Seminario Bi-Regionale Storie di lavoro e legalità tra Calabria e Sicilia. Una nuova narrazione del Terzo settore 1 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia Premessa Maria Lucia Serio e Nunzia Coppedè Nella caratteristica cornice di Santa Maria Alemanna a Messina si è svolto il seminario biregionale Calabria e Sicilia che si colloca all’interno di una prospettiva di lavoro che vede il confronto tra quadri e dirigenti di Terzo settore delle due Regioni, per molti aspetti simili e per altre molto diverse, come un momento di scambio culturale e di conoscenza reciproca teso al rafforzamento delle relazioni umane e alla ricerca e costituzione di percorsi di collaborazione tra le singole organizzazioni e reti. La motivazione che ha guidato la scelta del tema è stata quella di proporre una nuova narrazione della legalità e del lavoro da parte del Terzo Settore calabrese e siciliano, nei cui territori le contraddizioni tra “la legalità pensata e rappresentata, da una parte e la legalità agita e praticata dall’altra” (Costabile, Fantozzi, 2012, pg. 12) appaiono più stridenti e anche più diffuse. I due temi, affrontati anche nel corso delle singole programmazioni regionali nell’annualità 2014, sono stati declinati nei settori dell’Immigrazione, della Salute, dei Beni confiscati, dell’Ambiente e Territorio, nei cui ambiti il Terzo settore svolge un ruolo di primo piano. Le domande da cui siamo partiti sono state: in che modo le organizzazioni lavorano su questi temi? Agiscono dentro un quadro di valori etici oppure a volte, per sopravvivere, galleggiano in una zona grigia, ambigua? Quali sono le criticità e le azioni che il Terzo settore dovrebbe intraprendere per un suo rafforzamento? Per esempio. Nei servizi di accoglienza agli immigrati è un Terzo Settore che favorisce un’inclusione sociale o lascia ai margine quelle persone che apparentemente ospita (vedi CARA/CIE)? Nel contribuire all’economia e all’occupazione lo fa garantendo diritti o per rimanere a galla non sempre riesce a tutelare i lavoratori? Nell’accettare di gestire servizi con personale volontario se da un lato risponde ai bisogni delle persone (diventando stampella del servizio pubblico inefficiente) dall’altro non sempre riesce a tutelare gli operatori retribuiti. Riguardo la gestione dei beni sottratti alla mafia, esempio di riscatto e allo stesso tempo di investimento sociale, economico e culturale, il Terzo Settore che difficoltà incontra? Nella tutela dei nostri territori e dell’ambiente, a volte si registra una scarsa presenza che ci vede spettatori silenti, se non addirittura complici. In che modo il Terzo Settore può lavorare per favorire un uso dei beni naturali/ambientali ecc. favorendo lo sviluppo locale e la qualità della vita dei cittadini? Nei servizi alla persona si riesce a garantire l'etica e la legalità anche nelle strutture più ghettizzanti? 2 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia Tutte queste questioni sono state poste al centro dei lavori di gruppo condotti da un rappresentante del Gruppo di Pilotaggio, esperto nella materia, e dai formatori in qualità di facilitatori. I risultati sono stati presentati in plenaria per giungere ad un documento condiviso che raccogliesse delle indicazioni da portare avanti nei territori. Al seminario hanno partecipato anche rappresentanti di Organizzazioni di terzo settore che aderiscono alla Consulta delle Organizzazioni sociali di Messina, con la quale è stato organizzato l’evento. Metodologia e strumenti Le diverse metodologie adottate (lavori di gruppo, performance teatrale, talkshow, musica, dibattito, ecc.) avevano un triplice obiettivo: innanzitutto mettere insieme modalità di apprendimento più partecipative e innovative, in secondo luogo fornire diversi spunti di riflessione; ed infine definire, in maniera condivisa e con il contributo di tutti i partecipanti, alcune piste di lavoro da sviluppare in una fase successiva nei singoli territori. La scelta del tema e delle metodologie è stata preceduta da diversi incontri, sia in presenza che via skype, tra i componenti del Gruppo di Pilotaggio e gli staff. La costante condivisione dei singoli step anche via email, ha consentito l’armonizzazione di ogni fase del seminario che si presentava molto complesso ed articolato. I formatori del laboratorio di comunicazione hanno documentato con un report narrativo e un video (http://youtu.be/td416b-YmmI) tutto il percorso. 3 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia I report dei lavori di gruppo Ambiente e Territorio a cura di Filippo Sestito e Tiziana Tarsia L’azione del Terzo settore nell’impegno per la difesa del territorio e dell’ambiente si è sviluppato, in generale, nella direzione di un ruolo sempre più consapevole e partecipato: si è passati così dalla progettazione ad hoc di mere azioni di mobilitazione e interdizione strettamente legate ad urgenze ed emergenze, come ad esempio la necessità di bloccare l’ampliamento a dismisura di discariche nelle regioni, per evolversi nella direzione di una modalità di azione che impegna gli attivisti in percorsi sistematici e continui di sensibilizzazione e di responsabilizzazione del cittadino e delle amministrazioni locali ad esempio nell’affermare una nuova gestione pubblica e partecipata del ciclo dei rifiuti partendo da una reale raccolta differenziata, dal riciclo e dal riuso. L’idea è quella di agire non solo per limitare i danni in relazione a situazioni circostanziate ma piuttosto di intervenire in maniera più profonda e radicale costruendo dal basso una cultura di rispetto e difesa del proprio territorio pur mantenendo lo sguardo su ciò che avviene a livello nazionale ed europeo: è necessario così vigilare e intervenire diventando presenza costante e consolidata, interlocutore riconosciuto e riconoscibile in grado di sedere ai tavoli di discussione e di sollecitare soluzioni innovative e creative. Un lavoro, quindi, questo che sottolinea la necessità di un’attenzione costante e diffusa, della capacità di leggere il proprio territorio, dell’impegno ad interessare e coinvolgere la società civile rinvigorendo e, ove necessario, ricostruendo il patto sociale che sta alla base di interventi sinergici, mirati ed efficaci. Le questioni legate alla difesa dell’ambiente e del territorio coinvolgono e interessano attori sociali che ricoprono ruoli differenti e che hanno, di per sé, competenze, possibilità e modalità di intervento diverse. È fondamentale quindi conoscere ruoli e potenzialità delle amministrazioni, del terzo settore, del cittadino singolo per poter costruire insieme percorsi realmente sostenibili e condivisi. In tal senso la discussione nel gruppo di lavoro ha generato alcune proposte operative a partire dalle narrazioni delle esperienze dei singoli membri del gruppo. Da una seppur breve analisi dei casi riportati e dal confronto reciproco si è evidenziata l’opportunità, l’utilità e l’urgenza che il Terzo settore ricopra un ruolo di mediatore tra le amministrazioni locali e cittadino con l’intento di: instaurare e, in seguito, implementare un rapporto di fiducia che sembra venir meno; 4 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia costruire alleanze tra i diversi attori sociali nella distinzione di ruolo e di responsabilità; contribuire ad una informazione puntuale e certa di tutta la società civile; proporre soluzioni creative per situazioni molto complesse; intervenire sul territorio, direttamente con le persone, per permettere la sostenibilità dei percorsi di sensibilizzazione e consapevolizzazione intrapresi; riconoscere la fatica di tutti gli attori sociali interessati (comprese le amministrazioni locali) nel trovare soluzioni adeguiate a problemi complessi e “scottanti” come quelli che solitamente riguardano l’ambiente e il territorio. In altre parole occorre ridisegnare un nuovo assetto sociale e di governo del territorio, ricostruire nuovi spazi democratici, rinnovare gli strumenti di partecipazione, di controllo e condivisione degli indirizzi e delle scelte che interessano le comunità, a partire dalla pianificazione urbanistica. Una programmazione pubblica effettiva e “democratica” delle nostre città, che abbia come obiettivo principale quello di superare le scelte urbanistiche figlie del pensiero neoliberista, richiede un altro tipo di partiti e di organizzazioni sociali; un’amministrazione pubblica con le competenze tecniche e politiche necessarie a governare nuovi e più complessi processi. Si chiede così al Terzo settore di riscoprirsi attore sociale dinamico e coinvolgente, capace di interloquire a diversi livelli e in grado di interfacciarsi con i vari attori sociali interessati nelle questioni ambientali e del territorio. Insomma, solo restituendo la sovranità delle scelte alle comunità con il compito di predisporre la pianificazione delle nostre città, potremo essere capaci, come Terzo settore, di elaborare forme di partecipazione e di democrazia in grado di garantire la cura del territorio e dei beni comuni, nonché la soddisfazione dei bisogni essenziali delle comunità. Un Terzo settore, quindi, che si faccia carico del proprio ruolo di: advocacy e sostegno in modo da riappropriarsi della dimensione politica che gli appartiene; controllo, sorveglianza, denuncia; sensibilizzazione in funzione dell’acquisizione di stili di vita adeguati; facilitazione di processi, anche solo con un compito meramente organizzativo (ad esempio nella gestione pratica della raccolta differenziata nelle scuole e nelle famiglie); Un Terzo Settore, infine, in grado di: fare analisi di contesto e ricavarne informazioni puntuali e precise. conoscere e comprendere gli strumenti normativi esistenti. non fermarsi solo ad azioni di interdizione ma lavora per costruire percorsi di responsabilizzazione. favorire l’ affermarsi di un nuovo modello economico e sociale. 5 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia Beni Confiscati a cura di Luciano Maria D’Angelo e Marisa Meduri Il capitolo dei beni confiscati del recente percorso del movimento antimafia nasce da una storia di silenzio operoso e di civica testimonianza: la storia di tante persone, tante donne e uomini, che nel loro agire quotidiano, nel silenzio, senza clamori mediatici, combattono la mafia. L’uso dei beni confiscati è uno degli esiti odierni di una storia di rinascita, di rinascita di quel popolo di cittadini consapevoli e responsabili che oggi utilizzano i beni confiscati e che grazie a quest’uso ha iniziato a riprendersi la parola di libertà dalla mafia e di economia legale dei territori. La vigile attenzione ai fenomeni sociali e politici delle nostre realtà meridionali ci sollecita a denunciare un emergente comportamento pubblico: alle parole di un popolo che rinasce nella libertà dalla mafia è subentrato un nuovo grave silenzio, quello delle istituzioni locali e della politica nel suo insieme. Un silenzio che si percepisce, non tanto nel clamore di successi dell’azione repressiva della magistratura e delle forze dell’ordine o nelle oramai rituali commemorazioni, ma nel quotidiano dei Comuni e delle Città, del meridione italiano soprattutto. La possibilità di utilizzare per scopi produttivi e sociali i beni confiscati, si deve a Pio La Torre, cui va il merito politico e di propositività legislativa di aver intuito che lo strumento più efficace per fronteggiare le mafie era quello di intaccare il patrimonio delle famiglie mafiose, di eradicare gli interessi diretti e personali dei boss nei territori sottoposti al loro potere criminale e alla collusione con la finanza nazionale ed internazionale. L’uccisione, per mano di mafia, di questo eminente politico siciliano, avvenuta il 30 aprile 1982, e successivamente l’approvazione dell’art.416 bis, nello stesso anno, sull’onda di sdegno popolare seguita alla barbara uccisione del Prefetto Dalla Chiesa e della giovane moglie, e sostenuta dai giudici maggiormente impegnati nella repressione dell’organizzazione mafiosa, hanno aperto la strada per l’uso sociale e produttivo del patrimonio confiscato ai mafiosi di “Cosa Nostra” o appartenenti alle altre mafie. Purtroppo ogni avanzamento nel cammino di liberazione dalle mafie è cosparso di sangue innocente e di persone giuste, versato quasi a sigillare la bontà delle idee e delle azioni intraprese in vita da costoro contro il fenomeno criminale delle mafie. Il procedimento che permette l’alienazione dei beni dei mafiosi a carico di sospettati di appartenenza all’organizzazione mafiosa avviene su richiesta del giudice inquirente, con il sequestro preventivo e cautelativo di patrimoni cui non è riconosciuta la provenienza lecita, a seguito di accertamenti fiscali e contabili da parte degli organi di polizia giudiziaria e della guardia di finanza. La confisca avviene successivamente e si realizza definitivamente a seguito di un giudizio di colpevolezza e condanna per comprovata appartenenza all’organizzazione mafiosa. 6 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia La natura dei beni confiscati è duplice: mobiliari (denaro contante, titoli, beni strumentali, automezzi, ecc.) ed immobiliari. Questi ultimi possono essere aziendali o legati alla persona. I beni aziendali sono destinati a subire un’amministrazione giudiziaria che deve mantenere il carattere imprenditoriale e di mercato. Le imprese sottoposte a confisca sono aziende difficili da gestire. Di fatto sono false aziende, nel senso che non nascono confrontandosi con un mercato libero. Infatti tali imprese economiche godono di una condizione di privilegio dovuto al condizionamento criminale del mercato operato dalle famiglie mafiose, che impongono ai produttori e ai commercianti locali di utilizzare prodotti e servizi delle loro stesse aziende, viziando pesantemente il libero scambio di merci e realizzando profitti, altrimenti impossibili da raggiungere. In tante occasioni tale attività economiche sono copertura per il riciclaggio di somme che, grazie alla loro quantità e disponibilità di contante, rappresentano un vantaggio competitivo iniquo a detrimento del lavoro degli imprenditori e commercianti onesti. Intervenendo l’amministrazione giudiziaria delle aziende confiscate, che segue le regole trasparenti di un mercato legale, tali imprese svelano la loro intrinseca natura antieconomica e cade il velo della viziata o addirittura fasulla rete di clienti e fornitori. Alcuni aspetti operativi dell’affidamento dei beni immobili confiscati. I beni immobiliari, in stragrande maggioranza abitazioni e terreni agricoli, in proprietà alla persona fisica, riconosciuta mafiosa e condannata per tale reato di appartenenza, sono regolamentati dalla L. 109/96, che ne prevede l’affidamento, oltre ai corpi ed uffici dello Stato e degli Enti pubblici per finalità istituzionali, ad Enti del terzo settore, anche senza personalità giuridica, come le associazioni non riconosciute. Si tratta concretamente di una forma di risarcimento alla comunità, una modalità civica e legale per riportare fiducia e far sentire la presenza dello Stato in quelle comunità dove era ed è ancora forte la presenza della criminalità organizzata. Il bene confiscato deve essere destinato ad un’attività identificata previamente all’affidamento dello stesso. I Comuni, nella stragrande maggioranza dei casi, sono gli Enti pubblici che provvedono all’assegnazione del bene confiscato, in quanto la norma stabilisce che i beni confiscati rientrano nel patrimonio immobiliare inalienabile del comune dove essi sono allogati. Per cui l’Ente locale si ritrova possessore di beni anche indipendentemente dalla volontà di acquisirli. Tale assenza di volontà di governo locale dei beni provoca anche un rallentamento dell’iter di assegnazione del bene stesso, con nocumento sull’integrità e funzionalità patrimoniale, in particolare nel caso di edifici da adibire ad abitazioni od altri usi residenziali. Nei primi tempi di applicazione della norma, ovvero nel corso delle prime sperimentazioni, i Sindaci, direttamente investiti della gestione del patrimonio confiscato transitato dal demanio delle Sato, in assenza di un regime di controllo, hanno esercitato una sorta di arbitrarietà nell’assegnazione dei beni ad enti del privato sociale, previsti dalla norma, ma seguendo alcune volte interessi di mero consenso politico. 7 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia Attualmente nel caso di assegnazione ad enti del privato sociale si realizzano procedure di evidenze pubbliche ed in ogni Comune, cui possiede beni confiscati, deve aver predisposto un regolamento per l’affidamento e la gestione del bene stesso. Accade che tra il sequestro e la concessione del bene confiscato passino tanti anni ed il bene si sia ammalorato per incuria o, più delle volte, per danneggiamenti dolosi. Tanti immobili residenziali si trovano in condizioni di non essere immediatamente fruibili. All’atto dell’affidamento consigliamo ai potenziali affidatari, enti di terzo settore, di effettuare un sopralluogo congiunto con i tecnici comunali ed un tecnico di parte incaricato dal soggetto affidatario: in tale occasione è buona pratica redigere un verbale congiunto di consistenza dello stato dei luoghi e dell’immobile, che attesti quanto effettivamente rilevato. Tale procedura è indispensabile per evitare che sull’ente affidatario ricadano oneri eccessivi di manutenzione straordinaria che possono inficiare gravemente l’attività sociale per cui il bene viene concesso. Nella recente casistica si sono registrate revoche di assegnazioni a danno dell’Ente di terzo settore a causa della contestazione della non realizzazione delle attività previste nel contratto di assegnazione. Oltre il danno anche la beffa. È necessario sapere che le manutenzioni straordinarie sono comunque a carico dell’Ente proprietario, che resta sempre il Comune, il quale essendo Istituzione pubblica non può in alcun modo far gravare al privato una miglioria patrimoniale, configurandosi l’istituto giuridico dell’illecito arricchimento, perseguibile per legge e soggetto all’obbligo di ristoro del valore patrimoniale illecitamente ricavato. Quindi attenzione ai contratti di affidamento ed alle clausole vessatorie della burocrazia comunale. Il monitoraggio su beni assegnati, a carico di Ente locale e della Prefettura è lasciato alla discrezionalità del Prefetto e del Sindaco, ed è realizzato in merito all’uso del bene e non alla funzione sociale esercitata. Non è un aspetto secondario per quanti considerano il significato pubblico civico e di legalità che può rivestire dell’affidamento medesimo di fronte alla popolazione locale. Si pensi che molte associazioni affidatarie tendono a gestire il bene nell’ambito delle attività ordinarie e private degli enti stessi e non per azioni a favore dell’intero territorio, apparendo così corpi a sé stanti nella comunità. In tal modo, il principio della restituzione alla comunità, il ristoro sociale e di sviluppo cui è ispirato originariamente l’uso del bene confiscato, divengono elementi secondari, se non addirittura accessori e mortificati. La popolazione non ha percezione e consapevolezza immediata della presenza e del significato dell’assegnazione di questi beni. Occorre realizzare percorsi di educazione alla cittadinanza, adottare strategie di animazione comunitaria, mirata ad informare e coinvolgere la comunità nella gestione del bene. 8 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia Quale ruolo può quindi avere il Terzo Settore? Due elementi connotano una risposta: un ruolo politico: ovvero di richiesta di percorsi trasparenti ed oggettivi nella assegnazione ed uso dei beni; un corretto uso del bene, finalizzato ad azioni rilevanti e significative di sviluppo civile, sociale ed economico per l’intera comunità. Nello specifico il Terzo Settore deve tendere a: conoscere la lista e la mappa dei beni disponibili, conoscenza che deve avvenire attraverso percorsi trasparenti e non sulla base di conoscenze personali; partecipare in modo attivo alla creazione del regolamento comunale per i beni confiscati, coadiuvando il comune ad adottare una logica di progettazione partecipata e pretendendo anche percorsi di partecipazione ed assegnazione trasparenti; monitorare il processo, vale a dire indurre gli enti preposti (Prefettura e Comune) ad effettuare il monitoraggio, che deve riguardare la funzione sociale del bene stesso; animare la comunità, in modo che quel bene possa essere fruito e restituito alla comunità stessa; lavorare per la visibilità e la bontà degli enti gestori, dando evidenza pubblica a quanto sinora compiuto; considerare il bene confiscato un mezzo e non un fine della propria azione, destinandolo ad attività dedicate e non alla gestione ordinaria dell’ente. Migrare: progetto di vita e risorsa a cura di Salvatore Daidone e Eugenio Vite Nel campo dell’immigrazione il Terzo Settore in Calabria e Sicilia è e può essere maggiormente protagonista di nuove narrazioni, dalle nostre esperienze migliori e anche da una diversa comunicazione della realtà che emerge dai dati più aggiornati e precisi. L’obiettivo è che il Terzo Settore sia (o diventi) ciò che è: abilitante per soggetti di diritto che arrivano nelle nostre regioni con progetti di vita importanti e che sono già risorse per i nostri territori e per il nostro Paese. Nonostante il dibattito pubblico vada in altre direzioni, il Terzo Settore è chiamato a un’azione d’impegno nella promozione. I dati e le statistiche in merito agli stranieri sono caratterizzati da relatività, per la natura stessa del fenomeno. Proprio per questo carattere i dati più precisi sono spesso poco conosciuti e poco diffusi. Il quadro che emerge dall’ultimo Dossier Statistico Immigrazione 2014 – Rapporto Unar restituisce, infatti, una situazione che sembra lontana dalle “narrazioni” più diffuse sull’immigrazione e nel dibattito pubblico e politico. 9 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia In Italia le persone “sbarcate” nei primi mesi del 2014 sono state oltre 130 mila (nel 2006 sono state 22 mila), le regioni maggiormente esposte a questo flusso tipicamente mediterraneo sono proprio la Calabria e la Sicilia. Nonostante ciò, queste due regioni si dimostrano essere “terre di passaggio”: sia in Calabria sia in Sicilia la percentuale di stranieri residenti sulla popolazione regionale si attesta intorno al 3% in Sicilia e al 4% in Calabria, molto sotto la media nazionale dell’8%. Altro punto che interessa l’Italia intera è il numero di richiedenti asilo: nel 2013 sono stati poco più di 26mila, a fronte delle oltre 127 mila richieste ricevute dalla Germania nello stesso anno. In un momento di risorse pubbliche e private scarse a causa della crisi economica e della crisi del welfare state, la persona immigrata in Italia è spesso considerata come un problema per la sicurezza e per la coesione interna nella nostra nazionale. La realtà, anche in questo caso, è molto diversa e le persone immigrate sono, di fatto, risorsa per un paese in crisi: La popolazione immigrata è indispensabile come forza lavoro, sebbene ancora in posizione di subalternità. Lo sfruttamento così come le potenzialità sono però elevati: secondo i dati del Censimento 2011 il 10% circa degli immigrati ha una laurea e il 32% un diploma. Grazie alla giovane età, la popolazione immigrata ha un impatto positivo sulla previdenza sociale: sono fruitori marginali del sistema pensionistico, e nel 2012 sono stati versati da questa parte di popolazione quasi 7 miliardi di euro di contributi. Lo stesso apporto positivo è fornito dal punto di vista demografico. In Italia, in media, si contano 1,3 figli per le donne italiane, 2,1 per le straniere. In Sicilia, nel corso del 2013, i nati da entrambi i genitori stranieri sono stati il 7% del totale, in Calabria quasi il 5% (dati ISTAT). Le percentuali quasi raddoppiano se si considera uno dei due genitori stranieri. Anche per la scuola è grande la ricchezza esistente: in Sicilia la popolazione scolastica straniera arriva a oltre 24 mila alunni, in Calabria a circa 14 mila. Questi ragazzi costituiscono importanti segni di una società civile proiettata al futuro e allo sviluppo socio economico. Nonostante la crisi, il numero delle imprese immigrate è cresciuto del 9,6% tra il 2011 e il 2013 mentre nello stesso periodo le imprese italiane sono diminuite dell’1,3%. Sappiamo che la ricchezza è prodotta dalle imprese e pertanto si presuppone che le aziende costituite abbiano contribuito alla crescita del Prodotto interno Lordo, e alla realizzazione di veri progetti di vita in un continente nel quale la ricchezza è maggiore rispetto ai paesi Africani dove in molte nazionalità esistono guerre e miseria. Questo quadro statistico può essere considerato la base di una riflessione culturale e politica che scardini lo schema fin qui imperante che vede nel fenomeno migratorio un problema di sola sicurezza. I centri di accoglienza, nonostante la definizione, sono pensati come luogo di repressione e infine di scontro tra esseri umani (immigrati contro le forze dell’ordine). Esiste dunque in Italia e nelle nostre regioni in particolare una questione che lega legislazione nazionale, catene migratorie e progetti di vita delle persone e lavoro nero e sfruttamento. Seppure sembri che siamo lontani dal considerare i migranti come una risorsa, 10 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia esistono esperienze positive che raccontano che è possibile valorizzare le doti umane e sociali, e il Terzo Settore ne è protagonista. Possiamo affermare che ogni processo d’integrazione può essere più facile e più rapido se ci sono norme che agevolano, politiche che indirizzano e iniziative sociali e culturali che promuovono processi di Civiltà e di sviluppo socio economico. I cittadini calabresi e siciliani risultano accoglienti, capiscono la sofferenza di chi è costretto a spostarsi alla ricerca di una vita migliore o di una dignità perduta, proprio come hanno fatto e continuano a fare gli emigrati nati in queste regioni, con la speranza di trovare un futuro migliore. Per questo, il Terzo Settore è chiamato oggi più che mai, nelle nostre regioni colpite dalla crisi economica e sociale, a promuovere. A muovere per primo, per certi versi a “smuovere” (anche dalle criticità al proprio interno): Promuovere, innanzitutto, un’informazione corretta e giusta sul tema e sulle risorse utilizzate (ad esempio, gli euro destinati agli migranti, mentre vanno alle strutture). In un’epoca di risorse scarse, è necessario fare esperienza del migrante come risorsa da “abilitare”, tutelare nei diritti, e non sfruttare. Promuovere l’unione tra accoglienza e integrazione, mettendo il migrante al centro della comunità: per superare concretamente l’etichetta di “emergenza sicurezza”, soprattutto a partire dall’impegno a rimuovere ciò che di fatto genera questa immagine nei territori più esposti. In questo il Terzo Settore, in Calabria e in Sicilia, è già parte della soluzione con diverse esperienze positive di integrazione e lavoro. Ad esempio nelle scuole, dove può realizzarsi dalle generazioni più giovani la conoscenza e l’integrazione tra nativi e migranti. Promuovere soluzioni innovative in contesti, come quello calabrese e siciliano, in cui i servizi pubblici non sempre sono idonei, a causa di approcci culturali oppure di scarsità di risorse. È necessario che il Terzo Settore realizzi atti propositivi per trovare soluzioni insieme allo Stato, laddove quest’ultimo non sappia trovarle e soprattutto laddove le situazioni sono più delicate. Promuovere un lavoro non isolato con gli immigrati. Su questo aspetto si colgono molte criticità nel lavoro del Terzo Settore nelle nostre regioni, che a volte partecipa allo “sfruttamento” visto nel quadro iniziale. Per questo il Terzo Settore attua la propria missione, soprattutto in questo campo, quando realizza la propria vocazione: ovvero comprendere tutte le situazioni ed agire a partire da quella comprensione. Salute a cura di Nunzia Coppedé e Antonia Rosetto Ajello Nel gruppo che ha affrontato Il Terzo Settore e il complesso mondo della sanità, su proposta dell’esperta che ha introdotto l’argomento, si è partiti dal diritto alla salute della singola 11 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia persona per valutare il ruolo del terzo settore in quanto gestore di servizi e il mantenimento dei requisiti necessari a garantire il diritto alla salute dei fruitori dei singoli servizi. Molte organizzazioni del Terzo Settore lavorano e gestiscono servizi di assistenza in strutture sanitarie e/o sociosanitarie: RSA, RSD, Centri diurni, Centri di riabilitazione, ambulatori associati, assistenza domiciliare integrata, Comunità terapeutiche per le dipendenze, ecc…, tutti servizi soggetti all’abilitazione e in molti casi all’accreditamento con il pubblico. In questi ambiti, in particolare negli ultimi anni, si è assistito ad un proliferare di imprenditori, organizzazioni profit che hanno preso in gestione servizi sanitari e sociosanitari, favorendo la concorrenza tra il profit e non profit. Alcune domande sorgono spontanee, in tal caso il Terzo Settore fa la differenza? Favorisce l'etica professionale e la legalità contrattuale nei rapporti di lavoro? Come affronta i conflitti tra le flessibilità, i carichi di lavoro e le azioni necessarie a favorire la qualità della vita e la presa in carico delle persone. Promuove strumenti di partecipazione attiva dei fruitori del servizio? Un esempio per tutti il Comitato degli Utenti. Lavora per rafforzare la rete sociale della persona in carico favorendo la sua inclusione sociale? Per valutare l’esistente e per mettere dei punti fissi di riferimento, necessari per comprendere se il Terzo Settore opera con la prospettiva di garantire sempre e comunque il diritto alla salute della persona nelle strutture e nei servizi sanitari e sociosanitari, prendiamo in considerazione le finalità della normativa Mondiale, Europea e Nazionale, lasciando che le due regioni in causa siano analizzate esclusivamente nella loro capacità di applicare tali direttive anche nella loro differente legislazione, considerato che la Sicilia è una Regione a Statuto speciale. Il nostro punto di partenza non può che essere la Costituzione italiana, con l’art. 32 che recita “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”. L’Organizzazione mondiale della salute, si fa sostenitrice sin dal 1946 di questa ampiezza della connotazione del concetto di salute quando esprime: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità” e chiede ai governi di adoperarsi responsabilmente, attraverso un programma di educazione alla salute, per la promozione di uno stile di vita consono allo sviluppo di condizioni pratiche in grado di garantire ai cittadini un alto livello di benessere. A questi principi aggiungiamo anche quanto affermato nella Carta di Ottawa 1, precisamente che: “Grazie ad un buon livello di salute l’individuo e il gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente e di adattarvisi”. Si identifica così nella salute qualcosa che, espandendosi oltre i confini 1 Documento redatto nel 1986 durante la prima “Conferenza internazionale per la promozione della salute” 12 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia del soggetto che ne gode, diventa un mezzo propulsore di ulteriori positivi interventi, adattamenti e modificazioni nel proprio ambiente. In Italia accogliendo i principi dell’OMS, la Legge n° 833 del 1978, definisce che per garantire la salute fisica e psichica è necessaria la prevenzione come supporto al benessere generale dell’individuo e sostiene inoltre la necessità di formare una “moderna coscienza” di cura della salute sulla base di una adeguata educazione del cittadino e della comunità. L’ICF2 promuove la centralità e la valorizzazione della persona, il rovesciamento dei termini, parlando in positivo (di funzioni, strutture, attività e partecipazione anziché di impedimenti, disabilità, handicap) e promuove la globalità dell’intervento. Infine La Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità 3, art. 25 recita: gli Stati Parti riconoscono che le persone con disabilità hanno il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni fondate sulla disabilità. Gli Stati Parti adottano tutte le misure adeguate a garantire loro l’accesso a servizi sanitari che tengano conto delle specifiche differenze di genere, inclusi i servizi di riabilitazione. (a) fornire alle persone con disabilità servizi sanitari gratuiti (…). (b) fornire alle persone con disabilità i servizi sanitari di cui hanno necessità proprio in ragione delle loro disabilità, compresi i servizi di diagnosi precoce e di intervento d’urgenza, e i servizi destinati a ridurre al minimo ed a prevenire ulteriori disabilità. Il dibattito ha preso le mosse da una disamina dell’esistente, che evidenzia una situazione molto differente all’interno delle due regioni. La Sicilia, infatti, ha una normativa più avanzata e alcune significative buone prassi: tuttavia, il Terzo Settore siciliano in diversi casi risente nella propria organizzazione e nel proprio lavoro di un eccessivo condizionamento da parte degli obiettivi degli enti finanziatori. La situazione calabrese è meno ben strutturata, ma proprio per questo non presenta le stesse criticità. Condivise, invece, sono le problematiche relative alla precarietà degli operatori e ai spesso insufficienti collegamenti tra i servizi attivati e il contesto sociale nel suo insieme, dimostrato dalla difficoltà di favorire un’autentica inclusione sociale delle persone in cura. A conclusione del confronto molto approfondito, che ha messo in luce diverse difficoltà oggettive (ad esempio: la rigidità dei criteri degli accreditamenti che stabiliscono spazi, igiene, ecc…, ma non tutelano riguardo alla ghettizzazione della persona; il diritto al lavoro dell’operatore e il suo modo di operare non sempre concorda con il diritto alla qualità della vita della persona presa in carico), sono scaturite le seguenti indicazioni volte a rafforzare il ruolo del Terzo settore in questo ambito: 2 3 Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute. Legge 3 marzo 2009 n. 18 (pubblicata in G.U. n. 61 del 14 marzo 2009). 13 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia Favorire lo scambio di buone pratiche, sia per promuovere una contaminazione tra le realtà organizzative che per favorire un’autoformazione degli operatori, che potrebbero in tal caso apprendere dalla riflessione sulle proprie prassi e dalla conoscenza di quelle altrui. Elaborare uno strumento condiviso (manuale o protocollo operativo) che costituisca una guida per buone pratiche di cura e promozione dell’inclusione sociale. Elaborare e condividere un codice etico che guidi il comportamento. Rafforzare il ruolo del Terzo Settore come stimolo per le istituzioni e supporto per la persona, curando l’ascolto e l’amplificazione nella società di quelle problematiche che spesso restano silenziose e inascoltate. Agire per un inserimento funzionale e non solo consultivo del Terzo Settore nelle organizzazioni sanitarie. Rafforzare la formazione degli operatori sia in termini di competenze che di capacità organizzative, rendendola obbligatoria, in modo da favorire una risposta più adeguata ai bisogni. Assicurare all’interno di ciascuna pratica la dimensione dell’inclusione sociale, curando particolarmente i rapporti con il contesto sociale nelle sue diverse componenti (pubbliche e private). Valutare l’aspetto inclusivo e del benessere personale del soggetto recluso per problemi di salute Assicurare alla forza propositiva, alle esperienze e agli strumenti elaborati nel Terzo Settore uno spazio di espressione nei canali della comunicazione, istituzionale e non. Promuovere una formazione politica degli operatori che consenta di svolgere un ruolo autenticamente propositivo e riduca il rischio che vengano messi in atto comportamenti o pratiche discordanti rispetto ai presupposti emancipativi di partenza. Infine è stata espressa la volontà di tutti di mantenere vivo il dibattito su tali tematiche e l’augurio che questo piccolo lavoro possa essere utile al dibattito all’interno delle organizzazioni del Terzo Settore. 14 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia Conclusioni Maria Lucia Serio Interrogarsi sulle numerose forme che regolano i rapporti tra Organizzazioni di Terzo settore e soggetti pubblici e privati e sui valori che sottostanno alla base degli accordi sottoscritti, ha significato ripensare modalità di intervento e comportamenti non sempre virtuosi. Studi recenti indicano che esiste una crisi della legalità in tutto l’Occidente: in Italia e, in particolare modo, nel Meridione il fenomeno è ancora più marcato. Il fatto che questa possa colpire settori, come il nostro, che dovrebbero esserne esenti, ci pone di fronte a diverse questioni di ordine etico, politico, culturale, sociale. Il Terzo Settore, anche in tempo di crisi, è riuscito ad aumentare i livelli occupazionali, e come dice l’ultimo rapporto di Unicredit Foundation - a produrre: a) valore aggiunto economico, ovvero un aumento (o non consumo) di ricchezza materiale, economica e finanziaria che un’organizzazione produce attraverso la sua attività specifica; b) valore aggiunto sociale, cioè il contributo specifico in termini di produzione di beni relazionali e creazione di capitale sociale; c) valore aggiunto culturale, inteso come apporto specifico in termini di diffusione di valori (equità, tolleranza, solidarietà, mutualità), coerenti con la propria mission, nella comunità di riferimento. Tali caratteristiche lo rendono una risorsa per le nostre comunità e per il Paese intero. Tuttavia alcuni nodi critici rimangono ancora da dipanare, come sottolineano anche i report dei lavori di gruppo. I quattro gruppi si sono confrontati in maniera costruttiva non solo sulle criticità e sullo stato della cose evidenziati dagli esperti, ma anche sulle prospettive di lavoro che in quanto enti di Terzo Settore dovrebbero intraprendere nei singoli territori per contrastare pratiche consuete e a volte anche inefficaci, come riportiamo sinteticamente di seguito. Nel concorrere ad elevare i livelli occupazionali il Terzo Settore, per esempio, non sempre riesce a garantire i diritti i lavoratori, a volte il ricorso al lavoro volontario o sottopagato diventa la condizione per potere garantire servizi alla comunità, accettando bandi e contratti “capestro”. La riduzione delle risorse ha, infatti, ridisegnato i rapporti tra le organizzazioni di Terzo Settore e le istituzioni confinando le prime a svolgere un ruolo tampone nelle lacune del sistema pubblico contenendo i costi, e le seconde a garantire una maggiore flessibilizzazione nell’erogazione dei servizi. Vincoli di bilancio, politici, culturali inevitabilmente incidono sui livelli di autonomia nella gestione quotidiana con conseguenze negative anche sulla qualità dei servizi e sulla professionalità degli operatori. 15 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia Nel campo dell’immigrazione, la questione assume connotati non sempre positivi basta guardare alla tipologia di interventi adottati: interventi di scarsa efficacia a carattere emergenziale e repressivo che richiedono un ripensamento del ruolo delle organizzazioni di Terzo Settore nella gestione dell'accoglienza. Questo dovrebbe essere orientato a svolgere anche un’azione di advocacy restituendo agli immigrati il diritto di cittadinanza attraverso il lavoro e l'inclusione sociale in un quadro di legalità ed etica. Allo stesso modo i beni sottratti alla mafia, pur rappresentando un esempio di riscatto e di investimento sociale, economico e culturale, non sempre sono adeguatamente valorizzati e utilizzati. Infatti le difficoltà, anche burocratiche, che si incontrano nella gestione possono suscitare sentimenti di impotenza e/o di resa che portano le organizzazioni a non impegnarsi in questo ambito. Intervenire per favorire percorsi trasparenti ed oggettivi nella assegnazione ed uso dei beni, diffondere le informazioni, conoscere la mappatura dei beni possono essere alcuni dei passaggi fondamentali per limitare le criticità che sorgono durante la gestione. Sul versante ambientale la scarsa tutela dei nostri territori ha significativamente ridotto le opportunità di sviluppo economico delle nostre Regioni. Promuovere un uso virtuoso dei beni naturali/ambientali sottraendoli all’incuria o allo sfruttamento, contrastare la gestione illegale e irresponsabile dei rifiuti mediante nuove modalità di intervento, costruire alleanze tra i diversi attori sociali dovrebbero essere alcuni dei compiti che le organizzazioni di Terzo Settore dovrebbero assumere all’interno della nostre comunità per disegnare un nuovo assetto di governo del territorio. Nei servizi alla persona, l’ambito in cui si esplica maggiormente l’azione degli enti di Terzo Settore, un ruolo più propositivo e di stimolo alle istituzioni piuttosto che subalterno (nella gestione) o consultivo (nelle proposte) è auspicabile per potere garantire prestazioni più efficaci e di qualità. A sottolineare come lavoro e legalità siano un binomio indissolubile nelle terre di Calabria e Sicilia, il racconto - dello scrittore Giacomo Di Girolamo - sulla latitanza del boss Matteo Messina Denaro e la testimonianza dell’imprenditore reggino Tiberio Bentivoglio. Entrambi hanno evidenziato come l’omertà e l’illegalità condizionino pesantemente le nostre quotidianità intrecciandosi con il lavoro e le sue diramazioni più nefaste: lavoro sporco, lavoro nero, non lavoro, manovalanza. Il confronto con le Istituzioni4, la stampa, i rappresentanti delle Organizzazioni di terzo settore5, aldilà delle provocazioni, ha rappresentato un ulteriore momento di approfondimento 4 Al talk show era presente il questore di Messina, Giuseppe Cucchiara 16 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia facendo emergere le differenze e le analogie tra le due Regioni, ma individuando anche elementi e strategie su cui lavorare in maniera condivisa. A partire da un rafforzamento dell’alleanza tra istituzioni ed Organizzazioni di Terzo Settore, per garantire vigilanza e rispetto delle regole in ogni contesto sociale e in ogni ambito lavorativo. Definire obiettivi e strumenti comuni per promuovere pratiche trasparenti è il primo passo verso quel cambiamento culturale e politico tanto auspicato. Pertanto, la proposta di convocare una riunione congiunta tra le organizzazioni del Forum della Calabria e della Sicilia, per dare corpo alle suggestioni emerse, ha riscontrato ampio consenso. La valutazione molto positiva, da parte dei partecipanti e degli ospiti, sull’articolazione della giornata e sui risultati raggiunti, sollecitano, per le prossime edizioni di FQTS, ulteriori incontri tra regioni diverse per condividere esperienze e buone prassi e per avviare e consolidare i rapporti tra le organizzazioni. 5 Portavoce del Forum Terzo Settore Sicilia, Giuseppe Di Natale e il componente del Gruppo di Pilotaggio Calabria, Giovanni Serra 17 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia Partecipanti Per la Calabria Per la Sicilia Bentivoglio Tiberio, Bombara Domenico, Catozza Graziella, Cerra Giovanna, Cirella Laura Coppedè Nunzia Cosentini Francesco Evoli Noemi, Federico Giuseppe, Ferrari Rosa, Foti Orsola, Greco Maurizio, Ielitro Giuseppina, Laganà Vittoria Elisa, Luberto Alessandra, Marino Tommaso, Marullo Mario, Matragrano Rosaria, Meduri Maria, Nocera Nicola Maria, Pascuzzi Antonella, Principe Angelo, Rettura Elisa, Riolo Franco, Scaramuzzino Maria, Serra Giovanni, Sestito Filippo, Torchia Leonardo, Vite Eugenio. Amadore Antonino, Amico Adelaide, Barbaro Alessio, Calà Maria Antonietta, Calcagno Valentina, Campanella Valentina, Cannamela Stella Veronica, Capitummino Luisa, Capizzi Paolo, Casablanca Girolamo, Ceraolo Rosario, Collorà Marisa, Cucchiara Giuseppe, Daidone Salvatore, D’Andrea Danila, D’Angelo Luciano Maria, Di Girolamo Giacomo Di Fazio Angela, Di Martino Sebastiano, Di Natale Giuseppe, Fiammella Giuseppina, Giacalone Fabio, Granieri Sebastiano, Inguì Riccardo, Lamia Tiziana, Lo Bianco Giusy, Manera Marilena, Marino Ennio, Maugeri Mauro, Mazzola Alessandro, Monte Vincenzo, Orlando Tiziana, Passari Angela, Petrillo Giuditta, Prinzivalli Esmeralda, Randello Maria Carmela, Rizzuti Luciano, Rodi Cinzia, Rosetto Ajello Antonia, Serio Maria Lucia, Tarsia Tiziana, Tomasello Fabio 18 Documento finale seminario biregionale Calabria –Sicilia 19