ACTING OUT N.9 APRILE ANNO 1 DIR. RESP. MEL MENZIO SUPPLEMENTO AL N.13 DE IL MERCOLEDI’ DEL 04.04.07 STAMPATO PRESSO LA GRAFICA NUOVA
MENSILE GRATUITO
ASSOCIAZONE CULTURALE BLUELOOP...DICONO DI NOI
www.myspace.com/actingoutmag
direttore
In copertina:
Senza Titolo
Pietro Clarizia
2007
ACTING OUT
APRILE 2007
Mensile gratuito
Ed. La Presse
Iscrizione al Reg. Trib. di Torino
N.4775 del 24.03.95
Direttore responsabile:
Melchiorre Menzio
Direttore artistico:
Tommaso Caroni
[email protected]
Vicedirettore:
Veronica Lisino
[email protected]
Redazione:
Davide Carbonari (cinema)
Lorenzo De Nicolai (teatro)
Pietro Lesca (musica)
Hanno collaborato:
Anna e Pace, Andrea Baldi,
Federico Bava, Enrico Bergaglio,
Alessandro Bianchi, Giacomo
Bottaro, Gabriele Buzzi, Gabriele
Casu, Francesco Di Giusto,
Marcello Di Martino, Veronica Do,
Elisa Facchin, Giacomo Freri,
Marta Lanfranco, Mario Merlini,
Marta Musso, Carlo Prevosti,
Federica Tammarazio
redattore cinema
redattore teatro redattore musica
INDICE
C
I
N
E
M
A
Supplemento de:
Il Mercoledì
vicedirettore
Manifesto di
Acting Out
Isole
Critica e Western: intervista a Giampiero Frasca
CortiSonici, 4 anni di successi
It’s Anger time
Histoires
In libreria CINEMA
3>5
Nora, la bambola
A-LEX
Clown clandestini
M
U
S
I
C
A
Baroque
Face off: Steve Morse
Una Band alla corte di Carmen Consoli
Pubblicità
[email protected]
ACTING OUT 2
Acting out.
Per John Cassavetes voleva
dire recitare sopra le righe,
prendendo quanto un'interpre-
The Macbeth horror show
tazione possa trasformarsi in
opera d'arte nell'istante in cui
7>8
viene eseguita, ho capito che
forse questo è l'unico modo
per uscire fuori, fuori dallo
schema che ci viene disegnato
attorno.
Noi vogliamo muoverci sopra
Torino Local Scene - Identità torinese
le righe, scrivere di chi come
noi nelle righe non riesce pro-
9>11
prio a starci. Sono anni che la
BREAKTHROUGH: Elena Mirandola
Toccare l’architettura
Arte pubblica: con gli occhi aperti non si generano
mostri
nostra città vive una vita paral-
13>15
Questo giornale vuole parlare
lela, divisa tra una vetrina luccicante da proporre in eventi a
cinque cerchi e uno schivo ma
fertile universo sotterraneo, un
universo composto da persone.
di queste persone. Non faccia-
Una pica moderna
Spazio Fondazione Teatro Nuovo
Spazio Letteratura
mo politica e non vogliamo
insegnare nulla, non abbiamo
la presunzione di farlo. Noi
vogliamo solo parlare di que-
In libreria NARRATIVA
Spazio Torino
ste persone, persone che
insieme fanno una massa,
massa che ogni giorno di più
sembra un movimento. Senza
presunzione, senza eccessi,
muovendoci, andando oltre,
Ringraziamenti: Luca Bima,
Giulietta Casolati, Luca Lombardi,
Elena Occella.
Redazione
[email protected]
entrare questa parola.
Guardando i suoi film e com-
Grafica:
Nicoletta
Occella,
Caterina Musazzi, Marco Lopane
Per informazioni
[email protected]
www.myspace.com/
actingoutmag
Sono tanti i contesti in cui può
alla lezione di Stanislavksy.
6-12-16
Stampato presso:
LA GRAFICA NUOVA
Via Somalia 108/32 - Torino
giche.
no del suo approccio estremo
Francesco Tabusso. Storia di un pittore fra monti, fiabe e sogni
A
L
T
R
O
zione e persino teorie pedago-
andare oltre, persino più lonta-
T
E
A
T
R
O
A
R
T
E
Psicologia, tecniche di recita-
@ Torino
CINEMA
UNIVERSITA'
CLUB
Massimo
Multidams
Cafè des artes
Due giardini
Verdi
Cafè liber
Empire
Venturi
Cafè Rossini
Centrale
Aldo Moro
Lab
Fratelli Marx
Accademia delle belle arti
Zoo Bar
Greenwich village
Architettura
Mood
TEATRO
GALLERIE
NEGOZI
Erba
Gam
Altrovideo
Nuovo
Castello di Rivoli
Bazar
Gioiello
Fondazione Giov-A
Anna Piras (Asti)
Blow Up
Monterosa
En Plein Air (Pinerolo)
You
Acting out.
Tommaso Caroni
ISOLE
C
Storia di un film indipendente
Fare cinema non è un mestiere
semplice, soprattutto se il tuo
punto di partenza è la provincia,
dove le comunità di cinefili, le
associazioni culturali e le sale
d’essai scarseggiano. Da qualche
anno però ad Orbassano è cambiata l’aria, grazie all’impegno di
un ragazzo di 24 anni che, senza
neanche esserne pienamente
cosciente, è diventato il principale
promotore di cinema della cittadina alle porte di Torino.
Rocco Riccio, dopo il successo
dell’Orbassano Film Festival, ora
ha alzato il tiro; e dopo un lungo e
faticoso anno di lavoro ha portato
a termine Isole, il suo primo lungometraggio. Il film, che sarà presentato il 14 aprile al cinema
comunale di Orbassano, è un
esperimento molto interessante
di autoproduzione, che grazie
all’uso di camere professionali
digitali e di un gruppo di lavoro
compatto e affiatato, è riuscito a
vedere la luce.
La storia, che lo stesso regista ha
scritto, raccoglie vite, problemi e
speranze che ogni giovane, nella
provincia in particolare, è costretto ad affrontare per trovare una
propria dimensione. La musica,
gli amici e la famiglia sono le basi
tematiche su cui sono strutturate
le storie parallele di due fratelli di
fronte ai rispettivi crocevia della
vita: il primo lavoro e il primo
anno di liceo.
Rocco Riccio inoltre ha deciso di
affiancare ad attori professionisti
alcuni ragazzi di Orbassano, che,
con la loro spontaneità ed entusiasmo hanno contribuito a creare l’atmosfera positiva che ha
contraddistino tutta la produzione.
Issole è un progetto autoprodotto,
come hai gestito la parte produttiva? Hai avuto supporto dal comune e dagli enti specifici?
Isole è un progetto di autodeterminazione produttiva che prescindeva dal discorso economico.
Avere 2000 euro o 5000 euro in
un lungometraggio ti dà poco di
più di quello che hai già. I soldi nel
cinema sono altri. Il concetto è
molto semplice: autoprodursi vuol
dire avere la visione a 360° di
tutto quanto. Vuol dire fare valutazioni sulle scene, sugli ambienti, sui tempi, sulle attrezzature.
Ma è anche una visione anarchica e incosciente che da una parte
ti permette di fare tutto, dall'altra
ti limita su tutto fortemente.
Il Comune di Orbassano ci ha permesso di utilizzare agevolmente
spazi e ambienti ideali per le
riprese; e anche numerose associazioni e commercianti sul territorio ci hanno dato la disponibilità
delle loro sedi o dei loro negozi
per le riprese. Il film inoltre ha
visto una collaborazione fortuna-
ta con un gruppo di ragazzi, con
cui stiamo lavorando per un altro
lungometraggio (La via del peccato), che ci ha permesso di abbattere notevolmente costi di attrezzature e manodopera. Senza questa collaborazione il film sarebbe
costato più di 25.000 euro. La
produzione di un lungometraggio
indipendente è un continuo lavoro di work in progress, di esaltazione e frustrazione. L'importante
è sempre stato non lasciarsi spaventare dalla mole e dalla lunghezza del lavoro. Non è facile
lavorare su qualcosa con costanza senza vederne subito i frutti. Ci
vuole tanta pazienza.
I
Il protagonista Federico Bava (a sinistra) in una scena con Daniele Chiarella
Isole è un film nato per costare
poco e per essere concluso, considerando in modo verosimile
tempi e disponibilità di tutti, in un
anno di lavoro. Non mi sono andato a cercare situazioni complesse
di ambientazioni scenografiche.
Ho scritto un film a misura di
Orbassano.
Le difficoltà sono state tante: l'impossibilità di avere i ritmi di una
produzione normale e il lavoro
con gli attori più giovani per esempio, che ci hanno messo tanto a
capire che non era un gioco.
Per la parte dei ragazzi hai scelto
molti giovani alla loro prima esperienza cinematografica. Come
sono stati realizzati i casting? E a
lavoro ultimato la scelta coraggiosa ti ha premiato?
Questo è stato il più grande
rischio. Il film si sviluppa su due
piani generazionali. Andrea (interpretato da Federico Bava), di 26
anni, alle prese con crisi esistenziali, lavori precari e domande e
dubbi sul futuro, e Luca (Nicola
Garrubba), 14 anni, alle prime
esperienze di vita. Lavorare con
ragazzi così giovani è stato veramente complesso. Abbiamo fatto
un casting dove abbiamo valutato
più di 50 ragazzi. Nicola l'ho scovato per caso e scritturato con
grande rischio. Alla fine però
penso che nessun altro al mondo
avrebbe fatto meglio di lui e sono
molto contento.
Come procederai con la distribuzione del film? Lo presenterai a
festival e lo proporrai direttamente ai cinema di Torino e provincia?
Qui tocchiamo un tasto dolente,
anzi, IL tasto dolente. Che dire? Ci
proviamo. Abbiamo una serie di
date sparse previste tra cinema di
Torino e provincia e qualche scuola. E' chiaro che un esordio cinematografico, e per di più autoprodotto e indipendente, non ha mire
distributive nazionali convenzionali. Il lavoro è molto più capillare
e sul territorio, attraverso una
serie di tentativi promozionali che
speriamo vadano a buon fine.
Internet, ancora una volta, è stato
importante. Il nostro sito
www.titobros.it ospita foto e video
sul film e c'è un blog attivo dall'inizio della produzione (http://isolefilm.splinder.com), aggiornato
quasi quotidianamente, che rac-
Il mese che verrà
Del Festival Da Sodoma a
Hollywood parlo già nelle
pagine successive, cosa
resta dunque da promuovere
nel prossimo mese? Se al
cinema si alterneranno giovani registi italiani, improvvisati o non (Zampaglione vs
Marengo), spendo volentieri
2 parole su un film reperibile
da qualche mese in dvd,
dopo un poco brillante passaggio nelle sale l’anno scorso. La guerra di Mario è probabilmente il migliore tra i
film italiani passati per festival quest’anno. Invece che a
Venezia o Roma, il film di
Antonio Capuano è stato
applaudito a Locarno. Il
Festival svizzero, che aveva
già premiato due anni fa
Private di Costanzo, non ha
permesso la vetrina promozionale che il film invece
meritava. Presentato nelle
sale a distanza di mesi ha
fatto la fine di Uno su Due
qualche settimana fa...
schiacciato da Ho voglia di
te. Sono convinto che i
Festival vadano sfruttati
come trampolino per un lancio immediato nelle sale, e
penso che La guerra di Mario
per la qualità espressa
avrebbe potuto bissare tranquillamente il successo di
critica. Se questo è il cinema
su cui puntare puntiamoci
per davvero.
LA GUERRA DI MARIO!!!
[T.C.]
conta tutta l'esperienza del film.
Con questi mezzi si arriva ad un
pubblico già attivo e moderno. La
gente comune va cercata in altro
modo: locandine, manifesti, giornali e radio. Cerchiamo di farlo
vedere a più persone possibili,
senza grandi pretese, né aspettative. Il successo sta già nell'aver
realizzato e concluso un film.
Tu con la tua Associazione
Titobros cerchi di fare cultura in
provincia, prima il Festival e ora la
realizzazione di Issole : come
risponde Orbassano alle iniziative
che proponi?
All'inizio è stato impegnativo, per-
N
E
M
A
ché la gente non è abituata ad
avere a portata di mano delle iniziative culturalmente diverse
dalle solite rassegne teatrali o dai
concerti di musica classica.
Orbassano non ha un vero e proprio cinema, e funziona solo il fine
settimana. E' stato un vero e proprio lavoro di "creazione" di un
pubblico, soprattutto giovanile, e
più si è andati avanti maggiori
sono stati il consenso e la partecipazione. Mai come in provincia
la pubblicità è importante, per
arrivare direttamente alle persone.
[T.C.]
ACTING OUT 3
Dvd nuovi e usati
da tutto il mondo
Dal poliziesco
al cinema d’autore
dalle avanguardie
a hollywood
Via Montebello 22e - Torino tel 01119508117 mail [email protected]
LE SCADENZE DEI FESTIVAL PER CORTOMETRAGGI
Cinema &/è Lavoro - Festival Cinematografico dell'Umbria
10/04/2007
Corto Siracusano
15/04/2007
MIDOC - Milano Doc Festival
10/04/2007
Salento International Film Festival
15/04/2007
International Short Film Festival of Vila Do Conde
13/04/2007
Fronte del Corto Film Festival
15/04/2007
Bianco Film Festival
15/04/2007
Edimburgh International Film Festival
17/04/2007
cortoSicuro
15/04/2007
N.I.F.F. Net Independent Film Festival
30/04/2007
Cinema Jove - Festival Internacional de Cine
15/04/2007
Euganea Movie Movement
30/04/2007
15/04/2007
Junior Short Film Festival
30/04/2007
Salento International Film Festival
CRITICA E WESTERN
Histoire(s)
Bobby
The sound of silence...and words
Il senatore degli Stati Uniti Robert F. Kennedy fu assassinato la notte del 4 giugno 1968 all'Ambassador Hotel di
Los Angeles. Aveva da poche ore vinto le primarie del partito Democratico in California, e si trovava quindi la strada
spianata per concorrere alle elezioni presidenziali contro lo
sfidante Richard Nixon. Nel fatale attentato, consumato
nelle cucine dell'albergo dove "Bobby" stava salutando il
personale dell'Ambassador al termine del ricevimento in
suo onore, furono ferite anche altre persone: sostenitori
del presidente, dipendenti dell'albergo, semplici curiosi.
Nessuno morì. A parte Bobby Kennedy.
Emilo Estevez ci racconta l'ultimo giorno di vita del "futuro
presidente" in modo originale e molto convincente: di
Bobby non vediamo che immagini di repertorio -i discorsi e
la campagna elettorale. Il film "vero" è fatto da 22 dei protagonisti di quella tragica giornata che, dopo appena due
mesi dall'omicidio di Martin Luther King, diede il colpo di
grazia al cosiddetto "sogno americano". Seguiamo, in un
approccio "corale" che ricorda quello del maestro recentemente scomparso Robert Altman, la giornata di alcuni
dipendenti dell'albergo; uomini e donne del partito democratico che lavorano alla campagna delle primarie; finanziatori del senatore; gli artisti invitati ad esibirsi alla festa
in onore di Bobby; semplici ospiti dell'albergo; amici degli
organizzatori; imbucati; spacciatori.
Vivono la loro vita, inconsapevoli della tragedia che aspetta loro e l'intera nazione, mentre il senatore Kennedy dagli
schermi dei televisori ci appare sgranato, lontano, come le
sue parole di pace in questo nostro tempo di guerra. Anche
le immagini della festa sono quelle "finte" del film, tranne
che per Bobby, di cui vediamo invece il discorso originale
del 1968.
Ma, lo abbiamo accennato, la scelta stilistica funziona: è
un modo intelligente di raccontare la Storia dal punto di
vista dei suoi "attori" non-protagonisti, che non prova a
resuscitare il corpo del senatore tramite un attore, ma ce lo
mostra com'era, nella sua appartenenza definitiva a un'epoca che è morta con lui.
Che cosa resta oggi? I suoi discorsi. I discorsi -ne sentiamo
più d'uno nel film- di un uomo che si candida alla presidenza degli Stati Uniti, parlando di pace, uguaglianza
sociale e di un'America che deve farsi amare dal mondo per
la sua generosità e non per la sua forza militare. Una sorpresa che arriva dal passato invece che dal futuro.
A questo si aggiungono la grande musica del tempo (nella
colonna sonora Stevie Wonder, The Supremes e Simon &
Garfunkel con la loro celebre Sound of Silence ), e la recitazione impeccabile di un folto gruppo di grandi attori, tutti al
minimo sindacale pur di partecipare al progetto. Tra gli
altri ricordiamo Anthony Hopkins, Harry Belafonte, Helen
Hunt, Demi Moore, Martin Sheen, Christian Slater, Sharon
Stone, Elijah Wood, Joy Bryant, Nick Cannon, Laurence
Fishburne, Brian Geraghty, Heather Graham, Joshua
Jackson, Shia LaBeouf, Lindsay Lohan.
Un grazie quindi al regista Emilio Estevez, anche attore nel
film, per averci fatto commuovere e divertire, e per averci
ricordato che la politica può anche essere fatta di grandi
ideali e sincere speranze.
Gabriele Buzzi
ACTING OUT 4
DEADLINE
Intervista a Giampiero Frasca
Fare critica cinematografica è
un’ambizione comune a molti
giovani studenti. Pochi però
sanno davvero cosa vuol dire
amare il cinema, studiarlo e
riuscire a trasmettere la propria passione con padronanza
dialettica e della materia.
Giampiero Frasca, per quelli
che provano a scrivere di
Nouvelle Vague e di postmodernismo, è un modello da
emulare. Ascoltarlo parlare di
cinema è un’esperienza illuminante. Può travolgerti con lunghi elogi a Vera Cruz di Aldrich
o concederti una sola battuta
per raccontarti il suo James
Stewart.
Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del suo atteso volume C’era una volta il
Western, edito da Utet.
Parliamo del nuovo libro,
com'è nato il progetto?
Tutto inizia dalla mia volontà
di legittimare una passione
infantile, maturata con la crescita ed esplosa definitivamente con la stesura del
Manuale dei generi (edito
anche questo da Utet Cinema
ndr). Lavorando per quel libro
ho visto e approfondito diversi
film western, notando in essi
dei meccanismi alla base, da
un punto di vista linguistico,
molto interessanti e mai trattati in volumi precedenti.
Penso che qualsiasi critico si
sia cimentato con questo
genere, ma tutti lo hanno analizzato, facendo egregi lavori,
da un punto di vista tematico o
sociologico. Quasi nessuno si
è basato sul piano rappresentativo. Io mi sono sforzato di
creare dei percorsi nuovi partendo da alcune configurazioni
e convenzioni narrative che si
ripetono, ma in modi diversi,
nella storia del cinema a
seconda del clima culturale e
storico americano. Un esempio
su tutti è la rappresentazione
dello spazio. Nel corso degli
anni Trenta, il western ha conservato gelosamente la profondità di campo, all’epoca
scomparsa nel resto della
cinematografia
mondiale,
riprendendo quella tradizione
culturale pittorica e letteraria
in cui il gigantismo dello spazio garantiva la sovradimensionalità rispetto alla figura
umana e permetteva una
drammatizzazione epica all'interno della quale l'uomo diventava l'eroe e il conquistatore di
scenari immensi e ancora
incorrotti. Alla fine degli anni
Sessanta, con l'introduzione di
nuovi dispositivi ottici come il
teleobiettivo, lo spazio si è
contratto, e la profondità di
campo ha perso quella che era
la sua caratteristica per diven-
Leggere critica cinematografica, scrivere, seguire i cineforum?
La maggior parte degli aspiranti critici scrive, molto, forse
troppo, e soprattutto con un
approccio
sperimentale,
dimenticandosi spesso che c'è
una teoria critica con cui è
necessario confrontarsi. Il mio
consiglio
è di leggere.
Abbiamo il fiore della critica
italiana che sviluppa temi e
approfondimenti sulle riviste
specializzate ed è assurdo, per
La copertina del libro edito da Utet e in uscita nelle prossime settimane
tare uno spazio schiacciato
all'interno della prospettiva; in
concomitanza linguistica e
contenutistica con la perdita
di quello che era l'eroismo
senza condizione, che da sempre era stato impostato.
Tu insegni cinema all'università e nelle scuole. Io penso che
il tuo lavoro sia fondamentale
per creare una coscienza cinematografica nei giovani. E’
veramente così difficile avvicinare i ragazzi al cinema d'autore?
In questo periodo sto tenendo
un corso di cinema e televisione per cercare di stimolare il
dubbio che il Grande Fratello
non sia la quintessenza del
realismo esistenziale e televisivo. Ma sono pessimista al
riguardo, perché quella che tu
definisci coscienza critica non
può sussistere dopo anni di
bombardamento di immagini
che i giovani dagli 11 ai 18
subiscono.
Cosa consigli a chi si avvicina
alla scrittura per il cinema?
esempio, che un settimanale
come Film Tv rischi di chiudere
per carenza di lettori. Agli
aspiranti
critici
consiglio
anche di studiare la storia, la
politica e l’arte in generale
perchè non si può pensare di
comprendere veramente il
cinema americano o quello
giapponese se non si conosce
nulla di quelle società.
Qual è il film della tua vita, se
ce n'è uno?
Come per i dischi, io ho dei
film che hanno caratterizzato
dei periodi della mia vita. E'
difficile sceglierne uno o fare
una graduatoria. Ho pensato
per moltissimo tempo che uno
dei film della mia vita potesse
essere 8 ½ di Fellini, che con
il western non c’entra niente;
per rimanere nel genere invece dico L'uomo che ha ucciso
Liberty Valance , un film che
nonostante abbia visto almeno
15 volte ha ancora la capacità
di farmi commuovere.
[T.C.]
IN LIBRERIA
CINEMA
Dei miei sospiri estremi
Buñuel Luis
Editore: SE
Prezzo 20 Euro
Pagine 280
"Grazie a Dio, sono ateo" è l'aforisma che meglio rappresenta i paradossi e l'arguzia di Luis Buñuel. I suoi film surreali, cinici e metaforici, sono
modernissimi frammenti di specchi infranti che riflettono porzioni di
realtà, confondendola in un mosaico di follia. Cresciuto nell'ambiente fortemente religioso di
Calanda, Buñuel ha sviluppato un'irriverente polemica antireligiosa conseguente al suo violento rifiuto del cattolicesimo. Credere e non credere, è proprio lo stesso. "Se in questo preciso
istante mi si dimostrasse la luminosa esistenza di Dio, il mio comportamento non cambierebbe
di certo. Non posso credere che Dio mi sorvegli continuamente, che si occupi della mia salute,
dei miei desideri, dei miei errori. Non posso credere e comunque neanche accettare che possa
punirmi per l'eternità. Che cosa sono per lui? Niente, un'ombra di fango. Il mio passaggio è talmente rapido da non lasciare una traccia. Sono un povero mortale, e non conto, nello spazio
come neanche nel tempo. Dio non si occupa di noi. Se esiste, è come se non esistesse.
Ragionamento che una volta ho riassunto in questa formula: Sono ateo, per grazia di Dio".
Giunto al termine della sua esistenza, quasi a voler redigere un diario artistico e umano della
propria vita, Buñuel lascia libero sfogo alla penna in Dei miei sospiri estremi , il racconto di un
viaggio iniziato al ritmo dei tamburi di Calanda, che scandivano il lento scorrere delle processioni della settimana santa, fino alle esperienze dei sogni e delle fantasticherie di Parigi, della
Guerra di Spagna e del nuovo mondo di Hollywood, degli Usa e del Messico.
L'arte di una vita e una vita che se si trasforma in arte, quella di Luis Buñuel. Analogamente,
Dei miei sospiri estremi è un mezzo straordinario per avvicinarsi all'arte e al suo cinema, così
come permette di conoscere l'uomo e sfogliare la sua coscienza come un libro aperto.
[C.P.]
It’s Anger time
Torna il TORINO GLBT FESTIVAL
Come ogni anno, con un cartellone sempre più ricco, torna protagonista nelle nostre serate di primavera il Festival Da Sodoma
a Hollywood . Questa manifestazione, grazie a un’accurata selezione di film, anno dopo
anno è divenuta una
delle principali occasioni
di dialogo e confronto
per la comunità gay, così
come per il grande pubblico.
La XXII edizione si
festeggia con una retrospettiva dedicata a uno
dei più importanti nomi
del cinema sperimentale
americano:
Kenneth
Anger. Alla presenza del regista, il pubblico potrà ri/scoprire e
apprezzare i più importanti titoli della sua filmografia, tra cui
soprattutto i cult Fireworks, Eaux d'artifice e Scorpio Rising .
Significativi omaggi saranno dedicati anche al performer americano Ron Athey, alla regista e archivista americana Jenni Olson,
e al regista francese Philippe Vallois.
Un altro appuntamento da non perdere sarà, in occasione del
20° anniversario dalla morte, l’omaggio particolare a Andy
Warhol, di cui verranno proiettati i tre classici cult: My Hustler,
Chelsea Girls e Lonesome Cowboys .
Appuntamento dunque dal 19 al 26 aprile nei cinema Ambrosio
e Ideal. Per informazioni: www.tglff.com
[T.C.]
CORTISONICI, 4 ANNI DI SUCCESSI: UN’ESPERIENZA DA ESPORTARE
Di festival in questa città si parla tanto, ma sono aprendo una seconda sezione parallela chiamata viene chiamata ad affiancare quella tecnica. Gli stusempre più bizzarri equilibri politici -e non solo l’e- Cortisonici Ragazzi , dedicata all'audiovisivo realizza- denti attribuiscono il premio a Melo Prino per
sperienza e la volontà degli organizzatori- a dettare to nell’ambito di progetti educativi e scolastici. Il Buongiorno, mentre la giuria tecnica sceglie il coragle sorti delle manifestazioni. Ci sono però casi in cui bando di concorso ha una diffusione capillare nei cir- gioso spagnolo Pablo Valiente con il suo Coniglio
un gruppo preparato ed entusiasta di giovani, unen- cuiti di filmmaker italiani e la quantità dei film rice- all'aglio , storia di un attore porno alla chiusura della
do le proprie forze, riesce a costruire dal nulla una vuti sale, come pure la loro qualità. La giuria chia- sua carriera. Grande successo per l'appuntamento
manifestazione, cresciuta in modo sorprendente mata a scegliere il film vincitore premia un giovane Focus On Korea e per l'incubo notturno della sezione
anno dopo anno, e divenuta ormai
Inferno , contenitore dei film più
modello da emulare in tutto il
estremi arrivati al Festival, che
resto dell’Italia.
pur non trovando spazio in concorIl critico Diego Pisati, nel suo
so hanno però meritato una pubrecente volume dedicato al cineblica proiezione.
ma della provincia di Varese,
La quarta edizione segna la svol( Varese,
ta. Oltre 300 i film ricevuti, una
Hollywood ,
edizioni
selezione di concorso internazioMacchione) mette in luce come
nale di 18 titoli provenienti da
l'immagine della cittadina del
Usa, Australia, Italia, Germania,
nord, nelle pellicole italiane, evoCroazia, Gran Bretagna e Spagna.
chi alla mente una città ricca ma
Il Festival si tinge dei colori spatriste, frenetica nel lavoro ma
gnoli con il primo premio allo
addormentata nel mondo della
splendido Maquina di Gabe
cultura. Nell'estate 2003 la percezione che fosse necessario
Ibanez, cruda metafora di uno stucreare un cortocircuito nella sorpro tra Takashi Miike e i cartoon di
niona vita varesina è diventata
Betty Boop, mentre la giuria degli
una priorità per l'associazione
studenti premia un altro lavoro
Ronzinanti
e
il
cineclub
Juego
di
Ione
spagnolo,
Filmstudio 90. L'idea era sempliHernández. Scelte coerenti per un
ce: creare un'occasione di inconfestival inaugurato dal Focus
tro per giovani registi attraverso
Madrid en Corto sulle produzioni
due serate di proiezione di cortoprovenienti dalla capitale spagnometraggi, ricevuti dopo la pubblila. Cresce anche Cortisonici
Gabe Ibanez, vincitore dell’edizione 2007, con il primo premio: gli occhiali realizzati dallo scultore Daniele Di Luca
cazione di un bando. Quasi a rapRagazzi , da quest'anno anche conpresentare la volontà di curare la catalessi culturale regista diciannovenne, Tommaso Antalo, autore di corso, che premia due straordinarie esperienze. Per
varesina, il Festival viene comunicato attraverso la Insetti un'animazione realizzata in stop-motion in la categoria UNDER 13, Scuola di cucina , prodotto
metafora del medicinale: il nome scelto è appunto modo ironico e sorprendentemente amatoriale.
dalla Direzione Didattica "Uditore" di Palermo, e per
Cortisonici . Il budget inesistente ha spinto l'organiz- L'edizione 2006 è quella del grande lancio interna- OVER 13, Un giorno da vivo di Marina
zazione a scegliere la forma non competitiva della zionale del Festival. Il bando viene diffuso anche Mastrogiacomo, per l'Accademia del Cinema dei
rassegna, sebbene una giuria tecnica abbia scelto all'estero e la risposta è incoraggiante. Il concorso Ragazzi di Bari. Seconda edizione per Inferno , in coluno fra gli oltre cento film. La prima edizione vede cresce di qualità e ogni sera la sala di proiezione da laborazione con Noctuno Cinema. Tavole rotonde,
menzionato il giovane regista Hendrick Wijmans per oltre 400 posti è gremita al limite della capienza. workshop e incontri con il pubblico hanno poi comil cor to Il primo bacio , realizzato in favore di Cortisonici Ragazzi rafforza il rapporto con il territo- pletato il successo dell'evento, con oltre 2500 preEmergency. For ti del successo di pubblico della rio locale e nazionale, diventando una vetrina dei senze in tre giorni.
prima edizione e con un budget minimo, ottenuto prodotti realizzati, ma anche un luogo di incontro e Il cortocircuito è stato innescato e la città si è mossa.
grazie ad alcuni piccoli sponsor privati, la seconda scambio di esperienze diverse. Nasce un'intesa con Per info: www.cortisonici.org
Carlo Prevosti
edizione sceglie di avvicinarsi alla forma del festival l'Università dell'Insubria e una giuria di studenti
ACTING OUT 5
CULTURALTRO
UNA PICARA MODERNA
IN LIBRERIA
FRANCESCA FERRANDO RACCONTA IL SUO ROMAN-ZOO
Francesca Ferrando possiede
il fascino di chi ha vissuto la
propria vita intensamente. La
nostra chiacchierata nasce
dall'interesse che sta suscitando il suo libro Belle
anime Porche (MimesisPressutopia, 236 pagine,
13), "roman-zoo" (definizione della stessa autrice)
che mette in scena personaggi e situazioni ambientate in una Italia lurida,
poco definibile in termini
spazio-temporali.
Nel tuo romanzo si possono cogliere molte influenze, tra le quali alcune che
si rifanno alla tradizione
letteraria picaresca; altre
sono un chiaro riferimento
ai
romanzi
"on
the
road";altre ancora sono
smaccatamente "pulp". La
protagonista
Terry
Grisedu può rappresentare una somma di riferimenti letterari eterogenei?
Quanto di te c'è in lei?
Io, Terry, non la conosco: è un
personaggio che esula dal tipo
di percorso che ho fatto durante la mia vita; è una ragazza
cafona e sporca, della quale
non condivido quasi nulla, ma
con la quale mi piace interagire e confrontarmi. Sento che
tra me e lei durante la fase di
gestazione e forse ancora
oggi, C’è un forte interscambio.
Sicuramente
abbiamo
in
comune l'amore per i viaggi e
per le avventure. Per me Terry
è una picara moderna, è un
personaggio divertente, sudicio, ironico nel suo essere
grottesco, violento, aggressiva. E’ una via di mezzo tra
un'eroina e un antieroina
Terry ha, come te, l'animo da
viaggiatrice. Sulla sua strada
incontra molti personaggi che
ne condizionano fortemente lo
spirito. Come nelle fiabe e
nelle storie cavalleresche,
questi individui rappresentano, come direbbero Propp e
Greimas, le prove da superare,
dei bivi che eventualmente
potrebbero riportare la protagonista all'originario stato di
degrado; penso alle due figure
maschili iniziali, Carlo e Piero,
con le quali trascorre tempo e
dalle quali scappa non senza
averle in qualche modo
"assaggiate". Ci avevi pensato?
E' una lettura decisamente
affascinante. Il discorso che
ACTING OUT 6
Terry sia entrata e abbia "succhiato" la vita a questi due
personaggi, abbandonandoli in
quanto assolutamente insoddisfacenti per il tipo di ricerca
che sta facendo, mi piace
molto! Dico sempre che io e
Terry siamo simmetriche e non
complementari: però forse
questa caratteristica, cioè di
entrare nelle situazioni, provarle e eventualmente abbandonarle se ritenute insoddisfacenti, può essere un "fil rouge"
tra me e lei.
La vera conoscenza di un sentimento affettivo forte e disinteressato avverrà grazie all'incontro con Michelle, unica
figura realmente positiva di
tutto il romanzo, sulla quale
probabilmente si riversano
tutti i motivi lieti che altrimenti risulterebbero assenti nella
storia. Nella creazione di questo personaggio ti sei ispirata
ad una o più figure reali?
Sì, Michelle è un personaggio
cui tengo molto: lei sarà l'unica che riuscirà a scalfire il
cuore duro di Terry. È un mix di
individui che ho effettivamente incontrato nel corso della
mia vita. Una è una compagna
zapatista di Torino che fisicamente mi ha ispirato per la
creazione di Michelle; l'altro è
un signore por toricano che
conobbi a Miami, un clochard
che mi ha fatto capire cosa
fosse la generosità disinteressata, una persona pura nel
vero senso della parola che mi
è rimasta for temente nel
cuore. Poi Michelle è un'anarchica, ideologia dalla quale
sono fortemente attratta.
Le leggi morali sono dentro di
noi: i concetti della libertà e
della non imposizione per me
non rappresentano solo delle
astrazioni.
Il viaggio di Terry finisce con il
suo ritorno a casa: è un cerchio che si chiude.
Tuttavia molte questioni
rimangono sospese. Ora
cosa succederà?
Intendo andare avanti a
scrivere due romanzi
che entreranno a far
par te di quella che io
intendo essere una trilogia, una sorta di Inferno,
Purgatorio e Paradiso.
Nella prossima storia
non sono sicura se Terry
sarà ancora protagonista, ma sicuramente la
sua aura sarà inevitabilmente presente.
Inoltre sto imbastendo,
coadiuvata da un professionista, la sceneggiatura
di
Belle Anime
Porche, in quanto c'è un
forte interesse affinché il mio
romanzo possa tradursi in un
film. Siamo in trattative con la
RAI per la produzione.
Poi che dire…dopo...la magia…
tanta roba legata all'arte e alla
vita. Un po' di sciamanesimo
spirituale non fa mai male.
Alessandro Bianchi
NARRATIVA
I gemelli Fahrenheit
Einaudi Editore
Pagine 256
Prezzo 14,80 Euro
I gemelli Fahrenheit di Michael Faber (Einaudi, 2006) è una
raccolta di racconti -surreali, inquietanti, divertenti, irritanti,
commoventi, poetici, dolorosi- dello scrittore scozzese lanciato in Italia dal fortunato e monumentale Il petalo cremisi e il
bianco (2003) e seguito dai romanzi Sotto la pelle (2004) e A
voce nuda (2005) e, sempre nello stesso anno, da un'altra
raccolta di racconti, Natale in Silver Street .
Il libro sorprende, oltre che per le indiscutibili e spiccate doti
letterarie dell'autore, anche per la sua capacità di variare toni
e registri narrativi, senza per questo perdere un senso forte di
unità e di coerenza stilistica: i generi cambiano sotto i nostri
occhi, sfumano dolcemente l'uno nell'altro senza brusche
interruzioni o repentine accelerazioni e, a noi lettori, è riservato il raro privilegio di vedere suscitate abilmente, una dopo
l'altra, tutto l'amplio spettro delle nostre emozioni.
Ecco che i racconti di Faber a volte fanno pensare a Kafka e
a quel genere di narrazione in cui le cose, per il lettore, sembrano non tornare: si aspetta così, fino alla fine, un episodio
rivelatore che puntualmente non arriva. Solo allora si capisce
che il segreto del racconto è proprio che le cose non tornano!
Altre volte le storie, apparentemente di vita quotidiana, si tingono di toni foschi, quasi horror o addirittura fantascientifici;
oppure si rivelano molto più normali e ordinarie di quanto ci
aspettassimo all'inizio della lettura, senza però risultare mai
banali o scontate.
Altre volte ancora ci sembrano piccoli romanzi in nuce per la
profondità e la complessità degli argomenti trattati.
Un libro, per chi scrive, davvero sorprendente, che conferma
la meritata fama dell'autore e la buona salute della letteratura anglosassone; e che aggiunge un tassello prezioso ad
un'arte così difficile come quella del racconto letterario
breve.
[G.B.]
SPAZIO TORINO
Ho sempre subito il fascino delle fabbriche e delle
aree dismesse. Fin da quando ero piccolo, quando
potevo e quando trovavo il coraggio per farlo, mi
introducevo di nascosto ogni volta che potevo in
queste fabbriche abbandonate. Richiamandomi a
questa mia abitudine, qualche giorno fa ho fatto un
giro per un'area dismessa che si trova proprio alle
spalle di corso Vittorio, vicino al carcere. Costruiti
alla fine dell'800 dalle Ferrovie dello Stato, questi
stabilimenti erano utilizzati per la riparazione delle
locomotive. Negli anni '50 erano ancora in piena
attività e contavano più di mille operai. Il loro
declino comincia negli anni '70, quando questi
spazi vengono destinati alla conservazione dei
materiali dismessi. La chiusura definitiva dell'area avviene negli anni '90. I tre capannoni
rimasti in disuso sono disposti come unità indipendenti, situate in un unico comprensorio
uno di fianco all'altro. Scuri, profondi, solenni, quasi minacciosi, come un frutto proibito spaventano ma invogliano ad entrarci; ma non l’avrei fatto se la rete di protezione che protegge
l'entrata non fosse stata completamente divelta. Mi riesce difficile immaginare che qui riparavano i treni; brulicare di operai al lavoro, sudore, fatica e amicizie si consumavano dentro
queste stanche mura ormai divenute casa di chi è senza fissa dimora. I grandi finestroni filtrano i raggi solari che trapassano letteralmente i cumuli di polvere sospesa delle macerie
abbandonate che giacciono a terra. Alcuni vecchi macchinari sono ancora parcheggiati e
sembrano ancora funzionare. Una splendida scala a chiocciola in ferro battuto porta ad un
secondo piano che ormai non esiste più, tutto è silente. Una sensazione di smarrimento sempre più profonda s'impadronisce del visitatore una volta che si addentra. L'udito mi si tende
come una corda di violino per cogliere qualsiasi tipo di suono che possa rassicurare o spingere alla fuga. Proprio in quel momento numerosi piccioni si librano in volo da non so dove e
mi sembra di essere in un film di John Woo.
Marcello Di Martino
NORA, LA BAMBOLA
Quando Ibsen è al suo meglio
In scena fino al 1 aprile al teatro Erba. Quindi si tratta di un articolo postumo. Ma scrivere righe sul testo ibseniano è un invito troppo grande per non
poterlo accettare. Forse l'opera che più lo ha reso conosciuto al grande pubblico, insieme a Spettri. Casa di bambola è del 1879, scritto durante il
soggiorno del drammaturgo ad Amalfi. S'è già trattato più volte di Ibsen su queste pagine, anche solo di sfuggita; e così sarà probabilmente questa
volta. Troppo grande il bagaglio psicologico dello scrittore per essere reso in poche righe. Lo spettacolo in palco all'Erba nasce da una rilettura di Leo
Muscato. Ma quello che ci interessa qui è provare a tracciare una circonferenza del testo, tralasciando le possibili infinite interpretazioni registiche.
Ibsen mi ha sempre affascinato, così come Pirandello, retaggio forse di studi universitari e di docenti infatuati dei due autori citati. Ha una classe
indescrivibile nel montare misteri e riflessi di psicologie malate, nel creare personaggi che si analizzano e si lasciano analizzare dai registi, dagli attori, dal pubblico. Sono convinto che se si leggessero alcuni suoi testi, molti ritroverebbero tracce di soap-opera e fiction televisive. C'è un rimando alla
tradizione delle trame antiche, degli intrecci spigolosi della vita familiare che lentamente si sgretola. Si potrebbe dire, quindi, che in Ibsen si ritrovano marchi della grecità tragica e nelle fiction odierne segni ibseniani. Un filo conduttore
che parte pur sempre dalla terra che ha cullato il teatro d'Occidente: nessuno vieta di
pensare che si tratti di valori intriseci nella tradizione culturale che si tramandano nella
storia, e che a intervalli temporali riaffiorano nella penna di poeti e drammaturghi. Ma
tant'è, di qui si parte per un viaggio nella mente di figure che non nascono come personaggi teatrali, bensì come espressione di una volontà di rinnovamento e ansia di verità
nei confronti di una società -quella di fine Ottocento- che sta mutando radicalmente.
L'occhio di Ibsen si ferma sull'individualità e all'interno di essa: è l'individuo che trovando
la verità di se stesso riesce a trasformare anche la società. In Casa di bambola, la rivolta contro la concezione sbagliata del ruolo della moglie nel matrimonio è la presa di
coscienza di una donna - Nora - nei confronti di una realtà sempre più complessa e difficile da comprendere. Nella crisi di Nora, Ibsen coglie la crisi dell'individuo privato delle
sue certezze e costretto a vivere in un mondo ostile e impenetrabile, in un grande gioco,
in cui ci si sente bambola. Lei si sente prigioniera di un personaggio, quello della
Lodoletta, nato dall'affetto maritale-paterno di Torvald, di una maschera pirandelliana,
immutabile, dietro cui c'è però un flusso in costante movimento che spacca quella rigidità e la spinge a sfociare nelle battute finali del dramma, quando la protagonista abbandona Torvald, lasciando col marito quel mondo costringente.
L'opera ibseniana è inquietante, piena di contraddizioni, ricca di rimandi da un testo
all'altro: ogni dramma è una pars pro toto dell'intera produzione, ma al tempo stesso la
racchiude totalmente in sé. È una scrittura cerebrale, fatta di costruzioni mentali che portano a labirinti non percorribili alla prima lettura, ma che richiedono un'indagine approfondita e continua della situazione. Che poi è sempre la stessa: il salotto borghese di fine
Lunetta Savino
Ottocento di stampo francese, che Ibsen sgretola lentamente per scavare nei ricordi dell'umano e cercare gli scheletri che ognuno ha nel proprio
armadio; e per portarli alla luce. E trovare la chiave per percorrere quei labirinti, il che significa abbandonare le situazioni di facciata del vaudeville,
dei triangoli amorosi e scoprire che cosa li origina, quali malformazioni di pensiero li governano. Tutti i rapporti affettivi dei suoi personaggi si poggiano su forme incestuose più o meno velate (spesso trampolino per le regie castriane) che portano inevitabilmente alla rottura dell'equilibrio, facendo scivolare la situazione in un vortice emotivo e psichico da cui non si esce senza una rottura forte, che è di solito la fuga, o la sua declinazione maggiore, la morte. Un dramma con venature di giallo, di indagine, di narrazione investigativa, di subdoli rapporti che si legano a ricordi. A ricordi pungenti, negativi, che fanno male, che creano ferite profonde. E che motivano figure simili a frattali che si intrecciano tra loro, senza sapere dove sia
l'ordine.
Lorenzo De Nicolai
CLOWN CANDESTINI
Far ridere è una cosa seria
Se un giorno doveste passeggiare
per via Maria Vittoria, e vi capitasse di imbattervi in un uomo perfettamente immobile in mezzo
alla strada, con un gelato mezzo
squagliato in mano, non fermatevi a chiedere che cos'ha: potreste
ritrovarvi nel bel mezzo di uno
spettacolo teatrale. O meglio,
fatelo: perché i Clown Clandestini
non aspettano altro. Abbiamo parlato con Giovanni Foresti, uno dei
fondatori della compagnia di
clown OUCLOUPO' (che sta per
"Opificio di clown potenziale") e
assistente di Pierre Byland, insegnante presso la scuola Jaques
Lecoq di Parigi (giusto per dire, è
stato lui ad introdurre il naso
rosso nel prestigiosissimo istituto), e in questi giorni in tournè a
Milano. "Un clown è clandestino
quando si toglie il naso rosso, si
confonde con gli uomini normali,
è uomo lui stesso -ci dice subito
Giovanni- recitiamo anche in teatro, per esempio abbiamo organizzato un recital di poesie, ma ad
un certo punto succedono
comunque delle cose, degli incidenti…e il pubblico non deve capire se è vero o no. Per questo
siamo clandestini: siamo in incognito". Foresti ha 50 anni e da 20
si dedica allo studio del clown.
Un'esperienza ventennale che
mette al servizio di tutti, dal corso
base per attori agli ospedali e alle
aziende. "Scoprendo il linguaggio
del corpo, lo stress può diventare
gioco e dissacrazione. Lavoriamo
fare discorsi da sindacalista, ma
nella biografia del sito scrive di
essere stato militante e funzionario del PCI dal ‘75 all'88. La
domanda diventa quasi d'obbligo:
La politica entra in quello che fai?
La risposta è molto semplice: "C'è
La compagnia OUCLOUPO’
sempre sui tranelli, sugli scherzi,
come fosse una candid camera.
L'ufficio non deve essere solo e
per forza grigio, e capire questa
cosa rende l'ambiente più produttivo. Però a capirlo sono solo
poche aziende più illuminate; a
tantissime non importa niente
delle condizioni dei lavoratori…."
Giovanni dichiara di non voler
un film che si chiama Un re a New
York, uno degli ultimi di Charlie
Chaplin. E' uscito in America 15
anni dopo la sua realizzazione.
Tempi moderni, Il grande dittatore, Buster Keaton…è politica! Io
ho capito che la vera politica è nei
rapporti con le persone, nella partecipazione dal basso, senza la
quale non c'è vera democrazia. Mi
sono avvicinato al linguaggio teatrale come nuovo modo per
comunicare con le persone….
Quella che fanno a Roma è
gestione, non politica. La vera
politica è quella che facciamo noi:
tu che scrivi su un giornale, io che
faccio il clown, il leghista che
fonda un movimento di protesta…questa è politica". La passione nella voce di Foresti è vibrante,
se si passa l'espressione un po'
smielata: ma rende l'idea. A questo punto, manca l'ultima domanda, che a rigor di logica avrebbe
dovuto essere la prima: Perché
Opificio del clown potenziale? A
rispondere è Paola Omodeo
Zorini, co-direttrice artistica del
progetto e medaglia d'argento per
la miglior tesi della Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'a.a. 20032004 sull'Oulipo: "Opificio di letteratura potenziale: è una congrega
nata a Parigi nel 1960, nella cantina di una taverna, ad opera di
un gruppo di letterati e matematici francesi che volevano promuovere un ritorno alla letteratura
come regola, regola ferrea, dopo
le stravaganze surrealiste".
"Ma questo cosa c'entra con il
clown?" La risposta è ancora più
semplice di prima: "Il clown deve
T
E
A
T
R
O
avere delle regole ferree. Non è
cabaret sconcio, volgare. A noi
interessa la tragedia, che è difficilissima da trattare".
Ecco, ma perché il clown, figura
buffa per definizione, è così legato alla tragedia?
"A un mio amico è morta la
nonna. Lui non la vedeva da anni,
ma ovviamente era lo stesso
affranto. Per non parlare dei
parenti. Nella camera mortuaria,
davanti a tutti, ha reso omaggio
alla salma sbagliata".
Per info: www.oucloupo.it
Marta Musso
ACTING OUT 7
Teatro Erba
- Dodoci uomini arrabbiati.
La parola ai giurati
di Reginald Rose
traduzione Nini Agostini
S
regia Marco Vaccarisivi
AT
E
Ogni volta che si varca la soglia del Carignano, uno tra i più nobili teatri d'Italia, si è sempre inconsapevolmente convinti che
si stia per assistere ad uno spettacolo di qualità.
L'aspettativa, poi, aumenta quando l'opera messa in scena è il Macbeth di Shakespeare.
Se a questo si aggiunge che la rappresentazione è un arrivederci prima della lunga chiusura per ristrutturazione del teatro e
che si tratta di una produzione della Fondazione del Teatro Stabile (in collaborazione con il Teatro di Dioniso), allora il disappunto non è contemplato.
E quando sopraggiunge, non può che essere sconcertante.
Il Macbeth di Valter Malosti è un susseguirsi di sue visioni piuttosto che una nuova versione della tragedia shakespeariana.
E' un progetto installativo caotico, un miscuglio di atti, solo a tratti teatrali, che soffocano la magnificenza delle parole scritte dal bardo inglese. Tale confusione nasce, prima di tutto, dai riferimenti/stimoli/debiti del regista: inesauribili ed eterogenei. L'elenco include (a titolo esemplificativo ed in ordine sparso) Giuseppe Verdi, Orson Welles, Pier Paolo Pasolini, Friedrich
Nietzsche, Francis Bacon, Caravaggio, i delitti "famigliari" di Cogne ed Erika-Omar, Bill Viola e tutti i film di David Lynch. Il performer (come Malosti ama definirsi) sembra più occupato a rovesciare sul pubblico la sua cultura che a costruire una regia
moderna in grado di rendere onore ad un testo complesso.
Eppure nella lunga shopping list qualcosa manca, ovvero The Rocky Horror Show , il famoso musical di Richard O'Brien.
E dire che quasi tutto in scena lo ricorda: dalle tre streghe trasformate in travestiti con stivaletti in vernice nera e tutù; dai
movimentati balli che coinvolgono tutta la compagnia; al portiere che tanto assomiglia al maggiordomo Riff Raff interpretato
dallo stesso O'Brien nella versione cinematografica del musical.
Forse Malosti voleva mostrare quanto siano effimeri i ruoli, esaltare la trasgressione dalla normalità di Macbeth, un uomo
nobile e di successo ma insoddisfatto nel suo essere.
Peccato, però, che lui e la sua Lady (interpretata dalla coreografa Michela Lucenti) siano fin troppo realisticamente dei "giocattoli rotti". Gli interminabili assoli inseriti esclusivamente a mostrare la professionalità (ed il corpo) della Lucenti e i voice
over quasi più frequenti delle parti recitate dal vivo non fanno altro che confermare questa idea.
Persino il suono risulta fastidioso. E neppure la pregevole colonna sonora curata da Fabio Barovero, che si è ispirato alle
sacre rappresentazioni medioevali aggiungendo alla partitura incursioni techno house barocche, riesce ad eliminare la sensazione di disagio.
Dopo soli cinque minuti di questo Macbeth ci si domanda perché Malosti abbia affidato la parte di Re Duncan ad un ballerino finlandese che parla male l'italiano. Dopo quindici, perché Lady Macbeth insceni un amplesso a suon di passi di danza.
Dopo trenta, si vorrebbe essere altrove.
Senza dubbio il teatro classico può arricchirsi con elementi tratti dalle arti figurative, dalla musica e dalla danza, ma questi
devono essere assorbiti senza perdere di vista la pièce d'origine.
A volte, less is more. A volte, per modernizzare Macbeth bastano quattro bravi attori, qualche elemento scenografico e un
buon impianto sonoro, com'è riuscito a dimostrare qualche anno fa Gabriele Vacis.
Se solo questo Macbeth Horror facesse divertire e ballare la metà del Rocky Horror, magari non verrebbe voglia di abbandonare la sala alla fine del primo atto.
Marta Lanfranco
Dal 10.04.07 al 22.04.07
D
THE MACBETH HORROR SHOW
Dal 21.04.07 al 07.05.07
Limone Fonderie Teatrali MONCALIERI
- Fahrenheit 451
di Ray Bradbury
Ronconi affronta uno dei testi più affascinanti della letteratura fantastica
Dal 17.04.07 al 19.04.07
Teatro Astra TORINO
- War
di Lars Norén
La devastazione che segue un conflitto
Dal 18.04.07 al 22.04.07
Limone Fonderie Teatrali MONCALIERI
- Atto ludico
Di Natalia Ginzburg
Due atti unici e una commedia in due atti
di Natalia Ginzburg: La poltrona, Dialogo,
lI cormorano
A-LLEX
In scena il 27 Aprile 2007 al Teatro Erba di Torino
"Columbine High School - Stati
Uniti d'America: 20 Aprile 1999
due ragazzi come tanti altri… in
una scuola come tante altre… 12
vittime.. centinaia di feriti… più di
500 proiettili esplosi….". Questi
sono i fatti che hanno ispirato la
messinscena di A-LEX, spettacolo
teatrale scritto e diretto da Maxi
Dejoie. Dal latino A: "lontano" e
LEX: "legge", letteralmente significa "Lontano dalla Legge". Alex è il
nome del protagonista di questa
storia: uno studente liceale di 18
anni che, dopo aver ucciso, con
un fucile da caccia, i suoi genitori
e cinque compagni di scuola, è
costretto a convivere con quattro
passo dopo passo, le motivazioni
e le conseguenze delle sue azioni.
Nessuno è innocente. La famiglia,
gli amici e le istituzioni sono colpevoli di non aver saputo cogliere,
con la dovuta sensibilità, i problemi di Alex. Il ragazzo ha tentato,
inutilmente, di imporsi sui suoi
simili nel modo più rapido e
aggressivo, cercando di aumentare il volume di uno stereo, la cui
manopola è già posizionata su
"max". I criminologi di tutto il
mondo hanno coniato un termine
per definire gli assassini che mietono più di 2-3 vittime nella loro
"carriera criminale": Serial-Killer.
Alex rientra nella lista. Alex è un
Da sinistra; in alto: Leonardo Aloi, Pietro Mazzarino, Federico Bava
in basso: Valentina Battistone, Saverio D'Amelio , Marika Tricarico
di loro, per il resto della sua esistenza, all'interno della cella del
carcere in cui è rinchiuso. I fantasmi lo porteranno a rivivere,
ACTING OUT 8
nuovo capitolo del manuale. Lo
spettacolo è prodotto dalla
Indastria Film, giovane casa di
produzione al suo debutto teatra-
le. Di seguito sono
riportati
alcuni
appunti sullo spettacolo dello stesso
autore e regista
Maxi Dejoie: “A-LEX
è uno spettacolo
teatrale che vuole
mettere a nudo i problemi adolescenziali
più comuni negli
anni del liceo. Sotto
la pressione di alcune influenze esterne, Alex entra nella
sua scuola armato e
spara a sangue freddo a cinque dei suoi
compagni di scuola.
Lo spettacolo affronta diversi problemi,
tra cui il crescente Saverio D'Amelio nel ruolo di Alex
Lo spettacolo si propone con un
fenomeno del bullismo e della vionuovo stile di messinscena:
lenza all'interno delle scuole, non
facendo interagire gli attori sul
solo negli Stati Uniti ma anche in
palco con attori in video proiettati
Europa e, molto recentemente, in
su uno schermo, con dialoghi
Italia. Ogni personaggio rapprescritti in stile realistico, frequente
senta uno stereotipo giovanile,
utilizzo di gergo giovanile e una
per esempio Pietro, il campione
colonna sonora composta da cansportivo, bello e superficiale, invizoni conosciute ed orecchiabili.
dia di tutti gli altri ragazzi; o
Tutti questi elementi rendono.
Marika, ragazza che mira alla perA-LEX è uno spettacolo attraente
fezione estetica imposta dai
per
un pubblico di età compresa
media e dalla moda portata alla
tra i 15 e i 20 anni, ma anche uno
bulimia; Bud, un ragazzo con un
spaccato di vita adolescenziale
passato famigliare difficile che lo
che può interessare e appassioha portato a manifestare aggresnare un pubblico adulto."
sività e violenza in atti di bullismo
Federico Bava
nei confronti dei suoi compagni.
A-LLEX
AUTORE DEL TESTO E REGIA:
Maxi Dejoie
PRODOTTO DA: Claudio Bronzo
Indastria Film REGIA VIDEO: Maxi
Dejoie DIRETTRICE DI PRODUZIONE DEI VIDEO: Rossella Tarantino
MUSICHE ORIGINALI: Dario Dub
SCENOGRAFIE: Cristina Borgogna
ATTORI: ALEX: Saverio D'Amelio DYLAN: Leonardo Aloi - EMMA:
Valentina Battistone - PIETRO:
Pietro Mazzarino MARIKA: Marika
Tricarico- BUD: Federico Bava CELLERINO: Ettore Scarpa- POLIZIOTTO: Giuseppe Battistone.
BAROQUE
Il risveglio dal torpore
l'unione tra il sacro ed il profano; in
orizzontale unire le culture laddove
il linguaggio fallisce, e fallisce
spesso. La musica ha uno spaventoso potere di persuasione conscia
e subliminale: condiziona i nostri
fie oniriche alla Neil Gaiman con
ologrammi volanti, un corpo di
ballo e coreografie da Sogno di
una notte di mezz'estate....e magari qualche esorcista, così...per precauzione.
M
U
S
I
propositi, colora il nostro umore,
dà energia e incita alla battaglia...E' un'arma vera e propria...e
necessita di un buon senso di
responsabilità. Oggi mi sembra ci
sia soprattutto tanta "attitudine" in
giro e poca sostanza...in questo
modo la gente disimpara ad ascoltare e perde gradualmente l'uso
della fantasia. L'intenzione intima
del nostro disco d'esordio, rivelazioni apocalittiche a parte, è pro-
prio quella di rimettere in azione
quell'ingranaggio, dire all'ascoltatore che nessun trend prestabilito
potrà mai farlo distinguere come
l'esercizio sulla propria fantasia.
Definirei la vostra musica classicista. E' però alllo stesso tempo
innovativa ed originalissima. Forse
bisogna passare da una restaurazione per proporre qualcosa di
nuovo, visto che le avanguardie
(sulla carta progressiste) appaiono
fine '800 con la restaurazione
Meiji: per rafforzare la propria
identità si è evoluto talora anche
negandosi. In ogni caso credo che
di avanguardie di ottima qualità ce
ne siano eccome, non nel nostro
paese, non tra quello che si ascolta in giro per lo meno.
Bjork è l'innovatrice per antonomasia degli ultimi anni...così come lo
sono stati i Radiohead, e guarda
caso la loro musica straripa classicismo e alta
scuola di composizione. Non è
però una classificazione per genere: I'm a bird now
di Anthony & the
Johnsons,
un
disco senza troppe farciture, è un
capolavoro
di
soul del nuovo
millennio.
Purtroppo la tendenza di molti è
quella di legarsi a
dei precedenti
troppo recenti e
troppo effimeri
per essere considerati "sacri", se
così posso dire: gli anni '80 hanno
certamente segnato la modernità
con lavori geniali, ma non possono
essere presi come radice, è un
loop culturale... anche se credo
che "procreazione tra consanguinei" renda meglio l'idea. Non so se
mi spiego.
A cosa pensi quando sei sul palco?
Che vorrei avere un palco più grande! Un mastodonte da vestire di
drappi, fiamme e lampi, scenogra-
Siete uno dei pochi gruppi dai quali
non si sa cosa aspettarsi allo step
successivo; si ha l'impressione che
procediate in totale libertà espressiva. C'è spazio per tanta profondità nell'era degli mp3?
Eh non esagerare ora...sì siamo
liberi, ma la profondità si fa scavando, e noi per ora abbiamo fatto
solo astrazione, aiutandoci con un
pizzico di cabalismo (e di cannibalismo). E' superfluo dire che gli
mp3 sono un'ottima soluzione,
soprattutto per far conoscere la
musica emergente, ma a livelli più
alti rappresentano la morte della
magia di un disco da capo a coda,
specialmente se si tratta di un concept album. Penso ai primi dischi
dei Queen, di Bowie o ai lavori
monumentali dei Pink Floyd....
Nessuno registra più "dischi" ma
"pezzi": veloci, usa e getta, facilmente estraibili dal contesto di un
album. Warhol si sbagliava...sono
quattro i minuti di celebrità, non
quindici. Davvero deprimente.
Acting Out è una finestra sul panorama artistico della nostra città:
dimmi tre cose che ti piacciono e
tre cose che detesti della Torino
musicale.
Concedimi almeno un po' di allegorie...per quanto io non valga un
cazzo, sta domanda è da suicidio
politico! Vediamo...Mi piacciono le
sfere, ma bandirei le piramidi. Ho
una passione per le vergini e detesto le primedonne. Trovo ci siano
molte penne...e poche che sappiano davvero cosa scrivere.
Per info:www.baroque.it
Pietro Lesca
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-DEMON'S CLAWS
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www.demonsclaws.com
S
I Baroque
I Baroque
recensione de La Fiaba della
Buona Notte sul prossimo numero
di AO. Per ora, due parole con Matt
Le Mad, mastermind della band.
Qual è la missione di un musicista
nel 2007? Te lo chiedo perchè
nella vostra musica mi pare di trovare forme e motivazioni diverse
dall'ordinario.
Penso che lo scopo ultimo della
musica sia sempre stato essenzialmente duplice: in senso verticale
sempre più scontate e autoreferenziali?
Sì, siamo decisamente obsoleti e
per ora ne siamo anche abbastanza fieri...ma non può e non deve
durare. Come fece il Giappone a
DA
TE
Già la scelta della location denota
gusto. Una saletta all'interno della
Maison Musique di Rivoli, arredata
con strumenti rari e antichi, drappi
di seta, cuscini e tappeti orientali.
Un'oasi, un piccolo eden artificiale
votato al puro ed incontaminato
ascolto. Ciò che più stupisce è
notare come i cinquanta chiassosi
invitati alla listening session del
disco di debutto dei Baroque s'acquietino all'unisono una volta
entrativi e non emettano verbo
fino all'esaurirsi dell'ultima nota
dell'opera. E come sempre spontaneamente si producano in un
applauso lungo e scrosciante al
termine dell'ascolto.
D'altra parte è raro trovarsi di fronte ad opere che sappiano scuotere
dal torpore, che sappiano risvegliare in chi ascolta quella voglia
impulsiva di riascoltare, di capire
meglio. I Baroque suonano come si
suonava trent'anni fa, ma suonano
cose che nessuno prima di loro ha
mai suonato, per lo meno in Italia.
La loro musica ancestrale e burlesca pare volerci ricordare che nel
rock è ancora possibile un'evoluzione e che forse non è nella direzione sempre più destrutturata e
minimale verso la quale "quelli che
la sanno lunga" vorrebbero condurci, anzi è nella direzione opposta.
In sei mesi di studio (matto e
disperatissim
ovviamente)
i
Baroque hanno dato vita ad un
lavoro che è frutto di quattro anni
passati sui palchi di mezz'Italia,
dell'attento esame di ciò che la
musica ci ha saputo regalare da
Pergolesi ai Nine Inch Nails. Il risultato è clamoroso, qualcosa di nuovissimo ed antico insieme. La
26.04.07 h.21.29
SPAZIO211, Via Cigna 211
- AKRON / FAMILY
www.akronfamily.com
www.myspace.com/akak
ingresso 12.00 euro
ACTING OUT 9
Face off
Il cane lunare
Steve Morse
Steve Morse inizia la carriera come solista. La sua esperienza musicale passa attraverso lo studio della chitarra classica, che però non lascerà un segno particolarmente calcato nella sua vena creativa, visto che preferirà esplorare i terreni del rock duro, concentrandosi su stili popolari. Infatti, Steve riesce a fondere magistralmente l'hard rock, tipicamente americano, con influenze country, jazz-fushion, e, anche se soltanto a tratti, con musicalità tipicamente celtiche, creando un mix compositivo molto personale. Il suo plettraggio è semplicemente strepitoso, sviluppando la tecnica dell'alternato per arrivare a velocità davvero sorprendenti pur non
mancando mai di feeling.
Tra le sue composizioni, una che sta particolarmente a cuore a chi scrive è certamente Stress Fest: lavoro strumentale, certamente ironico, che mostra in poche battute l'abilità con cui S.M. mescola scale maggiori, con
pentatoniche e cromatismi molto suggestivi.
Morse, come solo i grandi sanno fare, è capace di brani estremamente soft: fra gli altri vorrei ricordare Delicate
balance, che inizia con un delicato intreccio di frasi fra basso e chitarra, per evolversi in un arpeggio che sfocia in un dialogando fra i due strumenti. Il pezzo, per nulla melenso, semmai nostalgico, racchiude in poche
battute i diversi linguaggi espressivi che Steve padroneggia con grande maestria.
La versatilità delle sue composizioni e del suo stile gli consentono di entrare a far parte dei Deep Purple, e sebbene sia il più giovane della band nonchè l'ultimo arrivato, Steve porta una ventata d'aria fresca che, innegabilmente, adattandone l’hard rock (tipicamente neoclassico) alle sue musicalità più ariose.
Anche Steve trae giovamento da quest'esperienza. Non si può negare, specie dopo aver ascoltato la band dal
vivo, che i suoi solos abbiano perso di freschezza. Al contrario, è riuscito a trovare un perfetto connubio con lo
stile, più grezzo e meno arrangiato, della band. Appaiono infatti di particolare pregio i duetti con Lord; e l'approccio a musicalità più "progressive" è arrivato solo dopo quest'esperienza, con un uso maggiormente onomatopeico dello strumento.
La storia di Louis Thomas Hardin (MOONDOG) è attraente
come i viaggi di Hugo Pratt.
Un Corto Maltese di metà '900 l'avrebbe sicuramente
incontrato. Hardin era un musicista della provincia del
Kansas, arrivato a New York nel 1946 a 27 anni, cieco da
quattordici, compositore, violinista, percussionista, pianista. L'angolo tra la 6th avenue e la 54esima strada di New
York è il teatro di esibizione e ricerca di Hardin, che talvolta appare con un elmo da vichingo, che si addice al suo
barbone bianco da druido, e gli occhi spenti. Moondog sceglie dunque la strada come campo sonoro attivo e concreto, i cui aspetti acustici aleatori sono fonte di ampliamento
fonico e creativo. Si tratta di raccolte di paesaggi che offrono rumori cadenzati, interventi vocali, frastuoni, ritmi sotterranei del traffico e dei tacchi delle scarpe; si tratta inoltre di un flusso di tradizione e cultura da cui melodie, cicli
di rime e cadenze. Sulla strada Moondog è in contatto con
i musicisti della Filarmonica di New York, e come ospite
costante alla Carnegie Hall, avrà modo di osservare e imparare le orchestrazioni da Stravinskij, Toscanini, Bernstein.
L'eredità dell'orchestrazione e della formazione classica
sono costanti della musica di Hardin, concentrate nello
studio sugli impasti timbrici, l'armonia, lo sviluppo tematico e soprattutto ritmico.
Andrea Baldi
LEZIONE TECNICA
Ripropongo la scala di La minore del mese scorso. L'esercizio qui riportato è quello, già visto, dei salti di terza. Si deve eseguire con la tecnica dell'alternato. Le note, come nei precedenti esercizi, vanno eseguite in quartine.
Se qualcuno vuole sviluppare o migliorare l'uso della mano destra, può provare a cambiare gli accenti sulla falsa riga dell'esercizio proposto.
È importante performare la scala sia a salire che a scendere.
TORINO LOCAL SCENE - IDENTITÀ TORINESE
Viviamo, nostro malgrado, un tempo più attento alla continua tensione verso equilibri globali che non alle, certamente preziose, identità locali. Dal Canada alla Calabria,
quando siamo costretti ad infilarci in un supermercato,
possiamo trovare la stessa salsa di pomodoro, della
stessa marca, nello stesso scaffale; non si dedica più lo
stesso impegno nel valorizzare le proprie risorse tradizionali, che siano esse gastronomiche, artistiche e, non
per ultimo, musicali. E' alla stregua di una leccornia della
cucina piemontese o di uno splendido palazzo del capoluogo sabaudo che mi piace considerare Torino Local
Scene: nient'altro che un gruppo di ragazzi che hanno
deciso, mettendo in comune sforzi e conoscenze, di
costruire una rete di contatti nell'ambiente musicale sotterraneo (ma non troppo!) per offrire possibilità alle,
spesso inesperte, band torinesi. Sarebbe riduttivo definire TLS un'associazione, anche se informale; mi piace
più raccontarla come una vetrina di gruppi, tutti forieri
dell'identità torinese, a cui viene data la possibilità di
accostarsi a realtà musicali che sarebbe difficile raggiungere altrimenti. E non è tutto; la mente pensante di
Torino Local Scene (una manciata di canavesani, a loro
volta musicisti) accosta, come nei migliori melange
gastronomici, i gruppi di Torino alla band di passaggio che può considerarsi più adatta per sonorità o attitudine. Retarded, Manges, Popsters, Mcrackins, 20 Below sono soltanto alcuni dei nomi, italiani ed europei, a cui
TLS è riuscita ad accostare una qualche faccia della Torino musicale. Così come ad un buon piatto si abbina
un buon bicchiere di vino, ad una realtà della musica globale se ne avvicina una locale. Una meritevole forma
di aiuto reciproco, dunque, che prende le mosse da un semplicissimo e retorico postulato: uniti è possibile fare
molto, soprattutto per un mondo, come quello musicale, che fa spesso da sfondo a inutili invidie e immotivati
attriti. Scappando, per una volta, dalla logica del profitto, si tenta di garantire una buona possibilità a chiunque
abbia talento e volontà per sfruttarla; una sorta di rinnovata eguaglianza musicale centrata sulla voglia di riscatto della scena musicale del capoluogo piemontese. E' bello raccontare questo tipo di sodalizio, che ha come
unico scopo quello di dare visibilità a realtà di grande qualità seppur sottovalutate.
Prendendo in prestito le parole degli stessi Locals: "Torino ne ha bisogno..."
Per info: www.myspace.com/tolocals
Giacomo Bottaro
ACTING OUT 10
Un compositore di tracce sinfoniche, che scrive parodie
swing, melodie secche alla Satie, piccole canzoni di tanti
anni fa, che tanti anni fa magari erano già tali, con un
gusto di strada, da slum, di banda. La filastrocca del carillon. Moondog compone polifonie per marimba, con ritmica
tanto ricca e fluida da misurarsi in litri. Hardin è fabbricante di suoni, che si avvale di fonti di ogni sorta, utensili,
versi di animali, registrazioni, strumenti etnici. Non è uno
studioso della musica concreta, non è un accademico, ma
un ricercatore creativo, che traduce in linguaggio fruibile
un percorso di studio musicale complesso. Le forme compositive sono di vario genere: filastrocche per quattro voci
con testo non-sense, piccoli quadri strumentali in cui s'intrecciano metallofoni e ottoni, studi profondi sulla sinfonia,
le forme di concerto, musica cameristica e sull'armonia
jazz. Hardin, dopo i dischi formalmente più classici (ci sono
anche studi sul madrigale) si ritira in Germania e realizza
un disco per soli sax, un altro solo per organo pensandone
e re-inventandone potenzialità timbriche e ritmiche. Poi
altri tre dischi cantati in cui si incontrano il jazz, le forme
sinfoniche, la canzone popolare. Un riferimento discografico è German Years 1977-1999 un'antologia di questi ultimi
lavori, frutto della maturità artistica consumata in USA.
Qui, nel primo cd, s'intrecciano Stravinskij, motivetti popolari o per bambini, Bartok, Frank Zappa, il patrimonio
swing, in una sequenza di composizioni per più strumenti,
voci, quartetti. Il secondo cd è una raccolta di registrazioni
live per solo pianoforte, con tinte alternate, fasi, atmosfere
in contrasto, ma sempre colorate dalla grazia e dalla semplicità che Hardin riesce a dare alle sue ricerche. Moondog
ha avuto un percorso musicale molto importante e, come
spesso accade, il grande pubblico lo scopre parecchio
dopo la scomparsa (1999), grazie alla pubblicazione di
antologie, che escono in tutto il mondo, con una copertina
accattivante. Non aspettiamo che muoia anche Wyatt, per
scoprirlo, sarebbe un peccato.
Francesco Di Giusto
UNA BAND ALLA CORTE DI CARMEN CONSOLI VYNIL
INTERVISTA A MASSIMO ROCCAFORTE, MARCO SNISCALCO E PUCCIO PANETTIERI
Mi trovo nella hall di un hotel milanese con Massimo Roccaforte e
Marco Siniscalco, rispettivamente
chitarrista e bassista della band
della "Cantantessa" Carmen
Consoli. I due musicisti sono in
fisica ma non ho mai pensato a ciò
che sarebbe potuto accadere
dopo. Fino a quando sono riuscito
a conciliare quel tipo di esperienza
con il mio lavoro di musicista l'ho
fatto davvero volentieri. Ora sono
Massimo Roccaforte
attesa di essere chiamati per il
sound check che precederà il loro
concerto al teatro Smeraldo.
Parliamo un po' delle vostre
influenze musicali.
M.R.: I Beatles, Rolling Stones e
direi in generale il rock degli anni
‘60 e ‘70. Direi che George
Harrison è uno dei chitarristi che
più mi ha influenzato nel modo di
suonare lo strumento.
M.S.: Ho una formazione musicale
da jazzista; mi hanno ispirato
soprattutto Pastorius, Mingus e
Chambers
Massimo, hai una laurea in fisica
e hai lavorato fino a pochi anni fa
come ricercatore all'università;
quando hai deciso che avresti fatto
il musicista tout court?
M.R.: A sei anni! Suono da quando
ero piccolo. Ho preso la laurea perché ho una forte passione per la
votato al 100% alla musica.
Marco, sei l'ultimo arrivato nel
gruppo. Come ti trovi in questa che
è una situazione musicale ormai
consolidata da molti anni?
M.S.: Sono assolutamente entusiasta! Dal punto di vista musicale e
artistico è una situazione davvero
molto bella e stimolante! Anche
umanamente devo dire che mi ci
trovo a meraviglia; è come essere
in una dimensione… vacanziera!
Devo dire che in effetti anche
quando vi si guarda sul palco sembrate assolutamente affiatati.
Osservandovi durante il check in
occasione della data di Saint
Vincent, ho notato un grandissimo
lavoro legato alla ricerca sonora,
una sorta di "sottrazione" musicale
per quanto riguarda il singolo
musicista, un'attenzione quasi
maniacale per la nota, con il risul-
tato che riuscite ad ottenere una
massa acustica davvero piena ed
efficace. Avete lavorato molto a
questi arrangiamenti che sono
diversi da quelli elettrici presenti
sui dischi di Carmen precedenti ad
Eva Contro Eva?
M.R.: E' vero, in questo tour in particolare, è stato fatto un
grande lavoro sugli
arrangiamenti, nato
dall'esigenza di ottenere un suono non
più basato solo su
chitarre, basso e batteria, ma che fosse
più ricco, anche di
strumenti etnici legati alla nostra terra, la
Sicilia. Da qui, il grande uso di mandolini,
violini, buzuki, zampogne.
Ovviamente più strumenti ci sono, più è
necessario lavorare
al fine di ottenere
una sintesi sonora
che permetta di
apprezzare
la
somma musicale ottenuta grazie
all'apporto di ogni singolo elemento. Non è facile esprimersi con
poche note ma è ciò che un po'
tutti dovrebbero riuscire a fare. Noi
abbiamo, in Italia, un patrimonio
musicale straordinario, riconosciuto in tutto il mondo; sarebbe l'ora
che i riferimenti culturali specifici
della nostra terra venissero presi
più in considerazione e che si
smettesse di essere schiavi di una
inutile esterofilia. Il bello è riuscire
a tirare fuori l'"italianità" in quanto
identità culturale specifica.
(Si aggiunge alla nostra conversazione anche Puccio Panettieri, il
batterista della band).
P.P.: Ci terrei a precisare, che nonostante l'apporto di strumenti legati
alla nostra tradizione, quello che
qui stiamo continuando a fare, è
musica rock. Guarda i dischi di De
R.E.M. "Murmur" - I.R.S. 1983
Sono quattro ragazzi del Sud, con un look decisamente antimainstream, a fare il botto nel panorama rock americano nel
1983: vengono da Athens, cittadina universitaria della
Georgia, e il loro lp d'esordio, Murmur , viene eletto da Rolling
Stone come album dell'anno. Col tempo verrà sottolineato,
dalla critica ma anche dai R.E.M. stessi, il fatto che la forza
del disco risiedesse nella sua capacità di essere "fuori dal
tempo". E in effetti Murmur suona come una piccola gemma
spuntata dal nulla, e proprio per questo straordinaria: ci sono
i Byrds (grande amore del chitarrista Peter Buck), ci sono i
Velvet Underground e il post-punk (soprattutto nelle linee di
basso e batteria), c'è la tradizione folk-rock americana. Ma
tutto resta dietro le quinte, come un’eco in lontananza, come
avvolto in un’aura sognante e malinconica, scandita da quelle melodie granitiche e indelebili (vedi Talk About The
Passion ) che diverranno il marchio di fabbrica della band, e
dalla voce nasale, quasi distratta, di Michael Stipe, i cui testi
sono flussi di coscienza senza senso compiuto. Murmur , per
usare una terminologia cara alla critica, è il prototipo del
disco seminale: uscito in sordina, senza vendite stratosferiche, ha però posto le basi per la nascita e l'affermarsi del
rock alternativo oltreoceano nella seconda metta degli '80.
Periodo in cui i R.E.M. guideranno il "movimento" con dischi
schierati come Document e Lifes Rich Pageant , e prima di
diventare famosi qui da noi. Ma questa è tutta un'altra storia.
Giacomo Freri
Andrè, nonostante un certo tipo di
sonorità, non ti sembrano assolutamente rock?
Massimo, sei il veterano del gruppo in quanto sei il musicista che da
sempre accompagna Carmen; hai
conosciuto tutto il percorso artistico della "cantantessa". Definiscimi
un po' questa avventura.
M.R.: Con Carmen ci conosciamo
ormai da diciassette anni. Più che
un percorso musicale, è stato un
bel percorso di vita perché siamo
cresciuti assieme nel vero senso
della parola. Ormai certe cose vengono spontanee grazie alla simbiosi, all'alchimia che con il tempo è
venuta a crearsi. Ma non solo con
me; la creazione dei dischi è diventato nel tempo un vero e proprio
lavoro di equipe.
P.P.: A me piace definire questa
situazione un laboratorio: tutti noi
abbiamo la possibilità di entrare
con le nostre idee. Riuscire ad
intervenire nella fase creativa di un
progetto discografico non è una
cosa normale per un sessionist.
M.S.: Vedi anche per me che sono
nuovo è stata un' assoluta sorpresa scoprire che Carmen è un'artista un po' sui generis: è stata davvero in grado di creare attorno a sè
un gruppo nel vero senso della
parola, che non è una cosa comune in Italia.
M.R.: Carmen è in grado di saper in
maniera abbastanza precisa ciò
che vuole ottenere. Ciò nonostante, tutti hanno la possibilità di dire
la loro durante la fase di arrangiamento e di produzione.
Progetti futuri con Carmen?
M.R.: No, per ora termineremo il
tour, poi ci prenderemo un periodo
di meritato riposo. Non ci siamo
prefissati alcuna scadenza.
[A.B.]
THE TOO LATE SHOW - THE LILLINGTONS
Un disco che può considerarsi il manifesto, ramonesiano e quasi sovietico, dei Lillingtons. Sto parlando di The Too Late Show,
l'ultima fatica discografica dei quattro, più che talentuosi, ragazzi di Newcastle, Wyoming. Una manciata di canzoni che,
attraversate da melodie tipiche della tradizione poppeggiante d'oltreoceano, riprendono con dovizia gli accordi dei padri del
punk-rock americano per eccellenza. Quest'ultimo lavoro non è soltanto testimone della coerenza musicale dei quattro, ma
anche dell'attenzione americana per un genere che qui, nel nostro bel paese, sta a poco a poco conquistando i cuori di tanti
bubblegum boys. Le liriche scanzonate e altisonanti fanno da eco a testi che loro stessi amano definire sci-fi, contrazione del
celeberrimo genere fumettistico science fiction; inserire il disco nel lettore dell'auto significa calarsi in un mondo di marziani che attaccano il nostro pianeta e di mostri ricacciati nello spazio da valorosi eroi. Cantano storielle note della tradizione
fantascientifica, i Lillingtons, perfettamente incastonate su uno sfondo di chitarre taglienti e una presenza ritmica formidabile. The Too Late Show è uno di quei dischi che, nella bella stagione, rende orgogliosi di abbassare il finestrino e appoggiare
il braccio fuori dalla macchina mentre si attraversano le vie della città. Lo stile dei quattro americani è roccioso, quasi dovessero in ogni pezzo cantare l'inno di una generazione, come meglio si conviene una delle migliori band rappresentanti dell'attuale scena pop-punk statunitense. Non posso scegliere, né tanto mento consigliare, una traccia in particolare, data la
volontà di non spezzare la coerenza del lavoro nella sua unità; la tracklist non lascia un attimo di respiro e non fa che confermare la bontà delle produzioni di Mass Giorgini, l'italo-americano più famoso nel mondo del punk-rock a stelle e strisce.
Nella certezza che questa mezz'ora di musica saprà conquistare, e già lo sta facendo, intere generazioni, il mio consiglio è
quello di dedicare almeno un ascolto ai quattro musicisti di Newcastle. "Please stay tuned, Don't change the channel now!
I'll tune to you and you tune to me..."
[G.B.]
ACTING OUT 11
SPAZIO
OGNI COSA E' ILLUMINATA
Teatro Nuovo, 19 marzo 2007: la prima de Il Campanello dello speziale di Gaetano Donizetti
VIGNALE…DANZA MA NON SOLO
Vignale Monferrato è un piccolo paese in provincia di Alessandria dove d'estate fa caldo e tutti i posti in cui devi
andare sono in cima a una salita. Qui ogni estate vengono organizzati gli stage di Vignaledanza per giovani aspiranti danzatori, attori, artisti. Molti dei partecipanti sono allievi del Liceo Teatro Nuovo e già durante l'anno
hanno abbastanza a che fare con balletti, spettacoli e scenografie: che cosa può spingerli a passare il proprio
periodo in questo "sperduto paesino"? Per tutta l'estate a Vignaledanza si susseguono di giorno le sessioni dei
vari laboratori -di COREOGRAFIA, di RECITAZIONE, di PITTURA "EN PLEIN AIR", di LINGUA INGLESE, LETTURA E
SCRITTURA- e di sera gli spettacoli di Vignaledanza. Per noi
ragazzi del liceo è un'opportunità unica per approfondire ulteriormente conoscenze e abilità sviluppate durante l'anno scolastico. Ma anche un modo per continuare a stare insieme. E per
imparare a convivere in gruppi anche di otto-dieci persone in
appartamenti messi a disposizione dal Comune. A Vignaledanza
si sta bene. Noi ci siamo stati e possiamo dirlo. Dal centro del
paese si ha una fantastica vista sulle colline del Monferrato. Di
sera ci sono pub dove si può stare insieme, prima e dopo gli
spettacoli nella piazza centrale. Ora c'è anche un teatrino, il
Callori, aperto tutto l'anno e destinato alla prosa. Prima di conoscerle direttamente, tutte queste cose ci erano
state raccontate da altri ragazzi. Ma vederle animarsi sotto i nostri occhi, all'inizio dell'estate, è stato come ricevere un regalo tutto per noi. Ma torniamo alla domanda iniziale: che cosa ci ha spinti ad andare a
Vignaledanza? La voglia di metterci alla prova ancora un po' realizzando spettacoli o progetti grafici. E a tornarci? Non è certo allettante rivedere per un altro mese insegnanti e compagni dopo un intero anno passato
insieme. Ma in estate si è diversi, piu' rilassati, ma con la stessa voglia di lavorare e di divertirsi. Scoprire dei
nostri compagni altri pregi e altri difetti, diciamo le loro particolarità; ad esempio, come -e soprattutto quando!si decidono a spruzzare il detersivo sui piatti sporchi…E così anche l'estate prossima faremo insieme la scelta
di tornare a Vignaledanza, a seguire gli stage di recitazione, di danza, di disegno e scrittura creativa; e, anche,
a ripopolare questo paesino che, senza di noi, apparirebbe un po' triste.
Giuditta Lattanzi
Debora Gorani
La pellicola di Liev Schreiber è uno
dei film piu' belli e coinvolgenti tra
quelli che parlano di Shoah, perché
riesce non solo a testimoniare, ma
anche a coinvolgere lo spettatore
nella "ricerca rigida" compiuta dal
suo protagonista: Jonathan, interpretato da Elijah Wood, un giovane di
età indefinibile, molto par ticolare,
che agisce per sé ma è anche "strumento della memoria".
Elemento chiave del film è l'oggetto.
Primo oggetto-chiave del film, gli occhiali. Quelli da vista,
spessi come fondi di bottiglia, sono per Jonathan un mezzo
per nascondere agli altri le proprie emozioni (come l'abito
rigorosamente scuro); quelli scuri, per il nonno di Alex, un
modo per non vedere piu', per nascondersi la realtà orribile
dell'Olocausto, conosciuta in prima persona da giovane.
Con gli occhiali si introduce nel film la dialettica luce/oscurità e vista/cecità. Vedere o non vedere significa soprattutto esercitare o meno la capacità di ricordare, di vedere con
gli occhi del passato. Per questo, il nonno di Alex dice di
essere cieco. Ma per entrambi, il giovane e il vecchio, gli
occhiali diverranno in seguito uno strumento di ricerca: di
scoperta per uno, di riscoperta per l'altro, della terribile
realtà degli ebrei ucraini.
Altro oggetto-simbolo è la cicala. Mostrata all'inizio sotto
forma di fossile racchiuso nell'ambra, ritorna piu' avanti nel
film raffigurata in un cartello pubblicitario. La cicala fossile
è solo il più misterioso fra i cimeli che il protagonista colleziona in bustine trasparenti che etichetta con data e luogo
e appende a un muro. Sulla parete della sua stanza finiscono inquadrate le storie degli ebrei della sua famiglia; così
come, su quelle della casa a Trachimbrod, quelle degli ebrei
ucraini trucidati dai nazisti.
Gli oggetti sono tracce di memoria. Ed è seguendo queste
tracce che Jonathan fa luce sul passato.
Così, alla fine -solo alla fine- ogni cosa è illuminata.
Dalla memoria.
Giulia Cappuccio
Giada Rigoli
Siamo tutti uomini rosa
Ci sono vari modi per parlare della
questione ebraica e, più in generale, della condizione delle minoranze nelle nostre società. Nel cinema
lo si è fatto in centinaia di pellicole
di tutti i generi (vedi articolo a lato
su Ogni cosa è illuminata); così
come in teatro, nelle piu' svariate
forme: dal teatro di denuncia a
quello di testimonianza, da quello
realistico a quello fantastico-allegorico. Il villaggio degli uomini rosa
sceglie quest'ultima strada: la
favola di un villaggio colpito da
periodici pogrom e dei suoi abitanti eternamente in fuga è la trasparente metafora della condizione
degli Ebrei nella storia.
Con l'obiettivo di portare sulla
scena, per la prima volta, questo
ACTING OUT 12
testo di Paolo Levi, oltre ai giovani
attori del Teatro Nuovo, sono stati
coinvolti gli studenti del settore
danza e scenografia del liceo. Ma
ciò che rende unico questo progetto è la collaborazione con la scuola elementare Cesare Battisti.
Infatti, nei prossimi mesi, i bambini
di un quartiere multietnico della
periferia ovest di Torino vedranno
lo spettacolo realizzarsi negli spazi
della loro scuola, in una perfetta
fusione di recitazione, danza e performance grafiche, nelle quali
saranno essi stessi coinvolti in
prima persona, sin dalle prime fasi
dell'allestimento, con la partecipazione a specifici laboratori. Le
variopinte scenografie de Il villaggio degli uomini rosa resteranno
poi lì anche in seguito, a colorare le
nude pareti delle aule scolastiche
o dei corridoi e i muri grigi del cortile.
Anche se in questa particolare
forma è destinato ai più piccoli, lo
spettacolo verrà successivamente
proposto ad altri tipi di pubblico. Il
testo di Paolo Levi, infatti, si presta
a letture diverse, via via più complesse: oltre al tema della persecuzione degli "uomini rosa", c'è quello del rito identitario: per poter trovare ogni volta la forza di ricominciare daccapo, il gruppo deve mantenere viva la memoria collettiva;
questo è l'obiettivo per cui una
volta all'anno si tiene la "festa dei
nidi", con la rievocazione in forma
drammatica del mito delle origini,
che nell'economia dello spettacolo
costituisce un felice momento di
"teatro nel teatro".
Oltre a essere un progetto teatrale
per riflettere sulla condizione degli
Ebrei nella storia, lo spettacolo
riflette su se stesso, svelando
come il momento scenico può non
solo servire a rinfrescare la memoria e, attraverso questa, il senso di
appartenenza alla comunità, ma
anche a sottolineare il ruolo essenziale che oggi, nonostante tutto, il
teatro può ancora avere nella
società: ricordare che tutti noi, in
una società chiusa e intollerante,
potremmo improvvisamente diventare -per il nome o le idee che portiamo- dei diversi. Cioè degli "uomini rosa".
BREAK
THROUGH
Negli anni ottanta Pier Vittorio
Tondelli, grazie al progetto letterario Under 25, aveva potuto riscontrare come la provincia fosse terreno fertile per esperienze culturali
Elena Mirandola
Elena Mirandola nasce il 13 dicembre 1981 a Ivrea. Nel 2004 si diploma illustratrice allo IED di Torino e da subito, inizia a produrre e sperimentare. Oggi ha all'attivo numerosi lavori, progetti e partecipazioni a mostre collettive e personali (fra cui Galleria Spazio 10, Io Espongo 8 al Pastis e
SeiPerArte al Seiperotto). Lavora con Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta e sta collaborando con Vasco Mirandola per la realizzazione di un libro
di poesie illustrato edito da Camelopardus. A breve le sue opere saranno in vendita su www.pixtura.it e le stampe su tela su www.next2art.com.
diverse, per percorsi artistici alternativi, non contaminati dalle tendenze metropolitane. Così, sulla
scia di questa suggestione, ci
siamo recati in provincia di Torino
per farvi conoscere il panorama
dell'arte lontano dall'ombra della
Mole. Canavese, Ivrea, giardino di
Elena Mirandola: siamo in mezzo
alla campagna. Montagne sullo
sfondo e terra e cielo. La stessa
terra, lo stesso cielo che dominano
nei quadri di questa giovane artista eporediese. Elena -pittrice, grafica ed illustratrice- ha studiato a
Torino, ma l'amore per la sua città
l'ha fatta tornare a produrre là
dove la passione per l'arte è cresciuta in lei e con lei. L'atmosfera
bucolica sopra tratteggiata non vi
tragga però in inganno: Ivrea infatti non è solo una graziosa cittadina
immersa nel verde, ma è anche la
città dell'Olivetti, che ancora oggi
fa i conti con la scomoda eredità
lasciata dalla grande azienda informatica. Eredità che è spiegabile
con la mancanza, il rimpianto e la
nostalgia, ma in positivo anche
con l'insegnamento dell'importanza dell'arte, del design e della
comunicazione visiva. E la forza
espressiva di Elena sta nella capacità di raccogliere l'eredità grafica
di artisti come Pintori, Folon,
Glaser, assimilarla e superarla. Ci
piace pensare che da piccola
abbia avuto fra le mani la prima
Agenda Olivetti illustrata da Folon,
quella del 1969, con in copertina
l'immagine di un omino intento a
raccogliere altissimi fiori di campo,
che, a ben guardare, sono i tasti di
una macchina per scrivere.
Quanto il tuo essere eporediese
influenza i tuoi lavori?
Il luogo in cui si decide di vivere o
lavorare influenza in buona percentuale ciò che si crea. Se io vivo
bene in un determinato contesto
sono più atta a produrre. E di gran
lunga preferisco vivere e lavorare
in un posto come Ivrea rispetto a
una grande città, per esperienza
personale. Ivrea è più tranquilla
meno inquinata e c'è più silenzio!
Se devo lavorare con qualcuno di
Torino, non c'è problema: esiste
Internet e comunque la città è vicina. Per il divertimento è ovviamente tutta un'altra storia!
Cosa pensi dell'attuale situazione
grafica torinese ed eporediese?
Penso che Torino in campo artistico e di promozione di giovani talenti sia molto attiva e offra tante possibilità soprattutto espositive. Nel
suo piccolo anche a Ivrea ci sono
diverse strade: bisogna solo saperle sfruttare.
C'e qualche artista a cui ti senti
particolarmente legata?
Due persone amiche, che mi
hanno insegnato molto, e da cui ho
ereditato artisticamente sono il
grafico Gallo Galliano e l'illustratrice Vittoria Facchini.
Sopra Il marchio OMINA. A sinistra Il
tulipano
scelti. Che ruolo riveste lo sfondo
nella composizione?
Inizialmente allo sfondo cartaceo
non davo molta importanza, era un
elemento in più su cui giocare col
colore. Invece nei miei ultimi lavori
ho realizzato di poter lavorare sullo
sfondo trattandolo come una componente primaria della composizione, perché credo offra notevoli
potenzialità espressive.
Parliamo del tuo marchio, la bambina che troviamo sui tuoi accessori: da dove nasce l'idea?
È un'omina, come la chiamo io,
che si tappa le orecchie un po'
come quando sei piccolo e non hai
voglia di ascoltare: è una provocazione. Così come le frasette sciocche sulle mie magliette (ndr. Ti
vuoi mettere con me? ? si ? no ?
forse)! Questo riproporre immagini
infantili è chiaramente colpa della
bambina che è in me!
Parliamo del tuo sito (www.13cactus.com) in cui le icone sono…cactus!
L'idea è nata per allargare la mia
visibilità. Ritengo sia un ottimo
strumento per mostrare il proprio
portfolio completo a livello internazionale! E ovviamente per mostrare i miei accessori, almeno fino a
quando non li smercerò nei negozi.
Progetti per il futuro?
In futuro vorrei fare quello che faccio ora e per cui ho sudato tanto,
magari a contatto con altre persone e non sempre in solitaria! Poi
vorrei avere una mucca...ma questa è un'altra storia…
Avremo modo di parlarne, ma per
ora l'incontro è finito ed Elena
inforca gli occhialoni da sole vintage e sale in casa.. Con la sua
gonna corta a righe e il suo inseparabile
bauletto-con-teschio:
bambina dispettosa!
Da cosa trai ispirazione?
Traggo ispirazione da tutto ciò che
mi trasmette delle emozioni: la
serenità di un prato col vento o
una persona che in quel momento
sento particolarmente vicina, una
bella canzone o una giornata di
sole o il mio cagnolino Tobia.
Nei tuoi lavori usi molto i toni accesi, il tratto deciso ma imperfetto e
lasci che il colore non copra tutti gli
spazi: in tal modo le tue opere
sembrano fatte dalla mano di un
bambino. Da dove nasce questa
scelta stilistica?
Ho iniziato a dipingere perché volevo tirar fuori qualcosa che mi girava dentro tipo le farfalle nello stomaco. Quindi giocavo molto con i
colori più che con i contorni. In
questo senso ho sempre lavorato
un po' al contrario: prima metto il
colore e poi faccio i contorni,
anche imprecisi. L'importante è la
sostanza, la forza espressiva.
I soggetti dei tuoi quadri sono
quasi esclusivamente tulipani,
alberi, cactus. Perché queste tre
figure?
I prati con gli alberi e i fiori sono
l'ambiente che mi circonda e dove
sono cresciuta. Per quanto riguar- Per contatti e info:
da i cactus sono un soggetto origi- www.13cactus.com
nale da ritrarre e mi fanno ridere:
Elisa Facchin
stanno lì, tutti grassi al sole!
Spesso compaiono delle scritte nei
tuoi quadri: sembrano quasi afori- Sotto: Due Cactus In cantina
smi. Cosa rappresentano?
Sono brevi frasi
che condensano
un mio principio
o un pensiero
che mi sento di
esprimere in quel
momento: una
sorta di firma
emozionale.
I tuoi cactus sono
stati ovunque! In
città, nei cassetti,
in cantina, in farmacia. Mi riferisco ovviamente
agli sfondi da te
A
R
T
E
ACTING OUT 13
TOCCARE L’ARCHITETTURA
LA FOTOGRAFIA COME PERCEZIONE E DOCUMENTAZIONE DELL'ARCHITETTURA
L'architettura viene spesso descritta attraverso la fotografia.
Evitando la fatica di impegnativi sopralluoghi e di osservazioni dal vero dei monumenti, si rinuncia al contatto diretto,
magari tattile, con l'architettura, non ritenendo indispensabile
penetrare, percorrere e conoscere (anche matericamente) gli
spazi che danno forma e vita.
Considerare la riproduzione fotografica, pur se bidimensionale, un' immagine fedele ed esaustiva dell'architettura, porta ad
acquisire una conoscenza mediata e virtuale dell'edificio; una
conoscenza fallace, in difetto di visione tridimensionale e di
misurazione e percezione dello spazio architettonico inserito
nel contesto. La fotografia che vuole vedere l'architettura
"dentro ed oltre", seguendo il percorso di un’idea che è creazione dell'ingegno e della cultura, si colloca nello spazio concettuale. Vivere l'architettura dall'interno, percepirne gli spazi,
i rumori, gli odori, toccarla con mano, è però un'altra cosa.
Zevi poneva l'architettura su un livello più alto rispetto alla pittura e alla scultura: un quadro lo guardi e produce delle sensazioni, una statua puoi ammirarla girandoci intorno, coglierne il volume e apprezzarne la forma; in un manufatto architettonico invece si può penetrare fin nelle viscere, calpestarne il
pavimento, saltare i suoi gradini, volteggiare nei suoi atrii,
viverlo "dal di dentro". Provare fastidio per uno spazio angusto,
Fotografia di Umberto Costamagna
godere di una bella vista da un'ampia vetrata, il parquet caldo
sotto i nostri piedi nudi anziché una gelida piastrella in una fredda mattina d'inverno, sono chitettura, ma si pone anche come strumento per catalogare, archiviare e divulgare. Oltre
solo pochi esempi di sensazioni difficili da bloccare con un'immagine. Il genere di raffigura- alla funzione testimoniale, la fotografia è anche il mezzo per impadronirsi delle architetture
zione invece mirato al congelamento di una solennità immobile, è un requisito riconoscibile e degli spazi urbani incontrati in una località che hai visitato per la prima volta; è il mezzo
soprattutto in quella stagione fotografica nella quale le architetture assumevano atteggia- per illudersi di catturare l'inquadratura inedita o almeno insolita di una celebre architettura
menti ostentatamente austeri; apparivano trionfanti in piazze deserte e in silenziosi isola- che altri hanno ritratto in milioni di pose. La fotografia si configura quindi quale mezzo più
menti che ne amplificavano le dimensioni, refrattarie a situazioni meteorologicamente ano- confacente ad esprimere la metafora dell'architettura come interpretazione della forma e
male, indipendenti da condizioni di luminosità mediterranea o di foschia padana, ritratte da dello spazio per il tramite della luce. In questa accezione la fotografia si accredita quale
un punto di vista situato non all'altezza dell'occhio, bensì a mezz'altezza dell'oggetto da ripro- esperienza di accentuata lettura critica del manufatto architettonico. Nell'architettura si
durre. Immagini di ambigua particolarità comunicativa, capaci di offrirci una realtà impro- gioca anche tutta la sfida con la luce. Le Corbusier diceva che l'architettura è il sapiente
babile ma accattivante. Non vi è dubbio però che la fotografia di architettura ha anche il gran gioco dei volumi sotto la luce. Analogamente la fotografia, ma in bidimensione. Le attuali
merito di recuperare informazioni del passato, di servire alla ricostruzione "di ciò che era", di indagini sullo spazio abitato confermano, in sintesi, che la fotografia, se sostenuta da uno
tramandare l'effigie di un intero tessuto edilizio abbattuto, di un edificio distrutto o di un altro sguardo capace di interpretare, e non solo di documentare acriticamente, è medium dal
che va perdendo la propria fisionomia a causa delle aggressioni, del degrado o dei restau- quale non si può prescindere per conoscere e rappresentare il mondo.
Gabriele Casu
ratori. La fotografia concede quindi un peculiare monitoraggio dell'invecchiamento di un'ar-
Lezione tecnica -“luce ambiente” di notte
Con il termine "luce ambiente" si indica la luce esistente al momento dello scatto -dove il fotografo non interviene modificandola con lampade, flash, pannelli riflettenti- ed in particolare la
condizione di scarsa luce in interni ed esterni. Tutti gli apparecchi fotografici sono in grado di catturare immagini con "luce ambiente", ma sono più indicate, per questo tipo di riprese, le macchine fotografiche reflex. Queste permettono di scegliere il tempo di esposizione, di mettere a fuoco
manualmente e di giocare con il diaframma che, per queste situazioni, è bene tenere chiuso. Esso
permette una maggiore nitidezza su tutta l'inquadratura, e facilita la messa a fuoco anche in condizioni non del tutto favorevoli. Un'altra caratteristica della reflex è di avere le ottiche intercambiabili, solitamente molto più luminose di quelle non intercambiabili. Queste apparecchiature consentono inoltre l'impostazione dello scatto sulla "posa B", che rende possibile l'esposizione dell'immagine per un tempo personalizzato (si apre l'otturatore premendo il tasto dello scatto, per
richiudersi al momento del suo rilascio). Molte volte si consiglia, per ottenere un'esposizione ottimale, di aumentare di circa due valori l'esposizione rispetto a quella indicata dall'esposimetro, in
quanto le cellule che misurano la luce, all'interno di esso, non rilevano il giusto valore della fonte
luminosa, troppo debole e il più delle volte concentrata in punti definiti: lampioni, fari delle automobili, insegne dei negozi, luna ecc. (ovviamente dipende sempre dal tipo di risultato finale che si
desidera ottenere). La fotografia notturna può quindi essere considerata molto "modellabile" e si
può anche dire che non esiste uno standard vero e proprio di tempo/diaframma da utilizzare per
una corretta esposizione, fotografando senza l'ausilio del flash (che utilizzato nel modo non corretto rovinerebbe sicuramente l'effetto da noi cercato). Tutto dipenderà dalla situazione in cui ci
troveremo e la posa dinamica o statica del soggetto.
Per fare qualche esempio, potremmo trovarci nella situazione in cui è molto buio ed il soggetto è
disponibile solo per pochi attimi, vietandoci così l'utilizzo di scatti studiati, di cavalletto e di pose
lunghe. In questi casi se abbiamo il flash, è il momento di usarlo. I pro sono che potremo utilizzare tempi veloci (1/250 o 1/125sec), i contro sono che il flash potrebbe rovinare l'atmosfera cercata, soprattutto se non è abbastanza potente e il soggetto si trova troppo lontano. Senza flash
sarà dura, perché per utilizzare tempi veloci, o quasi, potremo intervenire esclusivamente sulla
sensibilità della pellicola, aprendo quasi obbligatoriamente tutto il diaframma (per far entrare più
luce possibile). La pellicola idonea per questo tipo di riprese dovrebbe avere una sensibilità molto
alta, da 400 ISO a salire, che permette di lavorare con tempi minori (se utilizziamo il cavalletto la
sensibilità della pellicola diventa un fattore marginale). Ad una maggiore sensibilità corrisponde
l'inconveniente della grana visibile nella stampa finale della foto, che più sarà grande più evidenzierà il difetto. Sono utilizzate anche le pellicole rapide ed ultra, che danno un minor contrasto con
una maggior latitudine di posa, la quale permette di registrare anche particolari in ombra presenti
nell'inquadratura con scarsa illuminazione.
Anna e Pace
ACTING OUT 14
Dato la recente eclissi lunare, potremmo analizzare come fotografare la Luna, difficile per la scelta dell'esposizione corretta, essendo una fonte luminosa (per riflesso) in mezzo al buio dello spazio. Fotografandola con impostazione della macchina automatica, otterremmo sicuramente un'esposizione sbagliata, bruciando tutto il
dettaglio della Luna, a meno di usare una macchina professionale o almeno che sia provvista di tanta lunghezza focale (teleobiettivo), per ridurre al minimo il margine d'errore di valutazione sull'esposizione. Per impostare i valori manualmente, dovremo riuscire a misurare l'esposizione sulla luce che arriva dalla Luna, e se appare troppo piccola nel nostro mirino o non abbiamo un esposimetro di tipo "spot" (capace di misurare esclusivamente in un punto ben preciso, solitamente il centro),
sarà necessario effettuare qualche prova prima di ottenere il giusto risultato.
Come possiamo notare nel primo scatto la Luna è ancora molto libera dall'ombra della Terra, sprigionando molta luce; utilizzeremo quindi 1/250 sec. come tempo di
otturazione, con diaframma quasi tutto chiuso f 7.1 (la scala dipende dall'obbiettivo utilizzato) e sensibilità più bassa possibile. 64 ISO nel nostro caso; con queste combinazioni, siamo riusciti a far risaltare il dettaglio del satellite al meglio, senza bruciare quasi nessuna zona chiara. Nel secondo scatto, possiamo notare come l'ombra ha già coperto metà della sua superficie; ora possiamo chiudere totalmente il diaframma (f 8.0) per far risaltare il dettaglio della superficie lunare e l'effetto ombra
dell'eclisse, aumentando anche un po' il tempo di esposizione (1/125 sec.). La sensibilità rimarrà invariata essendo la più bassa possibile. Nella terza foto, l'eclisse è
quasi totale e, per mantenere l'immagine visiva all'occhio umano, bisognerà aumentare il tempo di posa (ma non troppo) portandolo ad 1/2 sec., perchè aumentandolo più del dovuto, la fotografia riprodotta non rispecchierebbe più ciò che è visibile ad occhio nudo. Il diaframma sempre chiuso (f 8.0) con sensibilità 64 ISO. L'ultimo
scatto cerca di catturare l'attimo in cui la superficie lunare viene coperta totalmente dalla proiezione della Terra, assumendo una dominante rossa portata dal Sole.
Per renderlo possibile sarà obbligatorio utilizzare un tempo di otturazione lungo (12" sec.), mantenendo il diaframma tutto chiuso (f 8.0) e la sensibilità più bassa per
non bruciare tutti i dettagli, andando però incontro al possibile mosso, dato dalla rotazione della Terra, ed all' esaltazione della grana. Questo risultato rispecchia ciò
che non è più visibile ad occhio nudo.
FRANCESCO TABUSSO. Storia di un pittore fra monti, fiabe e sogni.
S
Dal 14.04.07 al 09.05.07
DA
TE
Boschi di betulle e distese di granoturco, valloni innevati e mari di notte, cacciatori col colbacco e ragazze dagli occhi grandi, mazzi di funghi e tazze di latte, merli, pettirossi, fagiani, poiane e falchi, villaggi "bruegheliani" e tendoni da circo. I soggetti delle opere di Francesco Tabusso, nell'arco di sessant'anni di attività, non sono cambiati; le cose che un tempo amava continuano a popolare i suoi quadri, ispirati al ricordo delle esperienze vissute o dei paesi mai visti, ma di cui leggeva -e legge ancora, prima di dormire- sui
libri di fiabe e che poi visita in sogno. La mostra in corso al Palazzo della Promotrice -Francesco Tabusso.
Pittore di Torino- curata da Elena Pontiggia e Gianfranco Schialvino, presenta un percorso diacronico
attraverso la sua produzione e ne mette in luce gli elementi di continuità (la poetica) e di diversità (la resa
formale). Col passare degli anni lo stile si è ingentilito, la pennellata si è fatta più fine, i colori più lievi, ma
non è possibile fare della tendenza una norma: i lavori più recenti mostrano infatti un Tabusso tornato
all'antico amore per il tratto marcato -mai a scapito del dettaglio- e i colori lucenti, accesi e grumosi, quasi
materici. Matericità che nei suoi quadri viene resa anche grazie alla tecnica del collage; come ne Il nano
che balla (2004) -opera che riprende la composizione di Sogno d'inverno (1985)- in cui metanarrativamente cita la fonte in una delle teche del mobile dipinto: il biglietto da visita di un nano maestro di ballo!
Un artista che diverte, affascina e sa far sognare. Una mostra che rende omaggio ad un pittore dei nostri
tempi, capace di parlare al cuore di tutti.
Biblioteca civica Villa Amoretti
- Obiettivi luminosi
Una selezione di fotografi piemontesi dal 1850 al 1950
In collaborazione con l'Associazione per la Fotografia Storica.
PROMOTRICE DELLE BELLE ARTI (Viale Balsamo Crivelli 11)
Francesco Tabusso - Pittore di Torino
Fino al 20 maggio 2007
Dal 05.04.07 al 05.05.07
Il Cenacolo Casorati in Campidoglio
[E.F.]
- Metamorfosi
Mostra di Isabella Bona
ARTE PUBBLICA: CON GLI OCCHI APERTI NON SI GENERANO MOSTRI
Quattro artisti rileggono l'ex area FIAT
E’ un passaggio stretto, quello che
conduce alla realizzazione di opere
d'arte da inserire nel tessuto urbano. Stretto, angusto e difficile.
Sono infiniti gli ostacoli che l'artista si trova a dover affrontare,
dalla conservazione dell'opera,
alla scelta di materiali idonei alla
struttura urbana del quartiere in
cui l'opera finita viene a inserirsi.
E altrettanto complesse sono le
soluzioni che l'amministrazione
comunale deve concepire per le
infinite conseguenze della presenza dell'opera sul territorio.
Bisogna prima di tutto pensare
all'impatto sui cittadini: se si pone
un'opera d'arte in periferia con l'intento di alzare il livello qualitativo
dell'area si incorre nel suscitare il
fastidio delle stesse persone che vi
risiedono. Il perché è ovvio, ma
non così banale, e molto sta nelle
richieste dei cittadini rispetto alle
politiche attuate dall'amministrazione. Alcune necessità, fraintese,
non comprese, divengono un nodo
problematico, che non permette
un dialogo aperto tra le parti e
blocca, di fatto, la comunicazione.
L'esito, perciò, potrebbe essere
funesto: l'opera d'arte vandalizzata, mal sopportata e distrutta in
poco tempo; le persone che vi abitano vicine scontente; l'amministrazione comunale inerme di fronte al rifiuto del territorio di assorbire la presenza dell'opera.
È accaduto, non così drammaticamente (poiché si è presto corso ai
ripari), nel caso di alcune delle
opere sul Passante ferroviario:
molto si è discusso sull'installazione di Per Kirkeby in Largo
Orbassano; ha stupito (anche me)
il tentativo di vandalizzare la fontana di Mario Merz in Corso
Mediterraneo.
La lezione insegna che l'imposizione non produce buoni frutti, e che
anche l'arte, piazzata dall'alto, non
porta alle soluzioni sperate.
La soluzione, complessa, sta nella
mediazione. Su questo fronte e
con l'intento di coinvolgere per far
comprendere, si svolge l'operato
del gruppo a.titolo, responsabile
del progetto Nuovi Committenti a
Mirafiori Nord, che mira al recupero dell'area di verde pubblico lungo
corso Tazzoli, e che opera da circa
quattro anni nell'ambito del proget-
to Urban2, finanziato dall'Unione
Europea per il rilancio delle periferie. Nel corso della progettazione, il
gruppo a.titolo ha individuato due
artisti in grado di operare a fianco
degli abitanti: Massimo Bartolini e
Lucy Orta, rispettivamente impegnati nel recupero della cappella
Anselmetti ora divenuta sede del
Un particolare dell’opera di Lucy Orta nei giardini di Corso Tazzoli
Laboratorio di storia e storie, e
nella realizzazione della seduta
collettiva Totipotent Architecture,
basata sulle forme corporee e
sulle strutture suggerite dagli studenti dei licei Renato Cottini ed
Ettore Majorana.
L'inaugurazione di marzo 2007 ha
concluso la prima parte dei lavori,
che hanno previsto, oltre al recupero dell'area verde che collega
corso Orbassano a corso Agnelli,
percorrendo l'intero perimetro
ovest della FIAT, il posizionamento
dell'opera di Lucy Orta nei giardini
di corso Tazzoli, e l'apertura del
laboratorio realizzato da Massimo
Bartolini a stretto contatto con le
scuole
elementare
Franca
Mazzarello e media AlvaroModigliani.
Il progetto Nuovi Committenti (promosso dalla Fondazione Adriano
Olivetti e sostenuto da Urban2,
dalla Compagnia di San Paolo e
dalla Fondazione Cassa di
Risparmio di Torino) assume in
questo caso il ruolo di un tavolo
aperto di dialogo tra gli studenti
delle scuole del quartiere -che
esprimono la necessità di ridare
vita al proprio territorio- e gli artisti
coinvolti, che traspongono l'espressione dei committenti nella
progettazione dell'opera d'arte.
Il coinvolgimento degli abitanti
diviene il centro dell'attività, per
cui, attraverso la presenza attiva,
la comprensione dell'operato, la
compatibilità con il sentire territoriale e socio-culturale, il gruppo
a.titolo ha condotto a termine il
progetto, mirando a fare sentire gli
abitanti di Mirafiori Nord parte del
cambiamento del proprio quartiere.
L'appuntamento è per l'autunno,
quando verranno installate le altre
due opere che porteranno a termine l’iniziativa e il rilancio territoriale dell'area di Mirafiori Nord:
Multiplayer, un campo da gioco
multifunzionale ideato da Stefano
Arienti e Aiuola transatlantico:
un'area verde ridisegnata da
Claudia Losi nel cortile di un complesso di edilizia pubblica.
Sotto i nostri occhi, il paesaggio si
allarga, man mano più ampio, in
grado di assorbire il solito panorama. Centimetro dopo centimetro.
Federica Tammarazio
ACTING OUT 15
SPAZIO LETTERATURA
DUE RACCONTI BREVI
DI MARIO MERLINI
METEMPSICOSI
Lo portarono in quella casa di cura. Sfatto dalla droga. Lo riempirono di
medicinali per evitare che la scimmia si impossessasse di lui. L'uomo
steso sul lettino della sua cella, si addormentò. Passarono ore e i primi
sintomi di astinenza si fecero vivi. Il suo corpo cominciò a vibrare procurandogli spasmi intensi e sudori freddi. Si raggomitolava nelle lenzuola,
infilando le unghie nel tessuto, bucandolo.
Il soffitto, di un bianco intenso, ai suoi occhi si trasformò in un enorme
mostro gigante. Era spaventato. Tremante. Cominciò ad urlare pieno di
rabbia e di dolore. I suoi arti sembravano volersi staccare dal resto del
corpo, la pelle del viso era tesa, giallastra. Gli occhi sembravano uscirgli
dalle orbite. Nessuno venne ad accudirlo. Nessuno. Era solo, abbandonato a se stesso con quell'orribile mostro sopra di lui pronto a divorarlo
in un sol boccone. Era spacciato. Il suo cuore batteva a mille e le sue
vibrazioni si espansero in tutto il corpo come un'onda di terremoto.
Svenne. Probabilmente per l'effetto dei medicinali. Nel suo dormiveglia
fece strani sogni, una barca in mezzo ad un lago senza nessuno a bordo,
un campo di grano e uno spaventapasseri con le sue sembianze divorato da corvi mangiatori di uomini, uno schermo con l'ecografia di un bambino nella pancia della mamma e infine il parto visto di prima persona
con la sua figura adulta che usciva dal ventre materno. Le immagini svanirono e lasciarono il posto ad una luce intensa, bianchissima. Sentì
delle voci provenire da quel bianco, - "Lo stiamo perdendo..."-, si sentì poi
percosso da dei colpi sul petto. La luce si fece più bianca e poi scomparve di netto, come se fosse stata succhiata via in un istante. Era diventato buio. Completamente. Ad un tratto percepì il pianto di un bambino
provenire da qualche parte. Cercò di individuarne la provenienza e quando si fece più intenso, capì che stava fuoriuscendo dalla sua bocca. Il
pianto si intensificò. Rimbombò nelle sue orecchie, quasi fino a farle
scoppiare. Cercò di controllarsi, ma non ci riuscì. La sua bocca non era
più sotto il suo controllo. Ritornò la luce intensa che lo avvolse completamente. Si sentì rinato.
LORIN, LA DEA DEI GHIACCI
Lorin si guardò intorno. Era tutto bianco. Era neve. Nel bosco nebbioso
tutto appariva candido come la sua veste. Nella radura in cui si trovava,
una leggera brezza gelida le accarezzava i capelli. I suoi occhi azzurri
come ghiaccio polare la rendevano asettica in quella sua posizione di
regina dei ghiacci.Un branco di lupi aveva attirato la sua attenzione.
Erano candidamente bianchi nella loro muta invernale. Si muovevano
guardinghi intorno a lei, come se ne avessero paura.
Lorin non era donna. Era dea. La dea dei ghiacci. La sua figura umana
traspariva nella foschia, la sua aurea spirituale la separava dal tutto
come un'icona della Vergine in una chiesa di campagna. Ogni cosa pareva essere immobile. I lupi si sedettero intorno a lei, in un cerchio perfetto. Ulularono in coro. Lorin emise un piccolo gemito dalla sua bocca. Il
gemito si mescolò con il fruscio degli alberi nel vento. Era diventata il
respiro di quella piccola foresta. Era l'unica foresta rimasta al mondo.
Una fiamma azzurra apparve sopra il suo capo e la incendiò di un vivido
colore rosaceo. La fiamma cambiava colore all'apparenza umana, ma a
quella animale che i lupi osservavano risultava essere perennemente
blu. Blu come gli occhi del capo branco. Era l'unico a comunicare con lei,
l'unico che ne aveva le doti, l'unico che aveva avuto il dono di instaurare
un dialogo con lei, dialogo che non aveva fattezze umane. Era solo gioco
di sguardi, una comunicazione extracorporale molto intensa e semplice.
Occhi contro occhi in un apatico silenzio invernale, dove solo la gelida
brezza si poteva udire. Non fui sicuro di quello che potevo osservare
nascosto poco più in là, quasi immerso del tutto sotto la neve. Non credevo alla realtà che mi si poneva come dato di fatto. Tutto era reale. Solo
nel momento in cui si accorsero della mia presenza svanirono. Ero ferito,
sperso in quella foresta da molti giorni oramai, corroso dalla fame e dal
freddo. Ma quella visione incredibile mi aveva ridato forza, la forza di
poter credere nell'irrealtà umana che non è altro che quella parte della
nostra mente soffocata e corrotta da tutto ciò che noi chiamiamo Civiltà.
Morì in me soltanto la consapevolezza di non aver mai creduto nelle fiabe
che mia madre mi leggeva quand'ero bambino, fiabe che si sarebbero
rivelate, dopo tanti anni, totalmente reali.
ACTING OUT 16
Identità di Vilma Viora
Vilma Viora è nata a Torino nel 1948. Ha iniziato a leggere il suo primo libro
a tre anni nella libreria di campagna, nel silenzio del primo pomeriggio, quando tutto dormiva nel caldo di agosto. Ha scritto la prima poesia Il sospiro di
Ninfa a undici anni.Ha insegnato per molti anni nellle Scuole Elementari.
Collabora attivamente a siti di poesia, concorsi, laboratori. E’ iscritta alla
Società Italiana delle letterate. Nel 2002 si è classificata al terzo posto al
concorso Mario Soldati per la poesia. Ha tenuto un laboratorio di Poesia presso il Centro Pannunzio di Torino nell’ambito delle attività culturali previste per
l’anno 2002/03. Membro di giurie letterarie per premi di poesia: Il Golfo, Il
porticciolo e Portus Lunae per gli anno 2004/05/06. Ha pubblicato poesie su
siti Internet di Letteratura e Poesia e collabora con alcune associazioni con
sito web. Pensa che la poesia sia un modo di vedere il mondo, alcuni la esprimono con le parole, altri con il disegno o la musica.
Il libro cerca di riunire in un breve percorso alcuni segni di crescita di un desiderio poetico nato nella prima adolescenza.
POESIE DI ENRICO BERGAGLIO MEMBRO DE “IL SALOTTO DEGLI AUTORI”
LE LIRICHE SONO TRATTE DALLA RACCOLTA
ZAMPATE DI TIGRE, ULTIMA OPERA EDITA DA
CARTA E PENNA EDITORE
Assenzio, droga o voluttà
Giallastro florilegio del Male,
Verde fata dai petali d’oro
Artemisia che seduci l’astrale
E sprofondi nel buio d’alloro.
Porgi udito a una voce insensata,
Sbrani i cuori con rabbia furente,
Sei sirena attraente ma vana,
Bruci il corpo e stravolgi la mente.
Possa Il freddo macchinar della ratio
Controllar dell’umano il delirante sentire,
Buon governo sia dato a uno spazio
Che di spirito saggio si dovrebbe riempire.
Angeli della Pace
Scivola nel più sacro silenzio
Il mesto ricordo del dolore,
Due interminabili ali
S’inchinan lacrimando.
Liberano pianto copioso
Al penoso corteo
Degli angeli spiriti della pace
Avvolti in veli tricolori.
Nel cielo piumoso d’autunno
Sfarfallano liberi i sogni
Dei diciannove caduti,
Gabbiani candidi e liberi
Cui alito freddo di gelido
Astro solare commosso
Par volerli baciare uno ad uno.
Migraron come rondini entusiaste
In cieli più caldi ma di guerra.
Volevan soltanto diffondere
Il bene e la pace in quella terra,
Ma caddero vittime ignare
Per bieche azioni nefaste.
Saranno in eterno nei cuori
Di un Paese che per loro
Si sente onorato e a loro riserva
Il saluto più dolce e i massimi onori
Affranto di aver perso quei fiori
Strappati con rabbia
In un paese lontano sì ingrato.
Ognuno di quei tricolori
Sereno purtroppo si giace,
Versiam lacrime di mille dolori
Ricordando in eterno
Che quelli sono
I nostri Eroi dela Pace
Ottimismo è credere
E’brutto
Sentir la vita
Che ti sfugge
Vuol dir che ti senti
Già vecchio.
Al calar della sera
Il leone dentro ti rugge.
Poi neppur l’alba più aranciata
Riesce a scalzarti dal letto.
Puoi impazzire con l’amore
Più bello.
E sentire il profumo del vento,
Della rosa della passione.
Non sa leggere il vento del cuore,
Cerca solo di ardere ancora
Fra le lingue di fuoco dell’amore.
Ostinandosi ancora
A cercare di cogliere
Quel caldissimo fiore del desiderio
Che nella terra del fato
Pare stia scritto il doversi dissolvere
Avvizzito nell’acqua del tempo passato
E, con dispetto, venga quindi annegato.
Che fortuna arrivare ad essere vecchio,
Canticchiava con ardore mio nonno,
Ma che brutto
Doversi trovare ad essere vecchio
Quando proprio ancora non hai sonno.
E se cerchi di poterlo spiegare
C’è nessuno che
Ti stia più a sentire.
“Sei un vecchio,
Hai più niente da fare,
Più nessuno dovresti scocciare
Stai tranquillo,
Pensa sol più a morire.!”
Amen? Così sia per tutti?
Così è... se vi pare!
Il Cottolengo è speranza
"Abbiate ogni speranza,
o Voi che entrate!"
D'obbligo morale stesse scritto.
Cortile assolato di giugno
La Vergine liquefa al sole
Rose e piante arrostite in giardino
Mille letti d'infermi d'intorno
Fiammelle di pianti e preghiere
Invocan con fede lo Spirito Santo.
Si continua a sperare.
Il Santo Beato l'ha sognato
Oggi ai suoi piedi lo imploran
Anime disperate in dolore
Cui urge il "caritas Christi".
Cristo avrà sempre tanta pietà,
Ma l'Uomo ha ancor carità?.
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