Insufficienza epatica fulminante: eziopatogenesi e terapia Ann. Ital. Chir., LXXI, 3, 2000 Riassunto L. FOGLI, P. GORINI*, E. MORSIANI** Divisione di Chirurgia Generale, Ospedale Bellaria, Azienda U.S.L. Città di Bologna, *Divisione di Chirurgia Generale, Presidio Ospedaliero Cento-Bondeno, Azienda U.S.L. di Ferrara, **Dipartimento di Chirurgia dell’Università di Ferrara, Sezione di Patologia Speciale Chirurgica, Arcispedale Sant’Anna, Ferrara Introduzione L’insufficienza epatica fulminante (IEF) è una sindrome clinica caratterizzata da rapido deterioramento delle funzioni epatiche, con esito spesso fatale, in assenza di preesistente danno epatico. La sindrome fu descritta da Lucke e Mallory nel 1946 come forma particolarmente aggressiva di epatite (1). Nel 1970, Trey e Davidson (2) la descrissero come una condizione potenzialmente reversibile, conseguenza di grave danno epatico, caratterizzata da comparsa di encefalopatia entro 8 settimane dall’inizio dei primi sintomi, in assenza di preesistente malattia epatica. Questa definizione è tuttora in gran parte accettata. Recentemente tuttavia, sulla base di differenze cliniche e prognostiche, è stata proposta una diversa classificazione e nomenclatura, secondo la quale si dovrebbe impiegare il termine di insufficienza epatica acuta in tutti i casi in cui si abbia comparsa di encefalopatia fra 8 e 28 giorni dalla comparsa dell’ittero, riservando il termine di insufficienza epatica iperacuta a quei casi in cui l’encefalopatia compare entro 7 giorni dall’insorgenza dell’ittero, e quello di insufficienza epatica subacuta ai casi in cui l’encefalopatia insorga ad oltre 4 settimane dalla comparsa dell’ittero (3). Le forme iperacute, contrariamente a quanto sarebbe prevedibile, hanno una prognosi migliore delle forme a più lenta evoluzione; in questo gruppo sono compresi tutti i casi indotti da Paracetamolo e varie proporzioni di casi ad altra eziologia. Il gruppo più numeroso, secondo l’esperienza del King’s College Hospital di Londra, è quello dei pazienti con la forma acuta, mentre in una minoranza di casi si ha la forma subacuta o ad inizio tardivo, caratterizzata da una prognosi particolarmente grave, con un esiguo L’insufficienza epatica fulminante (IEF) è una sindrome cli nica caratterizzata dalla comparsa di encefalopatia entro otto settimane dall’insorgenza dei primi sintomi, in assen za di preesistente malattia epatica. Si tratta di una pato logia infrequente ma non rara, ad evoluzione spesso fatale ma potenzialmente reversibile. In questo articolo vengono passate in rassegna le diverse eziologie, le caratteristiche cli niche ed i provvedimenti terapeutici attualmente disponi bili, incluso il trapianto di fegato ortotopico, od ausiliario ortotopico ed eterotopico, che rappresentano i provvedimen ti chirurgici più recentemente introdotti nella pratica cli nica. Infine viene riportata l’esperienza clinica preliminare con l’uso dei sistemi di supporto epatico bio-artificiale di due Gruppi di ricerca attivi in questo campo. Parole chiave: Insufficienza epatica fulminante, trapianto di fegato, sistemi di supporto epatico bio-artificiale. Summary FULMINANT HEPATIC FAILURE: ETIOPATHOGENESIS AND THERAPY Fulminant hepatic failure (FHF) is a clinical syndrome characterized by the development of encephalopathy within eigth weeks from the onset of the first symptoms, in the absence of previous hepatic disease. It is an uncommon but not rare disease, often fatal but potentially reversible. This article looks at the diverse aetiologies, clinical features, and current medical management, including orthotopic liver transplantation, and auxiliary orthotopic or eterotopic liver transplantation, that are the most recently adopted surgical procedures. Clinical experience with bio-artificial liver support systems of two ot the most active research Groups in this field, concludes the paper. Key words: Fulminant hepatic failure, liver transplantation, bio-artificial liver support systems. 14% di sopravvivenza. In questa recente definizione, l’assenza di preesistente malattia epatica non è più considerata un requisito indispensabile, in quanto vengono incluse anche le forme dovute a malattia di Wilson od a riattivazione di epatite B o superinfezione da virus delta, venendo quindi esclusi solamente i casi di preesistente malattia epatica sintomatica. La ragione per l’introdu285 Ann. Ital. Chir., LXXI, 3, 2000 L. Fogli, P. Gorini, E. Morsiani Tab. I – STADI CLINICI DELL’ENCEFALOPATIA EPATICA ACUTA Stadio Stato Mentale Tremore Alterazioni EEG Stadio I, prodromico (spesso diagnosticato retrospettivamente) Euforia; occasionale depressione; lieve confusione; lentezza di ideazione; disordine; modo di parlare confuso; ritmo del sonno disordinato Accentuazione dello stadio I; assopito ma in grado di parlare; comportamento inappropriato; incontinenza Addormentato ma risvegliabile; discorsi incoerenti o assenti; marcata confusione Reazione agli stimoli dolorosi presente (Stadio IVA) o assente (Stadio IVB) Leggero Di solito assenti Presente (provocabile facilmente) Anormale; rallentamento generalizzato In generale presente (se cooperante) Sempre anormale Di solito assente Sempre anormale Stadio II, coma incombente Stadio III, stupore Stadio IV, coma Adattato da Trey C e Davidson CS. The management of fulminant hepatic failure. In Popper H, Schaffner F, eds. Progress in liver disease. New York: Grune and Stratton, 1970: 282-98. Tab. II – CAUSE PRINCIPALI DI EPATITE ACUTA FULMINANTE, DIVISE PER CATEGORIE Infezioni Farmaci/Tossine/Agenti Chimici Cardiovascolari Metaboliche Epatite virale Tipo A Tipo B Tipo C Tipo D Tipo E NonANonB Altri virus Febbre gialla Febbre Q Alotano Acetaminofene Isoniazide Valproato di sodio Tetracicline Pirprofene Ketoconazolo Amanita phalloides Fosforo giallo Trombosi V. Porta Sindrome di Budd-Chiari Insufficienza ventricolare dx Tamponamento cardiaco Shock circolatorio Tumori metastatici Colpo di calore Steatosi acuta gravidica Malattia di Wilson Sindrome di Reye Galattosemia Intolleranza ereditaria al fruttosio Tirosinemia zione di una diversa terminologia è dettata dal tentativo di rendere meglio confrontabili le diverse casistiche sulla base di criteri facilmente obiettivabili, esigenza questa ampiamente condivisa. Non tutti gli Autori però accettano questa proposta ed il termine di IEF è tuttora ampiamente impiegato, così come verrà utilizzato nella presente trattazione. L’encefalopatia epatica è la condizione base per definire la sindrome da IEF. Essa compare quando la funzionalità epatica residua scende sotto una soglia critica e viene classicamente distinta in quattro stadi clinici (Tab. I), mentre la sua gravità è direttamente correlata alla mortalità. L’IEF non è comune ma essa non è rara, con una prevalenza in Europa e negli U.S.A. di circa 17 casi per 100.000 abitanti. L’incidenza e le caratteristiche cliniche sono ampiamente variabili in altre zone del mondo, in genere per una diversa incidenza delle malattie causali (4). 286 Ann. Ital. Chir., LXXI, 3, 2000 Eziologia Le cause di IEF possono essere classificate in quattro categorie generali: infettive, tossiche, cardiovascolari e metaboliche, come riassunto in Tabella II. Epatite virale. L’epatite virale è di gran lunga la causa principale in tutto il mondo, fino al 72% di tutti i casi, anche se vi sono differenze regionali importanti (5). L’epatite virale porta ad IEF solo in una minoranza dei casi, inferiore all’1%, e per cause non chiare. La reattività dell’ospite e la quantità di inoculo virale giocano probabilmente un ruolo importante (6). Raramente l’epatite A è causa di IEF, con un esiguo 0,35% di casi, mentre l’epatite B rappresenta fino al 70% delle cause di IEF nella maggioranza dei Paesi occidentali (7). La coinfezione con l’agente delta (HDV), sebbene nel complesso rappresenti meno del 10% dei casi di epatite negli U.S.A., è presente in circa il 50% dei casi di IEF (8). Il virus dell’epatite E è respon- Insufficienza epatica fulminante: eziopatogenesi e terapia sabile di focolai epidemici di epatite, spesso ad evoluzione fulminante, e viene trasmesso tramite l’acqua contaminata nei Paesi in via di sviluppo. Con il termine di epatite non A non B si indicano tutte le epatiti virali di eziologia sconosciuta. Questa categoria continua a restringersi, ma rimane tuttavia la maggior causa di IEF negli Stati Uniti ed in Europa. La malattia è caratterizzata dall’assenza di markers virali e dalla tendenza ad evolvere con una lunga fase pre-encefalopatica, mentre la prognosi è grave. Occasionalmente altri virus, tra cui il Cytomegalovirus, il virus di Epstain-Barr e gli herpesvirus 1, 2 e 6, sono stati implicati come responsabili di IEF. necessaria una rapida induzione del parto, dopo il quale si ha in genere un progressivo miglioramento. La sindrome HELLP è accompagnata da emolisi e trombocitopenia ed è più frequente. La mortalità materna varia dall’uno al 16%, mentre la prognosi per il feto è in genere buona (12). Caratteristiche cliniche e trattamento Indipendentemente dalla causa, il quadro clinico della IEF ha una serie di caratteristiche comuni. Caratteristicamente, si ha l’insorgenza di sintomi aspecifici, come Farmaci e tossine. Numerosi agenti chimici sono associa- nausea e malessere, in individui precedentemente sani, ti con la IEF, o per tossicità diretta o per reazione idio- seguita dalla comparsa di ittero e alterazioni dello stato sincrasica. Fra questi i principali sono l’Acetaminofene e mentale, che progrediscono fino al coma; quindi il le tossine da funghi velenosi. Esempi di farmaci respon- paziente passa da uno stato di benessere ad uno preasabili di reazioni idiosincrasiche sono l’Alotano, gonico nel giro di 2-10 giorni. La condizione clinica viel’Isoniazide, l’Acido valproico e le Tetracicline. L’Aceta- ne spesso confusa con un abuso di droghe o con una minofene (Paracetamolo) rappresenta il tossico più comu- sepsi da gram-negativi, che ha caratteristiche cliniche nemente usato a scopo suicida in Gran Bretagna, nono- simili. I capisaldi per la diagnosi sono l’alterazione delstante la disponibilità di un antidoto: l’Acetilcisteina. La lo stato mentale e l’aumento del tempo di protrombina. deplezione di glutatione aumenta l’effetto tossico Dati laboratoristici di supporto includono l’elevazione dell’Acetaminofene, per cui i donatori di gruppi sulfi- delle transaminasi, l’abbassamento della glicemia e la drilici, come l’Acetilcisteina, in grado di ripristinare il comparsa di alcalosi respiratoria. glutatione ridotto, limitano il danno epatico (9). La tos- La prima misura importante per il trattamento è il trasicitá dell’Acetaminofene è dose-dipendente, ma essa è sferimento del paziente in una unità specializzata di teraaccentuata dalla denutrizione e da farmaci che induco- pia intensiva, possibilmente collegata ad un Centro in no l’attività del citocromo P-450, in particolare l’alcol. cui sia attivo un programma di trapianto epatico (13). La combinazione di Acetaminofene e alcol rappresenta Il paziente deve venire sottoposto a monitoraggio invauna delle cause attualmente più frequenti di IEF negli sivo, utile per il riconoscimento delle complicanze priStati Uniti (5). L’avvelenamento da funghi del tipo ma dell’evidenza clinica, in una fase in cui esse siano Amanita phalloides è causa della morte di diverse centi- ancora trattabili. È necessario inserire un catetere venonaia di persone all’anno, soprattutto in Europa, ma anche so per il monitoraggio della pressione venosa centrale, negli Stati Uniti (5). L’insufficienza epatica è preceduta una linea arteriosa per il monitoraggio della pressione dagli effetti muscarinici, come sudorazione profusa, vomi- arteriosa, un catetere urinario per il monitoraggio della to e diarrea. Una diagnosi precoce è utile, in quanto diuresi, ed un sondino nasogastrico. È inoltre necessario sono disponibili antidoti, come la Penicillina e la il monitoraggio continuo della PaO2 tramite ossimetria Silibinina. transdermica ed una valutazione neurologica frequente, nei pazienti vigili. Nei pazienti in coma di grado 3 o 4, Cause vascolari. L’ischemia epatica determina necrosi cen- è necessaria l’intubazione endotracheale per prevenire trolobulare ed IEF. Fra le cause vi sono l’infarto del mio- l’aspirazione. In caso di ipercapnia (PaCO2 > 50 mm cardio, l’arresto cardiaco, le cardiomiopatie e l’embolia Hg) od ipossiemia (PaO2 < 60 mm Hg) è necessaria la polmonare (10). Spesso l’ischemia epatica si associa ad ventilazione meccanica. Poiché vi è un alto rischio di insufficienza renale acuta. Anche l’ostruzione al deflusso infezioni, con possibilità di evoluzione in sepsi, sono venoso, come nella sindrome di Budd-Chiari, produce necessari prelievi quotidiani di sangue, urina ed escreaun quadro clinico simile. to per esame colturale con ricerca di batteri e miceti. I cateteri devono essere sostituiti ogni 3-5 giorni, effetMalattie metaboliche. L’IEF è una delle modalità di pre- tuando sempre un esame colturale dell’estremità. È indisentazione della malattia di Wilson, ed è quasi sempre cata inoltre la profilassi antibiotica ad ampio spettro, che fatale senza trapianto di fegato (11). Utili per la diagnosi si è dimostrata utile a ridurre il tasso di infezioni in corsono la presenza di anemia emolitica, il basso livello di so di IEF (14). L’ipoglicemia viene trattata con infusioCeruloplasmina serica, e la caratteristica presenza degli ne continua di soluzione glucosata al 5 o al 10%, e conanelli di Kayser-Fleischer. La steatosi epatica acuta della trolli frequenti della glicemia, ripetuti ogni 2-3 ore nei gravidanza è una malattia poco conosciuta che insorge pazienti in coma. Spesso compare ipotensione, per cui, nel terzo trimestre di gravidanza, determinando steatosi oltre ad infusione di elettroliti e cristalloidi, può essere microvescicolare ed IEF associata a pre-eclampsia. È necessario utilizzare Dopamina, talvolta associata a Ann. Ital. Chir., LXXI, 3, 2000 287 L. Fogli, P. Gorini, E. Morsiani Noradrenalina. L’insufficienza renale, presente nel 75% dei casi di intossicazione da Paracetamolo, e nel 30% degli altri casi, richiede un controllo accurato dell’infusione di liquidi ed elettroliti, con molta attenzione al monitoraggio dei volumi di infusione ed alla correzione degli squilibri idro-elettrolitici ed acido-base di volta in volta presenti. La dialisi o l’ultrafiltrazione arterovenosa sono necessari quando la creatinina supera i 4-5 mg/dl, oppure in presenza di acidosi metabolica grave, iperkaliemia, o sovraccarico idrico. Per l’elevato rischio di emorragia gastrointestinale è inoltre necessaria una terapia antisecretiva gastrica, con l’obiettivo di mantenere il pH gastrico sopra a 5. La coagulopatia generalizzata in corso di IEF è legata sia al consumo che alla mancata sintesi dei fattori della coagulazione e dei loro inibitori, così come alla associata piastrinopenia. Per il suo trattamento si usa plasma fresco congelato, che tuttavia non è risultato utile nella prevenzione del sanguinamento. Utile per la correzione della coagulopatia, sebbene utilizzato in studi clinici non controllati, si è dimostrata la tecnica del plasma exchange. Encefalopatia epatica L’encefalopatia è una caratteristica costante della IEF. Quando evolve al grado 3 o 4, c’è un alto rischio di sviluppo di edema cerebrale e di insufficienza multiorgano (MOF). Viene considerata essenziale la eliminazione o la correzione dei fattori potenzialmente aggravanti un’encefalopatia preesistente, come l’ipoglicemia, l’ipossia, la sepsi, la tossicità da farmaci, e gli squilibri idroelettrolitici ed acido-base. Con l’obiettivo di diminuire l’ammoniemia, tramite riduzione dell’assorbimento di proteine e prodotti azotati dal lume intestinale, è indicato l’uso di lattulosio per os, alla dose di 15-30 ml, 3 volte al giorno, e comunque fino all’insorgenza di diarrea. Nei pazienti in coma il lattulosio va usato sotto forma di clistere. Il meccanismo d’azione è duplice: come lassativo osmotico, e come acidificante del lume intestinale, con conseguente riduzione dell’attività metabolica della flora batterica intestinale, e trasformazione dell’ammoniaca in ione ammonio. Edema cerebrale L’edema cerebrale complica gli stadi 3 avanzato e 4 dell’encefalopatia epatica nel 50-85% dei casi, ed è la principale causa di morte in questi pazienti (15). I segni clinici di allarme compaiono per valori di pressione intracranica (PIC) superiori a 30 mm Hg e sono l’ipertensione sistolica e l’aumentato tono muscolare fino alla rigidità da decerebrazione. Il rilevamento precoce di aumentata PIC consente il trattamento in fase reversibile, ed è realizzabile con la registrazione della PIC. Il monitoraggio della PIC può essere eseguito 288 Ann. Ital. Chir., LXXI, 3, 2000 tramite cateterismo intraventricolare, più accurato e preciso ma con alta percentuale di complicanze di tipo meningitico, cateterismo epidurale, il metodo più sicuro ma meno accurato, o subdurale, con accuratezza e precisione intermedi. Il monitoraggio della PIC è utile per guidare la terapia dell’edema cerebrale e per la selezione dei pazienti da avviare al trapianto ortotopico di fegato e per il trattamento intraoperatorio. La terapia dell’edema cerebrale consiste nell’evitare i fattori che possano incrementare la PIC, come il mantenere il paziente con il capo elevato di 20-30°, attuare l’iperventilazione, fino a ottenere valori di PaCO2 di 25-30 mm Hg, e utilizzare mannitolo in boli di 0,5-1 mg/Kg se l’osmolarità è < 310 mOsm, con associata ultrafiltrazione in caso di insufficienza renale. In caso di mancata risposta, si passa all’uso di Tiopental alla dose di 1-5 mg/Kg/ora, con l’ o b i e t t i vo di mantenere la PIC < 20 mm Hg (13). In caso di mancata risposta, è indicato il trapianto di fegato in emergenza, purché non ci sia già in atto un danno cere b r a l e irreversibile. In caso di avvelenamento da Paracetamolo, il trattamento della IEF è ben codificato, e consiste nell’uso di N-acetilcisteina, che aumenta le scorte di glutatione ridotto, necessario per l’eliminazione dei metaboliti del Paracetamolo da parte del sistema P-450, essendo già saturato il normale sistema di eliminazione tramite coniugazione con solfato o glucuronato (9). L’Acetilcisteina può venire somministrata per via endovenosa alla dose di 300 mg/Kg in 20 ore, od orale alla dose di 1330 mg/Kg in 72 ore, ed è particolarmente efficace se somministrata entro 10 ore dall’assunzione del Paracetamolo, ma sembra utile anche se somministrata più tardivamente (16). Trapianto di fegato Il trapianto di fegato è risultato il maggiore progresso terapeutico nel trattamento della IEF, ed ha portato a sopravvivenze del 60-80% (17). I criteri di scelta dei pazienti da avviare al trapianto (Tab. III), si basano sui criteri prognostici elaborati da analisi retrospettive (18) e, sebbene ampiamente utilizzati nella maggioranza dei Centri di trapianto, non sono però in grado di identificare i pazienti che non necessitano di trapianto. Inoltre, nell’intervallo di 48 ore, tempo medio necessario per ottenere un organo da trapiantare in Europa ed U.S.A., una percentuale consistente di pazienti pari al 15-50% sviluppa complicanze che controindicano l’intervento (19-20). Le principali controindicazioni al trapianto sono l’aumento incontrollato dell’ipertensione endocranica, la sepsi, e la adult respiratory distress sindrome (ARDS). In pratica, ogni paziente con IEF deve venire valutato ed immesso in lista d’attesa non appena possibile, in genere al ricovero, e rivalutato quando un organo si renda effettivamente disponibile. Insufficienza epatica fulminante: eziopatogenesi e terapia Tab. III – CRITERI DI SCELTA DEL KING’S COLLEGE HOSPITAL DI LONDRA, PER IL TRAPIANTO DI FEGATO IN CORSO DI INSUFFICEINZA EPATICA FULMINANTE Da Lee WM, Galbraith RM, Watt GH, et al. Predicting survival in fulminant hepatic failure using serum Gc protein concentration. Hepatology; 21: 101-105, 1995. Acetaminofene • pH < 7.3 (indipendentemente dal grado di encefalopatia) o tutti e tre i seguenti: • Encefalopatia di grado III-IV • PT > 100 sec (INR > 7.7) • Creatinina serica > 3.4 mg/dl Non Acetaminofene • PT > 100 sec (INR > 7.7) (indipendentemente dal grado di encefalopatia) o tre dei seguenti: • Età < 10 o > 40 anni • Eziologia sfavorevole (Non-A-non-B, alotano, reazione idiosincrasica a farmaci, malattia di Wilson) • Intervallo fra ittero ed encefalopatia > 7 giorni • PT > 50 sec (INR > 3.85) • Bilirubina serica > 17 mg/dl Possibilità chirurgiche alternative sono rappresentate dal trapianto ausiliario di fegato, ortotopico dopo epatectomia parziale, od eterotopico non associato ad epatectomia, e dal trapianto parziale da donatore vivente (21). Il trapianto di fegato ausiliario ha il vantaggio di lasciare in situ l’organo del ricevente, che può nel frattempo rigenerare con la conseguente possibilità di sospendere la terapia immunosoppressiva. Esso consente inoltre di usare un organo diviso per due riceventi. Gli svantaggi sono rappresentati dalla maggiore complessità della tecnica chirurgica e dal maggior numero di complicanze postoperatorie riportate. I risultati preliminari sono incoraggianti (22). Esperienze cliniche con il fegato bio-artificiale Diversi Gruppi di ricerca hanno sviluppato ed utilizzato sperimentalmente vari sistemi di supporto epatico basati sull’uso di epatociti (23-27). Le esperienze cliniche più rilevanti sono state quelle portate avanti rispettivamente dal gruppo del Dr. Achilles Demetriou al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles (28), e da quello del Dr Roger Williams al King’s College Hospital di Londra, che ha utilizzato un sistema sviluppato dal Dr. Norman Sussman & Coll., del Baylor College of Medicine di Houston, in Texas (29). Il sistema di Demetriou, denominato BAL (Bio-Artificial Liver), prevede l’utilizzo di un plasmaseparatore per dividere il plasma dalle cellule ematiche. Il plasma viene poi fatto passare attraverso una colonna di carbone attivato allo scopo di ridurne la tossicità, prima di passare attraverso il bioreattore a fibre cave, contenente 5 X 109 epatociti di maiale criopreservati, ancorati a microcarrier di destrano ricoperti di collagene. Il sangue viene rimosso dal paziente tramite un catetere a doppio lume inserito nella vena femorale superficiale, viene separato in plasma e cellule ematiche e fatto quindi ricircolare nel sistema ad un flusso ad alta velocità di 400 ml/min, per garantire un maggiore scambio di O2 e soluti a livello del bioreattore. Il bioreattore è formato da fibre cave di acetato di cellulosa, con pori di 0,2 µm., e più recentemente di polisulfone biocompatibile. Le cellule attaccate a microcarrier di destrano, al fine di garantirne una maggiore attività funzionale (30), vengono alloggiate all’interno del bioreattore nello spazio esterno al fascio di fibre cave, mentre il plasma scorre all’interno del lume delle fibre cave. Lo scambio avviene per convezione del fluido, dovuta al gradiente di pressione attraverso la fibra, secondo la legge di Starling: maggiore è la velocità di flusso, maggiore il flusso trans-membrana. Le dimensioni dei pori consentono il passaggio di macromolecole ed albumina, ma non delle immunoglobuline e delle cellule. Come anticoagulante, per prevenire la trombosi all’interno del circuito e delle fibre cave, viene usato il citrato di sodio. Dopo essere passato attraverso il circuito, il plasma viene riunito alle cellule ematiche e reinfuso nel paziente attraverso lo stesso catetere venoso. Elementi caratterizzanti di questo sistema di supporto sono: 1. l’utilizzo di microcarrier di destrano rivestiti di collagene, che aumentano la superficie di ancoraggio degli epatociti e permettono il contatto delle cellule fra di loro e con la matrice cellulare, il ripristino ed il mantenimento della polarità cellulare e quindi l’espressione delle funzioni epatocellulari differenziate; 2. l’utilizzo del solo plasma, che evita il rischio di emolisi e di trombocitopenia e la necessità di eparinizzazione del paziente; 3. l’uso del carbone attivato in serie prima del bioreattore, per proteggere gli epatociti dall’effetto del plasma tossico del paziente; 4. l’utilizzo di epatociti di maiale purificati, criopreservati, scongelati immediatamente prima del loro utilizzo, risultati equivalenti a quelli freschi in termini di efficacia fisiologica e clinica (28), sebbene con una vitalità iniziale inferiore (70% contro 90%, rispettivamente). Questo sistema è stato utilizzato in un trial clinico di fase I, su pazienti appartenenti a tre categorie: pazienti con insufficienza epatica fulminante in attesa di trapianto di fegato (gruppo 1), pazienti con primary nonfunction dopo trapianto di fegato (gruppo 2), e pazienti con esacerbazione acuta di una malattia epatica cronica, non candidati al trapianto di fegato (gruppo 3). I pazienti sono stati trattati con il BAL per periodi di sette ore, eventualmente ripetuti più volte. Non ci sono state significative reazioni avverse. I pazienti sono rimasti emodinamicamente stabili e non hanno avuto reazioni di ipersensibilità. Tutti i pazienti del gruppo 1 sono stati mantenuti in vita fino al trapianto (n = 17), con un intervallo medio di 39 ore dall’inizio del primo trattamento con BAL al trapianto. Durante il trattamento con il BAL, essi hanno mostrato Ann. Ital. Chir., LXXI, 3, 2000 289 L. Fogli, P. Gorini, E. Morsiani segni di miglioramento del quadro neurologico e riduzione significativa della PIC e nessuno ha avuto sequele neurologiche dopo il trapianto di fegato. Un paziente è stato trattato per cinque volte ed ha avuto un ristabilimento clinico completo senza trapianto. Nel gruppo 2, tutti i pazienti (n = 3) con primary nonfunction sono stati “traghettati” con successo al ritrapianto di fegato. I pazienti del gruppo 3 (n = 10), con insufficienza epatica cronica riacutizzata, hanno mostrato un temporaneo miglioramento, ma sono poi tutti deceduti per complicanze della malattia epatica dopo 1-21 giorni dall’ultimo trattamento con BAL, tranne due pazienti, rientrati nei criteri per il trapianto di fegato dopo il ciclo di trattamenti con BAL (28). Dopo questa iniziale esperienza clinica, il gruppo di Demetriou ha intrapreso un trial multicentrico di fase II e III tuttora in corso, deputato a stabilire il grado di efficacia del sistema precedentemente descritto in confronto al trattamento standard. Il sistema sviluppato da Sussman & Coll., denominato ELAD (Extracorporeal Liver Assist Device), differisce da quello utilizzato da Demetriou in molteplici aspetti (31). Anche in questo caso si utilizza un bioreattore a fibre cave contenente epatociti nello spazio extra-fibre. Vengono tuttavia utilizzate cellule di una linea cellulare di origine umana, denominate C3A, derivate da un tumore epatico di un bambino, con la caratteristica di rimanere stabili e vitali per mesi in coltura (32). Queste cellule, dimostratesi in grado di svolgere tutte le principali funzioni degli epatociti in vitro per lunghi periodi di tempo, sebbene con minore efficacia (26), sono fatte crescere ad alta densità all’interno dei bioreattori, dove raggiungono i 200 g di tessuto epatico in tre-quattro settimane, partendo da una quantità iniziale di 10 g, e rimangono poi funzionali per periodi prolungati fino a 4-8 mesi. Il sistema di perfusione consiste di una doppia pompa dialitica e di un’unità accessoria di monitorizazzione. Il bioreattore viene perfuso con sangue intero, previa eparinizzazione del paziente, ad un flusso di 150-200 ml/min, per periodi prolungati. Prima della reimmissione in circolo, il sangue viene fatto passare attraverso un filtro, per prevenire l’immissione accidentale di cellule nel torrente circolatorio. Elementi caratterizzanti di questo sistema sono: 1. L’ u t i l i z zo di una notevole quantità di cellule (200 g) f resche e coltivate all’interno dei bioreattori, prove n i e nti da una linea cellulare di origine da un fegato umano; 2. L’utilizzo del sangue intero per la perfusione del sistema, che richiede l’eparinizzazione del paziente e garantisce una buona ossigenazione; 3. Il trattamento continuativo e prolungato, per un massimo di 10 giorni, o fino all’ottenimento di un risultato, positivo o negativo. L’esperienza clinica preliminare, eseguita presso il Baylor College of Medicine di Houston, in Texas, ha riguardato 11 pazienti, tutti affetti da insufficienza epatica fulminante, tranne uno, sottoposto ad epatectomia dopo primary nonfunction di un fegato trapiantato. I pazienti non hanno mostrato reazioni avverse al trattamento. 290 Ann. Ital. Chir., LXXI, 3, 2000 Le cartucce hanno dimostrato di funzionare normalmente fino a 58 ore continuative; il limite principale era rappresentato dalla coagulazione del sistema. Si è avuto un miglioramento dello stato mentale in 8 pazienti su 11, con conservazione di stabilità emodinamica. Inoltre, la capacità di eliminazione del galattosio, considerata l’unico test specifico di funzionalità epatica, è migliorata in quasi tutti i pazienti (32). In seguito a questi incoraggianti risultati preliminari, è stato intrapreso uno studio prospettico controllato, condotto presso il King’s College Hospital di Londra. In questo caso i pazienti, tutti con insufficienza epatica fulminante, sono stato divisi in 2 gruppi; nel gruppo I (n = 17) erano compresi i pazienti con significativa chance di sopravvivenza (> 50%), secondo i criteri prognostici sviluppati al King’s College Hospital; nel gruppo II (n = 7) erano compresi i pazienti che rientravano nei criteri per il trapianto di fegato urgente. In entrambi i casi i pazienti venivano randomizzati per ricevere il trattamento con l’ELAD o solo quello convenzionale (controlli). L’emoperfusione è stata eseguita per un periodo medio di 72 ore (range 3-168 ore). Si è confermata la buona tollerabilità del trattamento, anche se in due occasioni è stato necessario sospenderlo, in un caso per reazione da ipersensibilità e nell’altro per l’insorgenza di coagulazione intravascolare disseminata. Durante i trattamenti è stata riscontrata una maggiore frequenza di deterioramento delle condizioni neurologiche nei controlli rispetto ai pazienti trattati con l’ELAD (58% contro 25%). Nel gruppo I, dove la sopravvivenza con l’uso dell’ELAD era del 78%, si è avuta una sopravvivenza più alta dell’atteso anche nei controlli (75%). Nei casi del gruppo II, si è avuta una sopravvivenza del 33% nei pazienti trattati con l’ELAD e del 25% nei controlli. In entrambi i casi, i sopravvissuti sono stati sottoposti a trapianto di fegato. Il test di eliminazione del galattosio ha confermato una funzione epatica additiva attribuibile all’ELAD. Questo studio pilota ha dimostrato che sono necessari migliori indici prognostici per poter valutare con maggiore attendibilità l’effetto di nuovi trattamenti nei pazienti con insufficienza epatica fulminante (29). In conclusione, i risultati degli studi clinici finora pubblicati hanno dimostrato la sicurezza del trattamento con gli attuali sistemi di supporto epatico bio-artificiale, ma anche la difficoltà di una valutazione obiettiva della loro efficacia. Sono necessari ulteriori studi clinici controllati, condotti con rigore, tenendo conto della maggiore accuratezza prognostica ottenibile stratificando i pazienti in base a parametri clinici multipli, per poter valutare con sicurezza l’ e f f icacia dei sistemi attualmente disponibili, e di quelli in via di perf ezionamento in diversi laboratori di ricerca. Bibliografia 1) Lucke B., Mallory T.: Fulminant form of epidemic hepatitis. Am J Pathol, 22:867-945, 1946. 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Luciano FOGLI Divisione di Chirurgia Generale, Ospedale Bellaria, Azienda U.S.L. Città di Bologna, Via Altura, 3 40139 BOLOGNA Ann. Ital. Chir., LXXI, 3, 2000 291