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L’amore in Catullo
Catullo e Lesbia
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L’AMORE IN
CATULLO
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CATULLO E LESBIA
A Roma Catullo conobbe la donna destinata a occupare il centro dei
suoi pensieri e della sua produzione poetica, la chiamò Lesbia, seguendo
la moda dei Poetae novi che assegnavano uno pseudonimo alle donne
cantate nelle loro poesie, un po’ per vezzo letterario, un po’ per metterle
al riparo da malignità.
La stessa scelta del nome rivela le radici del mondo poetico e letterario
di Catullo: Lesbia è infatti il femminile dell’ aggettivo lesbius (“di
Lesbo”) e si riferisce all’ isola che fu patria di Saffo, la grande poetessa
greca a cui Catullo si ispirò molto spesso.
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LA POESIA D’ AMORE PER LESBIA
Il centro ideale del Liber Catullanius è nel gruppo di poesie dedicate a
Lesbia. Esse non sono riunite insieme, ma si leggono disseminate nella
raccolta, e vengono accostate e ordinate dagli interpreti secondo la
successione che sembra più probabile. Se ne ricava una complessa
vicenda d’ amore, la storia di una passione esaltante e tormentosa, che
non è narrata direttamente dal poeta, ma emerge dall’ espressione dei
suoi più profondi e intimi sentimenti.
E’ da rilevare la novità rivoluzionaria, nella letteratura romana, di un
amore concepito e presentato come un’ esperienza fondamentale nella
vita di un uomo. Ma questo amore non è soltanto desiderio fisico: è
anche affetto tenero e profondo, e aspirazione a un’ unione totale dei
corpi e delle anime.
L’ amore di Catullo è, per di più, un amore che si pone all’ esterno degli
schemi socialmente accettati,presentandosi come un amore proibito:
Lesbia è infatti una matrona di alto rango, già sposata.
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LA CENTRALITA’ DELL’AMORE
Gioie, sofferenze, tradimenti, abbandoni, speranze scandiscono le
vicende di questo amore che è vissuto da Catullo come l’esperienza
capitale della propria vita, capace di riempirla a di darle un senso.
All’amore e alla vita sentimentale Catullo trasferisce tutto il suo
impegno, sottraendosi ai doveri e agli interessi propri del civis romano:
resta estraneo alla politica e alle vicende della vita pubblica, limitandosi
a manifestare un generico ma sprezzante disgusto per i nuovi
protagonisti della scena politica, arroganti e corrotti.
Il rapporto con Lesbia, nato come amore libero e basato sull’eros,tende
a configurarsi, quale oggetto dell’impegno morale del poeta, come un
tenace vincolo matrimoniale.
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LA CONCEZIONE DELL’AMORE
Con la sua poesia d’amore per Lesbia Catullo si collocava in aperto
contrasto con la morale del tempo. Per primo affida ad un canzomiere la
sua storia con una donna d’alto lignaggio, per di più già sposata. Per
primo rovescia i rapporti convenzionali,accordando alla donna un ruolo
di primo piano nella poesia, e ponendola così a un livello di dignità
finora sconosciuta.
Catullo sarà il maestro per la generazione degli elegiaci nel suo rifiuto
del vir gravis della tradizione: d’ora in poi per i poeti d’amore sarà
convenzionale rimpiazzare l’impegno politico, la superiorità dell’uomo
sulla donna, l’invulnerabilità nei confronti della passione, con gli
atteggiamenti del segno opposto.
Con Catullo, insomma, si delinea un codice di comportamento destinato
ad agire ben al di là della produzione letteraria e a divenire parte della
mentalità comune
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L’AMORE E IL POETA
L’amore, che coinvolge totalmente il poeta fino a divenire il vero
motivo della sua vita, finisce per caratterizzare il suo come un
comportamento sine ratione. Ma la pur negativa caratterizzazione dei
sintomi e delle manifestazioni dell’amore non è mai tale da intaccare la
dignità del poeta innamorato
L’AMORE E LA DONNA
Posta in un ruolo centrale nella poesia, la donna amata subisce un
inevitabile processo di idealizzazione: non solo si innalza al di sopra di
tutte le altre per le sue doti intellettuali, ma viene collocata anche a un
livello superumano di dignità, che fa di lei una puella divina.Le doti
intellettuali di Lesbia sono conservate nella sua doctrina, che fa di lei
una Saphica puella, capace di apprezzare I carmi di Saffo e I sottili
rinvii allusivi di Catullo. Molta minor ricercatezza viene mostrata nella
celebrazione della bellezza di Lesbia, definita solo per contrasto con la
bruttezza di altre donne
UN AMORE COMPLESSO
L’amore è per Catullo innanzi tutto un foedus, un patto inviolabile di
reciproca stima e di attaccamento incondizionato. Ma Lesbia delude
Catullo, non lo ricambia con la stessa intensità, anzi forse lo tradisce. E
il poeta reagisce appellandosi a due valori cardinali dell’ideologia e
dell’ordinamento sociale romano: la fides, che garantisce il patto
stipulato vincolando moralmente i contraenti, e la pietas,virtù propria
di chi assolve ai suoi doveri nei confronti degli altri e delle divinità.
Egli cerca di fare di quella relazione irregolare un aeternum…
sanctae foedus amicitiae (CARMEN CIX, v.6), nobilitandola con la
tenerezza degli affetti familiari, ma l’offesa ripetuta del tradimento
produce in lui una dolorosa dissociazione tra la componente sensuale
(amare, la passione amorosa, fatta soprattutto di desiderio fisico) e
quella affettiva (bene velle, un amore che include l’amicizia, la stima e
la fiducia)
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LE QUATTRO FASI
Ricostruire attraverso i carmi le fasi dell’amore di Catullo per Lesbia
non è certo cosa semplice; del resto l’intento di Catullo non era quello di
offrirci in ordinata successione la cronaca della sua esperienza d’amore.
Comunque, per opportunità d’analisi, ci proviamo ugualmente:
- I. E’ la fase iniziale, quella dell’ “amore platonico”: Catullo è
innamorato di Lesbia, donna inaccessibile e pura di sentimenti;
- II. E’ il momento più felice per Catullo: l’ amata Lesbia condivide
l’ amore e la passione cantate dal poeta;
- III. Iniziano i problemi: Lesbia abbandona Catullo e questi cerca di
convincersi a dimenticarla;
- IV. Ormai tutto è finito: Catullo si rende conto di non essere in grado
di cancellarne il ricordo. Sa che è rimasta la sola passione, mentre sono
scomparsi i sentimenti d’amicizia e d’amore (il bene velle).
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CATULLO
E LESBIA
indice
LA POESIA D’AMORE PER LESBIA
Il centro del liber catullianus è nel gruppo di poesie dedicate a Lesbia.
Esse non sono riunite insieme ma si leggono disseminate nella raccolta ,
e vengono accostate e ordinate dagli interpreti che le dispongono
secondo la successione, cronologica e logica , che sembra più probabile.
Se ne ricava una complessa storia d ‘ amore , la vicenda di una
passione esaltante e tormentosa ,che emerge dall‘ espressione dei più
profondi e intimi sentimenti del poeta in carmi che suonano come i più
intensamente lirici di tutta la poesia latina.
Il romanzo d ‘ amore di Catullo e Lesbia fu molto passionale e
tormentato , con momenti davvero travolgenti. Fu una sequela di liti ,
riconciliazioni , rotture , burrascose rappacificazione. L’inizio , per il
giovane venuto dal nord, fu però idilliaco : per quella donna
aristocratica, anche se libera e spregiudicata, Catullo ebbe una passione
folle, delirante , da adolescente.Infatti, in un primo momento sembra
addirittura non osare comporre versi per l ‘ amata, ma preferisce
tradurre e rielaborare un‘ ode della poetessa greca Saffo.(CARME 51)
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Lesbia , sicuramente lusingata dall’attenzione di Catullo, visse la
vicenda come un’ avventura,una delle tante , mentre Catullo,
perdutamente innamorato, diede tutto se stesso alla donna amata; anche
nelle piccole cose, per consolarla di un leggero dolore, come in
occasione della morte del suo passerotto (CARME 3)
L’amore, così come la poesia, in questo momento felice è per Catullo
lusus puro, naturale, spontaneo;il poeta, pur nell’ ebbrezza della
felicità, non può scordare il fatto ineluttabile che la vita, così come il
piacere, è destinata a durare poco.La constatazione lo riempie di
sgomento e, quasi per allontanare il triste pensiero, Catullo si
abbandona interamente all’ infinità di baci scambiati con Lesbia per
ribadire il trionfo dell’ amore sulla morte (CARME 5)
Nel mondo frequentato da Lesbia e da Catullo non mancavano certo le
belle donne, e i giovani galanti, vanitosi e sfaccendati parlavano spesso
dei pregi dell’ una, dei difetti dell’ altra. Ma il poeta veronese in questo
momento vede solo l’ amata, la più desiderabile di tutte le donne.A
questo proposito Catullo usa il termine formosa, che nella poesia
neoterica sembra includere un’ idea di grazia ed eleganza, che poche
possiedono.(CARME 86)
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LESBIA: IL DUBBIO
Presto sull’ amore felice cominciarono ad addensarsi le prime ombre;ci furono
dissapori, anche profondi, fra i due amanti.Lesbia forse, dopo la morte del marito,
incominciò ad essere stanca della relazione e strinse legami con altri ammiratori, che
Catullo considerava “tradimenti”.Il poeta si scagliò con violenza contro gli amici che
lo ingannavano, cercò disperatamente di convincersi che si trattasse di semplici
momenti di stanchezza, di piccoli screzi tra innamorati.E’ la fase più contraddittoria
della vita di Catullo: il poeta ondeggia fra momenti di depressione, in cui pensa
realisticamente che tutto sia finito, e altri di speranza, nei quali Lesbia gli sembra
ancora quella di un tempo. E’ un contrasto lacerante che produce versi intensissimi,
capaci di esprimere in forme davvero “moderne” la psicologia interiore di un
innamorato che si sente tradito:il contrasto fra la dolcezza del ricordo di un passato
neppure troppo lontano e la disperata amarezza del presente.Catullo è intimamente
ferito e vive il tumulto di sentimenti opposti, l’odio e l’amore.(CARME 85)
Ma Lesbia è sempre più volubile e in un breve e rapido epigramma Catullo stigmatizza
i capricci e i cambiamenti d’umore della donna e la richiama alla fedeltà. Affiora di
nuovo lo scoraggiamento dell’innamorato, che vede l’amata allontanarsi ogni giorno
di più.(CARME 70)
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Lesbia incomincia addirittura a parlare male di Catullo nei “salotti” di Roma; egli si
illude, cerca di convincersi che la donna sia sempre innamorata di lui, mentre fra i due
ormai è tutto finito. Allora il dubbio angoscioso riemerge: il poeta cerca di analizzarlo
in modo scientifico, ma non riesce ancora ad accettare l’ evidenza. (CARME 92)
Ci furono comunque momenti felici anche in questa fase, quando Lesbia, forse dopo
un litigio più violento del solito, tornava a giurargli tutto il suo amore promettendogli
che non l’avrebbe più tradito. Il poeta è pronto a ricominciare tutto daccapo, a mettere
una pietra sul passato; rimane però il dubbio che anche queste nuove promesse siano
destinate a essere infrante come tutte le altre. Da qui una preghiera accorata agli dei,
affinchè non vogliano turbare questa atmosfera di illusione, questo momento che
appare troppo bello per essere vero: un Catullo ancora preda dell’ incertezza che pare
abbandonarsi a un sentimento religioso.
Le infedeltà di Lesbia, però, si fanno via via più frequenti e più dolorose; per
l’ennesima volta il giovane le dichiara il suo amore sincero e profondo: il dubbio sta
per diventare certezza ma egli la ama ancora. I tradimenti della donna hanno svuotato
l’amore della sua essenza più nobile e preziosa; rimane la passione, ma il suo
divampare affievolisce il bene velle: fra i due amanti non esiste più né intesa né
concordia. E’ rimasto solo l’ardore dei sensi, continuamente alimentato dalla
gelosia.(CARME 72)
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>
LESBIA: LA DELUSIONE
Siamo ormai giunti all’ultima fase della parabola sentimentale di
Catullo. Anche se il suo io si rifiuta di riconoscerlo, tutto è finito. Il suo
stato d’animo, inquieto e pieno di contraddizioni, lo porta ad assumere
prese di posizione molto nette; egli si propone (e qui il poeta suscita
tenerezza, nella sua disarmante sincerità) di rispondere all’indifferenza
di Lesbia con l’indifferenza, continuando a ripetere a sé stesso, come a
volersene convincere, il suo ostinato proposito, pur essendo consapevole
che non riuscirà a mantenerlo.(CARME 8)
L’amore di un tempo lascia il campo al più crudo disprezzo: le infedeltà,
i continui tradimenti di Lesbia hanno passato il segno. E il poeta, perso
ogni ritegno- così come la donna ha perso ogni pudore-, le lancia
invettive feroci, taglienti, ironiche e oscene. Catullo cercò di uscire da
questa situazione per lui intollerabile, che lo tormentava e gli faceva
perdere sonno e salute.
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Nel momento culminante del suo intimo dissidio (57 a.C.) Catullo lasciò Roma per
recarsi in Oriente; nell’ebbrezza del viaggio,nella lontananza Lesbia sembrava per
sempre dimenticata, il poeta appare tornato alla gioia di vivere e alla spensieratezza
della sua gioventù.
Il ritorno, dopo il naturale moto di allegria di chi rivede la propria terra, gli portò
nuovi dolori. A quanto pare, due suoi amici avevano approfittato della sua assenza per
allontanarlo ancor più da Lesbia; ora che egli è tornato, subdolamente si atteggiano a
piaceri. Catullo scrive contro di loro un’invettiva per bollarne la perfidia; il carme
però, quasi impercettibilmente, abbandona l’ironia iniziale e finisce per trasformarsi in
un addio definitivo al suo amore.
Anche il momento di gelosia e l’insulto lasciano spazio al rimpianto per la felicità
perduta, con una delicata similitudine ispirata alla lirica greca che conferisce alla
chiusa un tono intimo ed elegiaco assolutamente diverso da quello iniziale
(CARME 11).
C’è chi pensa che a Roma Catullo si riconciliò con Lesbia, ma se realmente vi fu una
riconciliazione, questa dovette essere molto fugace.A questo punto, ripercorrendo
amaramente tutte le sue illusioni, tutte le sue delusioni il poeta si rivolge agli dei,
chiedendo loro una ricompensa per avere sempre agito con lealtà. Catullo esprime se
stesso con sincerità, in un carme che riassume l’ intimo travaglio dell anima catulliana,
in una sorta di testamento spirituale definitivo.(CARME 76)
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ANTOLOGIA
indice
LXX
XCII
LXXII
III V
LXXXV
LI
LXXXVI
Quale Carme vuoi leggere?
VIII
CARMEN LI
Ille mi par esse deo videbitur,
Ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit
dulce ridentem, misero quod omnis
eripit sensus mihi; nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
(vocis in ore)
lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.
torna all’ excursus
CARME III
Lugete , o Veneres Cupidinesque ,
et quantun est hominum venustiorum:
passer mortuus est meae puellae ,
passer , deliciae meae puellae ,
quem plus illa oculis suis amabat.
Nam mellitus erat suamque norat
ipsam tam bene quam puella matrem ,
nec sese a gremio illius movebat ,
sed circumsiliens modo huc modo illuc
ad sola dominam usque pipiabat;
qui nunc it per iter tenebricosum
illud , unde negant redire quemquam.
At vobis male sit , malae tenebrae
Orci , quae omnia bella devoratis:
tam bellum mihi passerem abstulistis.
O factum male! O miselle passer!
Tua nunc opera meae puellae
flendo turgiduli rubent ocelli.
Piangete , Amori e Veneri , e con voi
pianga nel mondo ogni gentil persona!
Il passero morì della mia bella ,
ch’ella avea caro più degli occhi suoi;
ché dolce egli era e ben la conosceva
come una bimba mamma sua conosce ,
né dal suo grembo si toglieva mai ,
ed anzi , saltellandovi d’intorno ,
alla padrona sua pur pigolava.
E or sen va per i sentier bui
donde ci è tolto di tornar mai più.
Voi ,maledette tenebre dell’ Orco ,
che divorate ogni leggiadra cosa ,
che mi rapiste un passero sì bello!
Oh passerotto misero! Oh sventura!
Per te i dolci occhi della mia diletta
or son rossi e gonfi un po’ di pianto.
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CARMEN V
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt,
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
Dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.
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CARMEN LXXXVI
Quintia formosa est multis, mihi candida, longa,
recta est. Haec ego sic singula confiteor,
totum illud “formosa” nego: nam nulla venustas,
nulla in tam magno est corpore mica salis.
Lesbia formosa est, quae cum pulcerrima tota est,
tum omnibus una omnis subripuit veneres.
Quinzia per molti è bella; per me, fresca, slanciata,
elegante. D’accordo su tali pregi,
ma compiutamente bella, no:niente di grazia,
in quel gran corpo, non un pizzico d’estro.
Lesbia è bella, perché perfetta essendo
tutta in sè sola la femminilità racchiude.
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CARMEN LXXXV
Odi et amo, quare id faciam, fortasse requiris.
nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e amo. Mi chiedi come si può.
Lo sa il mio cuor crocifisso. Io non lo so.
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CARMEN LXX
Nulli se dicit mulier mea numere malle
quam mihi, non si se Iupiter ipse petat.
dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,
in vento et rapida scribere oportet aqua.
Se non tua, di nessuno, dice la mia donna,
di nessuno, nemmeno di Dio.
Dice: ma ciò che donna giura all’amante
scrivilo nel vento, affidalo all’acqua errante.
torna all’ excursus
CARMEN XCII
Lesbia mi dicit semper male nec tacet umquam
de me: Lesbia me dispeream nisi amat.
quo signo? quia sunt totidem mea: deprecor illam
assidue, verum dispeream nisi amo.
Lesbia sparla di me, sempre, e mai
non tace: ch’io muoia, Lesbia mi ama.
Perché? Faccio anch’io così: la insulto
sempre, ma ch’io muoia se non l’amo.
torna all’ excursus
CARMEN LXXII
Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.
dilexi tum te non tantum, ut vulgus amicam,
sed pater ut gnatos diligit et generos,
nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
“qui potis est?”, inquis, quod amantem iniuria talis
cogit amare magis, sed bene velle minus.
Allora andavi dicendo che solo avevi avuto Catullo,
Lesbia, neppure Giove volevi al posto mio.
E ti amai non come s’ama la solita amichetta,
ma come il padre i figli e i generi ama.
Adesso so chi sei: e pure se la voglia aumenta,
sempre di più mi diventi indifferente, flebile.
Come si può? Tu chiedi. Ecco, il tradimento
eccita l’amante alla passione, mi spegne il voler bene.
torna all’excursus
CARMEN VIII
Miser Catulle, desinas ineptire,
et quod vides perisse, perditum ducas.
fulsere quondamcandidi tibi soles,
cum ventitabas, quo puella ducebat
amata nobis, quantum amabitur nulla!
ibi illa multa cum iocosa fiebant,
quae tu volebas nec puella nolebat,
fulsere vere candidi tibi soles.
nunc iam illa non vult: tu quoque, impote
nec, quae fugit, sectare nec miser vive,
sed obstinata mente perfer, obdura. vale
puella. Iam Catullus obdurat
nec te
requiret nec rogabit invitam.
at tu
dolebis, cum rogaberis nulla: scelesta, torna
vae te! quae tibi manet vita? quis nunc te
adibit? cui videberis bella? quem nunc
amabis? cuius esse diceris? quem
basiabis? cui labellamordebis? at tu,
Catulle, destinatus obdura.
all’ excursus
Il carmen XI non è al
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Vi consigliamo di
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Il carmen LXXVI non è
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CATULLO
Della vita di Caio Catullo possediamo notizie molto scarse e
frammentarie: sappiamo che nacque a Verona, nella Gallia Cisalpina
nell’ 84 a.C., e dalla città natale, dove ricevette una raffinata istruzione
di latino e greco, si trasferì presto nella capitale dove, anche grazie all’
aiuto dell’ amico e conterraneo Cornelio Nepote, entrò in contatto con
gli ambienti intellettuali più vivaci e irrequieti. Fece parte con alcuni
amici del gruppo dei Poetae novi che cercò di trasferire a Roma un
nuovo modello di poesia e un nuovo tipo di poeta, che dell’ arte faceva il
fine stesso della vita, dedicandosi ad essa con una dedizione totale ed
esclusiva. Della sua vita a Roma sappiamo solo quanto affiora dalla sua
stessa opera. Si intravede il gusto per una vita un po’ scapigliata e
ribelle, l’amore per le liete brigate di amici e il fastidio per la vita
politica da cui si tenne sempre lontano. Morì alla giovane età di 30 anni,
nel 54 a.C.
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Di Catullo ci è giunta una raccolta di 116 poesie: il Liber Catullianus,
forse un’ antologia di liriche provenienti da più raccolte e diverse per
argomento e per ispirazione. Importanti sono le poesie d’ amore e di
occasione, che Catullo chiama nugae (cioè “inezie”, “cose da poco”),
in cui si passa dall’ amore per Lesbia alla vita spensierata con gli amici,
dalla polemica letteraria all’ invettiva feroce e volgare;ampio spazio è
riservato anche a componimenti molto più complessi ed elaborati, di
carattere mitologico (i Carmina Docta ).
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LESBIA: STORIA DI UNA DONNA
Chi fu la donna amata e cantata da Catullo in versi pieni di passione, di
sdegno e di dolore?
Quella donna, seguendo l’ opinione più comune, fu Clodia, figlia di
Appio Claudio Pulcro , nobile patrizio romano, che andò in sposa a
Metello Celere, console verso gli ultimi tempi della Repubblica.
Donna di varia cultura, appassionata per tutto ciò che avesse un
qualcosa di greco, doveva possedere ottime qualità di attrazione e di
perdizione, dalle quali lo stesso M. Tullio Cicerone rimase stregato. Ma
il grande oratore imparò ben presto ad odiarla, quando seppe che
seguendo l’ esempio del fratello s’ era fatta plebea per desiderio di
popolarità cambiando in Clodia il vero suo nome gentilizio di Claudia.
Pare dunque umano e quasi naturale che Catullo, giovane d’ anni,
scapolo, ricco, colto e incline all’ amore, rimanesse catturato dal folle
amore per la donna, allora non più giovanissima.
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LA DONNA DI ROMA
In età infantile bambini e bambine crescevano insieme condividendo
giochi e studi, almeno fino alla “scuola elementare”, dove si imparava a
leggere, scrivere, calcolare e stenografare.
Al termine dei primi studi, le signorine di buona famiglia continuavano
privatamente a istruirsi sotto la guida di praeceptores che le
addestravano nella conoscenza della letteratura latina e greca;
contemporaneamente imparavano a suonare la cetra, a cantare, a
danzare.
Questa complessa educazione intellettuale non distoglieva le donne
dall’ occuparsi dei lavori femminili, tra cui sorvegliare e guidare le
schiave, anche nei lavori più fini come il ricamo, per il quale nutrivano
grande amore.
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L’ uso di dar marito alle figlie quando erano ancora giovanissime
imponeva alle giovani donne una vita ritirata una volta divenute adulte.
Nella buona società romana il flirt, così come lo intendiamo noi, doveva
essere rarissimo; tra l’ altro ne mancava l’ occasione: l’ unione dei
giovani dipendeva quasi esclusivamente dai loro padri.
Con il matrimonio, invece la donna romana acquistava una relativa
libertà di vita e di movimento. Le matrone romane godevano della
fiducia dei loro mariti, e nessuno le costringeva a un regime di clausura:
uscivano, si scambiavano visite, andavano in giro per i negozi a fare
spese. La sera accompagnavano i loro mariti al banchetto e rincasavano
tardi.
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Biografia
L’amore e Pirra
La tematica amorosa
indice
L’amore e Pirra
Nelle Odi erotiche e simposiache più puntuali si fanno le allusioni a testi di Alceo e
Anacreonte, sviluppati però con sensibilità oraziana.Invano cercheremmo in Orazio
una nota troppo appassionata, un coinvolgimento “totale”:Pirra,Glicera, Lidia,Lice,
Leuconoe sono nomi femminili greci, che certamente lasciano intravedere esperienze
personali, ma sempre accuratamente filtrate attraverso la letteratura.Orazio non
racconta tanto i suoi amori, ma piuttosto canta l’amore in sé, e rappresenta, talvolta
con ironico distacco, le situazioni tipiche delle vicende amorose, in componimenti
ricchi di grazia e di finezza, nei quali è sempre difficile separare il vissuto
dall’esperienza letteraria.
Pirra
In un atmosfera raffinata, tra profumi esotici e petali di rosa, Orazio contempla Pirra,
splendente nella sua ricercata semplicità:sino a ieri era lui a goderne i favori, mentre
adesso accanto a lei c’è un nuovo amante, un ragazzo che ancora non conosce le
insidie dell’amore e che pertanto è destinato a soffrire.Lui, Orazio, si sente ormai in
salvo, come il marinaio che è scampato al naufragio.(1,5)
1, 5
Quis multa gracilis te puer in rosa
perfusus liquidis urget odoribus
grato, Pyrrha, sub antro?
Cui flavam religas comam,
simplex munditiis? Heu quotiens fidem
mutatosque deos flebit et aspera
nigris aequora ventis
emirabitur insolens,
qui nunc te fruitur credulus aurea,
qui semper vacuam, semper amabilem
sperat, nescius aurae
fallacis! Miseri, quibus
intemtata nites. Me tabula sacer
votiva paries indicat uvida
suspendisse potenti
vestimenta maris deo.
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Chi è il ragazzo snello
che in nembo di rose
e fra mille profumi
ti tiene stretta, Pirra,
nel dolce tuo antro?
Per chi annodi i tuoi capelli biondi
con ricercata semplicità?
Ahimè, quante volte piangerà
le promesse mancate e gli dei avversi;
quante volte osserverà stupefatto
inasprirsi il mare sotto neri venti!
Egli ora gode del tuo splendore,
e crede alle tue parole,
egli ora spera d’averti sempre per sé ,
sempre pronta ad amarlo,
e non conosce il vento ingannatore.
Infelice chi rimane abbagliato
e che non ha esperienza di te!
Sulla parete del tempio
c’è un quadro votivo:
dice che io ho dedicato
le mie vesti ancora bagnate
al dio signore del mare.
ORAZIO
Quinto Orazio Flacco nacque a Venosa nel 65 a.C. Suo padre era un liberto, venuto a
Roma per esercitarvi il mestiere di esattore delle aste pubbliche, ufficio redditizio. Il
poeta era dunque di umili origini, ma di condizione economica non disagiata. Infatti
poté seguire un regolare corso di studi, prima a Roma, quindi ad Atene dove frequentò
le scuole di filosofia.
Dalla tranquillità degli studi lo distolse totalmente la guerra civile che oppose i
cesaricidi Bruto e Cassio ad Antonio e Ottaviano: Orazio si arruolò nell’esercito di
Bruto e partecipò alla battaglia di Filippi col grado di tribuno militare.La svolta
decisiva della sua vita avvenne nell’anno 38 a.C., quando aveva già iniziato la sua
attività letteraria: in quell’anno Virgilio e Vario lo presentarono a Mecenate che, dopo
nove mesi di attesa, lo ammise nel suo circolo. Da allora l’esistenza di Orazio si svolse
senza scosse, tutta dedita alla letteratura, agli studi e alla frequentazione di una
ristretta cerchia di amici.
Prima del 30 a.C. Mecenate gli fece il dono di una villa e di un podere in Sabina, dove
il poeta amava vivere, lontano dagli impegni e dai disagi della vita cittadina, che gli
appariva faticosa e dispersiva. A Mecenate fu legato da un’amicizia intima e affettuosa:
a lui dedicò quasi tutte le sue opere.
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Anche Orazio, come Virgilio, diede il suo contributo alla propaganda augustea
componendo carmi celebrativi e politicamente impegnati, fra cui spiccano le cosiddette
odi romane. Nel 17 a.C. fu incaricato da Augusto della composizione di un inno agli dei
protettori di Roma : è il Carmen saeculare. Qualche anno più tardi su sollecitazione
dello stesso Augusto, Orazio gli indirizzò un’epistola poetica, d’argomento letterario.
La cronologia delle opere si ricava da indizi interni alle opere stesse. Negli anni dal 41
al 30 furono composti, parallelamente, i due libri delle Satire e gli epòdi. Orazio passò
poi alla poesia lirica, pubblicando nel 23 a.C. tre libri di odi (Carmina), scritti fra il
30 e l’anno della pubblicazione. Più tardi il poeta aggiunse ai precedenti un quarto
libro di odi, pubblicato verso il 13 a .C. Nel frattempo egli si era dedicato alla
composizione delle Epistole: il primo libro fu scritto dal 23 al 20 e fu pubblicato in
quest’ultimo anno. Il secondo libro è costituito da due sole, ampie epistole, entrambe di
argomento letterario, che risultano scritte negli anni dal 19 al 13 a.C. Controversa è la
datazione della epistola ai Pisoni, chiamata successivamente Ars poetica, il
componimento oraziano più ampio, che alcuni studiosi fanno risalire al 20 a.C., altri al
15, altri posticipano a dopo il 13. Negli ultimi anni la produzione letteraria di Orazio
andò progressivamente diminuendo fino a cessare del tutto. Egli morì nell’8 a.C., a due
mesi di distanza dalla scomparsa di Mecenate.
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LA TEMATICA AMOROSA
Il filone erotico delle Odi oraziane mostra, oltre a manifeste riprese di autori greci
anche evidenti punti di contatto con la poesia d’amore contemporanea, rappresentata
in primo luogo da Tibullo e da Properzio. Sia l’elegia sia il nostro autore ricorrono
infatti a motivi e luoghi comuni simili, come la rissa amorosa fra gli amanti, con
relativi lividi, come idea della militia amoris e del servitium amoris, o anche, più in
particolare come la convenzione del paraklausithyron, il canto dell’innamorato
respinto dalla donna e chiuso fuori della casa. Proprio quest’ultimo topos può divenire
un interessante termine di controllo. In Carmina, I,25 esso compare in relazione con la
figura di una donna che, invecchiando, non è più assediata da una folla di amanti; in
III,7 un giovane corteggia una fanciulla cui l’autore raccomanda di essere inflessibile e
di tenere chiusa la porta. Mentre però l’elegiaco si serve della situazione per
accentuare il tono patetico e sentimentale del lamento dell’innamorato respinto, Orazio
sfrutta invece le medesime circostanze per investire di lieve ironia sia la propria
condizione sia la durezza della donna. Del resto l’atteggiamento assunto da Orazio
nelle poesie amorose non è univoco: talora egli si presenta come un osservatore
esterno, talora ostenta invece un coinvolgimento diretto. La sua lirica erotica è dunque
posta sotto il segno della varietà e della discontinuità:i carmi appartenenti a questo
filone non tendono a convergere in modo più o meno coerente in un’unica vicenda
amorosa, ma restano isolati in una costellazione di circostanze e occasioni disparate.
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Questa situazione si riflette sul carattere delle figure femminili, che non hanno la
possibilità di svilupparsi in personalità complesse, ma restano fissate nei sentimenti e
negli atteggiamenti di un momento circoscritto e limitato. I particolari descrittivi sono
d’altra parte volutamente scarsi: il personaggio di Pirra, per esempio, è definito
soltanto dal gesto elegante di legarsi i capelli, e per il resto vive per le immagini
marine di cui è sostegno (I,5).
Il poeta non ci offre dunque dei veri e propri ritratti, ma piuttosto coglie nella loro
tipicità temperamenti e comportamenti che vanno dal fascino e dalla protervia della
donna fatale alla fragilità indifesa della giovinetta, dall’affascinante ambiguità di un
ragazzo, al triste e grottesco declinare della bella che soccombe ai danni del tempo.
Questa pluralità di soggetti esclude la possibilità di sentire l’amore come un’esperienza
totalizzante, che presupponga dedizione esclusiva ad un’unica persona e orienta
piuttosto a concepire la passione come violenta e irresistibile attrazione verso la
fulgida bellezza dell’essere amato: si tratta di uno slancio che per sua natura non può
avere lunga durata e che pertanto condanna ogni illusione di eternità a inevitabili e
brucianti disillusioni.
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Biografia
Amores
Ars Amatoria
Metamorfosi
indice
OVIDIO
Nato a Sulmona nel 43 a.C. da una famiglia di rango equestre, dopo aver frequentato le
scuole dei retori più famosi a Roma e in Grecia, intraprese la carriera politica per
compiacere suo padre, ma l’abbandonò ben presto per dedicarsi interamente alla
poesia, verso cui lo attirava una irresistibile vocazione. Muovendosi con disinvoltura
negli ambienti mondani e intellettuali di Roma, Ovidio entrò nel circolo di Messalla
Corvino, fu amico di Tibullo e di Properzio, e incominciò giovanissimo a leggere
pubblicamente i suoi versi, coltivando il genere dell’elegia amorosa e riscuotendo
subito grande successo. Egli raccolse le sue elegie in una silloge intitolata Amores,
curandone (intorno al 20 a.C.) una prima edizione in 5 libri, che successivamente
ridusse e rielaborò nella redazione in 3 libri che ci è pervenuta. Agli Amores
seguirono altre opere appartenenti al genere dell’elegia amorosa: Heroides (Eroine)
composte dopo il 15 a.C., e l’Ars amatoria (L’arte di amare) scritta tra l’1 a.C. e l’1
d.C. Nel periodo successivo, dall’1 all’8 d.C., Ovidio passò a nuovi tipi di poesia, più
impegnativi, coltivando l’elegia eziologica di argomento romano nei Fasti e l’epica
mitologica nelle Metamorfosi.
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La prima di queste due opere rimase incompiuta e la seconda non poté ricevere l’ultima
mano a causa di un evento drammatico e traumatico che colpì il poeta come un fulmine
a ciel sereno: nell’8 d.C egli fu condannato da Augusto alla relegazione nella lontana
Tomi
A Tomi, dove giunse nel marzo del 9 d.C., il poeta rimase per quasi 10 anni, fino alla
morte, avvenuta nel 18 d.C., senza mai ottenere né da Augusto, né poi da Tiberio la
remissione della pena, instancabilmente implorata per mezzo delle elegie nei 5 libri dei
Tristia (tristezza) e nei 4 delle Epistulae ex Ponto (Lettere dal Ponto). Fra le opere
perdute ricordiamo la tragedia Medea, scritta prima dell’esilio ed accolta dai
contemporanei con grande fervore.
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GLI AMORES
In questa raccolta di elegie, chiaramente ispirata a Tibullo e Properzio, ma
ricca anche di motivi di evidente derivazione alessandrina e catulliana, viene
celebrato un tema fondamentale della poesia di Ovidio:l’amore come
passatempo giocoso, svincolato da ogni forma di impegno sentimentale.A
differenza di altre opere elegiache, manca negli Amores una figura femminile
dominante, come può essere Lesbia per Catullo:infatti, benchè gran parte delle
elegie sia dedicata alla misteriosa Corinna, la sua presenza ha contorni sfumati
e impalpabili.Forse è una donna-simbolo, certamente non è l’amata del
poeta.Egli afferma anzi, con schietta sincerità, che il suo cuore non è fatto per
accontentarsi di un solo grande amore, ma è pronto a inchinarsi di fronte a
qualsiasi donna avvenente.
Già negli Amores si delineano anche altri elementi costitutivi della poetica
ovidiana:il poeta, estraneo alla religione tradizionale e ai suoi contenuti
storico-politici, si serve della mitologia solo come fonte per le favole che
intende raccontare.In questo egli si rivela figlio del suo tempo,di quella
generazione scettica che si disinteressava della religiosità legata a un mos
maiorum ormai ritenuto sorpassato, e che si era dimostrata insensibile, per non
dire ostile, alle riforme augustee in campo religioso.
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Rispetto alla poesia amorosa precedente, oltre alla figura femminile unificatrice,
manca in Ovidio il dramma sentimentale generato da queste donne nei loro
amanti-poeti.Anche se molte elegie degli Amores hanno per argomento litigi fra
innamorati, scene di gelossia, tradimenti e riconciliazioni, non vi è in esse alcuna
traccia del pathos creato da queste vicende nella tradizione precedente o
contemporanea:Ovidio ha una concezione dell’amore come lusus, gioco leggero,
destinato a lasciare solo tracce superficiali nell’animo di chi lo ha vissuto.
E così il poeta non è più totalmente dedito alla sua amata, né di conseguenza può
farle professione di fedeltà eterna e immutabile;al contrario, frequenti sono gli
accenni ( presenti peraltro anche in Catullo ) al desiderio di liberazione dalla
servitù dell’amore, e la sconsolata constatazione dell’inevitabilità di certe
ricadute.
Accanto a questi motivi, vi sono anche-come si è detto-numerosi luoghi comuni di
derivazione alessandrina:ne è un esempio l’epicedio per la morte di un
pappagallo donato a un’amica.Se è chiara la reminescenza catulliana ( carme 3),
altrettanto tipicamente ovidiani sono la morbida dolcezza del flusso di parole, che
finisce per nobilitare anche le vicende più frivole o apparentemente insignificanti,
e il frequente ricorso al mito.(2,6)
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L’ARS AMATORIA
Già negli Amores, un’elegia (1,8) aveva per protagonista una vecchia mezzana
di nome Dipsa, che rivolgeva una serie di consigli a Corinna su come far colpo
sugli uomini,come farsi desiderare e mettere a frutto il loro amore.
Nell’Ars Amatoria, invece, Ovidio rinuncia a qualsiasi intermediario e si pone
egli stesso nelle vesti di maestro d’amore,con lo scopo di scrivere il manuale
dell’amante perfetto e di dettare le norme di comportamento del dongiovanni
della prima età imperiale.L’argomento era molta delicato in un periodo in cui
ogni pratica amorosa al di fuori del matrimonio era del tutto invisa alla politica
di restaurazione augustea, che investiva anche l’ambito etico.Ovidio non si
ribella ai dettami imperiali, né si fa promotore di una nuova morale in
opposizione a quella del princeps.
Il poeta ribadisce che per lui l’amore è soltanto lusus, un gioco dominato
dall’astuzia, dalla galanteria, dalla capacità di simulazione.
Per Ovidio, insomma, amare è un’arte:ecco quindi la necessità di redigere un
manuale che insegni come raggiungere i migliori risultati.Egli ha-o almeno dice
di avere- una grande esperienza in materia, di cui vuole rendere partecipe il
lettore.L’Ars Amatoria costituisce il superamento dell’elegia erotico-soggettiva:
Ovidio, infatti, tenta un originale e sottile gioco a incastro fra materia frivola e
forma didascalica, di per sé seria.
LE METAMORFOSI
Le Metamorfosi rappresentano il momento in cui Ovidio abbandona il genere
elegiaco, leggero e giocoso, per porre mano a quella poetica narrativa vagheggiata in
gioventù.Tuttavia, egli rifiuta coscientemente i grandi modelli del passato, Omero,
Apollonio Rodio, lo stesso Virgilio:insomma, la sua intenzione non è quella di scrivere
un poema epico-storico di tipo tradizionale.
L’idea ovidiana è quella di dar vita a un’opera che raggruppi un gran numero di storie
indipendenti l’un l’altra, ma tutte accomunate da un unico tema.Il poeta sceglie quale
filo conduttore del suo poema il motivo della trasformazione.Egli si propone di scrivere
una sorta di storia universale dell’umanità, sia pure vista attraverso un aspetto
particolare,quello metamorfico.
Ovidio ha superato brillantemente le difficoltà insite nel progetto di scrivere un
romanzo mitologico in versi:allorché, nel corso dell’opera, viene a mancare l’affinità
tematica, il poeta raggiunge l’obiettivo di conferire al tutto un aspetto unitario
raggruppando le varie leggende per l’identità di luogo o di stirpe, oppure incastrandole
sapientemente l’una nell’altra.
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Ci si sente pienamente calati in un’atmosfera fiabesca, irreale, da sogno, che
Ovidio sa sempre ravvivare con inesauribile fantasia, animando la narrazione
con grande abilità descrittiva.In questo senso, uno dei pregi fondamentali delle
Metamorfosi è la loro plasticità,la fusione di poesia e arte figurativa.
Il XIV libro racconta le ultime peregrinazioni di Enea, la sua vittoriosa guerra
contro i Rutuli, la sua divinizzazione, e il sorgere di Roma, con l’apoteosi di
Romolo, suo fondatore.Un poco di epica, dunque, e talune digressioni filosofiche
nell’ultimo libro, dove Pitagora tiene a Numa Pompilio un lungo discorso sulle
mutazioni delle cose e sulla metempsicosi, la dottrina della trasmigrazione e della
reincarnazione delle anime.L’apoteosi di Cesare, ultimo degli Eneadi, e la
celebrazione, con intenti anche troppo scopertamente encomiastici, di Ottaviano
Augusto chiudono il poema.In chiusura Ovidio ribadisce la sua certezza nel
valore dell’opera.
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LE METAMORFOSI: contenuto del poema
La prima trasformazione fu dovuta alla mente divina, che ha mutato il caos
originario degli elementi primordiali in un cosmo armonico e ordinato, nel quale
fa la sua apparizione l’uomo.Inizia la storia del genere umano , divisa in quattro
età.Licaone, figlio dei Giganti, è il primo essere a subire una trasformazione,
divenendo un lupo;Deucalione lancia delle pietre dietro le sue spalle per far
rinascere a nuova vita la stirpe degli uomini dopo il diluvio.Successivamente
vengono passate in rassegna moltissime leggende che riguardanosia il mondo
terrestre sia quello celeste, gli uomini, gli animali, il regno vegetale. Ecco che
uomini si mutano in bestie, Atteone in cervo, Cicno in cigno, Callisto in orsa,
Ecuba in cagna, Aracne in ragno, Atalanta e Ippomene in leoni; o in alberi, come
Dafne in lauro, le Eliadi, sorelle di di Fetonte, nelle piante dell’ambra resinosa,
Giacinto in fiore, Ciparisso in cipresso;o ancora, trasformazioni di diversa
natura, come quella di Niobe in pietra, di Biblide in fonte, di Batto in sasso, di
Aci in fiume.
Accanto a questo grande repertorio mitologico aderente al tema, Ovidio inserisce
anche episodi diversi, non strettamente legati a metamorfosi vere e proprie, ma
accomunati fra loro dal fatto di essere”prodigiosi”in senso lato:così Pigmalione
scolpisce una statua d’avorio che prende d’un tratto vita, vengono riprese le
leggende di Dedalo e Icaro e quelle di Orfeo e Euripide, di Proserpina e Plutone,
di Giasone e Medea.
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E non si creda che la visione ovidiana sia solo esteriore:egli si rivela anche
psicologo, e in modo profondo, quando accompagna la descrizione di quanto
avviene al corpo che si trasforma con un’acuta analisi dei risvolti dell’animo.
Così la metamorfosi rivela quanto c’è di più intimo nella mente umana, la natura
stessa dell’uomo.
E l’Ovidio cantore dell’amore?Anche nelle Metamorfosi questo sentimento è
sempre presente e costituisce uno dei temi dominanti dell’opera.Ma è la
concezione ovidiana dell’amore che si è profondamente evoluta rispetto alle opere
giovanili:anche se sono presenti miti in cui dell’amore prevale l’aspetto fisico e
sensuale, si può vedere come il poeta galante e lezioso abbia lasciato spazio a una
visione più profonda , più matura.L’amore diviene delicatezza, generosità, nobiltà
d’animo fino alla morte, come quella di Piramo e Tisbe (1,4), di Procri (1,7), di
Alcyone (1,11).E’ amore materno, come per Niobe (1,6), o fraterno, come per le
Eliadi nei confronti dello sfortunato Fetonte (1,2), paterno in Dedalo (1,8).
E’ tenero e religioso amore coniugale, come per Filemone e Bauci, creature
umanissime nella loro semplicità, che ci conducono nel mondo degli affetti più
autentici e puri.
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Biografia
Dall’ Eneide:
L’ amore e il personaggio di Didone
L’ amore nell’ Eneide
Le manifestazioni della passione
indice
VIRGILIO
Publio Virgilio Marone nasce ad Andes, un villaggio nei pressi di Mantova, nel 70 a.C.,
anno del primo consolato di Pompeo e Crasso. Il padre è un modesto proprietario
terriero abbastanza agiato per poter assicurare una buona educazione al figlio. Questi
inizia ad intraprendere gli studi di grammatica e di retorica nel 60 a.C.; completa poi
la sua istruzione umanistica prima a Milano e poi a Roma. Il suo carattere mite e
schivo non si concilia con l’arte oratoria a cui era avviato né con la tumultuosa vita
politica della capitale. Quando, nel 49 a.C., scoppia la guerra civile tra Cesare e
Pompeo, Virgilio si trasferisce a Napoli, dove può coltivare la sua inclinazione per la
letteratura e soprattutto per la filosofia. Anche in seguito la Campania, con il suo dolce
clima, sarà la sua terra preferita, quando sentirà l’esigenza di coltivare in solitudine i
suoi studi. Durante il periodo delle guerre civili, Virgilio trascorre lunghi periodi nella
natia Andes, lontano dalle lotte fratricide che turbano profondamente il suo animo
sensibile. Grazie all’intervento di Ottaviano, Virgilio riesce a conservare i suoi
possedimenti mantovani; nel 38 a.C. vengono completate le Bucoliche, una raccolta di
componimenti poetici di contenuto agreste pastorale. Nel 38 a.C. Virgilio entra nel
circolo di Mecenate; si tratta di un evento di importanza fondamentale per la vita del
poeta, che avrà occasione di stringere una profonda amicizia con Ottaviano.
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L’AMORE E IL PERSONAGGIO DI DIDONE
Il presupposto concettuale dell’episodio di Didone è costituita dalla nozione totalmente
negativa che Virgilio ha dell’amore. Calata nel contesto dell’epos , la visione
dell’amore come DEMENTIA e FUROR, trova nella storia di Didone un esempio
privilegiato del potere distruttivo della passione. Nel I libro dell’Eneide il personaggio
ha una dimensione propriamente epica: dotato di una statura morale superiore al suo
sesso, ella si presenta essenzialmente come regina e, come tale, legifera, amministra la
giustizia e sovrintende alla costruzione della sua città. Proprio in quanto sovrana, ella
stabilisce rapporti d’amicizia con Enea, capo del gruppo dei troiani superstiti, cui è
accomunata dalla somiglianza del destino. L’irrompere dell’amore, dovuto
all’intervento divino, distrugge rapidamente la consistenza epica della figura di
Didone. Da questo momento la regina, abbandonata ogni dignità, vaga per tutta
Cartagine come un’animale ferito e si disinteressa dei propri compiti, causando
l’interruzione dei lavori per la costruzione della città.
E’ opportuno notare che l’amore, anche nella sua fase iniziale, non dà felicità, ma
provoca uno sconvolgimento e un’agitazione febbrili che annullano la razionalità .
>
La scena centrale con lo scontro tra Didone e l’eroe troiano non rovescia dunque
completamente la situazione, ma sovrappone al FUROR amoroso la disperazione
dell’abbandono, secondo la caratterizzazione sviluppata da Catullo nel carme 64.
Alcuni spunti di questa tipologia ricevono uno sviluppo e un’interpretazione nuovi e
importanti: in particolare i motivi della maledizione e del suicidio, associati alla magia,
forniscono l’ordito per il finale del VI libro. In esso la morte dell’eroina non costituisce
soltanto un estremo tentativo di rivalsa e di vendetta nei confronti di Enea, sancito dal
ricorso a mezzi magici, ma segna anche il riscatto e il recupero della dimensione epica
del personaggio: nella sue ultime parole ella ricorderà infatti le grandi imprese
compiute, esprimendo il desiderio impossibile di modificare il passato, di cancellare
quell’incontro fatale che l’ha spogliata della sua grandezza regale per consegnarla alla
sorte disperata di chi si abbandona all’amore.
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L’ AMORE NELL’ ENEIDE
La missione di Enea è decisa dai fati, ma innumerevoli ostacoli si frappongono al suo
compimento;oltre a tempeste, guerre, rivalità, paradossalmente uno dei principali
impedimenti è l’amore;quello di Enea per Didone.Si tratta di un gioco crudele,
provocato dal diretto intervento di Venere,d’intesa con Giunone;le dee sapevano quanto
un eventuale matrimonio fra i due sarebbe stato incompatibile con il volere del destino,
e quindi fonte di sofferenza.Però il dramma d’amore si compie, coinvolgendo l’eroe e la
regina.Quest’ultima, figura discussa e affascinante, risulta in fondo,assieme a Turno, la
più diretta antagonista di Enea.Virgilio si ispirò forse alla Medee di Euripide e di
Apollonio Rodio, donne capaci di ogni sacrificio in nome dell’amore.Didone invece
sacrifica se stessa, dopo aver compreso che non può opporsi al volere fatale, né
sopprimere il sentimento del proprio cuore tormentato.
Così Didone si confida con la sorella Anna, sentendo nascere in sé, con il nuovo amore,
l’indicibile dolcezza già provata un tempo, quando era sposa di Sicheo.E anche nel
confessare il suo amore, Didone appare turbata, angosciata, come se avesse il
presentimento che non le è riservato dal destino un lieto fine.
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Ed Enea?Spesso lo si è accusato di viltà, di tradimento, ma a torto.E’ consapevole
del proprio, ne soffre, tuttavia è disposto a sacrificare ogni cosa, finanche i suoi
sentimenti e i suoi affetti.
Didone si sente tradita, subentra in lei un senso di smarrimento:la regina diviene
una debole creatura umana, travolta da una passione che non sente pienamente
corrisposta.Dopo l’inutile, tenerissima supplica nei confronti dell’amante, prima
di compiere il sacrificio supremo uccidendosi, Didone lancia una maledizione
terribile il cui significato appare chiaro:Virgilio si appresta a fondare le basi della
parte più propriamente epico-nazionale del suo poema, adombrando l’odio e la
rivalità fra cartaginesi e romani, e le guerre che ne seguiranno, da cui Roma
uscirà indiscussa vincitrice, pronta per dominare il mondo.
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SI RINGRAZIA
Prof. L.Gaudio, per la collaborazione
BIBLIOGRAFIA
G.Garbarino
LETTERATURA LATINA
G.B.Conte
LETTERATURA LATINA
Monaco De Bernardis Sorci
LA LETTERATURA DI ROMA ANTICA
P.Venchi
LESBIA DI CATULLO
REALIZZATORI
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