11 Eventi Forum Martedì 8 Maggio 2007 Corriere della Sera IL CONSIGLIERE INDIPENDENTE DI TELECOM Jean-Paul Fitoussi DI RAFFAELLA POLATO S ì, dice: «Globalizzazione significa senz’altro economie e società più aperte». E non è un’utopia pensare che si possano coniugare un’economia di mercato e una società solidale: «L’abbiamo già fatto, no? Ed è stato il periodo d’oro dell’Europa: i trent’anni gloriosi, come li chiamiamo in Francia, che vanno dal Dopoguerra ai primi anni Settanta». Jean-Paul Fitoussi — uno dei maggiori economisti internazionali, presidente dell’Osservatorio Francese della Congiuntura Economica e, tra i vari incarichi, consigliere indipendente di Telecom Italia — avverte però: «Le popolazioni, i cittadini, almeno in Europa sono molto più avanti di chi li governa. Mercato aperto e società aperta possono essere costruiti. Ma serve una classe politica illuminata, meno dogmatica. E che abbandoni la retorica con cui, oggi, affronta il tema della globalizzazione». Retorica perché, professore? «Partiamo da un dato di fatto: è innegabile che la globalizzazione si traduca in una maggiore apertura dei beni, dei servizi, e anche delle culture. Dei mercati e delle società, insomma. È altrettanto evidente che questo aumenta il livello di benessere delle popolazioni». Ma? «Ma la retorica politica tende a dire: globalizzazione è competitività, e il solo modo di essere competitivi è abbassare i salari. Si arriva fino a sostenere che i Paesi più ricchi sono anche quelli con i maggiori handicap nella corsa, quelli destinati a perdere, perché hanno i salari più alti». E non è così. «Beati i poveri? Non scherziamo. La verità è che la globalizzazione va in scena in un mondo di Stati-nazione e che è normale oltre che giusto, per gli Stati-nazione, proteggere le proprie popolazioni». Protezione che però, ripete spesso lei, non significa necessariamente protezionismo. «Assolutamente. La questione è: come si gioca la partita della globalizzazione, dei mercati e delle società aperte, per avere il benessere ma evitando i rischi che comunque nella dinamica della crescita e degli investimenti ci sono? La risposta a mio avviso sta proprio nel "saper proteggere". Protezione sociale da un lato, e garanzia collettiva di attività dall’altro: tu cittadino, impresa, lavoratore investi, ti metti in gioco, rischi, ma io Stato ti metto nelle condizioni di farlo con una "copertura". È questo il punto. I cittadini sono disposti a rischiare, e dunque a rendere l’economia più dinamica, ma solo se sanno che c’è una seconda chance». «Il patriottismo economico è destinato a tramontare» Detto in altri termini? «Occorre fare in modo che i rallentamenti della crescita siano i più brevi possibile». Non è semplice. «No. Ma non è nemmeno così complicato se si usano tutti gli strumenti della politica economica e monetaria». Ed è qui, lei dice, che scivolano i Paesi europei. «Sì, perché è l’Europa comunitaria che, oggi, ha in mano gli strumenti della politica economica: ma se poi è l’azione comune quella che viene a mancare, non si creano le garanzie di cui parlavamo prima e crescono i rischi per le popolazioni». In altre parole: abbiamo l’Europa economica ma non quella politica? È questo che ci impedisce di essere una vera società aperta e di governare il cambiamento globalizzazione-benessere? «Io penso di sì. Penso che solo un governo federale europeo potrebbe svolgere bene questo compito. Come dimostrano del resto gli Stati Uniti». Ma qui, nel Vecchio Continente, è ancora molto forte il concetto di Stato-nazione. «Sì, ma in un malinteso senso del termine. Tutto il mondo, l’ho detto prima, è fatto di Sta- ‘‘ ‘‘ Non ha il supporto della gente. La partita della globalizzazione E ciò dimostra che i cittadini si vince se lo Stato saprà sono più avanti di chi li governa proteggere chi rischia in proprio Il nodo dell’istruzione Per Lorenzo Peccati è necessario indagare sui desideri e le aspirazioni dei singoli studenti Scuola, come tornare a scoprire i talenti Q uale deve essere il ruolo della scuola in una società aperta? La discussione parte da un dilemma essenziale: come rendere compatibili il diritto di tutti all’istruzione, sancito dalla Costituzione, con quello di scoprire e valorizzare il talento personale nel periodo scolastico? «Veder valorizzate le attitudini personali è appunto un compito affidato alla scuola, che deve dare la possibilità all’alunno di prendere la propria strada già a partire dall’istruzione secondaria», spiega Lorenzo Peccati, professore di matematica finanziaria all’Università Bocconi e prorettore per la ricerca e le risorse umane. Peccatiha dato vita all’iniziativa «Scoprire il proprio talento», che prevede il coinvolgimento di alcuni studenti delle scuole superiori di tutta la Lombardia : una settimana per capire se un percorso universitario possa essere quello giusto. È possibile far coincidere entrambi gli obiettivi, istruzione di base e talento, o bisogna sacrificarne uno? Intanto, all’interno della scuola, è importante capire qual è il ruolo della famiglia, dei dirigenti e degli insegnanti. Sono proprio questi ultimi Rivalutare il ruolo degli insegnanti: per gli studenti sono «presenze assenze» ad aiutare durante il percorso formativo lo studente a scoprire la propria identità personale. Il lavoro dell’insegnante si configura come il rapporto tra due libertà, quella del docente che indica un percorso e quella dello studente che accetta di rischiare un passo dentro il mondo. Dagli studenti però, gli insegnanti sono visti talvolta come una «presenza assente»: un lavoratore che impiega molte energie, ma non riesce a ottenere risultati. Un aiuto può forse venire dal tentativo di capire quale tipo di scuola vorrebbero gli studenti. La Bocconi ha condotto una ricerca all’interno di un certo numero di istituti di tutta Italia, inviando una troupe televisiva che ha tenuto un corso su come si gira un reportage. In questo modo gli studenti hanno avuto la possibilità di esprimere il proprio parere su come desiderano essere istruiti. «I risultati di questa indagine sono stati sorprendenti, spiega Peccati, i ragazzi delle scuole del Nord hanno per esempio un linguaggio molto più articolato di quelli degli istituti che si trovano più a Sud, mentre invece il filmato realizzato da un liceo internazionale è molto raffinato a livello tecnologico, perché i ragazzi studiano anche teatro, ma è in realtà molto povero di contenuti». Jean-Paul Fitoussi classe 1942, è uno dei maggiori economisti europei. Guida l’Osservatorio francese della congiuntura economica e il Consiglio scientifico dell’Institut d’Études Politiques de Paris. In Italia è consigliere indipendente di Telecom ti-nazione. Ma noi europei? Non ci rendiamo conto, non vogliamo prendere atto del fatto che siamo in una fase di transizione. Incompiuti. I singoli Stati — la Francia, l’Italia, la Germania — non sono più veramente delle nazioni. Culturalmente sì, certo, ma economicamente? Non hanno più nemmeno — e lo ritengo giusto — la sovranità monetaria. Occorrerebbe riconoscerlo e comportarsi di conseguenza: far sì che sia davvero l’Europa, il nostro Stato-nazione». Lo ritiene possibile? Un po’ ovunque, ma forse soprattutto proprio in Italia e Francia, assistiamo al risorgere del patriottismo economico e al proliferare di tentazioni protezionistiche. «Ma il patriottismo economico ha già perso. Lo si è visto in Francia, dove pur di impedire all’indiana Mittal di acquisire Arcelor il governo ha fatto di tutto eppure è finito sconfitto. E anche in Italia... beh, diciamo che non ci sono grandi spettacoli. No, credo proprio che la stagione dei patriottismi sia, e per fortuna, destinata a finire. E sa perché? Perché non ha il supporto delle popolazioni. Non piace. Non interessa». Significa che i cittadini sono più aperti, e quindi più avanti, di chi li governa? «Molto, molto più avanti. Certo anche loro hanno paura. È comprensibile ed è normale. Ma è così per il discorso che facevamo prima: perché non si sentono abbastanza protetti da una classe politica in cui non hanno fiducia». Non è un problema da poco. Soluzione? «Se la politica continua con la sua retorica della globalizzazione il cammino sarà ancora difficile e complicato. Ma se la globalizzazione viene mostrata per quello che davvero è o può essere, cioè un modo per aumentare le opportunità e il benessere, la spinta verrà proprio dal basso. Non è un caso che i Paesi più globalizzati siano i piccoli Paesi, per esempio del Nord Europa. Non hanno paura perché applicano esattamente quanto detto fin qui: hanno un alto tasso di protezione sociale. Ma sono vere società — e non solo mercati — aperte». IRENE CONSIGLIERE Lorenzo Peccati coordina il convegno «Scuola, diritto e opportunità», il 10 maggio al Liceo Beccaria (ore 15) CHI È DI SCENA Ermanno Olmi Francesco Rutelli Ferruccio de Bortoli Roberto Formigoni Emma Bonino Franco Bernabé