«Mascherato. Magia delle maschere» 18 ottobre 2014 – 6 aprile 2015 Percorso espositivo Le maschere esistono sin dai tempi più remoti e sono presenti in tutte le culture e civiltà. Uno dei reperti più antichi raffiguranti una maschera è il disegno di un uomo con una maschera di cervo, scoperto nella grotta preistorica di Trois-Frères nel meridione della Francia. Le maschere ci affascinano sia quando le indossiamo sia quando le osserviamo. Celando la faccia, consentono all’individuo di assumere un’altra identità. Nella nostra società le maschere hanno un ruolo fondamentale, soprattutto in occasione del carnevale. La mostra presenta una selezione di maschere provenienti da regioni della Svizzera con tradizione carnevalesca. Si possono così vedere maschere provenienti dalla Svizzera centrale, dal Sarganserland e dal Lötschental, come pure maschere larvali basilesi. Quale genere di maschera è tipico di una regione? Cosa le unisce a maschere di altre regioni o nazioni? La mostra vuole inoltre gettare uno sguardo sulle maschere extra europee, su quelle africane e giapponesi. Ritroviamo le maschere anche nel teatro, nei rituali, nelle feste, nella vita quotidiana o durante dimostrazioni di piazza. Si sono così configurate maschere di vario tipo per scopi del tutto diversi. Perciò, nella mostra sono esposte, in appassionante interazione tra di loro, maschere rituali e funerarie, maschere d’infamia o di protesta, nonché maschere teatrali e di protezione. Le maschere sono quasi sempre accompagnate da un travestimento. In questa rassegna abbiamo scelto di presentare soltanto maschere che coprono il viso. I cortei mascherati li troverete in fotografia e nei filmati al termine del circuito espositivo. E non mancate di indossare una maschera, prima di lasciare la mostra! Schweizerisches Nationalmuseum. | Forum Schweizer Geschichte Schwyz. | Postfach 140, 6431 Schwyz | T. +41 (0)58 466 80 11 | F. +41 (0)58 466 80 10 | [email protected] | www.forumschwyz.ch Maschere di carnevale Il termine «carnevale» appare nel corso del XIII secolo per indicare la notte, oppure il periodo, che precede i 40 giorni della Quaresima. Dal Medioevo, il carnevale è una ricorrenza ciclica importante che viene festeggiata con banchetti, musica, danze e mascherate. Ai rituali turbolenti del mascheramento appartiene il «mondo alla rovescia», lo scambio di ruoli relativamente al sesso e allo statuto sociale. Indicazioni sull’uso di maschere carnascialesche esistono sin dal Medioevo. I divieti del XV e XVI secolo relativi al carnevale documentano travestimenti da demonio, becco, buffone o «uomo selvatico». Materialmente, le maschere di carnevale giunte fino a noi risalgono talvolta al XVIII secolo e, in gran parte, al XIX e al XX secolo. A seconda dei luoghi, le maschere larvali sono fabbricate in cartapesta, latta, filo, cera, ma soprattutto in legno, materia prima abbondante e facile da procurarsi. Lo stimolo all’allestimento di una maschera proviene dai contatti sociali e professionali, dai drammi spirituali o secolari, come pure dalla cronaca e dall’attualità politica. Lo scherno, lo sbeffeggiamento o la critica di persone attraverso maschere caricaturali è una componente fissa del carnevale. Maschere d‘infamia Nell’Europa dei secoli XVII e XVIII le maschere d’infamia sono una forma usuale di punizione, per sanzionare reati minori, quali scappatelle coniugali, ubriachezza, litigiosità, ingiurie, villanie o lavori artigianali mal fatti. La maschera d’infamia designa il colpevole allo scherno della comunità. Spesso è associata con l’esposizione alla gogna o alla berlina. L’aspetto della maschera e le iscrizioni aggiuntive denotano la colpa: grandi orecchie designano chi origlia; una testa di maiale segnala un comportamento scurrile o adulterino, mentre una lingua lunga indica la diffamazione. La maschera d’infamia qui esposta ha la forma di una testa di buffone con lunghi sonagli in forma di orecchie. Alle maschere d’infamia in senso lato appartiene anche la maschera carnascialesca di Zugo detta Greth Schell: in una specie di gerla, la donna porta a casa il marito ubriaco vestito da Blätzlinarren («buffone pezzente»). Maschere funerarie Nel Medioevo e in epoca moderna, alla morte di un principe viene eseguito il calco del volto e talvolta dell’intero corpo del defunto. Quali sostituti simbolici questi corpi fittizi simulano la presenza e il potere anche dopo la morte del regnante. Da questa usanza si sviluppa nel corso del XIX secolo l’abitudine borghese della maschera mortuaria. I tratti del volto cadaverico di capi di Stato o di personalità del mondo culturale vengono modellati, spesso in serie, e diffusi quali ritratti idealizzati. Una forma totalmente diversa di maschere funerarie è costituita dalla danza macabra, oggetto di una rappresentazione teatrale sulla Münsterplatz a Berna nel maggio 1638. Interpreti portanti maschere mortuarie e vestiti da scheletri hanno inscenato una sorta di danza macabra, come quella dipinta da Niklaus Manuel Deutsch (1484-1530) tra il 1516 e il 1519 sulle mura del convento bernese dei domenicani, in un ciclo che iniziava con la cacciata dal paradiso. Maschere teatrali La maschera ha un ruolo importante nel teatro. Tra le maschere teatrali più celebri troviamo quelle della Grecia antica, la maschere giapponesi Nô e quelle della commedia dell’arte. Come le maschere dell’antichità classica, derivate dal culto dionisiaco, anche quelle giapponesi nascono nel XIV secolo da riti religiosi. Uno sviluppo parallelo concerne le maschere di personaggi stilizzati. Molto stilizzate sono anche le maschere della commedia dell’arte, una sorta di teatro popolare che si afferma nel XVI secolo nell’Italia settentrionale, in contrapposizione al teatro erudito. Le maschere raffigurano determinati ruoli sociali: la più nota è Arlecchino. Dalla fine del XVIII secolo l’importanza delle maschere teatrali in Europa scema. Alcuni artisti, registi e fabbricanti di maschere hanno tentato fino ad oggi di rinnovare la tradizione delle maschere teatrali. Maschere di protezione La maschere di protezione proteggono la testa, il viso e più specialmente gli occhi e le vie respiratorie durante il lavoro e lo sport o in guerra. Il soldato si protegge con un casco. Durante la Seconda guerra mondiale non soltanto i soldati, bensì anche la popolazione civile è equipaggiata con maschere antigas per evitare di inalare sostanze velenose. Le mascherine da applicare alla bocca e al naso proteggono dai virus pericolosi. Il personale medico le indossa al lavoro, per evitare il contagio a se stesso e ai pazienti. Alla popolazione si raccomanda di indossarle per evitare il propagarsi di epidemie. Maschere e caschi proteggono gli sportivi che praticano la scherma, il disco su ghiaccio, il bob, il salto con gli sci e gli sport motorizzati. Coloro che praticano attività subacquee ricorrono a uno speciale casco da immersione, mentre Bertrand Piccard si è servito di una maschera a ossigeno aeronautica per il giro del mondo senza scalo in pallone aerostatico. Maschere di protesta Le maschere rendono anonimi e hanno un effetto provocatorio. Grazie al collettivo Anonymous e al movimento Occupy Wall Street, la maschera del cospiratore Guy Fawkes diventa nel 2011 il simbolo di una protesta globale antisistema. La maschera stilizzata riproduce i tratti dell’estremista cattolico Guy Fawkes, che nel XVII secolo aveva organizzato un attacco contro il parlamento inglese. Camuffate dietro passamontagna colorati durante la loro performance di denuncia contro Putin e il Cremlino, le musiciste russe del gruppo punk Pussy Riot diventano l’icona di una nascente protesta generazionale. Poco dopo, nel mondo intero, i loro seguaci, esibendo le stesse maschere delle Pussy Riot, rivendicano la liberazione delle attiviste imprigionate. Negli anni Settanta lo sciatore svizzero Roger Staub ha creato un passamontagna che porta il suo nome, quale maschera protettiva per gli sportivi. Il berretto copre tutto il viso lasciando liberi soltanto gli occhi. In seguito, questo passamontagna è stato usato per camuffarsi durante le dimostrazioni o per compiere rapine. «Silversterkläuse» di Urnäsch Nelle campagne di Appenzello Esterno, per esempio a Urnäsch, i Silversterkläuse fanno la loro apparizione il 31 dicembre e il 13 gennaio. Se ne vanno in giro di casa in casa in tre gruppi distinti – i Schöne («belli»), i Schö-Wüeste («meno brutti») e i Wüeschte («orrendi») – per porgere gli auguri di buon anno. Portano sonagli e campanacci che fanno un gran baccano, cantano uno jodel e ricevono una mancia. I Schöne che mostriamo indossano abiti di velluto con ricami e hanno in testa un enorme copricapo sontuosamente decorato con scene di vita quotidiana. La figura femminile porta su di sé sonagli sferici, la figura maschile campanacci per le vacche. Maschere e rituali Con le maschere africane entriamo in un altro ambito culturale. In Africa il significato delle maschere è più complesso, poiché sono usate nei rituali per allontanare malattie o neutralizzare stregoni malefici. Qui le maschere significano molto più di un camuffamento o di un travestimento. L’individuo mascherato si trasforma completamente in un altro essere: uno spirito, un antenato mitico o un animale. Scompare la dualità tra la maschera e il suo portatore, che fanno tutt’uno. La maschera in legno colorato Zamble è caratterizzata dalle corna di antilope e dalle fauci di leopardo. Viene indossata dal miglior danzatore durante le cerimonie rituali dei Guro, una popolazione contadina della Costa d’Avorio. La maschera per la danza Deangle illustra invece il canone di bellezza femminile dei Dan, un popolo di agricoltori della Liberia, sulla costa occidentale dell’Africa: un bel viso femminile dai tratti perfettamente simmetrici, con fronte alta, occhi piccoli e labbra turgide. Maschere del Lötschental Le maschere del Lötschental, il cui nome Tschäggättä rinvia alle pellicce chiazzate indossate dai loro portatori, sono state «scoperte» nel 1896 dal folclorista zurighese Friedrich Gottfried Stebler. Appena un anno dopo tre di queste maschere in legno sono state acquisite per il futuro Museo nazionale svizzero. Le prime ricerche tendevano a mettere in relazione queste maschere con la cacciata dei demoni, con rituali di fertilità e culti funerari pagani. Inizia così la mistificazione delle maschere in legno del Lötschental. All’esposizione nazionale del 1939 a Zurigo, esse assurgono a quintessenza della tradizione svizzera. Oggi sappiamo che la fabbricazione di queste maschere negli anni Trenta è stata fortemente incoraggiata e influenzata dal pittore bernese Albert Nyfeler. Dagli anni Cinquanta agli anni Settanta del secolo scorso nel Lötschental le maschere sono fabbricate in serie quali souvenir turistici; costituiscono per gli abitanti della regione un’importante fonte di reddito. Maschere della Svizzera orientale: Sarganserland, Domat/Ems Nella regione di Sargans (SG) si sviluppa nella seconda metà del XIX secolo una tradizione autonoma in fatto di maschere. Tradizione segnata dagli intagliatori su legno di Flums Niklaus Bless, Justus Stoop, Franz e Alois Honegger, Walter Mullis, nonché Georg Emil Kalberer di Mels. Fabbricano tipi caratteristici di maschere, come per esempio la maschera Chrottni, figura stilizzata della moglie troppo curiosa di un mastro di posta. Sono fabbricate da contadini e operai, intagliatori a tempo perso. Le creazioni di Albert Anton Willi di Domat/Ems (GR) si distinguono per originalità. Al di fuori di qualsiasi tradizione locale, da semplice autodidatta, crea la propria opera e inventa un suo linguaggio espressivo, forse prendendo ispirazione dalla lettura di riviste missionarie. Di solito funge lui stesso da modello: ritaglia smorfie e boccacce davanti allo specchio e le riporta sulle maschere larvali. Dal 1930 le maschere di Willi sono caratterizzate da una grande varietà di forme e da forte espressività. Maschere larvali basilesi L’origine delle tipiche maschere larvali basilesi in cartapesta risale agli anni Venti del secolo scorso. Fino ad allora le maschere non erano fabbricate a Basilea ma provenivano in gran parte dal Nord Italia, dalla Francia e dalla Turingia, raramente dalla Svizzera orientale. Ci si procurava le maschere, bell’e pronte, in tela cerata, cartone o cartapesta, nei negozi di giocattoli o presso noleggiatori di costumi. Per poter scegliere le forme e i colori delle maschere, nel 1921 il gruppo carnevalesco (Clique) Olympia decide di commissionare a uno scenografo locale la creazione di una maschera larvale di cartapesta. Negli anni seguenti i fabbricanti basilesi di maschere Adolf Tschudin e Alphonse Magne perfezionano la tecnica di rifinitura. Dal 1925, grazie a un concorso indetto dalla ditta Métraux e a una sovvenzione statale per la creazione artistica, grafici e artisti basilesi inventano nuove maschere a ogni carnevale. Maschere della Svizzera centrale: Lucerna, Kriens A Lucerna, roccaforte carnevalesca della Svizzera centrale, non esiste un tipo di maschera ben definito, fatta eccezione del Fritschi, il capo della corporazione dello zafferano. L’arte del mascheramento è caratterizzata da una grande varietà ed è in continua evoluzione. Si può tuttavia evidenziare un elemento caratteristico: il volto maschile esageratamente caricaturato e macchiato. Sugli intagliatori delle maschere in legno di una volta, sappiamo ben poco, eccezion fatta per Casimir Grüter. Le maschere in legno hanno invece un’importante tradizione a Kriens, un sobborgo di Lucerna. All’inizio del XX secolo sono apparse le maschere tipiche: Deckel («coperchio»), Bärnerwiib («donna bernese») e Wöschwiib («lavandaia»). Partecipando al corteo mascherato di Lucerna con le loro maschere particolari gli abitanti di Kriens vogliono marcare la differenza rispetto alla città. Le maschere in legno sono intagliate durante il tempo libero da contadini, artigiani, maestri di scuola, operai e magazzinieri. Maschere della Svizzera centrale: Svitto, Steinen, Muotathal, Einsiedeln, March Quasi ogni comune del Canton Svitto ha le proprie maschere tipiche. Nel capoluogo cantonale sono note sei maschere principali: Blätz, Domino, Bajazzomäitli, Alter Herr, Hudi, e Zigeunerin. Il Blätz deriva dalla figura di Arlecchino. Anche Domino e Bajazzomäitli sono ispirati dal teatro improvvisato italiano, molto apprezzato nella regione nel XVIII secolo. Le maschere sono fabbricate in cera e, dagli anni Settanta, anche in legno. Nella vicina località di Steinen i gruppi mascherati fanno riferimento a due figure principali Talibasch e Välädi. Nel villaggio di Einsiedeln, celebre per il suo convento, i tipi più noti di maschere sono Johee, un povero casaro svittese, e Mummerie, un cencioso mercante di cavalli. Straordinaria la maschera diabolica che guida il corteo del lunedì di carnevale. Il Märchler Rölli, una maschera del distretto di March creata nel 1875, si è mantenuto da allora praticamente immutato. Maschere di «Pöldi» Il pittore e scultore Leopold Häfliger (1929-1989) passa per l’enfant terrible del mondo carnascialesco lucernese. Per decenni ha progettato maschere e costumi per la Bohème-Musig, segnando non soltanto questa Guggen, bensì anche il volto carnevalesco della città. L’espressione bislacca e esagerata delle sue maschere corrisponde al temperamento espansivo delle sue pitture. Non di rado «Pöldi», come tutti lo chiamavano, era costretto a pagare l’affitto e il vitto con quadri o maschere. Spesso le fabbricava addirittura per procurarsi di che vivere. Maschere grottesche svittesi Queste smorfie grottesche ci guardano ringhianti e diabolicamente maliziose. Dal punto di vista stilistico appartengono all’universo delle maschere in legno della Svizzera centrale. Sono probabilmente originarie dei distretti svittesi di March, Höfe e Einsiedeln e delle località di Steinen, Brunnen o Arth. Se queste maschere, un tempo parte della mostra permanente del museo Archivturm, siano state davvero usate nella città di Svitto rimane un mistero. Nel XIX secolo nel capoluogo cantonale s’indossavano piuttosto maschere di cera, di stoffa o di cartapesta. Probabilmente, sono state acquisite dal fondatore della società museale svittese Max Felchin senior e sono così entrate nelle collezioni del museo. Artigianato artistico tradizionale I modelli in gesso e le maschere qui esposte provengono dal «Maskenatelier Steiger» di Steinen. Dal 1992 Verena Steiger dirige da sola l’atelier e produce manualmente maschere tradizionali e altre di sua creazione, in cera, filo, cartapesta, acrilico o cuoio. I committenti sono soprattutto gruppi carnascialeschi, oppure trovarobe che lavorano per il teatro e la televisione. Il vero fiore all’occhiello dell’atelier è la produzione di maschere originali per i carnevali di Svitto e Uri. L’origine dell’atelier Steiger va cercata a Speicher, nell’Appenzello. Qui, Rosa Müller fonda nel 1927 una bottega artigianale per la fabbricazione di maschere in cera; nel 1974 vende la «Maskenfabrik Müller» alla fabbrica di filaticcio Camenzind & Co. di Gersau. Thomas e Verena Steiger-Zwissig la rilevano nel 1982 e aprono nel 1988 l’atelier a Steinen. Al prezioso patrimonio dell’atelier Steiger appartengono circa 600 modelli in gesso provenienti dalla precedente fabbrica. Cinematografia Lötschentaler Masken Aus: Schweizer Filmwochenschau vom 01.04.1960 Schweizerisches Bundesarchiv Schwarz/weiss, mit Ton, 2‘33‘‘ © Schweizerisches Bundesarchiv Larvenschnitzer Aus: Antenne vom 05.03.1965 Schweizerisches Bundesarchiv Schwarz/weiss, mit Ton, 2‘28‘‘ © 1965 Schweizer Radio und Fernsehen Wilde Kerle mit hölzernen Masken im Lötschental Aus: Gelebte Tradition, Schweizer Volksbräuche, 2014 Farbe, mit Ton, 5‘27‘‘ © Neue Zürcher Zeitung Silvesterchlausen im Appenzellerland Ein Film von Thomas Rickenmann Farbe, mit Ton, 7‘38‘‘ © ExtraMileFilms GmbH / Thomas Rickenmann, Wattwil 2011 Nô – Das Geheimnis der Stille Ein Film von Thomas Schmelzer Farbe, mit Ton, 9‘30‘‘ © WDR, arte & Nightfrog 2004 Westafrika Aus: Masken. Kulturelle Eigenheiten Farbe, mit Ton, 1‘30‘‘ © SF Schweizer Fernsehen / SF Wissen myschool 2007