Lombardia Società BOLLATE, lavorare dietro le sbarre Il carcere ospita oltre 600 detenuti, 220 lavorano (a rotazione) alle dipendenze dell’istituto di pena, oltre un centinaio per cooperative sociali e ditte private. Molti imparano un mestiere da spendere anche “fuori”. Il Segno 36 di Luisa BOVE Se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, questo vale ancora di più per chi è recluso.Anche la riforma penitenziaria del 1975 insiste molto sull’attività lavorativa come elemento cardine dell’esecuzione della pena, perché diretta a promuovere il reinserimento sociale del detenuto. Per questo il lavoro non deve avere «carattere afflittivo» ed essere organizzato secondo metodi analoghi a quelli della società libera.Va inoltre ricordato che con la legge Smuraglia del 2000 le imprese che assumono detenuti possono avere agevolazioni fiscali e retributive. Il carcere di Bollate, diretto da Lucia Castellano,ospita 657detenuti (dati del mese scorso,ndr) che hanno superato almeno il primo grado di giudizio con pene di media lunghezza. Questo istituto è nato con l’intento di favorire l’attività lavorativa, non a caso esistono ampi spazi con capannoni nei quali le società possono installare i laboratori e macchinari per far lavorare i reclusi. Nella cosiddetta zona industriale infatti è già stato collocato il call center, il laboratorio di assemblaggio e la falegnameria. Per legge i carcerati possono svolgere un’attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria (per esempio come scopino, porta vitto, cuoco, tabelliere, spesino…) oppure delle cooperative sociali che operano all’interno. Altri invece escono al mattino a lavorare e rientrano la sera grazie al beneficio dell’articolo 21; fino a qualche settimana fa erano 53 le persone che ne usufruivano,un passo importante in vista del pieno reinserimento nel contesto sociale a fine pena. Tra le diverse cooperative presenti a Bollate ne ricordiamo alcune: Cascina Bollate (serre);Alice (sartoria); Abc. La sapienza in tavola (catering); Out Sider (data entry);Wsc (call center e assistenza tecnica); Ies (impianti elettrici); Estia (falegnameria e compagnia teatrale). L’associazione “Oltre il muro” invece ha due artieri pagati dall’amministrazione penitenziaria. Varcando i cancelli del carcere ci si trova in ampi spazi e circondati da palazzine che ospitano i diversi reparti,tra i quali spiccano le serre e i campi coltivati della “Cascina Bollate”, la cooperativa sociale fondata nel dicembre 2007. «Abbiamo lavorato un anno per raggiungere questo traguardo - dice la presidente Susanna Magistretti -, il tempo necessario per selezionare il gruppo di giardinieri, insegnare le basi e mettere a punto le collezioni botaniche». Oggi i dipendenti regolarmente assunti sono 5, più un part-time, ma presto ne arriverà un altro. In realtà le serre esistevano già a Bollate ed erano gestite dalla polizia penitenziaria. «Allora si coltivavano piante generiche come i gerani e i ciclamini, fiori stagionali che si trovano anche all’Esselunga», ammette Magistretti. «La nostra idea invece è di trovare un mercato di nicchia di altissima qualità». Non vogliono coltivare piante rare, ma insolite sì. La “Cascina” ha già partecipato con successo a Orticola, la mostra di giardinaggio che espone a Milano con vivaisti provenienti da tutta Italia. «Abbiamo vinto una mozione di encomio per la qualità della nostra collezione e l’accuratezza della nomenclatura botanica», dice con orgoglio la presidente, ricordando la loro presenza anche ad altre esposizioni di primavera che hanno procurato loro una visibilità anche sui quotidiani e sui giornali di categoria come “Gardenia”. «I giardinieri di alto livello che sappiano riconoscere le piante sono pochissimi anche “fuori” - spiega Magistretti -. Noi vogliamo creare professionisti e se oggi dico ai miei ragazzi:“Andatemi a prendere una Ratabida columnifera”, sanno che cos’è». «Lavorare qui mi dà un senso di libertà perché sono all’aria aperta - dice Michele, 44 anni -, specie per uno come me che è in carcere da 10 anni».In passato aveva lavorato al call center,ma non gli piaceva, «poi ho fatto il volontario quasi per un anno e ora lavoro da quattro mesi alla “Cascina Bollate”». Fare il giardiniere gli piace molto e spera una volta fuori di continuare la professione, «anche se non conosco ancora tutti i nomi dei fiori perché sono in latino». Ma in carcere Michele si è messo anche a studiare. «Ho finito il quarto anno di economia aziendale corrispondente in lingue estere», spiega, e da quando sono terminate le lezioni lavora dalle 6 alle 12 e dalle 14 alle 17. “Cascina Bollate” naturalmente è già entrata nel mercato. «Vendiamo a giardinieri professionisti, ai vivai che ci commissionano piante e al pubblico dice la titolare -,abbiamo un negozio esterno aperto il mercoledì e il venerdì dalle 14.30 alle 18, ma vendiamo anche agli agenti e al personale del carcere». Oltre ad avere piante da fiore di ogni genere e tipo, a Bollate si coltivano anche verdure stagionali: pomodori, insalata, melanzane, peperoni… Quando però la Cascina produce 30 chili di piselli come nei mesi scorsi, fatica a smaltirli, perché non c’è la possibilità di conservare nulla. Ora però la presidente sta prendendo accordi anche con i Gas (Gruppi acquisto solidale) nella speranza di allargare il giro dei clienti. «I prezzi sono di mercato,ma competitivi rispetto al biologico - assicura Magistretti -,vendiamo anche on line attraverso il nostro sito www.cascinabollate.org». ■ Michele, 44 anni, oltre a studiare economia aziendale lavora come giardiniere e quando uscirà dal carcere spera di continuare questo mestiere. Susanna Magistretti, presidente di “Cascina Bollate”, gestisce la cooperativa con alcuni detenuti. A sinistra, il laboratorio di sartoria della Cooperativa Alice, già attiva a San Vittore e all’esterno degli istituti di pena. Il Segno 37 Società ...la cooperativa “Abc” prepara i pasti all’interno, cucina pizze e dolci per i detenuti e gli agenti, organizza catering per matrimoni e feste private... «Così respiriamo aria di libertà» “Abc. Claudio Villa, presidente dell’associazione “Salto oltre il muro” ha organizzato due corsi di artieri per i relcusi. La scuderia di Bollate conta finora sei cavalli. A destra, un cuoco della cooperativa di catering. Il Segno 38 La sapienza in tavola” è il nome che i detenuti hanno scelto per la cooperativa di cuochi e camerieri che fornisce catering. Dal 2004 a oggi sono stati assunti una ventina di reclusi, attualmente sono 5, ma grazie a un nuovo appalto presto diventeranno 6, la maggior parte con contratto a tempo indeterminato. «Tra loro c’è chi aveva una formazione pregressa nel settore, con competenze acquisite prima della detenzione - dice la presidente Silvia Polleri -,altri invece si sono cimentati qui per la prima volta e ora svolgono lavori più marginali». Oltre a lei e al vicepresidente Paolo Cremonesi,responsabile del centro cottura è un detenuto che faceva il cuoco all’esterno e gestiva ristoranti.«Chi è uscito dal carcere ha già trovato lavoro», assicura la titolare, in particolare ne ricorda «uno molto bravo che chiamavo “il cuoco assatanato” perché avrebbe cucinato a tutte le ore. È uscito a dicembre e temevamo per lui. Ha avuto molte difficoltà per la storia pregressa di detenzione, ora invece lavora in un grande catering ed è molto contento perché adora questa professione». Poi aggiunge: «La giustizia dà una pena definitiva, breve o lunga che sia, ma la società dà il fine pena mai». Come a dire che per chi è stato in carcere è più difficile trovare lavoro e assicurarsi un futuro. «La funzione di una cooperativa come la nostra è anche quella di dimo- strare alla società che queste persone sono affidabili e possono lavorare». Qualcuno al termine della pena ha continuato a cucinare per “Abc”, «ma è dura tornare nel luogo dell’afflizione»,per questo preferiscono trovare un posto “fuori”, «il nostro desiderio è di riuscire a trovare un polo esterno che possa garantire loro il proseguimento del lavoro». La cooperativa ha già gestito un buffet per 400 persone in piedi e un matrimonio con 280 invitati al tavolo, diventati 320 al taglio della torta. «Questa per noi è stata una grande conquista dice Polleri -, anche perché eravamo in febbraio, un mese faticoso per lavorare su grandi numeri». Ma il vero “salto”, assicura la presidente, «lo abbiamo fatto l’anno scorso introducendo tra i nostri clienti molti privati. È importante arrivare con il catering del carcere in un’abitazione, è segno di grandissima fiducia nei nostri confronti». “Abc” ha già organizzato anche molti matrimoni: «Spesso gli sposi, dovendo spendere una cifra importante per ristorare i loro ospiti, pensano che sia bello chiederlo a un’impresa impegnata nel sociale». Dopo aver preparato il preventivo, la cooperativa chiede il permesso di ingresso al carcere e invita i futuri sposi al centro cottura. «Oggi pomeriggio alle 16.30 arriverà per la degustazione una coppia che si sposerà il 12 luglio - racconta Polleri -, offriamo una se- rie di prodotti dolci e salati per far conoscere la nostra cucina, apparecchiamo per loro la tavola con piatti di porcellana e calici, mentre un cameriere serve le portate». L’aspetto più triste è che quasi nessuno dei detenuti «potrà uscire per vedere l’esito del suo lavoro; l’incontro con gli sposi serve dunque a compensare questa impossibilità». Solo i reclusi ammessi al beneficio dell’articolo 21 o in affidamento ai servizi sociali possono andare al ricevimento per servire gli ospiti. «Nel 2006 oltre al catering abbiamo introdotto la pizzeria e pasticceria da asporto per tutta la popolazione penitenziaria: detenuti, operatori, poliziotti... La pizza viene consegnata nella classica scatola di cartone, ma il nostro pony invece di avere una moto,ha un carrello per consegnare la pizza in tutti i reparti. Lo stesso avviene con i pa- sticcini. I detenuti possono così andare al colloquio con i parenti portando le paste acquistate da “Abc.La sapienza in tavola”.Tutto avviene a un prezzo politico,perché è un servizio sociale,mentre il catering è la fonte di reddito più importante che ci consente di vivere». La cooperativa ha vinto l’appalto del Ministero per confezione i pasti dei detenuti a prezzo competitivo.Al momento sono circa 250 i pasti giornalieri (colazione, pranzo e cena) serviti al 4° e 6° reparto, ma presto si aggiungeranno anche il 3°, il 5° e l’infermeria. L’orario di lavoro (38 ore settimanali) è abbastanza flessibile, ma per i catering si calcolano gli straordinari,perché sono sempre di sabato e il servizio termina la sera tardi. «D’altra parte - insiste Polleri -, per loro è molto importante il rapporto con l’esterno, perché incontrano persone diverse nella società». Oltre ai clienti privati ci sono infatti anche istituzioni, Asl, Povincia, Regione, Ordini di avvocati, architetti, notai… Tra le ultime novità introdotte in carcere va ricordato il lavoro insolito, ma molto richiesto, di artieri o “uomini di scuderia”, dice Claudio Villa, alla guida dell’associazione “Salto oltre il muro”. Oggi a Bollate ci sono 6 cavalli, con due artieri che lavorano part-time e sono pagati dall’amministrazione penitenziaria. Il nome dell’associazione non è stato scelto a caso perché «in termini equestri il muro è l’ostacolo più alto da saltare, ma qui, visto il nostro contesto, si intende il muro del disagio», dice Villa. «L’iniziativa è nata non solo per permettere ai detenuti di stare con l’animale e di vivere all’aperto, ma anche per offrire uno sbocco professionale. Ha la funzione anche di Pet Therapy perché stare con agli animali è fondamentale per il benessere psico-fisico».Al primo corso avevano partecipato solo 4 persone, mentre quest’anno gli iscritti erano una dozzina. «I cavalli di Bollate non sono chiusi nei box, ma vivono all’aperto, in una condizione naturale. È più facile chiarire ai detenuti le difficoltà dell’animale a vivere segregato - spiega Villa -, quella di relazionarci con altri esseri è un’esigenza di tutti, anche se con i cavalli è come parlare un’altra lingua. La loro comunicazione è molto sottile, ti guardano negli occhi, vedono a distanza ciò che fai e ti mettono in discussione». (l.b.) Nuovo corso per volontari Per la prima volta la Sesta Opera San Fedele, associazione di volontariato carcerario, organizza un corso per volontari che si dedicheranno ai detenuti domiciliari, in misura alternativa o extra murarie. L’iniziativa è promossa in collaborazione con l’Uepe (Ufficio per l’esecuzione penale esterna). Il corso prevede sette incontri il sabato mattina dalle 9 alle 13 tra ottobre e novembre. Per partecipare occorre prendere appuntamento per un colloquio: tel. 02.863521, www.sestaopera.it Il Segno 39 Società La mia passione di maestro vetraio scoperta in carcere Spera di uscire presto a lavorare all’esterno Il laboratorio aperto a Bollate in cui lavora Santo Tucci. Sopra l’artista, circondato dalle sue opere, mentre mostra un oggetto in vetro. Il Segno 40 Santo Tucci, che ha già ottenuto dalla Provincia di Milano uno spazio in via Settembrini, ma gli piacerebbe avviare anche una scuola.Ha iniziato quasi per caso e oggi è un vetraio d’eccezione (www.santotucci.it). «Faccio questo lavoro da 18 anni e non sono più sconosciuto», ammette l’artista.«Mi piacerebbe,una volta fuori spendere questa attività a beneficio dei ragazzi, senza precludere nessuno vorrei però rivolgermi in particolare ai giovani che vivono situazioni di disagio nelle grandi città dove ci sono fenomeni di bullismo». Insomma,taglia corto:«Vorrei offrire opportunità di lavoro a queste categorie di persone». Oggi il suo laboratorio è nel carcere di Bollate.Già quando era a San Vittore aveva tentato di avviare l’attività, coinvolgendo anche altri, poi con il suo trasferimento si è bloccato tutto.Ma la passione per l’arte del vetro Tucci l’ha scoperta quando era recluso nel penitenziario di Voghera. Un giorno, durante un incontro esterno (era fuori in permesso premio, ndr) in cui doveva raccontare la sua esperienza insieme ad altri compagni, ha conosciuto «una signora che portava una spilla di vetro», ricorda. «Mi piaceva moltissimo e volevo comprarne una per la mia fidanzata, ma la donna mi disse che l’aveva fatta lei perché era una vetraia». Poi ha aggiunto che «sarebbe stata disposta a venire in carcere per insegnare il mestiere a me e ad altri se ci interessava». E così è stato. «Io non avevo mai preso in mano un tagliavetro e da quel momento ho iniziato l’attività, me ne sono innamorato e non ho più smesso».In seguito Tucci si è diplomato,ha frequentato corsi professionali imparando diverse tecniche di lavorazione e si è confrontato con persone come Alessandro Grassi e Philippe Daverio. «Nel 2001 il sindaco di Milano Albertini mi ha premiato con il “Panettone d’oro” perché mi ero speso a beneficio di tanti giovani insegnando a San Vittore attraverso la cooperativa “Ali” - spiega il detenuto -, mentre nel 2003 sono stato premiato dal sindaco Veltroni a Roma per aver realizzato una statua in vetro (prima esposta in Galleria a Milano, ora si trova in Campidoglio, ndr) ispirandomi alla vicenda di Amina Lawal, la ragazza nigeriana condannata alla lapidazione per adulterio». «È importante il lavoro in carcere - dice Tucci -, non per passare il tempo o riempire la giornata, ma per scoprire altri valori,“accorciare” le distanze con il mondo esterno e allo stesso tempo dare un senso alla pena, ripagando la società (per quanto possibile) attraverso un’azione che possa ricostruire il patto sociale». E conclude: «Attraverso il mio lavoro, quindi l’arte, scopro quanta strada ho fatto e potrei fare, indicandola anche ad altri che non hanno avuto questa possibilità e dando loro una speranza». (l.b.) ...una volta “fuori” oltre a svolgere la sua attività Tucci vorrebbe aprire una scuola per insegnare il mestiere ai giovani che vivono situazioni di disagio nelle città...