Trimestrale dell'Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas
Vol. 5, N. 2, Giugno 2008
Terapia del carcinoma pancreatico
localmente avanzato
Coordinatore: Alessandro Zerbi
INDICE
2
Meccanismi
pancreatico
di
crescita
locale
del
carcinoma
Paola Salacone
S.C. Gastroenterologia, A.S.O. San Luigi Gonzaga, Regione Gonzole 10, 10043 Orbassano (TO), e-mail:
[email protected]
4
Possibile ruolo di terapie alternative
Raffaele Pezzilli
Dipartimento Malattie Apparato Digerente e Medicina Interna, Ospedale Sant’Orsola-Malpighi, Via Massarenti 9, 40138
Bologna, e-mail: [email protected]
7
Possibilità di downstaging con la radiochemioterapia
Generoso Uomo
Dipartimento di Medicina Generale e Specialistica, Azienda Ospedaliera A. Cardarelli - Via A. Cardarelli 9, 80131
Napoli, e-mail: [email protected]
8
Definizione dell’ imaging nell’invasione locale del
carcinoma pancreatico
Ncoletti, S. Gusmini, C. Soldati
Istituto di Radiologia, Istituto Scientifico San Raffaele, Via Olgettina 60, Milano, e-mail: [email protected]
12
PALLIAZIONE
DEI
SINTOMI
(E
MALATTIA?) PER VIA ENDOSCOPICA.
CURA
DELLA
Martino M., Gabbrielli A.
Endoscopia Digestiva – Università Campus Bio Medico – Roma - e-mail: [email protected]
16
Ruolo palliativo (ed anche curativo?) della chirurgia
Alessandro Zerbi
Chirurgia Pancreatica, Istituto Scientifico San Raffaele, Via Olgettina 60, Milano, e-mail: [email protected]
19
Conclusioni
Alessandro Zerbi
Chirurgia Pancreatica, Istituto Scientifico San Raffaele, Via Olgettina 60, Milano, e-mail: [email protected]
20
Bibliografia
Meccanismi di crescita locale del
carcinoma pancreatico
Tratta da Pham et al. BMC Cancer 2008
Introduzione.
L’adenocarcinoma
duttale
pancreatico è caratterizzato da una pessima
prognosi, con una sopravvivenza media a cinque
anni minore del 10% (1). Nonostante i numerosi
sforzi sia clinici sia molecolari a cui si è assistito
nell’ultima decade, la prognosi e il management
di tale neoplasia rimangono scoraggianti. Per
tale motivo rimane una priorità clinica
l’identificare nuovi target molecolari terapeutici.
Conoscenze attuali.
La carcinogenesi delle
cellule pancreatiche duttali è tuttora poco
conosciuta e complessa. La più comune
aberrazione genetica consiste nell’attivazione
dell’oncogene KRAS e l’inattivazione dei geni
oncosoppressori
p16/CDKN2,
p53
e
SMAD4/DPC4 (2). Meno frequentemente si
assiste all’amplificazione dei recettori per fattori
di crescita come EGFR e HER2 oppure
all’alterazione di trasduttori di segnale di crescita
come PKBβ /AKT2 (3,4). Le proteine prodotte da
tali geni giocano un ruolo fondamentale nella
regolazione della proliferazione, sopravvivenza,
motilità, invasione e differenziazione cellulare,
così da creare un complesso network di segnali
intracellulari. L’attività di questo network è
strettamente dipendente dalla fosforilazione
reversibile dei residui di tiroxina, treonina e
serina delle proteine di trasduzione del segnale
cellulare Numerosi studi hanno dimostrato una
iperespressione dei recettori di fattori di crescita
come l’EGFR, HER2, c-MET/hepatocyte growth
factor e c-KIT/stem cell. Un recente lavoro (5)
eseguito in immunoistochimica su tessuto
tumorale e tessuto duttale sano, ha dimostrato
una complessa trasduzione di segnale che a
partire dal recettore di membrana dell’EGFR/MET
receptor, tramite la fosforilazione della proteina
citoplasmatica RAS, causa l’inattivazione di
oncosoppressori come PTEN e SMAD4 e
l’iperattivazione/espressione genica di proteine
fosforilate tipiche delle cellule carcinomatose
quali STAT3, p-ERK, p-p38 (figura).
Tali dati dimostrano come la complessità e
l’interrelazione
tra
numerosi
sistemi
di
trasduzione del segnale cellulare all’interno delle
cellule di carcinoma, spieghino la limitata
efficacia clinica di strategie terapeutiche basate
su un singolo target molecolare, come per
esempio l’erlotinib (inibitore del recettore
dell’EGF).
Altri autori (6) hanno dimostrato che nelle
cellule di adenocarcinoma pancreatico vi è una
quantità di “connective tissue growth factor
(CCN2)” 59 volte superiore rispetto alle cellule
normali. Tale proteina è costitutiva della matrice
extracellulare e ha proprietà di modificare i
segnali di adesione cellulare e di rilascio
citochinico (7). La perdita di tale proteina nelle
cellule embrionali mesenchimali causa in una
diminuzione della migrazione/adesione cellulare
e una riduzione dell’espressione di geni proangiogenetici e pro-fibrotici. Anticorpi specifici
anti CCN2 bloccano la metastatizzazione,
l’angiogenesi e la massa delle cellule tumorali in
vitro.
Nel
carcinoma
pancreatico
l’iperespressione di CCN2 correla con la
progressione tumorale, è TGFβ indipendente ed
è causata da un’attivazione del promoter genico
da parte del sistema ras/MEK/ERK (non a caso
aberranti
come
dimostrato
nello
studio
precedente). CCN2 è strettamente legata alla
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2
angiogenesi, alla progressione e alla migrazione
delle cellule tumorali duttali.
Altro gene studiato recentemente è HMGA1,
localizzato sul cromosoma 6p21, che trascrive la
proteina HMGA1 che entra a far parte di un
complesso proteico detto “enansosoma”, con
l’azione di legarsi ai promoter trascrittivi genici e
di regolare la flessione dell’elica di DNA (8).
L’iperespressione di HMGA1 è stata associata
alla metastatizzazione del carcinoma pancreatico
tramite l’aumento dell’invasione cellulare dovuta
al sistema di kinasi P13K/Akt che modula
l’attività della metalloproeinasi-9 (MMP-9) (9).
La selettiva soppressione di questa proteina
inibisce l’invasività in vitro e le metastasi in vivo.
Un’altra azione interessante della molecola è la
capacità di regolare la trascrizione del recettore
dell’insulina sempre tramite l’attivazione del
sistema P13K/Akt. Quest’ultimo, non a caso,
viene anche direttamente attivato dal pathway di
segnale Ras/ERK. Un successivo studio (10) ha
dimostrato che nel 93% di pazienti resecati per
adenocarcinoma
duttale
è
presente
una
iperespressione nel tessuto tumorale di HMGA1.
I soggetti negativi hanno un significativo
aumento della sopravvivenza rispetto a quelli
con
alti
livelli
tissutali
di
HMGA1.
L’iperespressione proteica comporta un netto
aumento della proliferazione delle cellule
carcinomatose in assenza di ancoraggio. Il
blocco selettivo in vivo di HMGA1 riduce l’indice
proliferativo cellulare (Ki-67 index) e aumenta
l’apoptosi, anche in presenza di segnali mitogeni
derivanti da ERK.
L’aumento
dell’espressione
della
metalloproteinasi-9
controllata dalla proteina
Gli1 (compresa nel pathway di segnale
di
crescita Hedgehog) comporta l’incremento della
capacità di invasione delle cellule tumorali
pancreatiche (11).
Altro campo di notevole interesse sono le cellule
staminali tumorali presenti in numerosi tumori.
Un recente studio ha dimostrato su campioni
derivanti da adenocarcinoma duttale della testa
pancreatica, numerose cellule CD133 (marcatore
delle staminali tumorali) positive situate nelle
strutture ghiandolari carcinomatose periferiche
(12). L’espressione del CD133 è correlata a
quella del vascular endothelial growth factor-C.
L’espressione di queste due molecole è
strettamente dipendente alla invasione linfatica
e alle metastasi tumorali e risulta essere un
fattore prognostico negativo indipendente nella
prognosi della malattia.
Possibilità future e conclusioni. Sebbene si
siano fatti numerosi passi avanti nello studio
della carcinogenesi dell’adenocarcinoma duttale
pancreatico, i meccanismi molecolari risultano
complessi, spesso convergenti e non ancora del
tutto conosciuti. Numerose proteine nucleari e
citoplasmatiche
sembrano
essere
buoni
marcatori prognostici e promettenti target
terapeutici, anche se il blocco selettivo di una
sola proteina non sembra essere la strada giusta
per la cura di tale patologia.
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3
Possibile ruolo di terapie alternative
Introduzione. La gemcitabina è, al momento, il
trattamento standard per il tumore al pancreas
avanzato in quanto determina un miglioramento
dei sintomi ed un modesto beneficio sulla
sopravvivenza. Recenti studi di fase III con
gemcitabina in combinazione con altri agenti
chemioterapici non hanno mostrato miglioramenti sulla sopravvivenza, anche se, in studi
preliminari,
le
combinazioni
gemcitabina/oxaliplatino e gemcitabina/capecitabina si
erano dimostrate associazioni promettenti [13].
Un insegnamento che dobbiamo trarre dai lavori
finora pubblicati è che vi è la necessità di
studiare
separatamente
l’adenocarcinoma
localmente
avanzato
dall’adenocarcinoma
pancreatico metastatico; in questa ottica, una
grande aspettativa è riposta nelle terapie
alternative alla chemioterapia classica ed alla
radio-chemioterapia quali la target therapy, la
immunoterapia
(vaccinoterapia,
interferone,
cellule staminali),
la radiofrequenza e la
ipertemia che potrebbero rappresentare le
terapie alternative del futuro. Di seguito sono
riportate le notizie essenziali su tali nuove
terapie, rimandando ai lavori originali notizie più
esaustive.
Target therapy. Lo studio dei meccanismi
molecolari responsabili della trasformazione e
della progressione del carcinoma pancreatico ha
reso possibile individuare terapie farmacologiche
specifiche.
Tale
approccio
terapeutico
denominato target therapy è volto a trattare
farmacologicamente vari processi molecolari
coinvolti nello sviluppo e nella crescita del
tumore. I farmaci sviluppati sono inibitori
dell’angiogenesi
(inibitori
delle
metallo
proteinasi, anticorpi anti-vascular epithelial
growth factor, inibitori della ciclo ossigenasi),
inibitori dell’epidemal growht factor receptor
(EGFR) (anticorpi anti EGFR, inibitori della
tirosino-kinasi), inibitori della farnesil transferasi
ed inibitori dell’HER-2/NEU.
Inibitori
dell’angiogenesi
Le
metallo
proteinasi sono enzimi che svolgono un ruolo
importante nella crescita, differenziazione e
riparazione di tessuti normali; metalloporteinasi
aberranti contribuiscono alla crescita e alla
diffusione dei tumori solidi ed il marimastat è
stato il farmaco utilizzato per inibirle. I risultati
di studi che hanno utilizzato il marismat in
associazione con altri gemcitabina non hanno
mostrato una significativa differenza sulla
sopravvivenza rispetto alla gemcitabina da sola
[14,15]. Anche il BAY 12-9566 inibitore specifico
delle metalloproteinasi 2, 3, 9 e 3, e che
possiede contemporaneamente anche attività
antiangiogenica non si è dimostrato superiore
alla gemcitabina utilizzata da sola nel tumore
avanzato [16].
Un farmaco con proprietà anti-VEGF (vascular
epithelial growth factor) è il bevacizumab; i
risultati di uno studio in fase II non hanno
dimostrato una significativa sopravvivenza
rispetto a quella ottenuta con gemcitabina o con
gemcitabina più cisplatino o oxaliplatino [17].
Altri farmaci con le stesse proprietà come gli
inibitori della ciclo-ossigenasi-2 (celecoxib), la
talidomide
sono
entrati
in
fase
di
sperimentazione clinica, ma i risultati degli studi
finora condotti non hanno dimostrato un
significativo
aumento
della
sopravvivenza
rispetto ai classici chemioterapici.
Inibitori
dell’epidemal
growht
factor
receptor Questi farmaci sono stati sviluppati
per agire sul recettore di crescita epidermico
(EGFR) che svolge un ruolo importante nella
progressione
del
carcinoma
pancreatico.
L’erlotinib, è stato il primo agente in grado di
migliorare in modo significativo la sopravvivenza
globale in un trial di fase III in combinazione con
gemcitabina come terapia di prima linea. Studi
in corso stanno esaminando il ruolo della target
therapy come terapia adiuvante. Tuttavia molti
dubbi devono essere risolti: una razionale
selezione dei pazienti che hanno maggiori
probabilità di ottenere benefici con tale terapia,
la scelta del programma terapeutico ottimale, la
gestione della tossicità [18].
Inibitori
della
farnesil
transferasi
Il
protooncogene
K-ras
è
attivato
nella
maggioranza dei tumori pancreatici. L’enzima in
grado di catalizzare la sintesi delle proteine ras è
la farnesil transferasi; in teoria, l'inibizione di
Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008
4
questo enzima può quindi avere una certa
rilevanza clinica. Il farmaco utilizzato è stato il
tipifarnib i cui risultati sono stati però deludenti
[19].
Inibitori dell’HER-2/NEU La espressione di
HER-2 nel carcinoma pancreatico è stata
dimostrata con tecniche di immunoistochimica e
immunoreattività. Il farmaco specifico, il
trastuzumab, è risultato essere efficace in vitro
nell’inibire l’attività replicativa in linee cellulari
che esprimono alti livelli di HER-2/NEU. Tuttavia
il trattamento con gemcitabina in pazienti con
malattia metastatica non è risultata efficace
[20].
Immunoterapia
Interferone-alfa L’interferone-alfa è stato
utilizzato in associazione con altri presidi
terapeutici
anche
per
la
terapia
dell’adenocarcinoma. In particolare, uno studio
ha utilizzato interferone con concomitante
radioterapia adiuvante post-operatoria [Picozzi
VJ, Kozarek RA, Traverso LW. Interferon-based
adjuvant
chemoradiation
therapy
after
pancreaticoduodenectomy
for
pancreatic
adenocarcinoma. Am J Surg 2003; 185:47680.]. Con un follow-up di 32 mesi, la
sopravvivenza è risultata essere del 67%; circa
il 70% dei pazienti ha però sviluppato una
tossicità gastrointestinale da moderata a grave.
Studi per confermare tali risultati sono in corso.
Vaccinoterapia Lo sviluppo di vaccini per la
terapia del carcinoma pancreatico è stata
oggetto di recenti sviluppi nel trattamento
adiuvante del carcinoma pancreatico [21]. In
genere si utilizzano cellule transfettate del
tumore [22]; i risultati di uno studio di fase II su
60 pazienti con adenocarcinoma pancreatico
resecato somministrando un totale di cinque
trattamenti di immunoterapia e successivamente
5-FU associata a radioterapia hanno mostrato
che la sopravvivenza ad uno e due anni è stata
rispettivamente dell'88% e 76% [23]. Il
trattamento vaccinico è stato ben tollerato a
parte
effetti
collaterali
transitori
in
corrispondenza del sito di iniezione
Cellule staminali E’ stato suggerito che cloni
neoplastici sono mantenuti esclusivamente da un
piccolo sottoinsieme di cellule con caratteristiche
di cellule staminali all'interno del tumore
pancreatico [24]. E’ da sottolineare che non vi
sono prove che sostengano questa teoria dopo
studi condotti nelle neoplasie che coinvolgono il
sangue, il cervello ed i tumori al seno. Gli studi
sulle cellule staminali presenti nel tumore
possono tuttavia aprire nuove strade per
individuare marcatori tumorali utili a fini
diagnostici e isolare e rendere disponibili
popolazioni cellulari per testare nuovi agenti
terapeutici.
Radiofrequenza Di recente molto interesse ha
suscitato la possibilità di ablare i tumori
localmente avanzati con la radiofrequenza
(Figura 1) [25]. Deve essere sottolineato che
non vi sono informazioni sufficienti per preferire
la ablazione delle neoplasie pancreatiche non
resecabili ad altri presidi terapeutici. Gli studi
che hanno utilizzato la termo-ablazione sono
pochi e retrospettivi e quest’ultimo dato non
deve essere sottovalutato. Tuttavia se la tecnica
è presa in considerazione per studi di fattibilità,
come avviene nel nostro Ospedale [26], è
assolutamente necessario disporre di una
diagnosi istologica ottenuta preoperatoriamente
o durante la procedura operatoria. Il dispositivo
di ablazione deve essere utilizzato solo in
pazienti sottoposti a laparotomia e, prima o
dopo ablazione termica, è prudente la creazione
di almeno un drenaggio biliare. E 'chiaro quindi
che in allo stato attuale l’ablazione con
radiofrequenza non è una tecnica proponibile per
algoritmi diagnostico-terapeutici del cancro del
pancreas poiché non vi sono sufficienti
conoscenze sia sulla sua efficacia terapeutica
che sui possibili effetti collaterali. Per lo stesso
motivo è anche prematuro pensare a studi
randomizzati.
Ipertermia L’ipertermia, pur essendo una
tecnica vecchia, si sta sviluppando rapidamente
come metodo di trattamento nelle neoplasie. E’
utilizzata come elettro-ipertermia (oncotermia):
si cerca di trattare il tumore mediante energia
prodotta con un campo elettrico. I gradienti di
temperatura sono utilizzati per distruggere la
membrana delle cellule maligne ed eliminare
Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008
5
selettivamente i tumori dei tessuti. Questo tipo
di tecnica è stata applicata anche per
l’adenocarcinoma pancreatico: gli studi fin qui
condotti sembrano dimostrare che ipertemia è in
grado di aumentare la sopravvivenza nei tumori
localmente avanzati [27]. Tuttavia, per la
applicazione clinica della ipertemia valgono le
considerazioni fatte per la termo-ablazione.
Conclusioni Le terapie alternative hanno
necessità di ulteriori sviluppi e soprattutto vanno
identificate le popolazioni di pazienti con
adenocarcinoma pancreatico che possano trarne
giovamento. Inoltre, i farmaci utilizzati per la
targer therpy hanno effetti collaterali numerosi e
di frequenza superiore a quelli della gemcitabina
e delle associazioni della gemcitabina con
oxaliplatino e gemcitabina. Gli altri trattamenti
necessitano ancora di studi di fattibilità non
possono quindi essere inseriti in algoritmi
terapeutici.
Figura 1.Procedura e risultato ecografico della
termo-ablazione in un paziente con
adenocarcinoma pancreatico [ref. 25]
Pannello A. Ecografia intraoperatoria
dell’adenocarcinoma
pancreatico;
Pannello B. termo-ablazione; Pannello
C.
Ecografia
intraoperatoria
della
lesione termo-ablata.
Pannello A
Pannello B
Pannello C
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6
Possibilità di downstaging con la
radiochemioterapia
Dal punto di vista prognostico-terapeutico, i
pazienti che sono affetti da adenocarcinoma del
pancreas possono rientrare in tre categorie:
quelli con malattia resecabile (10-20% di tutti i
pazienti; sopravvivenza mediana 15-20 mesi),
quelli con neoplasia localmente avanzata (KPl.a.) non suscettibile di terapia chirurgica
radicale (30-40%; sopravvivenza mediana 6-12
mesi) e quelli con malattia metastatica (5060%; sopravvivenza mediana 3-6 mesi). Anche
se in uno scenario di sopravvivenza così
sfavorevole, nel corso degli ultimi anni l’uso
combinato della radioterapia esterna con la
chemioterapia sistemica si è dimostrato un
trattamento di discreta efficacia in termini di
risposta obiettiva e clinical-benefit nei pazienti
con KP-l.a. . Un vantaggio neo-adiuvante è stato
per primo ricercato nei due storici trials del
Gastrointestinal Tumor Study Group (1981,
1989) ; a seguire, molti altri studi hanno potuto
dimostrare che protocolli di chemio-radioterapia
potevano migliorare il tasso di risposta e la
sopravvivenza quando comparati alla chemio o
radioterapia da sole. Occasionalmente, in alcuni
di questi studi si verificava che alcuni pazienti
con
tumori
primitivamente
inoperabili
divenivano, dopo schemi di radiochemioterapia,
aggredibili chirurgicamente in senso radicale.
Si è iniziava quindi ad ipotizzare anche per il KPl.a. la possibilità di strategie efficaci per ottenere
un downstaging.
Oggi abbiamo a disposizione vari studi circa la
utilizzazione della radiochemioterapia a scopo
neoadiuvante nel KP-l.a.
- Radioterapia
+
singolo
agente
chemioterapico
:
5-Fluor-uracile,
Gemcitabina, Paclitaxel, Capecitabina
- Radioterapia + combinazione di più agenti
chemioterapici:
a) 5-Fluor-uracile + Oxaliplatino
b) Gemcitabina + 5-Fluor-uracile
c) Gemcitabina + Cisplatino
d) Gemcitabina
+
Capecitabina
+
Docetaxel
In sintesi, questi studi ci dicono che:
1) protocolli di chemio-radio basati sul 5Fluor-uracile hanno dato risultati variabili,
non migliori della chemioterapia da sola;
2) protocolli di chemio-radio basati sulla
Gemcitabina da sola o in combinazione con
altri antineoplastici si sono dimostrati più
efficaci rispetto alla Gemcitabina da sola
ma è stata registrata anche una maggiore
tossicità; questo risultato è dipeso dalle
proprietà
radiosensibilizzanti
della
Gemcitabina che hanno creato problemi di
interazione fra dose radiante e dose
standard del farmaco; modificando la dose
radiante (dose totale fra 36 e 45 Gy con
frazioni non superiori a 1.8 Gy) e riducendo
quella della Gemcitabina (300-500 mg/m2
di superficie corporea sia da sola che in
combinazione con altri antineoplastici) la
tossicità –prevalentemente gastroenterica
e midollare- si è ridotta a livelli più
accettabili;
3) la percentuale di downstaging registrata
con questi protocolli è purtroppo bassa,
variando dal 13 al 16% di tutti i pazienti
trattati; solo in uno studio (Fogelman DR et
al. Proc GI Am Soc Clin Oncol 2007 –
abstract 143) che ha utilizzato la
combinazione di radio + chemioterapia di
associazione
con
Gemcitabina,
Capecitabina e Docetaxel si è osservata
una
sorprendente
percentuale
di
downstaging del 57% : sono dati da
ricontrollare in quanto sono ricavati da una
casistica di solo 14 pazienti e lo studio non
è ancora stato pubblicato in extenso .
In conclusione, il trattamento dei pazienti con
KP-l.a. resta a tuttoggi controverso e i vari
schemi di radio-chemioterapia non sono riusciti a
modificare
la
prognosi
sfavorevole
della
malattia.
Di concerto, le possibilità di downstaging sono
ancora scarse anche se all’orizzonte si profilano
nuovi promettenti schedule di combinazione
radio-polichemioterapica
Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008
7
Definizione dell’ imaging nell’invasione
locale
del
carcinoma
pancreatico
Lo
staging
preoperatorio
del
carcinoma
pancreatico è di fondamentale importanza per
scegliere quella minoranza di candidati passibili
di chirurgia curativa.
Per la maggior parte dei pazienti con
adenocarcinoma
pancreatico
lo
stadio
avanzato della malattia al momento della
diagnosi preclude pertanto l’intervento curativo.
Per stadio avanzato si intende: infiltrazione
degli organi adiacenti (T4: stomaco, milza,
colon), invasione dei vasi peripancreatici (tronco
celiaco, arteria e vena mesenterica superiore,
arteria epatica, vena porta) e metastasi a
distanza
(M1:fegato,
peritoneo,
linfonodi
paraaortici, polmone).
Quindi
l’obiettivo
primario
dello
staging
preoperatorio è identificare i pazienti con
malattia potenzialmente resecabile.
Nello staging del cancro pancreatico, la
diagnostica per immagini ha il ruolo di escludere
la presenza delle principali controindicazioni
all’intervento che consistono in:
- infiltrazione
degli
organi
adiacenti:
stomaco, milza, colon (T4).
- invasione dei vasi peripancreatici: tronco
celiaco, arteria e vena mesenterica
superiore, arteria epatica, vena porta
- metastasi a distanza: fegato, peritoneo,
linfonodi paraaortici, polmone (M1).
La TC multidetettore (MDCT) con mezzo di
contrasto permette un’ottima valutazione della
resecabilità-non
resecabilità
dei
tumori
pancreatici.
Il valore predittivo negativo per la valutazione
della resecabilità varia dall’80 al 90% poiché la
TC puo’ valutare non correttamente i casi con
piccole metastasi epatiche, con carcinomatosi
peritoneali e con interessamento vascolare
subdolo.
L’individuazione di metastasi epatiche è un
obiettivo fondamentale nel cancro pancreatico.
Molti studi suggeriscono che attualmente
l’incapacità di identificare piccole metastasi
epatiche e peritoneali è la piu’ comune causa di
sottostadiazione.
Valls e al. [28]riportano che circa il 59% di falsi
negativi per la resecabilità è dovuto a metastasi
epatiche non identificate. La dimensione media
di queste lesioni era 8 mm.
Blumke e al. [29]riportano che 19 pazienti
(42%) sono stati stadiati erroneamente a causa
della presenza di piccole metastasi epatiche.
Studi sulla TC a singola elica con mezzo di
contrasto hanno mostrato una sensibilità del 7175%.
L’evoluzione tecnologica della MDCT offre la
possibilità di un imaging più accurato in
relazione a maggiore risoluzione temporale e
spaziale.
Nello studio di Catalano e al. [30]è stata
raggiunta un’alta accuratezza nell’identificazione
delle metastasi epatiche usando un protocollo ad
alta risoluzione con spessore di 1 mm. Gli Autori
hanno identificato 83/91 metastasi epatiche
dimostrate dall’analisi chirurgica.
Risultati molto simili alla MDCT sono ottenibili
con la RM con mezzo di contrasto
epatospecifico (Mangafodipir) [31].
Nei pazienti con tumore del pancreas senza
metastasi a distanza e invasione degli organi
adiacenti la resecabilità chirurgica dipende
dall’interessamento vascolare dei vasi
peripancreatici. Sebbene criteri standard di
infiltrazione vascolare non sono mai stati
stabiliti, sono comunemente considerati come
segni TC di infiltrazione vascolare i seguenti: la
percentuale di tessuto neoplastico intorno al
vaso, la riduzione di calibro o l’ostruzione
completa del vaso, la presenza di trombo
endoluminale.
Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008
8
GRADO
Grado 0
VASI
VASI
Raptopolous
circonferenza
1997
Lu et al 1997
vasi normali
Nessuna
CHIRURGIA
resecabile
contiguità
Grado 1
Scomparsa del
< 25%
resecabile
>25 – 50%
discutibilmente
piano adiposo
Grado 2
Irregolarità di un
lato di qualunque
resecabile
vaso
Grado 3
tumore circonda
> 50 – 75 %
non resecabile
> 75%
non resecabile
due lati (arterie)
o riduce il lume
venoso
Grado 4
Ostruzione
vascolare
Gli studi di Lu e di O’Malley [32] hanno stabilito ,
con la TC a singola elica, la probabilità di
infiltrazione dei vasi peripancreatici misurando il
contatto vaso-tumore.
Quando il contatto tumore-vaso è assente
(grado 0, secondo Lu et al.) la probabilità di
invasione vascolare è 0%. Con un contatto
minore di 90° della circonferenza del vaso
(grado 1, secondo Lu et al.) c’è una piccola
probabilità di infiltrazione vascolare dello 0-3%.
Quando il contatto aumenta a 90°-180° della
circonferenza del vaso ( grado 2) la possibilità di
infiltrazione è di circa 40% e con un contatto
>180° c’è un’alta probabilità di invasione ( circa
80%). Con un contatto >270° la probabilità di
infiltrazione è vicina al 100%. Questo criterio ha
una sensibilità e specificità per la non
resecabilità rispettivamente dell’84 e 98%.
In uno studio più recente sull’interessamento
vascolare nel carcinoma pancreatico, Nakayama
e al. [33] usando il criterio proposto da Lu,
hanno suggerito la necessità di trovare un altro
criterio per la valutazione sia arteriosa che
venosa. Questi autori hanno notato che le arterie
peripancreatiche
sono
occasionalmente
circondate da tessuto fibroso o infiammatorio. Il
contatto diretto tra il tumore e il vaso con
perdita del tessuto adiposo tra i due non
significa automaticamente invasione vascolare.
L’interessamento vascolare è confermato invece
da un trombo di origine tumorale, da
un’occlusione
vascolare
o
da
notevoli
cambiamenti nel calibro dei vasi.
Hough e al. hanno descritto, per la vena
mesenterica superiore e la vena porta, il
“teardrop
sign”,
un
forte
indicatore
di
infiltrazione tumorale del vaso. Cio’ significa che
una deformità “teardrop-like” del vaso adiacente
il tumore è indicativa di invasione vascolare
anche in assenza di altri segni [34].
Mazzeo e al. [35]hanno proposto un nuovo
sistema di grading, non basato sulla percentuale
di adesione circonferenziale tra tumore e vaso
ma
su
due
parametri:
contiguità
focale/parziale/totale e calibro del vaso.
Ecco la classificazione per gradi: grado 0=
nessun contatto tra vaso e neoplasia, grado 1=
contiguità focale tra vaso e neoplasia senza
modificazioni del calibro del vaso, grado 2= la
neoplasia
avvolge
parzialmente
o
completamente il vaso senza riduzione di
calibro, grado 3= la neoplasia avvolge
parzialmente o completamente il vaso con
riduzione di calibro o ostruzione del vaso. Gli
autori riportano i seguenti risultati per la
valutazione MDCT dell’infiltrazione vascolare:
sensibilità 90%, specificità 67%, PPV 80%, NPV
82%, accuratezza totale 81%.
Da questi risultati emerge che se è presente un
contatto
del
tumore
circonferenziale,
indipendentemente dalla percentuale di adesione
e dalla presenza o assenza di riduzione del
calibro, l’infiltrazione vascolare è altamente
probabile; infatti gli Autori hanno trovato un
interessamento vascolare nel 82% dei vasi di
grado II e 78% in quelli di grado III, senza
differenza
sostanziale
tra
CT
e
analisi
intraoperatoria. Per questa ragione il grading
proposto
può
anche
essere
semplificato
considerando i gradi II e III come un unico
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9
grado, poiché entrambi mostrano una probabilità
simile di infiltrazione.
La presenza delle vene pancreatico-duodenali
dilatate, come descritto da Yamada e al., è
indicativa di un flusso venoso ostruito a livello
della vena mesenterica superiore e quindi di
invasione vascolare [36].
In uno studio recente Vargas e al. [37] hanno
confrontato le immagini correlate all’invasione
vascolare in 25 pazienti sottoposti a valutazione
MDCT con mdc bifasica con invasione vascolare
identificata all’analisi chirurgica e istopatologica.
La presenza dell’invasione vascolare è stata
analizzata in 110 vasi peripancreatici di 22
pazienti sottoposti a resezione. All’MDCT 23
(92%) dei 25 tumori sono stati considerati
resecabili. I due tumori rimanenti (8%) sono
stati considerati non resecabili per la presenza di
invasione vascolare (1 confermata chirurgicamente). Dei 23 pazienti considerati candidabili
alla resezione curativa all’analisi MDCT, 20 sono
stati confermati resecabili chirurgicamente,
dimostrando un valore predittivo negativo per la
MDCT dell’87% sulla resecabilità. Negli altri tre
pazienti gli adenocarcinomi sono stati considerati
non resecabili a causa di piccole metastasi
epatiche (due pazienti) o peritoneali (un
paziente)
scoperte
alla
chirurgia.
Per
l’identificazione dell’invasione vascolare la MDCT
ha dimostrato un valore predittivo negativo del
100% (108/108 vasi) senza falsi negativi e
un’accuratezza del 99% (109/110 vasi) con 108
veri negativi, un vero positivo e un falso
positivo.
Da questo studio si evince che la 3D-CT è
un’accurata metodica nella predizione di una
resezione a margini negativi ( valore predittivo
negativo dell’86%).
Rimane tuttavia il problema delle micrometastasi
epatiche e peritoneali non identificate.
Anche l’EUS è una metodica abbastanza
accurata per l’identificazione dell’infiltrazione
tumorale dei maggiori vasi peripancreatici. La
definizione tutt’ora accettata di infiltrazione
vascolare include la perdita di interfaccia tra il
tumore e la parete del vaso, l’esistenza di circoli
collaterali conseguenti all’ostruzione vascolare e
l’irregolarità della parete vascolare. La sensibilità
dell’EUS nella diagnosi di invasione vascolare nei
vari studi varia tra il 90-95%.
Secondo Brugge e al. [38] tre segni EUS
sembrano
essere
criteri
affidabili
per
l’identificazione dell’invasione tumorale della
confluenza
mesenterico-portale:
(Fig.
2)
collaterali venosi peripancreatici a livello del
tumore che oblitera la normale locazione
anatomica della CMP; (Fig. 3) tumore all’interno
del lume del vaso; (Fig. 4) margine anormale del
vaso con perdita dell’inerfaccia tumore-vaso.
Almeno uno di questi segni era presente in uno
dei 21 pazienti con invasione vascolare; nessuno
degli stessi era rilevabile nei 17 pazienti senza
invasione vascolare.
Snady e al. [39] hanno ripreso i criteri proposti
da Brugge nel loro studio ottenendo un
accuratezza totale come segue: irregolarità della
parete venosa 87%, perdita dell’interfaccia 78%,
vicinanza della massa 73%. Sebbene sia il segno
piu’ accurato, l’irregolarità della parete presenta
una sensibilità del 47% a causa della relativa
incapacità a identificare l’invasione della vena
mesenterica superiore ( 17%).
Rodge e al. [40]sostengono che l’interessamento
venoso portale può essere correttamente
identificato, confrontando con l’analisi chirurgica,
nel 95% dei casi.
Gli stessi risultati non vengono confermati nello
studio prospettico di Soriano e al. [41]che
riporta i seguenti valori per l’EUS: sensibilità
42%, specificità 97%, PPV 89%, NPV 74%,
accuratezza totale 76%.
Per quanto riguarda l’accuratezza diagnostica
dell’EcoColorDoppler,
Angeli e al. [42]hanno
valutato 61 pazienti con carcinoma pancreatico.
L’assenza di contatto o una piccola contiguità (<
o = 2 cm) tra il tumore e i vasi peripancreatici è
considerata come un segno di resecabilità; la
contiguità
>
2
cm,
la
compressione,
l’encasement o la trombosi sono considerati
segni di non resecabilità. In tutti i pazienti la
diagnosi con EcoDoppler è stata confrontata con
il risultato chirurgico.
Per la diagnosi di interessamento vascolare la
sensibilità, specificità, PPV, NPV e accuratezza
totale sono rispettivamente 79%,89%, 89%,
79%,84%. Gli Autori concludono che il
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10
ColorDoppler è una metodica di imaging
sensibile e altamente specifica nella valutazione
dell’interessamento
vascolare
dei
tumori
pancreatici quando si identifica l’assenza di
contatto o di encasement vascolare. Quando si
vede l’encasement vascolare si può fare una
diagnosi definitiva di non resecabilità evitando
ulteriori procedure diagnostiche.
Quindi nell’iniziale valutazione del cancro
pancreatico il colorDoppler può migliorare la
selezione dei pazienti che saranno sottoposti a
ulteriori accertamenti diagnostici o esplorazione
chirurgica.
La valutazione preoperatoria dovrebbe includere
sempre, nei pazienti senza controindicazioni,
l’analisi
con
TC
multidetettore
e
con
Ecoendoscopia; l’EUS permette di effettuare una
FNA (fine needle aspiration) della lesione e la
sua caratterizzazione, aspetto di fondamentale
importanza nei casi non candidabili a intervento
chirurgico con successiva analisi istologica dei
reperti operatori.
Fig. 3: TC con mdc: voluminosa neoplasia della
testa pancreatica infiltrante i vasi mesenterici
Fig. 4: TC con mdc: Ricostruzione coronale di
infiltrazione della vena mesenterica superiore
con numerosi circoli collaterali (frecce gialle)
Fig. 2: TC con mdc: lesione neoplastica della
coda pancreatica (freccia verde) con multiple
lesioni secondarie epatiche (frecce gialle)
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11
Palliazione dei sintomi (e cura della
malattia?) per via endoscopica
Introduzione
Nei
pazienti
affetti
da
adenocarcinoma
pancreatico, nonostante lo sviluppo delle
tecniche
chirurgiche
e
delle
terapie
chemioterapiche, la sopravvivenza media resta
inferiore ai 6 mesi con una sopravvivenza a 5
anni del 3-5% [43]. Molti pazienti, al momento
della
diagnosi,
presentano
una
malattia
localmente avanzata (infiltrazione vascolare e/o
presenza di secondarismi) e non passibile quindi
di trattamento chirurgico.
La palliazione dei
sintomi rappresenta molte volte una tappa
imprescindibile
nei
pazienti
affetti
da
adenocarcinoma pancreatico, soprattutto in
quelli inoperabili. Lo scopo della terapia palliativa
consiste nell’alleviare i sintomi, ridurre le
ospedalizzazioni, aumentare la qualità di vita e
potenzialmente ridurre la morbidità e la
mortalità. Tutto ciò può essere ottenuto
attraverso la chemioterapia, la chirurgia, la
radiologia
interventistica
e
i
trattamenti
endoscopici [44].
Il trattamento per via
endoscopica è una modalità importante nella
risoluzione dei maggiori sintomi attribuiti ad una
malattia localmente
avanzata:
1. l’ittero
ostruttivo, 2. l’ostruzione duodenale, 3. Il dolore
intrattabile dovuto all’infiltrazione neoplastica
delle terminazioni nervose e/o all’ostruzione del
dotto pancreatico. L’approccio endoscopico è
considerato la prima linea di trattamento nella
palliazione dei sintomi dei pazienti affetti da
tumore
pancreatico
inoperabile.
Il
posizionamento endoscopico di protesi biliari,
pancreatiche o enterali e/o l’endosonografia
operativa (neurolisi del plesso celiaco ecoendoguidato EUS-CPN ) rappresentano infatti
metodiche con bassa morbidità e mortalità nella
gestione di questi sintomi [44]
Palliazione
endoscopica
dell’ostruzione
biliare maligna
Il carcinoma del pancreas è complicato dall’ittero
nel 70-80% dei casi [45]. La decompressione
dell’albero
biliare
può
essere
effettuato
1.chirurgicamente mediante il confezionamento
di un’anastomosi biliodigestiva, spesso associata
ad una gastroenterica; 2. radiologicamente
mediante il posizionamento di stent biliari o
drenaggi
esterni
attraverso
l’approccio
percutaneo-transepatico; 3. endoscopicamente
mediante il posizionamento di protesi biliari in
plastica o metalliche. [46]
Le rilevanti mortalità e morbilità operatorie
(rispettivamente dal 2.5 al 30% e dal 20 al 60%
nelle varie casistiche) hanno incentivato lo
sviluppo
di metodiche di palliazione non
chirurgiche. Molti trials randomizzati hanno
evidenziato come non vi sia nessuna differenza
in termini di efficacia tra bypass chirurgico e
endoscopico, ma quest’ultimo presenta bassa
morbilità (15-35%) e mortalità quasi assente.
[47-49]. Diversi sono anche gli studi che hanno
comparato l’approccio endoscopico rispetto a
quello radiologico evidenziando una maggiore
sicurezza ed efficacia dell’approccio endoscopico
rispetto a quello radiologico per ciò che concerne
il posizionamento di protesi in plastica
[50]mentre non esistono dati in letteratura che
comparino le due metodiche per ciò che
concerne il posizionamento delle protesi in
metallo.
Nel caso di insuccesso endoscopico dovuto a precedente chirurgia (gastrectomie
secondo Billroth II, ricostruzioni alla Roux -enY),
stenosi
duodenali
serrate,
mancato
incannulamento della via biliare principale,
impossibilità a superare la stenosi con il filo
guida- può essere utile un approccio combinato
percutaneo-endoscopico, con la cosiddetta
tecnica del rendez-vous: per via percutanea,
dopo la fase colangiografica, si tenta di superare
la stenosi con una guida idrofila e di instaurare
un drenaggio esterno-interno; a questo punto,
se la papilla di Vater è raggiungibile
endoscopicamente,
si
recupera
per
via
endoscopica una guida inserita attraverso il
drenaggio percutaneo e la si utilizza per
posizionare la protesi transtumorale, potendo
così rimuovere il drenaggio percutaneo.
Il trattamento endoscopico, per la sua sicurezza
può essere proposto in prima istanza anche in
pazienti anziani e/o in condizioni scadute; solo in
caso
di
insuccesso,
vengono
presi
in
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12
considerazione approcci combinati endoscopicoradiologici interventistici o chirurgici [51].
Il
trattamento
endoscopico
consiste
nell’esecuzione di una Colangio PancreatoGrafia
Retrograda Endoscopica (CPRE) e, in assenza di
deficit di coagulazione, nella possibilità di
eseguire durante la medesima procedura 1.
biopsie trans papillari, 2. brushing per esame
citologico, 3. sfinterotomia biliare (SEB) che
facilita
il posizionamento transtumorale di
endoprotesi biliari, 4. il posizionamento di
protesi biliari. Per ciò che riguarda la
sfinterotomia endoscopica alcuni studi mostrano
che quest’ultima non sia necessaria [52,53] in
contrasto con una piccola casistica in cui invece
è dimostrato che l’esecuzione della SEB riduca i
rischi di pancreatiti post-CPRE [54]. Le protesi
biliari in plastica utilizzate sono principalmente
10 Fr le quali, rispetto la protesi da 7 F e 8 F,
sembrano mantenere più a lungo la loro pervietà
[55,56] mentre non esistono differenze con
quelle da 11.5 Fr [57]. Infatti la complicanza
tardiva
più
frequente
è
rappresentata
dall’occlusione delle protesi dovuta al deposito
del biofilm batterico (in media dopo 154 giorni)
che determina recidiva della colestasi, dell’ittero
e/o colangite con necessità di uno più cambi
protesi nel 30-60% dei pazienti. L’uso di protesi
dal diverso design e la somministrazione di
farmaci (acidi biliari, antibiotici, aspirina) non
hanno sostanzialmente migliorato i tempi di
pervietà delle protesi. La sostituzione della
protesi per via endoscopica è in grado di
risolvere completamente la sintomatologia, ma
indubbiamente la tendenza delle protesi ad
occludersi rappresenta il limite maggiore di
questa metodica. L’intervallo di tempo dopo il
quale è consigliabile sostituire le protesi non è
stato
ancora
standardizzato,
ma
approssimativamente esso è compreso tra i 3 ed
i 6 mesi [58,59]. Per tale motivo sono state
sviluppate endoprotesi metalliche autoespandibili
che raggiungono un calibro di circa 30 Fr (contro
i 10 o gli 11.5 delle protesi di plastica),
garantendo un tempo di pervietà quasi triplo
rispetto alle protesi tradizionali (in media 291
giorni) e riducendo così la necessità di
successive riospedalizzazioni per cambi-protesi 8
[60-63]. Molti fattori contribuiscono comunque
all’occlusione anche di queste protesi primo fra
tutti la possibile crescita del tumore all’interno
delle maglie delle protesi [64]. Visto il maggior
costo
delle
protesi
metalliche
ed
il
contemporaneo compartamento identico nei
primi 3 mesi rispetto le protesi in plastica [65] le
linee guida internazionali dettate dall’ASGE
suggeriscono di posizionarle in pazienti che
hanno un’aspettanza di vita superiore a quattro
mesi almeno [66].
Palliazione endoscopica dell’ ostruzione
intestinale
Circa il 15-20 % dei pazienti con carcinoma del
pancreas sviluppa una stenosi duodenale nel
corso della malattia [44]. Da alcuni anni diversi
studi hanno dimostrato la sicurezza e l’efficacia
delle
protesi
metalliche
autoespandibili
posizionate per via endoscopica in alternativa
alla chirurgia palliativa considerata comunque il
trattamento standard [67].
I pazienti che sviluppano una stenosi duodenale
hanno
generalmente
una
sopravvivenza
piuttosto limitata (in media 4 mesi). In questi
pazienti un bypass chirurgico può essere
difficoltoso a causa dell’avanzato stadio della
malattia e la radioterapia può pesare su un
aggravamento
del
quadro
clinico:
il
posizionamento per via endoscopica di una
protesi enterale a bypass del tratto stenotico
consente, con morbidità e mortalità assai
contentute, di migliorare sensibilmente la qualità
di vita con il sollievo dai sintomi ostruttivi e la
ripresa dell’alimentazione orale in circa l’80% dei
casi [68]. Nei pazienti in cui i sintomi ostruttivi
intestinali si verifichino in concomitanza con
quelli biliari, il posizionamento di una protesi
enterale può rappresentare il presupposto
fondamentale per poter trattare la stenosi biliare
endoscopicamente [69].
Esistono diversi tipi di protesi enterali, tuttavia la
FDA ha approvato per la palliazione delle
ostruzioni intestinali maligne soltanto l’Enteral
Wallstent (Microvasive), sebbene non esistano
studi comparativi tra diversi tipi di protesi
applicate per questa problematica clinica. Il
vantaggio dell’enteral Wallstent risiede nel
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13
sottile sistema di rilascio che consente
l’introduzione
attraverso
il
canale
dell’endoscopio, con un miglior controllo del
posizionamento, mentre lo svantaggio principale
è rappresentato dal fatto che questo tipo di
protesi non ha una copertura plastica e permette
pertanto la crescita del tumore attraverso le
maglie metalliche [70] anche se attualmente si
sta iniziando l’utilizzo di protesi duodenali
ricoperte [71]. Le complicanze maggiori, che si
verificano
con
minima
incidenza,
sono
rappresentate
dalla
crescita
del
tumore
all’interno delle maglie metalliche (ritrattabile
con tecniche di termoablazione o ulteriore
posizionamento di endoprotesi), e da possibile
sanguinamento, perforazione e migrazione dello
stent [72].
Molti degli studi pubblicati sulle protesi duodenali
endoscopiche sono studi retrospettivi [73-77]. Il
successo della metodica è calcolato tra il 90 ed il
100% con un successo “clinico” (inteso come
tollerabilità della procedura e inizio della
nutrizione per via orale) calcolato tra l’80 ed il
90%. Il più ampio di questi studi include circa 36
pazienti e mostra un significativo aumento in
quello considerato come score della dieta post
posizionamento di protesi duodenale [78].
La morbilità delle metodiche endoscopiche
risulta in definitiva molto contenuta ed è, quasi
sempre, gestibile con terapia conservativa.
Palliazione
endoscopica
del
dolore
addominale intrattabile
Palliazione del dolore non ostruttivo
Soltanto il 37% dei pazienti affetti da carcinoma
del pancreas non riferisce sintomatologia
dolorosa e, negli stadi più avanzati della
malattia, la percentuale di pazienti che lamenta
dolore sale all’80-85% [79]. Il carcinoma
pancreatico infatti può infiltrare o stirare le fibre
nervose
pancreatiche
e
metastatizzare
frequentemente ai linfonodi retroperitoneali
inclusi quelli che circondano il ganglio celiaco,
inducendo uno stato neuropatico. La terapia
farmacologica approda rapidamente all’uso degli
oppoidi che tuttavia, usati cronicamente non
danno effetti collaterali solo nel 24% dei casi,
sembrano inibire la funzione immunitaria ed
inducono dipendenza [80-82].
Le tecniche di neurolisi del plesso celiaco (NPC)
si sono sviluppate per fornire una via alternativa
per il controllo del dolore al fine di ridurre
drasticamente se non addirittura eliminare la
dipendenza farmacologica. NPC è stata condotta
per via chirurgica o percutanea con buoni
risultati nel 70-90% dei pazienti . La recente
introduzione dell'ecoendoscopia (EUS), con
strumenti lineari dotati di canale operativo, ha
permesso di realizzare la neurolisi del plesso
celiaco sotto guida endosonografica (EUS-CPN
utilizzando un accesso diretto al plesso celiaco
senza il passaggio dell'ago attraverso strutture
quali i nervi spinali, il diaframma o le arterie
spinali). Le complicanze minori dell'EUS-CPN
riportate in letteratura sono la diarrea transitoria
(4-15%); transitoria ipotensione (1%) ed un
transitorio aumento del dolore (9%). Le
complicanze maggiori (2.5%) includono il
sanguinamento retroperitoneale e la formazione
di ascessi. Attualmente non vi sono descritti in
letteratura casi di paraplegia. [83]
E’ fondamentale infatti ricordare che l’approccio
anteriore mediante EUS consente di ridurre
drasticamente
l’incidenza
di
complicanze
neurologiche che si registrano in circa 1% dei
pazienti trattati con l’approccio posteriore per via
percutanea (parestesia, paraplegia, impotenza,
gastroparesi o diarrea prolungata) e che sono
relate all’ischemia del midollo spinale indotta
dall’alcolizzazione o dall’iniezione diretta nello
spazio epidurale o subaracnoideo dei nervi
somatici, in pratica dall’attraversamento da
parte dell’ago delle strutture nervose interposte
tra l’accesso percutaneo ed il ganglio celiaco
[84].
Ischia e coll. [85] hanno dimostrato che
l'efficacia dell'EUS-CPN è maggiore se effettuata
agli inizi della gestione della patologia tumorale
per una diretta correlazione della genesi del
dolore con il plesso celiaco (rispetto agli stadi più
avanzati di malattia in cui probabilmente il
dolore è la risultante di multipli fattori, inclusi
l'infiltrazione tumorale di tessuti peripancreatici
o di nervi somatici).
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14
Palliazione del dolore di tipo ostruttivo
In alcuni casi il dolore è causato dall’ipertensione
duttale secondaria all’ostruzione del dotto
pancreatico: caratteristicamente, questo dolore
“ostruttivo” è irradiato posteriormente
e
correlato all’assunzione dei pasti. In questi casi
può essere vantaggioso il posizionamento di
un’endoprotesi anche sul versante pancreatico al
fine di detendere il dotto, consentendo la ripresa
di un normale deflusso del secreto pancreatico in
duodeno. La prima esperienza in merito fu quella
di Harrison che nel 1989 riportava, su un solo
paziente, la risoluzione del dolore dopo
posizionamento di protesi pancreatica da 7 Fr.
[86] Uno studio di Costamagna e coll. [87] del
1993 eseguito su 12 pazienti sottoposti a CPRE e
posizionamento di protesi pancreatiche (in
plastica 7-10 Fr) riportava un successo completo
sulla sintomatologia in 7/12 (58.3%) e parziale
in uno (8.3%). Una recente pubblicazione di
Costamagna e coll. [88] su 355 pazienti
sottoposti a CPRE per neoplasia pancreatica di
cui 55 (15.5%) candidati al trattamento di
drenaggio pancreatico per dolore di tipo
"ostruttivo" ha mostrato un completo controllo
del dolore nel 61.7% dei casi ed un controllo
parziale nel 26.3% dei casi.
I dati di letteratura suggeriscono quindi che lo
stenting del dotto pancreatico nei pazienti con
dolore di tipo "ostruttivo" e dilatazione del dotto
pancreatico risulta efficace nel controllo del
dolore stesso [89] in una buona percentuale dei
casi.
Nuove emergenti terapie endoscopiche
palliative e/o curative (?)
Molte
nuove
ed
emozionanti
tecniche
endoscopiche per la palliazione del tumore del
pancreas
localmente
avanzato
stanno
emergendo negli ultimi anni.
Queste includono:
1. il posizionamento di stent biliari
auto
espandibili medicati [90]: studi eseguiti su
2. il
posizionamento
sotto
guida
endosonografica
di
markers
per
la
cyberknife radioterapia [91];
3. la
creazione
endoscopica
di
gastrodigiunoanastomosi [92] attraverso
l’utilizzo di dispositivi magnetici inseriti
endoscopicamente ed in grado di creare
una fistola gastroenterica dopo circa 7-10
giorni dal loro impianto.
4. il
posizionamento
endosonografico
di
vettori genici nella lesione pancreatica per
il controllo locale della crescita [93].
Naturalmente per ognuna di queste metodiche
sono ancora necessari studi aggiuntivi.
CONCLUSIONI
La diagnosi di carcinoma del pancreas è tardiva
in oltre i 2/3 dei casi e pertanto la palliazione
dell’ittero, del dolore e dell’ostruzione duodenale
rappresenta l’aspetto terapeutico principale per il
miglioramento della qualità di vita di questi
pazienti.
Il drenaggio biliare endoscopico risulta efficace
e sicuro con rapido sollievo dall’ittero: la
possibilità
di
inserire
protesi
metalliche
autoespandibili
riduce
i
problemi
relati
all’occlusione delle endoprotesi sebbene risultino
più costose. Il dolore di tipo ostruttivo si giova
dell’inserimento
di
protesi
sul
versante
pancreatico
mentre
quello
di
tipo
infiltrativo/compressivo
si
avvantaggia
dell’alcolizzazione del ganglio celiaco che può
essere effettuata in modo efficace e sicuro per
via ecoendoscopica.
L’inserimento di protesi enterali risolve i sintomi
ostruttivi con ripresa dell’alimentazione in circa
l’80% dei pazienti.
In definitiva l’endoscopia terapeutica consente in
mani esperte di ottenere un’efficace palliazione
con morbilità e mortalità estremamente ridotte
rispetto alla chirurgia, consentendo di trattare
efficacemente anche i pazienti anziani e/o in
condizioni generali scadute.
modelli animali sembrano mostrare un
controllo dell’ingrowth neoplastico attraverso
l’utilizzo di stent ricoperti con rilascio topico
di agenti chemioterapici;
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15
Ruolo
palliativo
(ed
curativo?) della chirurgia
anche
Introduzione
Il carcinoma pancreatico localmente avanzato è
una entità che, con la sempre miglior definizione
all’imaging dei rapporti tra neoplasia pancreatica
e strutture vascolari circostanti, ha assunto negli
ultimi anni una connotazione più precisa di
quanto non fosse in passato. Anche l’approccio
terapeutico a questa situazione clinica, che è di
frequente riscontro e riguarda quasi un terzo dei
casi,
è
andato
via,
via
precisandosi.
Fondamentale è l’atteggiamento chirurgico, visto
che la resezione chirurgica ad intento radicale
resta
l’unico
trattamento
potenzialmente
curativo del carcinoma pancreatico.
Resezioni pancreatiche R2
La netta riduzione delle percentuali di mortalità
operatoria e, in minor misura, di morbilità
osservate negli ultimi anni, fornisce una sorta di
giustificazione al ricorso ad interventi con intento
resettivo anche in caso di tumore localmente
avanzato. Queste cosiddette resezioni palliative
comprendono sia le resezioni pancreatiche con
residuo tumorale macroscopico (interventiR2)
che le pancreasectomie associate a resezioni
vascolari maggiori. Entrambe queste situazioni
vanno tenute ben distinte dal riscontro di un
residuo microscopico sul pezzo operatorio
(interventi definiti R1): tale evento è talmente
frequente in caso di accurato campionamento
dei margini di sezione (con particolare riguardo
al margine posteriore retroperitoneale) da
superare il 50% dei casi, e non sembra costituire
un discriminante prognostico fondamentale [94].
Invece la prognosi dei pazienti sottoposti ad
intervento R2 è decisamente sfavorevole [9596] e non si discosta molto da quella dei pazienti
non sottoposti a resezione: il ricorso di principio
a queste resezioni palliative appare quindi poco
raccomandabile, mentre diverso è il dover talora
ripiegare su una resezione palliativa di necessità
in corso di intervento iniziato con intento
radicale.
A questo riguardo va osservato come la marcata
reazione desmoplastica che caratterizza il
carcinoma pancreatico determini talora una
adesione della neoplasia alle strutture vascolari,
che può essere confusa, soprattutto da chirurghi
poco esperti in chirurgia pancreatica, con una
infiltrazione vascolare, quando invece è possibile
trovare un clivaggio. Se da un lato quindi queste
resezioni R2 vanno evitate, dall’altro un
atteggiamento eccessivamente prudente può
privare alcuni pazienti di una resezione radicale.
Resezioni
pancreatiche
con
resezione
vascolare
Dinnanzi
ad
un
carcinoma
pancreatico
localmente avanzato, invece di una resezione R2
è però possibile eseguire una resezione
pancreatica associata a resezione vascolare. Le
prime esperienze in questa direzione risalgono a
parecchi anni fa [97], ma i risultati in termini di
sopravvivenza sono sempre stati considerati
poco
gratificanti
[98],
cosicché
queste
pancreasectomie associate a resezione vascolare
non hanno mai trovato grande diffusione,
nonostante gli accettabili tassi di complicanze
post-operatorie [99-100]. Negli ultimi anni c’è
stata però una ripresa di interesse in questa
direzione, in particolare due recenti esperienze
vanno segnalate: una giapponese, che ha
proposto
la
pancreasectomia
distale
con
resezione in blocco del tripode celiaco, senza
necessità di ricostruzione vascolare (viene
eseguita una embolizzazione pre-operatoria della
arteria epatica) e che in 23 casi ha ottenuto una
buona radicalità locale ed una sopravvivenza
mediana di 21 mesi [50]. L’altra esperienza è
europea, del gruppo di Izbicki: in 136 casi di
resezione vascolare (il 23% di tutta la casistica)
è stata registrata una sopravvivenza mediana di
15 mesi, senza che l’invasione vascolare
rappresentasse
un
fattore
prognostico
significativo in una analisi multivariata [101].
Queste esperienze, benché ancora un poco
isolate nel panorama complessivo della chirurgia
pancreatica, pongono comunque le basi per
meglio affrontare le problematiche tecniche
proprie di quei casi localmente avanzati che,
dopo
trattamento
(radio)chemioterapico,
presentano una qualche risposta locale senza
comparsa di lesioni metastatiche. A nostro
Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008
16
avviso è infatti questo l’atteggiamento da
privilegiare
dinnanzi
ad
un
carcinoma
pancreatico localmente avanzato: il trattamento
chemioterapico, eventualmente seguito da
radioterapia e, in caso di malattia sempre solo
locale, il ricorso a resezione chirurgica, se
l’entità della infiltrazione vascolare residua lo
consente. In queste situazioni appare infatti
ragionevole ritenere di trovarsi dinnanzi a
neoplasie a prevalente aggressività locale, il cui
controllo chirurgico può avere un impatto sulla
prognosi e sulla qualità di vita, e può
comprendere, in questi casi, anche il ricorso ad
una resezione vascolare. Esperienze favorevoli
iniziali in questo ambito iniziano a comparire
[102], ed é possibile che nel prossimo futuro
sempre più Centri adottino questo tipo di
atteggiamento.
Finora abbiamo analizzato il ruolo della chirurgia
che si pone come obiettivo il prolungamento
della sopravvivenza del paziente. Più spesso
però, dinnanzi ad una neoplasia pancreatica
localmente avanzata, l’obiettivo è invece quello
del miglioramento della qualità di vita mediante
la palliazione dei sintomi invalidanti che più
frequentemente si osservano in queste situazioni
cliniche: l’ittero e i disturbi di transito gastroduodenale.
Palliazione dell’ittero
La
palliazione
chirurgica
consiste
nella
esecuzione di un by-pass bilio-digestivo; la
tecnica più usata è la epatico-digiunostomia su
ansa defunzionalizzata ad Y sec. Roux, che
garantisce la risoluzione dell’ittero nella quasi
totalità dei casi. Altre tecniche meno utilizzate e
poco
raccomandabili
sono
la
colecistodigiunostomia (più semplice, ma che comporta il
rischio di ricomparsa dell’ittero, qualora nella
evoluzione della neoplasia venga inglobato il
dotto cistico) e la coledoco-duodenostomia
(anch’essa a rischio di ostruzione per la crescita
locale del tumore) [103-104]. La procedura
endoscopica prevede il posizionamento di uno
stent trans-papillare, in materiale plastico o
metallico, di diametro e lunghezza variabili. Le
procedure
radiologiche
consistono
nel
posizionare per via percutanea trans-epatica
cateteri di drenaggio esterni o esterni-interni,
oppure stent non dissimili da quelli posizionati
per via endoscopica. La via radiologica è gravata
da una maggior morbidità di quella endoscopica,
come dimostrato già in passato da uno studio
randomizzato del gruppo di Cotton [105].
Il problema di quale metodica usare per la
palliazione dell’ittero è dibattuto da molto tempo
e può dirsi risolto solo in parte. Esistono studi
che
dimostrano
nell’immediato
minori
complicanze in caso di posizionamento di stent
endoscopico rispetto al trattamento chirurgico,
con uguali percentuali di successo [106]: ciò
rende preferibile il ricorso ad una palliazione
endoscopica. La decisione andrebbe comunque
sempre presa in modo individualizzato: è infatti
possibile da un lato che in pazienti con attesa di
sopravvivenza relativamente lunga un by-pass
chirurgico sia preferibile. Tuttavia attualmente la
principale indicazione ad una derivazione biliodigestiva è in caso di intervento ad intento
resettivo che si rivela poi non fattibile [104107]. Negli altri casi il trattamento di scelta è il
posizionamento di una endoprotesi per via
endoscopica.
Palliazione dei disturbi di transito
La comparsa di disturbi di transito è piuttosto
frequente nei pazienti con carcinoma pancreatico
localmente avanzato (stimata intorno al 2025%); tuttavia è spesso difficile distinguere tra
disturbi dovuti ad una gastroparesi su base
neurogena ed una vera e propria ostruzione
meccanica gastro-duodenale, secondaria alla
compressione
da
parte
della
neoplasia
pancreatica.
Quando
vi
è
una
chiara
dimostrazione radiologica od endoscopica di
stenosi duodenale, l’intervento chirurgico di bypass gastro-digiunale è in grado di fornire una
buona palliazione sui sintomi. Al contrario,
quando meno chiara è la patogenesi della
sintomatologia, meno buoni sono i risultati di un
eventuale by-pass. Si tratta in effetti di una
chirurgia poco gratificante, eseguita per lo più in
pazienti debilitati, con neoplasia avanzata, e
gravata da elevate percentuali di mortalità e
Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008
17
morbidità (intorno rispettivamente al 10% e al
30%) [108].
Una interessante alternativa alla chirurgia è
rappresentata dalla possibilità di posizionare
stent duodenali per via endoscopica, i cui
risultati appaiono promettenti [109].
Un’altra problematica dibattuta da tempo
riguarda l’opportunità di eseguire o meno un bypass gastro-digiunale profilattico in corso di
laparotomia eseguita in pazienti con neoplasia
pancreatica che si rivela non resecabile.
L’orientamento attuale è di eseguirlo, in quanto
l’aggiunta di questa procedura non aggrava il
decorso post-operatorio, mentre sembra in
grado di prevenire la successiva comparsa di
disturbi di transito [110-111].
Conclusioni
Il ruolo della chirurgia nel carcinoma pancreatico
localmente avanzato non è limitato alla
palliazione, che anzi il più delle volte può essere
più utilmente eseguita per via endoscopica. In
casi selezionati la chirurgia può invece avere un
ruolo curativo, soprattutto quando integrata con
altri
trattamenti,
in
particolare
di
tipo
chemioterapico: un utilizzo “giudizioso” e non
indiscriminato dei progressi tecnici ottenuti negli
ultimi anni dalla chirurgia può infatti ricondurre
alcuni dei casi “avanzati” all’interno dei casi
“curabili”.
Bollettino AISP – http://www.aisponline.it – Vol. 5, N. 2 Giugno 2008
18
Conclusioni
Il carcinoma pancreatico localmente avanzato va
considerato una entità a sé stante e va studiato
separatamente
dal
carcinoma
pancreatico
metastatico.
I passi in avanti compiuti negli ultimi anni nello
studio dalla carcinogenesi del carcinoma duttale
del pancreas non si traducono ancora in approcci
terapeutici molecolari in grado di controllare la
aggressività locale di questa malattia. Il
trattamento standard del carcinoma pancreatico
localmente
avanzato
è
quindi
la
radiochemioterapia, che può essere eseguita
ricorrendo a schemi terapeutici differenti, alcuni
più promettenti di altri. In una percentuale
modesta ma non trascurabile di casi (circa il
15%) è possibile con tali trattamenti ricondurre
la neoplasia ad una resecabilità chirurgica. Con
atteggiamenti chirurgici più aggressivi, che
comprendono il ricorso a resezioni vascolari, tali
percentuali divengono più elevate. L’affacciarsi
poi sulla scena di terapia alternative (quali la
target
therapy,
l’immunoterapia,
la
radiofrequenza,
l’ipertermia)
dovrebbe
consentire nell’immediato futuro di espandere
ulteriormente la quoto di pazienti con possibilità
di “cura”.
L’approccio terapeutico ad un paziente con
carcinoma pancreatico localmente avanzato deve
essere dunque il più possibile integrato e
ragionato: se è vero che la maggioranza del
pazienti richiede soprattutto una palliazione dei
sintomi (che va realizzata nel modo più utile e
meno invasivo, e quindi per lo più per via
endoscopica), non va comunque dimenticato che
alcuni di questi pazienti, inizialmente giudicati al
di là di una realistica possibilità di cura, possono
invece
rispondere
ai
trattamenti
radiochemioterapici standard o ad altri approcci
più innovativi. Una loro rivalutazione con “occhio
chirurgico” per confermare o meno la nonresecabilità è dunque importante e può
consentire di recuperare alla chirurgia resettiva
(e quindi a trattamenti ad intento curativo)
pazienti altrimenti dati per “persi”.
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Terapia del carcinoma pancreatico localmente avanzato