LA FISICA PER LO SCI ALPINO ASPETTI PRELIMINARI Introduzione Consideriamo uno sciatore che percorre un pendio innevato: egli compie un’azione complessa, determinata da diversi fattori, come schematizzato in figura 1. Figura 1 – I tre livelli che determinano l’azione dello sciatore con gli aspetti rilevanti in ciascuno di essi. Al livello inferiore (AMBIENTE), lo sciatore deve imparare a riconoscere gli effetti delle forze che permettono il movimento. Il livello intermedio (ATTREZZO) richiede di conoscere e sfruttare le proprietà costruttive dell’attrezzo usato. Al livello più alto (CORPO) allo sciatore si richiede di affinare i propri movimenti per ottenere la massima efficacia esecutiva in qualsiasi situazione. Al livello più alto, immediatamente visibile, è il gesto motorio, cioè le azioni biomeccaniche, che dipendono dal delicato equilibrio fra le caratteristiche atletiche e quelle psicologiche dello sciatore. L’insieme di queste azioni permetterà allo sciatore di definire una traiettoria mantenendo la centralità sotto l’azione combinata di forze, la cui intensità varia con la velocità, che si manifestano come conseguenza del percorso realizzato: l’apprendimento di una tecnica permette allo sciatore di sciare in modo più o meno efficace e elegante. Al livello immediatamente inferiore, l’azione dipende dalle caratteristiche geometriche e meccaniche dell’attrezzo utilizzato. Lo sciatore, infatti, deve agire su di esso in modo tale da sfruttarne le proprietà costruttive per percorrere la traiettoria voluta. A seconda di tali proprietà, le stesse azioni condurranno a risultati diversi, interpretabili considerando il ruolo dell’ambiente. Infatti, le caratteristiche dell’ambiente (morfologia del terreno, condizioni del manto nevoso, visibilità) in cui si sviluppa l’azione di qualsiasi sciatore sono identiche in uno stesso momento e luogo: esse sono indipendenti dallo sciatore, dall’attrezzatura, dalla tecnica. La conoscenza dei tre tipi di caratteristiche (uomo, attrezzo, ambiente) permette di capire perché tecniche diverse (pensiamo anche a tecniche del passato come il Wedeln, il Telemark) possano essere comunque efficaci e in che modo le differenze tra di esse possano, in determinate condizioni, risultare più o meno vantaggiose. I tre livelli sono strettamente legati fra loro. Di fatto, quando parliamo di tecnica associata allo sci, partiamo sempre dal più evidente: il movimento del corpo umano. Una specifica azione motoria produce la deformazione dell’attrezzo, questa determina la comparsa di forze che richiedono allo sciatore, per mantenere la centralità lungo la traiettoria voluta, di eseguire dei nuovi movimenti che riportano all’inizio del ciclo, come illustrato nella figura 2. Figura 2 – Schema del ciclo azione-risultato su cui si basa l’analisi dei movimenti e delle forze presenti nello sci. Lo schema comprende anche un risultato-azione “variazione della traiettoria”, che è presente solo nel caso di una traiettoria curvilinea. La tecnica La tecnica dello sci è un insieme di azioni motorie, che permettono di sfruttare al meglio le caratteristiche dell’ambiente (morfologia del pendio, condizioni del manto nevoso, visibilità) e quelle specifiche dell’attrezzo (proprietà geometriche e meccaniche). L’evoluzione della tecnologia, sia nella costruzione degli attrezzi, sia nella preparazione delle piste da gara e da turismo, richiede di modificare i comportamenti motori che definiscono la tecnica e di approfondire i principi fisici che stanno alla base di tali cambiamenti. Il tecnico dello sci conosce le caratteristiche dell’ambiente e dell’attrezzo, perché ne ha esperienza e sa gestirle attraverso le indicazioni di una tecnica. Spesso però, egli non ha la capacità di definirle con la precisione necessaria quando si vuole portare l’analisi al livello più alto. Al tempo stesso, scomporre un’azione motoria complessa nei suoi costituenti di base permette di analizzare più facilmente eventuali errori e di individuarne le cause: questo vale sia ad alto livello, sia, soprattutto, ai livelli più bassi, dove più importanti sono i condizionamenti dovuti alle caratteristiche ambientali e dove il maestro di sci si trova più spesso a svolgere la sua azione didattica. I ragionamenti che verranno sviluppati hanno due radici: - ciò che tira, spinge, fa ruotare, deforma un corpo è sempre una forza: una forza che agisce su un corpo ne può cambiare la velocità, mettendolo in moto se è fermo, o rallentandolo, fino a fermarlo, se è in moto, o può modificare la direzione del moto; - lo sciatore è un sistema in moto con velocità variabile; esso può essere osservato “dall’esterno” o “dall’interno”: scegliamo il secondo punto di osservazione, perché il maestro vuole dare un’interpretazione su basi fisiche di ciò che viene percepito (forze, pressioni, accelerazioni) dallo sciatore. Lo sciatore esprime le proprie percezioni e il maestro propone una motivata soluzione motoria. La fisica e il maestro di sci Lo studio che la fisica ci permette di fare di una curva, a partire da un filmato, per esempio, è simile a un’autopsia. Si tratta di un’osservazione a posteriori di qualche cosa che è già avvenuto: ci consente un’analisi dettagliata del complesso insieme di gesti motori il cui risultato è quella particolare sciata e fornisce indicazioni sulle diverse forze in gioco, sulle loro interazioni e sul loro peso relativo in quella sciata. La fisica non è per ora in grado di dare formule predittive che portino a rivoluzioni nella tecnica sciistica, o che rendano massima l’efficacia dell’azione di un particolare sciatore. Comprendere meglio come e perché accade qualche cosa è comunque un vantaggio sia nell’apprendimento di una tecnica sia, soprattutto, nel suo insegnamento. Lo sci è uno sport di movimento e, come tale, richiede di comprendere il movimento di corpi estesi (il sistema sciatore + sci) a partire dall’analisi delle cause che lo producono. Nello sci, le traiettorie sono esclusivamente il risultato dell’interazione fra il corpo dello sciatore, l’attrezzo e la neve: lo sciatore è quindi sia il veicolo, sia il passeggero, dato che egli costituisce un sistema unico con gli sci, ai quali è vincolato tramite gli scarponi e gli attacchi. Nello sci alpino il moto è determinato solamente dalla forza di gravità. Lo sciatore, con i movimenti del suo corpo, genera delle forze che, sommandosi alla gravità e agli attriti, producono le azioni di controllo per realizzare la traiettoria voluta (vedi cap. “La tecnica”, figura 2 : Schema del ciclo azione - risultato). È opportuno che il maestro di sci sappia spiegare da un punto di vista fisico il comportamento tecnico-motorio necessario a risolvere i principali problemi specifici della disciplina: in particolare cambiare direzione, accelerare, rallentare e fermarsi. Proveremo quindi a dare risposte basate su principi fisici ad alcune domande che spesso lo sciatore si pone nelle situazioni che incontra sul campo: come si raggiunge e si mantiene la centralità durante una discesa? Perché lo sci gira e come si fa a farlo girare? A cosa serve la sciancratura dell’attrezzo? Ogni paragrafo è dedicato a una questione specifica, in ordine crescente di complessità: qual è la causa della discesa rettilinea lungo la massima pendenza e che cosa determina la centralità in tale discesa; come mantenere la centralità durante l’esecuzione di una curva, di norma eseguita a sci paralleli in conduzione più o meno marcata; infine, quali sono gli aspetti fisici essenziali nella gestione di una serie di curve. Perché non si sprofonda nella neve: pressione e reazione vincolare Pensiamo inizialmente allo sciatore fermo in piedi su un terreno pianeggiante, coperto di neve fresca (figura 3). Anche se questa situazione statica è lontana dallo sciare, ci permette di introdurre concetti importanti: • pressione sugli sci (distribuzione del carico, cioè della forza, sugli sci) • forze in equilibrio fra loro • vincolo • reazione vincolare del terreno Questi concetti sono necessari per comprendere come lo sciatore realizza e mantiene l’equilibrio ideale, che nella terminologia specifica adottata nello sci alpino è detto centralità, e per capire quali forze intervengono durante una discesa, sia lungo la massima pendenza, sia eseguendo una curva. Figura 3 – Pressione e reazione vincolare del terreno per appoggio su un piede (a), appoggio sui due piedi (b), appoggio su entrambi gli sci (c). La neve è composta di cristalli di ghiaccio più o meno compattati fra loro; nello spazio fra cristallo e cristallo (pori) c’è aria: la neve assomiglia quindi a una spugna. La neve appena caduta è molto porosa, mentre quella pressata, invecchiata e trasformata è sempre più densa e compatta. La neve artificiale è notevolmente densa fin dal momento della produzione. Il massimo grado di densità e compattezza si incontra nel ghiaccio, che si comporta come un materiale solido non poroso, una roccia. Tutti abbiamo provato a stare in piedi nella neve fresca: se ci appoggiamo su un solo scarpone sprofondiamo molto di più (circa il doppio) che se stiamo appoggiati sui due scarponi; quando abbiamo gli sci ai piedi lo sprofondamento è il minimo (in figura, circa un sesto che in appoggio sui due scarponi). Ci chiediamo: • perché sprofondiamo • perché non continuiamo a sprofondare sempre di più • perché nelle tre situazioni considerate il grado di sprofondamento è diverso Sprofondiamo perché siamo sottoposti alla forza di gravità che ci tira, accelerandoci sempre più, verso il centro della Terra. Come detto, una forza può cambiare la velocità di un corpo, mettendolo in moto e accelerandolo se è fermo, o rallentandolo, fino a fermarlo, se è in moto, o cambiandone la direzione del moto: il cambiamento di velocità si chiama accelerazione. La forza di gravità ci accelera, perciò ci fa sprofondare. Sulla Terra nessun corpo, piccolo o grande, pesante o leggero che sia, sfugge alla forza di gravità. Questo perché ogni corpo ha una massa, cioè è composto da una certa quantità di materia: la forza di gravità è tanto più intensa, quindi ci “tira” tanto più, quanto maggiore è la nostra massa. Fin dalla nascita abbiamo subito l’azione della forza di gravità, che chiamiamo forza peso, o peso. Crescendo, la quantità di materia di cui siamo costituiti è aumentata, cioè è aumentata la nostra massa. Perciò l’intensità della forza con cui la Terra ci attrae è anche aumentata; questo spiega perché il nostro peso è aumentato progressivamente. Quando solleviamo un corpo, staccandolo da terra, ci opponiamo alla gravità: il peso di quel corpo, che noi sentiamo, è la forza con cui la Terra lo tiene legato a sé. Per questo dire forza di gravità, o forza peso, o peso è per noi equivalente. Non continuiamo a sprofondare perché la neve, o in genere il terreno, ci sostiene. Noi siamo fermi e nessuna forza agisce su di noi: ciò significa che agisce su di noi, oltre alla gravità, una forza uguale e contraria, per cui non sentiamo alcuna forza su di noi. Questa forza è esercitata dal terreno e si chiama reazione vincolare. Il suolo ci “spinge” verso l’alto quanto basta perché stiamo fermi e bilancia esattamente la forza di gravità: esso è un vincolo. I vincoli limitano il movimento dei corpi: per esempio, i cardini sono un vincolo per una porta, che può solo ruotare attorno ad essi. Un palo da slalom ruota nello spazio attorno al punto in cui sporge dalla vite, fissata nella neve (il vincolo). La forza peso ci fa sprofondare più o meno a seconda di quanto il terreno è cedevole (neve fresca, fango, roccia, ghiaccio) e di quanto è ampia la superficie su cui ci appoggiamo. Poiché la forza che ci fa sprofondare è sempre la stessa e ha uguale intensità, quello che può cambiare è la pressione che esercitiamo sul terreno: questa è il rapporto fra la forza e la superficie su cui ci appoggiamo. Uno scarpone ha metà superficie rispetto a due scarponi, che a loro volta hanno circa un sesto della superficie degli sci. Attenzione: la pressione non sempre è rivelata dallo sprofondamento; su un terreno compatto (ghiaccio, roccia) lo sprofondamento è molto ridotto, o assente, per una superficie di appoggio sia grande, sia piccola, ma la pressione sul terreno è sempre presente. Su terreno soffice lo sprofondamento è tanto maggiore, quanto maggiore è la pressione. La neve soffice, pressata da noi, diventa più compatta sotto i nostri scarponi, o sci, solo di quel tanto che basta a bilanciare la pressione che esercitiamo. Si rompono i ponti fra cristalli e si chiudono i pori che contenevano aria. Il ghiaccio non si sfonda, cioè esercita una reazione vincolare molto efficace, perché è denso e compatto. F˔ P =— A P : pressione F˔ : forza perpendicolare A : superficie La reazione vincolare dipende dalla struttura interna (molecolare) della materia. Possiamo pensare ogni materiale (quindi anche i diversi tipi di terreno e di sci) costituito da una serie di molle che possono deformarsi più o meno, a seconda della loro rigidità, sotto l’azione di una forza esterna: quindi, oltre ad accelerare o rallentare un corpo, una forza può cambiarne la forma, cioè deformarlo elasticamente, o no. Se la forza che viene esercitata sul materiale è troppo intensa, le molle, e quindi il materiale, si possono deformare in modo permanente e infine rompere: la neve fresca, una volta schiacciata dallo scarpone, anche quando lo spostiamo non ritorna al suo volume iniziale. Analogamente, anche l’attrezzo può subire una deformazione permanente: infatti uno sci si può snervare, fino a piegarsi, o addirittura spezzarsi. LA DISCESA RETTILINEA LUNGO LA MASSIMA PENDENZA Perchè si scende lungo la massima pendenza Concentriamoci ora sullo sciatore che sta scendendo lungo un pendio, seguendo la massima pendenza. Il suo percorso, che chiamiamo anche traiettoria, è rettilineo. Il carburante che lo fa scendere è una parte della forza peso (p), che lo accelera nel verso della massima pendenza, lungo cui egli sta scendendo (figura 4). p, come tutte le grandezze scritte in grassetto, è una quantità vettoriale. Ogni grandezza vettoriale è rappresentata da un vettore, che nell’immagine è raffigurato da una freccia: il vettore parte dal punto ove agisce la grandezza (punto di applicazione), ha una lunghezza che indica l’intensità della grandezza, una direzione (quella della grandezza) ed un verso, rappresentato dalla freccia. Diciamo che p è un vettore e che la forza peso che esso rappresenta è una grandezza vettoriale. Figura 4 – Forza peso e reazione vincolare - che sono grandezze vettoriali, come tutte le forze - durante una discesa lungo la massima pendenza. La forza peso è scomposta nelle sue proiezioni parallela al pendio (pI I ) e perpendicolare al pendio (p˔), verso il terreno. I vettori disegnati sullo sciatore sono riprodotti nello schema a destra che mostra come combinarli fra loro graficamente. Il circoletto rosso rappresenta il baricentro dello sciatore. Nella figura 4 vediamo che la forza peso ha due effetti: in parte (p˔) mantiene lo sciatore aderente al terreno ed è bilanciata dalla reazione vincolare (r) della neve; questo è esattamente quel che avviene per lo sciatore fermo in piedi sulla neve. Il secondo effetto è di accelerare lo sciatore verso la base del pendio (pI I ). Quindi solo una parte della forza peso serve a far muovere lo sciatore. Tanto più il pendio è ripido, tanto maggiore è pI I rispetto a p˔, e tanto più lo sciatore viene accelerato nella sua discesa, come sperimentiamo comunemente. Quando ci interessano i diversi effetti di una forza, la scomponiamo nelle sue componenti: nel nostro caso p˔ e pI I sono le componenti di p. Osserviamo che p˔ è perpendicolare a pI I : se vogliamo ricostruire p a partire da p˔ e pI I , cioè se sommiamo p˔ a pI I , p è la diagonale del parallelogramma di lati p˔ e pI I , come mostrato in figura 4, nel primo schema. Questo esempio indica che le quantità vettoriali si combinano fra loro, per somma o sottrazione, con un metodo geometrico detto regola del parallelogramma; il risultato di tale composizione si chiama risultante. Il circoletto rosso disegnato sul corpo dello sciatore, circa in corrispondenza dell’ombelico, indica il punto ove è applicata la forza peso, cioè il punto in cui egli percepisce gli effetti della forza: tale punto è detto baricentro o centro di massa. Baricentro e centro di massa coincidono quando l’accelerazione di gravità è uguale per tutti i punti dell’oggetto considerato: questo è senz’altro vero per il corpo umano. La localizzazione del baricentro in figura 4 è quella per uno sciatore in posizione base: spostamenti dei segmenti corporei nei piani sagittale, frontale e trasversale portano a spostamenti anche significativi della posizione del baricentro. Guardiamo lo sciatore in figura 4: egli scende lungo la massima pendenza, in linea retta. Dapprima la sua velocità aumenta, sotto l’azione della forza peso pI I , poi, una volta raggiunto il piano, la sua velocità diminuisce fino a quando si ferma. In questo caso continua a agire su di lui la forza peso p, che lo mantiene aderente al terreno, ma non lo accelera. La forza contraria al verso del moto che lo rallenta progressivamente è data dagli attriti che esistono tra: • gli sci e la neve (attrito di scivolamento; vedi anche il capitolo “Centralità lungo la massima pendenza”) • lo sciatore e l’aria in cui si muove (attrito viscoso, dominante ad alta velocità) Le forze di attrito compaiono quando due corpi sono fermi in contatto fra loro (attrito statico), o si muovono rimanendo in contatto: esse sono la conseguenza dell’interazione tra le molecole che costituiscono i due corpi. La superficie di contatto sci-neve da un lato permette lo scivolamento, dall’altro origina forze di attrito. Durante la discesa rettilinea lungo la massima pendenza le forze di attrito sono presenti e riducono l’efficacia di pI I nell’accelerare lo sciatore. Equilibrio e centralità In fisica, l’equilibrio di un corpo è una condizione definita dal bilanciamento reciproco sia delle forze, sia dei momenti (vedi sezione "La curva", capitolo "La curva condotta: mantenere la traiettoria"), che agiscono su di esso. Nell’ambito dello sci alpino, l’attenzione è spostata verso le conseguenze pratiche della ricerca di tale bilanciamento. Si possono distinguere tre situazioni, in base al punto in cui cade la risultante delle forze (incluse quelle inerziali), rispetto alla superficie di appoggio, definita come il parallelogramma i cui lati sono gli sci e i segmenti paralleli che ne uniscono fra loro rispettivamente le spatole e le code, oppure rispetto alla base di appoggio, definita come il parallelogramma costituito dai lati esterni degli scarponi e dai segmenti che ne uniscono fra loro rispettivamente le punte e i talloni: • la risultante delle forze cade in un punto esterno alla superficie di appoggio: la composizione di forze e momenti agenti sullo sciatore porta alla sua caduta (conseguenza non recuperabile) • la risultante delle forze cade entro la superficie di appoggio: lo sciatore non cade, pur non essendo realizzato il bilanciamento di forze e momenti. Tale condizione, che permette di ripristinare l’equilibrio ideale, a prezzo di una modifica di traiettoria e/o di una frenata, tramite sbandamento dell’attrezzo più o meno accentuato, viene detta equilibrio • la risultante delle forze cade entro la base di appoggio: questa condizione, che corrisponde all’equilibrio fisico, è detta centralità; essa si verifica quando, istante per istante, sono reciprocamente bilanciati sia le forze, sia i momenti lungo tutta la traiettoria percorsa. Centralità lungo la massima pendenza Durante una discesa lungo la massima pendenza, per mantenere la centralità lo sciatore deve evitare di sbilanciarsi indietro o in avanti. Ciò che può determinare tale sbilanciamento sono le forze inerziali: la loro caratteristica generale è di tendere a mantenere un corpo nello stato di moto in cui si trova e di essere dirette in verso opposto a quelle che determinano il moto (figura 5). Tali forze compaiono con il variare della pendenza del terreno e/o dell’attrito neve-soletta e vengono percepite dallo sciatore lungo l’asse sagittale; relativamente all’attrezzo, esse agiscono parallelamente alla sua lunghezza e sono dette longitudinali. Figura 5 – Ricerca della centralità nella discesa lungo la massima pendenza. Bilanciamento della forza di inerzia mediante avanzamento del baricentro. Realizzare e sincronizzare tale bilanciamento è facile a bassa velocità (quantità di moto piccola: vedi sezione "La curva", capitolo "La curva: sbandamento dell'attrezzo o conduzione") e progressivamente più difficile al crescere della velocità. Scendendo in moto rettilineo lungo un pendio, lo sciatore avverte una sensazione di sbilanciamento all’indietro lungo il suo asse sagittale, dovuta all’inerzia, che tende ad aumentare quanto più il pendio diventa bruscamente ripido. In queste condizioni, solo facendo avanzare il baricentro è possibile compensare efficacemente la forza d’inerzia e mantenere la centralità. Il contrario avviene quando la pendenza diminuisce: si percepisce una forza d’inerzia diretta in avanti, come nel caso di una frenata inattesa, e ci si sbilancia in avanti, tanto più, quanto più la variazione di velocità è rapida e intensa. Sensazioni analoghe a quelle date dalla variazione di pendenza possono essere sperimentate a causa di variazioni brusche di attrito neve-soletta. Passando da una neve più scorrevole a una meno scorrevole, il rallentamento dovuto all’attrito aumenta, spostando la reazione vincolare dietro al baricentro dello sciatore (figura 5). In tutti i casi discussi, le forze di inerzia sagittali nascono quando si genera una differenza fra la velocità dell’attrezzo, che risponde “istantaneamente” (in realtà, con ritardi piccoli) a variazioni di accelerazione, e la velocità del baricentro, che mantiene le condizioni di moto “precedenti” per un certo tempo prima di adattarsi a quelle nuove. Nel momento in cui gli sci frenano, il baricentro continua a muoversi a velocità più alta, dando luogo allo sbilanciamento in avanti (verso le spatole), lungo l’asse sagittale. Allo stesso modo, quando si passa da neve meno scorrevole a neve più scorrevole, lo sbilanciamento avviene all’indietro (verso le code), sempre lungo l’asse sagittale. Pressione sull'attrezzo e suo controllo: i movimenti verticali Consideriamo per semplicità una discesa rettilinea lungo la massima pendenza. I movimenti verticali dello sciatore lungo l’asse longitudinale danno luogo a un avvicinamento o a un allontanamento del baricentro dalla base d’appoggio. Questi movimenti possono risultare da cause esterne, come le inerzie, o essere volontari: in questo caso richiedono l’azione di forze muscolari. Nel primo caso, se il terreno presenta cunette e gobbe, lo sciatore tende per inerzia a venire involontariamente schiacciato o allungato nel piano frontale. Nel secondo caso, egli può sovraccaricare o alleggerire transitoriamente l’attrezzo, in modo brusco o modulando il movimento del baricentro lungo l’asse longitudinale, come schematizzato in figura 6. Un avvicinamento (piegamento) corrisponde a un’accelerazione, quindi a una forza positiva che produce per reazione un alleggerimento temporaneo dell’attrezzo. Al contrario, un allontanamento baricentro - base di appoggio (estensione) dà un sovraccarico temporaneo dell’attrezzo. C’è un modo alternativo per modulare muscolarmente, quindi volontariamente, la distribuzione di carico sull’attrezzo; la variazione continua di quota del terreno lungo la traiettoria di curva viene “seguita” preferenzialmente dagli arti inferiori, mentre il bacino percorre una traiettoria idealmente priva di oscillazioni nel piano frontale. La ricerca del continuo contatto fra terreno e attrezzo comporta l’apertura e chiusura soprattutto dell’articolazione del ginocchio; la muscolatura degli arti inferiori genera una contrazione eccentrica per modulare le inerzie presenti in curva. Figura 6 – Discesa rettilinea su terreno ondulato: per mantenere continuità di contatto con il terreno è necessario modulare l’apertura-chiusura dell’articolazione del ginocchio. La quota del bacino rimane circa costante. La pressione che agisce sugli sci risulta da più fattori e può variare notevolmente durante una discesa. La pressione viene impiegata in parte per annullare la centina e deformare l’attrezzo: durante l’esecuzione di una curva, la lamina incide nella neve con un profilo curvilineo che, in assenza di sbandamenti (cioè se il vincolo neve-attrezzo è ideale) corrisponde alla traiettoria percorsa. La frazione di pressione rimanente è quella esercitata dallo sciatore sulla neve. In generale la pressione sullo sci dipende: • dalla superficie dell’attrezzo in appoggio sul terreno: questa varia sia in funzione dello sprofondamento, sia, lungo una curva, in funzione dell’angolo di presa di spigolo; • dalle forze esercitate sullo sci: queste sono la forza peso dello sciatore e forze muscolari che si combinano con la forza peso. Le forze muscolari vengono modulate volontariamente dallo sciatore. In caso di neve soffice, una parte della pressione esercitata sullo sci serve per compattare la neve sotto l’attrezzo, in modo da creare un piano di sostegno. Tutto il carico viene sostenuto dagli arti inferiori, che devono quindi avere la capacità di sopportare forze anche di elevata intensità. Dalla analisi delle forze presenti nell’esecuzione di una generica curva e della loro variazione lungo la curva (vedi sezione "La curva", capitoli "La curva condotta: mantenere la traiettoria" e "Gestione delle inerzie nella curva condotta"), risulta che il sovraccarico è minimo nella fase iniziale di curva, poi cresce progressivamente e raggiunge il massimo in un punto attorno ai due terzi della traiettoria di curva. A parità di traiettoria di curva, quanto maggiore è la velocità di ingresso in curva dello sciatore, e quindi la sua quantità di moto, tanto maggiore è il sovraccarico, che per basse velocità è limitato. La forza corrispondente all’aumento di carico nella seconda metà della curva deve essere bilanciata dall’azione muscolare, che si oppone allo schiacciamento del bacino contro il piano di appoggio. Il vincolo lamina-neve, realizzato mediante la presa di spigolo, deve essere tanto più preciso, quanto più elevata è la velocità e quanto più breve la traiettoria di curva, per evitare lo sbandamento degli sci verso l’esterno della traiettoria stessa, detto slittamento o derapata, che è conseguenza di un vincolo poco efficace. D’altronde, quanto più efficace è il vincolo, tanto maggiore è la forza muscolare richiesta per bilanciare il sovraccarico, che provoca lo schiacciamento percepito dallo sciatore (vedi sezione "La curva", capitolo "Gestione delle inerzie nella curva condotta"). LA CURVA Come inizia una curva La minima azione sufficiente, ma necessaria, per iniziare a deviare da una traiettoria rettilinea (per esempio, lungo la massima pendenza) è realizzare un minimo angolo di presa di spigolo: gli sci passano dall’essere piatti sul terreno, a trovarsi in appoggio sugli spigoli. Ciò avviene anche a velocità estremamente bassa, con una deformazione (flessione lungo l’asse longitudinale) praticamente nulla dell’attrezzo, a parte l’annullamento della centina (vedi sezione "Lo sci: caratteristiche e preparazione", capitolo "La sciancratura degli sci"). Un pur limitato spostamento laterale del bacino, trasversale rispetto alla direzione definita dalla massima pendenza, nella direzione in cui si vuole deviare dalla traiettoria rettilinea, è sufficiente per disporre gli sci sugli spigoli. Osserviamo che la deviazione appena descritta non ha ancora le caratteristiche proprie di una curva eseguita in conduzione. La curva: sbandamento dell'attrezzo o conduzione Quando lo sciatore esegue una curva, passa da una traiettoria rettilinea a una traiettoria curvilinea, cambiando direzione rispetto alla massima pendenza. Fino a quando lo sciatore scende rettilineamente, la sua velocità è sagittale, perché è diretta unicamente lungo la massima pendenza: essa coincide con la velocità longitudinale dell’attrezzo. Mentre lo sciatore esegue la curva, entra in gioco una velocità trasversale, che varia durante l’esecuzione della curva: è allora presente un’accelerazione, e quindi una forza. Per curvare è necessaria una forza che spinge lo sciatore verso il centro della curva. C’è una differenza fondamentale fra due modi di realizzare la stessa curva: uno sbandamento laterale dell’attrezzo e una curva in conduzione sugli spigoli degli sci. A B A B Figura 7 – Curva con sbandamento laterale dell’attrezzo (a), o eseguita in conduzione (b); gli sci in (a) slittano lateralmente sulla neve, mentre in (b) la incidono con le lamine. Fra questi due limiti ci sono numerose combinazioni intermedie, ognuna con una percentuale di conduzione e una di sbandamento, ma i due ingredienti essenziali sono la conduzione sfruttando l’appoggio sugli spigoli e lo sbandamento laterale dello sci. Nello sbandamento lo sci scivola lateralmente sulla neve, giacendo piatto su di essa, o formando un angolo, in genere limitato, fra il suo spigolo e il terreno. In questo caso, lo spigolo in tutta la sua lunghezza scivola lateralmente sulla neve, in modo simile a quando ci si vuole fermare eseguendo una curva. In entrambe le condizioni si ha un attrito neve-sci considerevole: esso causa un riscaldamento notevole della soletta dell’attrezzo e il distacco dal manto nevoso, che supponiamo compatto, di uno strato più o meno spesso di neve; questo viene spostato lateralmente e, spesso, sollevato in aria per poi ricadere a una certa distanza. Tutto ciò porta a spendere una parte considerevole dell’energia di movimento (chiamata anche cinetica) dello sciatore+attrezzo sia per separare i cristalli di neve fra loro, sia per spostarli lateralmente, o sollevarli, dovendo vincere la forza di gravità. La conseguenza è che l’energia cinetica dello sciatore, e quindi la sua velocità, inevitabilmente diminuiscono. Non c’è modo di recuperare la velocità perduta, a meno di scendere per un tratto lungo la massima pendenza. In una curva eseguita in conduzione lo sci è in presa di spigolo più o meno marcata a seconda della traiettoria di curva e del punto della curva in cui lo sciatore si trova. Lo sciatore deforma lo sci, sia perché lo carica con la sua massa, sia perché dispone di forze muscolari che impiega per realizzare con efficacia la traiettoria voluta. Lo sci deformato forma un arco e il suo spigolo in appoggio sulla neve incide nel terreno un arco di curva (il termine “carving” significa letteralmente intagliante, per analogia con uno scalpello che intaglia il legno). In conduzione ideale, perciò senza sbandamento laterale dell’attrezzo, la lamina d’acciaio che costituisce lo spigolo taglia la superficie della neve, incidendo in essa un arco che ha lo stesso profilo laterale dello sci, istante per istante. A seconda della compattezza del manto nevoso e della pressione esercitata dallo sciatore+sci sul terreno, la lamina lascia una traccia più o meno profonda nella neve. Anche in questo caso, dato che la lamina scivola, rimanendo in contatto con la neve, c’è dissipazione di energia cinetica a causa dell’attrito lamina-neve; essa però è molto minore di quando si ha sbandamento laterale dell’attrezzo. Inoltre la traiettoria eseguita dallo sci in conduzione è precisa, mentre quella di uno sci che sbanda è in parte non controllata. Nel caso, certamente più significativo, di una curva eseguita in conduzione, il cambiamento di direzione è ottenuto attraverso un’efficace presa di spigolo. Lo sciatore genera, con il movimento del corpo, una forza centripeta. Tale forza è applicata nel baricentro dello sciatore (a inizio curva; approssimativamente nel centro del bacino durante una curva) e gli permette di rendere curvilinea la sua traiettoria, o di continuare a percorrere una traiettoria curvilinea, o di passare da una traiettoria curvilinea a un’altra. La forza centripeta è tanto più efficace quanto più efficace è il vincolo lamina-neve, cioè con quanta maggiore precisione viene inciso il terreno. La forza centripeta è proporzionale alla massa dello sciatore e al quadrato della sua velocità, mentre è inversamente proporzionale al raggio della curva. Perciò, fissato il raggio della curva: • a uguale velocità di ingresso, uno sciatore più leggero (massa inferiore) necessita di forza centripeta minore di uno sciatore pesante; • uno stesso sciatore necessita di forza centripeta tanto maggiore, quanto più elevata è la sua velocità di ingresso. Questa dipendenza è importante: per esempio, se raddoppia la velocità, cresce di quattro volte la forza centripeta e se la velocità si riduce a un terzo, la forza diventa nove volte meno intensa; • uno stesso sciatore, con velocità di ingresso fissata, necessita di una forza centripeta tanto maggiore, quanto più piccolo è il raggio della curva. Osserviamo che il raggio della curva è un parametro legato alle caratteristiche geometriche della traiettoria ed è tanto più piccolo quanto più stretta è una curva. All’estremo, il raggio di curvatura è infinito per una traiettoria rettilinea: in questo caso lo sciatore si muove lungo una circonferenza di raggio infinito. v2 | Fc | = m — r | Fc | : modulo della forza centripeta m : massa v : velocità r : raggio della traiettoria circolare Sappiamo per esperienza che cambiare la velocità o la traiettoria di un corpo dipende sia dalla velocità che esso ha, sia dalla sua massa. Nella pratica didattica, ogni maestro di sci può sperimentare questa legge fisica nel frenare la discesa di un principiante con i bastoncini, sciando all’indietro: a parità di velocità, la manovra risulta poco faticosa quando si aiuta un bambino (massa piccola), mentre è ben più impegnativa con un adulto (massa grande). Ciò che causa la differenza è la diversa quantità di moto dei due allievi: essa è il prodotto della massa di un corpo per la sua velocità. Quanto maggiore è la quantità di moto, tanto maggiore sarà la forza necessaria per cambiare la traiettoria o la velocità di quel corpo. q = mv q : quantità di moto m : massa v : velocità La situazione dello sciatore è per molti versi analoga a quella del sistema moto+pilota che affronta una curva. La forza centripeta, che fa cambiare la traiettoria della moto da rettilinea a curvilinea, è data dall’attrito fra le gomme indirizzate dal pilota e l’asfalto; il carico, se è distribuito in maniera ottimale sulle ruote anteriore e posteriore, garantisce l’aderenza al terreno e rende la forza centripeta al contatto ruote-terreno sufficiente a far girare la moto senza che slitti, o faccia perno su una delle ruote, uscendo dalla traiettoria di curva voluta. La pressione sulle ruote permette di realizzare la curva senza sbandare, alla velocità voluta, in funzione del tracciato e delle condizioni delle gomme. Il ginocchio interno del pilota, aperto verso l’interno della curva, ha un ruolo analogo a quello dello sci interno per lo sciatore. Durante l’esecuzione di una curva, la situazione sugli sci è simile a quella del pilota+moto: solamente con un’opportuna distribuzione del carico si realizza una pressione sull’attrezzo adeguata • alla velocità di entrata in curva • alla pendenza del terreno (notiamo che il pendio innevato presenta ondulazioni locali, che cambiano la pendenza da punto a punto lungo una stessa curva, a differenza dell’asfalto, il cui profilo laterale è costante) • alla traiettoria di curva • alle proprietà elastiche degli sci in modo che questi ultimi possano venire deformati correttamente, realizzando un efficace vincolo spigolo-neve, e conseguentemente effettuare curve in conduzione. Se la spatola è scarica all’ingresso in curva, non potrà essere indirizzata efficacemente nella nuova direzione. Se il carico su di essa è eccessivo, la coda dell’attrezzo sbanderà e nuovamente non si riuscirà a completare una curva in conduzione. La curva condotta: forze e momenti Vogliamo ora interpretare le sensazioni sperimentate dallo sciatore durante una curva eseguita in conduzione. Per semplicità, per ora trascuriamo tutte le forze che agiscono sullo sciatore lungo l’asse sagittale e ci concentriamo solo sulle forze trasversali rispetto alla direzione di avanzamento. Sempre per semplicità supponiamo che la traiettoria di curva sia un arco di circonferenza, quindi sia descritta da un unico raggio. Lo sciatore sente una forza che lo tira contemporaneamente verso l’esterno e a valle della traiettoria di curva. Tale forza è tanto più intensa quanto maggiore è la velocità e più breve la traiettoria di curva. Se non bilancia questa forza, lo sciatore non riesce a mantenere la traiettoria voluta, ma “parte per la tangente”, tornando progressivamente a scendere lungo la massima pendenza. La forza da lui sperimentata si chiama centrifuga. Sullo sciatore in curva, mentre la forza centripeta è diretta lungo il raggio della circonferenza, verso il centro, la forza centrifuga è diretta lungo lo stesso raggio, verso l’esterno. Questa situazione è identica a quella di una pallina che ruota attorno ad un punto, legata a un filo: il filo è un vincolo che la mantiene sulla traiettoria curvilinea e, se il filo si spezza, la pallina “parte per la tangente” lungo una traiettoria rettilinea. Lo sciatore non è legato a un filo che gli permette di ruotare attorno al centro della curva: egli genera volontariamente la forza centripeta e mantiene la traiettoria curvilinea in conduzione finché i suoi sci sono in presa di spigolo; se la forza centripeta non è sufficiente, la sua traiettoria viene modificata e, se viene rimosso il vincolo sci-neve che permette di realizzare la forza centripeta (al limite, se cade), “parte per la tangente”. La forza centrifuga è una forza inerziale, perché è il risultato della tendenza di ogni corpo a mantenere una traiettoria rettilinea percorsa a velocità costante. È la stessa forza che su un’auto, durante una curva, spinge contro il bordo del sedile sul lato esterno della curva: questa forza è tanto più intensa quanto maggiore è la velocità dell’auto e quanto più stretta è la curva. Si tratta di una forza inerziale trasversale; ricordiamo che abbiamo già parlato di una forza inerziale sagittale (vedi sezione "Discesa rettilinea lungo la massima pendenza", capitolo "Mantenere la traiettoria lungo la massima pendenza: le inerzie sagittali") è quella che causa gli sbilanciamenti in avanti o indietro sperimentati durante una discesa lungo la massima pendenza, quando la velocità varia bruscamente e inaspettatamente. L’intensità della forza centrifuga dipende da tre grandezze: la massa dello sciatore, la sua velocità e il raggio della curva. La sua dipendenza da questi parametri è uguale a quella descritta per la forza centripeta: per questo rimandiamo alla relativa spiegazione (vedi capitolo “La curva: sbandamento dell'attrezzo o conduzione”). Ricordiamo che la forza centrifuga viene percepita dallo sciatore approssimativamente nel bacino. Rispetto alla discesa lungo la massima pendenza, in cui lo sciatore deve gestire soltanto le inerzie sagittali, spostando il baricentro in avanti e indietro lungo l’asse sagittale, quando si cambia direzione le inerzie presenti sono sagittali e trasversali; le seconde sono percepite come dominanti. La gestione delle inerzie richiede spostamenti del bacino su due piani distinti: quello sagittale e quello trasversale. Ora ci concentriamo sulle inerzie trasversali; quelle sagittali vengono trattate nel capitolo "Gestione delle inerzie nella curva condotta". Poiché la traiettoria viene determinata dalla linea di contatto lamina-neve, come conseguenza della presa di spigolo, questa linea è istante per istante fissa rispetto al movimento del bacino. In fisica, una forza applicata a un corpo fissato in un punto (pensiamo a un palo da slalom), o lungo un asse, ne provoca la rotazione attorno a quel punto, o a quell’asse: questo si verifica anche nello sci. Consideriamo come esempio il moto di una porta quando essa viene spinta o tirata. Poiché la porta è fissata, cioè vincolata, ai cardini, ove è incernierata, essa può solo ruotare attorno all’asse che collega fra loro i due cardini. In questo caso la forza che spinge la porta non può spostarla, ma può solo farla ruotare: si è determinato quello che viene chiamato momento della forza. Sappiamo per esperienza che, a parità di forza con cui spingiamo la porta, se teniamo la mano appoggiata a un punto sempre più vicino all’asse dei cardini, essa ruota con difficoltà sempre maggiore, rispetto a quando la spingiamo appoggiandoci a un punto lontano dall’asse (infatti la maniglia non è mai sistemata vicino all’asse dei cardini). In generale, l’efficacia della forza nel provocare una rotazione del corpo (cioè il momento) dipende sia dall’intensità della forza, sia dalla distanza fra il punto di applicazione e l’asse attorno a cui avviene la rotazione. Quanto maggiore sarà questa distanza, tanto maggiore il momento rotatorio e tanto minore la forza richiesta per far ruotare il corpo con una data velocità di rotazione. L’esempio della rotazione della porta aiuta a interpretare che cosa succede allo sciatore mentre esegue una curva: in questo caso lo sciatore è analogo alla porta, la forza che genera la rotazione è la forza centrifuga e l’asse del contatto laminaneve è equivalente a quello dei cardini. La forza centrifuga produce un momento centrifugo rispetto al vincolo lamina-neve; il vincolo, oltre a realizzare la reazione vincolare (che permette la conduzione della curva), si comporta come una cerniera. Il momento fa ruotare il corpo dello sciatore verso l’esterno della curva. Lo sciatore deve quindi bilanciare il momento generato dalla forza centrifuga sul baricentro, come mostrato in figura 8. Figura 8 – Momento centrifugo. Per semplicità è indicata solo la reazione vincolare. Per bilanciare il momento centrifugo, che lo fa ruotare verso l’esterno, lo sciatore aumenta l’angolazione spostando l’asse del bacino verso l’interno della curva: egli genera così un momento centripeto, con verso opposto al momento centrifugo. Lo scopo del momento centripeto, che è il risultato di un’azione volontaria dello sciatore, è di equilibrare il momento centrifugo. La curva condotta: mantenere la traiettoria Tanto maggiore è la massa dello sciatore, tanto maggiori sono la forza centrifuga, il momento centrifugo e il momento centripeto che lo sciatore produce mediante angolazione. Il momento centrifugo è tanto maggiore quanto più efficace è il vincolo lamina-neve: una curva in conduzione genera un momento centrifugo sull’asse del bacino dello sciatore maggiore di una curva con sbandamento degli sci. Infatti lo sbandamento è dovuto a un’imperfetta realizzazione del vincolo sugli spigoli degli sci; di conseguenza una parte dell’azione della forza centrifuga consiste nello spostare l’intera massa dello sciatore verso l’esterno della curva. L’azione della forza centrifuga si manifesta sull’asse trasversale dello sciatore: rispetto al centro della curva è un’azione di tipo radiale. Nella figura 9 è schematizzata la composizione delle sole forze radiali, o delle loro componenti radiali agenti sullo sciatore lungo un arco di curva. La figura è divisa in due settori, corrispondenti alla prima metà curva (superiore) e alla seconda metà curva (inferiore). Figura 9 – Composizione delle forze radiali lungo un arco di curva. Dalla figura si può vedere che nella prima metà curva (prima del punto A in cui la traiettoria, e quindi gli sci, sono paralleli alla massima pendenza) la forza peso (vettore verde), che è ad ogni istante diretta verso un punto a quota inferiore (è infatti il nostro carburante, quello che ci fa, appunto, scendere da quote superiori a quote inferiori), diminuisce progressivamente. In questo settore essa agisce in verso opposto alla forza centrifuga (vettore blu); il bilanciamento è dato dalla forza centripeta (vettore rosso). In coincidenza con la massima pendenza (punto A) la forza peso ha componente radiale nulla, perchè è diretta parallelamente alla massima pendenza, per cui la forza centripeta bilancia la forza centrifuga. Superata la massima pendenza, la componente radiale della forza peso agisce verso l’esterno della traiettoria e cresce progressivamente; il suo effetto si somma a quello della forza centrifuga. Per questo lo sciatore percepisce la massima intensità del momento centrifugo (che usualmente definisce “forza centrifuga”) nella seconda metà curva, verso i tre quarti della traiettoria di curva. L’angolazione richiesta per compensare il momento centrifugo non corrisponde a un continuo aumento dell’angolo di presa di spigolo, perché contemporaneamente l’angolo efficace fra il pendio e lo sciatore aumenta. Di fatto tale angolo si apre progressivamente lungo tutta la traiettoria di curva. Nessuna curva che eseguiamo sugli sci viene realizzata con un raggio di curva costante. Nel concatenare una serie di curve, il raggio di curva gradualmente aumenta dal valore minimo, sino a valere infinito, in un punto particolare. Questo corrisponde al passaggio da una curva all’altra. In quel punto anche la forza centrifuga si annulla e perciò non richiede compensazione del momento centrifugo. L’avvicinamento del bacino all’asse perpendicolare alla superficie degli sci nella parte finale della curva corrisponde alla progressiva diminuzione dei contributi inerziali (centrifughi) che avviene quando progressivamente aumenta il raggio di curva. Il punto in cui termina una curva e inizia la successiva è quello in cui il baricentro è allineato con la verticale sugli sci e transita sopra la traiettoria, come schematizzato in figura 10. Figura 10 – Schematizzazione del moto relativo baricentro-sci. Dal punto di vista dinamico, l’istante in cui finisce lo spostamento trasversale dell’asse del bacino verso un centro di curva e inizia il movimento verso il successivo corrisponde al valore minimo del raggio di curva (punto A in figura 10). Superato questo punto, il raggio di curvatura aumenta, richiedendo che il baricentro progressivamente si riallinei con la base d’appoggio. Sviluppiamo ora qualche concetto utile per capire il modo più efficace di funzionare dello sci in una curva condotta. Se appoggiamo uno sci a terra e, afferrandolo al centro (quindi dove appoggia lo scarpone) cerchiamo di farlo ruotare, per esempio verso destra, mentre un amico lo trattiene con un dito appoggiato vicino alla spatola, così da ostacolarci, verifichiamo subito che basta una forza minima per impedire la rotazione, nonostante il nostro impegno muscolare, che può dar luogo a una forza intensa. Ciò è dovuto al fatto che lo scarpone è centrato sull’asse attorno a cui avviene la rotazione; il momento che produciamo è quindi minimo, a parità di forza. Al contrario, il dito è sufficiente a impedire la rotazione dello sci, perché la debole forza è applicata in un punto che dista molto (spatola-centro sci) dall’asse di rotazione. Questo significa che: • lo sci è poco adatto a ruotare rigidamente attorno all’asse verticale passante per gli scarponi, cioè attorno all’asse longitudinale dello sciatore; per curvare è necessario che la rotazione dello sci sfrutti lo scivolamento in avanti e quello laterale (curva con sbandamento dell’attrezzo), o si realizzi ancora durante lo scivolamento in avanti, esclusivamente attraverso la combinazione di presa di spigolo e deformazione longitudinale (inflessione) dell’attrezzo (curva in conduzione) • la neve può contrastare efficacemente l’azione rotatoria di uno sci mantenuto piatto sul terreno; in particolare questo è vero se il manto nevoso è costituito da grumi, o non è compatto, per cui lo sci affonda, anche di poco (neve crostosa): in entrambi i casi viene esercitata una resistenza laterale sulla spatola, con un effetto analogo a quello del dito nell’esempio visto sopra. Ciò spiega perché per curvare è importante sia caricare la spatola, sia, contemporaneamente, realizzare una presa di spigolo. Particolare è la situazione in neve fresca, ove il vincolo lamina-neve è debole e si realizza istante per istante solo dopo che lo sci ha compresso localmente la neve, realizzando un piano di appoggio. In queste condizioni la caratteristica dominante dello sci è la portanza, analogamente a quella di un’ala di aereo, per cui sci larghi sono vantaggiosi: qui la sciancratura e soprattutto la deformabilità dell’attrezzo giocano un ruolo determinante. È necessario diminuire la pressione sulla spato- la verso la fine della curva per consentirle di risalire verso la superficie della neve, facilitando l’impostazione della curva successiva: il peso di un notevole spessore di neve sopra la spatola richiederebbe una forza intensa per far girare lo sci. D’altronde, nell’esecuzione della curva resta essenziale una distribuzione di pressione omogenea su tutto l’attrezzo: per soddisfare le due esigenze si deve effettuare una sequenza di spostamenti del baricentro nel piano sagittale, la cui ampiezza cresce con lo spessore del manto di neve fresca e con il suo grado di umidità, mentre diminuisce con l’aumentare della pendenza del terreno e della velocità dello sciatore. Presa di spigolo e angolazione Ricapitoliamo le azioni che permettono allo sciatore di effettuare una curva in conduzione: - la forza centripeta volontariamente generata dallo sciatore causa la presa di spigolo - la presa di spigolo, combinata con la deformazione dell’attrezzo, definisce la traiettoria di curva - in conseguenza di questa sono determinati la forza e il momento centrifughi - questi richiedono angolazione, cioè spostamento trasversale dell’asse del bacino verso il centro della curva - la forza richiesta, che si applica al bacino, produce un momento centripeto, che equilibra il momento centrifugo Angolazione e angolo di presa di spigolo non coincidono, anche se, date le limitazioni che l’attrezzatura impone ai segmenti corporei dello sciatore, l’angolazione concorre efficacemente ai movimenti che determinano la presa di spigolo. CAUSA angolazione EFFETTO presa di spigolo (forza centripeta) presa di spigolo cambio di direzione angolazione presa di spigolo (bilanciamento di forze e momenti) Nelle parentesi sono indicati i risultati fisici di una stessa azione: a inizio curva si ha la generazione della forza centripeta necessaria per curvare, lungo la traiettoria di curva si ha il bilanciamento sia delle forze, sia dei momenti, in particolare inerziali. Infatti l’azione biomeccanica volontaria che determina l’angolazione lungo una curva genera un momento centripeto. L’angolo di presa di spigolo che gli sci formano con il terreno è il risultato del movimento di segmenti corporei diversi. Questi, dati i vincoli esistenti a livello delle articolazioni, formano fra loro angoli il cui effetto è di consentire spostamenti del bacino tali da garantire la centralità. La figura 11 propone lo stesso schema della figura 2 (sezione "Aspetti preliminari", capitolo "Introduzione"), considerando esplicitamente la presa di spigolo. Notiamo che una variazione di angolazione corrisponde a modificare la reazione vincolare e quindi, nel caso in figura, l’angolo di presa di spigolo. In questo modo si chiude il cerchio azione-risultato. Figura 11 – Schema del ciclo azione-risultato relativo alla presa di spigolo e all’angolazione. Il tempismo nel cambio degli spigoli Quando si esegue una serie di più curve, l’efficacia tecnica (cui corrisponde il minor tempo di percorrenza su un tracciato obbligato) e l’armonia estetica richiedono di modulare con continuità l’angolazione per mantenere la centralità: pertanto varia continuamente la presa di spigolo. Il cambio degli spigoli corrisponde al massimo raggio di curvatura, ove la forza centrifuga ha valore minimo (zero). Di conseguenza, avvicinandosi al cambio degli spigoli, è necessario ridurre progressivamente l’angolazione, cioè lo spostamento trasversale dell’asse del bacino verso l’interno della traiettoria di curva. Quando si riduce l’angolazione, il bacino, dopo il massimo spostamento trasversale, viene spostato fino a trovarsi sopra gli sci, perpendicolare a essi. Anche se si mantiene fissato lungo l’intera traiettoria di curva l’angolo di cui è inclinato l’asse longitudinale dello sciatore (che per semplicità consideriamo privo di snodi, come un’asta rigida), la presa di spigolo aumenta continuamente lungo tutta la curva. Se lo sciatore insiste a spostare trasversalmente il bacino verso l’interno della curva, la lamina continua a incidere la neve e la traiettoria degli sci viene prolungata verso monte: lo sciatore ritarda il cambio degli spigoli e perde velocità. Una voluta riduzione della forza e del momento equilibranti verso fine curva rende dominanti in questa fase la forza e il momento centrifughi, con due effetti: • la traiettoria viene orientata verso la massima pendenza, evitando tratti a risalire: operativamente, lo sciatore “lascia cadere” le punte degli sci verso la massima pendenza • lo sciatore ha più tempo e quindi più possibilità di scelta del punto in cui invertire l’angolazione, generando la forza centripeta che segna l’inizio della curva successiva Il cambio degli spigoli è favorito dallo spostamento trasversale del bacino verso l’interno della curva seguente. Ai due effetti appena descritti si somma un’extra accelerazione che diventa disponibile per lo sciatore proprio in questa fase, dovuta al recupero elastico della deformazione dell’attrezzo (vedi sezione "Lo sci: caratteristiche e conduzione", capitolo "La sciancratura degli sci"). Tale accelerazione fornisce un ulteriore impulso longitudinale agli sci che dà luogo, se non bilanciato, a un arretramento del baricentro dello sciatore dovuto all’inerzia sagittale. Gestione delle inerzie nella curva condotta Nell’analisi di una curva eseguita in conduzione, ci siamo finora dedicati solo alla descrizione delle forze trasversali e dei momenti che esse esercitano sullo sciatore. Una curva inizia a una quota e termina a una quota inferiore: ciò significa che lungo la curva sono presenti forze tangenziali, analoghe a quelle descritte nella discesa lungo la massima pendenza (vedi sezione "Discesa rettilinea lungo la massima pendenza", capitolo "Mantenere la centralità lungo la massima pendenza: le inerzie sagittali"). A esse corrispondono accelerazioni percepite dallo sciatore sull’asse sagittale. Nella prima metà della curva l’accelerazione sull’asse sagittale (longitudinale al livello dell’attrezzo) è crescente e positiva, fino al punto ove la traiettoria è parallela alla massima pendenza: in questo punto l’accelerazione sagittale è massima. In questo stesso punto gli sci sono diretti parallelamente alla massima pendenza, come in una discesa rettilinea. Notiamo che, mentre nel secondo caso essi giacciono piatti sul terreno, in curva sono deformati e intagliano nella neve l’arco che corrisponde al segmento di curva che lo sciatore sta percorrendo in quell’istante. Superata la massima pendenza l’accelerazione longitudinale si riduce, sino al punto ove avviene il cambio degli spigoli. In questo tratto la velocità dello sciatore lungo l’asse sagittale può progressivamente diminuire a causa degli attriti. In verso opposto a quello dell’accelerazione longitudinale degli attrezzi, lo sciatore percepisce una forza, e quindi un’accelerazione di inerzia sagittale che, se non bilanciata, provoca un arretramento del bacino lungo l’asse sagittale (a differenza della discesa rettilinea, in questo caso la posizione del baricentro non coincide approssimativamente con il centro del bacino, vedi sezione "Discesa rettilinea lungo la massima pendenza", capitolo "Perchè si scende lungo la massima pendenza"). Tale arretramento è critico nella prima parte di curva perché si verifica nel tratto in cui il pendio aumenta localmente, dato che gli sci vengono indirizzati su una traiettoria più ripida. Del resto, dato che gli attrezzi sono sottoposti a accelerazione longitudinale lungo tutta la curva, la corrispondente forza di inerzia sagittale produce comunque un progressivo arretramento del bacino, se non equilibrata. Se, come discusso (vedi capitolo "Il tempismo nel cambio degli spigoli") in questo settore della curva lo sciatore volontariamente riduce forza e momento che equilibrano le componenti centrifughe, l’angolo di presa di spigolo si riduce e gli sci tendono a allinearsi progressivamente con la massima pendenza. Di conseguenza aumentano sia la velocità longitudinale degli attrezzi, sia l’inerzia sagittale dello sciatore. Perciò una posizione arretrata del bacino all’inizio di questa sequenza motoria può renderne problematica l’esecuzione. Sempre durante l’esecuzione di una curva, in particolare nella seconda metà, lo sciatore percepisce una forza che tende a farlo schiacciare contro il terreno. Questa forza è tanto più intensa quanto più elevata è la velocità dello sciatore e quanto più breve la traiettoria di curva. Si tratta di un effetto inerziale, analogo a quello che si sperimenta quando la pendenza del terreno cambia bruscamente (vedi sezione "Discesa rettilinea lungo la massima pendenza", capitolo "Mantenere la centralità lungo la massima pendenza: le inerzie sagittali"): considerando per semplicità una discesa rettilinea, sul fondo di una buca si viene schiacciati per inerzia e sul colmo di un dosso si viene proiettati in alto. Il profilo laterale di una serie di curve è simile a quello di una sequenza di gobbe, ruotato di 90° rispetto alla direzione della massima pendenza; curve con traiettorie più brevi corrispondono a gobbe più alte, la cui gola è più stretta. L’analisi della ricerca di centralità da parte dello sciatore è analoga, per questo aspetto, a quella svolta nello studio delle inerzie sagittali (vedi sezione "Discesa rettilinea lungo la massima pendenza", capitolo "Mantenere la centralità lungo la massima pendenza: le inerzie sagittali"). Gli arti inferiori dello sciatore sono assimilabili agli ammortizzatori di un’auto: la muscolatura delle gambe di chi esegue curve sportive è analoga agli ammortizzatori rigidi, con corsa breve, di auto sportive. I movimenti richiesti sono di tipo verticale (vedi sezione "Discesa rettilinea lungo la massima pendenza", capitolo "Pressione sull'attrezzo e suo controllo: i movimenti verticali"), lungo l’asse longitudinale dello sciatore e hanno lo scopo di modulare i carichi, così da mantenere un costante contatto dell’attrezzo con il terreno, evitando, ove possibile, sovraccarichi che darebbero origine a un inutile incremento di forze di attrito allo scivolamento. In particolare, tale modulazione, che comporta la capacità di equilibrare-resistere allo schiacciamento, è difficile da realizzare a velocità elevata, ove le inerzie verticali, sagittali e trasversali, che agiscono contemporaneamente sullo sciatore, hanno alte intensità. Se lo sciatore verso il punto in cui esegue il cambio degli spigoli, ha il bacino arretrato e schiacciato verso il terreno, è problematico riuscire a recuperare centralità in tempo utile per impostare la curva seguente. I movimenti delle braccia e l'uso dei bastoncini Nella sciata moderna, l’uso dei bastoncini ha un’importanza più limitata rispetto a quella che assumeva in tecniche precedenti, ove, al limite, lo sciatore faceva perno sul bastoncino, che veniva piantato nel terreno, per effettuare la curva. Attualmente le braccia e i bastoncini hanno tre scopi principali: • in fase di avvio, se il pendio è poco ripido, servono per realizzare una spinta efficace e guadagnare rapidamente velocità • contribuiscono a mantenere-recuperare la centralità; le braccia vengono mantenute semiflesse, avanzate e distanziate dal busto: il loro avanzamento rispetto al busto contribuisce all’avanzamento del baricentro dello sciatore. • in una serie di curve, il punto di appoggio del bastoncino indica la fine di una curva e l’inizio di quella successiva. La sequenza degli appoggi è sincronizzata con la successione dei movimenti che definiscono ogni curva eseguita in conduzione; l’appoggio dei bastoncini serve anche a cercare la simmetria nella postura delle braccia e delle spalle. Progredendo verso un atteggiamento sportivo, nelle curve a traiettoria ampia, eseguite a velocità elevata, l’appoggio del bastoncino tende a essere mimato, con funzione sia ritmica, sia di mantenimento della centralità. Osserviamo che spostare in alto, in avanti, indietro, di fianco un braccio implica una variazione significativa nella posizione del baricentro; inoltre, è quasi impossibile spostare solo un braccio, evitando un movimento combinato, involontario del busto e/o del bacino. Oltre a cambiare la posizione del baricentro, questo può modificare sensibilmente la distribuzione delle forze e dei momenti, in particolare durante l’esecuzione di una curva in conduzione, influenzando sia la traiettoria, sia il tempismo esecutivo. È importante che le mani non cambino quota rispetto al busto, in particolare non si alzino, per evitare che i vincoli presenti nel sistema muscolo-scheletrico inducano un corrispondente, spontaneo extra-abbassamento del bacino, con effetto negativo (vedi capitolo "Gestione delle inerzie nella curva condotta"). Durante l’esecuzione di curve in conduzione, è anche importante che l’azione delle braccia nella seconda metà curva non abbia una componente rotatoria nel verso della curva, che produrrebbe una corrispondente rotazione del busto e del bacino: prima di poter iniziare l’angolazione che dà inizio alla curva seguente, la rotazione dovrebbe essere annullata e questo, richiedendo tempo, causerebbe un probabile ritardo nella definizione della nuova traiettoria. LO SCI: CARATTERISTICHE E PREPARAZIONE La sciancratura dello sci Per far cambiare direzione agli sci, come a qualsiasi altro corpo, rispetto al moto rettilineo, è necessaria una forza diretta trasversalmente alla direzione del moto e orientata nel verso in cui vogliamo andare: questa è la forza centripeta. Essa, come si vede in figura 12, viene generata grazie alla presenza della reazione vincolare del terreno, la cui direzione viene modificata variando l’angolo di presa di spigolo. Tuttavia la presa di spigolo da sola non è sufficiente a far curvare gli sci. Infatti, se essi fossero delle sbarre diritte, indeformabili, la presa di spigolo non riuscirebbe a deviarli da una traiettoria rettilinea. Figura 12 – Dipendenza schematica della direzione della reazione vincolare dall’angolo di presa di spigolo. Sci deformabili, con profilo laterale diritto, possono percorrere una traiettoria curvilinea proprio perché si deformano lungo il loro asse longitudinale. La maggiore pressione sulla parte centrale rispetto a spatola e coda provoca l’inflessione (deformazione) elastica dell’attrezzo, che permette il cambiamento di traiettoria. Tutte le curve realizzate in questo modo avrebbero però un raggio all’incirca uguale, per sci di lunghezza simile. Assumono allora importanza determinante le proprietà geometriche dell’attrezzo. La sciancratura, cioè il parametro che dà la misura della differenza di larghezza tra la spatola, il centro e la coda dello sci (figura 13), fa sì che la deformazione longitudinale dello sci possa variare di molto al variare dell’angolo di presa di spigolo. Fissata la pressione che si esercita sullo sci - quindi considerando uno sci di fissata lunghezza, un dato sciatore e uno stesso terreno, che per semplicità si suppone liscio - tanto più la sciancratura dello sci è accentuata, tanto maggiori sono: • la curvatura dell’arco disegnato dalla linea di contatto lamina-neve • la deformazione elastica dell’attrezzo. La geometria dello sci (profilo laterale) in appoggio continuo sul terreno definisce completamente la traiettoria di curva. Figura 13 – Definizione della sciancratura di uno sci. I punti A,B,C corrispondono alla spatola, al centro e alla coda dell’attrezzo. La larghezza in questi punti e la lunghezza dello sci permettono di definirne il raggio di curva geometrico. Per ogni sciancratura è determinabile il massimo raggio di curva possibile senza sbandamento dell’attrezzo. Il valore minimo dipende dalla consistenza della neve e dalle azioni dello sciatore: una neve più soffice, che permette un maggiore sprofondamento della parte centrale dello sci, consente di realizzare curve più strette con angolo di presa di spigolo più piccolo. Quanto più la sciancratura è accentuata, tanto più strette sono le traiettorie di curva ottenibili a parità di deformazione dello sci e, allo stesso tempo, tanto maggiore è il momento centripeto che lo sciatore deve generare per equilibrare il momento centrifugo, aumentando l’angolazione con uno spostamento trasversale dell’asse del bacino. Ciò significa che a velocità elevate è necessaria grande precisione nella definizione della traiettoria, perché è difficile modificarla. É di aiuto un’analogia con le auto sovrasterzanti, corrispondenti a sci con sciancratura accentuata, e quelle sottosterzanti, corrispondenti a sci poco sciancrati: come i piloti professionisti preferiscono auto sottosterzanti, o neutre, così gli sciatori più evoluti preferiscono geometrie dell’attrezzo relativamente poco esasperate. Un limite degli sci moderni può essere quello di curvare troppo: questo comporta il rischio di traiettorie con una componente “a risalire” nella parte finale della curva, le cui conseguenze sono l’allungamento del percorso, il rallentamento dello sci e una maggiore difficoltà nell’indirizzamento dell’attrezzo all’inizio della curva successiva. A B C Figura 14 – La deformazione dello sci determina l’arco istantaneo di curva. Nello schema sono riportate le tre sezioni corrispondenti alle lettere A, B e C. La parte centrale dello sci, corrispondente alla sezione B, che subisce la maggiore pressione, si inflette maggiormente, penetrando la superficie della neve. Quanto maggiore risulta l’abbassamento della parte centrale rispetto alla spatola e alla coda dello sci, tanto più breve sarà la traiettoria di curva percorribile in conduzione. In definitiva, in una curva eseguita in conduzione gli sci percorrono comunque una specie di sottile binario che essi stessi incidono istante per istante nel terreno (figura 14). La deformazione elastica dello sci è ulteriormente aumentata dalla centina, cioè dalla curvatura verso l’alto della parte centrale dell’attrezzo rispetto a spatola e coda, che si può vedere chiaramente quando lo sci, scarico, è appoggiato su un piano orizzontale. Il ruolo della centina è di distribuire lungo tutta la lunghezza dello sci il carico esercitato dallo sciatore. Di fatto, quando lo sciatore è fermo sugli sci in appoggio piatti sul terreno, la pressione interessa la parte centrale, sotto lo scarpone, più un piccolo contributo per annullare la centina in corrispondenza della spatola e della soletta. Quando lo sci, caricato dallo sciatore, è in appoggio sullo spigolo su un pendio di pendenza fissata, su neve compatta, la distribuzione di pressione fra spatola, centro e coda varia a seconda della rigidità dell’attrezzo: in generale, in sci per slalom gigante la pressione sul centro dello sci è circa uguale a quella su spatola e coda; in sci da slalom la pressione sulla spatola è minore che sul centro e sulla coda, mentre negli sci da turismo la pressione è maggiore sul centro che sulla spatola e sulla coda. La centina, che richiede una certa forza per essere annullata, determina le caratteristiche atletiche minime che uno sciatore deve avere per poter sfruttare convenientemente un dato attrezzo. Se uno sciatore non produce, per sua costituzione o modo di sciare, la forza necessaria per annullare la centina, certamente non può riuscire a deformare l’attrezzo quanto è necessario per eseguire curve in conduzione. In generale, più un attrezzo è rigido, più intense sono le forze necessarie per deformarlo e, a bassa velocità, diventa più difficile indirizzarlo senza sbandamenti lungo una traiettoria curvilinea. D’altronde, la risposta elastica dell’attrezzo quando esso riprende il suo profilo laterale originale, o si avvicina a esso, è tanto più intensa e si sviluppa in tempi tanto più brevi quanto più esso è rigido. Tale contributo di energia meccanica che si rende disponibile verso fine curva dà allo sciatore un impulso diretto longitudinalmente, fornendogli un’extra-accelerazione e aumentando la sua velocità longitudinale. Sulla preparazione dell'attrezzo A ogni livello di abilità tecnica, la preparazione degli sci è fondamentale per renderli maneggevoli e affidabili. Supponiamo che l’attrezzo abbia avuto una finitura iniziale, che ha reso la soletta piana, senza micro-pelo, e le lamine lucidate e rettificate. Su questo attrezzo, che è “preparabile per l’uso desiderato”, si interviene per definire l’impronta, la pulizia, la sciolinatura della soletta, la lucidatura e la rettifica della lamina orizzontale, la determinazione dell’angolo fra lamina orizzontale e lamina laterale, l’affilatura di quest’ultima. Senza entrare nei dettagli, la soletta, che è la parte dello sci direttamente a contatto con il terreno, è costituita da una striscia di polietilene estrusa (sci commerciali) o sinterizzata (sci con prestazioni elevate) di alta densità ed elevata cristallinità, eventualmente additivata di grafite, di spessore attorno a 1.5 mm. Si tratta di un materiale tenero, dalla superficie porosa, che viene scalfito facilmente (per esempio incidendolo con un’unghia). La rimozione dei graffi presenti fin dalla produzione, o procurati durante l’uso o nelle fasi iniziali di preparazione dell’attrezzo, è delicata e richiede diversi passaggi di levigazione progressivamente più fine. All’esame visivo il risultato finale del processo è una superficie macroscopicamente liscia, dalla quale sono stati asportati anche residui e impurezze (sporco). Peraltro un’osservazione microscopica evidenzia le molte irregolarità negli strati di superficie della soletta (figura 15). Figura 15 - Immagini rappresentative, a ingrandimento crescente (da A a B a C) di soletta senza impronta, sciolinata, spatolata. Immagini rappresentative, a ingrandimento crescente (da D a E a F) di soletta con impronta, sciolinata, spatolata: la freccia indica un solco dell’impronta. Le due solette sono state preparate dallo stesso ski-man. Si procede poi con l’improntatura, che consiste nel tracciare nella soletta una serie di microsolchi di profondità e larghezza variabili a seconda delle condizioni di impiego (tipo di neve). La lucidatura della lamina orizzontale rimuove le micro-rigature rimaste su di essa dopo la fase grossolana dell’improntatura, evitando di interessare la soletta. La rettifica (tuning) della lamina orizzontale, che viene debolmente inclinata (tipicamente ≤ 1°) rispetto al piano della soletta, permette di sfruttare al massimo la scorrevolezza del polietilene, rispetto a quella dell’acciaio con cui sono realizzate le lamine. In questa fase si considera l’inclinazione relativa della soletta e della lamina orizzontale: se il tuning è di 1° e si vuole realizzare un angolo di 88° fra lamina orizzontale e laterale, si utilizza una squadra con angolo pre-impostato di 87°, oltre alla lima. L’affilatura della lamina laterale procede a sua volta per gradi, prima con una lucidatura mediante l’utilizzo di pietre di grana progressivamente più fine e poi con una limatura che rimuove le creste (sbavature) rimaste sul filo, molto tagliente, della lamina. Uno sci deve essere scorrevole non solo in senso longitudinale, ma anche trasversalmente: si ottiene così una riduzione degli attriti e si facilita la conduzione. Lamine preparate a dovere ottimizzano la conduzione su terreno ghiacciato e prolungano le prestazioni dell’attrezzo, evitando che si “inverta il filo”, cosa che produrrebbe un effetto analogo all’avere, in moto, gli pneumatici lisci. Abbiamo visto che al contatto attrezzo-neve, durante lo scivolamento, si sviluppano forze di attrito. Il contatto interessa sia la soletta, sia, in modo minore, la lamina dello sci: esse sono costituite di materiali con proprietà chimiche e meccaniche molto differenti fra loro, che vanno considerate separatamente. Le caratteristiche del manto nevoso - temperatura, densità, durezza meccanica, contenuto di fase liquida, morfologia del grano - influiscono sulla forza di attrito fra soletta e neve, il cui effetto è condensato in un coefficiente di attrito: i materiali di cui sono costituite le solette e i lubrificanti (scioline) sono studiati per ridurre al minimo tale coefficiente. Quando la temperatura è molto bassa, approssimativamente sotto -25°C, i cristalli di ghiaccio-neve possono scalfire la soletta, impedendone lo scivolamento. L’attrito a secco soletta-neve rende questo tipo di scivolamento simile allo sciare su dune di sabbia. Anche quando non si arriva a questo limite, a basse temperature l’abrasione tra soletta e cristallo di neve-ghiaccio è il responsabile principale dell’attrito. La scorrevolezza dello sci è favorita dall’azione lubrificante di una sottile pellicola d’acqua prodotta dalla fusione temporanea della neve sotto la soletta (lubrificazione da fusione). Lo spessore del film di neve fusa cresce con la temperatura della neve e con il suo contenuto di umidità. L’attrito soletta-neve si riduce notevolmente quando lo spessore di questa pellicola, che idealmente riveste con continuità la soletta, è inferiore a 4 μm; per spessore fra 4 e 12 μm l’attrito soletta-neve aumenta progressivamente a causa del trascinamento capillare: lo strato di acqua a contatto con la soletta viene trascinato dalla soletta, deformandosi (con un’analogia estrema, come se fosse un velo di colla liquida) e rallenta lo sci; oltre i 14 μm di spessore dello strato di neve fusa, l’attrito da trascinamento capillare è quello più importante; il suo effetto frenante è confrontabile con quello dell’attrito a secco. Per cercare le condizioni di attrito minimo in ogni condizione di neve e di clima, diventa essenziale avere un’impronta e scioline adeguate. L’impronta aiuta la formazione del film liquido quando si scia su nevi a bassa temperatura e scarica l’eccesso di acqua presente in neve umida. L’applicazione del lubrificante ha essenzialmente tre scopi. Il primo è protettivo-chimico: la sciolina impedisce che particelle di sporco vengano assorbite dalla soletta. Il secondo scopo è protettivo-meccanico: protegge la soletta dall’abrasione. La soletta, infatti, può venire localmente abrasa (rigata) anche a profondità notevole dai grani di neve fresca, che con temperature basse sono molto aguzzi; anche la neve artificiale ha caratteristiche meccaniche simili. Asperità della neve vecchia, impaccata densamente, abradono la soletta a minore profondità: di conseguenza lo strato fuso non è continuo lungo tutta la superficie della soletta; comunque è necessario proteggere la soletta da tale abrasione. Il terzo scopo è l’aumento dell’idrorepellenza: più la neve è umida, più è importante utilizzare lubrificanti in grado di far scorrere velocemente le goccioline d’acqua. Questo effetto si può verificare depositando qualche goccia d’acqua su una soletta trattata e su una non trattata: inclinandole entrambe progressivamente, le gocce sulla soletta trattata iniziano a scivolare verso il basso ad un’inclinazione inferiore e, a parità di inclinazione, scivolano più velocemente che sulla soletta non trattata. La scelta del lubrificante dipende da tre fattori principali: temperatura della superficie della neve, umidità dell’aria e tipo di neve. In una classificazione grossolana dell’umidità dell’aria, si possono considerare tre intervalli: inferiore al 50%; tra il 50% e l’80%; superiore all’80%. Per temperature atmosferiche elevate (superiori a 5 °C), si deve anche considerare il tasso di umidità della neve. La valutazione del tipo di neve è importante e difficile. A qualunque temperatura, nei vuoti presenti entro una distribuzione di grani di neve, agglomerati fra loro, si ha evaporazione, ma la presenza di vapore d’acqua diventa un fattore determinante nella scelta della sciolina quando le temperature atmosferiche sono superiori a 0°C: la temperatura della neve rimane 0°C e nei pori tra i cristalli il vapore d’acqua raggiunge la saturazione. In queste condizioni sono adatti lubrificanti fluorurati, nei quali la proprietà più importante è l’idrorepellenza. (l’Autore è grato allo skiman A. Caprini, Ski Service Center, P.so Tonale, per la collaborazione alla stesura di questa sezione)