Trimestrale dell'Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas Vol. 5, N. 2, Giugno 2008 Terapia del carcinoma pancreatico localmente avanzato Coordinatore: Alessandro Zerbi INDICE 2 Meccanismi pancreatico di crescita locale del carcinoma Paola Salacone S.C. Gastroenterologia, A.S.O. San Luigi Gonzaga, Regione Gonzole 10, 10043 Orbassano (TO), e-mail: [email protected] 4 Possibile ruolo di terapie alternative Raffaele Pezzilli Dipartimento Malattie Apparato Digerente e Medicina Interna, Ospedale Sant’Orsola-Malpighi, Via Massarenti 9, 40138 Bologna, e-mail: [email protected] 7 Possibilità di downstaging con la radiochemioterapia Generoso Uomo Dipartimento di Medicina Generale e Specialistica, Azienda Ospedaliera A. Cardarelli - Via A. Cardarelli 9, 80131 Napoli, e-mail: [email protected] 8 Definizione dell’ imaging nell’invasione locale del carcinoma pancreatico Ncoletti, S. Gusmini, C. Soldati Istituto di Radiologia, Istituto Scientifico San Raffaele, Via Olgettina 60, Milano, e-mail: [email protected] 12 PALLIAZIONE DEI SINTOMI (E MALATTIA?) PER VIA ENDOSCOPICA. CURA DELLA Martino M., Gabbrielli A. Endoscopia Digestiva – Università Campus Bio Medico – Roma - e-mail: [email protected] 16 Ruolo palliativo (ed anche curativo?) della chirurgia Alessandro Zerbi Chirurgia Pancreatica, Istituto Scientifico San Raffaele, Via Olgettina 60, Milano, e-mail: [email protected] 19 Conclusioni Alessandro Zerbi Chirurgia Pancreatica, Istituto Scientifico San Raffaele, Via Olgettina 60, Milano, e-mail: [email protected] 20 Bibliografia Meccanismi di crescita locale del carcinoma pancreatico Tratta da Pham et al. BMC Cancer 2008 Introduzione. L’adenocarcinoma duttale pancreatico è caratterizzato da una pessima prognosi, con una sopravvivenza media a cinque anni minore del 10% (1). Nonostante i numerosi sforzi sia clinici sia molecolari a cui si è assistito nell’ultima decade, la prognosi e il management di tale neoplasia rimangono scoraggianti. Per tale motivo rimane una priorità clinica l’identificare nuovi target molecolari terapeutici. Conoscenze attuali. La carcinogenesi delle cellule pancreatiche duttali è tuttora poco conosciuta e complessa. La più comune aberrazione genetica consiste nell’attivazione dell’oncogene KRAS e l’inattivazione dei geni oncosoppressori p16/CDKN2, p53 e SMAD4/DPC4 (2). Meno frequentemente si assiste all’amplificazione dei recettori per fattori di crescita come EGFR e HER2 oppure all’alterazione di trasduttori di segnale di crescita come PKBβ /AKT2 (3,4). Le proteine prodotte da tali geni giocano un ruolo fondamentale nella regolazione della proliferazione, sopravvivenza, motilità, invasione e differenziazione cellulare, così da creare un complesso network di segnali intracellulari. L’attività di questo network è strettamente dipendente dalla fosforilazione reversibile dei residui di tiroxina, treonina e serina delle proteine di trasduzione del segnale cellulare Numerosi studi hanno dimostrato una iperespressione dei recettori di fattori di crescita come l’EGFR, HER2, c-MET/hepatocyte growth factor e c-KIT/stem cell. Un recente lavoro (5) eseguito in immunoistochimica su tessuto tumorale e tessuto duttale sano, ha dimostrato una complessa trasduzione di segnale che a partire dal recettore di membrana dell’EGFR/MET receptor, tramite la fosforilazione della proteina citoplasmatica RAS, causa l’inattivazione di oncosoppressori come PTEN e SMAD4 e l’iperattivazione/espressione genica di proteine fosforilate tipiche delle cellule carcinomatose quali STAT3, p-ERK, p-p38 (figura). Tali dati dimostrano come la complessità e l’interrelazione tra numerosi sistemi di trasduzione del segnale cellulare all’interno delle cellule di carcinoma, spieghino la limitata efficacia clinica di strategie terapeutiche basate su un singolo target molecolare, come per esempio l’erlotinib (inibitore del recettore dell’EGF). Altri autori (6) hanno dimostrato che nelle cellule di adenocarcinoma pancreatico vi è una quantità di “connective tissue growth factor (CCN2)” 59 volte superiore rispetto alle cellule normali. Tale proteina è costitutiva della matrice extracellulare e ha proprietà di modificare i segnali di adesione cellulare e di rilascio citochinico (7). La perdita di tale proteina nelle cellule embrionali mesenchimali causa in una diminuzione della migrazione/adesione cellulare e una riduzione dell’espressione di geni proangiogenetici e pro-fibrotici. Anticorpi specifici anti CCN2 bloccano la metastatizzazione, l’angiogenesi e la massa delle cellule tumorali in vitro. Nel carcinoma pancreatico l’iperespressione di CCN2 correla con la progressione tumorale, è TGFβ indipendente ed è causata da un’attivazione del promoter genico da parte del sistema ras/MEK/ERK (non a caso aberranti come dimostrato nello studio precedente). CCN2 è strettamente legata alla Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 2 angiogenesi, alla progressione e alla migrazione delle cellule tumorali duttali. Altro gene studiato recentemente è HMGA1, localizzato sul cromosoma 6p21, che trascrive la proteina HMGA1 che entra a far parte di un complesso proteico detto “enansosoma”, con l’azione di legarsi ai promoter trascrittivi genici e di regolare la flessione dell’elica di DNA (8). L’iperespressione di HMGA1 è stata associata alla metastatizzazione del carcinoma pancreatico tramite l’aumento dell’invasione cellulare dovuta al sistema di kinasi P13K/Akt che modula l’attività della metalloproeinasi-9 (MMP-9) (9). La selettiva soppressione di questa proteina inibisce l’invasività in vitro e le metastasi in vivo. Un’altra azione interessante della molecola è la capacità di regolare la trascrizione del recettore dell’insulina sempre tramite l’attivazione del sistema P13K/Akt. Quest’ultimo, non a caso, viene anche direttamente attivato dal pathway di segnale Ras/ERK. Un successivo studio (10) ha dimostrato che nel 93% di pazienti resecati per adenocarcinoma duttale è presente una iperespressione nel tessuto tumorale di HMGA1. I soggetti negativi hanno un significativo aumento della sopravvivenza rispetto a quelli con alti livelli tissutali di HMGA1. L’iperespressione proteica comporta un netto aumento della proliferazione delle cellule carcinomatose in assenza di ancoraggio. Il blocco selettivo in vivo di HMGA1 riduce l’indice proliferativo cellulare (Ki-67 index) e aumenta l’apoptosi, anche in presenza di segnali mitogeni derivanti da ERK. L’aumento dell’espressione della metalloproteinasi-9 controllata dalla proteina Gli1 (compresa nel pathway di segnale di crescita Hedgehog) comporta l’incremento della capacità di invasione delle cellule tumorali pancreatiche (11). Altro campo di notevole interesse sono le cellule staminali tumorali presenti in numerosi tumori. Un recente studio ha dimostrato su campioni derivanti da adenocarcinoma duttale della testa pancreatica, numerose cellule CD133 (marcatore delle staminali tumorali) positive situate nelle strutture ghiandolari carcinomatose periferiche (12). L’espressione del CD133 è correlata a quella del vascular endothelial growth factor-C. L’espressione di queste due molecole è strettamente dipendente alla invasione linfatica e alle metastasi tumorali e risulta essere un fattore prognostico negativo indipendente nella prognosi della malattia. Possibilità future e conclusioni. Sebbene si siano fatti numerosi passi avanti nello studio della carcinogenesi dell’adenocarcinoma duttale pancreatico, i meccanismi molecolari risultano complessi, spesso convergenti e non ancora del tutto conosciuti. Numerose proteine nucleari e citoplasmatiche sembrano essere buoni marcatori prognostici e promettenti target terapeutici, anche se il blocco selettivo di una sola proteina non sembra essere la strada giusta per la cura di tale patologia. Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 3 Possibile ruolo di terapie alternative Introduzione. La gemcitabina è, al momento, il trattamento standard per il tumore al pancreas avanzato in quanto determina un miglioramento dei sintomi ed un modesto beneficio sulla sopravvivenza. Recenti studi di fase III con gemcitabina in combinazione con altri agenti chemioterapici non hanno mostrato miglioramenti sulla sopravvivenza, anche se, in studi preliminari, le combinazioni gemcitabina/oxaliplatino e gemcitabina/capecitabina si erano dimostrate associazioni promettenti [13]. Un insegnamento che dobbiamo trarre dai lavori finora pubblicati è che vi è la necessità di studiare separatamente l’adenocarcinoma localmente avanzato dall’adenocarcinoma pancreatico metastatico; in questa ottica, una grande aspettativa è riposta nelle terapie alternative alla chemioterapia classica ed alla radio-chemioterapia quali la target therapy, la immunoterapia (vaccinoterapia, interferone, cellule staminali), la radiofrequenza e la ipertemia che potrebbero rappresentare le terapie alternative del futuro. Di seguito sono riportate le notizie essenziali su tali nuove terapie, rimandando ai lavori originali notizie più esaustive. Target therapy. Lo studio dei meccanismi molecolari responsabili della trasformazione e della progressione del carcinoma pancreatico ha reso possibile individuare terapie farmacologiche specifiche. Tale approccio terapeutico denominato target therapy è volto a trattare farmacologicamente vari processi molecolari coinvolti nello sviluppo e nella crescita del tumore. I farmaci sviluppati sono inibitori dell’angiogenesi (inibitori delle metallo proteinasi, anticorpi anti-vascular epithelial growth factor, inibitori della ciclo ossigenasi), inibitori dell’epidemal growht factor receptor (EGFR) (anticorpi anti EGFR, inibitori della tirosino-kinasi), inibitori della farnesil transferasi ed inibitori dell’HER-2/NEU. Inibitori dell’angiogenesi Le metallo proteinasi sono enzimi che svolgono un ruolo importante nella crescita, differenziazione e riparazione di tessuti normali; metalloporteinasi aberranti contribuiscono alla crescita e alla diffusione dei tumori solidi ed il marimastat è stato il farmaco utilizzato per inibirle. I risultati di studi che hanno utilizzato il marismat in associazione con altri gemcitabina non hanno mostrato una significativa differenza sulla sopravvivenza rispetto alla gemcitabina da sola [14,15]. Anche il BAY 12-9566 inibitore specifico delle metalloproteinasi 2, 3, 9 e 3, e che possiede contemporaneamente anche attività antiangiogenica non si è dimostrato superiore alla gemcitabina utilizzata da sola nel tumore avanzato [16]. Un farmaco con proprietà anti-VEGF (vascular epithelial growth factor) è il bevacizumab; i risultati di uno studio in fase II non hanno dimostrato una significativa sopravvivenza rispetto a quella ottenuta con gemcitabina o con gemcitabina più cisplatino o oxaliplatino [17]. Altri farmaci con le stesse proprietà come gli inibitori della ciclo-ossigenasi-2 (celecoxib), la talidomide sono entrati in fase di sperimentazione clinica, ma i risultati degli studi finora condotti non hanno dimostrato un significativo aumento della sopravvivenza rispetto ai classici chemioterapici. Inibitori dell’epidemal growht factor receptor Questi farmaci sono stati sviluppati per agire sul recettore di crescita epidermico (EGFR) che svolge un ruolo importante nella progressione del carcinoma pancreatico. L’erlotinib, è stato il primo agente in grado di migliorare in modo significativo la sopravvivenza globale in un trial di fase III in combinazione con gemcitabina come terapia di prima linea. Studi in corso stanno esaminando il ruolo della target therapy come terapia adiuvante. Tuttavia molti dubbi devono essere risolti: una razionale selezione dei pazienti che hanno maggiori probabilità di ottenere benefici con tale terapia, la scelta del programma terapeutico ottimale, la gestione della tossicità [18]. Inibitori della farnesil transferasi Il protooncogene K-ras è attivato nella maggioranza dei tumori pancreatici. L’enzima in grado di catalizzare la sintesi delle proteine ras è la farnesil transferasi; in teoria, l'inibizione di Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 4 questo enzima può quindi avere una certa rilevanza clinica. Il farmaco utilizzato è stato il tipifarnib i cui risultati sono stati però deludenti [19]. Inibitori dell’HER-2/NEU La espressione di HER-2 nel carcinoma pancreatico è stata dimostrata con tecniche di immunoistochimica e immunoreattività. Il farmaco specifico, il trastuzumab, è risultato essere efficace in vitro nell’inibire l’attività replicativa in linee cellulari che esprimono alti livelli di HER-2/NEU. Tuttavia il trattamento con gemcitabina in pazienti con malattia metastatica non è risultata efficace [20]. Immunoterapia Interferone-alfa L’interferone-alfa è stato utilizzato in associazione con altri presidi terapeutici anche per la terapia dell’adenocarcinoma. In particolare, uno studio ha utilizzato interferone con concomitante radioterapia adiuvante post-operatoria [Picozzi VJ, Kozarek RA, Traverso LW. Interferon-based adjuvant chemoradiation therapy after pancreaticoduodenectomy for pancreatic adenocarcinoma. Am J Surg 2003; 185:47680.]. Con un follow-up di 32 mesi, la sopravvivenza è risultata essere del 67%; circa il 70% dei pazienti ha però sviluppato una tossicità gastrointestinale da moderata a grave. Studi per confermare tali risultati sono in corso. Vaccinoterapia Lo sviluppo di vaccini per la terapia del carcinoma pancreatico è stata oggetto di recenti sviluppi nel trattamento adiuvante del carcinoma pancreatico [21]. In genere si utilizzano cellule transfettate del tumore [22]; i risultati di uno studio di fase II su 60 pazienti con adenocarcinoma pancreatico resecato somministrando un totale di cinque trattamenti di immunoterapia e successivamente 5-FU associata a radioterapia hanno mostrato che la sopravvivenza ad uno e due anni è stata rispettivamente dell'88% e 76% [23]. Il trattamento vaccinico è stato ben tollerato a parte effetti collaterali transitori in corrispondenza del sito di iniezione Cellule staminali E’ stato suggerito che cloni neoplastici sono mantenuti esclusivamente da un piccolo sottoinsieme di cellule con caratteristiche di cellule staminali all'interno del tumore pancreatico [24]. E’ da sottolineare che non vi sono prove che sostengano questa teoria dopo studi condotti nelle neoplasie che coinvolgono il sangue, il cervello ed i tumori al seno. Gli studi sulle cellule staminali presenti nel tumore possono tuttavia aprire nuove strade per individuare marcatori tumorali utili a fini diagnostici e isolare e rendere disponibili popolazioni cellulari per testare nuovi agenti terapeutici. Radiofrequenza Di recente molto interesse ha suscitato la possibilità di ablare i tumori localmente avanzati con la radiofrequenza (Figura 1) [25]. Deve essere sottolineato che non vi sono informazioni sufficienti per preferire la ablazione delle neoplasie pancreatiche non resecabili ad altri presidi terapeutici. Gli studi che hanno utilizzato la termo-ablazione sono pochi e retrospettivi e quest’ultimo dato non deve essere sottovalutato. Tuttavia se la tecnica è presa in considerazione per studi di fattibilità, come avviene nel nostro Ospedale [26], è assolutamente necessario disporre di una diagnosi istologica ottenuta preoperatoriamente o durante la procedura operatoria. Il dispositivo di ablazione deve essere utilizzato solo in pazienti sottoposti a laparotomia e, prima o dopo ablazione termica, è prudente la creazione di almeno un drenaggio biliare. E 'chiaro quindi che in allo stato attuale l’ablazione con radiofrequenza non è una tecnica proponibile per algoritmi diagnostico-terapeutici del cancro del pancreas poiché non vi sono sufficienti conoscenze sia sulla sua efficacia terapeutica che sui possibili effetti collaterali. Per lo stesso motivo è anche prematuro pensare a studi randomizzati. Ipertermia L’ipertermia, pur essendo una tecnica vecchia, si sta sviluppando rapidamente come metodo di trattamento nelle neoplasie. E’ utilizzata come elettro-ipertermia (oncotermia): si cerca di trattare il tumore mediante energia prodotta con un campo elettrico. I gradienti di temperatura sono utilizzati per distruggere la membrana delle cellule maligne ed eliminare Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 5 selettivamente i tumori dei tessuti. Questo tipo di tecnica è stata applicata anche per l’adenocarcinoma pancreatico: gli studi fin qui condotti sembrano dimostrare che ipertemia è in grado di aumentare la sopravvivenza nei tumori localmente avanzati [27]. Tuttavia, per la applicazione clinica della ipertemia valgono le considerazioni fatte per la termo-ablazione. Conclusioni Le terapie alternative hanno necessità di ulteriori sviluppi e soprattutto vanno identificate le popolazioni di pazienti con adenocarcinoma pancreatico che possano trarne giovamento. Inoltre, i farmaci utilizzati per la targer therpy hanno effetti collaterali numerosi e di frequenza superiore a quelli della gemcitabina e delle associazioni della gemcitabina con oxaliplatino e gemcitabina. Gli altri trattamenti necessitano ancora di studi di fattibilità non possono quindi essere inseriti in algoritmi terapeutici. Figura 1.Procedura e risultato ecografico della termo-ablazione in un paziente con adenocarcinoma pancreatico [ref. 25] Pannello A. Ecografia intraoperatoria dell’adenocarcinoma pancreatico; Pannello B. termo-ablazione; Pannello C. Ecografia intraoperatoria della lesione termo-ablata. Pannello A Pannello B Pannello C Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 6 Possibilità di downstaging con la radiochemioterapia Dal punto di vista prognostico-terapeutico, i pazienti che sono affetti da adenocarcinoma del pancreas possono rientrare in tre categorie: quelli con malattia resecabile (10-20% di tutti i pazienti; sopravvivenza mediana 15-20 mesi), quelli con neoplasia localmente avanzata (KPl.a.) non suscettibile di terapia chirurgica radicale (30-40%; sopravvivenza mediana 6-12 mesi) e quelli con malattia metastatica (5060%; sopravvivenza mediana 3-6 mesi). Anche se in uno scenario di sopravvivenza così sfavorevole, nel corso degli ultimi anni l’uso combinato della radioterapia esterna con la chemioterapia sistemica si è dimostrato un trattamento di discreta efficacia in termini di risposta obiettiva e clinical-benefit nei pazienti con KP-l.a. . Un vantaggio neo-adiuvante è stato per primo ricercato nei due storici trials del Gastrointestinal Tumor Study Group (1981, 1989) ; a seguire, molti altri studi hanno potuto dimostrare che protocolli di chemio-radioterapia potevano migliorare il tasso di risposta e la sopravvivenza quando comparati alla chemio o radioterapia da sole. Occasionalmente, in alcuni di questi studi si verificava che alcuni pazienti con tumori primitivamente inoperabili divenivano, dopo schemi di radiochemioterapia, aggredibili chirurgicamente in senso radicale. Si è iniziava quindi ad ipotizzare anche per il KPl.a. la possibilità di strategie efficaci per ottenere un downstaging. Oggi abbiamo a disposizione vari studi circa la utilizzazione della radiochemioterapia a scopo neoadiuvante nel KP-l.a. - Radioterapia + singolo agente chemioterapico : 5-Fluor-uracile, Gemcitabina, Paclitaxel, Capecitabina - Radioterapia + combinazione di più agenti chemioterapici: a) 5-Fluor-uracile + Oxaliplatino b) Gemcitabina + 5-Fluor-uracile c) Gemcitabina + Cisplatino d) Gemcitabina + Capecitabina + Docetaxel In sintesi, questi studi ci dicono che: 1) protocolli di chemio-radio basati sul 5Fluor-uracile hanno dato risultati variabili, non migliori della chemioterapia da sola; 2) protocolli di chemio-radio basati sulla Gemcitabina da sola o in combinazione con altri antineoplastici si sono dimostrati più efficaci rispetto alla Gemcitabina da sola ma è stata registrata anche una maggiore tossicità; questo risultato è dipeso dalle proprietà radiosensibilizzanti della Gemcitabina che hanno creato problemi di interazione fra dose radiante e dose standard del farmaco; modificando la dose radiante (dose totale fra 36 e 45 Gy con frazioni non superiori a 1.8 Gy) e riducendo quella della Gemcitabina (300-500 mg/m2 di superficie corporea sia da sola che in combinazione con altri antineoplastici) la tossicità –prevalentemente gastroenterica e midollare- si è ridotta a livelli più accettabili; 3) la percentuale di downstaging registrata con questi protocolli è purtroppo bassa, variando dal 13 al 16% di tutti i pazienti trattati; solo in uno studio (Fogelman DR et al. Proc GI Am Soc Clin Oncol 2007 – abstract 143) che ha utilizzato la combinazione di radio + chemioterapia di associazione con Gemcitabina, Capecitabina e Docetaxel si è osservata una sorprendente percentuale di downstaging del 57% : sono dati da ricontrollare in quanto sono ricavati da una casistica di solo 14 pazienti e lo studio non è ancora stato pubblicato in extenso . In conclusione, il trattamento dei pazienti con KP-l.a. resta a tuttoggi controverso e i vari schemi di radio-chemioterapia non sono riusciti a modificare la prognosi sfavorevole della malattia. Di concerto, le possibilità di downstaging sono ancora scarse anche se all’orizzonte si profilano nuovi promettenti schedule di combinazione radio-polichemioterapica Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 7 Definizione dell’ imaging nell’invasione locale del carcinoma pancreatico Lo staging preoperatorio del carcinoma pancreatico è di fondamentale importanza per scegliere quella minoranza di candidati passibili di chirurgia curativa. Per la maggior parte dei pazienti con adenocarcinoma pancreatico lo stadio avanzato della malattia al momento della diagnosi preclude pertanto l’intervento curativo. Per stadio avanzato si intende: infiltrazione degli organi adiacenti (T4: stomaco, milza, colon), invasione dei vasi peripancreatici (tronco celiaco, arteria e vena mesenterica superiore, arteria epatica, vena porta) e metastasi a distanza (M1:fegato, peritoneo, linfonodi paraaortici, polmone). Quindi l’obiettivo primario dello staging preoperatorio è identificare i pazienti con malattia potenzialmente resecabile. Nello staging del cancro pancreatico, la diagnostica per immagini ha il ruolo di escludere la presenza delle principali controindicazioni all’intervento che consistono in: - infiltrazione degli organi adiacenti: stomaco, milza, colon (T4). - invasione dei vasi peripancreatici: tronco celiaco, arteria e vena mesenterica superiore, arteria epatica, vena porta - metastasi a distanza: fegato, peritoneo, linfonodi paraaortici, polmone (M1). La TC multidetettore (MDCT) con mezzo di contrasto permette un’ottima valutazione della resecabilità-non resecabilità dei tumori pancreatici. Il valore predittivo negativo per la valutazione della resecabilità varia dall’80 al 90% poiché la TC puo’ valutare non correttamente i casi con piccole metastasi epatiche, con carcinomatosi peritoneali e con interessamento vascolare subdolo. L’individuazione di metastasi epatiche è un obiettivo fondamentale nel cancro pancreatico. Molti studi suggeriscono che attualmente l’incapacità di identificare piccole metastasi epatiche e peritoneali è la piu’ comune causa di sottostadiazione. Valls e al. [28]riportano che circa il 59% di falsi negativi per la resecabilità è dovuto a metastasi epatiche non identificate. La dimensione media di queste lesioni era 8 mm. Blumke e al. [29]riportano che 19 pazienti (42%) sono stati stadiati erroneamente a causa della presenza di piccole metastasi epatiche. Studi sulla TC a singola elica con mezzo di contrasto hanno mostrato una sensibilità del 7175%. L’evoluzione tecnologica della MDCT offre la possibilità di un imaging più accurato in relazione a maggiore risoluzione temporale e spaziale. Nello studio di Catalano e al. [30]è stata raggiunta un’alta accuratezza nell’identificazione delle metastasi epatiche usando un protocollo ad alta risoluzione con spessore di 1 mm. Gli Autori hanno identificato 83/91 metastasi epatiche dimostrate dall’analisi chirurgica. Risultati molto simili alla MDCT sono ottenibili con la RM con mezzo di contrasto epatospecifico (Mangafodipir) [31]. Nei pazienti con tumore del pancreas senza metastasi a distanza e invasione degli organi adiacenti la resecabilità chirurgica dipende dall’interessamento vascolare dei vasi peripancreatici. Sebbene criteri standard di infiltrazione vascolare non sono mai stati stabiliti, sono comunemente considerati come segni TC di infiltrazione vascolare i seguenti: la percentuale di tessuto neoplastico intorno al vaso, la riduzione di calibro o l’ostruzione completa del vaso, la presenza di trombo endoluminale. Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 8 GRADO Grado 0 VASI VASI Raptopolous circonferenza 1997 Lu et al 1997 vasi normali Nessuna CHIRURGIA resecabile contiguità Grado 1 Scomparsa del < 25% resecabile >25 – 50% discutibilmente piano adiposo Grado 2 Irregolarità di un lato di qualunque resecabile vaso Grado 3 tumore circonda > 50 – 75 % non resecabile > 75% non resecabile due lati (arterie) o riduce il lume venoso Grado 4 Ostruzione vascolare Gli studi di Lu e di O’Malley [32] hanno stabilito , con la TC a singola elica, la probabilità di infiltrazione dei vasi peripancreatici misurando il contatto vaso-tumore. Quando il contatto tumore-vaso è assente (grado 0, secondo Lu et al.) la probabilità di invasione vascolare è 0%. Con un contatto minore di 90° della circonferenza del vaso (grado 1, secondo Lu et al.) c’è una piccola probabilità di infiltrazione vascolare dello 0-3%. Quando il contatto aumenta a 90°-180° della circonferenza del vaso ( grado 2) la possibilità di infiltrazione è di circa 40% e con un contatto >180° c’è un’alta probabilità di invasione ( circa 80%). Con un contatto >270° la probabilità di infiltrazione è vicina al 100%. Questo criterio ha una sensibilità e specificità per la non resecabilità rispettivamente dell’84 e 98%. In uno studio più recente sull’interessamento vascolare nel carcinoma pancreatico, Nakayama e al. [33] usando il criterio proposto da Lu, hanno suggerito la necessità di trovare un altro criterio per la valutazione sia arteriosa che venosa. Questi autori hanno notato che le arterie peripancreatiche sono occasionalmente circondate da tessuto fibroso o infiammatorio. Il contatto diretto tra il tumore e il vaso con perdita del tessuto adiposo tra i due non significa automaticamente invasione vascolare. L’interessamento vascolare è confermato invece da un trombo di origine tumorale, da un’occlusione vascolare o da notevoli cambiamenti nel calibro dei vasi. Hough e al. hanno descritto, per la vena mesenterica superiore e la vena porta, il “teardrop sign”, un forte indicatore di infiltrazione tumorale del vaso. Cio’ significa che una deformità “teardrop-like” del vaso adiacente il tumore è indicativa di invasione vascolare anche in assenza di altri segni [34]. Mazzeo e al. [35]hanno proposto un nuovo sistema di grading, non basato sulla percentuale di adesione circonferenziale tra tumore e vaso ma su due parametri: contiguità focale/parziale/totale e calibro del vaso. Ecco la classificazione per gradi: grado 0= nessun contatto tra vaso e neoplasia, grado 1= contiguità focale tra vaso e neoplasia senza modificazioni del calibro del vaso, grado 2= la neoplasia avvolge parzialmente o completamente il vaso senza riduzione di calibro, grado 3= la neoplasia avvolge parzialmente o completamente il vaso con riduzione di calibro o ostruzione del vaso. Gli autori riportano i seguenti risultati per la valutazione MDCT dell’infiltrazione vascolare: sensibilità 90%, specificità 67%, PPV 80%, NPV 82%, accuratezza totale 81%. Da questi risultati emerge che se è presente un contatto del tumore circonferenziale, indipendentemente dalla percentuale di adesione e dalla presenza o assenza di riduzione del calibro, l’infiltrazione vascolare è altamente probabile; infatti gli Autori hanno trovato un interessamento vascolare nel 82% dei vasi di grado II e 78% in quelli di grado III, senza differenza sostanziale tra CT e analisi intraoperatoria. Per questa ragione il grading proposto può anche essere semplificato considerando i gradi II e III come un unico Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 9 grado, poiché entrambi mostrano una probabilità simile di infiltrazione. La presenza delle vene pancreatico-duodenali dilatate, come descritto da Yamada e al., è indicativa di un flusso venoso ostruito a livello della vena mesenterica superiore e quindi di invasione vascolare [36]. In uno studio recente Vargas e al. [37] hanno confrontato le immagini correlate all’invasione vascolare in 25 pazienti sottoposti a valutazione MDCT con mdc bifasica con invasione vascolare identificata all’analisi chirurgica e istopatologica. La presenza dell’invasione vascolare è stata analizzata in 110 vasi peripancreatici di 22 pazienti sottoposti a resezione. All’MDCT 23 (92%) dei 25 tumori sono stati considerati resecabili. I due tumori rimanenti (8%) sono stati considerati non resecabili per la presenza di invasione vascolare (1 confermata chirurgicamente). Dei 23 pazienti considerati candidabili alla resezione curativa all’analisi MDCT, 20 sono stati confermati resecabili chirurgicamente, dimostrando un valore predittivo negativo per la MDCT dell’87% sulla resecabilità. Negli altri tre pazienti gli adenocarcinomi sono stati considerati non resecabili a causa di piccole metastasi epatiche (due pazienti) o peritoneali (un paziente) scoperte alla chirurgia. Per l’identificazione dell’invasione vascolare la MDCT ha dimostrato un valore predittivo negativo del 100% (108/108 vasi) senza falsi negativi e un’accuratezza del 99% (109/110 vasi) con 108 veri negativi, un vero positivo e un falso positivo. Da questo studio si evince che la 3D-CT è un’accurata metodica nella predizione di una resezione a margini negativi ( valore predittivo negativo dell’86%). Rimane tuttavia il problema delle micrometastasi epatiche e peritoneali non identificate. Anche l’EUS è una metodica abbastanza accurata per l’identificazione dell’infiltrazione tumorale dei maggiori vasi peripancreatici. La definizione tutt’ora accettata di infiltrazione vascolare include la perdita di interfaccia tra il tumore e la parete del vaso, l’esistenza di circoli collaterali conseguenti all’ostruzione vascolare e l’irregolarità della parete vascolare. La sensibilità dell’EUS nella diagnosi di invasione vascolare nei vari studi varia tra il 90-95%. Secondo Brugge e al. [38] tre segni EUS sembrano essere criteri affidabili per l’identificazione dell’invasione tumorale della confluenza mesenterico-portale: (Fig. 2) collaterali venosi peripancreatici a livello del tumore che oblitera la normale locazione anatomica della CMP; (Fig. 3) tumore all’interno del lume del vaso; (Fig. 4) margine anormale del vaso con perdita dell’inerfaccia tumore-vaso. Almeno uno di questi segni era presente in uno dei 21 pazienti con invasione vascolare; nessuno degli stessi era rilevabile nei 17 pazienti senza invasione vascolare. Snady e al. [39] hanno ripreso i criteri proposti da Brugge nel loro studio ottenendo un accuratezza totale come segue: irregolarità della parete venosa 87%, perdita dell’interfaccia 78%, vicinanza della massa 73%. Sebbene sia il segno piu’ accurato, l’irregolarità della parete presenta una sensibilità del 47% a causa della relativa incapacità a identificare l’invasione della vena mesenterica superiore ( 17%). Rodge e al. [40]sostengono che l’interessamento venoso portale può essere correttamente identificato, confrontando con l’analisi chirurgica, nel 95% dei casi. Gli stessi risultati non vengono confermati nello studio prospettico di Soriano e al. [41]che riporta i seguenti valori per l’EUS: sensibilità 42%, specificità 97%, PPV 89%, NPV 74%, accuratezza totale 76%. Per quanto riguarda l’accuratezza diagnostica dell’EcoColorDoppler, Angeli e al. [42]hanno valutato 61 pazienti con carcinoma pancreatico. L’assenza di contatto o una piccola contiguità (< o = 2 cm) tra il tumore e i vasi peripancreatici è considerata come un segno di resecabilità; la contiguità > 2 cm, la compressione, l’encasement o la trombosi sono considerati segni di non resecabilità. In tutti i pazienti la diagnosi con EcoDoppler è stata confrontata con il risultato chirurgico. Per la diagnosi di interessamento vascolare la sensibilità, specificità, PPV, NPV e accuratezza totale sono rispettivamente 79%,89%, 89%, 79%,84%. Gli Autori concludono che il Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 10 ColorDoppler è una metodica di imaging sensibile e altamente specifica nella valutazione dell’interessamento vascolare dei tumori pancreatici quando si identifica l’assenza di contatto o di encasement vascolare. Quando si vede l’encasement vascolare si può fare una diagnosi definitiva di non resecabilità evitando ulteriori procedure diagnostiche. Quindi nell’iniziale valutazione del cancro pancreatico il colorDoppler può migliorare la selezione dei pazienti che saranno sottoposti a ulteriori accertamenti diagnostici o esplorazione chirurgica. La valutazione preoperatoria dovrebbe includere sempre, nei pazienti senza controindicazioni, l’analisi con TC multidetettore e con Ecoendoscopia; l’EUS permette di effettuare una FNA (fine needle aspiration) della lesione e la sua caratterizzazione, aspetto di fondamentale importanza nei casi non candidabili a intervento chirurgico con successiva analisi istologica dei reperti operatori. Fig. 3: TC con mdc: voluminosa neoplasia della testa pancreatica infiltrante i vasi mesenterici Fig. 4: TC con mdc: Ricostruzione coronale di infiltrazione della vena mesenterica superiore con numerosi circoli collaterali (frecce gialle) Fig. 2: TC con mdc: lesione neoplastica della coda pancreatica (freccia verde) con multiple lesioni secondarie epatiche (frecce gialle) Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 11 Palliazione dei sintomi (e cura della malattia?) per via endoscopica Introduzione Nei pazienti affetti da adenocarcinoma pancreatico, nonostante lo sviluppo delle tecniche chirurgiche e delle terapie chemioterapiche, la sopravvivenza media resta inferiore ai 6 mesi con una sopravvivenza a 5 anni del 3-5% [43]. Molti pazienti, al momento della diagnosi, presentano una malattia localmente avanzata (infiltrazione vascolare e/o presenza di secondarismi) e non passibile quindi di trattamento chirurgico. La palliazione dei sintomi rappresenta molte volte una tappa imprescindibile nei pazienti affetti da adenocarcinoma pancreatico, soprattutto in quelli inoperabili. Lo scopo della terapia palliativa consiste nell’alleviare i sintomi, ridurre le ospedalizzazioni, aumentare la qualità di vita e potenzialmente ridurre la morbidità e la mortalità. Tutto ciò può essere ottenuto attraverso la chemioterapia, la chirurgia, la radiologia interventistica e i trattamenti endoscopici [44]. Il trattamento per via endoscopica è una modalità importante nella risoluzione dei maggiori sintomi attribuiti ad una malattia localmente avanzata: 1. l’ittero ostruttivo, 2. l’ostruzione duodenale, 3. Il dolore intrattabile dovuto all’infiltrazione neoplastica delle terminazioni nervose e/o all’ostruzione del dotto pancreatico. L’approccio endoscopico è considerato la prima linea di trattamento nella palliazione dei sintomi dei pazienti affetti da tumore pancreatico inoperabile. Il posizionamento endoscopico di protesi biliari, pancreatiche o enterali e/o l’endosonografia operativa (neurolisi del plesso celiaco ecoendoguidato EUS-CPN ) rappresentano infatti metodiche con bassa morbidità e mortalità nella gestione di questi sintomi [44] Palliazione endoscopica dell’ostruzione biliare maligna Il carcinoma del pancreas è complicato dall’ittero nel 70-80% dei casi [45]. La decompressione dell’albero biliare può essere effettuato 1.chirurgicamente mediante il confezionamento di un’anastomosi biliodigestiva, spesso associata ad una gastroenterica; 2. radiologicamente mediante il posizionamento di stent biliari o drenaggi esterni attraverso l’approccio percutaneo-transepatico; 3. endoscopicamente mediante il posizionamento di protesi biliari in plastica o metalliche. [46] Le rilevanti mortalità e morbilità operatorie (rispettivamente dal 2.5 al 30% e dal 20 al 60% nelle varie casistiche) hanno incentivato lo sviluppo di metodiche di palliazione non chirurgiche. Molti trials randomizzati hanno evidenziato come non vi sia nessuna differenza in termini di efficacia tra bypass chirurgico e endoscopico, ma quest’ultimo presenta bassa morbilità (15-35%) e mortalità quasi assente. [47-49]. Diversi sono anche gli studi che hanno comparato l’approccio endoscopico rispetto a quello radiologico evidenziando una maggiore sicurezza ed efficacia dell’approccio endoscopico rispetto a quello radiologico per ciò che concerne il posizionamento di protesi in plastica [50]mentre non esistono dati in letteratura che comparino le due metodiche per ciò che concerne il posizionamento delle protesi in metallo. Nel caso di insuccesso endoscopico dovuto a precedente chirurgia (gastrectomie secondo Billroth II, ricostruzioni alla Roux -enY), stenosi duodenali serrate, mancato incannulamento della via biliare principale, impossibilità a superare la stenosi con il filo guida- può essere utile un approccio combinato percutaneo-endoscopico, con la cosiddetta tecnica del rendez-vous: per via percutanea, dopo la fase colangiografica, si tenta di superare la stenosi con una guida idrofila e di instaurare un drenaggio esterno-interno; a questo punto, se la papilla di Vater è raggiungibile endoscopicamente, si recupera per via endoscopica una guida inserita attraverso il drenaggio percutaneo e la si utilizza per posizionare la protesi transtumorale, potendo così rimuovere il drenaggio percutaneo. Il trattamento endoscopico, per la sua sicurezza può essere proposto in prima istanza anche in pazienti anziani e/o in condizioni scadute; solo in caso di insuccesso, vengono presi in Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 12 considerazione approcci combinati endoscopicoradiologici interventistici o chirurgici [51]. Il trattamento endoscopico consiste nell’esecuzione di una Colangio PancreatoGrafia Retrograda Endoscopica (CPRE) e, in assenza di deficit di coagulazione, nella possibilità di eseguire durante la medesima procedura 1. biopsie trans papillari, 2. brushing per esame citologico, 3. sfinterotomia biliare (SEB) che facilita il posizionamento transtumorale di endoprotesi biliari, 4. il posizionamento di protesi biliari. Per ciò che riguarda la sfinterotomia endoscopica alcuni studi mostrano che quest’ultima non sia necessaria [52,53] in contrasto con una piccola casistica in cui invece è dimostrato che l’esecuzione della SEB riduca i rischi di pancreatiti post-CPRE [54]. Le protesi biliari in plastica utilizzate sono principalmente 10 Fr le quali, rispetto la protesi da 7 F e 8 F, sembrano mantenere più a lungo la loro pervietà [55,56] mentre non esistono differenze con quelle da 11.5 Fr [57]. Infatti la complicanza tardiva più frequente è rappresentata dall’occlusione delle protesi dovuta al deposito del biofilm batterico (in media dopo 154 giorni) che determina recidiva della colestasi, dell’ittero e/o colangite con necessità di uno più cambi protesi nel 30-60% dei pazienti. L’uso di protesi dal diverso design e la somministrazione di farmaci (acidi biliari, antibiotici, aspirina) non hanno sostanzialmente migliorato i tempi di pervietà delle protesi. La sostituzione della protesi per via endoscopica è in grado di risolvere completamente la sintomatologia, ma indubbiamente la tendenza delle protesi ad occludersi rappresenta il limite maggiore di questa metodica. L’intervallo di tempo dopo il quale è consigliabile sostituire le protesi non è stato ancora standardizzato, ma approssimativamente esso è compreso tra i 3 ed i 6 mesi [58,59]. Per tale motivo sono state sviluppate endoprotesi metalliche autoespandibili che raggiungono un calibro di circa 30 Fr (contro i 10 o gli 11.5 delle protesi di plastica), garantendo un tempo di pervietà quasi triplo rispetto alle protesi tradizionali (in media 291 giorni) e riducendo così la necessità di successive riospedalizzazioni per cambi-protesi 8 [60-63]. Molti fattori contribuiscono comunque all’occlusione anche di queste protesi primo fra tutti la possibile crescita del tumore all’interno delle maglie delle protesi [64]. Visto il maggior costo delle protesi metalliche ed il contemporaneo compartamento identico nei primi 3 mesi rispetto le protesi in plastica [65] le linee guida internazionali dettate dall’ASGE suggeriscono di posizionarle in pazienti che hanno un’aspettanza di vita superiore a quattro mesi almeno [66]. Palliazione endoscopica dell’ ostruzione intestinale Circa il 15-20 % dei pazienti con carcinoma del pancreas sviluppa una stenosi duodenale nel corso della malattia [44]. Da alcuni anni diversi studi hanno dimostrato la sicurezza e l’efficacia delle protesi metalliche autoespandibili posizionate per via endoscopica in alternativa alla chirurgia palliativa considerata comunque il trattamento standard [67]. I pazienti che sviluppano una stenosi duodenale hanno generalmente una sopravvivenza piuttosto limitata (in media 4 mesi). In questi pazienti un bypass chirurgico può essere difficoltoso a causa dell’avanzato stadio della malattia e la radioterapia può pesare su un aggravamento del quadro clinico: il posizionamento per via endoscopica di una protesi enterale a bypass del tratto stenotico consente, con morbidità e mortalità assai contentute, di migliorare sensibilmente la qualità di vita con il sollievo dai sintomi ostruttivi e la ripresa dell’alimentazione orale in circa l’80% dei casi [68]. Nei pazienti in cui i sintomi ostruttivi intestinali si verifichino in concomitanza con quelli biliari, il posizionamento di una protesi enterale può rappresentare il presupposto fondamentale per poter trattare la stenosi biliare endoscopicamente [69]. Esistono diversi tipi di protesi enterali, tuttavia la FDA ha approvato per la palliazione delle ostruzioni intestinali maligne soltanto l’Enteral Wallstent (Microvasive), sebbene non esistano studi comparativi tra diversi tipi di protesi applicate per questa problematica clinica. Il vantaggio dell’enteral Wallstent risiede nel Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 13 sottile sistema di rilascio che consente l’introduzione attraverso il canale dell’endoscopio, con un miglior controllo del posizionamento, mentre lo svantaggio principale è rappresentato dal fatto che questo tipo di protesi non ha una copertura plastica e permette pertanto la crescita del tumore attraverso le maglie metalliche [70] anche se attualmente si sta iniziando l’utilizzo di protesi duodenali ricoperte [71]. Le complicanze maggiori, che si verificano con minima incidenza, sono rappresentate dalla crescita del tumore all’interno delle maglie metalliche (ritrattabile con tecniche di termoablazione o ulteriore posizionamento di endoprotesi), e da possibile sanguinamento, perforazione e migrazione dello stent [72]. Molti degli studi pubblicati sulle protesi duodenali endoscopiche sono studi retrospettivi [73-77]. Il successo della metodica è calcolato tra il 90 ed il 100% con un successo “clinico” (inteso come tollerabilità della procedura e inizio della nutrizione per via orale) calcolato tra l’80 ed il 90%. Il più ampio di questi studi include circa 36 pazienti e mostra un significativo aumento in quello considerato come score della dieta post posizionamento di protesi duodenale [78]. La morbilità delle metodiche endoscopiche risulta in definitiva molto contenuta ed è, quasi sempre, gestibile con terapia conservativa. Palliazione endoscopica del dolore addominale intrattabile Palliazione del dolore non ostruttivo Soltanto il 37% dei pazienti affetti da carcinoma del pancreas non riferisce sintomatologia dolorosa e, negli stadi più avanzati della malattia, la percentuale di pazienti che lamenta dolore sale all’80-85% [79]. Il carcinoma pancreatico infatti può infiltrare o stirare le fibre nervose pancreatiche e metastatizzare frequentemente ai linfonodi retroperitoneali inclusi quelli che circondano il ganglio celiaco, inducendo uno stato neuropatico. La terapia farmacologica approda rapidamente all’uso degli oppoidi che tuttavia, usati cronicamente non danno effetti collaterali solo nel 24% dei casi, sembrano inibire la funzione immunitaria ed inducono dipendenza [80-82]. Le tecniche di neurolisi del plesso celiaco (NPC) si sono sviluppate per fornire una via alternativa per il controllo del dolore al fine di ridurre drasticamente se non addirittura eliminare la dipendenza farmacologica. NPC è stata condotta per via chirurgica o percutanea con buoni risultati nel 70-90% dei pazienti . La recente introduzione dell'ecoendoscopia (EUS), con strumenti lineari dotati di canale operativo, ha permesso di realizzare la neurolisi del plesso celiaco sotto guida endosonografica (EUS-CPN utilizzando un accesso diretto al plesso celiaco senza il passaggio dell'ago attraverso strutture quali i nervi spinali, il diaframma o le arterie spinali). Le complicanze minori dell'EUS-CPN riportate in letteratura sono la diarrea transitoria (4-15%); transitoria ipotensione (1%) ed un transitorio aumento del dolore (9%). Le complicanze maggiori (2.5%) includono il sanguinamento retroperitoneale e la formazione di ascessi. Attualmente non vi sono descritti in letteratura casi di paraplegia. [83] E’ fondamentale infatti ricordare che l’approccio anteriore mediante EUS consente di ridurre drasticamente l’incidenza di complicanze neurologiche che si registrano in circa 1% dei pazienti trattati con l’approccio posteriore per via percutanea (parestesia, paraplegia, impotenza, gastroparesi o diarrea prolungata) e che sono relate all’ischemia del midollo spinale indotta dall’alcolizzazione o dall’iniezione diretta nello spazio epidurale o subaracnoideo dei nervi somatici, in pratica dall’attraversamento da parte dell’ago delle strutture nervose interposte tra l’accesso percutaneo ed il ganglio celiaco [84]. Ischia e coll. [85] hanno dimostrato che l'efficacia dell'EUS-CPN è maggiore se effettuata agli inizi della gestione della patologia tumorale per una diretta correlazione della genesi del dolore con il plesso celiaco (rispetto agli stadi più avanzati di malattia in cui probabilmente il dolore è la risultante di multipli fattori, inclusi l'infiltrazione tumorale di tessuti peripancreatici o di nervi somatici). Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 14 Palliazione del dolore di tipo ostruttivo In alcuni casi il dolore è causato dall’ipertensione duttale secondaria all’ostruzione del dotto pancreatico: caratteristicamente, questo dolore “ostruttivo” è irradiato posteriormente e correlato all’assunzione dei pasti. In questi casi può essere vantaggioso il posizionamento di un’endoprotesi anche sul versante pancreatico al fine di detendere il dotto, consentendo la ripresa di un normale deflusso del secreto pancreatico in duodeno. La prima esperienza in merito fu quella di Harrison che nel 1989 riportava, su un solo paziente, la risoluzione del dolore dopo posizionamento di protesi pancreatica da 7 Fr. [86] Uno studio di Costamagna e coll. [87] del 1993 eseguito su 12 pazienti sottoposti a CPRE e posizionamento di protesi pancreatiche (in plastica 7-10 Fr) riportava un successo completo sulla sintomatologia in 7/12 (58.3%) e parziale in uno (8.3%). Una recente pubblicazione di Costamagna e coll. [88] su 355 pazienti sottoposti a CPRE per neoplasia pancreatica di cui 55 (15.5%) candidati al trattamento di drenaggio pancreatico per dolore di tipo "ostruttivo" ha mostrato un completo controllo del dolore nel 61.7% dei casi ed un controllo parziale nel 26.3% dei casi. I dati di letteratura suggeriscono quindi che lo stenting del dotto pancreatico nei pazienti con dolore di tipo "ostruttivo" e dilatazione del dotto pancreatico risulta efficace nel controllo del dolore stesso [89] in una buona percentuale dei casi. Nuove emergenti terapie endoscopiche palliative e/o curative (?) Molte nuove ed emozionanti tecniche endoscopiche per la palliazione del tumore del pancreas localmente avanzato stanno emergendo negli ultimi anni. Queste includono: 1. il posizionamento di stent biliari auto espandibili medicati [90]: studi eseguiti su 2. il posizionamento sotto guida endosonografica di markers per la cyberknife radioterapia [91]; 3. la creazione endoscopica di gastrodigiunoanastomosi [92] attraverso l’utilizzo di dispositivi magnetici inseriti endoscopicamente ed in grado di creare una fistola gastroenterica dopo circa 7-10 giorni dal loro impianto. 4. il posizionamento endosonografico di vettori genici nella lesione pancreatica per il controllo locale della crescita [93]. Naturalmente per ognuna di queste metodiche sono ancora necessari studi aggiuntivi. CONCLUSIONI La diagnosi di carcinoma del pancreas è tardiva in oltre i 2/3 dei casi e pertanto la palliazione dell’ittero, del dolore e dell’ostruzione duodenale rappresenta l’aspetto terapeutico principale per il miglioramento della qualità di vita di questi pazienti. Il drenaggio biliare endoscopico risulta efficace e sicuro con rapido sollievo dall’ittero: la possibilità di inserire protesi metalliche autoespandibili riduce i problemi relati all’occlusione delle endoprotesi sebbene risultino più costose. Il dolore di tipo ostruttivo si giova dell’inserimento di protesi sul versante pancreatico mentre quello di tipo infiltrativo/compressivo si avvantaggia dell’alcolizzazione del ganglio celiaco che può essere effettuata in modo efficace e sicuro per via ecoendoscopica. L’inserimento di protesi enterali risolve i sintomi ostruttivi con ripresa dell’alimentazione in circa l’80% dei pazienti. In definitiva l’endoscopia terapeutica consente in mani esperte di ottenere un’efficace palliazione con morbilità e mortalità estremamente ridotte rispetto alla chirurgia, consentendo di trattare efficacemente anche i pazienti anziani e/o in condizioni generali scadute. modelli animali sembrano mostrare un controllo dell’ingrowth neoplastico attraverso l’utilizzo di stent ricoperti con rilascio topico di agenti chemioterapici; Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 15 Ruolo palliativo (ed curativo?) della chirurgia anche Introduzione Il carcinoma pancreatico localmente avanzato è una entità che, con la sempre miglior definizione all’imaging dei rapporti tra neoplasia pancreatica e strutture vascolari circostanti, ha assunto negli ultimi anni una connotazione più precisa di quanto non fosse in passato. Anche l’approccio terapeutico a questa situazione clinica, che è di frequente riscontro e riguarda quasi un terzo dei casi, è andato via, via precisandosi. Fondamentale è l’atteggiamento chirurgico, visto che la resezione chirurgica ad intento radicale resta l’unico trattamento potenzialmente curativo del carcinoma pancreatico. Resezioni pancreatiche R2 La netta riduzione delle percentuali di mortalità operatoria e, in minor misura, di morbilità osservate negli ultimi anni, fornisce una sorta di giustificazione al ricorso ad interventi con intento resettivo anche in caso di tumore localmente avanzato. Queste cosiddette resezioni palliative comprendono sia le resezioni pancreatiche con residuo tumorale macroscopico (interventiR2) che le pancreasectomie associate a resezioni vascolari maggiori. Entrambe queste situazioni vanno tenute ben distinte dal riscontro di un residuo microscopico sul pezzo operatorio (interventi definiti R1): tale evento è talmente frequente in caso di accurato campionamento dei margini di sezione (con particolare riguardo al margine posteriore retroperitoneale) da superare il 50% dei casi, e non sembra costituire un discriminante prognostico fondamentale [94]. Invece la prognosi dei pazienti sottoposti ad intervento R2 è decisamente sfavorevole [9596] e non si discosta molto da quella dei pazienti non sottoposti a resezione: il ricorso di principio a queste resezioni palliative appare quindi poco raccomandabile, mentre diverso è il dover talora ripiegare su una resezione palliativa di necessità in corso di intervento iniziato con intento radicale. A questo riguardo va osservato come la marcata reazione desmoplastica che caratterizza il carcinoma pancreatico determini talora una adesione della neoplasia alle strutture vascolari, che può essere confusa, soprattutto da chirurghi poco esperti in chirurgia pancreatica, con una infiltrazione vascolare, quando invece è possibile trovare un clivaggio. Se da un lato quindi queste resezioni R2 vanno evitate, dall’altro un atteggiamento eccessivamente prudente può privare alcuni pazienti di una resezione radicale. Resezioni pancreatiche con resezione vascolare Dinnanzi ad un carcinoma pancreatico localmente avanzato, invece di una resezione R2 è però possibile eseguire una resezione pancreatica associata a resezione vascolare. Le prime esperienze in questa direzione risalgono a parecchi anni fa [97], ma i risultati in termini di sopravvivenza sono sempre stati considerati poco gratificanti [98], cosicché queste pancreasectomie associate a resezione vascolare non hanno mai trovato grande diffusione, nonostante gli accettabili tassi di complicanze post-operatorie [99-100]. Negli ultimi anni c’è stata però una ripresa di interesse in questa direzione, in particolare due recenti esperienze vanno segnalate: una giapponese, che ha proposto la pancreasectomia distale con resezione in blocco del tripode celiaco, senza necessità di ricostruzione vascolare (viene eseguita una embolizzazione pre-operatoria della arteria epatica) e che in 23 casi ha ottenuto una buona radicalità locale ed una sopravvivenza mediana di 21 mesi [50]. L’altra esperienza è europea, del gruppo di Izbicki: in 136 casi di resezione vascolare (il 23% di tutta la casistica) è stata registrata una sopravvivenza mediana di 15 mesi, senza che l’invasione vascolare rappresentasse un fattore prognostico significativo in una analisi multivariata [101]. Queste esperienze, benché ancora un poco isolate nel panorama complessivo della chirurgia pancreatica, pongono comunque le basi per meglio affrontare le problematiche tecniche proprie di quei casi localmente avanzati che, dopo trattamento (radio)chemioterapico, presentano una qualche risposta locale senza comparsa di lesioni metastatiche. A nostro Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 16 avviso è infatti questo l’atteggiamento da privilegiare dinnanzi ad un carcinoma pancreatico localmente avanzato: il trattamento chemioterapico, eventualmente seguito da radioterapia e, in caso di malattia sempre solo locale, il ricorso a resezione chirurgica, se l’entità della infiltrazione vascolare residua lo consente. In queste situazioni appare infatti ragionevole ritenere di trovarsi dinnanzi a neoplasie a prevalente aggressività locale, il cui controllo chirurgico può avere un impatto sulla prognosi e sulla qualità di vita, e può comprendere, in questi casi, anche il ricorso ad una resezione vascolare. Esperienze favorevoli iniziali in questo ambito iniziano a comparire [102], ed é possibile che nel prossimo futuro sempre più Centri adottino questo tipo di atteggiamento. Finora abbiamo analizzato il ruolo della chirurgia che si pone come obiettivo il prolungamento della sopravvivenza del paziente. Più spesso però, dinnanzi ad una neoplasia pancreatica localmente avanzata, l’obiettivo è invece quello del miglioramento della qualità di vita mediante la palliazione dei sintomi invalidanti che più frequentemente si osservano in queste situazioni cliniche: l’ittero e i disturbi di transito gastroduodenale. Palliazione dell’ittero La palliazione chirurgica consiste nella esecuzione di un by-pass bilio-digestivo; la tecnica più usata è la epatico-digiunostomia su ansa defunzionalizzata ad Y sec. Roux, che garantisce la risoluzione dell’ittero nella quasi totalità dei casi. Altre tecniche meno utilizzate e poco raccomandabili sono la colecistodigiunostomia (più semplice, ma che comporta il rischio di ricomparsa dell’ittero, qualora nella evoluzione della neoplasia venga inglobato il dotto cistico) e la coledoco-duodenostomia (anch’essa a rischio di ostruzione per la crescita locale del tumore) [103-104]. La procedura endoscopica prevede il posizionamento di uno stent trans-papillare, in materiale plastico o metallico, di diametro e lunghezza variabili. Le procedure radiologiche consistono nel posizionare per via percutanea trans-epatica cateteri di drenaggio esterni o esterni-interni, oppure stent non dissimili da quelli posizionati per via endoscopica. La via radiologica è gravata da una maggior morbidità di quella endoscopica, come dimostrato già in passato da uno studio randomizzato del gruppo di Cotton [105]. Il problema di quale metodica usare per la palliazione dell’ittero è dibattuto da molto tempo e può dirsi risolto solo in parte. Esistono studi che dimostrano nell’immediato minori complicanze in caso di posizionamento di stent endoscopico rispetto al trattamento chirurgico, con uguali percentuali di successo [106]: ciò rende preferibile il ricorso ad una palliazione endoscopica. La decisione andrebbe comunque sempre presa in modo individualizzato: è infatti possibile da un lato che in pazienti con attesa di sopravvivenza relativamente lunga un by-pass chirurgico sia preferibile. Tuttavia attualmente la principale indicazione ad una derivazione biliodigestiva è in caso di intervento ad intento resettivo che si rivela poi non fattibile [104107]. Negli altri casi il trattamento di scelta è il posizionamento di una endoprotesi per via endoscopica. Palliazione dei disturbi di transito La comparsa di disturbi di transito è piuttosto frequente nei pazienti con carcinoma pancreatico localmente avanzato (stimata intorno al 2025%); tuttavia è spesso difficile distinguere tra disturbi dovuti ad una gastroparesi su base neurogena ed una vera e propria ostruzione meccanica gastro-duodenale, secondaria alla compressione da parte della neoplasia pancreatica. Quando vi è una chiara dimostrazione radiologica od endoscopica di stenosi duodenale, l’intervento chirurgico di bypass gastro-digiunale è in grado di fornire una buona palliazione sui sintomi. Al contrario, quando meno chiara è la patogenesi della sintomatologia, meno buoni sono i risultati di un eventuale by-pass. Si tratta in effetti di una chirurgia poco gratificante, eseguita per lo più in pazienti debilitati, con neoplasia avanzata, e gravata da elevate percentuali di mortalità e Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 17 morbidità (intorno rispettivamente al 10% e al 30%) [108]. Una interessante alternativa alla chirurgia è rappresentata dalla possibilità di posizionare stent duodenali per via endoscopica, i cui risultati appaiono promettenti [109]. Un’altra problematica dibattuta da tempo riguarda l’opportunità di eseguire o meno un bypass gastro-digiunale profilattico in corso di laparotomia eseguita in pazienti con neoplasia pancreatica che si rivela non resecabile. L’orientamento attuale è di eseguirlo, in quanto l’aggiunta di questa procedura non aggrava il decorso post-operatorio, mentre sembra in grado di prevenire la successiva comparsa di disturbi di transito [110-111]. Conclusioni Il ruolo della chirurgia nel carcinoma pancreatico localmente avanzato non è limitato alla palliazione, che anzi il più delle volte può essere più utilmente eseguita per via endoscopica. In casi selezionati la chirurgia può invece avere un ruolo curativo, soprattutto quando integrata con altri trattamenti, in particolare di tipo chemioterapico: un utilizzo “giudizioso” e non indiscriminato dei progressi tecnici ottenuti negli ultimi anni dalla chirurgia può infatti ricondurre alcuni dei casi “avanzati” all’interno dei casi “curabili”. Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 18 Conclusioni Il carcinoma pancreatico localmente avanzato va considerato una entità a sé stante e va studiato separatamente dal carcinoma pancreatico metastatico. I passi in avanti compiuti negli ultimi anni nello studio dalla carcinogenesi del carcinoma duttale del pancreas non si traducono ancora in approcci terapeutici molecolari in grado di controllare la aggressività locale di questa malattia. Il trattamento standard del carcinoma pancreatico localmente avanzato è quindi la radiochemioterapia, che può essere eseguita ricorrendo a schemi terapeutici differenti, alcuni più promettenti di altri. In una percentuale modesta ma non trascurabile di casi (circa il 15%) è possibile con tali trattamenti ricondurre la neoplasia ad una resecabilità chirurgica. Con atteggiamenti chirurgici più aggressivi, che comprendono il ricorso a resezioni vascolari, tali percentuali divengono più elevate. L’affacciarsi poi sulla scena di terapia alternative (quali la target therapy, l’immunoterapia, la radiofrequenza, l’ipertermia) dovrebbe consentire nell’immediato futuro di espandere ulteriormente la quoto di pazienti con possibilità di “cura”. L’approccio terapeutico ad un paziente con carcinoma pancreatico localmente avanzato deve essere dunque il più possibile integrato e ragionato: se è vero che la maggioranza del pazienti richiede soprattutto una palliazione dei sintomi (che va realizzata nel modo più utile e meno invasivo, e quindi per lo più per via endoscopica), non va comunque dimenticato che alcuni di questi pazienti, inizialmente giudicati al di là di una realistica possibilità di cura, possono invece rispondere ai trattamenti radiochemioterapici standard o ad altri approcci più innovativi. Una loro rivalutazione con “occhio chirurgico” per confermare o meno la nonresecabilità è dunque importante e può consentire di recuperare alla chirurgia resettiva (e quindi a trattamenti ad intento curativo) pazienti altrimenti dati per “persi”. Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008 19 by ras/MEK/ERK. J Cell Commun Signal Bibliografia 1. Sener SF, Fremgen A, et 2007;1:85-90 al.Pancreatic cancer: a report of treatment and survival 7. Chen using the National the assembly of an enhanceosome. Cell 1995;83:1091-1100 3. Tsiambas E, Karameris A, et al. HER2/neu ductal comparative chromogenic based on alterations in adenocarcinoma: a immunohistochemistry in situ computerized study microarrays and analysis. JOP image 9. Liau vivo E, alterations in adenocarcinoma: hybridation et al. pancreatic a based on prognostic NA, et activation. al. pancreatic 1 (HMGA1) facto rand is an indipendent novel therapeutic matrix Cancer metalloproteinase-9 Sci 2008;99(7):1377- 12. 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