Accordo di gemellaggio per guardare al futuro Insieme Lesina e Santa Maria di Sala LA VOCE DEL POPOLO IL PROLOGO Nazionalità dalmata e retaggi ottocenteschi ce vo /la .hr dit w.e ww Pagina 8 dalmazia An no VIII • n. 13 o 20 i a n 74 • Sabato, 12 gen di Dario Saftich In Istria e Dalmazia i dati dell’ultimo censimento della popolazione hanno registrato un incremento dell’identificazione regionale. Se questa è forte nella penisola della capra lo stesso non si può dire per l’area dalmata. Ma in quest’ultimo caso si parte praticamente da zero, almeno per quanto riguarda i tempi moderni. Il fatto stesso che al rilevamento 702 cittadini abbiano dichiarato nazionalità dalmata è pertanto eclatante. Un segno del risorgere di un sentimento nazionale presente nell’Ottocento? Lo dirà il tempo. Ma perché questa differenza tra Istria e Dalmazia, anche se lo spirito dalmata è sempre vivissimo? Le radici vanno ricercate nella fortissima contrapposizione nazionale ottocentesca, nella battaglia che i fautori dell’identità croata hanno combattuto (e vinto) nella seconda metà dell’Ottocento contro gli autonomisti, ovvero i sostenitori dell’identità dalmata. E siccome tra questi ultimi la presenza dei dalmati di lingua italiana era tutt’altro che trascurabile questa battaglia ha finito per trasformarsi in un braccio di ferro nazionale, anche se questa inizialmente non era affatto l’intenzione del movimento autonomista nel suo insieme. Lo storico zaratino Giuseppe Praga rilevava che dopo il 1866, ovvero dopo la battaglia di Lissa, l’italianità in precedenza rispettata in quanto carattere distintivo di un popolo dell’impero, era condannata alla distruzione. In tali condizioni, aggiungeva Praga, “l’autonomismo perdette ogni fondamento: dopo il ’70 diventa vana parola pronunciata soltanto per non alienarsi le masse dalmate slave ancora fedeli alle tradizioni di convivenza con il popolo italiano”. In una situazione di squilibrio sempre più evidente tra le due lingue del territorio, l’autonomismo è dunque un’arma spuntata se l’obiettivo è quello di difendere l’antico retaggio culturale della regione e mantenere, seppure in maniera flebile, in vita l’italiano. Le minori possibilità di affermazione dei programmi autonomisti tendono, pertanto, a favorire indirettamente una maggiore caratterizzazione nazionale dei dalmati di lingua italiana. In un discorso del 1886 Antonio Bajamonti affermò che quando l’italiano “fu fatta segno a codarde vessazioni, quando fu tolto dal campo della pubblica istruzione, quando lo si volle bandire dai pubblici uffici, – allora necessariamente, non per soperchiare i nostri fratelli slavi ma solo per salvarla, abbiamo dovuto proclamarci italiani: dirci semplicemente dalmati di coltura italiana, come alcuni consigliavano, a non dare occasione a insinuazioni sleali, sarebbe stato invece un errore che non ci avrebbe risparmiato la taccia di irredentismo e che avrebbe vieppiù solleticato certi istinti polizieschi”. Lo Statuto, concludeva Bajamonti riferendosi all’organizzazione asburgica, “garantisce eguali diritti non alle colture, notate bene, ma alle nazionalità dell’Impero e, pertanto, se vi dite soltanto di coltura italiana e se quindi ripudiate la nostra nazionalità dovrete subire rassegnati quella assi- milazione che vi si vorrebbe imporre”: ricordate invece che fino a tanto che saremo, non quali siamo 70 o 80mila italiani… ma 40-30-20-10mila, 1.000 soltanto, avremo sempre il diritto di invocare le disposizioni dell’art. 19 dello Statuto”. Sembrano ragionamenti fatti oggi questi ultimi: le logiche nazionali impongono la conta, non accettano le identità regionali miste. Se queste ultime non vogliono soccombere devono adeguarsi alla logica nazionale, schiava dei numeri. Ragion per cui a ogni appuntamento con i censimenti le minoranze, tra cui la comunità nazionale italiana, sono costrette a fare quadrato. E le vicissitudini dalmate di oltre un secolo a difesa dell’italiano assomigliano pericolosamente a quelle istriane e fiumane di oggi. Le vicissitudini del passato hanno influito, dall’altro lato, sullo spirito della popolazione maggioritaria, la quale risente ancor oggi delle remore dell’epoca. Il “peccato originale” della presenza dell’autonomismo, ovvero del regionalismo ottocentesco, la costringe spesso su posizione di difesa rispetto ai croati della Croazia continentale, con i quali finisce a volte per gareggiare in croaticità. 2 dalmazia Sabato, 12 gennaio 2013 Se n’è andato con gli ultimi giorni del 2012 un grande studioso, la cui opera è purtroppo in parte ancora Addio a Luigi Miotto, una delle H a portato sempre nel cuore la sua Dalmazia, terra complessa, dalle tante sfaccettature, Luigi Miotto, poeta, scrittore, storiografo, con Enzo Bettiza il più noto autore spalatino di lingua italiana. È suo, tra l’altro, un prezioso vocabolario del veneto-dalmata, contenente circa cinquemila parole dialettali trattate in un contesto fraseologico, con proverbi, modi di dire, canzonette popolari, e ricette di cucina. Miotto se n’è andato con gli ultimi giorni del 2012 a Trieste, dove aveva trovato una nuova “pa- tria”. Appartenente a una famiglia italiana spalatina di antiche origini, i suoi saggi, la sua prosa e i suoi versi hanno sempre ricordato una regione che, purtroppo si è praticamente estinta, e vive ormai solo nella memoria dei suoi abitanti più anziani, degli esuli in primis. Nostalgie, rimpianti, ma senza astio, senza recriminazioni. Miotto ha sempre rievocato l’amata città veicolando nella sua produzione “un messaggio nobile, privo di ira e di odio, e che invece invoca gli echi lontani permeati di umanesimo”, come ebbe modo Nato nella città di Diocleziano il 1.mo novembre 1924, è morto a Trieste il 23 dicembre 2012. È stato un poeta delicato, saggista erudito, scrittore e storiografo di grande spessore umano e culturale Il suo lavoro più noto e apprezzato Nel novembre 1984 la casa editrice LINT di Trieste diede alle stampe la sua opera più nota ed apprezzata, il “Vocabolario del dialetto veneto-dalmata”, di 233 pagine, ricche di storia e di ricordi della Dalmazia, che lo faranno conoscere ed apprezzare dai dalmati in Italia e nel mondo. Il vocabolario di Miotto prende in esame oltre cinquemila lemmi con riferimenti alla matrice veneta e con le registrazione dei prestiti linguistici italiani e croati. Frutto di una lunga e continua ricerca, l’autore aveva concesso che il frutto di questa sua indagine e analisi fosse pubblicata a puntate su “La Rivista Dalmatica” Visto il successo, il lavoro avrà una successiva edizione nel 1991, di 246 pagine, pure questa ormai esaurita, con tanto di presentazione del professor Manlio Cortellazzo (1918 – 2009), decano degli etimologisti e dei dialettologi italiani, professore emerito di Dialettologia italiana presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Padova. di dire Mladen Čulić-Dalbello qualche anno fa, quando l’opera del nostro fu presentata a Spalato, nell’ambito dell’ottava edizione della Settimana della lingua italiana nel mondo, nell’autunno del 2008. Erano state l’Unione Italiane e l’Università Popolare di Trieste – con il coinvolgimento dell’autorità consolare e delle locali Comunità degli Italiani, ma soprattutto con il grande apporto scientifico della professoressa Irene Visintini – a rispolverare e omaggiare – e ciò nei luoghi che lo hanno visto nascere e formarsi, Spalato e Zara –, il profilo del grande studioso dalmata, autore ahimé troppo spesso ignorato dal grande pubblico. Di famiglia italiana stabilitasi a Spalato agli inizi dell’Ottocento, Luigi Miotto nacque il 1.mo novembre del 1924 nella città di Diocleziano, e qui terminò le scuole elementari italiane; quindi passò a Zara, dove frequentò il Ginnasio e Liceo “Gabriele D’Annunzio”. Poi la cesura storica e nella vicenda personale. La Seconda guerra mondiale, la disfatta italiana e una questione adriatica che si trascinava da tempo e che avrà come epilogo l’annessione della Dalmazia alla Jugoslavia, lo videro esule, come tanti suoi connazionali, come tanti altri dalmati all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Miotto si stabilì a Trieste, dove nel 1944 conseguì la maturità classica al Liceo Classico “Francesco Petrarca” – nello stesso anno fece parte della Guardia Civica istituita per la difesa della città – e nel 1947 la laurò in Filosofia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo tergesteo. Apprezzato e appassionato poeta, ricercatore e storico della sua Dalmazia e della sua Spalato, cui dedicò tutto il suo interesse di uomo di lettere e di cultura, la carriera professionale di Miotto si articolò in vari campi, in particolare in quello didattico. Dal 1947 al 1949 fu sovrintende alla biblioteca della Scuola di assistenti di colonia montana dell’Opera Figli del Popolo di Trieste. Col patrocinio della San Vincenzo de’ Paoli, dal 1958 al 1962 promosse e guidò corsi sperimentali di lingue (inglese, tedesco, francese), disegno e meccanica per Ritratto in prosa e versi di un mondo quasi mitico “Prose e poesie”, questo il titolo del libro edito nel 2006 dall’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste (141 pagine) e in cui, in ordine cronologico, si propongono testi di Miotto già apparsi sul quindicinale “Voce giuliana” – ora “La nuova voce giuliana” –, dal 1974 in poi. Si tratta di una cinquantina di prose, più o meno brevi, cui si aggiungono quattordici intense poesie: i testi in prosa tramandano il ricordo della vita comunitaria, un patrimonio di usi e costumi, un percorso interessante, spesso drammatico. Versi, notizie, curiosità, dettagli e colori, sentimenti intensi rendono questa pubblicazione una lettura gradevole e interessante. Nelle sue pagine – liriche, narrative e saggistiche, in poesia e in prosa –, ha descritto la regione natia con una straordinaria accuratezza e sensibilità, elevandola alla dimensione del mito. Il volume si apre con un capitolo dedicato a una Dalmazia prostrata dalla “morte nera”, quella peste che per secoli, e ancora quasi fino ai primi anni dell’800, si abbattè su questa terra, sulle sue strutture socio-economiche, determinando partenze e arrivi di genti. Si prosegue con un ricordo nostalgico della Dalmazia Veneta: una terra leggendaria, ma tormentata nelle sue vicende storiche, crogiolo ora armonioso ora conflittuale, di culture e di popoli, dalla plurisecolare, indelebile impronta veneziana. Una terra folcloristica, alle volte irriverente, ma sempre austera, religiosa, ancorata alle sue tradizioni, con le famiglie che si riuniscono a tavola, vero centro affettivo di ogni casa, in cui c’era il rispetto delle persone e delle cose. In questa terra Miotto ha trascorso l’infanzia e la giovinezza ed è forse anche per questo – oltre che per riflesso della sua tragedia di esule – che l’ha rievocata così: come un luogo più mitico che geografico, vissuta, goduta, e poi sognata e perduta. Il proposito dell’autore è quello di descrivere le bellezze paesaggistiche della Dalmazia, ma soprattutto quello di narrare l’autenticità del popolo dalmata di un tempo, la sua quotidianità, espressa con ricchezza di dati significativi e sentimenti di viva parteci- pazione, tra lo struggente ricordo del passato e l’amarezza e la rassegnazione del presente. Un profilo di Miotto ci è stato fornito nel corso di alcune conferenze organizzate da UI – UPT a Zara e Spalato, dalla professoressa Irene Visintini di Trieste, critica e storica della letteratura da sempre attenta e raffinata studiosa delle opere di autori giuliano-dalmati. La prof.ssa Visintini si è occupata in modo approfondito soprattutto della poesia di Miotto, una produzione che definisce “ricca di risvolti psicologici, di trasfigurazioni paesaggistiche”, in cui il poeta esule “ricostruisce lentamente i frammenti dell’originaria totalità frantumata e perduta del suo mondo dalmata, i lontani luoghi che ne ricompongono l’immagine, delinea i ritratti luminosi della terra e del mare dei suoi avi, i volti dei personaggi di una piccola patria non più sua, che non rivedrà mai più”. Sono righe pervase da una struggente nostalgia, che pare “stemperarsi quasi in un addio alla vita fin dagli anni giovanili – rileva la Visintini –, nonostante l’ap- favorire l’istruzione dei detenuti del carcere cittadino del Coroneo. Docente di italiano e storia, nel 19491950 insegnò all’Istituto di avviamento commerciale di Erba, nell’Alta Brianza, in Provincia di Como, e nel 1950-1951 alla Scuola di avviamento alberghiero della vicina Menaggio. Dal 1951 al 1954 lo troviamo all’Istituto di avviamento industriale di Muggia, e dal 1954 al 1957 all’Istituto professionale femminile di Trieste. Nel 1957 cominciò a insegnare all’Istituto Tecnico Commerciale di Bolzano e dallo stesso anno al 1959 all’Istituto Tecnico Industriale “Alessandro Volta” di Trieste, mentre dal 1960 al 1984 fu docente di italiano e storia all’Istituto Tecnico Nautico triestino, di cui curò l’Annuario, e presso il quale riorganizzò la biblioteca, promuovendo varie forme di partecipazione degli studenti alla vita dell’Istituto e, più in generale, culturale, allestendo mostre di fotografia artistica e modellismo navale. Proprio curando l’inventario della biblioteca del Nautico, rinvenne un manoscritto settecentesco di padre Orlando, fondatore della famosa scuola nautica triestina. Autore, di numerose raccolte di poesie, cominciò a scrivere fin da giovanissimo, nella sua Spalato – è del ’42-’43 la pubblicazione delle prime sillogi “Autunnale” e “Ragnatele” (Tipografia Commerciale, Spalato) – e proseguì il percorso lirico nella città di adozione, dando alle stampe oltre una decina opere in versi, sino alla raccolta “Accendere parole” (Ed. Luglio Trieste, 2008). Inoltre, portano la sua firma vari studi storico-letterari, tra cui prose, antologie di racconti. Nei suoi lavori Miotto manterrà intatto il nucleo tematico dell’amore per la sua piccola patria perduta, sia pur accentuando la dimensione metatemporale dell’eternità. Ma dedicherà accurate composizioni pure a Trieste. Nel 1982 scriverà la “Preghiera dell’uomo di mare”, musicata per organo nel 1982 dal Maestro Guido Pipolo del Conservatorio “Giuseppe Tartini”. “Memoria del sole” (1955), “Poesie a Liliana” (1956), “Canne d’orga- no” (1957), “Una terra nell’anima” (1959), “Tempo che scorre” (1962), “Tempo che soffre” (1964), “Poesie” (1968), “Poesie alla madre” (1974), “Tempo di vivere, tempo di morire (1974, medaglia d’oro del premio letterario del Friuli Venezia Giulia), “Prose e poesie” (Trieste 2006) e “Accendere parole” (2008): sono alcune delle sue raccolte di versi. Nel 1979, a cura del Circolo Dalmatico Jadera, nella sala convegni della Camera di Commercio, un’ampia scelta di poesie fu declamata dall’attore Lino Savorani, del Teatro Stabile di Trieste. E per il teatro, nel 1949, stese un testo, intitolato “La tragedia dei Ranfi”, che verrà letta dalla compagnia di prosa della Società artistico-letteraria di Trieste. Penna instancabile e istruita, il suo lascito è copioso. Oltre alle citate opere, dal 1954 al 1973 collaborò col periodico “La Porta Orientale”, edito a Trieste, dove uscirono i seguenti contributi: “L’ultima notte del generale inglese nel castello di Duino” (1958), “Bisogna andarsene dall’Istria” (1958), “Sul fondo dell’Istria” (1962), “Non c’è nessuno a Pola” (1966). Per “La Rivista Dalmatica” (Venezia 1963-1966), scrisse “Storia di un profugo e di una cartolina rossa” e nel 1995 “Ritorni”, per il periodico dell’Unione degli Istriani. Articoli e saggi di Miotto sono presenti pure in altre testate triestine, tra queste i “Quaderni degli Scrittori Istriani”, l’ “Almanacco artistico letterario del Friuli Venezia Giulia” ed i periodici “Turismo”, “Umana”, “Trieste”, “Pagine Istriane” e “La Voce Giuliana”. Inoltre, dal 1945 al 1982 tenne conferenze di argomento storico o letterario dedicate a Paul Valéry, Pascoli, Baudelaire e Tommaseo.. Dal 1969 al 1975 si mise al servizio della R.A.I. di Trieste scrivendo testi di storia e di folclore della Dalmazia, rivelandosi ancora una volta un autore preciso e documentato, ricercatore indefesso e testimone della storia, del folclore, delle tradizioni e della vita di un popolo dell’Adriatico orientale, che vicende tragiche hanno sradicato. Le rive di Spalato prodo e l’esistenza successiva a Trieste, nella città d’elezione”. Composizioni per lo più brevi, essenziali, caratterizzate da una pregnanza analogica, allusiva e simbolica; per quanto riguarda le tematiche, accanto al nucleo centrale rappresentato dalla Dalmazia (soprattutto da Spalato, costantemente ricordata con tono affettuoso, arioso e colorito), compaiono negli anni successivi, seguendo vari interessi umani e culturali, anche il tema religioso della preghiera e dell’invocazione a Dio, il tema esistenziale con le sue problematiche tribolazioni, la violenza del male nei lager e altri. Come nota la Visintini, la poesia dell’esilio di Miotto ha avuto vari critici e interpreti importanti, noti anche a livello nazionale, come Giani Stuparich, il concittadino Enzo Bettiza, Stelio Crise, Claudio Magris e altri, ma in particolare il grande poeta gradese Biagio Marin, che seguì l’evolversi della poetica dell’autore spalatino. Sabato, 12 gennaio 2013 dalmazia 3 a ignorata dal vasto pubblico, autore di un vocabolario del dialetto veneto-dalmata unico nel suo genere e ultime voci italiane di Spalato Esilio Zara, il ponte Che qualcuno ritorna laggiù in quella terra mi dicono ma quale carta stradale orario ferroviario piroscafo potrebbe farmi ritrovare il gomitolo della mia città dipanarlo in una calle con il cuore che si affretta arrivare a una casa e chiamare gridare perché alle finestre invece della mamma si affacciano adesso tanti volti sconosciuti indifferenti stranieri. Luigi Miotto da “Prose e Poesie” Comunità Istriane Editore Trieste, 2006 Spalato Il suo nome è legato anche a vari studi storico-letterari, tra cui prose, antologie di racconti, come «Bisogna andarsene dall’Istria», «Sul fondo dell’Istria», «Non c’è nessuno a Pola», «Storia di un profugo e di una cartolina rossa», l’«Inedito diario di un volontario della Prima guerra mondiale», «Testi vari della storia e del folclore di Dalmazia», «Mostri e spiriti marini nelle credenze popolari dell’Alto Adriatico», «Antologia di racconti sino a Prose e poesie, edito nel 2006». Molte le conferenze, i testi radiofonici sul folclore dalmata. Da ricordare, inoltre, le composizioni di Miotto dedicate alla sua città d’adozione, Trieste, tra cui «La leggenda della Dama Bianca del castello di Duino», «La Risiera di San Sabba»... È autore, inoltre, della «Preghiera dell’uomo di mare», musicata per organo L’antico palazzo comunale spalatino Palazzo di Diocleziano, il Peristilio 4 dalm Sabato, 12 gennaio 2013 SPORT La gloriosa società zaratina fu costretta a sospendere l’attività nel 1940. Ma dopo l’esodo un Diadora, nel dopoguerra la g Una storia che parte da lontano Società dei canottieri Dalmazia, Circolo canottieri Diadora, Società di ginnastica Sokol, canottieri Jadran. È questa la storia che ha fatto di Zara una delle principali sedi del canottaggio non solo a livello croato, ma anche a quello europeo. Si tratta di una storia che parte da lontano, dal 1885, e che ha portato Zara ai massimi livelli sia europei che mondiali, ed anche a vincere medaglie olimpiche. Vediamo in breve la storia di queste gloriose società e di questo sport a Zara, le cui origini risalgono a più di 130 anni fa. di Igor Kramarsich D icono che la conquista di una medaglia olimpica porti agli sportivi tanta gloria, ma pure tanta voglia di ripetersi, e se possibile di dare di più. Nel caso del glorioso otto con della Diadora, la medaglia di bronzo di Parigi del 1924 fu sicuramente uno sprone a dare di più in questo sport, che aveva già dato loro tanto. Però il lungo viaggio verso la medaglia contribuì sicuramente a far maturare l’equipaggio dalmata e a risvegliare la consapevolezza che il canottaggio, soprattutto a quell’epoca, era soltanto un divertimento e nulla più. Un divertimento a proprie spese. Per cui se si voleva fare qualcosa nella vita, se c’era l’esigenza di sbarcare il lunario - e indubbiamente c’era - questo divertimento bisognava purtroppo metterlo in secondo piano. Questa fu sicuramente per i campioni zaratini una decisione molto difficile. FARE DI NECESSITÀ VIRTÙ Ma non c’erano vie di scampo; bisognava adattarsi alla situazio- ne e fare di necessità virtù. Magari all’inizio l’idea era quella di farsi da parte e accantonare i remi solamente per un’estate. In altre parole prendersi una pausa per poi magari continuare sulla strada seguita in precedenza. Però non fu così. Per i campioni zaratini la pausa forzata segnò la fine di una grande serie di successi conseguiti dai livelli regionali a quelli nazionali e internazionali. Però fu pure il segnale dell’inizio del declino della società, ovvero della Diadora, che fino a quel momento aveva conseguito successi entusiasmanti. A dire il vero, dopo quel ritiro imposto da cause di forza maggiore, la società proseguì con la sua attività nel corso degli anni. Ci furono delle regate, non mancò pure qualche timido successo a livelli più bassi, ma nell’insieme poca cosa. Purtroppo la Diadora non fu mai più quella dell’inizio degli anni ‘20. UN LUNGO DECLINO Il declino durò fino alla fine del percorso della società, ossia fino a quando la città di Zara rimase parte integrante del Regno d’Italia. Nel 1940o ci furono le ultime regate. Poi arriva- L’ex sede della Diadora a Zara rono la Seconda guerra mondiale e il cambio di regime, nonché di Stato. Ebbe inizio l’epoca della Jugoslavia socialista. A Zara tornò di nuovo di “moda” la Jadran, e per la Diadora ci fu l’esilio. O meglio la società fu chiusa come tantissime altre create durante il periodo italiano. Però al contrario di parecchie altre, la Diadora continuò a vivere; la pausa forzata degli anni ‘40 non segnò la fine. Infatti la società poi fu ricostruita, naturalmente in Italia. 9 LUGLIO 1961 Il giorno del ritorno in auge fu la domenica del 9 luglio 1961. La rinascita ebbe luogo ad Ancona, nelle Marche. Gli zaratini in esilio furono ospiti del glorioso Circolo Canottieri “Stamura”. Fu in questa occasione che la Diadora per la prima volta fece la sua comparsa ufficiale in mare dopo l’esodo. E fu una... signora uscita. Infatti con indosso le tradizioni maglie e con i colori sociali, gli zaratini scesero in mare con una jole a otto proprio nel luogo del loro primo grande successo. A fare parte di quella compagine furono: Simone Cattalinich, anni 72, con la maglia delle Olimpiadi del 1924; Antonio Cattalinich, anni 68; Nicolò Ledwinka, anni 62; Giulio Colombani, anni 56; Nerino Rismondo, anni 52; Silvio Fattovich, anni 50; Paolo Willenik, anni 48; Paolo Radovani, anni 42, e il timoniere Bruno Politeo, anni 41. GRANDI EMOZIONI Vedere questo equipaggio scendere in mare fece una grande impressione e risvegliò tante emozioni. Suscitò, oltre alla commozione, pure tanta ammirazione. Era questo il ritorno sulla scena pubblica di una glorioso società, con una parte dei gloriosi canottieri che avevano portato a Zara la prima medaglia olimpica. ARRIVA LA RIFONDAZIONE Quella di Ancona, naturalmente, non fu una gara contro il tempo, fu soltanto il preludio di quello che seguì. Infatti questo fu il primo passo verso la ricostituzione, o meglio la rifondazione della Diadora, stavolta in esilio. Dopo un anno, e precisamente il 30 marzo 1962, al Lido di Venezia venne convocata l’Assemblea, che sancì la ricostituzione del Circolo Canottieri “Diadora”. Fu questo kil momento della rinascita: si concretizzava la prosecuzione della storia della gloriosa società di Zara, in quanto il Circolo veniva appunto ricostituito, non fondato. E questo grazie all’entusiasmo e all’amicizia che legava alcuni canottieri veneziani ad I preparativi per la rinascita del 1916 Diadora, campione europeo del 1923 alcuni di Zara, tra cui il grande campione europeo Luigi Miller che fu il primo presidente del Circolo al Lido di Venezia. Attorno a lui si strinsero Ulisse Donati, Antonio Testa, Arrigo Zink e Silvio Fattovich. Con il primo parco imbarcazioni, disponibile grazie alla generosità delle società cittadine consorelle, si crearono le premesse per il riavvio dell’attivi- tà formativa e sportiva dei giovani, che portò nuovamente la Diadora sui campi di regata. L’USCITA CANAL GRANDE Per celebrare la risorta Diadora, il 29 settembre 1962, ospiti della vecchia fraterna società Querini, ci fu l’uscita generale in mare. Con i colori della Diadora sul Canal Grande sfilarono due jole a otto, quattro jole a quat- L’accoglienza dei campioni nel 1923 mazia Sabato, 12 gennaio 2013 5 n gruppo di entusiasti riuscì a rifondarla e oggi continua a operare a Venezia (4 e continua) grande rinascita in esilio Un percorso costellato da successi Circolo Canottieri Diadora: costituito il 30 agosto 1898 Promotori: Giuseppe Perlini, Manfredo Persicalli, Nilo Bugatto, conte Francesco de Borelli, Giorgio Wondrtch, Luigi Milicich, Giovanni Battara, Enrico de Schonfeld, Girolamo Testa, Antonio Smirich, Venceslao de Stermich, Ernesto lllich, Luigi Bauch e Pompeo Alacevich. Successi internazionali come remo italiano Olimpiadi: 1924 - Parigi: terzo posto fuori scalmo a otto con timoniere: Vittorio Gljubich, Pietro Ivanov, Simeone Cattalinich, Carlo Toniatti, Giuseppe Crivelli, Antonio Cattalinich, Francesco Cattalinich, Bruno Sorich e timoniere Latino Galasso. Campionati Europei La sede della Diadora oggi Ancona, la prima uscita della rinata Diadora tro. E su una “monotopo” il gagliardetto sociale. L’equipaggio della prima jole era composto da Luigi Miller, campione d’Europa e d’Italia; da Antonio Cattalinich, ‘el bomba’ olimpionico, campione europeo ed italiano; dal prof. Arrigo Zink, giunto appositamente da Roma; da Giulio Colombani, Antonio Perasti, Italo Be- nevenia, Bruno Politeo e Silvio Fattovich. La seconda jole a otto aveva l’armo composto da Giuseppe Krekich, Giancarlo Mel, Angelo Navarro, Luigi Testa detto “Binghe”, Giorgio Benevenia, Roberto Benevenia, Dario Zohar, nonché da un altro componente il cui nome non è stato registrato. Nella prima delle jole a quattro c’erano: Ulisse Donati, Carlo Steinbach, Nerino Rismondo, Ausonio Alacevich. La seconda jole presentava al nastro di partenza: Remo Leinweber, Italo Trigari, Paolo Radovani, Paolo Willenik. La terza jole era formata da: Guerrino Rosbowky, Leo Casolin, Bruno Buttara, Vladimiro Fekeza. E la quarta jole era composta da: Leo Detoni, Andrea Zerauschek, Francesco Cettineo, Gianni Festini STELLA D’ARGENTO E STELLA D’ORO La società è ancora attivissima e negli anni ha ricevuto quale riconoscimento di questa attività dal Coni la Stella d’argento e la Stella d’oro al Merito Sportivo. Oggi le attività sono concentrate nella promozione del settore giovanile. Nella promozione di questo sport che parte proprio dai giovanissimi e nell’ambito del quale ancor oggi la società continua a mietere successi. Oggi si fregia del nome di Circolo Canottieri Diadora - Venezia Lido, ma la storia rimane quella gloriosa dalmata, che ebbe i suoi inizi proprio a Zara. 1922 - Barcellona, secondo posto fuori scalmo a otto con timoniere: Luigi Miller, Carlo Toniatti, Francesco Cattalinich, Simeone Sofonio, Simeone Cattalinich, Alfredo Toniatti, Antonio Cattalinich, Bruno Sorich e timoniere Latino Galasso Luigi Miller, Carlo Toniatti, Francesco Cattalinich, Simeone Sofonio, Simeone Cattalinich, Alfredo Toniatti, Antonio Cattalinich, Bruno Sorich e il timoniere Latino Galasso. 1923 - Como ”Coppa di S.M. la Regina” -- jole a otto con timoniere, secondo posto Luigi Miller, Carlo Toniatti, Pietro Ivanov, Francesco Cattalinich, Simeone Cattalinich, Giuseppe Crivelli, Vittorio Gliubich, Bruno Sorich e il timoniere Latino Galasso. ”Coppa di S.M. il Re” -- fuori scalmo a otto con timonirere, primo posto Luigi Miller, Carlo Toniatti, Pietro Ivanov, Francesco Cattalinich, Simeone Cattalinich, Giuseppe Crivelli, Vittorio Gljubich, Bruno Sorich e il timoniere Latino Galasso. 1930 - Salò Jole a quattro con timoniere, quarto posto Bruno Riedlig, Giuseppe Gucchia, Ezio Boniciolli, Ulisse Donati e il timoniere Giuseppe Ziliotto. 1931 - Como Jole a quattro con timoniere, quarto posto Bruno Riedlig, Giuseppe Gucchia, Ezio Boniciolli, Antonio Leoni e il timoniere Giuseppe Ziliotto. 1923 - Como, primo posto fuori scalmo a otto con timoniere: Luigi Miller, Lista delle più importanti Carlo Toniatti, Pietro Ivanov, Simeone Cattalinich, Giuseppe Crivelli, Francesco Cattalinich, Vittorio gare vinte dalla Diadora Gljubich, Bruno Sorich e timoniere Latino Galas- 1907 - Trieste so. ’Coppa dell’Adriatico’ - jole a quattro con timoniere (matricole) 1908 - Trieste Campionati ltaliani ’Coppa dell’Adriatico’ - jole a quattro con timoniere (matricole) 1911 - Como ”Coppa del Vice Presidente” - jole a quattro con ti- 1909 - Trieste ”Coppa dell’Adriatico” - jole a quattro con timomoniere, primo posto Luigi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Sofonio, niere (esordienti), jole a quattro con timoniere (seCarlo Toniatti e timoniere Gerolamo Bogdanovich. niores) e jole a otto con timoniere (seniores) ”Coppa di S.M. Ia Regina Elena” - jole a otto con 1910 - Trieste timoniere, primo posto jole a quattro con timoniere (juniores), jole a quatLugi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Sofonio, tro con timoniere (seniores). Carlo Toniatti, Giovanni Schutz, Simeone Cattali- 1910 - Ancona nich, Alfredo Toniatti e timoniere Gerolamo Bog- ”Coppa Ancona” - jole a quattro con timoniere (judanovich. niores), ‘Coppa di S.M. il Re’ - jole a otto con tiVinsero le gare, ma non i titoli visto che erano armi moniere “stranieri” 1919 - Pola jole a quattro con timoniere (seniores) 1920 - Como 1920 - Ancona ”Coppa di S.M. la Regina” - jole a otto con timo- jole a otto con timoniere (juniores), jole a otto con niere, primo posto Luigi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Sofonio, timoniere (seniores) Carlo Tomatti, Alfredo Toniatti, Simeone Cattali- 1921.- Zara nich, Antonio Cattalinich, Francesco Cattalinich e jole a quattro con timoniere- campionati giuliani 1926 - Pola timoniere Alfredo Mazzola jole a quattro con timoniere (esordienti) 1926 - Trieste 1921 - Pallanza ”Coppa di S.M. la Regina” - jole a otto con timo- jole a quattro con timoniere (juniores) 1928 - Castelgandolfo niere, primo posto Luigi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Sofonio, jole a otto con timoniere - campionati avanguarCarlo Toniatti, Alfredo Toniatti, Simeone Cattali- disti nich, Antonio Cattalinich, Francesco Cattalinich e 1930 - Napoli il timoniere Latino Galasso. jole a-quattro con timoniere (esordienti), fuori scal”Coppa di S.M. il Re” - fuori scalmo a otto con ti- mo a quattro con timoniere moniere, terzo posto 1930 - Bari Luigi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Sofonio, jole a quattro con timoniere (juniores), jole a otto Carlo Toniatti, Alfredo Toniatti, Simeone Cattali- con timoniere nich, Antonio Cattalinich, Fransceco Cattalinich e 1931 - Napoli il timoniere Latino Galasso. ”Coppa Bosco” - jole a quattro con timoniere ”Coppa principe di Napoli” - fuori scalmo a quattro 1934 - Ancona con timoniere - juniores, terzo posto ”Coppa della Federazione” - jole a quattro con tiOliviero Petz, Giuseppe Calussi, Giuseppe Ziliotto, moniere (juniores), “Coppa Municipio di Ancona” Antonio Testa con timoniere Latino Galasso jole a otto con timoniere (juniores) 1934 - PoIa 1922 - Napoli ”Coppa di S.M. iI Re” - fuori scalmo a otto con ti- Campionati Alto Adrtatico dei G.U.F. - jole a otto con timoniere moniere, primo posto Luigi Miller, Carlo Toniatti, Francesco Cattalinich, 1936 - Abbazia Simeone Sofonio, Simeone Cattalinich, Alfredo Campionati Alto Adriatico dei G.U.F. - jole a otto Toniatti, Antonio Cattalinich, Bruno Sorich e il ti- con timoniere (secondo posto) 1939 - Abbazia moniere Latino Galasso ”Coppa di S.M. la Regina” - jole a otto con timo- Campionati Alto Adriatico dei G.U.F. - jole a otto niere, primo posto con timoniere (terzo posto) 6 dalmazia Sabato, 12 gennaio 2013 I marittimi di Perasto e Dobrota si alternano in rapida successione nell’elenco dei Ca I lupi di mare delle Bocche di Catta di Giacomo Scotti M entre la Repubblica si avvia alla sua fine, è stupefacente constatare come gli uomini di mare delle Bocche di Cattaro si alternano in rapida successione nell’elenco dei Cavalieri di San Marco. Fatte pochissime eccezioni, infatti, dai primi decenni del Settecento in poi i Bocchesi sono sempre più presenti nei registri del cavalierato di uno Stato che sparirà dalla carta geografica e politica dell’Europa tre anni prima della chiusura del XVIII secolo. Ai Perastini Bane, Bronza e Giocca, a Marco e Giuseppe Ivanovich di Dobrota e ad Antonio Zerman di Perzagno, si aggiungeranno nella seconda metà del secolo Nadal Radimiri di Dobrota e Matteo Ballovich di Perasto. Con loro ci saranno ancora due dalmati dei quali si ignora la piccola patria nella più grande di San Girolamo e un istriano. Quest’ultimo capitolo è dedicato a loro. IL VENTENNE RADIMIRI Cominciamo con Nadal Radimiri di Dobrota, capitano della tartana “Madonna della Salute e San Francesco di Paola”. Fu nominato Cavaliere con decreto del Senato 10 dicembre 1757 su segnalazione dei Cinque Savi alla Mercanzia, e confermato con Privilegio del doge Loredan del 14 giugno 1758. Degno della “dispensa del premio” destinato a “chi ne ha il diritto di conseguirlo per qualche distinta attione di buon servittio” fu ritenuto per aver strappato ai corsari un bastimento mercantile napoletano che era stato catturato nelle acque di Dulcigno (Ulcinj) da due galeotte tripoline. GALEOTTE TRIPOLINE All’epoca il Radimiri aveva solo vent’anni di età. Dunque “dirigendo la Tartana Madonna della Salute e San Francesco di Paula con Veneta Bandiera, il Capitan Nadal Radimiri” Cartina geografica delle Bocche di Cattaro scoperse nelle acque di Dulcigno le due galeotte che avevano fatto preda del “Bastimento Napolitano denominato Marticano, con carico mercantile”, per cui decise di correre in suo aiuto e liberarlo. Lo fece, si legge nel Privilegio, “volontariamente, per solo istinto di valore ereditato dai suoi maggiori sempre segnalatisi né più difficili incontri”, ed “intraprese la recupera del Bastimento medesimo”. FUOCO Il “coraggioso attentato” gli riuscì “con aver battute e fugate le due galeotte corsare nonostante che fossero di gran lunga superiori di forze, e con aver espugnata poi la guarnigione (l’equipaggo) tripolina, che s’era impossessata del legno predato”. Il Nemico tentò pure di distruggere il bastimento napoletano appiccandogli il fuoco, ma il Radimiri riuscì ad estinguerlo, “senza alcu- na riserva al grave pericolo a cui si (es)poneva”. BANDIERA AMICA Il testo del Privilegio continua, a commento dell’impresa: “Tanto avendo operato in una così completa vittoria nella prima sua età di circa 20 anni con raro esempio di coraggio e costanza nel sanguinoso conflitto, posponendo la propria vita e le sostanze di sua famiglia (il mercantile era di suo padre) all’impaziente zelo di così prode azzardo con onore di Veneta Insegna, e con tanto vantaggio di Bandiera amica, consegnando con animo grande il Bastimento recuperato e (il) suo carico a chi per proprietà apparteneva, cosicchè il Senato Nostro, rilevando un fatto di tanta importanza e di circostanze così singolari…” eccetera, decreto, “di decorare l’accennato Capitan Nadal Radimiri” col fregio e il titolo di Cavaliere di San Marco. In quell’epoca fu fatto cavaliere anche un non meglio identificato Giovan Maria Pedretti capitano della nave “San Zaccaria” e di altri legni, per avere affrontato vittoriosamete i corsari nelle acque di Malta nel 1747, nelle acque di Cerigo (Kìthira) nel 1752 e nello specchio di mare tra Modone e Navarino nel 1756. Molto probabilmente anche il Pedretti era un dalmato, ma non ne siamo sicuri, i documenti non indicano alcuna appartenenza, se non quella di suddito della Serenissima. MATTEO BALLOVICH All’epoca del doge Alvise IV Mocenigo risale invece l’impresa del Conte Matteo Ballovich di Perasto, capitano della nave “Tolleranza”, figlio di Cristoforo, insignito del titolo di Cavaliere di San Marco con Privilegio del 1767, lo stesso anno in cui sostenne un combattimento contro un legno corsaro. Purtroppo il testo del Privilegio non si è conservato e non si hanno notizie sulla sua investitura. Esistono soltanto un suo ritratto, conservato presso il Museo Marittimo di Paresto, nel quale il conte sfoggia l’insegna del Cavalierato. Dagli elementi in possesso del Museo, il conte capitano Ballovich del fu Cristoforo nacque nel 1713 e si spense nel 1794. Da parte nostra aggiungiamo che navigò i mari per quarant’anni e fu autore di alcuni testi sulla navigazione per il Nautico di Perasto, scritti in italiano. GIOVANNI MECCHIAVICH Il 26 settembre 1786, all’epoca del doge Paolo Renier, l’ordine di Cavaliere di San Marco fu assegnato al Capitano Giovanni Mecchiavich del quale si sa soltanto che era dalmato, armatore e comandante della polacca Madonna di Marina battente insegna veneta. Nel Privilegio firmato dal doge su decreto del Senato del 21 settembre, si dice che il suddetto capitano si rese “degno di onorevole rimostranza” per il valore dimostrato in uno scontro con un legno corsaro di di Dulcigno probabilmente quello stesso anno: “… Giovanni Mecchiavich fu Capitano della Veneta Polacca Madonna di Marina, lorchè incontrato un grosso Sciambecco Dulcignotto superiore molto nel numero e nella forza”, e da quello “aggredito, si oppose intrepidamente all’attacco, e per ben due ore lo sostenne, finché perduta ogni difesa, fu costretto di cedere agli sforzi del Pirata, e ne vennero in seguito quelle dolorose vicende insuperabili da così fatale funesto infortunio” e ciò la schiavitù e le sofferenze patite fino a quando non venne riscattato. Il documento, però, non ce ne parla. Aggiunge soltanto che nel concedere l’onorificenza di Cavaliere al capitano Mecchiavich, oltre al valore dimostrato nello scontro ed alle sofferenze subite, si tenne conto anche “delle benemerenze di sua Famiglia”. E ANCORA CORSARI Porta la firma del doge Renier anche il Privilegio del 28 aprile 1788 con I fedelissimi di San Marco Anticamente riportato come l’unica onorifi cenza equestre, il Cavalierato di San Marco era indubbiamente uno degli ordini più importanti della storia della Repubblica di Venezia. Esso variava perlopiù d’importanza e considerazione pubblica a seconda che fosse maggiore o minore l’autorità per decreto della quale veniva concesso, cioè che la deliberazione di nomina provenisse dal Maggior Consiglio, dal Senato o dal Doge. La funzione di consegna del collare dell’Ordine si compiva o nel Pien Collegio o nelle stanze private ducali. I Cavalieri, in ogni modo, venivano sempre armati dal Capo della Repubblica, che toccava loro le spalle con uno spadone pronunciando le seguenti parole: “ESTO MILES FIDELIS”. Successivamente, se al decorato era stato decretato il dono di una collana d’oro (anch’essa simbolo dell’Ordine), questa gli veniva posta al collo dal Doge stesso. I Cavalieri di San Marco potevano portare, come tutti i cavalieri d’ogni parte del mondo, la spada, gli speroni d’oro, la cappa rossa (con ricamata sulla spalla la croce bianca dalle punte biforcate) e la cintura dorata. Ai patrizi era concesso di portare una stola dorata sopra la cappa. Nessuno però a Venezia adottava questi contrassegni. Il cavalierato non era ereditario. L’insegna dell’Ordine era costituita da una medaglia d’oro caricata dal leone di San Marco, nimbato e accovacciato, con la testa posta di fronte, che teneva con le zampe anteriori un libro aperto su cui spiccavano le parole in lettere maiuscole romane PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS. Nel caso dei patrizi, questi nelle occasioni uffi ciali non potevano portare la medaglia, ma indossavano una stola dorata, che per l’appunto li faceva defi nire “Cavalieri dell’Ordine della Stola d’Oro”. Nel nostro caso ci interessano i Cavalieri di San Marco originari dell’Adriatico orientale, in particolare della Dalmazia. Furono numerosi, fedeli alla Serenissima e si conquistarono il Cavalierato... sul campo. Riportiamo le loro gesta... I bocchesi per secoli hanno combattuto a fianco della Serenissima dalmazia 7 Sabato, 12 gennaio 2013 avalieri di San Marco (6 e fine) aro ultimi alfieri della Serenissima il quale, a conferma del decreto 23 febbraio 1787 del Senato, Cavaliere di San Marco fu nominato l’istriano di Cittanova Benedetto Adorno, capitano marittimo. Il documento offre una rapida descrizione del fatto senza indicare le acque in cui avvenne. Veniamo comunque a sapere che l’Adorno si rese “degno di onorevole rimostranza” per essere sfuggito alla cattura dei pirati del mare, battendosi valorosamente contro una loro nave, mettendola in fuga e riuscendo a liberare addirittura un altro legno veneto che stava per diventare preda dei corsari. ZELO Nell’originale: “Diede prove del suo zelo e coraggio battendosi con un legno Corsaro nemico, dalla fuga del quale ne derivò il merito di sottrarre altro legno suddito già disarmato e in evidente pericolo di restar preda dei Barbari”. Tutto ciò “diede motivo al Senato” – di proporlo al titolo di cavaliere. DEMETRIO GIANCOVICH L’ultimo cavaliere di San Marco, e l’unica investitura di cavalierato nel dogado dell’ultimo doge della Serenissima repubblica di Venezia, Lodovico Manin con Privilegio del 9 giugno 1782 fu ancora fu ancora un dalmato: il capitano marittimo Demetrio Giancovich, del quale però non vengono indicati il luogo di nascita né il nome del legno da lui comandato. Nel testo del privilegio, che conferma un decreto del Senato emesso lo stesso anno e mese, una settimana prima (2 giugno) si legge: “Si rese degna di particolar distinzione la capacità, e il valore del capitano Demetrio Giancovich, che con piccola polacca armata di solo dodici uomini ressistè ad un sciambecco tunisino di duecento persone di equipaggio, ed armata di venti pezzi di cannone, benchè poi sopraffatto dal numero riportasse diverse ferite, tanto esso che tutto l’equipaggio, due dei quali mancarono anche di vita, abbia dovuto cedere alla sproporzione delle forze nemiche”. POLACCA DALMATA Come si può vedere, la piccola polacca dalmata, il suo equipaggio e il capitano furono alla fine sopraffatti, con la morte di due uomini e il ferimento di tutti gli altri. Ma il loro valore fu grande. La strenua resistenza opposta agli assalitori, infatti, “costò la vita a cinquanta de’ nemici e quaranta restarono feriti”. Fatto prigioniero con i suoi uomini, Demetrio Giancovich subì una dura schiavitù dalla quale poté essere liberato con “un pesante dispendio per il riscatto della propria persona (e) del bastimento”. Non sempre di deve vincere per essere eroi. ALVISE VISCOVICH Peccato che dopo la caduta della Serenissima repubblica di Venezia, cancellata da Napoleone, non sia rimasto almeno l’Ordine dei Cavalieri di San Marco. Lo avrebbe meritato, per esempio, il comandante di quegli “Schiavoni” che la difesero disperatamente fino all’ultimo contro le truppe francesi; il loro fu l’ultimo fatto d’arme a difesa della Serenissima: lo scontro navale e con il vascello francese Liberateur d’Italia che nello specchio d’acqua antistante il Lido fu “vittoriosamente fermato” da una galeotta comandata dal capitano Alvise Viscovich, composta da marinai delle Bocche di Cattaro. Il loro comandante era il fratello di Giuseppe Viscovich, Capitano-podestà di Perasto che presto incontreremo. TI CON NU, NU CON TI Ricorda lo storico Praga: “Soltanto i marinai bocchesi al Lido, quasi di propria iniziativa, il 9 aprile (1797) Cattaro: un baluardo della Repubblica di Venezia si buttarono all’arrembaggio di una nave francese che, in dispregio di San Marco, aveva osato forzare il porto interno. Il mattino del 12 maggio le cernide vennero reimbarcate. Lo stesso giorno, sotto la pressione napoleonica, il Gran Consiglio abdicava”. C’è un solo errore: lo scontro ebbe luogo non il 9 ma il 20 aprile. “C’era ancora nell’aria il botto dei fucili dei fedelissimi Schiavoni allontanatisi a malincuore dal Palazzo Ducale” scriveva un altro storico, nostro contemporaneo, M. Isnenghi, nella postfazione al volume “La Grande Venezia” uscito a Venezia nel 2002. Oltre al capitano Alvise Viscovich, avrebbe meritato l’Ordine di Cavaliere di San Marco e qualcosa di più anche suo fratello Giuseppe che nella sua qualità di ultimo Capitano di Perasto, nell’atto di deporre il gonfalone di San Marco sotto l’altar maggiore della chiesa parrocchiale della sua città, alla quale per secoli era stato affidato il compito di custodire e difendere il vessillo di battaglia della nave ammiraglia della Serenissima, il 23 agosto le rivolse l’ultimo saluto. “Interpretando l’animo di tutti i dalmati”, tenne un discorso che ancora oggi commuove chi lo legge. Cominciava così: “In sto amaro momento, che lacera el nostro cor, in stoultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, al Gonfalon de la Serenissima Repubblica, ne sia de conforto, o cittadini, che la nostra condotta passada e de sti ultimi tempi, rende non solo più giusto sto atto fatal, ma virtuoso, ma doveroso per nu. Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l’Europa, che Perasto ha degnamente sostenuto fin a l’ultimo l’onor del Veneto Gonfalon, onorandolo con sto atto solenne, e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto (…)”. Ed ecco un altro brano: “Per trecentosettantasette anni le nostre sostanze, el nostro sangue, le no- Bocche di Cattaro: una storia tormentata stre vite le xe stae sempre per Ti, o San Marco; e fedelissimi sempre se avemo reputà Ti con nu, nu con Ti; e sempre con Ti sul mar nu semo stati illustri e vittoriosi. Nissun con Ti ne ha visto scampar, nissun con ti ne ha visti vinti e spaurosi!(…)”. EMBLEMATICO L’ULTIMO BRANO “Ma za che altro non ne resta da far per Ti, el nostro cor sia l’onoratissima to tomba, e el più puro el più grande to elogio le nostre lagreme!”. Nessun doge aveva mai scritto un elogio così alto nei testi dei Privilegi, come quello scritto dai più arditi marinai dalmati per la morte nemmeno tanto gloriosa della Serenissima. LAPIDE SULLA RIVA DEGLI SCHIAVONI Venezia, comunque, non ha dimenticato i suoi antiche cavalieri e i discendenti di quei 12.000 dalmati che formavano le Cenidi ovvero i reggi- menti “schiavoni” giunti a Venezia dall’opposta sponda dell’Adriatico nel 1797 per la sua difesa, e che nel maggio di quell’anno furono costretti ad abbandonare la città su ingiunzione di Napoleone. In occasione del bicentenario di quella data “tremenda” nel 1997, sulla Riva degli Schiavoni fu collocata una lapide con il seguente testo: “Su questa riva i valorosi soldati schiavoni/ decisi a difendere Venezia/ costretti da ingiunzione straniera ad abbandonare la città/ espressero pubblicamente i plurisecolari legami di fedeltà/ che univano la Dalmazia alla Repubblica Veneta”. DALMATI FEDELISSIMI Sul sagrato della chiesa di San Nicolò fu inaugurata un’altra lapide che dice: “ Il 20 aprile 1797/ all’entrata del porto del Lido/marinai delle Bocche di Cattaro/ comandati dal Capitano Alvise Viscovich/ reagirono vittoriosamente/ alla provocazione navale francese/ testimoniando la fedeltà dei Dal- mati a Venezia/ Ultimo fatto d’arme della Serenissima”. Ai lati dell’iscrizione, a mo’ di firma, si leggono: “Ti con nu” e “Nu con ti”, l’espressione usata da Giuseppe Viscovich nel discorso di saluto al gonfalone. VALOROSI DIFENSORI Oggi Venezia è città gemellata con Perasto e Cattaro, e ogni anno, nel giorno della Festa della Sensa che ricorre in maggio, celebra il “Gemellaggio Adriatico” con i Bocchesi. Ogni anno, dal 2005, nel mese di maggio arrivano a Venezia gli eredi degli ultimi e valorosi difensori della Serenissima vestendo le uniformi dell’antichissima “Marinarezza Bocchese” forse la più antica confraternita marinara del mondo, splendenti costumi nerooro del Settecento. Tornano ogni anno nei luoghi simbolici della fratellanza italo-slava sull’Adriatico: Piazza San Marco, San Nicolò del Lido, l’Arsenale, la Riva degli Schiavoni. 8 dalmazia Sabato, 12 gennaio 2013 Accordo di gemellaggio per rafforzare la collaborazione tra le due sponde dell’Adriatico Insieme Lesina e Santa Maria di Sala G emellaggio. A sentire il termine si pensa subito a un parto plurimo, a fratelli molto legati l’uno all’altro. Dalla sfera umana il termine è stato preso a prestito per segnalare due città o comuni che, seppure divisi da confini politici, hanno deciso di unire le proprie forze per condividere idee, linee di pensiero, progetti, costruire un ponte ancora più saldo per (ri)avvicinarsi e prosperare vicendevolmente. INTERESSE CULTURALE Negli ultimi anni i gemellaggi tra le città croate e quelle italiane si verificano con sempre più frequenza, promossi dal riannodarsi dei fili tra chi è rimasto sulla costa orientale dell’Adriatico e chi invece ha attraversato il mare comune. Fondamentale è pure l’interesse culturale dimostrato dagli italiani nei confronti delle ampie testimonianze di una storia comune presenti in Dalmazia e lungo tutto il litorale croato. Naturalmente, anche se in forma un po’ minore, questo interesse è risvegliato dalle possibilità di collaborare sul piano economico, che sono.tutt’altro che indifferenti. AMICIZIA E COOPERAZIONE Due località che hanno stipulato un “accordo” di questo tipo sono Lesina (Hvar) e Santa Maria di Sala. Il documento è stato sottoscritto l’11 luglio del 2009, dopo una serie di incontri reciproci iniziati nel 2008 e l’espletamento di una serie di pratiche. Ad apporre la propria firma sull’intesa sono stati i sindaci Pjerino Bebić e Paolo Bertoldo. Da quella cerimonia ufficiale - ma anche da prima a dire il vero - c’è stato tutto un susseguirsi di incontri, visite e scambi di segnali significativi del sentimento di amicizia che si andava fortificando fra i partecipanti delle due parti a questa iniziativa comune. L’atmosfera creata dal gemellaggio e le aspettative di tutti i protagonisti, permettono di “leggere” con spirito nuovo diversi avvenimenti recenti, come la celebrazione della giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate che si è svolta a Spalato il 04 novembre del 2012 alla presenza del console italiano Paola Cogliandro nel capoluogo dalmata, del viceconsole Giuseppe de Luca e di una folta rappresentanza della Comunità degli Italiani di Spalato, guidata dal presidente Damiano Cosimo D’Ambra, dalla vicepresidente Giovanna Asara e dalla segretaria Antonella Tudor Tomas, referente per la Dalmazia del progetto Lesina e figlia del dott. Tudor. RESTAURO DELLA LOGGIA Come non ricordare pure la collaborazione con gruppi di stu- denti della Scuola di Restauro ENGIM di Vicenza e DIEFFE di Padova, i quali, grazie all’accordo stipulato da Alessandra Tudor, anch’essa figlia del dott. Tudor, a nome della Comunità degli Italiani di Lesina e grazie al supporto della Comunità stessa e del Comune di Lesina (Hvar), stanno lavorando alla ricognizione per il successivo restauro della Loggia e di altri edifici storici. LA CERIMONIA DI SPALATO Non va dimenticata nemmeno l’inaugurazione della ristrutturata sede della Comunità di Italiani di Spalato, all’interno del Palazzo di Diocleziano, avvenuta il 25 novembre del 2012, alla presenza del titolare del Consolato Italiano di Spalato, Paola Cogliandro, di una qualificata rappresentanza degli esuli, ovvero dei dalmati italiani nel mondo, delle Comunità degli Italiani di Zara e Lesina, nonché degli esponenti dell’Unione Italiana e dell’Università Popolare di Trieste. All’inaugurazione della sede del sodalizio spalatino era presente anche, quale invitata d’onore, una delegazione della neonata Associazione “Lesina”, con a seguito una rappresentanza dei Cavalieri di San Marco. Dopo l’avvio della collaborazione e il gemellaggio fra Santa Maria di Sala e Lesina (Hvar), con la firma dell’intesa fra le rispettive amministrazioni comunali, sotto il Patro- Lesina e Santa Maria di Sala puntano a una stretta collaborazione cinio della Regione Veneto, ora si sta procedendo sulla strada del rafforzamento della cooperazione. Si punta a mettere a frutto le motivazioni fondamentali del gemellaggio, cioè lo sviluppo dei rapporti socioculturali e di collaborazione in campo economico e imprenditoriale fra la Regione Veneto e la Croazia, specificatamente le aree dell’Istria, del Quarnero e della Dalmazia. L’ASSOCIAZIONE «LESINA» Per meglio sviluppare la collaborazione e conseguire gli obiettivi di cui sopra, è stato ritenuto opportuno fondare un’Associazione senza fini di lucro, denominata “Lesina”. L’Associazione, di cui fanno parte i protagonisti del gemellaggio, è retta da un direttivo, composto dal presidente, nella persona dell’ex sindaco Paolo Bertoldo, dal vicepresidente Angelo Pegoraro, dal consigliere diplomatico Matteo Tudor, dal segretario Cristian Novello e dai membri Primo Bertoldo, Ugo Cavallin e Gianni Giordan. PROMOZIONE DELL’INTERSCAMBIO Il presidente Paolo Bertoldo, nel suo intervento durante la festa per l’inaugurazione della restaurata sede della Comunità Italiani di Spalato, ha sottolineato che “l’Associazione ambisce a diventare un luogo di promozione e coordinamento dell’interscambio tra l’Italia e le regioni litoranee della Croazia”. In particolare, si prefigge di operare non soltanto in ambito culturale, ma anche e soprattutto in campo economico-commerciale, al fine di divenire un punto di riferimento per quanti - privati o imprese - intendano condividere la volontà dell’Associazione di rafforzare i rapporti tra i due Paesi. “Constatiamo – ha proseguito Paolo Bertoldo –, come sovente le aziende italiane, che pure dimostrando grande interesse per la Croazia, rinuncino ad approfondire i propri progetti di investimento a causa delle difficoltà a rapportarsi con le autorità locali o a reperire l’appoggio di intermediari affidabili. Il nostro intendimento è proprio quello di superare tali criticità, mettendo a disposizione degli interessati il nostro know-how tecnico e linguistico e la nostra rete relazionale che abbiamo costruito in questi anni a seguito del gemellaggio”. PRESENZA VENETA “Ritengo – ha concluso Bertoldo –, che l’intensificarsi degli scambi culturali e commerciali possa costituire un vettore di fondamentale importanza per valorizzare e rafforzare la presenza veneta in quelle terre, anche perché nel luglio del 2013 la Croazia entrerà a pieno titolo nell’Unione europea, il che favorirà ulteriormente la libera circolazione delle persone e lo sviluppo del libero mercato”. Anno VIII / n. 74 del 12 gennaio 2013 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat Edizione: DALMAZIA Redattore esecutivo: Dario Saftich / Impaginazione: Teo Superina Collaboratori: Ilaria Rocchi, Giacomo Scotti e Igor Kramarsich