane e delle giuggiole”, e di “nazerole gialle e rosse” parla anche per il Parmense e il Piacentino (Baldini, 1995). La relazione del Ministero dell’agricoltura sulle condizioni dell’agricoltura in Italia nella seconda metà del XIX secolo (1879) elenca i lazzeruoli bianchi e rossi (Pomi reali) tra i frutti coltivati in Emilia Romagna soltanto per le province di Bologna e Ravenna, ma essi erano certamente ancora noti e presenti nel Reggiano, nelle due tipologie, se Casali (1915) ne riporta i nomi dialettali “Pòmm lazarèin biânch e ròss”. Le azzeruole bianche e rosso-arancio sono tradizionalmente consumate fresche, per il gusto dolce-acidulo e l’aroma molto gradevoli, o vengono utilizzate per prepararne marmellate, gelatine e confetture. Leggende e curiosità Nei secoli passati, le azzeruole erano considerate frutti pregiati, degni di comparire nelle tavole nobiliari e di essere offerti come doni di prestigio. Pellegrino Artusi, nel suo manuale “La scienza della cucina e l’arte di mangiare bene”, descrive la preparazione della eccellente conserva di azzeruole, laboriosa ricetta oggi riprodotta in Romagna nell’ambito delle iniziative di valorizzazione dei “frutti dimenticati”. In Emilia Romagna la propagazione e l’impianto del Crataegus azarolus, come quello degli altri Crataegus, è vietato sino al 31 dicembre 2013, per scongiurare il pericolo di diffusione del colpo di fuoco batterico. FRUTTIFERI Specie: Castanea sativa Miller arfagnina Descrizione PIANTA: mediamente vigorosa, presenta un portamento assurgente. La foglia ha lunghezza media 16-18 cm, colore verde brillante, forma lanceolata; margine con seghettatura poco pronunciata con punte rivolte verso l’alto, base tronca. Picciolo di lunghezza media da 1,5 a 2 cm. Le infiorescenze maschili (amenti) sono lunghi 8-12 cm, astaminei; le cupole femminili sono da 2 a 4. frutto: grosso, di colore rosso marrone chiaro lucido con sfumature più chiare in prossimità della parte basale del frutto (ilo). Striature sottili sulla buccia esterna (pericarpo), non rilevate e poco evidenti, eccetto le più marcate ben distanziate e riscontrabili al tatto. Assenza di peluria intorno alla cicatrice ilare, se non nella zona di transizione tra ilo e pericarpo. Caratteristica forma a sella nella zona apicale della castagna (torcia) e convessità da entrambi i lati dei frutti che li rendono particolarmente attraenti. Numero di frutti per chilogrammo: 65-75. ILO: regolare, di forma rettangolare simile al Marrone; la raggiatura stellare è regolare, con granuli migliari mediamente evidenti. TORCIA: lunghezza 0,5 cm, con 6-8 stili corti (0,2 cm), molto fragile, non resiste a torsione e trazione. EPISPERMA (pellicola interna): spesso, giallo, poco peloso, con poche introflessioni profonde che lo contengono, lunghe 0,5-0,8 cm. i frutti grossi sono divisi in alcuni punti dall’episperma ma non in modo totale (non settati). RICCIO: la forma alla base delle spine è simile alla Masangaia, più numerose vicino all’apertura delle valve, alcune lunghe dalla base 1,5-2 cm, alcune su palchi 1-1,5 cm in numero da 7 a 9. Le spine sono molto resistenti alle sollecitazioni meccaniche, scure, rade, nella zona d’inserzione con base grossa; la lunghezza del picciolo del riccio è circa1/3 della lunghezza degli aculei. epoca di maturazione: circa 15 giorni prima del Marrone (1a settimana di ottobre). Caratteristiche commerciali Apprezzata per le dimensioni, la Garfagnina veniva utilizzata per la trasformazione in farina. Diffusione sul territorio è una cultivar tipica della provincia di Reggio Emilia, presente praticamente in tutti i comuni della fascia montana. i campioni prelevati provengono dal comune di Carpineti. FRUTTIFERI Specie: Castanea sativa Miller an dal broc Sinonimi: Man de bròc Descrizione PIANTA: chioma globosa; diventa di dimensioni ragguardevoli potendo in tal modo arrivare a produzioni molto elevate. La foglia è lunga in media 27-30 cm, colore verde scuro, forma lanceolata, più allargata nella parte centrale; margine con seghettatura poco pronunciata e punte rivolte all’esterno. Presenta una leggera asimmetria in prossimità del picciolo; nelle foglie dei rami centrali si riscontra una leggera invaginazione verso il picciolo, che non si osserva in quelle dei rami misti, dove invece è accentuata l’asimmetria. frutto: color rosso marrone chiaro, di forma ellittica, con striature sottili, non rilevate (quasi impercettibili al tatto) e nella parte piatta più marcate. Leggera peluria in prossimità dell’apice della castagna (torcia) che prosegue lungo la striatura centrale della parte convessa fino alla parte basale del frutto (ilo). Numero di frutti per chilogrammo 70-80. ILO: più piccolo della Piusella, più grosso della garfagnina; di forma leggermente irregolare, presenta una leggera peluria o tomentosità nella zona di contatto con gli altri frutti del riccio. Raggiatura stellare piccola, con punte irregolari. TORCIA: lunga 0,9 cm con stili lunghi 0,5 cm ed in numero di 6-9. EPISPERMA (pellicola interna): rosso, spesso, quasi liscio, con poche introflessioni della lunghezza di cm 0,2-0,5; presenta mediamente 1-2 invaginazioni profonde per circa il 30% della larghezza del frutto. RICCIO: colore marrone scuro, molto spinescente e compatto, presenta spine lunghe 1 cm. epoca di maturazione: maturazione intorno alla 1a settimana di ottobre in concomitanza con il Marrone. Caratteristiche commerciali Molto apprezzata per l’elevata produttività, la Man dal broc viene utilizzata per la trasformazione in farina. Diffusione sul territorio è una cultivar tipica della provincia di Reggio Emilia, presente praticamente in tutti i comuni della fascia montana. I campioni prelevati provengono dal comune di Carpineti località Marola. FRUTTIFERI Specie: Castanea sativa Miller asangaia Descrizione PIANTA: mediamente vigorosa presenta un portamento assurgente. La foglia ha lunghezza media 23-25 cm; colore verde scuro, forma lanceolata, margine con seghettatura profonda, leggermente asimmetriche in prossimità del picciolo. Le foglie dei rami centrali sono mediamente più strette nella zona mediana mentre quelle della zona basale dei rami sono più larghe. Le infiorescenze maschili (amenti) sono lunghi 15-18-21 cm; le cupole femminili sono abbondanti da 4 a 5 per peduncolo. frutto: di buone dimensioni; buccia di colore rosso marrone chiaro, lucido con una certa tomentosità in prossimità dell’apice della castagna (torcia) e della parte basale del frutto (cicatrice ilare). Striature larghe su tutto il frutto, più scure sulla parte convessa, in rilievo. Numero frutti per chilogrammo: mediamente 60-70. Ilo: molto grande, quasi ¼ delle dimensioni del frutto, irregolare, prosegue ai lati del frutto. Raggiatura stellare molto irregolare e poco marcata. Torcia: è mediamente lunga 0,6 cm, con 9-11 stili lunghi in media 0,5 cm e peduncolo di 0,1 cm, resistenti alle sollecitazioni meccaniche. episperma (pellicola interna): molto sottile, peloso, con introflessioni di lunghezza compresa tra 2 e 6 mm (sembra che sia abbastanza facile l’asportazione dell’episperma nel consumo fresco). riccio: di grosse dimensioni, contiene mediamente tre frutti; la disposizione delle spine è in quadrato, la parte basale, a volte assente, porta lunghi aculei e in ogni gruppo ve ne sono 2-3 più lunghi (circa cm 1,3) e altri 3-6 più corti (0,8-1 cm). epoca di maturazione: alla fine di settembre, circa 8 giorni prima del Marrone. Caratteristiche commerciali Frutto apprezzato anche per il consumo fresco, la Masangaia viene usata per la produzione di farina. Diffusione sul territorio è una cultivar tipica della provincia di Reggio Emilia, presente praticamente in tutti i comuni della fascia montana. Filippo Re (1800) la cita con il nome di “Mazzangajo”. I campioni prelevati provengono dal comune di Carpineti. FRUTTIFERI Specie: Castanea sativa Miller iusella Descrizione PIANTA: di medie dimensioni, ha chioma globosa. La foglia ha lunghezza media 18-23-25 cm, di colore verde brillante e forma lanceolata; margine con seghettatura appena accentuata, differenza di inserzione del lembo fogliare sulla nervatura centrale in prossimità del picciolo, circa 0.5 centimetri tra l’inserzione della parte destra da quella sinistra, più accentuato nelle foglie basali del ramo. Il picciolo è lungo 3-3,5 cm. Le infiorescenze maschili (amenti) sono lunghe 10-15 cm; le cupole femminili (ricci) sono da 1 a 4 per peduncolo, ben distribuite su tutti i rami. frutto: colore della buccia esterna (pericarpo) marrone scuro, frutto di forma ellittica costante. Striature di colore nero visibili nei frutti più chiari riscontrabili al tatto; peluria abbondante sull’apice (torcia) che prosegue sulle striature per circa 1/3 del frutto; tale tomentosità si riscontra anche attorno alla parte basale (ilo), accentuata nella parte convessa come nella Masangaia. Numero di frutti per chilogrammo mediamente 70-80. ilo: si estende per circa ¼ del frutto, raggiatura stellare molto regolare. torcia: è mediamente lunga 0,7 cm, con 6-8 stili lunghi mediamente 0,3 cm ed il peduncolo 0,4 cm, resistenti alle sollecitazioni meccaniche. episperma (pellicola interna): rossiccio tomentoso, con introflessioni poco accentuate. riccio: piccolo, contiene mediamente tre frutti; peduncolo lungo come gli aculei (circa 2-2,5 cm), che sono di colore giallo, poco resistenti alle sollecitazioni meccaniche e non pungono. epoca di maturazione: prima settimana di ottobre, circa 2 giorni prima del Marrone. Diffusione sul territorio è una cultivar tipica della provincia di Reggio Emilia, presente praticamente in tutti i comuni della fascia montana. i campioni prelevati provengono dal comune di Carpineti località Marola. FRUTTIFERI Specie: Melo (Malus domestica Borkh.) ampanino Sinonimi: Modenese, Decio Campanino, Campanellino Nomi dialettali: Campanin, Campanein, Pòmm Campanein Descrizione PIANTA: è di vigoria media, a portamento ricadente. La foglia è di dimensioni medie, ellittica, a margine crenato. Il fiore ha corolla di dimensione media, con petali bianchi leggermente soffusi di rosa, di forma ovale o ellittica, talora scavati all’apice, sovrapposti; stigma allo stesso livello delle antere. FRUTTO: è piccolo, di forma appiattita o globosa, circolare in sezione trasversale, con buccia giallo-verde, con sovracolore rosso dal lato esposto al sole e in misura variabile in dipendenza delle condizioni ambientali. Il colore rosso viene ottenuto anche in post-raccolta, mediante l’esposizione alle basse temperature notturne e all’escursione termica giorno-notte. Lenticelle evidenti. Polpa di colore bianco con venature verdastre, consistente, poco succosa, zuccherina, leggermente acidula, debolmente aromatica. Situazione attuale Ampiamente diffusa in coltivazione nei meleti reggiani, modenesi, mantovani e ferraresi nella prima metà del secolo scorso, il Campanino ha subito in seguito un forte ridimensionamento per l’introduzione di nuove varietà continua FRUTTIFERI Situazione attuale internazionali. Rimane ancora abbastanza diffusa in tutto il territorio reggiano, dalla pianura alla montagna, con piante sparse nei campi o presso i casolari e in alcuni frutteti specializzati che riforniscono i mercati locali, nei quali la richiesta di questa mela non è mai scomparsa. Da qualche anno il Campanino è oggetto di iniziative di valorizzazione basate su tradizioni gastronomiche (mostarde, dolci). è iscritta con la sigla RER VO19 al Repertorio di razze e varietà locali della Regione Emilia Romagna (LR 1/2008), dove viene indicata come varietà esposta a medio rischio di erosione genetica. Caratteristiche agronomiche è varietà produttiva, ma tendente all’alternanza. Produce prevalentemente sui rami lunghi. La maturazione è tardiva, da fine settembre a metà ottobre. Il frutto si conserva a lungo e mantiene ottime caratteristiche in fruttaio fino a fine marzo. Può manifestare sintomi di alcune fisiopatie post raccolta (butteratura amara e riscaldo molle). Caratteristiche del prodotto Il frutto ha gusto acidulo e leggermente astringente e si presta particolarmente alla cottura. Notizie storiche Le origini della mela Campanino non sono note. Già citata in documenti modenesi della seconda metà dell’Ottocento, nel 1929 rappresentava il 55% delle mele prodotte in provincia di Reggio Emilia, e il 50% nel 1948 (Breviglieri, 1949), mentre contribuiva alla produzione di mele della provincia di Modena per il 20%, nel 1929, e per il 21% nel 1948. Nei cataloghi vivaistici di inizio ‘900 era riportata tra le varietà locali (Vivai Zanzi, Dogato, FE; anni 1927-1930). Usi tradizionali Le mele Campanino sono utilizzate nella tradizione alimentare reggiana per la preparazione di mostarda, mele al cartoccio, dei “savor” e “savurett” e di “fleppi” o “sciapelli” (fettine di mele essiccate). Leggende e curiosità Il nome sembra derivi dalla forma del frutto, simile a quella delle campanelle messe al collo delle pecore (Canovi et al., 2008). Le analisi chimiche hanno rivelato la qualità salutistica di questa mela, per l’elevato contenuto di polifenoli e per ’alta capacità antiossidante, molto superiore a quella della principale varietà commerciale di melo, Golden Delicious (Cocci et al., 2003). La mela Campanina (Pom Campanein) è un prodotto agroalimentare tradizionale dell’Emilia Romagna, riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ed è’ tra le varietà di melo inserite nel disciplinare di produzione del ‘savurett’ reggiano. FRUTTIFERI Specie: Melo (Malus domestica Borkh.) elo erro Nome dialettale: Pom Ferr Descrizione PIANTA: molto vigorosa, a portamento assurgente. La foglia adulta ha margine crenato; il fiore ha dimensioni medie, petali arrotondati, sovrapposti, di colore bianco sfumato di rosa. FRUTTO: di pezzatura medio-piccola, di forma appiattita, leggermente asimmetrico in sezione longitudinale, con buccia cerosa, di colore verde, con sovracolore rosso sfumato sul 10-20% della superficie. Rugginosità alla cavità peduncolare, che è piuttosto profonda; peduncolo corto. Cavità stilare mediamente profonda, solcata; calice medio, semichiuso. Buccia spessa; polpa molto consistente, croccante, color bianco-crema, acidula. Situazione attuale Il Melo Ferro è ormai poco diffuso in provincia di Reggio Emilia. è presente con piante sparse soprattutto nella pianura e collina e in alcune aziende per coltivazioni commerciali, data la persistenza di una buona propensione all’acquisto dei consumatori locali. FRUTTIFERI Caratteristiche agronomiche Produzione media, con tendenza all’alternanza. Fruttifica prevalentemente su piccole ramificazioni (lamburde). Raccolta tardiva (dopo il 20 ottobre). è considerata la più resistente alle avversita, tra le varietà reggiane. è più sensibile all’oidio che alla ticchiolatura. Caratteristiche del prodotto I frutti hanno polpa molto compatta, poco succosa, e sono molto serbevoli, potendo mantenere buone caratteristiche sino alla primavera. Notizie storiche Il Pòm Ferr è citato da Casali (1915). Nel 1929 contribuiva per il 20% alla produzione di mele in provincia di Reggio Emilia, ma la quantità censita scendeva al 4% nel 1948 (Breviglieri, 1949). Usi tradizionali Veniva cotta al forno e utilizzata per la preparazione di confetture e, in particolare, di “savor” e “savurett”. Era considerata la mela più adatta per prepare “flépi” o “s’ciapèli”, fette di mele essiccate, da conservare per il consumo e gli usi culinari delle famiglie durante l’inverno (Bagnoli, 2008). Leggende e curiosità Il Melo Ferro è stato inserito nel disciplinare di produzione del “savurett” tra gli ingredienti tradizionali. Era una delle mele che, conservate e essiccate, costituivano le merende dei bambini nella prima metà del secolo scorso (Bagnoli, 2008). FRUTTIFERI Specie: Melo (Malus domestica Borkh.) ela esca Nomi dialettali: Pum pèrsegh, Pum persac, Pòmm pèrsegh, Pom Persech, Ranèe, Ranèin Descrizione PIANTA: è di vigoria media-alta, a portamento procombente. La foglia ha margine dentato, base ottusa ed apice acuto. Il fiore ha corolla grande, petali bianchi leggermente sovrapposti, elissoidali, stigma a livello superiore rispetto alle antere. FRUTTO: di pezzatura media, di forma sferoidale; la buccia è liscia, sottile, pruinosa, con colore di fondo verde chiaro e sovracolore rosa sfumato; rugginosità alla cavità peduncolare. Peduncolo breve e grosso. Polpa bianca. Situazione attuale La Mela Pesca è attualmente presente soprattutto nella aree di pianura e pedecollinari, con poche piante sparse ed alcune piccole coltivazioni, che soddisfano una richiesta locale ancora viva. FRUTTIFERI Caratteristiche agronomiche Ha produttività media. Fruttifica prevalentemente su rami lunghi (brindilli). Necessita di diradamento. Maturazione di raccolta nella prima decade di ottobre. Il frutto è meno serbevole di Campanino e Melo Ferro. è sensibile all’oidio, mediamente sensibile alla ticchiolatura; sembra essere poco soggetta alla fisiopatia della butteratura amara. Caratteristiche del prodotto Il frutto ha polpa soda e croccante, saporita, con equilibrato rapporto zuccheri/acidi, è molto profumato ed è adatto particolarmente al consumo fresco. L’aroma diminuisce durante la conservazione, che può protrarsi sino a Natale. Notizie storiche La Mela Pesca è ritenuta una varietà veramente reggiana (Roversi e Valli, 1996). La sua lunga presenza sul territorio è testimoniata dallo scritto di Casali, che nel 1915 cita tra i nomi dialettali di piante reggiane il Pum pèrsegh, e ne riporta come nome italiano “Renetta”, a cui corrisponde però un numero ampio di varietà di origine antica e non strettamente reggiana. Un’analisi più approfondità sarebbe quindi necessaria per comprendere origine e storia di questa varietà. Leggende e curiosità Usi tradizionali è sempre stata usata prevalentemente per il consumo fresco. Bagnoli (2008) la cita tra le varietà locali di mele che venivano conservate per le merende dei bambini reggiani nella prima metà del secolo scorso. Il nome dialettale prende origine dal particolare profumo del frutto, che ricorda quello delle pesche ed è la caratteristica saliente di questa varietà. Anche il colore della buccia, rossa-rosa sfumato, richiama quello delle pesche. Per il profumo intenso, le mele di questa varietà venivano messe nei cassettoni per profumare la biancheria. FRUTTIFERI Specie: Melo (Malus domestica Borkh.) osa omana Nomi dialettali: Pom ros, Pom roson, Rosett, Rosoun Sinonimi: Mela Rosa Descrizione PIANTA: molto vigorosa, a portamento espanso. La foglia ha forma ellitticoallargata, con mucrone pronunciato e margine crenato. Il fiore ha corolla grande, petali bianchi con lievissima sfumatura rosa, ellittici, sovrapposti; stigma al di sopra delle antere. FRUTTO: di pezzatura media, appiattito, simmetrico, in sezione trasversale circolare. La cavità calicina è ampia e mediamente profonda, con solchi. La buccia verde, che diviene gialla all’avanzare della maturazione, con sovra colore rosso; lenticelle mediamente numerose, rugginose. Polpa bianca, molto consistente, succosa, acidula e mediamente zuccherina. Situazione attuale Con il nome “Mela Rosa” vengono indicate nel Reggiano, così come nel resto d’Italia, diversi biotipi e varietà. Tra le varietà di mela rosa presenti in provincia di Reggio Emilia, Rosa Romana e Rosa Mantovana sono quelle più continua FRUTTIFERI Situazione attuale frequentemente osservabili, in conseguenza della notevole diffusione in coltivazione che avevano nella prima metà del XX secolo. Attualmente si possono osservare piante di Mela Rosa sia nelle aree di piano e collina che di media montagna e anche alcuni filari in frutteti commerciali, poiché ancora richiesta sul mercato locale. La descrizione della scheda fa riferimento alle caratteristiche della varietà Rosa Romana. Caratteristiche agronomiche Produttiva, ma alternante. Produce su brindilli e lamburde. Sensibile all’oidio e mediamente sensibile alla ticchiolatura. In alcuni ambienti manifesta sensibilità spiccata alla butteratura amara. Maturazione molto tardiva, da metà ottobre a metà novembre. Può essere conservata fino a marzo in fruttaio. Caratteristiche del prodotto La Rosa Romana è adatta alla cottura, dopo la quale conserva una buona consistenza e ha ottime caratteristiche gustative. Usi tradizionali Cottura al forno, preparazione di marmellate, savor, mostarde e altri usi culinari. Consumo fresco. Leggende e curiosità Notizie storiche Come in diverse aree italiane, Rosa Romana è presente da secoli nel territorio reggiano e nel resto dell’Emilia. Pum ròs, Pum ròs capolegh, Pum roset e Pum rosoun sono stati inseriti da Casali tra i nomi dialettali reggiani di meli nel 1915. Nel 1948, le due Mele Rosa riportate nei censimenti delle produzioni della provincia reggiana erano Rosa Romana e Rosa Mantovana, ciascuna delle quali contribuiva per il 10% alla produzione, mentre in provincia di Modena era presente, oltre a Rosa Romana (19%) e Rosa Mantovana, anche Rosa Gentile (Breviglieri, 1949). Le Mele Rosa sono accomunate dal nome, ma non sempre da simili caratteristiche del frutto, il che, assieme al variare della denominazione dialettale a seconda delle località, crea qualche difficoltà nella classificazione di questa parte del panorama varietale locale. Le incertezze sulla classificazione delle molte Mela Rosa non sono certo recenti. Molon nel 1901 scrive: “Col nome di Mela Rosa non pochi frutti e diversissimi fra loro si vedono sui nostri mercati dell’alta Italia. Converrà tenerli distinti con nomi appropriati e studiarli più che non siasi fatto fino ad ora”. Mele Rosa sono state raffigurate, e il loro nome riportato in cartiglio, nelle tele del pittore mediceo Bartolomeo Bimbi (1648-1730). FRUTTIFERI Specie: Olivo (Olea europaea L.) ontelocco Descrizione PIANTA: individuata e contrassegnata con il nome di Montelocco presenta una ceppaia costituita da cinque polloni ed un diametro complessivo di 2,4 m. La foglia è di forma lanceolata con una superficie della lamina fogliare piatta, un angolo apicale acuto e un angolo basale aperto. frutto: ha un peso medio di 2,57 g con forma allungata, apice appuntito e base tronca. Sul frutto sono presenti numerose lenticelle di dimensioni piuttosto grandi. L’invaiatura inizia dalla parte basale del frutto. Il nocciolo presenta un peso elevato, ha apice e base appuntite e superficie rugosa. Situazione attuale Il genotipo è diffuso principalmente nel territorio definito “Terre di Canossa”; è quindi presumibile che queste terre in passato fossero le zone di maggiore diffusione del genotipo stesso. Il genotipo è a medio rischio di estinzione, anche se da qualche anno è conservato presso campi collezione. Notizie storiche Le origini storiche dell’olivo Montelocco non sono note. Usi tradizionali è presumibile che i frutti di questa pianta fossero utilizzati per la produzione di olio visto che proprio in queste terre sono stati ritrovati resti di un antico frantoio. Sia l’olio sia le fronde erano probabilmente utilizzati a scopo anche liturgico. FRUTTIFERI fenomeni ossidativi. Questo determina una protezione dell’olio durante la sua conservazione e, al tempo stesso una protezione dalle malattie cronico-degenerative dell’uomo che consuma abitualmente olio extravergine di oliva. Conservazione dell’olio d’oliva Caratteristiche agronomiche L’entrata in produzione avviene dopo tre anni, la produttività è elevata. Il genotipo è autocompatibile, la pianta inizia a fiorire nella prima decade di giugno, la raccolta si effettua circa a metà novembre con una resa al frantoio media del 10%. La pianta tollera gli abbassamenti di temperatura. Caratteristiche dell’olio d’oliva Il genotipo presenta un profilo sensoriale dell’olio molto ricco Si caratterizza per intensi profumi di pomodoro, carciofo e erba e intensità elevate di fruttato di oliva. Anche al gusto si conferma l’intenso fruttato di oliva accompagnato da una netta prevalenza di sentore di pomodoro ed erbe aromatiche. Olio molto amaro e piccante. Le analisi chimiche dell’olio hanno evidenziato parametri (acidità libera, numero di perossidi, assorbimento all’ultravioletto) con valori tali da permettere di classificare quest’olio nella categoria degli extra-vergini. Il contenuto in fenoli totali, inoltre, è superiore a 300 mg/ kg, valore, quindi, elevato. I fenoli totali in un olio extravergine rappresentano una frazione molto importante del suo valore nutrizionale. I fenoli, infatti, svolgendo un’azione antiossidante, sono in grado di proteggere la matrice grassa dagli attacchi da parte dell’ossigeno riducendo così i L’olio extravergine di oliva, è costituito per il 98% di sostanza grassa (frazione saponificabile) ed è altamente soggetto a processi di deterioramento ed alterazione durante la sua conservazione. La legge italiana prevede un periodo di conservazione degli oli d’oliva di 18 mesi. è importante, quindi, proteggere l’olio dai nemici principali che sono le variazioni di temperatura, l’ossigeno e la luce. Per conservare, al meglio, l’olio d’oliva occorre: 1 - mantenere gli oli a temperature tra 15 e 18 °C in modo da ritardare i processi di ossidazione; 2 - utilizzo di gas inerti al fine di preservare la spazio di testa presente nei contenitori in modo da minimizzare il contatto con l’ossigeno; 3 - utilizzo di latte in banda stagnata, vasche in acciaio inox e bottiglie di vetro scuro, in modo tale da evitare il processo di foto-ossidazione; 4 - pretrattamento dell’olio (filtrazione). La filtrazione è un processo molto importante ai fini della conservazione dell’olio; infatti la stragrande maggioranza degli oli in commercio vengono sottoposti a questa fase. Se un olio non viene filtrato assume un aspetto torbido dovuto alle particelle in sospensione tale da venir definito “velato”, questi ultimi oli sono maggiormente apprezzati dal consumatore, rispetto a quelli filtrati, perché viene associato alla velatura una prerogativa di maggior genuinità. Questi oli devono essere consumati nel breve periodo, perchè in essi si registra un calo del patrimonio antiossidante con una velocità direttamente proporzionale al grado di torbidità; inoltre, con la riduzione delle sostanze fenoliche, che hanno la funzione di ossidarsi e sacrificarsi per preservare l’olio stesso, si ha una comparsa di difetti sensoriali durante la conservazione dell’olio. FRUTTIFERI Specie: Olivo (Olea europaea l.) ontericco Descrizione PIANTA: individuata presenta una ceppaia costituita da quattro polloni, con diametro complessivo di 1,6 m. La foglia è di forma lanceolata, con dimensioni medie di 4,35 cm2; la superficie della lamina fogliare è piatta, sia l’angolo apicale sia quello basale sono acuti. frutto: ha un peso medio di 2,81 g con forma allungata, apice appuntito e base tronca. Sul frutto sono presenti numerose lenticelle di piccole dimensioni. L’invaiatura inizia dalla parte basale del frutto. Il nocciolo presenta un peso elevato (0,60 g), è di forma allungata con apice e base appuntite e superficie rugosa. Situazione attuale Il genotipo è diffuso solo nel comune di Albinea. Il genotipo è a medio rischio di estinzione, anche se da qualche anno è conservato presso i campi collezione. Notizie storiche Le origini storiche dell’olivo Montericco sono incerte. Usi tradizionali è presumibile che i frutti di questa pianta fossero utilizzati per la produzione di olio a scopo liturgico ma anche per l’alimentazione. FRUTTIFERI Caratteristiche agronomiche La pianta entra in produzione in media dopo tre anni. La produttività è buona. Il genotipo è autocompatibile, la fioritura inizia ai primi di giugno; l’epoca di maturazione è a metà novembre. La resa media al frantoio è del 14%. La pianta tollera gli abbassamenti di temperatura e pare non sia particolarmente sensibile agli attacchi di mosca. Caratteristiche dell’olio d’oliva L’olio ottenuto dal genotipo denominato Montericco rientra, per le caratteristiche chimiche presentate, nella categoria degli oli extra vergini di oliva. Nella degustazione dell’olio l’aroma, dovuto ai profumi sprigionati, riveste una importanza fondamentale nel condizionare e determinare il sapore dell’olio ed è quindi strettamente correlato all’accettabilità organolettica da parte del consumatore, e di conseguenza al successo commerciale del prodotto, differenziando gli oli di oliva di alta qualità da quelli standard. Ne consegue che la percezione e la preferenza di un flavor, e quindi come un consumatore percepisce l’aroma di un olio, può avere un effetto rilevante su come il consumatore percepisce l’olio stesso e nel comprendere su cosa si basa la scelta di un olio rispetto ad un altro. C’è quindi interesse nel conoscere i composti volatili aromatici responsabili degli attributi positivi che esaltano la palatabilità e l’accettazione dell’olio e quindi, per chi lo produce, controllarne e verificarne l’aroma. Gli aromi, quindi, possono fornire informazioni non solo sulle componenti nobili che conferiscono l’aroma tipico e sul valore organolettico che si traduce nella potenziale accettabilità da parte del consumatore, ma anche rappresentano una sorta di marcatori ad alta definizione. Gli aromi descrivono l’olio lungo tutta la filiera, dal campo alla tavola del consumatore, consentono di verificarne e ottimizzarne la qualità, oltre a identificare anomalie correlabili a fenomeni o processi degradativi. è proprio per questa sua proprietà informativa, che il profilo aromatico di un olio rappresenta una sorta di carta d’identità infallibile o impronta digitale che ci consente di riconoscere un olio con elevata precisione. L’olio esaminato è risultato dotato di uno specifico profilo di aromi con un tenore medio-alto di aromi totali. Il genotipo Montericco ha mostrato profili aromatici molto ricchi per il contributo di diversi aromi, confermando la percezione da parte degli assaggiatori di numerosi sentori gradevoli secondari specifici, oltre a quelli classici di fruttato, erba e mandorla. L’olio del genotipo Montericco ha mostrato un buon contenuto percentuale dei composti a sei atomi di carbonio (Z)-3-esenolo, 1-esanolo, (E)-2-esenolo) caratterizzati da un aroma che ricorda quello delle foglie o dei frutti o vegetali non completamente maturi e con diverse sfumature, dell’erba appena tagliata; per questo motivo sono ritenuti responsabili delle cosiddette “note verdi” dell’olio di oliva. Il profilo sensoriale dell’olio prodotto dal genotipo Montericco presenta profumi intensi di pomodoro e in misura minore di erbe aromatiche e carciofo e erba, anche il profumo di fruttato di oliva ha una intensità media. Al gusto si conferma la prevalenza di pomodoro ma anche il flavor di carciofo diventa predominante rispetto agli altri sentori erbacei. Intensità media di fruttato di oliva, di amaro e piccante. FRUTTIFERI Specie: Pero (Pyrus communis L.) val Sinonimi: Avalla, Avalle, Avallo Descrizione PIANTA: è vigorosa, a portamento aperto. La foglia è ellittico-allargata; con margine crenato. Il fiore ha petali arrotondati. frutto: ha pezzatura piccola o molto piccola e forma da sferoidale a turbinato appiattita, con profilo laterale convesso. La buccia è liscia, con colore di fondo verde, che diviene giallo a maturazione avanzata, raramente con sovra colore rosa sfumato; lenticelle rugginose. Peduncolo molto lungo, cavità peduncolare assente, cavità calicina poco profonda; calice con sepali divergenti. Polpa bianco-crema, granulosa, sugosa, croccante, di gusto astringente, acidulo e zuccherino. Situazione attuale è una delle varietà antiche più frequenti nelle colline e montagne reggiane, spesso con esemplari secolari, vicino alle case di campagna, nei campi e ai margini dei boschi e delle strade. Anche se gli anziani ricordano l’uso del frutto, da cuocere con le castagne, non viene più coltivata, né vi è più mercato per questa pera. Nome dialettale: Aval FRUTTIFERI Caratteristiche agronomiche Produttiva, ma alternante. Fruttifica prevalentemente su piccole ramificazioni (lamburde). Molto rustica e resistente alle avversità. Maturazione di raccolta molto tardiva, da inizio ottobre a metà novembre. Pera molto serbevole. Caratteristiche del prodotto è una pera da cuocere, sia per la consistenza e granulosità della polpa, sia per il sapore, astringente al consumo fresco e che diviene dolce dopo cottura in acqua. Notizie storiche La Aval ha caratteri pomologici di varietà primitiva. La sua presenza antica è testimoniata dagli scritti di Filippo Re che, con il nome di “Avalla acida”, la include tra le 23 “pere da autunno e da inverno” elencate nel suo resoconto di viaggio nelle montagne reggiane (1800). Casali, nel 1915, cita il “Pèir Aval”, e attribuisce l’uso di questo nome esclusivamente alle zone montane, testimoniando così la sua prevalente distribuzione nel territorio reggiano. Usi tradizionali Le pere Aval venivano cotte con le castagne e acquisivano così un sapore che viene ricordato dagli anziani come molto gradevole. Veniva anche utilizzato come ingrediente nella preparazione del “savurett”, tradizione in corso di valorizzazione. Leggende e curiosità L’Aval è una delle varietà di pere inserite nel disciplinare di produzione del “savurett”, prodotto agroalimentare tradizionale dell’Emilia Romagna riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Casali (1915), nel suo scritto sui nomi delle piante nel dialetto reggiano, riporta per questo pero solamente il nome dialettale “Pèir Aval”. Avalla e Avalle sembrano quindi essere italianizzazioni introdotte successivamente. FRUTTIFERI Specie: Pero (Pyrus communis L.) obile Sinonimi: Pera Nobile Nomi dialettali: Baraban, Per Nobil, Per Nobel, Pèir Nobil Descrizione PIANTA: di media vigoria, a portamento assurgente. La foglia è ellittica o ovata. Il fiore ha corolla grande, con petali grandi, arrotondati a margine crenato; stigma in posizione più bassa rispetto alle antere. FRUTTO: di pezzatura medio-piccola da piriforme, cidoniforme, talora ovoidale, variabilità dipendente anche dalla eventuale origine partenocarpica dei frutti; ha buccia liscia, di colore verde con sovracolore rosso o rosa all’insolazione; peduncolo lungo, cavità peduncolare poco pronunciata, cavità calicina quasi assente, calice grande. Polpa di sapore dolce, poco acidula, molto consistente. Situazione attuale Tra le varietà antiche di pero del territorio reggiano è la più diffusa, dalla pianura alla montagna, con piante sparse nei campi, in frutteti famigliari e anche in alcuni impianti specializzati, nel comune di Reggio Emilia e di Brescello, che rispondono alla richiesta dei mercati locali. è antica presenza anche nella limitrofa provincia di Parma. FRUTTIFERI Caratteristiche agronomiche Produttiva. Fruttifica prevalentemente su lamburde e brindilli. Si adatta a condizioni climatiche diverse. Pianta tollerante le principali avversità, ha però manifestato sensibilità al colpo di fuoco batterico. Maturazione molto tardiva, da metà ottobre a metà novembre. Il frutto ha una elevata persistenza sulla pianta e si conserva in fruttaio fino a gennaio. Caratteristiche del prodotto Le pere Nobile, per la compattezza della polpa, sono adatte soprattutto alla cottura, che accentua la dolcezza e conferisce colore bruno-rosato e una particolare pastosità. Vengono consumate fresche solo a maturazione avanzata, quando la polpa diviene morbida. Notizie storiche è citata, con il nome di Barabana, da Filippo Re nei suoi resoconti di viaggi nelle montagne reggiane (1800). Il “Per Nobil” è elencato tra le varietà coltivate in provincia di Parma nella relazione sulle condizioni dell’agricoltura in Italia nella seconda metà dell’Ottocento (Ministero di agricoltura, industria e commercio, 1879). Casali (1915) riporta i nomi dialettali reggiani “Pèir Nobil” e, esclusivamente nelle zone montane, “Pèir Baraban”. Usi tradizionali La pera Nobile veniva cotta al forno o nell’acqua con le castagne. è ingrediente fondamentale del “savurett”, per la cui preparazione le pere tagliate a tocchetti vengono aggiunte al sugo di pere Spalér nelle ultime ore della lunga bollitura, per dare consistenza al prodotto. Viene tradizionalmente utilizzata per la preparazione della mostarda. Leggende e curiosità Il nome della varietà viene collegato al pregio del frutto, che era considerato degno delle tavole nobiliari. è stata inserita nel disciplinare di produzione del “savurett” prodotto agroalimentare tradizionale dell’Emilia Romagna riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. è talora considerata corrispondente alla pera Lauro, diffusa da secoli nel Piacentino, ma mancano conferme sperimentali a questa presunta sinonimia. FRUTTIFERI Specie: Pero (Pyrus communis L.) palér Sinonimi: Pere di Spalliera Descrizione PIANTA: molto vigorosa, a portamento piramidale e chioma aperta. La foglia ha forma arrotondata, margine dentato, a denti ottusi. Il fiore ha corolla grande, petali separati, di forma ovale; stigma allo stesso livello delle antere. FRUTTO: di pezzatura medio-grossa, di forma sferica o ovoidale, con profilo laterale convesso; buccia dal colore di fondo verde-giallo, con sovracolore rosso e zone rugginose; lenticelle numerose ed evidenti; cavità peduncolare poco profonda, cavità stilare piuttosto profonda, calice con sepali divergenti. Polpa succosa, zuccherina e acidula, leggermente granulosa e astringente. Situazione attuale I peri Spalér erano molto diffusi nelle aree montane del Reggiano. Attualmente la maggiore frequenza si riscontra in Comune di Carpineti, nelle zone di Marola, Pantano e Campovecchio, ma sono presenti piante anche in altre aree (Castelnovo ne’ Monti, Casina, Viano). Molti alberi sono centenari e di grandi dimensioni. Il più noto è quello di via Canovi, a Marola, che avrebbe almeno 250 anni ed è stato inserito tra i patriarchi tutelati dalla Regione Emilia Romagna. Nomi dialettali: Pèr Spalèr, Per Spalér FRUTTIFERI Caratteristiche agronomiche Pianta produttiva, ma alternante. Fruttifica soprattutto su lamburde. è rustica e tollerante alle principali avversità. Raccolta da fine settembre a metà ottobre. Maturazione invernale. Caratteristiche del prodotto è pera prevalentemente da cuocere, con polpa consistente. La succosità la rende idonea alle preparazioni descritte tra gli usi tradizionali, oggi riproposte e in corso di valorizzazione. Notizie storiche Le notizie storiche sulla pera Spalér sono estremamente carenti. Nel 1901 campioni di frutti vennero presentati alla mostra campionaria di frutti invernali (Consorzio Agricolo e Cattedra Ambulante di Agricoltura, 1901). Casali, nel 1915, inserisce il “Pèir Spalér” nell’elenco dei nomi dialettali reggiani delle piante, e non ne riporta la versione italiana. Nella relazione sulle condizioni dell’agricoltura in Italia (Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, 1879) per la Lombardia viene citata, assieme ad altre, la varietà “Pere di Spalliera”. Usi tradizionali Le pere Spalér venivano cotte al forno o con le castagne. Erano utilizzate per la preparazione del “savurett”, una confettura ottenuta da bollitura molto prolungata (26 ore) del sugo estratto per torchiatura dei frutti, con aggiunta di altre pere (Nobile, Aval, Trentonce) o anche mele, a seconda delle ricette delle diverse zone. è utilizzabile anche per produrre aceto (Istituto Comprensivo Carpineti, 2004). Leggende e curiosità Il nome “Pere di spalliera” crea incertezze sulla reale identità varietale, in quanto sembra riferirsi alla forma di allevamento a spalliera, secondo la quale venivano allevate diverse cultivar di pero. L’osservazione dei caratteri pomologici rilevati nelle piante di Spalér del Reggiano fanno comunque ritenere che in questa area il nome si riferisca ad un’unica varietà. La Spalér è l’ingrediente principale del “savurett” di Carpineti, ed è stata quindi inserita nel disciplinare di produzione di questo prodotto agroalimentare tradizionale dell’Emilia Romagna, riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. La lavorazione delle pere per la preparazione del “savurett” era laboriosa e anche faticosa, perché era necessario macinare i frutti o grattugiarli con il “radein” e poi torchiarli per estrarne il succo. Per alleviare questa fatica, il lavoro era stato quindi meccanizzato, mediante le cinghie del trattore. Localmente, viene ritenuta talora sinonimo di Passa Crassana, rispetto alla quale presenta però alcune differenze morfologiche e una orgine più antica. FRUTTIFERI Specie: Sorbus domestica L. orbo Sinonimi: Sorbolo Nomi dialettali: Carbella, Cherbella, Corbella, Sorba, Sorbla Descrizione PIANTA: ha chioma aperta e arrotondata. La foglia è composta, imparipennata, con 11-21 foglioline ovate o oblunghe, dentate all’apice. I fiori sono piccoli, bianchi, riuniti in corimbi all’apice della crescita dell’anno. frutto: la forma e le dimensioni dei frutti variano tra le piante, che derivano in genere da seme e non sono quindi uniformi. I frutti osservati nei sorbi reggiani sono piccoli, da sub-sferici a piriformi o conici, di colore giallo, talora con sfumatura rossa all’insolazione, con lenticelle rugginose evidenti. Situazione attuale Il sorbo, come pianta spontanea, è presente nelle colline e montagne reggiane, in genere ai margini del bosco o in radure, perché prettamente eliofilo e con scarso potere competitivo rispetto alle altre specie. Come pianta coltivata, esemplari si possono ancora osservare in prossimità delle case o in mezzo ai campi, dove il sorbo era introdotto o mantenuto per gli usi famigliari: consumo del frutto e vendita o lavorazione del legno. Alberi secolari sono presenti in alcune località; tra questi, i sorbi di Villa Minozzo, loc. Carniana, cui fanno riferimento la descrizione pomologica e le immagini riportate nella scheda, e di Baiso, loc. Guilghella, sono stati inseriti tra i patriarchi tutelati dalla Regione Emilia Romagna. FRUTTIFERI Caratteristiche agronomiche Produzione elevata. Pianta rustica e tollerante il freddo e la siccità. Maturazione a settembre-ottobre. Caratteristiche del prodotto è un frutto ormai poco conosciuto, soprattutto dai giovani, e non facilmente reperibile. Ha potenzialità per la trasformazione, in particolare per marmellate, liquori e distillati, che hanno caratteristiche sensoriali particolari (dolceastringente, fermentato). Notizie storiche Filippo Re (1800), in visita a S. Donnino di Marola, riferisce che “fra le altre frutta mi ferirono l’occhio belle sorbe”. Casali (1915) riporta, come nomi dialettali, carbella, cherbella, sorba, sorbla. Usi tradizionali Le sorbe venivano consumate fresche, dopo sovramaturazione sulla paglia, con la quale il frutto perde la caratteristica astringenza e diviene tenero e di colore marrone, di sapore dolce e con lieve gusto di fermentato. I frutti venivano utilizzati per la preparazione di marmellate e liquori, tradizione oggi valorizzata soprattutto nel versante parmense di Sorbolo e a Coenzo, dove si producono marmellate e il liquore “Sorbolino”, prodotto agroalimentare tradizionale dell’Emilia Romagna, riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Filippo Re riporta anche, nei suoi ‘Viaggi reggiani’ (1800), l’uso delle sorbe in alcuni luoghi per farne pane. Le sorbe, quindi, venivano anche essiccate, come si faceva sino a non molti anni fa in Molise e Campania. Il legno, molto duro e pregiato, veniva utilizzato per la costruzione di mobili, statue, utensili o parti soggette a sollecitazioni ed attrito, data la sua elevata resistenza (Canovi et al. 2008). Leggende e curiosità Numerosi toponimi testimoniano la presenza e l’importanza del sorbo domestico nel territorio reggiano, dalla pianura ai monti: Sorbolo Levante, Corbella di Toano. La corbella compare anche nei nomi di molte vie. A Campagnola, dove esiste una pianta di oltre un secolo, si teneva negli anni passati il Carnevale della Corbella; nel gonfalone che precedeva la sfilata dei carri era raffigurato un Sorbo o Corbella. FRUTTIFERI Specie: Susino europeo (Prunus domestica L.) ucchella di Sinonimi: Mischina, Collenghina, Pollenghina Descrizione PIANTA: di vigoria media, a portamento semi-eretto. La foglia è grande, di forma ovata o ellittica, a margine crenato, con base e apice retti. Il fiore ha petali bianchi, ellittico-allargati, e sepali allineati ai petali. frutto: è piccolo, di forma ellissoidale, leggermente asimmetrico, con buccia di colore rosso-violaceo, mediamente pruinosa; polpa di colore giallo intenso, di consistenza media; nocciolo di medie dimensioni. Situazione attuale La prugna Zucchella è presente da secoli in Emilia Romagna, in particolare nei territori di Parma, Piacenza e Reggio Emilia. In provincia di Reggio Emilia è attualmente coltivata soprattutto a Lentigione, in comune di Brescello, dove esistono numerosi impianti specializzati per una superficie di circa 6 ettari; continua entigione FRUTTIFERI Situazione attuale da questa tradizione locale è derivata la denominazione “Prugna di Lentigione”. Da alcuni anni il Comune di Brescello e i produttori, riuniti nella “Associazione per la valorizzazione della Prugna di Lentigione”, hanno avviato iniziative rivolte ad una migliore conoscenza della varietà e alla sua valorizzazione. La cultivar Zucchella è iscritta con la sigla RER V061 al Repertorio di razze e varietà locali della Regione Emilia Romagna (LR 1/2008). Caratteristiche agronomiche Elevata produttività, ma alternante negli anni. Autofertile. Produce prevalentemente su dardi. Piuttosto tollerante alle principali avversità. Fioritura nella prima decade di aprile. Maturazione nella quarta settimana di luglio-prima settimana di agosto. Caratteristiche del prodotto Le prugne di Lentigione sono consumate fresche e, soprattutto, impiegate a livello casalingo o artigianale per la produzione di confetture e marmellate. Nei terreni di Lentigione raggiungono un alto contenuto zuccherino che consente di ottenere marmellate serbevoli e di ottima qualità con l’aggiunta di solo 100 g di zucchero per kg di polpa. Le prugne Zucchella hanno dimostrato idoneità alla essiccazione, per la quale difettano però di dimensioni. Notizie storiche Non sono stati reperiti riferimenti scritti sull’introduzione nel territorio reggiano, ma è plausibile l’ipotesi che essa sia avvenuta al tempo di Maria Luigia d’Austria, seconda moglie di Napoleone Bonaparte e duchessa di Parma, il cui ducato si estendeva, a inizi Ottocento, fino alla zona di Guastalla. I primi documenti sulla presenza della Zucchella in Emilia sono manoscritti del XVIII secolo che rimandano a Noceto (PR). Usi tradizionali Per quanto riguarda gli usi alimentari, per l’elevato grado zuccherino la prugna di Lentigione è sempre stata utilizzata soprattutto per la produzione di confetture, succhi, conserve e marmellate con poco, o talora senza zucchero aggiunto. Nel paesaggio agrario di un tempo, le piante di Zucchella venivano utilizzate come sostegno vivo alla vite nelle “piantate emiliane”, come testimoniano alcuni filari relitti di Lentigione. Leggende e curiosità Il nome Zucchella deriverebbe, più che dalla forma, dalla succosità del frutto, e cioè dalla “Suchèla”, succo opalescente e dolce che se ne ottiene. La tradizione orale di Lentigione attribuisce l’introduzione della Zucchella nel territorio di Brescello alla manodopera slava chiamata da Maria Luigia d’Austria a lavorare le sue terre, dopo che una epidemia aveva decimato la popolazione, e riporta sia l’apprezzamento della duchessa per queste prugne sia l’antica tradizione contadina locale della produzione familiare di distillato ricavato dalla lavorazione della zucchella dalla spiccata sapidità. Le analisi di 10 marcatori molecolari non hanno messo in evidenza differenze genetiche tra la Prugna di Lentigione e la Zucchella di Parma e Reggio Emilia; per associare la varietà al territorio, salvaguardandone il nome di origine, è stato proposto quindi di utilizzare la denominazione “Zucchella di Lentigione” (Grandi et al., 2009; Grandi et al., 2010).