Accordo di gemellaggio per guardare al futuro
Insieme Lesina e Santa Maria di Sala
LA VOCE
DEL POPOLO
IL PROLOGO
Nazionalità dalmata
e retaggi ottocenteschi
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Pagina 8
dalmazia
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74 • Sabato, 12 gen
di Dario Saftich
In Istria e Dalmazia i dati dell’ultimo censimento della popolazione hanno registrato
un incremento dell’identificazione regionale. Se questa è forte nella penisola della capra lo stesso non si può dire per l’area dalmata. Ma in quest’ultimo caso si parte praticamente da zero, almeno per quanto riguarda i tempi moderni. Il fatto stesso che al rilevamento 702 cittadini abbiano dichiarato nazionalità dalmata è pertanto eclatante. Un segno del risorgere di un sentimento nazionale presente nell’Ottocento? Lo dirà il tempo.
Ma perché questa differenza tra Istria e Dalmazia, anche se lo spirito dalmata è sempre vivissimo? Le radici vanno ricercate nella fortissima contrapposizione nazionale ottocentesca, nella battaglia che i fautori dell’identità croata hanno combattuto (e vinto)
nella seconda metà dell’Ottocento contro gli autonomisti, ovvero i sostenitori dell’identità dalmata. E siccome tra questi ultimi la presenza dei dalmati di lingua italiana era
tutt’altro che trascurabile questa battaglia ha finito per trasformarsi in un braccio di
ferro nazionale, anche se questa inizialmente non era affatto l’intenzione del movimento autonomista nel suo insieme. Lo storico zaratino Giuseppe Praga rilevava che dopo il
1866, ovvero dopo la battaglia di Lissa, l’italianità in precedenza rispettata in quanto carattere distintivo di un popolo dell’impero, era condannata alla distruzione. In tali condizioni, aggiungeva Praga, “l’autonomismo perdette ogni fondamento: dopo il ’70 diventa vana parola pronunciata soltanto per non alienarsi le masse dalmate slave ancora
fedeli alle tradizioni di convivenza con il popolo italiano”. In una situazione di squilibrio
sempre più evidente tra le due lingue del territorio, l’autonomismo è dunque un’arma
spuntata se l’obiettivo è quello di difendere l’antico retaggio culturale della regione e
mantenere, seppure in maniera flebile, in vita l’italiano. Le minori possibilità di affermazione dei programmi autonomisti tendono, pertanto, a favorire indirettamente una
maggiore caratterizzazione nazionale dei dalmati di lingua italiana. In un discorso del
1886 Antonio Bajamonti affermò che quando l’italiano “fu fatta segno a codarde vessazioni, quando fu tolto dal campo della pubblica istruzione, quando lo si volle bandire dai
pubblici uffici, – allora necessariamente, non per soperchiare i nostri fratelli slavi ma
solo per salvarla, abbiamo dovuto proclamarci italiani: dirci semplicemente dalmati di
coltura italiana, come alcuni consigliavano, a non dare occasione a insinuazioni sleali,
sarebbe stato invece un errore che non ci avrebbe risparmiato la taccia di irredentismo
e che avrebbe vieppiù solleticato certi istinti polizieschi”. Lo Statuto, concludeva Bajamonti riferendosi all’organizzazione asburgica, “garantisce eguali diritti non alle colture, notate bene, ma alle nazionalità dell’Impero e, pertanto, se vi dite soltanto di coltura
italiana e se quindi ripudiate la nostra nazionalità dovrete subire rassegnati quella assi-
milazione che vi si vorrebbe imporre”: ricordate invece che fino a tanto che saremo, non
quali siamo 70 o 80mila italiani… ma 40-30-20-10mila, 1.000 soltanto, avremo sempre
il diritto di invocare le disposizioni dell’art. 19 dello Statuto”. Sembrano ragionamenti
fatti oggi questi ultimi: le logiche nazionali impongono la conta, non accettano le identità regionali miste. Se queste ultime non vogliono soccombere devono adeguarsi alla
logica nazionale, schiava dei numeri. Ragion per cui a ogni appuntamento con i censimenti le minoranze, tra cui la comunità nazionale italiana, sono costrette a fare quadrato. E le vicissitudini dalmate di oltre un secolo a difesa dell’italiano assomigliano pericolosamente a quelle istriane e fiumane di oggi.
Le vicissitudini del passato hanno influito, dall’altro lato, sullo spirito della popolazione maggioritaria, la quale risente ancor oggi delle remore dell’epoca. Il “peccato
originale” della presenza dell’autonomismo, ovvero del regionalismo ottocentesco, la
costringe spesso su posizione di difesa rispetto ai croati della Croazia continentale, con
i quali finisce a volte per gareggiare in croaticità.
2 dalmazia
Sabato, 12 gennaio 2013
Se n’è andato con gli ultimi giorni del 2012 un grande studioso, la cui opera è purtroppo in parte ancora
Addio a Luigi Miotto, una delle
H
a portato sempre nel cuore
la sua Dalmazia, terra complessa, dalle tante sfaccettature, Luigi Miotto, poeta, scrittore, storiografo, con Enzo Bettiza il
più noto autore spalatino di lingua
italiana. È suo, tra l’altro, un prezioso vocabolario del veneto-dalmata, contenente circa cinquemila parole dialettali trattate in un contesto
fraseologico, con proverbi, modi di
dire, canzonette popolari, e ricette
di cucina. Miotto se n’è andato con
gli ultimi giorni del 2012 a Trieste,
dove aveva trovato una nuova “pa-
tria”. Appartenente a una famiglia
italiana spalatina di antiche origini, i
suoi saggi, la sua prosa e i suoi versi
hanno sempre ricordato una regione che, purtroppo si è praticamente
estinta, e vive ormai solo nella memoria dei suoi abitanti più anziani,
degli esuli in primis. Nostalgie, rimpianti, ma senza astio, senza recriminazioni. Miotto ha sempre rievocato l’amata città veicolando nella
sua produzione “un messaggio nobile, privo di ira e di odio, e che invece invoca gli echi lontani permeati di umanesimo”, come ebbe modo
Nato nella città di Diocleziano il
1.mo novembre 1924, è morto a
Trieste il 23 dicembre 2012. È
stato un poeta delicato, saggista
erudito, scrittore e storiografo di
grande spessore umano e culturale
Il suo lavoro più noto e apprezzato
Nel novembre 1984 la casa
editrice LINT di Trieste diede
alle stampe la sua opera più nota
ed apprezzata, il “Vocabolario del
dialetto veneto-dalmata”, di 233
pagine, ricche di storia e di ricordi della Dalmazia, che lo faranno
conoscere ed apprezzare dai dalmati in Italia e nel mondo. Il vocabolario di Miotto prende in esame oltre cinquemila lemmi con
riferimenti alla matrice veneta e
con le registrazione dei prestiti
linguistici italiani e croati. Frutto di una lunga e continua ricerca, l’autore aveva concesso che
il frutto di questa sua indagine e
analisi fosse pubblicata a puntate
su “La Rivista Dalmatica”
Visto il successo, il lavoro
avrà una successiva edizione nel
1991, di 246 pagine, pure questa
ormai esaurita, con tanto di presentazione del professor Manlio
Cortellazzo (1918 – 2009), decano degli etimologisti e dei dialettologi italiani, professore emerito di Dialettologia italiana presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Padova.
di dire Mladen Čulić-Dalbello qualche anno fa, quando l’opera del nostro fu presentata a Spalato, nell’ambito dell’ottava edizione della Settimana della lingua italiana nel mondo, nell’autunno del 2008. Erano
state l’Unione Italiane e l’Università Popolare di Trieste – con il coinvolgimento dell’autorità consolare e
delle locali Comunità degli Italiani,
ma soprattutto con il grande apporto scientifico della professoressa Irene Visintini – a rispolverare e omaggiare – e ciò nei luoghi che lo hanno visto nascere e formarsi, Spalato e
Zara –, il profilo del grande studioso
dalmata, autore ahimé troppo spesso
ignorato dal grande pubblico.
Di famiglia italiana stabilitasi a
Spalato agli inizi dell’Ottocento, Luigi Miotto nacque il 1.mo novembre
del 1924 nella città di Diocleziano, e
qui terminò le scuole elementari italiane; quindi passò a Zara, dove frequentò il Ginnasio e Liceo “Gabriele
D’Annunzio”. Poi la cesura storica e
nella vicenda personale. La Seconda
guerra mondiale, la disfatta italiana
e una questione adriatica che si trascinava da tempo e che avrà come
epilogo l’annessione della Dalmazia
alla Jugoslavia, lo videro esule, come
tanti suoi connazionali, come tanti
altri dalmati all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Miotto si stabilì a Trieste, dove nel 1944
conseguì la maturità classica al Liceo
Classico “Francesco Petrarca” – nello stesso anno fece parte della Guardia Civica istituita per la difesa della
città – e nel 1947 la laurò in Filosofia alla Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Ateneo tergesteo.
Apprezzato e appassionato poeta,
ricercatore e storico della sua Dalmazia e della sua Spalato, cui dedicò tutto il suo interesse di uomo di lettere
e di cultura, la carriera professionale di Miotto si articolò in vari campi,
in particolare in quello didattico. Dal
1947 al 1949 fu sovrintende alla biblioteca della Scuola di assistenti di
colonia montana dell’Opera Figli del
Popolo di Trieste. Col patrocinio della San Vincenzo de’ Paoli, dal 1958
al 1962 promosse e guidò corsi sperimentali di lingue (inglese, tedesco,
francese), disegno e meccanica per
Ritratto in prosa e versi di un mondo quasi mitico
“Prose e poesie”, questo il titolo del libro edito nel 2006 dall’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste (141 pagine) e in cui,
in ordine cronologico, si propongono testi di Miotto già apparsi sul
quindicinale “Voce giuliana” – ora
“La nuova voce giuliana” –, dal
1974 in poi. Si tratta di una cinquantina di prose, più o meno brevi, cui si aggiungono quattordici
intense poesie: i testi in prosa tramandano il ricordo della vita comunitaria, un patrimonio di usi e
costumi, un percorso interessante,
spesso drammatico. Versi, notizie,
curiosità, dettagli e colori, sentimenti intensi rendono questa pubblicazione una lettura gradevole e
interessante. Nelle sue pagine – liriche, narrative e saggistiche, in
poesia e in prosa –, ha descritto la
regione natia con una straordinaria
accuratezza e sensibilità, elevandola alla dimensione del mito.
Il volume si apre con un capitolo dedicato a una Dalmazia prostrata dalla “morte nera”, quella peste che per secoli, e ancora
quasi fino ai primi anni dell’800,
si abbattè su questa terra, sulle sue
strutture socio-economiche, determinando partenze e arrivi di genti.
Si prosegue con un ricordo nostalgico della Dalmazia Veneta: una
terra leggendaria, ma tormentata nelle sue vicende storiche, crogiolo ora armonioso ora conflittuale, di culture e di popoli, dalla
plurisecolare, indelebile impronta
veneziana. Una terra folcloristica, alle volte irriverente, ma sempre austera, religiosa, ancorata alle
sue tradizioni, con le famiglie che
si riuniscono a tavola, vero centro
affettivo di ogni casa, in cui c’era il
rispetto delle persone e delle cose.
In questa terra Miotto ha trascorso
l’infanzia e la giovinezza ed è forse anche per questo – oltre che per
riflesso della sua tragedia di esule – che l’ha rievocata così: come
un luogo più mitico che geografico, vissuta, goduta, e poi sognata
e perduta. Il proposito dell’autore
è quello di descrivere le bellezze
paesaggistiche della Dalmazia, ma
soprattutto quello di narrare l’autenticità del popolo dalmata di un
tempo, la sua quotidianità, espressa con ricchezza di dati significativi e sentimenti di viva parteci-
pazione, tra lo struggente ricordo
del passato e l’amarezza e la rassegnazione del presente.
Un profilo di Miotto ci è stato
fornito nel corso di alcune conferenze organizzate da UI – UPT a
Zara e Spalato, dalla professoressa Irene Visintini di Trieste, critica
e storica della letteratura da sempre attenta e raffinata studiosa delle opere di autori giuliano-dalmati. La prof.ssa Visintini si è occupata in modo approfondito soprattutto della poesia di Miotto, una
produzione che definisce “ricca di
risvolti psicologici, di trasfigurazioni paesaggistiche”, in cui il poeta esule “ricostruisce lentamente
i frammenti dell’originaria totalità frantumata e perduta del suo
mondo dalmata, i lontani luoghi
che ne ricompongono l’immagine,
delinea i ritratti luminosi della terra e del mare dei suoi avi, i volti
dei personaggi di una piccola patria non più sua, che non rivedrà
mai più”. Sono righe pervase da
una struggente nostalgia, che pare
“stemperarsi quasi in un addio alla
vita fin dagli anni giovanili – rileva la Visintini –, nonostante l’ap-
favorire l’istruzione dei detenuti del
carcere cittadino del Coroneo. Docente di italiano e storia, nel 19491950 insegnò all’Istituto di avviamento commerciale di Erba, nell’Alta Brianza, in Provincia di Como, e
nel 1950-1951 alla Scuola di avviamento alberghiero della vicina Menaggio. Dal 1951 al 1954 lo troviamo all’Istituto di avviamento industriale di Muggia, e dal 1954 al 1957
all’Istituto professionale femminile
di Trieste. Nel 1957 cominciò a insegnare all’Istituto Tecnico Commerciale di Bolzano e dallo stesso anno
al 1959 all’Istituto Tecnico Industriale “Alessandro Volta” di Trieste,
mentre dal 1960 al 1984 fu docente
di italiano e storia all’Istituto Tecnico Nautico triestino, di cui curò l’Annuario, e presso il quale riorganizzò
la biblioteca, promuovendo varie
forme di partecipazione degli studenti alla vita dell’Istituto e, più in generale, culturale, allestendo mostre
di fotografia artistica e modellismo
navale. Proprio curando l’inventario
della biblioteca del Nautico, rinvenne un manoscritto settecentesco di
padre Orlando, fondatore della famosa scuola nautica triestina.
Autore, di numerose raccolte di
poesie, cominciò a scrivere fin da
giovanissimo, nella sua Spalato –
è del ’42-’43 la pubblicazione delle prime sillogi “Autunnale” e “Ragnatele” (Tipografia Commerciale, Spalato) – e proseguì il percorso
lirico nella città di adozione, dando
alle stampe oltre una decina opere in
versi, sino alla raccolta “Accendere
parole” (Ed. Luglio Trieste, 2008).
Inoltre, portano la sua firma vari studi storico-letterari, tra cui prose, antologie di racconti. Nei suoi lavori
Miotto manterrà intatto il nucleo tematico dell’amore per la sua piccola
patria perduta, sia pur accentuando la
dimensione metatemporale dell’eternità.
Ma dedicherà accurate composizioni pure a Trieste. Nel 1982
scriverà la “Preghiera dell’uomo
di mare”, musicata per organo nel
1982 dal Maestro Guido Pipolo del
Conservatorio “Giuseppe Tartini”.
“Memoria del sole” (1955), “Poesie
a Liliana” (1956), “Canne d’orga-
no” (1957), “Una terra nell’anima”
(1959), “Tempo che scorre” (1962),
“Tempo che soffre” (1964), “Poesie”
(1968), “Poesie alla madre” (1974),
“Tempo di vivere, tempo di morire
(1974, medaglia d’oro del premio
letterario del Friuli Venezia Giulia),
“Prose e poesie” (Trieste 2006) e
“Accendere parole” (2008): sono alcune delle sue raccolte di versi. Nel
1979, a cura del Circolo Dalmatico
Jadera, nella sala convegni della Camera di Commercio, un’ampia scelta di poesie fu declamata dall’attore Lino Savorani, del Teatro Stabile
di Trieste. E per il teatro, nel 1949,
stese un testo, intitolato “La tragedia
dei Ranfi”, che verrà letta dalla compagnia di prosa della Società artistico-letteraria di Trieste.
Penna instancabile e istruita, il
suo lascito è copioso. Oltre alle citate opere, dal 1954 al 1973 collaborò col periodico “La Porta Orientale”, edito a Trieste, dove uscirono
i seguenti contributi: “L’ultima notte del generale inglese nel castello
di Duino” (1958), “Bisogna andarsene dall’Istria” (1958), “Sul fondo
dell’Istria” (1962), “Non c’è nessuno
a Pola” (1966). Per “La Rivista Dalmatica” (Venezia 1963-1966), scrisse
“Storia di un profugo e di una cartolina rossa” e nel 1995 “Ritorni”, per
il periodico dell’Unione degli Istriani. Articoli e saggi di Miotto sono
presenti pure in altre testate triestine,
tra queste i “Quaderni degli Scrittori Istriani”, l’ “Almanacco artistico
letterario del Friuli Venezia Giulia”
ed i periodici “Turismo”, “Umana”,
“Trieste”, “Pagine Istriane” e “La
Voce Giuliana”.
Inoltre, dal 1945 al 1982 tenne
conferenze di argomento storico o
letterario dedicate a Paul Valéry, Pascoli, Baudelaire e Tommaseo.. Dal
1969 al 1975 si mise al servizio della R.A.I. di Trieste scrivendo testi di
storia e di folclore della
Dalmazia, rivelandosi ancora una
volta un autore preciso e documentato, ricercatore indefesso e testimone
della storia, del folclore, delle tradizioni e della
vita di un popolo dell’Adriatico
orientale, che vicende tragiche hanno sradicato.
Le rive di Spalato
prodo e l’esistenza successiva a
Trieste, nella città d’elezione”.
Composizioni per lo più brevi, essenziali, caratterizzate da
una pregnanza analogica, allusiva e simbolica; per quanto riguarda le tematiche, accanto al
nucleo centrale rappresentato
dalla Dalmazia (soprattutto da
Spalato, costantemente ricordata con tono affettuoso, arioso e
colorito), compaiono negli anni
successivi, seguendo vari interessi umani e culturali, anche il
tema religioso della preghiera e
dell’invocazione a Dio, il tema
esistenziale con le sue problematiche tribolazioni, la violenza del
male nei lager e altri. Come nota
la Visintini, la poesia dell’esilio
di Miotto ha avuto vari critici e
interpreti
importanti, noti anche a livello nazionale, come Giani Stuparich, il concittadino Enzo Bettiza, Stelio Crise, Claudio Magris
e altri, ma in particolare il grande poeta gradese Biagio Marin,
che seguì l’evolversi della poetica dell’autore spalatino.
Sabato, 12 gennaio 2013
dalmazia 3
a ignorata dal vasto pubblico, autore di un vocabolario del dialetto veneto-dalmata unico nel suo genere
e ultime voci italiane di Spalato
Esilio
Zara, il ponte
Che qualcuno ritorna laggiù
in quella terra
mi dicono
ma quale carta stradale
orario ferroviario
piroscafo
potrebbe farmi ritrovare
il gomitolo della mia città
dipanarlo in una calle
con il cuore che si affretta
arrivare a una casa
e chiamare
gridare
perché alle finestre
invece della mamma
si affacciano adesso tanti volti
sconosciuti
indifferenti
stranieri.
Luigi Miotto
da “Prose e Poesie”
Comunità Istriane Editore
Trieste, 2006
Spalato
Il suo nome è legato anche a vari studi storico-letterari,
tra cui prose, antologie di racconti, come «Bisogna
andarsene dall’Istria», «Sul fondo
dell’Istria», «Non c’è nessuno a Pola», «Storia di un
profugo e di una cartolina rossa», l’«Inedito diario di un
volontario della Prima guerra mondiale», «Testi vari della
storia e del folclore di Dalmazia», «Mostri e spiriti marini
nelle credenze popolari dell’Alto Adriatico», «Antologia
di racconti sino a Prose e poesie, edito nel 2006». Molte
le conferenze, i testi radiofonici sul folclore dalmata. Da
ricordare, inoltre, le composizioni di Miotto dedicate alla
sua città d’adozione, Trieste, tra cui «La leggenda della
Dama Bianca del castello di Duino», «La Risiera di San
Sabba»... È autore, inoltre, della «Preghiera dell’uomo di
mare», musicata per organo
L’antico palazzo comunale spalatino
Palazzo di Diocleziano, il Peristilio
4
dalm
Sabato, 12 gennaio 2013
SPORT La gloriosa società zaratina fu costretta a sospendere l’attività nel 1940. Ma dopo l’esodo un
Diadora, nel dopoguerra la g
Una storia che parte da lontano
Società dei canottieri Dalmazia, Circolo canottieri Diadora, Società di ginnastica Sokol, canottieri Jadran. È questa la storia che
ha fatto di Zara una delle principali sedi del canottaggio non solo
a livello croato, ma anche a quello europeo. Si tratta di una storia
che parte da lontano, dal 1885, e che ha portato Zara ai massimi
livelli sia europei che mondiali, ed anche a vincere medaglie olimpiche. Vediamo in breve la storia di queste gloriose società e di questo sport a Zara, le cui origini risalgono a più di 130 anni fa.
di Igor Kramarsich
D
icono che la conquista di
una medaglia olimpica porti agli sportivi tanta gloria,
ma pure tanta voglia di ripetersi, e
se possibile di dare di più. Nel caso
del glorioso otto con della Diadora,
la medaglia di bronzo di Parigi del
1924 fu sicuramente uno sprone a
dare di più in questo sport, che aveva già dato loro tanto. Però il lungo viaggio verso la medaglia contribuì sicuramente a far maturare
l’equipaggio dalmata e a risvegliare la consapevolezza che il canottaggio, soprattutto a quell’epoca,
era soltanto un divertimento e nulla
più. Un divertimento a proprie spese. Per cui se si voleva fare qualcosa nella vita, se c’era l’esigenza di
sbarcare il lunario - e indubbiamente c’era - questo divertimento bisognava purtroppo metterlo in secondo piano. Questa fu sicuramente per
i campioni zaratini una decisione
molto difficile.
FARE DI NECESSITÀ VIRTÙ Ma non c’erano vie di scampo;
bisognava adattarsi alla situazio-
ne e fare di necessità virtù. Magari all’inizio l’idea era quella di farsi
da parte e accantonare i remi solamente per un’estate. In altre parole
prendersi una pausa per poi magari continuare sulla strada seguita in
precedenza. Però non fu così. Per i
campioni zaratini la pausa forzata
segnò la fine di una grande serie di
successi conseguiti dai livelli regionali a quelli nazionali e internazionali. Però fu pure il segnale dell’inizio del declino della società, ovvero
della Diadora, che fino a quel momento aveva conseguito successi
entusiasmanti. A dire il vero, dopo
quel ritiro imposto da cause di forza
maggiore, la società proseguì con la
sua attività nel corso degli anni. Ci
furono delle regate, non mancò pure
qualche timido successo a livelli più
bassi, ma nell’insieme poca cosa.
Purtroppo la Diadora non fu mai più
quella dell’inizio degli anni ‘20.
UN LUNGO DECLINO Il declino durò fino alla fine del percorso
della società, ossia fino a quando la
città di Zara rimase parte integrante del Regno d’Italia. Nel 1940o ci
furono le ultime regate. Poi arriva-
L’ex sede della Diadora a Zara
rono la Seconda guerra mondiale e
il cambio di regime, nonché di Stato. Ebbe inizio l’epoca della Jugoslavia socialista. A Zara tornò di nuovo
di “moda” la Jadran, e per la Diadora ci fu l’esilio. O meglio la società
fu chiusa come tantissime altre create durante il periodo italiano. Però al
contrario di parecchie altre, la Diadora continuò a vivere; la pausa forzata
degli anni ‘40 non segnò la fine. Infatti la società poi fu ricostruita, naturalmente in Italia.
9 LUGLIO 1961 Il giorno del ritorno in auge fu la domenica del 9
luglio 1961. La rinascita ebbe luogo
ad Ancona, nelle Marche. Gli zaratini in esilio furono ospiti del glorioso Circolo Canottieri “Stamura”. Fu
in questa occasione che la Diadora
per la prima volta fece la sua comparsa ufficiale in mare dopo l’esodo. E fu una... signora uscita. Infatti con indosso le tradizioni maglie e
con i colori sociali, gli zaratini scesero in mare con una jole a otto proprio nel luogo del loro primo grande
successo. A fare parte di quella compagine furono: Simone Cattalinich,
anni 72, con la maglia delle Olimpiadi del 1924; Antonio Cattalinich, anni
68; Nicolò Ledwinka, anni 62; Giulio
Colombani, anni 56; Nerino Rismondo, anni 52; Silvio Fattovich, anni 50;
Paolo Willenik, anni 48; Paolo Radovani, anni 42, e il timoniere Bruno
Politeo, anni 41.
GRANDI EMOZIONI Vedere
questo equipaggio scendere in mare
fece una grande impressione e risvegliò tante emozioni. Suscitò, oltre
alla commozione, pure tanta ammirazione. Era questo il ritorno sulla scena pubblica di una glorioso società,
con una parte dei gloriosi canottieri
che avevano portato a Zara la prima
medaglia olimpica.
ARRIVA LA RIFONDAZIONE Quella di Ancona, naturalmente,
non fu una gara contro il tempo, fu
soltanto il preludio di quello che seguì. Infatti questo fu il primo passo
verso la ricostituzione, o meglio la rifondazione della Diadora, stavolta in
esilio. Dopo un anno, e precisamente il 30 marzo 1962, al Lido di Venezia venne convocata l’Assemblea,
che sancì la ricostituzione del Circolo Canottieri “Diadora”. Fu questo
kil momento della rinascita: si concretizzava la prosecuzione della storia della gloriosa società di Zara, in
quanto il Circolo veniva appunto ricostituito, non fondato. E questo grazie all’entusiasmo e all’amicizia che
legava alcuni canottieri veneziani ad
I preparativi per la rinascita del 1916
Diadora, campione europeo del 1923
alcuni di Zara, tra cui il grande campione europeo Luigi Miller che fu il
primo presidente del Circolo al Lido
di Venezia. Attorno a lui si strinsero
Ulisse Donati, Antonio Testa, Arrigo
Zink e Silvio Fattovich. Con il primo parco imbarcazioni, disponibile grazie alla generosità delle società cittadine consorelle, si crearono le
premesse per il riavvio dell’attivi-
tà formativa e sportiva dei giovani,
che portò nuovamente la Diadora sui
campi di regata.
L’USCITA CANAL GRANDE
Per celebrare la risorta Diadora, il 29
settembre 1962, ospiti della vecchia
fraterna società Querini, ci fu l’uscita generale in mare. Con i colori della Diadora sul Canal Grande sfilarono due jole a otto, quattro jole a quat-
L’accoglienza dei campioni nel 1923
mazia
Sabato, 12 gennaio 2013
5
n gruppo di entusiasti riuscì a rifondarla e oggi continua a operare a Venezia (4 e continua)
grande rinascita in esilio
Un percorso costellato da successi
Circolo Canottieri Diadora:
costituito il 30 agosto 1898
Promotori: Giuseppe Perlini, Manfredo Persicalli,
Nilo Bugatto, conte Francesco de Borelli, Giorgio
Wondrtch, Luigi Milicich, Giovanni Battara, Enrico de Schonfeld, Girolamo Testa, Antonio Smirich,
Venceslao de Stermich, Ernesto lllich, Luigi Bauch
e Pompeo Alacevich.
Successi internazionali
come remo italiano
Olimpiadi: 1924 - Parigi: terzo posto fuori scalmo
a otto con timoniere: Vittorio Gljubich, Pietro Ivanov, Simeone Cattalinich, Carlo Toniatti, Giuseppe Crivelli, Antonio Cattalinich, Francesco Cattalinich, Bruno Sorich e timoniere Latino Galasso.
Campionati Europei
La sede della Diadora oggi
Ancona, la prima uscita della rinata Diadora
tro. E su una “monotopo” il gagliardetto sociale.
L’equipaggio della prima jole era
composto da Luigi Miller, campione d’Europa e d’Italia; da Antonio
Cattalinich, ‘el bomba’ olimpionico, campione europeo ed italiano;
dal prof. Arrigo Zink, giunto appositamente da Roma; da Giulio Colombani, Antonio Perasti, Italo Be-
nevenia, Bruno Politeo e Silvio Fattovich.
La seconda jole a otto aveva l’armo composto da Giuseppe Krekich,
Giancarlo Mel, Angelo Navarro, Luigi Testa detto “Binghe”, Giorgio Benevenia, Roberto Benevenia, Dario
Zohar, nonché da un altro componente il cui nome non è stato registrato.
Nella prima delle jole a quattro c’erano: Ulisse Donati, Carlo
Steinbach, Nerino Rismondo, Ausonio Alacevich. La seconda jole presentava al nastro di partenza: Remo
Leinweber, Italo Trigari, Paolo Radovani, Paolo Willenik. La terza jole
era formata da: Guerrino Rosbowky,
Leo Casolin, Bruno Buttara, Vladimiro Fekeza. E la quarta jole era
composta da: Leo Detoni, Andrea
Zerauschek, Francesco Cettineo,
Gianni Festini
STELLA D’ARGENTO E
STELLA D’ORO La società è ancora attivissima e negli anni ha ricevuto quale riconoscimento di questa attività dal Coni la Stella d’argento e la
Stella d’oro al Merito Sportivo. Oggi
le attività sono concentrate nella promozione del settore giovanile. Nella
promozione di questo sport che parte
proprio dai giovanissimi e nell’ambito del quale ancor oggi la società continua a mietere successi. Oggi si fregia del nome di Circolo Canottieri
Diadora - Venezia Lido, ma la storia
rimane quella gloriosa dalmata, che
ebbe i suoi inizi proprio a Zara.
1922 - Barcellona, secondo posto
fuori scalmo a otto con timoniere: Luigi Miller,
Carlo Toniatti, Francesco Cattalinich, Simeone Sofonio, Simeone Cattalinich, Alfredo Toniatti, Antonio Cattalinich, Bruno Sorich e timoniere Latino Galasso
Luigi Miller, Carlo Toniatti, Francesco Cattalinich,
Simeone Sofonio, Simeone Cattalinich, Alfredo
Toniatti, Antonio Cattalinich, Bruno Sorich e il timoniere Latino Galasso.
1923 - Como
”Coppa di S.M. la Regina” -- jole a otto con timoniere, secondo posto
Luigi Miller, Carlo Toniatti, Pietro Ivanov, Francesco Cattalinich, Simeone Cattalinich, Giuseppe
Crivelli, Vittorio Gliubich, Bruno Sorich e il timoniere Latino Galasso.
”Coppa di S.M. il Re” -- fuori scalmo a otto con timonirere, primo posto
Luigi Miller, Carlo Toniatti, Pietro Ivanov, Francesco Cattalinich, Simeone Cattalinich, Giuseppe
Crivelli, Vittorio Gljubich, Bruno Sorich e il timoniere Latino Galasso.
1930 - Salò
Jole a quattro con timoniere, quarto posto
Bruno Riedlig, Giuseppe Gucchia, Ezio Boniciolli,
Ulisse Donati e il timoniere Giuseppe Ziliotto.
1931 - Como
Jole a quattro con timoniere, quarto posto
Bruno Riedlig, Giuseppe Gucchia, Ezio Boniciolli,
Antonio Leoni e il timoniere Giuseppe Ziliotto.
1923 - Como, primo posto
fuori scalmo a otto con timoniere: Luigi Miller,
Lista delle più importanti
Carlo Toniatti, Pietro Ivanov, Simeone Cattalinich,
Giuseppe Crivelli, Francesco Cattalinich, Vittorio
gare vinte dalla Diadora
Gljubich, Bruno Sorich e timoniere Latino Galas- 1907 - Trieste
so.
’Coppa dell’Adriatico’ - jole a quattro con timoniere (matricole)
1908 - Trieste
Campionati ltaliani
’Coppa dell’Adriatico’ - jole a quattro con timoniere (matricole)
1911 - Como
”Coppa del Vice Presidente” - jole a quattro con ti- 1909 - Trieste
”Coppa dell’Adriatico” - jole a quattro con timomoniere, primo posto
Luigi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Sofonio, niere (esordienti), jole a quattro con timoniere (seCarlo Toniatti e timoniere Gerolamo Bogdanovich. niores) e jole a otto con timoniere (seniores)
”Coppa di S.M. Ia Regina Elena” - jole a otto con 1910 - Trieste
timoniere, primo posto
jole a quattro con timoniere (juniores), jole a quatLugi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Sofonio, tro con timoniere (seniores).
Carlo Toniatti, Giovanni Schutz, Simeone Cattali- 1910 - Ancona
nich, Alfredo Toniatti e timoniere Gerolamo Bog- ”Coppa Ancona” - jole a quattro con timoniere (judanovich.
niores), ‘Coppa di S.M. il Re’ - jole a otto con tiVinsero le gare, ma non i titoli visto che erano armi moniere
“stranieri”
1919 - Pola
jole a quattro con timoniere (seniores)
1920 - Como
1920 - Ancona
”Coppa di S.M. la Regina” - jole a otto con timo- jole a otto con timoniere (juniores), jole a otto con
niere, primo posto
Luigi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Sofonio, timoniere (seniores)
Carlo Tomatti, Alfredo Toniatti, Simeone Cattali- 1921.- Zara
nich, Antonio Cattalinich, Francesco Cattalinich e jole a quattro con timoniere- campionati giuliani
1926 - Pola
timoniere Alfredo Mazzola
jole a quattro con timoniere (esordienti)
1926 - Trieste
1921 - Pallanza
”Coppa di S.M. la Regina” - jole a otto con timo- jole a quattro con timoniere (juniores)
1928 - Castelgandolfo
niere, primo posto
Luigi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Sofonio, jole a otto con timoniere - campionati avanguarCarlo Toniatti, Alfredo Toniatti, Simeone Cattali- disti
nich, Antonio Cattalinich, Francesco Cattalinich e 1930 - Napoli
il timoniere Latino Galasso.
jole a-quattro con timoniere (esordienti), fuori scal”Coppa di S.M. il Re” - fuori scalmo a otto con ti- mo a quattro con timoniere
moniere, terzo posto
1930 - Bari
Luigi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Sofonio, jole a quattro con timoniere (juniores), jole a otto
Carlo Toniatti, Alfredo Toniatti, Simeone Cattali- con timoniere
nich, Antonio Cattalinich, Fransceco Cattalinich e 1931 - Napoli
il timoniere Latino Galasso.
”Coppa Bosco” - jole a quattro con timoniere
”Coppa principe di Napoli” - fuori scalmo a quattro 1934 - Ancona
con timoniere - juniores, terzo posto
”Coppa della Federazione” - jole a quattro con tiOliviero Petz, Giuseppe Calussi, Giuseppe Ziliotto,
moniere (juniores), “Coppa Municipio di Ancona”
Antonio Testa con timoniere Latino Galasso
jole a otto con timoniere (juniores)
1934 - PoIa
1922 - Napoli
”Coppa di S.M. iI Re” - fuori scalmo a otto con ti- Campionati Alto Adrtatico dei G.U.F. - jole a otto
con timoniere
moniere, primo posto
Luigi Miller, Carlo Toniatti, Francesco Cattalinich, 1936 - Abbazia
Simeone Sofonio, Simeone Cattalinich, Alfredo Campionati Alto Adriatico dei G.U.F. - jole a otto
Toniatti, Antonio Cattalinich, Bruno Sorich e il ti- con timoniere (secondo posto)
1939 - Abbazia
moniere Latino Galasso
”Coppa di S.M. la Regina” - jole a otto con timo- Campionati Alto Adriatico dei G.U.F. - jole a otto
niere, primo posto
con timoniere (terzo posto)
6 dalmazia
Sabato, 12 gennaio 2013
I marittimi di Perasto e Dobrota si alternano in rapida successione nell’elenco dei Ca
I lupi di mare delle Bocche di Catta
di Giacomo Scotti
M
entre la Repubblica si avvia alla sua fine, è stupefacente constatare come
gli uomini di mare delle Bocche
di Cattaro si alternano in rapida
successione nell’elenco dei Cavalieri di San Marco. Fatte pochissime eccezioni, infatti, dai primi decenni del Settecento in poi i Bocchesi sono sempre più presenti nei
registri del cavalierato di uno Stato che sparirà dalla carta geografica e politica dell’Europa tre anni
prima della chiusura del XVIII secolo.
Ai Perastini Bane, Bronza e
Giocca, a Marco e Giuseppe Ivanovich di Dobrota e ad Antonio
Zerman di Perzagno, si aggiungeranno nella seconda metà del secolo Nadal Radimiri di Dobrota e
Matteo Ballovich di Perasto. Con
loro ci saranno ancora due dalmati dei quali si ignora la piccola patria nella più grande di San Girolamo e un istriano. Quest’ultimo
capitolo è dedicato a loro.
IL VENTENNE RADIMIRI
Cominciamo con Nadal Radimiri
di Dobrota, capitano della tartana “Madonna della Salute e San
Francesco di Paola”. Fu nominato
Cavaliere con decreto del Senato
10 dicembre 1757 su segnalazione dei Cinque Savi alla Mercanzia, e confermato con Privilegio
del doge Loredan del 14 giugno
1758. Degno della “dispensa del
premio” destinato a “chi ne ha il
diritto di conseguirlo per qualche
distinta attione di buon servittio”
fu ritenuto per aver strappato ai
corsari un bastimento mercantile
napoletano che era stato catturato
nelle acque di Dulcigno (Ulcinj)
da due galeotte tripoline.
GALEOTTE TRIPOLINE
All’epoca il Radimiri aveva solo
vent’anni di età.
Dunque “dirigendo la Tartana
Madonna della Salute e San Francesco di Paula con Veneta Bandiera, il Capitan Nadal Radimiri”
Cartina geografica delle Bocche di Cattaro
scoperse nelle acque di Dulcigno le
due galeotte che avevano fatto preda
del “Bastimento Napolitano denominato Marticano, con carico mercantile”, per cui decise di correre in
suo aiuto e liberarlo. Lo fece, si legge nel Privilegio, “volontariamente,
per solo istinto di valore ereditato
dai suoi maggiori sempre segnalatisi né più difficili incontri”, ed “intraprese la recupera del Bastimento
medesimo”.
FUOCO Il “coraggioso attentato” gli riuscì “con aver battute e
fugate le due galeotte corsare nonostante che fossero di gran lunga
superiori di forze, e con aver espugnata poi la guarnigione (l’equipaggo) tripolina, che s’era impossessata del legno predato”. Il Nemico tentò pure di distruggere il
bastimento napoletano appiccandogli il fuoco, ma il Radimiri riuscì ad estinguerlo, “senza alcu-
na riserva al grave pericolo a cui si
(es)poneva”.
BANDIERA AMICA Il testo
del Privilegio continua, a commento
dell’impresa: “Tanto avendo operato in una così completa vittoria nella prima sua età di circa 20 anni con
raro esempio di coraggio e costanza
nel sanguinoso conflitto, posponendo la propria vita e le sostanze di sua
famiglia (il mercantile era di suo padre) all’impaziente zelo di così prode azzardo con onore di Veneta Insegna, e con tanto vantaggio di Bandiera amica, consegnando con animo grande il Bastimento recuperato
e (il) suo carico a chi per proprietà
apparteneva, cosicchè il Senato Nostro, rilevando un fatto di tanta importanza e di circostanze così singolari…” eccetera, decreto, “di decorare l’accennato Capitan Nadal
Radimiri” col fregio e il titolo di Cavaliere di San Marco.
In quell’epoca fu fatto cavaliere anche un non meglio identificato
Giovan Maria Pedretti capitano della nave “San Zaccaria” e di altri legni, per avere affrontato vittoriosamete i corsari nelle acque di Malta nel 1747, nelle acque di Cerigo
(Kìthira) nel 1752 e nello specchio
di mare tra Modone e Navarino nel
1756. Molto probabilmente anche il
Pedretti era un dalmato, ma non ne
siamo sicuri, i documenti non indicano alcuna appartenenza, se non
quella di suddito della Serenissima.
MATTEO
BALLOVICH
All’epoca del doge Alvise IV Mocenigo risale invece l’impresa del
Conte Matteo Ballovich di Perasto,
capitano della nave “Tolleranza”, figlio di Cristoforo, insignito del titolo di Cavaliere di San Marco con
Privilegio del 1767, lo stesso anno
in cui sostenne un combattimento
contro un legno corsaro. Purtroppo
il testo del Privilegio non si è conservato e non si hanno notizie sulla
sua investitura. Esistono soltanto un
suo ritratto, conservato presso il Museo Marittimo di Paresto, nel quale il
conte sfoggia l’insegna del Cavalierato. Dagli elementi in possesso del
Museo, il conte capitano Ballovich
del fu Cristoforo nacque nel 1713 e
si spense nel 1794. Da parte nostra
aggiungiamo che navigò i mari per
quarant’anni e fu autore di alcuni testi sulla navigazione per il Nautico
di Perasto, scritti in italiano.
GIOVANNI MECCHIAVICH
Il 26 settembre 1786, all’epoca del
doge Paolo Renier, l’ordine di Cavaliere di San Marco fu assegnato al
Capitano Giovanni Mecchiavich del
quale si sa soltanto che era dalmato,
armatore e comandante della polacca Madonna di Marina battente insegna veneta. Nel Privilegio firmato dal doge su decreto del Senato del
21 settembre, si dice che il suddetto
capitano si rese “degno di onorevole
rimostranza” per il valore dimostrato
in uno scontro con un legno corsaro
di di Dulcigno probabilmente quello
stesso anno:
“… Giovanni Mecchiavich fu
Capitano della Veneta Polacca Madonna di Marina, lorchè incontrato
un grosso Sciambecco Dulcignotto
superiore molto nel numero e nella forza”, e da quello “aggredito, si
oppose intrepidamente all’attacco,
e per ben due ore lo sostenne, finché perduta ogni difesa, fu costretto di cedere agli sforzi del Pirata, e
ne vennero in seguito quelle dolorose vicende insuperabili da così fatale
funesto infortunio” e ciò la schiavitù
e le sofferenze patite fino a quando
non venne riscattato. Il documento,
però, non ce ne parla. Aggiunge soltanto che nel concedere l’onorificenza di Cavaliere al capitano Mecchiavich, oltre al valore dimostrato nello scontro ed alle sofferenze subite,
si tenne conto anche “delle benemerenze di sua Famiglia”.
E ANCORA CORSARI Porta la firma del doge Renier anche
il Privilegio del 28 aprile 1788 con
I fedelissimi di San Marco
Anticamente riportato come
l’unica onorifi cenza equestre,
il Cavalierato di San Marco era
indubbiamente uno degli ordini
più importanti della storia della Repubblica di Venezia. Esso
variava perlopiù d’importanza
e considerazione pubblica a seconda che fosse maggiore o minore l’autorità per decreto della quale veniva concesso, cioè
che la deliberazione di nomina
provenisse dal Maggior Consiglio, dal Senato o dal Doge. La
funzione di consegna del collare dell’Ordine si compiva o nel
Pien Collegio o nelle stanze private ducali. I Cavalieri, in ogni
modo, venivano sempre armati
dal Capo della Repubblica, che
toccava loro le spalle con uno
spadone pronunciando le seguenti parole: “ESTO MILES
FIDELIS”. Successivamente,
se al decorato era stato decretato il dono di una collana d’oro
(anch’essa simbolo dell’Ordine), questa gli veniva posta al
collo dal Doge stesso. I Cavalieri di San Marco potevano
portare, come tutti i cavalieri
d’ogni parte del mondo, la spada, gli speroni d’oro, la cappa
rossa (con ricamata sulla spalla la croce bianca dalle punte
biforcate) e la cintura dorata.
Ai patrizi era concesso di portare una stola dorata sopra la
cappa. Nessuno però a Venezia
adottava questi contrassegni. Il
cavalierato non era ereditario.
L’insegna dell’Ordine era costituita da una medaglia d’oro caricata dal leone di San Marco,
nimbato e accovacciato, con la
testa posta di fronte, che teneva
con le zampe anteriori un libro
aperto su cui spiccavano le parole in lettere maiuscole romane PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS. Nel caso dei
patrizi, questi nelle occasioni
uffi ciali non potevano portare
la medaglia, ma indossavano
una stola dorata, che per l’appunto li faceva defi nire “Cavalieri dell’Ordine della Stola d’Oro”. Nel nostro caso ci
interessano i Cavalieri di San
Marco originari dell’Adriatico orientale, in particolare della Dalmazia. Furono numerosi, fedeli alla Serenissima e si
conquistarono il Cavalierato...
sul campo. Riportiamo le loro
gesta...
I bocchesi per secoli hanno combattuto a fianco della Serenissima
dalmazia 7
Sabato, 12 gennaio 2013
avalieri di San Marco (6 e fine)
aro ultimi alfieri della Serenissima
il quale, a conferma del decreto 23
febbraio 1787 del Senato, Cavaliere
di San Marco fu nominato l’istriano
di Cittanova Benedetto Adorno, capitano marittimo. Il documento offre una rapida descrizione del fatto
senza indicare le acque in cui avvenne. Veniamo comunque a sapere che
l’Adorno si rese “degno di onorevole rimostranza” per essere sfuggito
alla cattura dei pirati del mare, battendosi valorosamente contro una
loro nave, mettendola in fuga e riuscendo a liberare addirittura un altro
legno veneto che stava per diventare
preda dei corsari.
ZELO Nell’originale: “Diede
prove del suo zelo e coraggio battendosi con un legno Corsaro nemico, dalla fuga del quale ne derivò il
merito di sottrarre altro legno suddito già disarmato e in evidente pericolo di restar preda dei Barbari”. Tutto ciò “diede motivo al Senato” – di
proporlo al titolo di cavaliere.
DEMETRIO GIANCOVICH
L’ultimo cavaliere di San Marco, e
l’unica investitura di cavalierato nel
dogado dell’ultimo doge della Serenissima repubblica di Venezia, Lodovico Manin con Privilegio del 9
giugno 1782 fu ancora fu ancora un
dalmato: il capitano marittimo Demetrio Giancovich, del quale però
non vengono indicati il luogo di nascita né il nome del legno da lui comandato. Nel testo del privilegio,
che conferma un decreto del Senato
emesso lo stesso anno e mese, una
settimana prima (2 giugno) si legge:
“Si rese degna di particolar distinzione la capacità, e il valore del capitano Demetrio Giancovich, che con
piccola polacca armata di solo dodici uomini ressistè ad un sciambecco
tunisino di duecento persone di equipaggio, ed armata di venti pezzi di
cannone, benchè poi sopraffatto dal
numero riportasse diverse ferite, tanto esso che tutto l’equipaggio, due
dei quali mancarono anche di vita,
abbia dovuto cedere alla sproporzione delle forze nemiche”.
POLACCA DALMATA Come
si può vedere, la piccola polacca dalmata, il suo equipaggio e il capitano furono alla fine sopraffatti, con
la morte di due uomini e il ferimento di tutti gli altri. Ma il loro valore
fu grande. La strenua resistenza opposta agli assalitori, infatti, “costò la
vita a cinquanta de’ nemici e quaranta restarono feriti”. Fatto prigioniero con i suoi uomini, Demetrio Giancovich subì una dura schiavitù dalla quale poté essere liberato con “un
pesante dispendio per il riscatto della
propria persona (e) del bastimento”.
Non sempre di deve vincere per essere eroi.
ALVISE VISCOVICH Peccato
che dopo la caduta della Serenissima
repubblica di Venezia, cancellata da
Napoleone, non sia rimasto almeno
l’Ordine dei Cavalieri di San Marco. Lo avrebbe meritato, per esempio, il comandante di quegli “Schiavoni” che la difesero disperatamente
fino all’ultimo contro le truppe francesi; il loro fu l’ultimo fatto d’arme a
difesa della Serenissima: lo scontro
navale e con il vascello francese Liberateur d’Italia che nello specchio
d’acqua antistante il Lido fu “vittoriosamente fermato” da una galeotta comandata dal capitano Alvise Viscovich, composta da marinai delle
Bocche di Cattaro. Il loro comandante era il fratello di Giuseppe Viscovich, Capitano-podestà di Perasto che presto incontreremo.
TI CON NU, NU CON TI Ricorda lo storico Praga: “Soltanto i
marinai bocchesi al Lido, quasi di
propria iniziativa, il 9 aprile (1797)
Cattaro: un baluardo della Repubblica di Venezia
si buttarono all’arrembaggio di una
nave francese che, in dispregio di
San Marco, aveva osato forzare il
porto interno. Il mattino del 12 maggio le cernide vennero reimbarcate.
Lo stesso giorno, sotto la pressione
napoleonica, il Gran Consiglio abdicava”.
C’è un solo errore: lo scontro
ebbe luogo non il 9 ma il 20 aprile.
“C’era ancora nell’aria il botto dei
fucili dei fedelissimi Schiavoni allontanatisi a malincuore dal Palazzo Ducale” scriveva un altro storico,
nostro contemporaneo, M. Isnenghi, nella postfazione al volume “La
Grande Venezia” uscito a Venezia
nel 2002.
Oltre al capitano Alvise Viscovich, avrebbe meritato l’Ordine di
Cavaliere di San Marco e qualcosa
di più anche suo fratello Giuseppe
che nella sua qualità di ultimo Capitano di Perasto, nell’atto di deporre il gonfalone di San Marco sotto
l’altar maggiore della chiesa parrocchiale della sua città, alla quale per
secoli era stato affidato il compito
di custodire e difendere il vessillo di
battaglia della nave ammiraglia della Serenissima, il 23 agosto le rivolse l’ultimo saluto. “Interpretando
l’animo di tutti i dalmati”, tenne un
discorso che ancora oggi commuove chi lo legge. Cominciava così:
“In sto amaro momento, che lacera
el nostro cor, in stoultimo sfogo de
amor, de fede al Veneto Serenissimo
Dominio, al Gonfalon de la Serenissima Repubblica, ne sia de conforto, o cittadini, che la nostra condotta
passada e de sti ultimi tempi, rende
non solo più giusto sto atto fatal, ma
virtuoso, ma doveroso per nu.
Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l’Europa, che Perasto ha degnamente
sostenuto fin a l’ultimo l’onor del
Veneto Gonfalon, onorandolo con
sto atto solenne, e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo
pianto (…)”.
Ed ecco un altro brano: “Per
trecentosettantasette anni le nostre
sostanze, el nostro sangue, le no-
Bocche di Cattaro: una storia tormentata
stre vite le xe stae sempre per Ti,
o San Marco; e fedelissimi sempre se avemo reputà Ti con nu, nu
con Ti; e sempre con Ti sul mar
nu semo stati illustri e vittoriosi.
Nissun con Ti ne ha visto scampar, nissun con ti ne ha visti vinti
e spaurosi!(…)”.
EMBLEMATICO L’ULTIMO BRANO “Ma za che altro non
ne resta da far per Ti, el nostro cor
sia l’onoratissima to tomba, e el più
puro el più grande to elogio le nostre
lagreme!”.
Nessun doge aveva mai scritto
un elogio così alto nei testi dei Privilegi, come quello scritto dai più
arditi marinai dalmati per la morte
nemmeno tanto gloriosa della Serenissima.
LAPIDE SULLA RIVA DEGLI SCHIAVONI Venezia, comunque, non ha dimenticato i suoi
antiche cavalieri e i discendenti di quei 12.000 dalmati che formavano le Cenidi ovvero i reggi-
menti “schiavoni” giunti a Venezia
dall’opposta sponda dell’Adriatico nel 1797 per la sua difesa, e che
nel maggio di quell’anno furono costretti ad abbandonare la città su ingiunzione di Napoleone. In occasione del bicentenario di quella data
“tremenda” nel 1997, sulla Riva degli Schiavoni fu collocata una lapide con il seguente testo: “Su questa
riva i valorosi soldati schiavoni/ decisi a difendere Venezia/ costretti da
ingiunzione straniera ad abbandonare la città/ espressero pubblicamente
i plurisecolari legami di fedeltà/ che
univano la Dalmazia alla Repubblica Veneta”.
DALMATI FEDELISSIMI Sul
sagrato della chiesa di San Nicolò fu
inaugurata un’altra lapide che dice: “
Il 20 aprile 1797/ all’entrata del porto
del Lido/marinai delle Bocche di Cattaro/ comandati dal Capitano Alvise
Viscovich/ reagirono vittoriosamente/ alla provocazione navale francese/ testimoniando la fedeltà dei Dal-
mati a Venezia/ Ultimo fatto d’arme
della Serenissima”. Ai lati dell’iscrizione, a mo’ di firma, si leggono: “Ti
con nu” e “Nu con ti”, l’espressione
usata da Giuseppe Viscovich nel discorso di saluto al gonfalone.
VALOROSI
DIFENSORI
Oggi Venezia è città gemellata con
Perasto e Cattaro, e ogni anno, nel
giorno della Festa della Sensa che
ricorre in maggio, celebra il “Gemellaggio Adriatico” con i Bocchesi. Ogni anno, dal 2005, nel
mese di maggio arrivano a Venezia
gli eredi degli ultimi e valorosi difensori della Serenissima vestendo
le uniformi dell’antichissima “Marinarezza Bocchese” forse la più
antica confraternita marinara del
mondo, splendenti costumi nerooro del Settecento. Tornano ogni
anno nei luoghi simbolici della fratellanza italo-slava sull’Adriatico: Piazza San Marco, San Nicolò
del Lido, l’Arsenale, la Riva degli
Schiavoni.
8 dalmazia
Sabato, 12 gennaio 2013
Accordo di gemellaggio per rafforzare la collaborazione tra le due sponde dell’Adriatico
Insieme Lesina e Santa Maria di Sala
G
emellaggio. A sentire il
termine si pensa subito a
un parto plurimo, a fratelli molto legati l’uno all’altro. Dalla sfera umana il termine è stato
preso a prestito per segnalare due
città o comuni che, seppure divisi
da confini politici, hanno deciso
di unire le proprie forze per condividere idee, linee di pensiero,
progetti, costruire un ponte ancora più saldo per (ri)avvicinarsi e
prosperare vicendevolmente.
INTERESSE CULTURALE Negli ultimi anni i gemellaggi
tra le città croate e quelle italiane
si verificano con sempre più frequenza, promossi dal riannodarsi
dei fili tra chi è rimasto sulla costa orientale dell’Adriatico e chi
invece ha attraversato il mare comune. Fondamentale è pure l’interesse culturale dimostrato dagli
italiani nei confronti delle ampie
testimonianze di una storia comune presenti in Dalmazia e lungo tutto il litorale croato. Naturalmente, anche se in forma un po’
minore, questo interesse è risvegliato dalle possibilità di collaborare sul piano economico, che
sono.tutt’altro che indifferenti.
AMICIZIA E COOPERAZIONE Due località che hanno
stipulato un “accordo” di questo
tipo sono Lesina (Hvar) e Santa Maria di Sala. Il documento è
stato sottoscritto l’11 luglio del
2009, dopo una serie di incontri reciproci iniziati nel 2008 e
l’espletamento di una serie di pratiche. Ad apporre la propria firma
sull’intesa sono stati i sindaci Pjerino Bebić e Paolo Bertoldo. Da
quella cerimonia ufficiale - ma
anche da prima a dire il vero - c’è
stato tutto un susseguirsi di incontri, visite e scambi di segnali significativi del sentimento di amicizia che si andava fortificando
fra i partecipanti delle due parti
a questa iniziativa comune. L’atmosfera creata dal gemellaggio e
le aspettative di tutti i protagonisti, permettono di “leggere” con
spirito nuovo diversi avvenimenti
recenti, come la celebrazione della giornata dell’Unità Nazionale e
delle Forze Armate che si è svolta a Spalato il 04 novembre del
2012 alla presenza del console
italiano Paola Cogliandro nel capoluogo dalmata, del viceconsole Giuseppe de Luca e di una folta rappresentanza della Comunità
degli Italiani di Spalato, guidata
dal presidente Damiano Cosimo
D’Ambra, dalla vicepresidente
Giovanna Asara e dalla segretaria
Antonella Tudor Tomas, referente per la Dalmazia del progetto
Lesina e figlia del dott. Tudor.
RESTAURO DELLA LOGGIA Come non ricordare pure la
collaborazione con gruppi di stu-
denti della Scuola di Restauro ENGIM di Vicenza e DIEFFE di Padova, i quali, grazie all’accordo stipulato da Alessandra Tudor, anch’essa
figlia del dott. Tudor, a nome della Comunità degli Italiani di Lesina e grazie al supporto della Comunità stessa e del Comune di Lesina
(Hvar), stanno lavorando alla ricognizione per il successivo restauro
della Loggia e di altri edifici storici.
LA CERIMONIA DI SPALATO Non va dimenticata nemmeno l’inaugurazione della ristrutturata sede della Comunità di Italiani
di Spalato, all’interno del Palazzo di
Diocleziano, avvenuta il 25 novembre del 2012, alla presenza del titolare del Consolato Italiano di Spalato, Paola Cogliandro, di una qualificata rappresentanza degli esuli, ovvero dei dalmati italiani nel mondo,
delle Comunità degli Italiani di Zara
e Lesina, nonché degli esponenti
dell’Unione Italiana e dell’Università Popolare di Trieste.
All’inaugurazione della sede del
sodalizio spalatino era presente anche, quale invitata d’onore, una delegazione della neonata Associazione “Lesina”, con a seguito una rappresentanza dei Cavalieri di San
Marco.
Dopo l’avvio della collaborazione e il gemellaggio fra Santa Maria
di Sala e Lesina (Hvar), con la firma
dell’intesa fra le rispettive amministrazioni comunali, sotto il Patro-
Lesina e Santa Maria di Sala puntano a una stretta collaborazione
cinio della Regione Veneto, ora si
sta procedendo sulla strada del rafforzamento della cooperazione. Si
punta a mettere a frutto le motivazioni fondamentali del gemellaggio,
cioè lo sviluppo dei rapporti socioculturali e di collaborazione in campo economico e imprenditoriale fra
la Regione Veneto e la Croazia, specificatamente le aree dell’Istria, del
Quarnero e della Dalmazia.
L’ASSOCIAZIONE «LESINA» Per meglio sviluppare la collaborazione e conseguire gli obiettivi di cui sopra, è stato ritenuto opportuno fondare un’Associazione
senza fini di lucro, denominata “Lesina”. L’Associazione, di cui fanno
parte i protagonisti del gemellaggio,
è retta da un direttivo, composto dal
presidente, nella persona dell’ex
sindaco Paolo Bertoldo, dal vicepresidente Angelo Pegoraro, dal
consigliere diplomatico Matteo Tudor, dal segretario Cristian Novello
e dai membri Primo Bertoldo, Ugo
Cavallin e Gianni Giordan.
PROMOZIONE DELL’INTERSCAMBIO Il presidente Paolo
Bertoldo, nel suo intervento durante la festa per l’inaugurazione della
restaurata sede della Comunità Italiani di Spalato, ha sottolineato che
“l’Associazione ambisce a diventare
un luogo di promozione e coordinamento dell’interscambio tra l’Italia e
le regioni litoranee della Croazia”.
In particolare, si prefigge di operare non soltanto in ambito culturale, ma anche e soprattutto in campo
economico-commerciale, al fine di
divenire un punto di riferimento per
quanti - privati o imprese - intendano condividere la volontà dell’Associazione di rafforzare i rapporti
tra i due Paesi.
“Constatiamo – ha proseguito Paolo Bertoldo –, come sovente le aziende italiane, che pure dimostrando grande interesse per la
Croazia, rinuncino ad approfondire i propri progetti di investimento
a causa delle difficoltà a rapportarsi con le autorità locali o a reperire
l’appoggio di intermediari affidabili. Il nostro intendimento è proprio
quello di superare tali criticità, mettendo a disposizione degli interessati il nostro know-how tecnico e linguistico e la nostra rete relazionale
che abbiamo costruito in questi anni
a seguito del gemellaggio”.
PRESENZA VENETA “Ritengo – ha concluso Bertoldo –, che
l’intensificarsi degli scambi culturali e commerciali possa costituire un
vettore di fondamentale importanza
per valorizzare e rafforzare la presenza veneta in quelle terre, anche
perché nel luglio del 2013 la Croazia entrerà a pieno titolo nell’Unione europea, il che favorirà ulteriormente la libera circolazione delle persone e lo sviluppo del libero
mercato”.
Anno VIII / n. 74 del 12 gennaio 2013
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
Edizione: DALMAZIA
Redattore esecutivo: Dario Saftich / Impaginazione: Teo Superina
Collaboratori: Ilaria Rocchi, Giacomo Scotti e Igor Kramarsich
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Insieme Lesina e Santa Maria di Sala