ACTING OUT N.9 APRILE ANNO 1 DIR. RESP. MEL MENZIO SUPPLEMENTO AL N.13 DE IL MERCOLEDI’ DEL 04.04.07 STAMPATO PRESSO LA GRAFICA NUOVA MENSILE GRATUITO ASSOCIAZONE CULTURALE BLUELOOP...DICONO DI NOI www.myspace.com/actingoutmag direttore In copertina: Senza Titolo Pietro Clarizia 2007 ACTING OUT APRILE 2007 Mensile gratuito Ed. La Presse Iscrizione al Reg. Trib. di Torino N.4775 del 24.03.95 Direttore responsabile: Melchiorre Menzio Direttore artistico: Tommaso Caroni [email protected] Vicedirettore: Veronica Lisino [email protected] Redazione: Davide Carbonari (cinema) Lorenzo De Nicolai (teatro) Pietro Lesca (musica) Hanno collaborato: Anna e Pace, Andrea Baldi, Federico Bava, Enrico Bergaglio, Alessandro Bianchi, Giacomo Bottaro, Gabriele Buzzi, Gabriele Casu, Francesco Di Giusto, Marcello Di Martino, Veronica Do, Elisa Facchin, Giacomo Freri, Marta Lanfranco, Mario Merlini, Marta Musso, Carlo Prevosti, Federica Tammarazio redattore cinema redattore teatro redattore musica INDICE C I N E M A Supplemento de: Il Mercoledì vicedirettore Manifesto di Acting Out Isole Critica e Western: intervista a Giampiero Frasca CortiSonici, 4 anni di successi It’s Anger time Histoires In libreria CINEMA 3>5 Nora, la bambola A-LEX Clown clandestini M U S I C A Baroque Face off: Steve Morse Una Band alla corte di Carmen Consoli Pubblicità [email protected] ACTING OUT 2 Acting out. Per John Cassavetes voleva dire recitare sopra le righe, prendendo quanto un'interpre- The Macbeth horror show tazione possa trasformarsi in opera d'arte nell'istante in cui 7>8 viene eseguita, ho capito che forse questo è l'unico modo per uscire fuori, fuori dallo schema che ci viene disegnato attorno. Noi vogliamo muoverci sopra Torino Local Scene - Identità torinese le righe, scrivere di chi come noi nelle righe non riesce pro- 9>11 prio a starci. Sono anni che la BREAKTHROUGH: Elena Mirandola Toccare l’architettura Arte pubblica: con gli occhi aperti non si generano mostri nostra città vive una vita paral- 13>15 Questo giornale vuole parlare lela, divisa tra una vetrina luccicante da proporre in eventi a cinque cerchi e uno schivo ma fertile universo sotterraneo, un universo composto da persone. di queste persone. Non faccia- Una pica moderna Spazio Fondazione Teatro Nuovo Spazio Letteratura mo politica e non vogliamo insegnare nulla, non abbiamo la presunzione di farlo. Noi vogliamo solo parlare di que- In libreria NARRATIVA Spazio Torino ste persone, persone che insieme fanno una massa, massa che ogni giorno di più sembra un movimento. Senza presunzione, senza eccessi, muovendoci, andando oltre, Ringraziamenti: Luca Bima, Giulietta Casolati, Luca Lombardi, Elena Occella. Redazione [email protected] entrare questa parola. Guardando i suoi film e com- Grafica: Nicoletta Occella, Caterina Musazzi, Marco Lopane Per informazioni [email protected] www.myspace.com/ actingoutmag Sono tanti i contesti in cui può alla lezione di Stanislavksy. 6-12-16 Stampato presso: LA GRAFICA NUOVA Via Somalia 108/32 - Torino giche. no del suo approccio estremo Francesco Tabusso. Storia di un pittore fra monti, fiabe e sogni A L T R O zione e persino teorie pedago- andare oltre, persino più lonta- T E A T R O A R T E Psicologia, tecniche di recita- @ Torino CINEMA UNIVERSITA' CLUB Massimo Multidams Cafè des artes Due giardini Verdi Cafè liber Empire Venturi Cafè Rossini Centrale Aldo Moro Lab Fratelli Marx Accademia delle belle arti Zoo Bar Greenwich village Architettura Mood TEATRO GALLERIE NEGOZI Erba Gam Altrovideo Nuovo Castello di Rivoli Bazar Gioiello Fondazione Giov-A Anna Piras (Asti) Blow Up Monterosa En Plein Air (Pinerolo) You Acting out. Tommaso Caroni ISOLE C Storia di un film indipendente Fare cinema non è un mestiere semplice, soprattutto se il tuo punto di partenza è la provincia, dove le comunità di cinefili, le associazioni culturali e le sale d’essai scarseggiano. Da qualche anno però ad Orbassano è cambiata l’aria, grazie all’impegno di un ragazzo di 24 anni che, senza neanche esserne pienamente cosciente, è diventato il principale promotore di cinema della cittadina alle porte di Torino. Rocco Riccio, dopo il successo dell’Orbassano Film Festival, ora ha alzato il tiro; e dopo un lungo e faticoso anno di lavoro ha portato a termine Isole, il suo primo lungometraggio. Il film, che sarà presentato il 14 aprile al cinema comunale di Orbassano, è un esperimento molto interessante di autoproduzione, che grazie all’uso di camere professionali digitali e di un gruppo di lavoro compatto e affiatato, è riuscito a vedere la luce. La storia, che lo stesso regista ha scritto, raccoglie vite, problemi e speranze che ogni giovane, nella provincia in particolare, è costretto ad affrontare per trovare una propria dimensione. La musica, gli amici e la famiglia sono le basi tematiche su cui sono strutturate le storie parallele di due fratelli di fronte ai rispettivi crocevia della vita: il primo lavoro e il primo anno di liceo. Rocco Riccio inoltre ha deciso di affiancare ad attori professionisti alcuni ragazzi di Orbassano, che, con la loro spontaneità ed entusiasmo hanno contribuito a creare l’atmosfera positiva che ha contraddistino tutta la produzione. Issole è un progetto autoprodotto, come hai gestito la parte produttiva? Hai avuto supporto dal comune e dagli enti specifici? Isole è un progetto di autodeterminazione produttiva che prescindeva dal discorso economico. Avere 2000 euro o 5000 euro in un lungometraggio ti dà poco di più di quello che hai già. I soldi nel cinema sono altri. Il concetto è molto semplice: autoprodursi vuol dire avere la visione a 360° di tutto quanto. Vuol dire fare valutazioni sulle scene, sugli ambienti, sui tempi, sulle attrezzature. Ma è anche una visione anarchica e incosciente che da una parte ti permette di fare tutto, dall'altra ti limita su tutto fortemente. Il Comune di Orbassano ci ha permesso di utilizzare agevolmente spazi e ambienti ideali per le riprese; e anche numerose associazioni e commercianti sul territorio ci hanno dato la disponibilità delle loro sedi o dei loro negozi per le riprese. Il film inoltre ha visto una collaborazione fortuna- ta con un gruppo di ragazzi, con cui stiamo lavorando per un altro lungometraggio (La via del peccato), che ci ha permesso di abbattere notevolmente costi di attrezzature e manodopera. Senza questa collaborazione il film sarebbe costato più di 25.000 euro. La produzione di un lungometraggio indipendente è un continuo lavoro di work in progress, di esaltazione e frustrazione. L'importante è sempre stato non lasciarsi spaventare dalla mole e dalla lunghezza del lavoro. Non è facile lavorare su qualcosa con costanza senza vederne subito i frutti. Ci vuole tanta pazienza. I Il protagonista Federico Bava (a sinistra) in una scena con Daniele Chiarella Isole è un film nato per costare poco e per essere concluso, considerando in modo verosimile tempi e disponibilità di tutti, in un anno di lavoro. Non mi sono andato a cercare situazioni complesse di ambientazioni scenografiche. Ho scritto un film a misura di Orbassano. Le difficoltà sono state tante: l'impossibilità di avere i ritmi di una produzione normale e il lavoro con gli attori più giovani per esempio, che ci hanno messo tanto a capire che non era un gioco. Per la parte dei ragazzi hai scelto molti giovani alla loro prima esperienza cinematografica. Come sono stati realizzati i casting? E a lavoro ultimato la scelta coraggiosa ti ha premiato? Questo è stato il più grande rischio. Il film si sviluppa su due piani generazionali. Andrea (interpretato da Federico Bava), di 26 anni, alle prese con crisi esistenziali, lavori precari e domande e dubbi sul futuro, e Luca (Nicola Garrubba), 14 anni, alle prime esperienze di vita. Lavorare con ragazzi così giovani è stato veramente complesso. Abbiamo fatto un casting dove abbiamo valutato più di 50 ragazzi. Nicola l'ho scovato per caso e scritturato con grande rischio. Alla fine però penso che nessun altro al mondo avrebbe fatto meglio di lui e sono molto contento. Come procederai con la distribuzione del film? Lo presenterai a festival e lo proporrai direttamente ai cinema di Torino e provincia? Qui tocchiamo un tasto dolente, anzi, IL tasto dolente. Che dire? Ci proviamo. Abbiamo una serie di date sparse previste tra cinema di Torino e provincia e qualche scuola. E' chiaro che un esordio cinematografico, e per di più autoprodotto e indipendente, non ha mire distributive nazionali convenzionali. Il lavoro è molto più capillare e sul territorio, attraverso una serie di tentativi promozionali che speriamo vadano a buon fine. Internet, ancora una volta, è stato importante. Il nostro sito www.titobros.it ospita foto e video sul film e c'è un blog attivo dall'inizio della produzione (http://isolefilm.splinder.com), aggiornato quasi quotidianamente, che rac- Il mese che verrà Del Festival Da Sodoma a Hollywood parlo già nelle pagine successive, cosa resta dunque da promuovere nel prossimo mese? Se al cinema si alterneranno giovani registi italiani, improvvisati o non (Zampaglione vs Marengo), spendo volentieri 2 parole su un film reperibile da qualche mese in dvd, dopo un poco brillante passaggio nelle sale l’anno scorso. La guerra di Mario è probabilmente il migliore tra i film italiani passati per festival quest’anno. Invece che a Venezia o Roma, il film di Antonio Capuano è stato applaudito a Locarno. Il Festival svizzero, che aveva già premiato due anni fa Private di Costanzo, non ha permesso la vetrina promozionale che il film invece meritava. Presentato nelle sale a distanza di mesi ha fatto la fine di Uno su Due qualche settimana fa... schiacciato da Ho voglia di te. Sono convinto che i Festival vadano sfruttati come trampolino per un lancio immediato nelle sale, e penso che La guerra di Mario per la qualità espressa avrebbe potuto bissare tranquillamente il successo di critica. Se questo è il cinema su cui puntare puntiamoci per davvero. LA GUERRA DI MARIO!!! [T.C.] conta tutta l'esperienza del film. Con questi mezzi si arriva ad un pubblico già attivo e moderno. La gente comune va cercata in altro modo: locandine, manifesti, giornali e radio. Cerchiamo di farlo vedere a più persone possibili, senza grandi pretese, né aspettative. Il successo sta già nell'aver realizzato e concluso un film. Tu con la tua Associazione Titobros cerchi di fare cultura in provincia, prima il Festival e ora la realizzazione di Issole : come risponde Orbassano alle iniziative che proponi? All'inizio è stato impegnativo, per- N E M A ché la gente non è abituata ad avere a portata di mano delle iniziative culturalmente diverse dalle solite rassegne teatrali o dai concerti di musica classica. Orbassano non ha un vero e proprio cinema, e funziona solo il fine settimana. E' stato un vero e proprio lavoro di "creazione" di un pubblico, soprattutto giovanile, e più si è andati avanti maggiori sono stati il consenso e la partecipazione. Mai come in provincia la pubblicità è importante, per arrivare direttamente alle persone. [T.C.] ACTING OUT 3 Dvd nuovi e usati da tutto il mondo Dal poliziesco al cinema d’autore dalle avanguardie a hollywood Via Montebello 22e - Torino tel 01119508117 mail [email protected] LE SCADENZE DEI FESTIVAL PER CORTOMETRAGGI Cinema &/è Lavoro - Festival Cinematografico dell'Umbria 10/04/2007 Corto Siracusano 15/04/2007 MIDOC - Milano Doc Festival 10/04/2007 Salento International Film Festival 15/04/2007 International Short Film Festival of Vila Do Conde 13/04/2007 Fronte del Corto Film Festival 15/04/2007 Bianco Film Festival 15/04/2007 Edimburgh International Film Festival 17/04/2007 cortoSicuro 15/04/2007 N.I.F.F. Net Independent Film Festival 30/04/2007 Cinema Jove - Festival Internacional de Cine 15/04/2007 Euganea Movie Movement 30/04/2007 15/04/2007 Junior Short Film Festival 30/04/2007 Salento International Film Festival CRITICA E WESTERN Histoire(s) Bobby The sound of silence...and words Il senatore degli Stati Uniti Robert F. Kennedy fu assassinato la notte del 4 giugno 1968 all'Ambassador Hotel di Los Angeles. Aveva da poche ore vinto le primarie del partito Democratico in California, e si trovava quindi la strada spianata per concorrere alle elezioni presidenziali contro lo sfidante Richard Nixon. Nel fatale attentato, consumato nelle cucine dell'albergo dove "Bobby" stava salutando il personale dell'Ambassador al termine del ricevimento in suo onore, furono ferite anche altre persone: sostenitori del presidente, dipendenti dell'albergo, semplici curiosi. Nessuno morì. A parte Bobby Kennedy. Emilo Estevez ci racconta l'ultimo giorno di vita del "futuro presidente" in modo originale e molto convincente: di Bobby non vediamo che immagini di repertorio -i discorsi e la campagna elettorale. Il film "vero" è fatto da 22 dei protagonisti di quella tragica giornata che, dopo appena due mesi dall'omicidio di Martin Luther King, diede il colpo di grazia al cosiddetto "sogno americano". Seguiamo, in un approccio "corale" che ricorda quello del maestro recentemente scomparso Robert Altman, la giornata di alcuni dipendenti dell'albergo; uomini e donne del partito democratico che lavorano alla campagna delle primarie; finanziatori del senatore; gli artisti invitati ad esibirsi alla festa in onore di Bobby; semplici ospiti dell'albergo; amici degli organizzatori; imbucati; spacciatori. Vivono la loro vita, inconsapevoli della tragedia che aspetta loro e l'intera nazione, mentre il senatore Kennedy dagli schermi dei televisori ci appare sgranato, lontano, come le sue parole di pace in questo nostro tempo di guerra. Anche le immagini della festa sono quelle "finte" del film, tranne che per Bobby, di cui vediamo invece il discorso originale del 1968. Ma, lo abbiamo accennato, la scelta stilistica funziona: è un modo intelligente di raccontare la Storia dal punto di vista dei suoi "attori" non-protagonisti, che non prova a resuscitare il corpo del senatore tramite un attore, ma ce lo mostra com'era, nella sua appartenenza definitiva a un'epoca che è morta con lui. Che cosa resta oggi? I suoi discorsi. I discorsi -ne sentiamo più d'uno nel film- di un uomo che si candida alla presidenza degli Stati Uniti, parlando di pace, uguaglianza sociale e di un'America che deve farsi amare dal mondo per la sua generosità e non per la sua forza militare. Una sorpresa che arriva dal passato invece che dal futuro. A questo si aggiungono la grande musica del tempo (nella colonna sonora Stevie Wonder, The Supremes e Simon & Garfunkel con la loro celebre Sound of Silence ), e la recitazione impeccabile di un folto gruppo di grandi attori, tutti al minimo sindacale pur di partecipare al progetto. Tra gli altri ricordiamo Anthony Hopkins, Harry Belafonte, Helen Hunt, Demi Moore, Martin Sheen, Christian Slater, Sharon Stone, Elijah Wood, Joy Bryant, Nick Cannon, Laurence Fishburne, Brian Geraghty, Heather Graham, Joshua Jackson, Shia LaBeouf, Lindsay Lohan. Un grazie quindi al regista Emilio Estevez, anche attore nel film, per averci fatto commuovere e divertire, e per averci ricordato che la politica può anche essere fatta di grandi ideali e sincere speranze. Gabriele Buzzi ACTING OUT 4 DEADLINE Intervista a Giampiero Frasca Fare critica cinematografica è un’ambizione comune a molti giovani studenti. Pochi però sanno davvero cosa vuol dire amare il cinema, studiarlo e riuscire a trasmettere la propria passione con padronanza dialettica e della materia. Giampiero Frasca, per quelli che provano a scrivere di Nouvelle Vague e di postmodernismo, è un modello da emulare. Ascoltarlo parlare di cinema è un’esperienza illuminante. Può travolgerti con lunghi elogi a Vera Cruz di Aldrich o concederti una sola battuta per raccontarti il suo James Stewart. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del suo atteso volume C’era una volta il Western, edito da Utet. Parliamo del nuovo libro, com'è nato il progetto? Tutto inizia dalla mia volontà di legittimare una passione infantile, maturata con la crescita ed esplosa definitivamente con la stesura del Manuale dei generi (edito anche questo da Utet Cinema ndr). Lavorando per quel libro ho visto e approfondito diversi film western, notando in essi dei meccanismi alla base, da un punto di vista linguistico, molto interessanti e mai trattati in volumi precedenti. Penso che qualsiasi critico si sia cimentato con questo genere, ma tutti lo hanno analizzato, facendo egregi lavori, da un punto di vista tematico o sociologico. Quasi nessuno si è basato sul piano rappresentativo. Io mi sono sforzato di creare dei percorsi nuovi partendo da alcune configurazioni e convenzioni narrative che si ripetono, ma in modi diversi, nella storia del cinema a seconda del clima culturale e storico americano. Un esempio su tutti è la rappresentazione dello spazio. Nel corso degli anni Trenta, il western ha conservato gelosamente la profondità di campo, all’epoca scomparsa nel resto della cinematografia mondiale, riprendendo quella tradizione culturale pittorica e letteraria in cui il gigantismo dello spazio garantiva la sovradimensionalità rispetto alla figura umana e permetteva una drammatizzazione epica all'interno della quale l'uomo diventava l'eroe e il conquistatore di scenari immensi e ancora incorrotti. Alla fine degli anni Sessanta, con l'introduzione di nuovi dispositivi ottici come il teleobiettivo, lo spazio si è contratto, e la profondità di campo ha perso quella che era la sua caratteristica per diven- Leggere critica cinematografica, scrivere, seguire i cineforum? La maggior parte degli aspiranti critici scrive, molto, forse troppo, e soprattutto con un approccio sperimentale, dimenticandosi spesso che c'è una teoria critica con cui è necessario confrontarsi. Il mio consiglio è di leggere. Abbiamo il fiore della critica italiana che sviluppa temi e approfondimenti sulle riviste specializzate ed è assurdo, per La copertina del libro edito da Utet e in uscita nelle prossime settimane tare uno spazio schiacciato all'interno della prospettiva; in concomitanza linguistica e contenutistica con la perdita di quello che era l'eroismo senza condizione, che da sempre era stato impostato. Tu insegni cinema all'università e nelle scuole. Io penso che il tuo lavoro sia fondamentale per creare una coscienza cinematografica nei giovani. E’ veramente così difficile avvicinare i ragazzi al cinema d'autore? In questo periodo sto tenendo un corso di cinema e televisione per cercare di stimolare il dubbio che il Grande Fratello non sia la quintessenza del realismo esistenziale e televisivo. Ma sono pessimista al riguardo, perché quella che tu definisci coscienza critica non può sussistere dopo anni di bombardamento di immagini che i giovani dagli 11 ai 18 subiscono. Cosa consigli a chi si avvicina alla scrittura per il cinema? esempio, che un settimanale come Film Tv rischi di chiudere per carenza di lettori. Agli aspiranti critici consiglio anche di studiare la storia, la politica e l’arte in generale perchè non si può pensare di comprendere veramente il cinema americano o quello giapponese se non si conosce nulla di quelle società. Qual è il film della tua vita, se ce n'è uno? Come per i dischi, io ho dei film che hanno caratterizzato dei periodi della mia vita. E' difficile sceglierne uno o fare una graduatoria. Ho pensato per moltissimo tempo che uno dei film della mia vita potesse essere 8 ½ di Fellini, che con il western non c’entra niente; per rimanere nel genere invece dico L'uomo che ha ucciso Liberty Valance , un film che nonostante abbia visto almeno 15 volte ha ancora la capacità di farmi commuovere. [T.C.] IN LIBRERIA CINEMA Dei miei sospiri estremi Buñuel Luis Editore: SE Prezzo 20 Euro Pagine 280 "Grazie a Dio, sono ateo" è l'aforisma che meglio rappresenta i paradossi e l'arguzia di Luis Buñuel. I suoi film surreali, cinici e metaforici, sono modernissimi frammenti di specchi infranti che riflettono porzioni di realtà, confondendola in un mosaico di follia. Cresciuto nell'ambiente fortemente religioso di Calanda, Buñuel ha sviluppato un'irriverente polemica antireligiosa conseguente al suo violento rifiuto del cattolicesimo. Credere e non credere, è proprio lo stesso. "Se in questo preciso istante mi si dimostrasse la luminosa esistenza di Dio, il mio comportamento non cambierebbe di certo. Non posso credere che Dio mi sorvegli continuamente, che si occupi della mia salute, dei miei desideri, dei miei errori. Non posso credere e comunque neanche accettare che possa punirmi per l'eternità. Che cosa sono per lui? Niente, un'ombra di fango. Il mio passaggio è talmente rapido da non lasciare una traccia. Sono un povero mortale, e non conto, nello spazio come neanche nel tempo. Dio non si occupa di noi. Se esiste, è come se non esistesse. Ragionamento che una volta ho riassunto in questa formula: Sono ateo, per grazia di Dio". Giunto al termine della sua esistenza, quasi a voler redigere un diario artistico e umano della propria vita, Buñuel lascia libero sfogo alla penna in Dei miei sospiri estremi , il racconto di un viaggio iniziato al ritmo dei tamburi di Calanda, che scandivano il lento scorrere delle processioni della settimana santa, fino alle esperienze dei sogni e delle fantasticherie di Parigi, della Guerra di Spagna e del nuovo mondo di Hollywood, degli Usa e del Messico. L'arte di una vita e una vita che se si trasforma in arte, quella di Luis Buñuel. Analogamente, Dei miei sospiri estremi è un mezzo straordinario per avvicinarsi all'arte e al suo cinema, così come permette di conoscere l'uomo e sfogliare la sua coscienza come un libro aperto. [C.P.] It’s Anger time Torna il TORINO GLBT FESTIVAL Come ogni anno, con un cartellone sempre più ricco, torna protagonista nelle nostre serate di primavera il Festival Da Sodoma a Hollywood . Questa manifestazione, grazie a un’accurata selezione di film, anno dopo anno è divenuta una delle principali occasioni di dialogo e confronto per la comunità gay, così come per il grande pubblico. La XXII edizione si festeggia con una retrospettiva dedicata a uno dei più importanti nomi del cinema sperimentale americano: Kenneth Anger. Alla presenza del regista, il pubblico potrà ri/scoprire e apprezzare i più importanti titoli della sua filmografia, tra cui soprattutto i cult Fireworks, Eaux d'artifice e Scorpio Rising . Significativi omaggi saranno dedicati anche al performer americano Ron Athey, alla regista e archivista americana Jenni Olson, e al regista francese Philippe Vallois. Un altro appuntamento da non perdere sarà, in occasione del 20° anniversario dalla morte, l’omaggio particolare a Andy Warhol, di cui verranno proiettati i tre classici cult: My Hustler, Chelsea Girls e Lonesome Cowboys . Appuntamento dunque dal 19 al 26 aprile nei cinema Ambrosio e Ideal. Per informazioni: www.tglff.com [T.C.] CORTISONICI, 4 ANNI DI SUCCESSI: UN’ESPERIENZA DA ESPORTARE Di festival in questa città si parla tanto, ma sono aprendo una seconda sezione parallela chiamata viene chiamata ad affiancare quella tecnica. Gli stusempre più bizzarri equilibri politici -e non solo l’e- Cortisonici Ragazzi , dedicata all'audiovisivo realizza- denti attribuiscono il premio a Melo Prino per sperienza e la volontà degli organizzatori- a dettare to nell’ambito di progetti educativi e scolastici. Il Buongiorno, mentre la giuria tecnica sceglie il coragle sorti delle manifestazioni. Ci sono però casi in cui bando di concorso ha una diffusione capillare nei cir- gioso spagnolo Pablo Valiente con il suo Coniglio un gruppo preparato ed entusiasta di giovani, unen- cuiti di filmmaker italiani e la quantità dei film rice- all'aglio , storia di un attore porno alla chiusura della do le proprie forze, riesce a costruire dal nulla una vuti sale, come pure la loro qualità. La giuria chia- sua carriera. Grande successo per l'appuntamento manifestazione, cresciuta in modo sorprendente mata a scegliere il film vincitore premia un giovane Focus On Korea e per l'incubo notturno della sezione anno dopo anno, e divenuta ormai Inferno , contenitore dei film più modello da emulare in tutto il estremi arrivati al Festival, che resto dell’Italia. pur non trovando spazio in concorIl critico Diego Pisati, nel suo so hanno però meritato una pubrecente volume dedicato al cineblica proiezione. ma della provincia di Varese, La quarta edizione segna la svol( Varese, ta. Oltre 300 i film ricevuti, una Hollywood , edizioni selezione di concorso internazioMacchione) mette in luce come nale di 18 titoli provenienti da l'immagine della cittadina del Usa, Australia, Italia, Germania, nord, nelle pellicole italiane, evoCroazia, Gran Bretagna e Spagna. chi alla mente una città ricca ma Il Festival si tinge dei colori spatriste, frenetica nel lavoro ma gnoli con il primo premio allo addormentata nel mondo della splendido Maquina di Gabe cultura. Nell'estate 2003 la percezione che fosse necessario Ibanez, cruda metafora di uno stucreare un cortocircuito nella sorpro tra Takashi Miike e i cartoon di niona vita varesina è diventata Betty Boop, mentre la giuria degli una priorità per l'associazione studenti premia un altro lavoro Ronzinanti e il cineclub Juego di Ione spagnolo, Filmstudio 90. L'idea era sempliHernández. Scelte coerenti per un ce: creare un'occasione di inconfestival inaugurato dal Focus tro per giovani registi attraverso Madrid en Corto sulle produzioni due serate di proiezione di cortoprovenienti dalla capitale spagnometraggi, ricevuti dopo la pubblila. Cresce anche Cortisonici Gabe Ibanez, vincitore dell’edizione 2007, con il primo premio: gli occhiali realizzati dallo scultore Daniele Di Luca cazione di un bando. Quasi a rapRagazzi , da quest'anno anche conpresentare la volontà di curare la catalessi culturale regista diciannovenne, Tommaso Antalo, autore di corso, che premia due straordinarie esperienze. Per varesina, il Festival viene comunicato attraverso la Insetti un'animazione realizzata in stop-motion in la categoria UNDER 13, Scuola di cucina , prodotto metafora del medicinale: il nome scelto è appunto modo ironico e sorprendentemente amatoriale. dalla Direzione Didattica "Uditore" di Palermo, e per Cortisonici . Il budget inesistente ha spinto l'organiz- L'edizione 2006 è quella del grande lancio interna- OVER 13, Un giorno da vivo di Marina zazione a scegliere la forma non competitiva della zionale del Festival. Il bando viene diffuso anche Mastrogiacomo, per l'Accademia del Cinema dei rassegna, sebbene una giuria tecnica abbia scelto all'estero e la risposta è incoraggiante. Il concorso Ragazzi di Bari. Seconda edizione per Inferno , in coluno fra gli oltre cento film. La prima edizione vede cresce di qualità e ogni sera la sala di proiezione da laborazione con Noctuno Cinema. Tavole rotonde, menzionato il giovane regista Hendrick Wijmans per oltre 400 posti è gremita al limite della capienza. workshop e incontri con il pubblico hanno poi comil cor to Il primo bacio , realizzato in favore di Cortisonici Ragazzi rafforza il rapporto con il territo- pletato il successo dell'evento, con oltre 2500 preEmergency. For ti del successo di pubblico della rio locale e nazionale, diventando una vetrina dei senze in tre giorni. prima edizione e con un budget minimo, ottenuto prodotti realizzati, ma anche un luogo di incontro e Il cortocircuito è stato innescato e la città si è mossa. grazie ad alcuni piccoli sponsor privati, la seconda scambio di esperienze diverse. Nasce un'intesa con Per info: www.cortisonici.org Carlo Prevosti edizione sceglie di avvicinarsi alla forma del festival l'Università dell'Insubria e una giuria di studenti ACTING OUT 5 CULTURALTRO UNA PICARA MODERNA IN LIBRERIA FRANCESCA FERRANDO RACCONTA IL SUO ROMAN-ZOO Francesca Ferrando possiede il fascino di chi ha vissuto la propria vita intensamente. La nostra chiacchierata nasce dall'interesse che sta suscitando il suo libro Belle anime Porche (MimesisPressutopia, 236 pagine, 13), "roman-zoo" (definizione della stessa autrice) che mette in scena personaggi e situazioni ambientate in una Italia lurida, poco definibile in termini spazio-temporali. Nel tuo romanzo si possono cogliere molte influenze, tra le quali alcune che si rifanno alla tradizione letteraria picaresca; altre sono un chiaro riferimento ai romanzi "on the road";altre ancora sono smaccatamente "pulp". La protagonista Terry Grisedu può rappresentare una somma di riferimenti letterari eterogenei? Quanto di te c'è in lei? Io, Terry, non la conosco: è un personaggio che esula dal tipo di percorso che ho fatto durante la mia vita; è una ragazza cafona e sporca, della quale non condivido quasi nulla, ma con la quale mi piace interagire e confrontarmi. Sento che tra me e lei durante la fase di gestazione e forse ancora oggi, C’è un forte interscambio. Sicuramente abbiamo in comune l'amore per i viaggi e per le avventure. Per me Terry è una picara moderna, è un personaggio divertente, sudicio, ironico nel suo essere grottesco, violento, aggressiva. E’ una via di mezzo tra un'eroina e un antieroina Terry ha, come te, l'animo da viaggiatrice. Sulla sua strada incontra molti personaggi che ne condizionano fortemente lo spirito. Come nelle fiabe e nelle storie cavalleresche, questi individui rappresentano, come direbbero Propp e Greimas, le prove da superare, dei bivi che eventualmente potrebbero riportare la protagonista all'originario stato di degrado; penso alle due figure maschili iniziali, Carlo e Piero, con le quali trascorre tempo e dalle quali scappa non senza averle in qualche modo "assaggiate". Ci avevi pensato? E' una lettura decisamente affascinante. Il discorso che ACTING OUT 6 Terry sia entrata e abbia "succhiato" la vita a questi due personaggi, abbandonandoli in quanto assolutamente insoddisfacenti per il tipo di ricerca che sta facendo, mi piace molto! Dico sempre che io e Terry siamo simmetriche e non complementari: però forse questa caratteristica, cioè di entrare nelle situazioni, provarle e eventualmente abbandonarle se ritenute insoddisfacenti, può essere un "fil rouge" tra me e lei. La vera conoscenza di un sentimento affettivo forte e disinteressato avverrà grazie all'incontro con Michelle, unica figura realmente positiva di tutto il romanzo, sulla quale probabilmente si riversano tutti i motivi lieti che altrimenti risulterebbero assenti nella storia. Nella creazione di questo personaggio ti sei ispirata ad una o più figure reali? Sì, Michelle è un personaggio cui tengo molto: lei sarà l'unica che riuscirà a scalfire il cuore duro di Terry. È un mix di individui che ho effettivamente incontrato nel corso della mia vita. Una è una compagna zapatista di Torino che fisicamente mi ha ispirato per la creazione di Michelle; l'altro è un signore por toricano che conobbi a Miami, un clochard che mi ha fatto capire cosa fosse la generosità disinteressata, una persona pura nel vero senso della parola che mi è rimasta for temente nel cuore. Poi Michelle è un'anarchica, ideologia dalla quale sono fortemente attratta. Le leggi morali sono dentro di noi: i concetti della libertà e della non imposizione per me non rappresentano solo delle astrazioni. Il viaggio di Terry finisce con il suo ritorno a casa: è un cerchio che si chiude. Tuttavia molte questioni rimangono sospese. Ora cosa succederà? Intendo andare avanti a scrivere due romanzi che entreranno a far par te di quella che io intendo essere una trilogia, una sorta di Inferno, Purgatorio e Paradiso. Nella prossima storia non sono sicura se Terry sarà ancora protagonista, ma sicuramente la sua aura sarà inevitabilmente presente. Inoltre sto imbastendo, coadiuvata da un professionista, la sceneggiatura di Belle Anime Porche, in quanto c'è un forte interesse affinché il mio romanzo possa tradursi in un film. Siamo in trattative con la RAI per la produzione. Poi che dire…dopo...la magia… tanta roba legata all'arte e alla vita. Un po' di sciamanesimo spirituale non fa mai male. Alessandro Bianchi NARRATIVA I gemelli Fahrenheit Einaudi Editore Pagine 256 Prezzo 14,80 Euro I gemelli Fahrenheit di Michael Faber (Einaudi, 2006) è una raccolta di racconti -surreali, inquietanti, divertenti, irritanti, commoventi, poetici, dolorosi- dello scrittore scozzese lanciato in Italia dal fortunato e monumentale Il petalo cremisi e il bianco (2003) e seguito dai romanzi Sotto la pelle (2004) e A voce nuda (2005) e, sempre nello stesso anno, da un'altra raccolta di racconti, Natale in Silver Street . Il libro sorprende, oltre che per le indiscutibili e spiccate doti letterarie dell'autore, anche per la sua capacità di variare toni e registri narrativi, senza per questo perdere un senso forte di unità e di coerenza stilistica: i generi cambiano sotto i nostri occhi, sfumano dolcemente l'uno nell'altro senza brusche interruzioni o repentine accelerazioni e, a noi lettori, è riservato il raro privilegio di vedere suscitate abilmente, una dopo l'altra, tutto l'amplio spettro delle nostre emozioni. Ecco che i racconti di Faber a volte fanno pensare a Kafka e a quel genere di narrazione in cui le cose, per il lettore, sembrano non tornare: si aspetta così, fino alla fine, un episodio rivelatore che puntualmente non arriva. Solo allora si capisce che il segreto del racconto è proprio che le cose non tornano! Altre volte le storie, apparentemente di vita quotidiana, si tingono di toni foschi, quasi horror o addirittura fantascientifici; oppure si rivelano molto più normali e ordinarie di quanto ci aspettassimo all'inizio della lettura, senza però risultare mai banali o scontate. Altre volte ancora ci sembrano piccoli romanzi in nuce per la profondità e la complessità degli argomenti trattati. Un libro, per chi scrive, davvero sorprendente, che conferma la meritata fama dell'autore e la buona salute della letteratura anglosassone; e che aggiunge un tassello prezioso ad un'arte così difficile come quella del racconto letterario breve. [G.B.] SPAZIO TORINO Ho sempre subito il fascino delle fabbriche e delle aree dismesse. Fin da quando ero piccolo, quando potevo e quando trovavo il coraggio per farlo, mi introducevo di nascosto ogni volta che potevo in queste fabbriche abbandonate. Richiamandomi a questa mia abitudine, qualche giorno fa ho fatto un giro per un'area dismessa che si trova proprio alle spalle di corso Vittorio, vicino al carcere. Costruiti alla fine dell'800 dalle Ferrovie dello Stato, questi stabilimenti erano utilizzati per la riparazione delle locomotive. Negli anni '50 erano ancora in piena attività e contavano più di mille operai. Il loro declino comincia negli anni '70, quando questi spazi vengono destinati alla conservazione dei materiali dismessi. La chiusura definitiva dell'area avviene negli anni '90. I tre capannoni rimasti in disuso sono disposti come unità indipendenti, situate in un unico comprensorio uno di fianco all'altro. Scuri, profondi, solenni, quasi minacciosi, come un frutto proibito spaventano ma invogliano ad entrarci; ma non l’avrei fatto se la rete di protezione che protegge l'entrata non fosse stata completamente divelta. Mi riesce difficile immaginare che qui riparavano i treni; brulicare di operai al lavoro, sudore, fatica e amicizie si consumavano dentro queste stanche mura ormai divenute casa di chi è senza fissa dimora. I grandi finestroni filtrano i raggi solari che trapassano letteralmente i cumuli di polvere sospesa delle macerie abbandonate che giacciono a terra. Alcuni vecchi macchinari sono ancora parcheggiati e sembrano ancora funzionare. Una splendida scala a chiocciola in ferro battuto porta ad un secondo piano che ormai non esiste più, tutto è silente. Una sensazione di smarrimento sempre più profonda s'impadronisce del visitatore una volta che si addentra. L'udito mi si tende come una corda di violino per cogliere qualsiasi tipo di suono che possa rassicurare o spingere alla fuga. Proprio in quel momento numerosi piccioni si librano in volo da non so dove e mi sembra di essere in un film di John Woo. Marcello Di Martino NORA, LA BAMBOLA Quando Ibsen è al suo meglio In scena fino al 1 aprile al teatro Erba. Quindi si tratta di un articolo postumo. Ma scrivere righe sul testo ibseniano è un invito troppo grande per non poterlo accettare. Forse l'opera che più lo ha reso conosciuto al grande pubblico, insieme a Spettri. Casa di bambola è del 1879, scritto durante il soggiorno del drammaturgo ad Amalfi. S'è già trattato più volte di Ibsen su queste pagine, anche solo di sfuggita; e così sarà probabilmente questa volta. Troppo grande il bagaglio psicologico dello scrittore per essere reso in poche righe. Lo spettacolo in palco all'Erba nasce da una rilettura di Leo Muscato. Ma quello che ci interessa qui è provare a tracciare una circonferenza del testo, tralasciando le possibili infinite interpretazioni registiche. Ibsen mi ha sempre affascinato, così come Pirandello, retaggio forse di studi universitari e di docenti infatuati dei due autori citati. Ha una classe indescrivibile nel montare misteri e riflessi di psicologie malate, nel creare personaggi che si analizzano e si lasciano analizzare dai registi, dagli attori, dal pubblico. Sono convinto che se si leggessero alcuni suoi testi, molti ritroverebbero tracce di soap-opera e fiction televisive. C'è un rimando alla tradizione delle trame antiche, degli intrecci spigolosi della vita familiare che lentamente si sgretola. Si potrebbe dire, quindi, che in Ibsen si ritrovano marchi della grecità tragica e nelle fiction odierne segni ibseniani. Un filo conduttore che parte pur sempre dalla terra che ha cullato il teatro d'Occidente: nessuno vieta di pensare che si tratti di valori intriseci nella tradizione culturale che si tramandano nella storia, e che a intervalli temporali riaffiorano nella penna di poeti e drammaturghi. Ma tant'è, di qui si parte per un viaggio nella mente di figure che non nascono come personaggi teatrali, bensì come espressione di una volontà di rinnovamento e ansia di verità nei confronti di una società -quella di fine Ottocento- che sta mutando radicalmente. L'occhio di Ibsen si ferma sull'individualità e all'interno di essa: è l'individuo che trovando la verità di se stesso riesce a trasformare anche la società. In Casa di bambola, la rivolta contro la concezione sbagliata del ruolo della moglie nel matrimonio è la presa di coscienza di una donna - Nora - nei confronti di una realtà sempre più complessa e difficile da comprendere. Nella crisi di Nora, Ibsen coglie la crisi dell'individuo privato delle sue certezze e costretto a vivere in un mondo ostile e impenetrabile, in un grande gioco, in cui ci si sente bambola. Lei si sente prigioniera di un personaggio, quello della Lodoletta, nato dall'affetto maritale-paterno di Torvald, di una maschera pirandelliana, immutabile, dietro cui c'è però un flusso in costante movimento che spacca quella rigidità e la spinge a sfociare nelle battute finali del dramma, quando la protagonista abbandona Torvald, lasciando col marito quel mondo costringente. L'opera ibseniana è inquietante, piena di contraddizioni, ricca di rimandi da un testo all'altro: ogni dramma è una pars pro toto dell'intera produzione, ma al tempo stesso la racchiude totalmente in sé. È una scrittura cerebrale, fatta di costruzioni mentali che portano a labirinti non percorribili alla prima lettura, ma che richiedono un'indagine approfondita e continua della situazione. Che poi è sempre la stessa: il salotto borghese di fine Lunetta Savino Ottocento di stampo francese, che Ibsen sgretola lentamente per scavare nei ricordi dell'umano e cercare gli scheletri che ognuno ha nel proprio armadio; e per portarli alla luce. E trovare la chiave per percorrere quei labirinti, il che significa abbandonare le situazioni di facciata del vaudeville, dei triangoli amorosi e scoprire che cosa li origina, quali malformazioni di pensiero li governano. Tutti i rapporti affettivi dei suoi personaggi si poggiano su forme incestuose più o meno velate (spesso trampolino per le regie castriane) che portano inevitabilmente alla rottura dell'equilibrio, facendo scivolare la situazione in un vortice emotivo e psichico da cui non si esce senza una rottura forte, che è di solito la fuga, o la sua declinazione maggiore, la morte. Un dramma con venature di giallo, di indagine, di narrazione investigativa, di subdoli rapporti che si legano a ricordi. A ricordi pungenti, negativi, che fanno male, che creano ferite profonde. E che motivano figure simili a frattali che si intrecciano tra loro, senza sapere dove sia l'ordine. Lorenzo De Nicolai CLOWN CANDESTINI Far ridere è una cosa seria Se un giorno doveste passeggiare per via Maria Vittoria, e vi capitasse di imbattervi in un uomo perfettamente immobile in mezzo alla strada, con un gelato mezzo squagliato in mano, non fermatevi a chiedere che cos'ha: potreste ritrovarvi nel bel mezzo di uno spettacolo teatrale. O meglio, fatelo: perché i Clown Clandestini non aspettano altro. Abbiamo parlato con Giovanni Foresti, uno dei fondatori della compagnia di clown OUCLOUPO' (che sta per "Opificio di clown potenziale") e assistente di Pierre Byland, insegnante presso la scuola Jaques Lecoq di Parigi (giusto per dire, è stato lui ad introdurre il naso rosso nel prestigiosissimo istituto), e in questi giorni in tournè a Milano. "Un clown è clandestino quando si toglie il naso rosso, si confonde con gli uomini normali, è uomo lui stesso -ci dice subito Giovanni- recitiamo anche in teatro, per esempio abbiamo organizzato un recital di poesie, ma ad un certo punto succedono comunque delle cose, degli incidenti…e il pubblico non deve capire se è vero o no. Per questo siamo clandestini: siamo in incognito". Foresti ha 50 anni e da 20 si dedica allo studio del clown. Un'esperienza ventennale che mette al servizio di tutti, dal corso base per attori agli ospedali e alle aziende. "Scoprendo il linguaggio del corpo, lo stress può diventare gioco e dissacrazione. Lavoriamo fare discorsi da sindacalista, ma nella biografia del sito scrive di essere stato militante e funzionario del PCI dal ‘75 all'88. La domanda diventa quasi d'obbligo: La politica entra in quello che fai? La risposta è molto semplice: "C'è La compagnia OUCLOUPO’ sempre sui tranelli, sugli scherzi, come fosse una candid camera. L'ufficio non deve essere solo e per forza grigio, e capire questa cosa rende l'ambiente più produttivo. Però a capirlo sono solo poche aziende più illuminate; a tantissime non importa niente delle condizioni dei lavoratori…." Giovanni dichiara di non voler un film che si chiama Un re a New York, uno degli ultimi di Charlie Chaplin. E' uscito in America 15 anni dopo la sua realizzazione. Tempi moderni, Il grande dittatore, Buster Keaton…è politica! Io ho capito che la vera politica è nei rapporti con le persone, nella partecipazione dal basso, senza la quale non c'è vera democrazia. Mi sono avvicinato al linguaggio teatrale come nuovo modo per comunicare con le persone…. Quella che fanno a Roma è gestione, non politica. La vera politica è quella che facciamo noi: tu che scrivi su un giornale, io che faccio il clown, il leghista che fonda un movimento di protesta…questa è politica". La passione nella voce di Foresti è vibrante, se si passa l'espressione un po' smielata: ma rende l'idea. A questo punto, manca l'ultima domanda, che a rigor di logica avrebbe dovuto essere la prima: Perché Opificio del clown potenziale? A rispondere è Paola Omodeo Zorini, co-direttrice artistica del progetto e medaglia d'argento per la miglior tesi della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'a.a. 20032004 sull'Oulipo: "Opificio di letteratura potenziale: è una congrega nata a Parigi nel 1960, nella cantina di una taverna, ad opera di un gruppo di letterati e matematici francesi che volevano promuovere un ritorno alla letteratura come regola, regola ferrea, dopo le stravaganze surrealiste". "Ma questo cosa c'entra con il clown?" La risposta è ancora più semplice di prima: "Il clown deve T E A T R O avere delle regole ferree. Non è cabaret sconcio, volgare. A noi interessa la tragedia, che è difficilissima da trattare". Ecco, ma perché il clown, figura buffa per definizione, è così legato alla tragedia? "A un mio amico è morta la nonna. Lui non la vedeva da anni, ma ovviamente era lo stesso affranto. Per non parlare dei parenti. Nella camera mortuaria, davanti a tutti, ha reso omaggio alla salma sbagliata". Per info: www.oucloupo.it Marta Musso ACTING OUT 7 Teatro Erba - Dodoci uomini arrabbiati. La parola ai giurati di Reginald Rose traduzione Nini Agostini S regia Marco Vaccarisivi AT E Ogni volta che si varca la soglia del Carignano, uno tra i più nobili teatri d'Italia, si è sempre inconsapevolmente convinti che si stia per assistere ad uno spettacolo di qualità. L'aspettativa, poi, aumenta quando l'opera messa in scena è il Macbeth di Shakespeare. Se a questo si aggiunge che la rappresentazione è un arrivederci prima della lunga chiusura per ristrutturazione del teatro e che si tratta di una produzione della Fondazione del Teatro Stabile (in collaborazione con il Teatro di Dioniso), allora il disappunto non è contemplato. E quando sopraggiunge, non può che essere sconcertante. Il Macbeth di Valter Malosti è un susseguirsi di sue visioni piuttosto che una nuova versione della tragedia shakespeariana. E' un progetto installativo caotico, un miscuglio di atti, solo a tratti teatrali, che soffocano la magnificenza delle parole scritte dal bardo inglese. Tale confusione nasce, prima di tutto, dai riferimenti/stimoli/debiti del regista: inesauribili ed eterogenei. L'elenco include (a titolo esemplificativo ed in ordine sparso) Giuseppe Verdi, Orson Welles, Pier Paolo Pasolini, Friedrich Nietzsche, Francis Bacon, Caravaggio, i delitti "famigliari" di Cogne ed Erika-Omar, Bill Viola e tutti i film di David Lynch. Il performer (come Malosti ama definirsi) sembra più occupato a rovesciare sul pubblico la sua cultura che a costruire una regia moderna in grado di rendere onore ad un testo complesso. Eppure nella lunga shopping list qualcosa manca, ovvero The Rocky Horror Show , il famoso musical di Richard O'Brien. E dire che quasi tutto in scena lo ricorda: dalle tre streghe trasformate in travestiti con stivaletti in vernice nera e tutù; dai movimentati balli che coinvolgono tutta la compagnia; al portiere che tanto assomiglia al maggiordomo Riff Raff interpretato dallo stesso O'Brien nella versione cinematografica del musical. Forse Malosti voleva mostrare quanto siano effimeri i ruoli, esaltare la trasgressione dalla normalità di Macbeth, un uomo nobile e di successo ma insoddisfatto nel suo essere. Peccato, però, che lui e la sua Lady (interpretata dalla coreografa Michela Lucenti) siano fin troppo realisticamente dei "giocattoli rotti". Gli interminabili assoli inseriti esclusivamente a mostrare la professionalità (ed il corpo) della Lucenti e i voice over quasi più frequenti delle parti recitate dal vivo non fanno altro che confermare questa idea. Persino il suono risulta fastidioso. E neppure la pregevole colonna sonora curata da Fabio Barovero, che si è ispirato alle sacre rappresentazioni medioevali aggiungendo alla partitura incursioni techno house barocche, riesce ad eliminare la sensazione di disagio. Dopo soli cinque minuti di questo Macbeth ci si domanda perché Malosti abbia affidato la parte di Re Duncan ad un ballerino finlandese che parla male l'italiano. Dopo quindici, perché Lady Macbeth insceni un amplesso a suon di passi di danza. Dopo trenta, si vorrebbe essere altrove. Senza dubbio il teatro classico può arricchirsi con elementi tratti dalle arti figurative, dalla musica e dalla danza, ma questi devono essere assorbiti senza perdere di vista la pièce d'origine. A volte, less is more. A volte, per modernizzare Macbeth bastano quattro bravi attori, qualche elemento scenografico e un buon impianto sonoro, com'è riuscito a dimostrare qualche anno fa Gabriele Vacis. Se solo questo Macbeth Horror facesse divertire e ballare la metà del Rocky Horror, magari non verrebbe voglia di abbandonare la sala alla fine del primo atto. Marta Lanfranco Dal 10.04.07 al 22.04.07 D THE MACBETH HORROR SHOW Dal 21.04.07 al 07.05.07 Limone Fonderie Teatrali MONCALIERI - Fahrenheit 451 di Ray Bradbury Ronconi affronta uno dei testi più affascinanti della letteratura fantastica Dal 17.04.07 al 19.04.07 Teatro Astra TORINO - War di Lars Norén La devastazione che segue un conflitto Dal 18.04.07 al 22.04.07 Limone Fonderie Teatrali MONCALIERI - Atto ludico Di Natalia Ginzburg Due atti unici e una commedia in due atti di Natalia Ginzburg: La poltrona, Dialogo, lI cormorano A-LLEX In scena il 27 Aprile 2007 al Teatro Erba di Torino "Columbine High School - Stati Uniti d'America: 20 Aprile 1999 due ragazzi come tanti altri… in una scuola come tante altre… 12 vittime.. centinaia di feriti… più di 500 proiettili esplosi….". Questi sono i fatti che hanno ispirato la messinscena di A-LEX, spettacolo teatrale scritto e diretto da Maxi Dejoie. Dal latino A: "lontano" e LEX: "legge", letteralmente significa "Lontano dalla Legge". Alex è il nome del protagonista di questa storia: uno studente liceale di 18 anni che, dopo aver ucciso, con un fucile da caccia, i suoi genitori e cinque compagni di scuola, è costretto a convivere con quattro passo dopo passo, le motivazioni e le conseguenze delle sue azioni. Nessuno è innocente. La famiglia, gli amici e le istituzioni sono colpevoli di non aver saputo cogliere, con la dovuta sensibilità, i problemi di Alex. Il ragazzo ha tentato, inutilmente, di imporsi sui suoi simili nel modo più rapido e aggressivo, cercando di aumentare il volume di uno stereo, la cui manopola è già posizionata su "max". I criminologi di tutto il mondo hanno coniato un termine per definire gli assassini che mietono più di 2-3 vittime nella loro "carriera criminale": Serial-Killer. Alex rientra nella lista. Alex è un Da sinistra; in alto: Leonardo Aloi, Pietro Mazzarino, Federico Bava in basso: Valentina Battistone, Saverio D'Amelio , Marika Tricarico di loro, per il resto della sua esistenza, all'interno della cella del carcere in cui è rinchiuso. I fantasmi lo porteranno a rivivere, ACTING OUT 8 nuovo capitolo del manuale. Lo spettacolo è prodotto dalla Indastria Film, giovane casa di produzione al suo debutto teatra- le. Di seguito sono riportati alcuni appunti sullo spettacolo dello stesso autore e regista Maxi Dejoie: “A-LEX è uno spettacolo teatrale che vuole mettere a nudo i problemi adolescenziali più comuni negli anni del liceo. Sotto la pressione di alcune influenze esterne, Alex entra nella sua scuola armato e spara a sangue freddo a cinque dei suoi compagni di scuola. Lo spettacolo affronta diversi problemi, tra cui il crescente Saverio D'Amelio nel ruolo di Alex Lo spettacolo si propone con un fenomeno del bullismo e della vionuovo stile di messinscena: lenza all'interno delle scuole, non facendo interagire gli attori sul solo negli Stati Uniti ma anche in palco con attori in video proiettati Europa e, molto recentemente, in su uno schermo, con dialoghi Italia. Ogni personaggio rapprescritti in stile realistico, frequente senta uno stereotipo giovanile, utilizzo di gergo giovanile e una per esempio Pietro, il campione colonna sonora composta da cansportivo, bello e superficiale, invizoni conosciute ed orecchiabili. dia di tutti gli altri ragazzi; o Tutti questi elementi rendono. Marika, ragazza che mira alla perA-LEX è uno spettacolo attraente fezione estetica imposta dai per un pubblico di età compresa media e dalla moda portata alla tra i 15 e i 20 anni, ma anche uno bulimia; Bud, un ragazzo con un spaccato di vita adolescenziale passato famigliare difficile che lo che può interessare e appassioha portato a manifestare aggresnare un pubblico adulto." sività e violenza in atti di bullismo Federico Bava nei confronti dei suoi compagni. A-LLEX AUTORE DEL TESTO E REGIA: Maxi Dejoie PRODOTTO DA: Claudio Bronzo Indastria Film REGIA VIDEO: Maxi Dejoie DIRETTRICE DI PRODUZIONE DEI VIDEO: Rossella Tarantino MUSICHE ORIGINALI: Dario Dub SCENOGRAFIE: Cristina Borgogna ATTORI: ALEX: Saverio D'Amelio DYLAN: Leonardo Aloi - EMMA: Valentina Battistone - PIETRO: Pietro Mazzarino MARIKA: Marika Tricarico- BUD: Federico Bava CELLERINO: Ettore Scarpa- POLIZIOTTO: Giuseppe Battistone. BAROQUE Il risveglio dal torpore l'unione tra il sacro ed il profano; in orizzontale unire le culture laddove il linguaggio fallisce, e fallisce spesso. La musica ha uno spaventoso potere di persuasione conscia e subliminale: condiziona i nostri fie oniriche alla Neil Gaiman con ologrammi volanti, un corpo di ballo e coreografie da Sogno di una notte di mezz'estate....e magari qualche esorcista, così...per precauzione. M U S I propositi, colora il nostro umore, dà energia e incita alla battaglia...E' un'arma vera e propria...e necessita di un buon senso di responsabilità. Oggi mi sembra ci sia soprattutto tanta "attitudine" in giro e poca sostanza...in questo modo la gente disimpara ad ascoltare e perde gradualmente l'uso della fantasia. L'intenzione intima del nostro disco d'esordio, rivelazioni apocalittiche a parte, è pro- prio quella di rimettere in azione quell'ingranaggio, dire all'ascoltatore che nessun trend prestabilito potrà mai farlo distinguere come l'esercizio sulla propria fantasia. Definirei la vostra musica classicista. E' però alllo stesso tempo innovativa ed originalissima. Forse bisogna passare da una restaurazione per proporre qualcosa di nuovo, visto che le avanguardie (sulla carta progressiste) appaiono fine '800 con la restaurazione Meiji: per rafforzare la propria identità si è evoluto talora anche negandosi. In ogni caso credo che di avanguardie di ottima qualità ce ne siano eccome, non nel nostro paese, non tra quello che si ascolta in giro per lo meno. Bjork è l'innovatrice per antonomasia degli ultimi anni...così come lo sono stati i Radiohead, e guarda caso la loro musica straripa classicismo e alta scuola di composizione. Non è però una classificazione per genere: I'm a bird now di Anthony & the Johnsons, un disco senza troppe farciture, è un capolavoro di soul del nuovo millennio. Purtroppo la tendenza di molti è quella di legarsi a dei precedenti troppo recenti e troppo effimeri per essere considerati "sacri", se così posso dire: gli anni '80 hanno certamente segnato la modernità con lavori geniali, ma non possono essere presi come radice, è un loop culturale... anche se credo che "procreazione tra consanguinei" renda meglio l'idea. Non so se mi spiego. A cosa pensi quando sei sul palco? Che vorrei avere un palco più grande! Un mastodonte da vestire di drappi, fiamme e lampi, scenogra- Siete uno dei pochi gruppi dai quali non si sa cosa aspettarsi allo step successivo; si ha l'impressione che procediate in totale libertà espressiva. C'è spazio per tanta profondità nell'era degli mp3? Eh non esagerare ora...sì siamo liberi, ma la profondità si fa scavando, e noi per ora abbiamo fatto solo astrazione, aiutandoci con un pizzico di cabalismo (e di cannibalismo). E' superfluo dire che gli mp3 sono un'ottima soluzione, soprattutto per far conoscere la musica emergente, ma a livelli più alti rappresentano la morte della magia di un disco da capo a coda, specialmente se si tratta di un concept album. Penso ai primi dischi dei Queen, di Bowie o ai lavori monumentali dei Pink Floyd.... Nessuno registra più "dischi" ma "pezzi": veloci, usa e getta, facilmente estraibili dal contesto di un album. Warhol si sbagliava...sono quattro i minuti di celebrità, non quindici. Davvero deprimente. Acting Out è una finestra sul panorama artistico della nostra città: dimmi tre cose che ti piacciono e tre cose che detesti della Torino musicale. Concedimi almeno un po' di allegorie...per quanto io non valga un cazzo, sta domanda è da suicidio politico! Vediamo...Mi piacciono le sfere, ma bandirei le piramidi. Ho una passione per le vergini e detesto le primedonne. Trovo ci siano molte penne...e poche che sappiano davvero cosa scrivere. Per info:www.baroque.it Pietro Lesca C A 14.04.07 h.21.59 SPAZIO211, Via Cigna 211 -DEMON'S CLAWS www.myspace.com/DemonsClaws www.demonsclaws.com S I Baroque I Baroque recensione de La Fiaba della Buona Notte sul prossimo numero di AO. Per ora, due parole con Matt Le Mad, mastermind della band. Qual è la missione di un musicista nel 2007? Te lo chiedo perchè nella vostra musica mi pare di trovare forme e motivazioni diverse dall'ordinario. Penso che lo scopo ultimo della musica sia sempre stato essenzialmente duplice: in senso verticale sempre più scontate e autoreferenziali? Sì, siamo decisamente obsoleti e per ora ne siamo anche abbastanza fieri...ma non può e non deve durare. Come fece il Giappone a DA TE Già la scelta della location denota gusto. Una saletta all'interno della Maison Musique di Rivoli, arredata con strumenti rari e antichi, drappi di seta, cuscini e tappeti orientali. Un'oasi, un piccolo eden artificiale votato al puro ed incontaminato ascolto. Ciò che più stupisce è notare come i cinquanta chiassosi invitati alla listening session del disco di debutto dei Baroque s'acquietino all'unisono una volta entrativi e non emettano verbo fino all'esaurirsi dell'ultima nota dell'opera. E come sempre spontaneamente si producano in un applauso lungo e scrosciante al termine dell'ascolto. D'altra parte è raro trovarsi di fronte ad opere che sappiano scuotere dal torpore, che sappiano risvegliare in chi ascolta quella voglia impulsiva di riascoltare, di capire meglio. I Baroque suonano come si suonava trent'anni fa, ma suonano cose che nessuno prima di loro ha mai suonato, per lo meno in Italia. La loro musica ancestrale e burlesca pare volerci ricordare che nel rock è ancora possibile un'evoluzione e che forse non è nella direzione sempre più destrutturata e minimale verso la quale "quelli che la sanno lunga" vorrebbero condurci, anzi è nella direzione opposta. In sei mesi di studio (matto e disperatissim ovviamente) i Baroque hanno dato vita ad un lavoro che è frutto di quattro anni passati sui palchi di mezz'Italia, dell'attento esame di ciò che la musica ci ha saputo regalare da Pergolesi ai Nine Inch Nails. Il risultato è clamoroso, qualcosa di nuovissimo ed antico insieme. La 26.04.07 h.21.29 SPAZIO211, Via Cigna 211 - AKRON / FAMILY www.akronfamily.com www.myspace.com/akak ingresso 12.00 euro ACTING OUT 9 Face off Il cane lunare Steve Morse Steve Morse inizia la carriera come solista. La sua esperienza musicale passa attraverso lo studio della chitarra classica, che però non lascerà un segno particolarmente calcato nella sua vena creativa, visto che preferirà esplorare i terreni del rock duro, concentrandosi su stili popolari. Infatti, Steve riesce a fondere magistralmente l'hard rock, tipicamente americano, con influenze country, jazz-fushion, e, anche se soltanto a tratti, con musicalità tipicamente celtiche, creando un mix compositivo molto personale. Il suo plettraggio è semplicemente strepitoso, sviluppando la tecnica dell'alternato per arrivare a velocità davvero sorprendenti pur non mancando mai di feeling. Tra le sue composizioni, una che sta particolarmente a cuore a chi scrive è certamente Stress Fest: lavoro strumentale, certamente ironico, che mostra in poche battute l'abilità con cui S.M. mescola scale maggiori, con pentatoniche e cromatismi molto suggestivi. Morse, come solo i grandi sanno fare, è capace di brani estremamente soft: fra gli altri vorrei ricordare Delicate balance, che inizia con un delicato intreccio di frasi fra basso e chitarra, per evolversi in un arpeggio che sfocia in un dialogando fra i due strumenti. Il pezzo, per nulla melenso, semmai nostalgico, racchiude in poche battute i diversi linguaggi espressivi che Steve padroneggia con grande maestria. La versatilità delle sue composizioni e del suo stile gli consentono di entrare a far parte dei Deep Purple, e sebbene sia il più giovane della band nonchè l'ultimo arrivato, Steve porta una ventata d'aria fresca che, innegabilmente, adattandone l’hard rock (tipicamente neoclassico) alle sue musicalità più ariose. Anche Steve trae giovamento da quest'esperienza. Non si può negare, specie dopo aver ascoltato la band dal vivo, che i suoi solos abbiano perso di freschezza. Al contrario, è riuscito a trovare un perfetto connubio con lo stile, più grezzo e meno arrangiato, della band. Appaiono infatti di particolare pregio i duetti con Lord; e l'approccio a musicalità più "progressive" è arrivato solo dopo quest'esperienza, con un uso maggiormente onomatopeico dello strumento. La storia di Louis Thomas Hardin (MOONDOG) è attraente come i viaggi di Hugo Pratt. Un Corto Maltese di metà '900 l'avrebbe sicuramente incontrato. Hardin era un musicista della provincia del Kansas, arrivato a New York nel 1946 a 27 anni, cieco da quattordici, compositore, violinista, percussionista, pianista. L'angolo tra la 6th avenue e la 54esima strada di New York è il teatro di esibizione e ricerca di Hardin, che talvolta appare con un elmo da vichingo, che si addice al suo barbone bianco da druido, e gli occhi spenti. Moondog sceglie dunque la strada come campo sonoro attivo e concreto, i cui aspetti acustici aleatori sono fonte di ampliamento fonico e creativo. Si tratta di raccolte di paesaggi che offrono rumori cadenzati, interventi vocali, frastuoni, ritmi sotterranei del traffico e dei tacchi delle scarpe; si tratta inoltre di un flusso di tradizione e cultura da cui melodie, cicli di rime e cadenze. Sulla strada Moondog è in contatto con i musicisti della Filarmonica di New York, e come ospite costante alla Carnegie Hall, avrà modo di osservare e imparare le orchestrazioni da Stravinskij, Toscanini, Bernstein. L'eredità dell'orchestrazione e della formazione classica sono costanti della musica di Hardin, concentrate nello studio sugli impasti timbrici, l'armonia, lo sviluppo tematico e soprattutto ritmico. Andrea Baldi LEZIONE TECNICA Ripropongo la scala di La minore del mese scorso. L'esercizio qui riportato è quello, già visto, dei salti di terza. Si deve eseguire con la tecnica dell'alternato. Le note, come nei precedenti esercizi, vanno eseguite in quartine. Se qualcuno vuole sviluppare o migliorare l'uso della mano destra, può provare a cambiare gli accenti sulla falsa riga dell'esercizio proposto. È importante performare la scala sia a salire che a scendere. TORINO LOCAL SCENE - IDENTITÀ TORINESE Viviamo, nostro malgrado, un tempo più attento alla continua tensione verso equilibri globali che non alle, certamente preziose, identità locali. Dal Canada alla Calabria, quando siamo costretti ad infilarci in un supermercato, possiamo trovare la stessa salsa di pomodoro, della stessa marca, nello stesso scaffale; non si dedica più lo stesso impegno nel valorizzare le proprie risorse tradizionali, che siano esse gastronomiche, artistiche e, non per ultimo, musicali. E' alla stregua di una leccornia della cucina piemontese o di uno splendido palazzo del capoluogo sabaudo che mi piace considerare Torino Local Scene: nient'altro che un gruppo di ragazzi che hanno deciso, mettendo in comune sforzi e conoscenze, di costruire una rete di contatti nell'ambiente musicale sotterraneo (ma non troppo!) per offrire possibilità alle, spesso inesperte, band torinesi. Sarebbe riduttivo definire TLS un'associazione, anche se informale; mi piace più raccontarla come una vetrina di gruppi, tutti forieri dell'identità torinese, a cui viene data la possibilità di accostarsi a realtà musicali che sarebbe difficile raggiungere altrimenti. E non è tutto; la mente pensante di Torino Local Scene (una manciata di canavesani, a loro volta musicisti) accosta, come nei migliori melange gastronomici, i gruppi di Torino alla band di passaggio che può considerarsi più adatta per sonorità o attitudine. Retarded, Manges, Popsters, Mcrackins, 20 Below sono soltanto alcuni dei nomi, italiani ed europei, a cui TLS è riuscita ad accostare una qualche faccia della Torino musicale. Così come ad un buon piatto si abbina un buon bicchiere di vino, ad una realtà della musica globale se ne avvicina una locale. Una meritevole forma di aiuto reciproco, dunque, che prende le mosse da un semplicissimo e retorico postulato: uniti è possibile fare molto, soprattutto per un mondo, come quello musicale, che fa spesso da sfondo a inutili invidie e immotivati attriti. Scappando, per una volta, dalla logica del profitto, si tenta di garantire una buona possibilità a chiunque abbia talento e volontà per sfruttarla; una sorta di rinnovata eguaglianza musicale centrata sulla voglia di riscatto della scena musicale del capoluogo piemontese. E' bello raccontare questo tipo di sodalizio, che ha come unico scopo quello di dare visibilità a realtà di grande qualità seppur sottovalutate. Prendendo in prestito le parole degli stessi Locals: "Torino ne ha bisogno..." Per info: www.myspace.com/tolocals Giacomo Bottaro ACTING OUT 10 Un compositore di tracce sinfoniche, che scrive parodie swing, melodie secche alla Satie, piccole canzoni di tanti anni fa, che tanti anni fa magari erano già tali, con un gusto di strada, da slum, di banda. La filastrocca del carillon. Moondog compone polifonie per marimba, con ritmica tanto ricca e fluida da misurarsi in litri. Hardin è fabbricante di suoni, che si avvale di fonti di ogni sorta, utensili, versi di animali, registrazioni, strumenti etnici. Non è uno studioso della musica concreta, non è un accademico, ma un ricercatore creativo, che traduce in linguaggio fruibile un percorso di studio musicale complesso. Le forme compositive sono di vario genere: filastrocche per quattro voci con testo non-sense, piccoli quadri strumentali in cui s'intrecciano metallofoni e ottoni, studi profondi sulla sinfonia, le forme di concerto, musica cameristica e sull'armonia jazz. Hardin, dopo i dischi formalmente più classici (ci sono anche studi sul madrigale) si ritira in Germania e realizza un disco per soli sax, un altro solo per organo pensandone e re-inventandone potenzialità timbriche e ritmiche. Poi altri tre dischi cantati in cui si incontrano il jazz, le forme sinfoniche, la canzone popolare. Un riferimento discografico è German Years 1977-1999 un'antologia di questi ultimi lavori, frutto della maturità artistica consumata in USA. Qui, nel primo cd, s'intrecciano Stravinskij, motivetti popolari o per bambini, Bartok, Frank Zappa, il patrimonio swing, in una sequenza di composizioni per più strumenti, voci, quartetti. Il secondo cd è una raccolta di registrazioni live per solo pianoforte, con tinte alternate, fasi, atmosfere in contrasto, ma sempre colorate dalla grazia e dalla semplicità che Hardin riesce a dare alle sue ricerche. Moondog ha avuto un percorso musicale molto importante e, come spesso accade, il grande pubblico lo scopre parecchio dopo la scomparsa (1999), grazie alla pubblicazione di antologie, che escono in tutto il mondo, con una copertina accattivante. Non aspettiamo che muoia anche Wyatt, per scoprirlo, sarebbe un peccato. Francesco Di Giusto UNA BAND ALLA CORTE DI CARMEN CONSOLI VYNIL INTERVISTA A MASSIMO ROCCAFORTE, MARCO SNISCALCO E PUCCIO PANETTIERI Mi trovo nella hall di un hotel milanese con Massimo Roccaforte e Marco Siniscalco, rispettivamente chitarrista e bassista della band della "Cantantessa" Carmen Consoli. I due musicisti sono in fisica ma non ho mai pensato a ciò che sarebbe potuto accadere dopo. Fino a quando sono riuscito a conciliare quel tipo di esperienza con il mio lavoro di musicista l'ho fatto davvero volentieri. Ora sono Massimo Roccaforte attesa di essere chiamati per il sound check che precederà il loro concerto al teatro Smeraldo. Parliamo un po' delle vostre influenze musicali. M.R.: I Beatles, Rolling Stones e direi in generale il rock degli anni ‘60 e ‘70. Direi che George Harrison è uno dei chitarristi che più mi ha influenzato nel modo di suonare lo strumento. M.S.: Ho una formazione musicale da jazzista; mi hanno ispirato soprattutto Pastorius, Mingus e Chambers Massimo, hai una laurea in fisica e hai lavorato fino a pochi anni fa come ricercatore all'università; quando hai deciso che avresti fatto il musicista tout court? M.R.: A sei anni! Suono da quando ero piccolo. Ho preso la laurea perché ho una forte passione per la votato al 100% alla musica. Marco, sei l'ultimo arrivato nel gruppo. Come ti trovi in questa che è una situazione musicale ormai consolidata da molti anni? M.S.: Sono assolutamente entusiasta! Dal punto di vista musicale e artistico è una situazione davvero molto bella e stimolante! Anche umanamente devo dire che mi ci trovo a meraviglia; è come essere in una dimensione… vacanziera! Devo dire che in effetti anche quando vi si guarda sul palco sembrate assolutamente affiatati. Osservandovi durante il check in occasione della data di Saint Vincent, ho notato un grandissimo lavoro legato alla ricerca sonora, una sorta di "sottrazione" musicale per quanto riguarda il singolo musicista, un'attenzione quasi maniacale per la nota, con il risul- tato che riuscite ad ottenere una massa acustica davvero piena ed efficace. Avete lavorato molto a questi arrangiamenti che sono diversi da quelli elettrici presenti sui dischi di Carmen precedenti ad Eva Contro Eva? M.R.: E' vero, in questo tour in particolare, è stato fatto un grande lavoro sugli arrangiamenti, nato dall'esigenza di ottenere un suono non più basato solo su chitarre, basso e batteria, ma che fosse più ricco, anche di strumenti etnici legati alla nostra terra, la Sicilia. Da qui, il grande uso di mandolini, violini, buzuki, zampogne. Ovviamente più strumenti ci sono, più è necessario lavorare al fine di ottenere una sintesi sonora che permetta di apprezzare la somma musicale ottenuta grazie all'apporto di ogni singolo elemento. Non è facile esprimersi con poche note ma è ciò che un po' tutti dovrebbero riuscire a fare. Noi abbiamo, in Italia, un patrimonio musicale straordinario, riconosciuto in tutto il mondo; sarebbe l'ora che i riferimenti culturali specifici della nostra terra venissero presi più in considerazione e che si smettesse di essere schiavi di una inutile esterofilia. Il bello è riuscire a tirare fuori l'"italianità" in quanto identità culturale specifica. (Si aggiunge alla nostra conversazione anche Puccio Panettieri, il batterista della band). P.P.: Ci terrei a precisare, che nonostante l'apporto di strumenti legati alla nostra tradizione, quello che qui stiamo continuando a fare, è musica rock. Guarda i dischi di De R.E.M. "Murmur" - I.R.S. 1983 Sono quattro ragazzi del Sud, con un look decisamente antimainstream, a fare il botto nel panorama rock americano nel 1983: vengono da Athens, cittadina universitaria della Georgia, e il loro lp d'esordio, Murmur , viene eletto da Rolling Stone come album dell'anno. Col tempo verrà sottolineato, dalla critica ma anche dai R.E.M. stessi, il fatto che la forza del disco risiedesse nella sua capacità di essere "fuori dal tempo". E in effetti Murmur suona come una piccola gemma spuntata dal nulla, e proprio per questo straordinaria: ci sono i Byrds (grande amore del chitarrista Peter Buck), ci sono i Velvet Underground e il post-punk (soprattutto nelle linee di basso e batteria), c'è la tradizione folk-rock americana. Ma tutto resta dietro le quinte, come un’eco in lontananza, come avvolto in un’aura sognante e malinconica, scandita da quelle melodie granitiche e indelebili (vedi Talk About The Passion ) che diverranno il marchio di fabbrica della band, e dalla voce nasale, quasi distratta, di Michael Stipe, i cui testi sono flussi di coscienza senza senso compiuto. Murmur , per usare una terminologia cara alla critica, è il prototipo del disco seminale: uscito in sordina, senza vendite stratosferiche, ha però posto le basi per la nascita e l'affermarsi del rock alternativo oltreoceano nella seconda metta degli '80. Periodo in cui i R.E.M. guideranno il "movimento" con dischi schierati come Document e Lifes Rich Pageant , e prima di diventare famosi qui da noi. Ma questa è tutta un'altra storia. Giacomo Freri Andrè, nonostante un certo tipo di sonorità, non ti sembrano assolutamente rock? Massimo, sei il veterano del gruppo in quanto sei il musicista che da sempre accompagna Carmen; hai conosciuto tutto il percorso artistico della "cantantessa". Definiscimi un po' questa avventura. M.R.: Con Carmen ci conosciamo ormai da diciassette anni. Più che un percorso musicale, è stato un bel percorso di vita perché siamo cresciuti assieme nel vero senso della parola. Ormai certe cose vengono spontanee grazie alla simbiosi, all'alchimia che con il tempo è venuta a crearsi. Ma non solo con me; la creazione dei dischi è diventato nel tempo un vero e proprio lavoro di equipe. P.P.: A me piace definire questa situazione un laboratorio: tutti noi abbiamo la possibilità di entrare con le nostre idee. Riuscire ad intervenire nella fase creativa di un progetto discografico non è una cosa normale per un sessionist. M.S.: Vedi anche per me che sono nuovo è stata un' assoluta sorpresa scoprire che Carmen è un'artista un po' sui generis: è stata davvero in grado di creare attorno a sè un gruppo nel vero senso della parola, che non è una cosa comune in Italia. M.R.: Carmen è in grado di saper in maniera abbastanza precisa ciò che vuole ottenere. Ciò nonostante, tutti hanno la possibilità di dire la loro durante la fase di arrangiamento e di produzione. Progetti futuri con Carmen? M.R.: No, per ora termineremo il tour, poi ci prenderemo un periodo di meritato riposo. Non ci siamo prefissati alcuna scadenza. [A.B.] THE TOO LATE SHOW - THE LILLINGTONS Un disco che può considerarsi il manifesto, ramonesiano e quasi sovietico, dei Lillingtons. Sto parlando di The Too Late Show, l'ultima fatica discografica dei quattro, più che talentuosi, ragazzi di Newcastle, Wyoming. Una manciata di canzoni che, attraversate da melodie tipiche della tradizione poppeggiante d'oltreoceano, riprendono con dovizia gli accordi dei padri del punk-rock americano per eccellenza. Quest'ultimo lavoro non è soltanto testimone della coerenza musicale dei quattro, ma anche dell'attenzione americana per un genere che qui, nel nostro bel paese, sta a poco a poco conquistando i cuori di tanti bubblegum boys. Le liriche scanzonate e altisonanti fanno da eco a testi che loro stessi amano definire sci-fi, contrazione del celeberrimo genere fumettistico science fiction; inserire il disco nel lettore dell'auto significa calarsi in un mondo di marziani che attaccano il nostro pianeta e di mostri ricacciati nello spazio da valorosi eroi. Cantano storielle note della tradizione fantascientifica, i Lillingtons, perfettamente incastonate su uno sfondo di chitarre taglienti e una presenza ritmica formidabile. The Too Late Show è uno di quei dischi che, nella bella stagione, rende orgogliosi di abbassare il finestrino e appoggiare il braccio fuori dalla macchina mentre si attraversano le vie della città. Lo stile dei quattro americani è roccioso, quasi dovessero in ogni pezzo cantare l'inno di una generazione, come meglio si conviene una delle migliori band rappresentanti dell'attuale scena pop-punk statunitense. Non posso scegliere, né tanto mento consigliare, una traccia in particolare, data la volontà di non spezzare la coerenza del lavoro nella sua unità; la tracklist non lascia un attimo di respiro e non fa che confermare la bontà delle produzioni di Mass Giorgini, l'italo-americano più famoso nel mondo del punk-rock a stelle e strisce. Nella certezza che questa mezz'ora di musica saprà conquistare, e già lo sta facendo, intere generazioni, il mio consiglio è quello di dedicare almeno un ascolto ai quattro musicisti di Newcastle. "Please stay tuned, Don't change the channel now! I'll tune to you and you tune to me..." [G.B.] ACTING OUT 11 SPAZIO OGNI COSA E' ILLUMINATA Teatro Nuovo, 19 marzo 2007: la prima de Il Campanello dello speziale di Gaetano Donizetti VIGNALE…DANZA MA NON SOLO Vignale Monferrato è un piccolo paese in provincia di Alessandria dove d'estate fa caldo e tutti i posti in cui devi andare sono in cima a una salita. Qui ogni estate vengono organizzati gli stage di Vignaledanza per giovani aspiranti danzatori, attori, artisti. Molti dei partecipanti sono allievi del Liceo Teatro Nuovo e già durante l'anno hanno abbastanza a che fare con balletti, spettacoli e scenografie: che cosa può spingerli a passare il proprio periodo in questo "sperduto paesino"? Per tutta l'estate a Vignaledanza si susseguono di giorno le sessioni dei vari laboratori -di COREOGRAFIA, di RECITAZIONE, di PITTURA "EN PLEIN AIR", di LINGUA INGLESE, LETTURA E SCRITTURA- e di sera gli spettacoli di Vignaledanza. Per noi ragazzi del liceo è un'opportunità unica per approfondire ulteriormente conoscenze e abilità sviluppate durante l'anno scolastico. Ma anche un modo per continuare a stare insieme. E per imparare a convivere in gruppi anche di otto-dieci persone in appartamenti messi a disposizione dal Comune. A Vignaledanza si sta bene. Noi ci siamo stati e possiamo dirlo. Dal centro del paese si ha una fantastica vista sulle colline del Monferrato. Di sera ci sono pub dove si può stare insieme, prima e dopo gli spettacoli nella piazza centrale. Ora c'è anche un teatrino, il Callori, aperto tutto l'anno e destinato alla prosa. Prima di conoscerle direttamente, tutte queste cose ci erano state raccontate da altri ragazzi. Ma vederle animarsi sotto i nostri occhi, all'inizio dell'estate, è stato come ricevere un regalo tutto per noi. Ma torniamo alla domanda iniziale: che cosa ci ha spinti ad andare a Vignaledanza? La voglia di metterci alla prova ancora un po' realizzando spettacoli o progetti grafici. E a tornarci? Non è certo allettante rivedere per un altro mese insegnanti e compagni dopo un intero anno passato insieme. Ma in estate si è diversi, piu' rilassati, ma con la stessa voglia di lavorare e di divertirsi. Scoprire dei nostri compagni altri pregi e altri difetti, diciamo le loro particolarità; ad esempio, come -e soprattutto quando!si decidono a spruzzare il detersivo sui piatti sporchi…E così anche l'estate prossima faremo insieme la scelta di tornare a Vignaledanza, a seguire gli stage di recitazione, di danza, di disegno e scrittura creativa; e, anche, a ripopolare questo paesino che, senza di noi, apparirebbe un po' triste. Giuditta Lattanzi Debora Gorani La pellicola di Liev Schreiber è uno dei film piu' belli e coinvolgenti tra quelli che parlano di Shoah, perché riesce non solo a testimoniare, ma anche a coinvolgere lo spettatore nella "ricerca rigida" compiuta dal suo protagonista: Jonathan, interpretato da Elijah Wood, un giovane di età indefinibile, molto par ticolare, che agisce per sé ma è anche "strumento della memoria". Elemento chiave del film è l'oggetto. Primo oggetto-chiave del film, gli occhiali. Quelli da vista, spessi come fondi di bottiglia, sono per Jonathan un mezzo per nascondere agli altri le proprie emozioni (come l'abito rigorosamente scuro); quelli scuri, per il nonno di Alex, un modo per non vedere piu', per nascondersi la realtà orribile dell'Olocausto, conosciuta in prima persona da giovane. Con gli occhiali si introduce nel film la dialettica luce/oscurità e vista/cecità. Vedere o non vedere significa soprattutto esercitare o meno la capacità di ricordare, di vedere con gli occhi del passato. Per questo, il nonno di Alex dice di essere cieco. Ma per entrambi, il giovane e il vecchio, gli occhiali diverranno in seguito uno strumento di ricerca: di scoperta per uno, di riscoperta per l'altro, della terribile realtà degli ebrei ucraini. Altro oggetto-simbolo è la cicala. Mostrata all'inizio sotto forma di fossile racchiuso nell'ambra, ritorna piu' avanti nel film raffigurata in un cartello pubblicitario. La cicala fossile è solo il più misterioso fra i cimeli che il protagonista colleziona in bustine trasparenti che etichetta con data e luogo e appende a un muro. Sulla parete della sua stanza finiscono inquadrate le storie degli ebrei della sua famiglia; così come, su quelle della casa a Trachimbrod, quelle degli ebrei ucraini trucidati dai nazisti. Gli oggetti sono tracce di memoria. Ed è seguendo queste tracce che Jonathan fa luce sul passato. Così, alla fine -solo alla fine- ogni cosa è illuminata. Dalla memoria. Giulia Cappuccio Giada Rigoli Siamo tutti uomini rosa Ci sono vari modi per parlare della questione ebraica e, più in generale, della condizione delle minoranze nelle nostre società. Nel cinema lo si è fatto in centinaia di pellicole di tutti i generi (vedi articolo a lato su Ogni cosa è illuminata); così come in teatro, nelle piu' svariate forme: dal teatro di denuncia a quello di testimonianza, da quello realistico a quello fantastico-allegorico. Il villaggio degli uomini rosa sceglie quest'ultima strada: la favola di un villaggio colpito da periodici pogrom e dei suoi abitanti eternamente in fuga è la trasparente metafora della condizione degli Ebrei nella storia. Con l'obiettivo di portare sulla scena, per la prima volta, questo ACTING OUT 12 testo di Paolo Levi, oltre ai giovani attori del Teatro Nuovo, sono stati coinvolti gli studenti del settore danza e scenografia del liceo. Ma ciò che rende unico questo progetto è la collaborazione con la scuola elementare Cesare Battisti. Infatti, nei prossimi mesi, i bambini di un quartiere multietnico della periferia ovest di Torino vedranno lo spettacolo realizzarsi negli spazi della loro scuola, in una perfetta fusione di recitazione, danza e performance grafiche, nelle quali saranno essi stessi coinvolti in prima persona, sin dalle prime fasi dell'allestimento, con la partecipazione a specifici laboratori. Le variopinte scenografie de Il villaggio degli uomini rosa resteranno poi lì anche in seguito, a colorare le nude pareti delle aule scolastiche o dei corridoi e i muri grigi del cortile. Anche se in questa particolare forma è destinato ai più piccoli, lo spettacolo verrà successivamente proposto ad altri tipi di pubblico. Il testo di Paolo Levi, infatti, si presta a letture diverse, via via più complesse: oltre al tema della persecuzione degli "uomini rosa", c'è quello del rito identitario: per poter trovare ogni volta la forza di ricominciare daccapo, il gruppo deve mantenere viva la memoria collettiva; questo è l'obiettivo per cui una volta all'anno si tiene la "festa dei nidi", con la rievocazione in forma drammatica del mito delle origini, che nell'economia dello spettacolo costituisce un felice momento di "teatro nel teatro". Oltre a essere un progetto teatrale per riflettere sulla condizione degli Ebrei nella storia, lo spettacolo riflette su se stesso, svelando come il momento scenico può non solo servire a rinfrescare la memoria e, attraverso questa, il senso di appartenenza alla comunità, ma anche a sottolineare il ruolo essenziale che oggi, nonostante tutto, il teatro può ancora avere nella società: ricordare che tutti noi, in una società chiusa e intollerante, potremmo improvvisamente diventare -per il nome o le idee che portiamo- dei diversi. Cioè degli "uomini rosa". BREAK THROUGH Negli anni ottanta Pier Vittorio Tondelli, grazie al progetto letterario Under 25, aveva potuto riscontrare come la provincia fosse terreno fertile per esperienze culturali Elena Mirandola Elena Mirandola nasce il 13 dicembre 1981 a Ivrea. Nel 2004 si diploma illustratrice allo IED di Torino e da subito, inizia a produrre e sperimentare. Oggi ha all'attivo numerosi lavori, progetti e partecipazioni a mostre collettive e personali (fra cui Galleria Spazio 10, Io Espongo 8 al Pastis e SeiPerArte al Seiperotto). Lavora con Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta e sta collaborando con Vasco Mirandola per la realizzazione di un libro di poesie illustrato edito da Camelopardus. A breve le sue opere saranno in vendita su www.pixtura.it e le stampe su tela su www.next2art.com. diverse, per percorsi artistici alternativi, non contaminati dalle tendenze metropolitane. Così, sulla scia di questa suggestione, ci siamo recati in provincia di Torino per farvi conoscere il panorama dell'arte lontano dall'ombra della Mole. Canavese, Ivrea, giardino di Elena Mirandola: siamo in mezzo alla campagna. Montagne sullo sfondo e terra e cielo. La stessa terra, lo stesso cielo che dominano nei quadri di questa giovane artista eporediese. Elena -pittrice, grafica ed illustratrice- ha studiato a Torino, ma l'amore per la sua città l'ha fatta tornare a produrre là dove la passione per l'arte è cresciuta in lei e con lei. L'atmosfera bucolica sopra tratteggiata non vi tragga però in inganno: Ivrea infatti non è solo una graziosa cittadina immersa nel verde, ma è anche la città dell'Olivetti, che ancora oggi fa i conti con la scomoda eredità lasciata dalla grande azienda informatica. Eredità che è spiegabile con la mancanza, il rimpianto e la nostalgia, ma in positivo anche con l'insegnamento dell'importanza dell'arte, del design e della comunicazione visiva. E la forza espressiva di Elena sta nella capacità di raccogliere l'eredità grafica di artisti come Pintori, Folon, Glaser, assimilarla e superarla. Ci piace pensare che da piccola abbia avuto fra le mani la prima Agenda Olivetti illustrata da Folon, quella del 1969, con in copertina l'immagine di un omino intento a raccogliere altissimi fiori di campo, che, a ben guardare, sono i tasti di una macchina per scrivere. Quanto il tuo essere eporediese influenza i tuoi lavori? Il luogo in cui si decide di vivere o lavorare influenza in buona percentuale ciò che si crea. Se io vivo bene in un determinato contesto sono più atta a produrre. E di gran lunga preferisco vivere e lavorare in un posto come Ivrea rispetto a una grande città, per esperienza personale. Ivrea è più tranquilla meno inquinata e c'è più silenzio! Se devo lavorare con qualcuno di Torino, non c'è problema: esiste Internet e comunque la città è vicina. Per il divertimento è ovviamente tutta un'altra storia! Cosa pensi dell'attuale situazione grafica torinese ed eporediese? Penso che Torino in campo artistico e di promozione di giovani talenti sia molto attiva e offra tante possibilità soprattutto espositive. Nel suo piccolo anche a Ivrea ci sono diverse strade: bisogna solo saperle sfruttare. C'e qualche artista a cui ti senti particolarmente legata? Due persone amiche, che mi hanno insegnato molto, e da cui ho ereditato artisticamente sono il grafico Gallo Galliano e l'illustratrice Vittoria Facchini. Sopra Il marchio OMINA. A sinistra Il tulipano scelti. Che ruolo riveste lo sfondo nella composizione? Inizialmente allo sfondo cartaceo non davo molta importanza, era un elemento in più su cui giocare col colore. Invece nei miei ultimi lavori ho realizzato di poter lavorare sullo sfondo trattandolo come una componente primaria della composizione, perché credo offra notevoli potenzialità espressive. Parliamo del tuo marchio, la bambina che troviamo sui tuoi accessori: da dove nasce l'idea? È un'omina, come la chiamo io, che si tappa le orecchie un po' come quando sei piccolo e non hai voglia di ascoltare: è una provocazione. Così come le frasette sciocche sulle mie magliette (ndr. Ti vuoi mettere con me? ? si ? no ? forse)! Questo riproporre immagini infantili è chiaramente colpa della bambina che è in me! Parliamo del tuo sito (www.13cactus.com) in cui le icone sono…cactus! L'idea è nata per allargare la mia visibilità. Ritengo sia un ottimo strumento per mostrare il proprio portfolio completo a livello internazionale! E ovviamente per mostrare i miei accessori, almeno fino a quando non li smercerò nei negozi. Progetti per il futuro? In futuro vorrei fare quello che faccio ora e per cui ho sudato tanto, magari a contatto con altre persone e non sempre in solitaria! Poi vorrei avere una mucca...ma questa è un'altra storia… Avremo modo di parlarne, ma per ora l'incontro è finito ed Elena inforca gli occhialoni da sole vintage e sale in casa.. Con la sua gonna corta a righe e il suo inseparabile bauletto-con-teschio: bambina dispettosa! Da cosa trai ispirazione? Traggo ispirazione da tutto ciò che mi trasmette delle emozioni: la serenità di un prato col vento o una persona che in quel momento sento particolarmente vicina, una bella canzone o una giornata di sole o il mio cagnolino Tobia. Nei tuoi lavori usi molto i toni accesi, il tratto deciso ma imperfetto e lasci che il colore non copra tutti gli spazi: in tal modo le tue opere sembrano fatte dalla mano di un bambino. Da dove nasce questa scelta stilistica? Ho iniziato a dipingere perché volevo tirar fuori qualcosa che mi girava dentro tipo le farfalle nello stomaco. Quindi giocavo molto con i colori più che con i contorni. In questo senso ho sempre lavorato un po' al contrario: prima metto il colore e poi faccio i contorni, anche imprecisi. L'importante è la sostanza, la forza espressiva. I soggetti dei tuoi quadri sono quasi esclusivamente tulipani, alberi, cactus. Perché queste tre figure? I prati con gli alberi e i fiori sono l'ambiente che mi circonda e dove sono cresciuta. Per quanto riguar- Per contatti e info: da i cactus sono un soggetto origi- www.13cactus.com nale da ritrarre e mi fanno ridere: Elisa Facchin stanno lì, tutti grassi al sole! Spesso compaiono delle scritte nei tuoi quadri: sembrano quasi afori- Sotto: Due Cactus In cantina smi. Cosa rappresentano? Sono brevi frasi che condensano un mio principio o un pensiero che mi sento di esprimere in quel momento: una sorta di firma emozionale. I tuoi cactus sono stati ovunque! In città, nei cassetti, in cantina, in farmacia. Mi riferisco ovviamente agli sfondi da te A R T E ACTING OUT 13 TOCCARE L’ARCHITETTURA LA FOTOGRAFIA COME PERCEZIONE E DOCUMENTAZIONE DELL'ARCHITETTURA L'architettura viene spesso descritta attraverso la fotografia. Evitando la fatica di impegnativi sopralluoghi e di osservazioni dal vero dei monumenti, si rinuncia al contatto diretto, magari tattile, con l'architettura, non ritenendo indispensabile penetrare, percorrere e conoscere (anche matericamente) gli spazi che danno forma e vita. Considerare la riproduzione fotografica, pur se bidimensionale, un' immagine fedele ed esaustiva dell'architettura, porta ad acquisire una conoscenza mediata e virtuale dell'edificio; una conoscenza fallace, in difetto di visione tridimensionale e di misurazione e percezione dello spazio architettonico inserito nel contesto. La fotografia che vuole vedere l'architettura "dentro ed oltre", seguendo il percorso di un’idea che è creazione dell'ingegno e della cultura, si colloca nello spazio concettuale. Vivere l'architettura dall'interno, percepirne gli spazi, i rumori, gli odori, toccarla con mano, è però un'altra cosa. Zevi poneva l'architettura su un livello più alto rispetto alla pittura e alla scultura: un quadro lo guardi e produce delle sensazioni, una statua puoi ammirarla girandoci intorno, coglierne il volume e apprezzarne la forma; in un manufatto architettonico invece si può penetrare fin nelle viscere, calpestarne il pavimento, saltare i suoi gradini, volteggiare nei suoi atrii, viverlo "dal di dentro". Provare fastidio per uno spazio angusto, Fotografia di Umberto Costamagna godere di una bella vista da un'ampia vetrata, il parquet caldo sotto i nostri piedi nudi anziché una gelida piastrella in una fredda mattina d'inverno, sono chitettura, ma si pone anche come strumento per catalogare, archiviare e divulgare. Oltre solo pochi esempi di sensazioni difficili da bloccare con un'immagine. Il genere di raffigura- alla funzione testimoniale, la fotografia è anche il mezzo per impadronirsi delle architetture zione invece mirato al congelamento di una solennità immobile, è un requisito riconoscibile e degli spazi urbani incontrati in una località che hai visitato per la prima volta; è il mezzo soprattutto in quella stagione fotografica nella quale le architetture assumevano atteggia- per illudersi di catturare l'inquadratura inedita o almeno insolita di una celebre architettura menti ostentatamente austeri; apparivano trionfanti in piazze deserte e in silenziosi isola- che altri hanno ritratto in milioni di pose. La fotografia si configura quindi quale mezzo più menti che ne amplificavano le dimensioni, refrattarie a situazioni meteorologicamente ano- confacente ad esprimere la metafora dell'architettura come interpretazione della forma e male, indipendenti da condizioni di luminosità mediterranea o di foschia padana, ritratte da dello spazio per il tramite della luce. In questa accezione la fotografia si accredita quale un punto di vista situato non all'altezza dell'occhio, bensì a mezz'altezza dell'oggetto da ripro- esperienza di accentuata lettura critica del manufatto architettonico. Nell'architettura si durre. Immagini di ambigua particolarità comunicativa, capaci di offrirci una realtà impro- gioca anche tutta la sfida con la luce. Le Corbusier diceva che l'architettura è il sapiente babile ma accattivante. Non vi è dubbio però che la fotografia di architettura ha anche il gran gioco dei volumi sotto la luce. Analogamente la fotografia, ma in bidimensione. Le attuali merito di recuperare informazioni del passato, di servire alla ricostruzione "di ciò che era", di indagini sullo spazio abitato confermano, in sintesi, che la fotografia, se sostenuta da uno tramandare l'effigie di un intero tessuto edilizio abbattuto, di un edificio distrutto o di un altro sguardo capace di interpretare, e non solo di documentare acriticamente, è medium dal che va perdendo la propria fisionomia a causa delle aggressioni, del degrado o dei restau- quale non si può prescindere per conoscere e rappresentare il mondo. Gabriele Casu ratori. La fotografia concede quindi un peculiare monitoraggio dell'invecchiamento di un'ar- Lezione tecnica -“luce ambiente” di notte Con il termine "luce ambiente" si indica la luce esistente al momento dello scatto -dove il fotografo non interviene modificandola con lampade, flash, pannelli riflettenti- ed in particolare la condizione di scarsa luce in interni ed esterni. Tutti gli apparecchi fotografici sono in grado di catturare immagini con "luce ambiente", ma sono più indicate, per questo tipo di riprese, le macchine fotografiche reflex. Queste permettono di scegliere il tempo di esposizione, di mettere a fuoco manualmente e di giocare con il diaframma che, per queste situazioni, è bene tenere chiuso. Esso permette una maggiore nitidezza su tutta l'inquadratura, e facilita la messa a fuoco anche in condizioni non del tutto favorevoli. Un'altra caratteristica della reflex è di avere le ottiche intercambiabili, solitamente molto più luminose di quelle non intercambiabili. Queste apparecchiature consentono inoltre l'impostazione dello scatto sulla "posa B", che rende possibile l'esposizione dell'immagine per un tempo personalizzato (si apre l'otturatore premendo il tasto dello scatto, per richiudersi al momento del suo rilascio). Molte volte si consiglia, per ottenere un'esposizione ottimale, di aumentare di circa due valori l'esposizione rispetto a quella indicata dall'esposimetro, in quanto le cellule che misurano la luce, all'interno di esso, non rilevano il giusto valore della fonte luminosa, troppo debole e il più delle volte concentrata in punti definiti: lampioni, fari delle automobili, insegne dei negozi, luna ecc. (ovviamente dipende sempre dal tipo di risultato finale che si desidera ottenere). La fotografia notturna può quindi essere considerata molto "modellabile" e si può anche dire che non esiste uno standard vero e proprio di tempo/diaframma da utilizzare per una corretta esposizione, fotografando senza l'ausilio del flash (che utilizzato nel modo non corretto rovinerebbe sicuramente l'effetto da noi cercato). Tutto dipenderà dalla situazione in cui ci troveremo e la posa dinamica o statica del soggetto. Per fare qualche esempio, potremmo trovarci nella situazione in cui è molto buio ed il soggetto è disponibile solo per pochi attimi, vietandoci così l'utilizzo di scatti studiati, di cavalletto e di pose lunghe. In questi casi se abbiamo il flash, è il momento di usarlo. I pro sono che potremo utilizzare tempi veloci (1/250 o 1/125sec), i contro sono che il flash potrebbe rovinare l'atmosfera cercata, soprattutto se non è abbastanza potente e il soggetto si trova troppo lontano. Senza flash sarà dura, perché per utilizzare tempi veloci, o quasi, potremo intervenire esclusivamente sulla sensibilità della pellicola, aprendo quasi obbligatoriamente tutto il diaframma (per far entrare più luce possibile). La pellicola idonea per questo tipo di riprese dovrebbe avere una sensibilità molto alta, da 400 ISO a salire, che permette di lavorare con tempi minori (se utilizziamo il cavalletto la sensibilità della pellicola diventa un fattore marginale). Ad una maggiore sensibilità corrisponde l'inconveniente della grana visibile nella stampa finale della foto, che più sarà grande più evidenzierà il difetto. Sono utilizzate anche le pellicole rapide ed ultra, che danno un minor contrasto con una maggior latitudine di posa, la quale permette di registrare anche particolari in ombra presenti nell'inquadratura con scarsa illuminazione. Anna e Pace ACTING OUT 14 Dato la recente eclissi lunare, potremmo analizzare come fotografare la Luna, difficile per la scelta dell'esposizione corretta, essendo una fonte luminosa (per riflesso) in mezzo al buio dello spazio. Fotografandola con impostazione della macchina automatica, otterremmo sicuramente un'esposizione sbagliata, bruciando tutto il dettaglio della Luna, a meno di usare una macchina professionale o almeno che sia provvista di tanta lunghezza focale (teleobiettivo), per ridurre al minimo il margine d'errore di valutazione sull'esposizione. Per impostare i valori manualmente, dovremo riuscire a misurare l'esposizione sulla luce che arriva dalla Luna, e se appare troppo piccola nel nostro mirino o non abbiamo un esposimetro di tipo "spot" (capace di misurare esclusivamente in un punto ben preciso, solitamente il centro), sarà necessario effettuare qualche prova prima di ottenere il giusto risultato. Come possiamo notare nel primo scatto la Luna è ancora molto libera dall'ombra della Terra, sprigionando molta luce; utilizzeremo quindi 1/250 sec. come tempo di otturazione, con diaframma quasi tutto chiuso f 7.1 (la scala dipende dall'obbiettivo utilizzato) e sensibilità più bassa possibile. 64 ISO nel nostro caso; con queste combinazioni, siamo riusciti a far risaltare il dettaglio del satellite al meglio, senza bruciare quasi nessuna zona chiara. Nel secondo scatto, possiamo notare come l'ombra ha già coperto metà della sua superficie; ora possiamo chiudere totalmente il diaframma (f 8.0) per far risaltare il dettaglio della superficie lunare e l'effetto ombra dell'eclisse, aumentando anche un po' il tempo di esposizione (1/125 sec.). La sensibilità rimarrà invariata essendo la più bassa possibile. Nella terza foto, l'eclisse è quasi totale e, per mantenere l'immagine visiva all'occhio umano, bisognerà aumentare il tempo di posa (ma non troppo) portandolo ad 1/2 sec., perchè aumentandolo più del dovuto, la fotografia riprodotta non rispecchierebbe più ciò che è visibile ad occhio nudo. Il diaframma sempre chiuso (f 8.0) con sensibilità 64 ISO. L'ultimo scatto cerca di catturare l'attimo in cui la superficie lunare viene coperta totalmente dalla proiezione della Terra, assumendo una dominante rossa portata dal Sole. Per renderlo possibile sarà obbligatorio utilizzare un tempo di otturazione lungo (12" sec.), mantenendo il diaframma tutto chiuso (f 8.0) e la sensibilità più bassa per non bruciare tutti i dettagli, andando però incontro al possibile mosso, dato dalla rotazione della Terra, ed all' esaltazione della grana. Questo risultato rispecchia ciò che non è più visibile ad occhio nudo. FRANCESCO TABUSSO. Storia di un pittore fra monti, fiabe e sogni. S Dal 14.04.07 al 09.05.07 DA TE Boschi di betulle e distese di granoturco, valloni innevati e mari di notte, cacciatori col colbacco e ragazze dagli occhi grandi, mazzi di funghi e tazze di latte, merli, pettirossi, fagiani, poiane e falchi, villaggi "bruegheliani" e tendoni da circo. I soggetti delle opere di Francesco Tabusso, nell'arco di sessant'anni di attività, non sono cambiati; le cose che un tempo amava continuano a popolare i suoi quadri, ispirati al ricordo delle esperienze vissute o dei paesi mai visti, ma di cui leggeva -e legge ancora, prima di dormire- sui libri di fiabe e che poi visita in sogno. La mostra in corso al Palazzo della Promotrice -Francesco Tabusso. Pittore di Torino- curata da Elena Pontiggia e Gianfranco Schialvino, presenta un percorso diacronico attraverso la sua produzione e ne mette in luce gli elementi di continuità (la poetica) e di diversità (la resa formale). Col passare degli anni lo stile si è ingentilito, la pennellata si è fatta più fine, i colori più lievi, ma non è possibile fare della tendenza una norma: i lavori più recenti mostrano infatti un Tabusso tornato all'antico amore per il tratto marcato -mai a scapito del dettaglio- e i colori lucenti, accesi e grumosi, quasi materici. Matericità che nei suoi quadri viene resa anche grazie alla tecnica del collage; come ne Il nano che balla (2004) -opera che riprende la composizione di Sogno d'inverno (1985)- in cui metanarrativamente cita la fonte in una delle teche del mobile dipinto: il biglietto da visita di un nano maestro di ballo! Un artista che diverte, affascina e sa far sognare. Una mostra che rende omaggio ad un pittore dei nostri tempi, capace di parlare al cuore di tutti. Biblioteca civica Villa Amoretti - Obiettivi luminosi Una selezione di fotografi piemontesi dal 1850 al 1950 In collaborazione con l'Associazione per la Fotografia Storica. PROMOTRICE DELLE BELLE ARTI (Viale Balsamo Crivelli 11) Francesco Tabusso - Pittore di Torino Fino al 20 maggio 2007 Dal 05.04.07 al 05.05.07 Il Cenacolo Casorati in Campidoglio [E.F.] - Metamorfosi Mostra di Isabella Bona ARTE PUBBLICA: CON GLI OCCHI APERTI NON SI GENERANO MOSTRI Quattro artisti rileggono l'ex area FIAT E’ un passaggio stretto, quello che conduce alla realizzazione di opere d'arte da inserire nel tessuto urbano. Stretto, angusto e difficile. Sono infiniti gli ostacoli che l'artista si trova a dover affrontare, dalla conservazione dell'opera, alla scelta di materiali idonei alla struttura urbana del quartiere in cui l'opera finita viene a inserirsi. E altrettanto complesse sono le soluzioni che l'amministrazione comunale deve concepire per le infinite conseguenze della presenza dell'opera sul territorio. Bisogna prima di tutto pensare all'impatto sui cittadini: se si pone un'opera d'arte in periferia con l'intento di alzare il livello qualitativo dell'area si incorre nel suscitare il fastidio delle stesse persone che vi risiedono. Il perché è ovvio, ma non così banale, e molto sta nelle richieste dei cittadini rispetto alle politiche attuate dall'amministrazione. Alcune necessità, fraintese, non comprese, divengono un nodo problematico, che non permette un dialogo aperto tra le parti e blocca, di fatto, la comunicazione. L'esito, perciò, potrebbe essere funesto: l'opera d'arte vandalizzata, mal sopportata e distrutta in poco tempo; le persone che vi abitano vicine scontente; l'amministrazione comunale inerme di fronte al rifiuto del territorio di assorbire la presenza dell'opera. È accaduto, non così drammaticamente (poiché si è presto corso ai ripari), nel caso di alcune delle opere sul Passante ferroviario: molto si è discusso sull'installazione di Per Kirkeby in Largo Orbassano; ha stupito (anche me) il tentativo di vandalizzare la fontana di Mario Merz in Corso Mediterraneo. La lezione insegna che l'imposizione non produce buoni frutti, e che anche l'arte, piazzata dall'alto, non porta alle soluzioni sperate. La soluzione, complessa, sta nella mediazione. Su questo fronte e con l'intento di coinvolgere per far comprendere, si svolge l'operato del gruppo a.titolo, responsabile del progetto Nuovi Committenti a Mirafiori Nord, che mira al recupero dell'area di verde pubblico lungo corso Tazzoli, e che opera da circa quattro anni nell'ambito del proget- to Urban2, finanziato dall'Unione Europea per il rilancio delle periferie. Nel corso della progettazione, il gruppo a.titolo ha individuato due artisti in grado di operare a fianco degli abitanti: Massimo Bartolini e Lucy Orta, rispettivamente impegnati nel recupero della cappella Anselmetti ora divenuta sede del Un particolare dell’opera di Lucy Orta nei giardini di Corso Tazzoli Laboratorio di storia e storie, e nella realizzazione della seduta collettiva Totipotent Architecture, basata sulle forme corporee e sulle strutture suggerite dagli studenti dei licei Renato Cottini ed Ettore Majorana. L'inaugurazione di marzo 2007 ha concluso la prima parte dei lavori, che hanno previsto, oltre al recupero dell'area verde che collega corso Orbassano a corso Agnelli, percorrendo l'intero perimetro ovest della FIAT, il posizionamento dell'opera di Lucy Orta nei giardini di corso Tazzoli, e l'apertura del laboratorio realizzato da Massimo Bartolini a stretto contatto con le scuole elementare Franca Mazzarello e media AlvaroModigliani. Il progetto Nuovi Committenti (promosso dalla Fondazione Adriano Olivetti e sostenuto da Urban2, dalla Compagnia di San Paolo e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino) assume in questo caso il ruolo di un tavolo aperto di dialogo tra gli studenti delle scuole del quartiere -che esprimono la necessità di ridare vita al proprio territorio- e gli artisti coinvolti, che traspongono l'espressione dei committenti nella progettazione dell'opera d'arte. Il coinvolgimento degli abitanti diviene il centro dell'attività, per cui, attraverso la presenza attiva, la comprensione dell'operato, la compatibilità con il sentire territoriale e socio-culturale, il gruppo a.titolo ha condotto a termine il progetto, mirando a fare sentire gli abitanti di Mirafiori Nord parte del cambiamento del proprio quartiere. L'appuntamento è per l'autunno, quando verranno installate le altre due opere che porteranno a termine l’iniziativa e il rilancio territoriale dell'area di Mirafiori Nord: Multiplayer, un campo da gioco multifunzionale ideato da Stefano Arienti e Aiuola transatlantico: un'area verde ridisegnata da Claudia Losi nel cortile di un complesso di edilizia pubblica. Sotto i nostri occhi, il paesaggio si allarga, man mano più ampio, in grado di assorbire il solito panorama. Centimetro dopo centimetro. Federica Tammarazio ACTING OUT 15 SPAZIO LETTERATURA DUE RACCONTI BREVI DI MARIO MERLINI METEMPSICOSI Lo portarono in quella casa di cura. Sfatto dalla droga. Lo riempirono di medicinali per evitare che la scimmia si impossessasse di lui. L'uomo steso sul lettino della sua cella, si addormentò. Passarono ore e i primi sintomi di astinenza si fecero vivi. Il suo corpo cominciò a vibrare procurandogli spasmi intensi e sudori freddi. Si raggomitolava nelle lenzuola, infilando le unghie nel tessuto, bucandolo. Il soffitto, di un bianco intenso, ai suoi occhi si trasformò in un enorme mostro gigante. Era spaventato. Tremante. Cominciò ad urlare pieno di rabbia e di dolore. I suoi arti sembravano volersi staccare dal resto del corpo, la pelle del viso era tesa, giallastra. Gli occhi sembravano uscirgli dalle orbite. Nessuno venne ad accudirlo. Nessuno. Era solo, abbandonato a se stesso con quell'orribile mostro sopra di lui pronto a divorarlo in un sol boccone. Era spacciato. Il suo cuore batteva a mille e le sue vibrazioni si espansero in tutto il corpo come un'onda di terremoto. Svenne. Probabilmente per l'effetto dei medicinali. Nel suo dormiveglia fece strani sogni, una barca in mezzo ad un lago senza nessuno a bordo, un campo di grano e uno spaventapasseri con le sue sembianze divorato da corvi mangiatori di uomini, uno schermo con l'ecografia di un bambino nella pancia della mamma e infine il parto visto di prima persona con la sua figura adulta che usciva dal ventre materno. Le immagini svanirono e lasciarono il posto ad una luce intensa, bianchissima. Sentì delle voci provenire da quel bianco, - "Lo stiamo perdendo..."-, si sentì poi percosso da dei colpi sul petto. La luce si fece più bianca e poi scomparve di netto, come se fosse stata succhiata via in un istante. Era diventato buio. Completamente. Ad un tratto percepì il pianto di un bambino provenire da qualche parte. Cercò di individuarne la provenienza e quando si fece più intenso, capì che stava fuoriuscendo dalla sua bocca. Il pianto si intensificò. Rimbombò nelle sue orecchie, quasi fino a farle scoppiare. Cercò di controllarsi, ma non ci riuscì. La sua bocca non era più sotto il suo controllo. Ritornò la luce intensa che lo avvolse completamente. Si sentì rinato. LORIN, LA DEA DEI GHIACCI Lorin si guardò intorno. Era tutto bianco. Era neve. Nel bosco nebbioso tutto appariva candido come la sua veste. Nella radura in cui si trovava, una leggera brezza gelida le accarezzava i capelli. I suoi occhi azzurri come ghiaccio polare la rendevano asettica in quella sua posizione di regina dei ghiacci.Un branco di lupi aveva attirato la sua attenzione. Erano candidamente bianchi nella loro muta invernale. Si muovevano guardinghi intorno a lei, come se ne avessero paura. Lorin non era donna. Era dea. La dea dei ghiacci. La sua figura umana traspariva nella foschia, la sua aurea spirituale la separava dal tutto come un'icona della Vergine in una chiesa di campagna. Ogni cosa pareva essere immobile. I lupi si sedettero intorno a lei, in un cerchio perfetto. Ulularono in coro. Lorin emise un piccolo gemito dalla sua bocca. Il gemito si mescolò con il fruscio degli alberi nel vento. Era diventata il respiro di quella piccola foresta. Era l'unica foresta rimasta al mondo. Una fiamma azzurra apparve sopra il suo capo e la incendiò di un vivido colore rosaceo. La fiamma cambiava colore all'apparenza umana, ma a quella animale che i lupi osservavano risultava essere perennemente blu. Blu come gli occhi del capo branco. Era l'unico a comunicare con lei, l'unico che ne aveva le doti, l'unico che aveva avuto il dono di instaurare un dialogo con lei, dialogo che non aveva fattezze umane. Era solo gioco di sguardi, una comunicazione extracorporale molto intensa e semplice. Occhi contro occhi in un apatico silenzio invernale, dove solo la gelida brezza si poteva udire. Non fui sicuro di quello che potevo osservare nascosto poco più in là, quasi immerso del tutto sotto la neve. Non credevo alla realtà che mi si poneva come dato di fatto. Tutto era reale. Solo nel momento in cui si accorsero della mia presenza svanirono. Ero ferito, sperso in quella foresta da molti giorni oramai, corroso dalla fame e dal freddo. Ma quella visione incredibile mi aveva ridato forza, la forza di poter credere nell'irrealtà umana che non è altro che quella parte della nostra mente soffocata e corrotta da tutto ciò che noi chiamiamo Civiltà. Morì in me soltanto la consapevolezza di non aver mai creduto nelle fiabe che mia madre mi leggeva quand'ero bambino, fiabe che si sarebbero rivelate, dopo tanti anni, totalmente reali. ACTING OUT 16 Identità di Vilma Viora Vilma Viora è nata a Torino nel 1948. Ha iniziato a leggere il suo primo libro a tre anni nella libreria di campagna, nel silenzio del primo pomeriggio, quando tutto dormiva nel caldo di agosto. Ha scritto la prima poesia Il sospiro di Ninfa a undici anni.Ha insegnato per molti anni nellle Scuole Elementari. Collabora attivamente a siti di poesia, concorsi, laboratori. E’ iscritta alla Società Italiana delle letterate. Nel 2002 si è classificata al terzo posto al concorso Mario Soldati per la poesia. Ha tenuto un laboratorio di Poesia presso il Centro Pannunzio di Torino nell’ambito delle attività culturali previste per l’anno 2002/03. Membro di giurie letterarie per premi di poesia: Il Golfo, Il porticciolo e Portus Lunae per gli anno 2004/05/06. Ha pubblicato poesie su siti Internet di Letteratura e Poesia e collabora con alcune associazioni con sito web. Pensa che la poesia sia un modo di vedere il mondo, alcuni la esprimono con le parole, altri con il disegno o la musica. Il libro cerca di riunire in un breve percorso alcuni segni di crescita di un desiderio poetico nato nella prima adolescenza. POESIE DI ENRICO BERGAGLIO MEMBRO DE “IL SALOTTO DEGLI AUTORI” LE LIRICHE SONO TRATTE DALLA RACCOLTA ZAMPATE DI TIGRE, ULTIMA OPERA EDITA DA CARTA E PENNA EDITORE Assenzio, droga o voluttà Giallastro florilegio del Male, Verde fata dai petali d’oro Artemisia che seduci l’astrale E sprofondi nel buio d’alloro. Porgi udito a una voce insensata, Sbrani i cuori con rabbia furente, Sei sirena attraente ma vana, Bruci il corpo e stravolgi la mente. Possa Il freddo macchinar della ratio Controllar dell’umano il delirante sentire, Buon governo sia dato a uno spazio Che di spirito saggio si dovrebbe riempire. Angeli della Pace Scivola nel più sacro silenzio Il mesto ricordo del dolore, Due interminabili ali S’inchinan lacrimando. Liberano pianto copioso Al penoso corteo Degli angeli spiriti della pace Avvolti in veli tricolori. Nel cielo piumoso d’autunno Sfarfallano liberi i sogni Dei diciannove caduti, Gabbiani candidi e liberi Cui alito freddo di gelido Astro solare commosso Par volerli baciare uno ad uno. Migraron come rondini entusiaste In cieli più caldi ma di guerra. Volevan soltanto diffondere Il bene e la pace in quella terra, Ma caddero vittime ignare Per bieche azioni nefaste. Saranno in eterno nei cuori Di un Paese che per loro Si sente onorato e a loro riserva Il saluto più dolce e i massimi onori Affranto di aver perso quei fiori Strappati con rabbia In un paese lontano sì ingrato. Ognuno di quei tricolori Sereno purtroppo si giace, Versiam lacrime di mille dolori Ricordando in eterno Che quelli sono I nostri Eroi dela Pace Ottimismo è credere E’brutto Sentir la vita Che ti sfugge Vuol dir che ti senti Già vecchio. Al calar della sera Il leone dentro ti rugge. Poi neppur l’alba più aranciata Riesce a scalzarti dal letto. Puoi impazzire con l’amore Più bello. E sentire il profumo del vento, Della rosa della passione. Non sa leggere il vento del cuore, Cerca solo di ardere ancora Fra le lingue di fuoco dell’amore. Ostinandosi ancora A cercare di cogliere Quel caldissimo fiore del desiderio Che nella terra del fato Pare stia scritto il doversi dissolvere Avvizzito nell’acqua del tempo passato E, con dispetto, venga quindi annegato. Che fortuna arrivare ad essere vecchio, Canticchiava con ardore mio nonno, Ma che brutto Doversi trovare ad essere vecchio Quando proprio ancora non hai sonno. E se cerchi di poterlo spiegare C’è nessuno che Ti stia più a sentire. “Sei un vecchio, Hai più niente da fare, Più nessuno dovresti scocciare Stai tranquillo, Pensa sol più a morire.!” Amen? Così sia per tutti? Così è... se vi pare! Il Cottolengo è speranza "Abbiate ogni speranza, o Voi che entrate!" D'obbligo morale stesse scritto. Cortile assolato di giugno La Vergine liquefa al sole Rose e piante arrostite in giardino Mille letti d'infermi d'intorno Fiammelle di pianti e preghiere Invocan con fede lo Spirito Santo. Si continua a sperare. Il Santo Beato l'ha sognato Oggi ai suoi piedi lo imploran Anime disperate in dolore Cui urge il "caritas Christi". Cristo avrà sempre tanta pietà, Ma l'Uomo ha ancor carità?.