SPECIALE SETTIMANA DELLA BUONA SPESA
30 ottobre – 7 novembre 2010
La scienza
nel piatto
con le ricette
dello Chef ricercatore
La scienza nel piatto pagina 3
Cibo e cancro, relazione stretta pagina 4
Vero o falso? pagina 6
Le ricette pagina 12
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La scienza
nel piatto
Dal laboratorio ai fornelli
Ciò che mettiamo nel piatto contribuisce a determinare il nostro stato di salute.
Benché questo sia ormai un fatto ben noto, la scienza continua a studiare, con
sempre maggior dettaglio, quel che collega ogni singolo alimento alla comparsa
o alla prevenzione delle malattie e in particolare del cancro.
In laboratorio si analizzano i componenti degli alimenti e la loro interazione con
l’organismo umano, con analisi molecolari e genetiche. I nostri geni, in effetti,
influenzano il modo con cui il “carburante” cibo è utilizzato dal nostro corpo
all’interno delle cellule e, in tal modo, contribuiscono alla maggiore o minore
suscettibilità individuale a sviluppare determinate patologie a parità di abitudini
di vita.
La scienza può dirci cose importanti sugli alimenti che consumiamo e può
aiutarci a sfatare alcuni luoghi comuni. Alcuni di questi sono raccontati
nelle pagine che seguono e sono spiegati alla luce di quanto la scienza sa
sulla nutrizione. Questo libretto, che avete trovato nei supermercati che
hanno aderito alla campagna AIRC “La Settimana della Buona Spesa”, si
chiude con alcune ricette che utilizzano, nella preparazione, tecniche messe a punto nei laboratori di ricerca ma diventate di uso quotidiano nelle
cucine dei grandi cuochi.
Provengono dal progetto Lo Chef ricercatore, un’iniziativa didattica di IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare della Fondazione italiana per la ricerca sul cancro
(www.ifom-firc.it), per insegnare una serie di buone pratiche culinarie agli studenti di cucina che da grandi sognano di fare lo chef. A voi di sperimentare e
giudicare il risultato di questo interessante connubio tra amore per la cucina
salutare e passione per la scienza.
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Cibo e cancro,
relazione stretta
consigli per ridurre
il rischio di ammalarsi
Il cancro è una malattia dalle molte cause. Ciò significa che non basta un solo
elemento per indurne la comparsa, ma è certo che l’alimentazione ha un ruolo
importante per numerosi tumori.
È ben noto, per esempio, che un eccessivo consumo di zuccheri raffinati, di proteine di origine animale e di grassi saturi ha un effetto negativo dal punto di vista
del rischio di sviluppare una malattia oncologica, mentre un’alimentazione a ridotto
apporto calorico, ricca di vegetali e di fibre (come quella mediterranea) ha un effetto protettivo.
Secondo una ricerca condotta alcuni anni fa dallo AICR (l’American Institute
for Cancer Research) circa tre tumori su dieci sarebbero imputabili a una
dieta sbagliata. Studi più recenti (come l’EPIC, dedicato all’analisi delle abitudini di vita degli europei e finanziato anche da AIRC) hanno reso il quadro
ancora più complesso: non tutti i tipi di tumore dipendono in egual modo da
ciò che mangiamo, mentre alcuni alimenti possono avere un effetto positivo
su alcuni organi e nullo su altri. Ciò significa che gli scienziati sono ancora alla
ricerca della dieta ottimale, anche se alcune indicazioni di massima sono ormai
date per certe: lo dimostra il fatto che alcuni tumori sono più frequenti in Paesi dove
ci si ciba in modo scorretto.
Nei Paesi occidentali, per esempio, il cancro del colon-retto è molto più diffuso che
in Asia e in Africa: la responsabilità sarebbe da attribuire proprio alla nostra dieta
povera di fibre. Anche alcuni tumori che dipendono dagli ormoni, come quelli che
colpiscono il seno o la prostata, sarebbero più rari nei Paesi asiatici dove si consumano cibi come la soia, che hanno un effetto modulatore sul sistema ormonale.
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È importante nutrirsi in maniera corretta
non solo dal punto di vista della qualità,
ma anche della quantità, stabilendo il numero
di calorie necessarie in base al proprio
fabbisogno, ossia alla propria attività fisica
e lavorativa, nonché al proprio metabolismo;
chi tende a ingrassare deve limitare
più degli altri la propria alimentazione.
È bene consumare proteine di origine
animale (in particolare quelle delle carni
rosse) non più di due o tre volte
alla settimana, privilegiando il pesce
e le proteine di origine vegetale.
Sono da mangiare con moderazione
anche le carni processate e conservate,
come gli insaccati.
I carboidrati (pasta, pane e dolci)
sono importanti nella dieta mediterranea,
ma è bene privilegiare le farine integrali.
Evitare le bevande dolci o molto alcoliche.
Ricordare che le sostanze antiossidanti,
che proteggono le cellule dai danni ambientali,
sono presenti soprattutto in frutta e verdura:
carote, agrumi, pomodori, frutti di bosco sono
altrettante fonti preziose.
L’alimentazione da sola non basta. Bisogna
anche fare attività fisica: oltre a nutrirsi bene,
occorre anche muoversi.
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Nell’alimentazione è facile dare retta a detti, ricette e consigli senza sapere
se essi hanno un fondamento scientifico. Alcuni di questi “miti” nutritivi
possono influenzare lo stato di salute e, di conseguenza, il rischio di sviluppare un cancro. Vediamo che cosa la scienza sa dire su alcuni di essi.
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campioni di ferro
Chi non si è sentito dire che gli spinaci sono
ricchi di ferro? In realtà questa affermazione
non è corretta: gli spinaci contengono una
certa quantità di ferro, ma non sono tra i
vegetali più ricchi di questo elemento indispensabile. In particolare gli spinaci crudi
contengono circa 3 mg di ferro ogni 100
grammi di foglie crude (dopo la cottura la
quantità diminuisce perché in parte si perde nell’acqua). La migliore fonte vegetale
di ferro sono i legumi (fagioli, lenticchie). La
carne ne contiene una quantità importante
e più facilmente utilizzabile dall’organismo rispetto al ferro vegetale.
Il ferro, però, è un’arma a doppio taglio: se da un
lato è indispensabile per la formazione dell’emoglobina, dall’altro agisce come catalizzatore nella formazione dei cosiddetti
radicali liberi, potenti agenti ossidanti.
Una volta assorbito dall’intestino, il ferro in eccesso viene accumulato nell’organismo che ne forma una riserva. Alcuni studi hanno dimostrato che individui con
riserve superiori alla norma hanno un rischio maggiore di sviluppare tumori.
Che fare quindi? L’importante è nutrirsi in modo equilibrato, evitando di
consumare la carne tutti i giorni. Un occhio di riguardo va dato anche ai supplementi “nascosti”: non è necessario, per esempio, consumare cereali per la
colazione addizionati di ferro, a meno che non si segua una dieta obiettivamente
povera di questo elemento o non ci si trovi in un periodo di particolare bisogno
(come la gravidanza, per esempio).
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biologici sono più nutrienti
Molti pensano che i cibi biologici siano più ricchi di sostanze nutritive. Per fare
chiarezza su questo argomento, nel 2009 l’Agenzia britannica per la sicurezza
alimentare ha commissionato un ampio studio pubblicato sulla rivista American
Journal of Clinical Nutrition. Gli alimenti esaminati sono di origine sia vegetale
(frutta e verdura) sia animale (latticini, carne e uova).
Gli esperti hanno fatto una sintesi delle ricerche disponibili sul tema, raccogliendo i risultati su 23 tipi di nutrienti. Dallo studio è emerso che i cibi biologici
presentano differenze rispetto a quelli non bio solo in 7 categorie su 23, che si
riducono a 3 se nel campione di studi esaminati si selezionano solo gli articoli
che rispondono a criteri molto selettivi di qualità scientifica. Nel complesso quindi
il biologico non è superiore al non biologico.
Le maggiori differenze tra bio e non bio si riscontrano nel contenuto di azoto, magnesio e zinco (comunque presenti entro limiti di norma e in quantità
sufficiente in ambedue i tipi di cibo). Ciò significa che, dal punto di vista
della salute e della prevenzione del cancro, alimentarsi col biologico non
fornirebbe una protezione aggiuntiva, ovviamente se ci si limita all’aspetto nutrizionale.
La revisione ha cercato anche di comprendere se le persone che si nutrono da anni con cibi biologici stiano meglio di quelle che utilizzano cibi comuni, ma ha dovuto
arrendersi davanti alla mancanza di dati: sono solo 3
gli studi di qualità sull’argomento, un numero troppo
basso per trarre conclusioni significative.
Questa ricerca ha preso in considerazione solo
le proprietà nutritive dei cibi e non gli eventuali
benefici ambientali derivanti da un minor utilizzo
di pesticidi di sintesi in agricoltura.
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è antidepressivo
C’è del vero in questa credenza popolare: in effetti nel cioccolato sono contenute alcune sostanze che agiscono, a
livello del sistema nervoso centrale, in modo analogo
alla serotonina, un neurotrasmettitore che stimola
la sensazione di benessere e che è carente proprio
nelle persone che soffrono di depressione. Lo ha
dimostrato, tra gli altri, uno studio pubblicato
nel 2007 sull’American Journal of Psychiatry,
che ha analizzato le sostanze contenute nel
cioccolato che agiscono a livello cerebrale.
Tra queste, l’anandamina, che si lega agli stessi
recettori delle amfetamine e riduce la sensazione di
fame, l’anandamide, un lieve euforizzante, le metilxantine, simili per effetto alla caffeina e, per l’appunto, alcune
sostanze che favoriscono la produzione di serotonina.
Ma il cioccolato apporta anche altri benefici all’organismo, in particolare nella prevenzione dei tumori. L’American Institute for Cancer Research
l’ha infatti classificato tra i cibi protettivi per le sue proprietà antiossidanti.
Perché le sostanze antiossidanti siano presenti in concentrazione interessante,
però, il cioccolato deve essere fondente (le proteine del latte infatti ne riducono
l’effetto benefico) e contenere almeno il 70 per cento di cacao, la sostanza in cui
si concentrano i flavonoidi (composti protettivi contro i tumori).
Per esercitare effetti paragonabili a quelli di un farmaco, le quantità dovrebbero
tuttavia essere enormi. Dunque possiamo dire che un po’ di cioccolato (un quadratino al giorno), insieme ad altri alimenti sani, può far bene, ma da solo non
può fare molto.
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più grossi sono migliori
Se questa affermazione può avere un senso dal punto di vista gastronomico,
almeno per alcune specie, dal punto di vista della salute la faccenda è diversa.
I mari sono mediamente piuttosto inquinati e molte sostanze tossiche si accumulano nell’organismo dei pesci. Più a lungo vivono i pesci, più diventano grandi e
più sono le sostanze tossiche che essi contengono.
L’allarme degli esperti riguarda soprattutto il mercurio, che non ha effetti
cancerogeni bensì tossici sul sistema nervoso. La maggior parte del mercurio
nel mare deriva da quello atmosferico prodotto dall’uomo e proveniente principalmente dalle discariche, tramite le quali si inquinerebbero le falde acquifere, e
dalle emissioni industriali.
Scegliere pesci di piccola taglia è quindi una buona alternativa, anche se così facendo si rinuncia spesso a un maggior apporto
di omega 3, gli acidi grassi che possono avere una funzione protettiva contro alcuni tipi di cancro. Nei pesci
di grossa taglia (specie i salmoni e i pesci grassi) la
quantità di omega 3 è notevole. La soluzione consigliata sta nel giusto mezzo: privilegiare i pesci
piccoli e magri nella maggior parte dei pasti, ma
consumare di tanto in tanto anche pesci di grossa taglia per il maggior apporto di omega 3.
In nessun caso bisogna rinunciare ai benefici offerti
da una dieta ricca di pesce, ma è utile abituarsi a consumare anche le specie che tradizionalmente sono considerate meno pregiate (come il pesce azzurro): richiedono un po’ più di pratica nella preparazione rispetto al classico
trancio di salmone al forno, ma sono saporite ed economiche.
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sono meno calorici
di quelli raffinati
Pane e pasta integrale fanno parte di quasi tutte le diete dimagranti. Per questa ragione molte persone sono convinte
che, a parità di quantità, un cibo integrale apporti meno
calorie di quello raffinato. In realtà non ci sono differenze sostanziali da questo punto di vista,
ma ce ne sono nel modo con cui il nostro organismo metabolizza ciò che mangiamo.
I cibi integrali hanno infatti un basso indice glicemico: con questo termine si indica la capacità di
un alimento di innalzare la glicemia, cioè il livello
di zuccheri nel sangue e il conseguente rilascio di
insulina da parte dell’organismo. È dimostrato che
un rilascio lento e graduale dell’insulina ha un
effetto protettivo nei confronti di alcuni tumori (per
esempio quello al seno), mentre un innalzamento brusco
avrebbe un effetto negativo.
Questo è quanto hanno dimostrato gli studi effettuati su singoli tumori, ma la situazione si fa più complessa se si considera la totalità dei tumori e si valuta l’effetto
dell’indice glicemico sul rischio generale di malattia. È quanto ha fatto uno studio
pubblicato nel 2009 sull’American Journal of Epidemiology e condotto dai National
Institutes of Health statunitensi.
Pur dimostrando una tendenza maggiore ad ammalarsi in chi faceva uso esclusivamente di cibi raffinati, il dato non è statisticamente significativo se si considera
l’insieme di tutti i tumori. Ciò significa soltanto che, come si è detto all’inizio, è probabile che gli effetti dei singoli alimenti, in termini di prevenzione, non siano uguali
nei confronti delle diverse forme di tumore.
A favore dei cibi integrali, comunque, oltre al basso indice glicemico, c’è
anche l’elevato contenuto in fibre, che aiuta nella prevenzione del cancro
del colon-retto.
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dello Chef ricercatore
Crostone di pane d’avena con mousse di zucchine
Cosa serve
150 g di baguette d’avena
250 g di zucchine
20 g di filetti di mandorle
100 g di olio extravergine
di oliva
10 g di aneto fresco
10 g di salsa di soia
5 g di prezzemolo fresco
10 g di sale integrale
10 g di pomodorini pachino
30 g di erba cipollina
A tavola!
Disporre sui crostoni
la mousse di zucchine
e adagiarvi sopra
i pomodori pachino saltati
e cosparsi di erba cipollina.
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Come si prepara
Tagliare la baguette a fette spesse (circa 1,5 cm) da tostare
in forno a 200°C per 3 minuti.
Tostare anche i filetti di mandorla.
Lavare e tagliare le zucchine a dadini e rosolare in padella
con olio extravergine di oliva, uno spicchio d’aglio intero e
prezzemolo.
Sfumare con la salsa di soia per pochi minuti.
Versare il composto nel bicchiere del mixer e aggiungere
10 g di filetti di mandorle, 50 g di olio extravergine di oliva
e sale.
Mixare per 2 minuti e lasciare raffreddare.
Saltare in padella per qualche minuto e con pochissimo olio
i pomodori pachino incisi con un coltello.
Un pizzico di scienza
In alternativa alla cottura in padella delle zucchine, è possibile
scegliere quella a vapore che è senza dubbio più salutare. Con
questa modalità di cottura, infatti, il cibo cuoce grazie al calore
umido dell’acqua in ebollizione evitando il contatto diretto con
l’acqua stessa. Vitamine e minerali vengono persi solo in minima quantità dal
momento che gli alimenti non sono immersi completamente nell’acqua: si riduce
in questo modo l’azione dell’acqua che in genere agisce da solvente nel quale
si solubilizzano vitamine e minerali. Inoltre la temperatura relativamente bassa
(inferiore ai 100°C) della cottura al vapore permette di evitare che molte vitamine
termolabili (poco resistenti al calore) vengano distrutte o che si generino
reazioni chimiche che danno origine a nuove molecole magari tossiche, come
succede per esempio, con la frittura o l’eccessiva cottura alla griglia.
Con la cottura a vapore, infine, i cibi mantengono inalterati i sapori e gli aromi e
risultano altamente digeribili, anche grazie al fatto che possono essere cucinati
senza condimenti.
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dello Chef ricercatore
Zuppetta di fave, cavolo nero e dadolata gelatinosa di zucca
Cosa serve
300 g di fave secche
300 g di cavolo rosso
500 g di zucca gialla
una manciata di semi
di girasole
1 cipolla
3 spicchi d’aglio
1/2 cucchiaino di cumino
olio extravergine di oliva
sale
curry
dado per brodo vegetale
basilico, rosmarino, alloro,
peperoncino
7 g di agar-agar
A tavola!
Disporre la crema in un
piatto fondo, al centro
disporre a nido il cavolo
rosso stufato con una
manciata di semi di
girasole e infine disporre
sulla zuppa tiepida i riccioli
di zucca fredda.
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Come si prepara
Lasciare le fave in ammollo per almeno 12 ore prima di procedere alla preparazione. Bollire le fave in due litri di brodo
vegetale, con alcune foglie d’alloro e di rosmarino finché non
saranno morbide (aggiungere acqua se il brodo si restringe
troppo). Preparare un battuto con la cipolla, l’aglio, il basilico
e il peperoncino fresco; aggiungere il cumino solo alla fine e
amalgamare bene. Passare le fave ben morbide al mixer fino
a ottenere una crema vellutata e incorporare il battuto preparato precedentemente. Tagliare il cavolo rosso a julienne
e farlo stufare in una padella con olio, uno spicchio d’aglio in
camicia e un po’ di acqua. Coprire il tutto e cuocere per 10
minuti, mescolando di tanto in tanto; quindi togliere dal fuoco
e tenere in caldo. Non prolungare troppo la cottura. Cuocere la zucca con la buccia in una pirofila coperta in forno a
160°C finché non diverrà morbida. Togliere la zucca dal forno,
lasciarla intiepidire, levare la buccia e passarla al frullatore
aggiustandola con sale, curry e agar-agar sciolto in un po’ di
latte. Con un cucchiaio riempire con il composto di zucca una
tasca da pasticcere con bocca piccola e mettere in frigorifero.
Tostare i semi di girasole che serviranno come decorazione
del piatto.
Un pizzico di scienza
L’agar-agar – kanten per i giapponesi – è una sostanza estratta
da particolari alghe marine (Rhodophyta) con elevato potere
gelificante. La gelatina prodotta da questa alga ha un sapore
estremamente delicato, quasi impercettibile, ed è ricca di minerali.
L’agar-agar è insolubile in acqua fredda e le sue temperature di fusione (tra 80°C
e 90°C) e di solidificazione (tra 30°C e 40°C) dipendono sia dal tipo di alga da
cui è stato estratto, sia dalla concentrazione alla quale viene utilizzato. Dietro alla
formazione del gel a partire da polvere di agar-agar e acqua c’è un fenomeno
chimico-fisico ben preciso: l’agar-agar si scioglie se adeguatamente mescolato
in acqua bollente e quando il composto viene lasciato raffreddare le molecole
presenti si legano fra loro per formare un reticolo che intrappola l’acqua
formando il gel. L’agar-agar è uno zucchero complesso (polisaccaride) costituito
da unità più semplici come le molecole di agarosio che, attraverso la formazione
di particolari legami chimici (legami a idrogeno), sono le principali responsabili
della gelificazione.
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dello Chef ricercatore
Sfoglie di grano saraceno con crema di fave
Cosa serve
150 g di farina di grano
saraceno
300 g di farina “0”
50 g di farina di mais
bramata
250 ml di acqua tiepida
500 g di fave fresche
il succo di mezzo
pompelmo
4 cucchiai di olio
extravergine di oliva
1 spicchio d’aglio
finocchietto
olio di arachidi per friggere
peperoncino in polvere
300 g pecorino sardo
o romano stagionato
A tavola!
Servire le sfoglie di grano
saraceno calde con scaglie
di pecorino, accompagnate
da una ciotolina
di crema di fave.
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Come si prepara
Disporre le farine a fontana, aggiungere acqua tiepida e impastare energicamente. Una volta pronto, lasciare riposare
l’impasto per almeno mezz’ora.
Sgusciare le fave fresche e lessarle in poca acqua salata
con il finocchietto. Togliere la buccia alle fave immergendole nel succo di pompelmo (che facilità l’operazione) e
un po’ d’acqua di cottura e passare al mixer o – se avete
tempo – con la forchetta.
Tagliare l’aglio a julienne e farlo rosolare con l’olio extravergine.
Togliere l’aglio e unire il passato di fave, il pecorino grattuggiato grossolanamente e il peperoncino.
Un po’ prima di servire stendere la sfoglia non troppo sottile
e ricavare delle strisce di circa 2x8 cm.
Friggere le strisce in abbondante olio di arachidi.
Un pizzico di scienza
In un formaggio stagionato come
il pecorino, il latte (il suo principale
ingrediente) subisce una serie di
modificazioni biochimiche determinate
dalla presenza di numerosi enzimi, del caglio e,
soprattutto, di speciali microorganismi – i batteri lattici
– che hanno una stabilità e una vitalità differenti tra
di loro. Anche lo yogurt si forma grazie all’intervento
di batteri lattici (più noti con il nome un po’ impreciso
di fermenti lattici) come il Lactobacillus bulgaricus e
lo Streptococcus thermophilus che vengono distrutti
dall’ebollizione e “lavorano” al meglio a temperature
attorno ai 40°C. Il latte esposto all’aria dopo qualche
giorno fermenta e viene trasformato in una sostanza
più densa grazie ai batteri che trasformano il lattosio
(lo zucchero del latte) in glucosio e galattosio con
generazione di acido lattico (che conferisce allo yogurt
bianco il classico sapore acidulo). Una delle vie per
ottenere la coagulazione del latte consiste infatti
nell’aumentarne l’acidità (e quindi abbassare il valore
del pH) o grazie all’azione dei batteri (pH 4,6) o con
l’aggiunta di sostanze acide come, per esempio, il succo
di limone (pH 2,2/2,4).
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dello Chef ricercatore
Soufflé ghiacciato di latte di riso con cialda friabile ai lamponi
Cosa serve (4 persone)
80 g di tahjn (crema
di semi di sesamo)
150 g di farina “0”
50 g di farina per polenta
fioretto (farina di puro mais)
50 g di malto di riso
50 g di olio di mais 400 g
di latte di riso
1 stecca di vaniglia
½ barra di agar-agar
100 ml di panna fresca
100 g di lamponi freschi
100 g di pistacchi non
salati tritati
A tavola!
Versare la salsa di lamponi
sul fondo del piatto,
adagiatevi la cialda e su
di questa il soufflé
ghiacciato.
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Come si prepara
Mettere i lamponi in una casseruola con aceto di mele o
bianco e zucchero di canna e far cuocere per due minuti.
Passare il tutto al mixer e filtrarne i semini con un colino.
Sobbollire il latte e la panna con la stecca di vaniglia e aggiungere mezza barra di agar-agar.
Versare il composto in stampi di alluminio monouso e lasciar raffreddare per 3 ore.
Versare le farine, la tahjn, il malto e l’olio in una ciotola
grande, amalgamare il tutto velocemente e lasciar riposare
per 20 minuti.
Stendere la pasta su una spianatoia fino a ottenere lo spessore di mezzo centimetro, quindi tagliarla a quadrotti.
Bucherellare e cuocere in forno non ventilato a 170°C per
15 minuti.
Un pizzico di scienza
Il malto è un alimento prodotto cuocendo i cereali (come orzo,
mais, riso) in presenza di enzimi in grado di scindere l’amido
in maltosio. A differenza del glucosio, che è uno zucchero
“semplice” e rappresenta una fonte di energia utilizzabile dal
nostro organismo grazie alle reazioni di glicolisi, l’amido e il maltosio sono
zuccheri più complessi e devono essere trasformati in zuccheri semplici prima
di poter essere sfruttati dalle cellule. In particolare, il maltosio è formato
da due molecole di glucosio unite tra loro e deriva dalla semplificazione
dell’amido da parte di enzimi chiamati amilasi, mentre il passaggio da maltosio
a glucosio avviene con una reazione chimica sostenuta dall’enzima maltasi.
Questi e gli altri enzimi necessari per la produzione del malto sono presenti nei
germogli dei cereali; di solito si usano i germogli di orzo aggiunti al cereale già
cotto. Dopo la trasformazione enzimatica, il prodotto viene concentrato fino
a ottenere una consistenza e una quantità di zuccheri simile a quella del miele.
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dello Chef ricercatore
Salsa di yogurt e menta
Cosa serve
1 l di latte fresco
125 ml di yogurt bianco
(cioè un vasetto piccolo)
un termometro per alimenti
menta fresca (o, fuori
stagione, secca)
1 spicchio d’aglio
sale
A tavola!
Una volta pronto, lo yogurt
va mescolato con un
cucchiaio di menta tritata
finemente e sale secondo
il gusto del cuoco. Questa
semplice salsa, molto
fresca, viene usata in molti
Paesi del Mediterraneo per
accompagnare le carni alla
griglia o le verdure ripiene.
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Come si prepara
Con le dosi riportate sopra si può produrre in casa circa
un litro di yogurt, mentre per fare la salsa per 3-4 persone
possono bastare 250 ml, ma non conviene avviare il procedimento per una quantità tanto piccola.
Far sobbollire dolcemente il latte e spegnere la fiamma. Lasciare che arrivi a temperatura ambiente (l’ideale sarebbe
una temperatura compresa tra i 40°C e 45°C). Mettere il
vasetto di yogurt bianco a cucchiai nel latte tiepido e mescolare molto bene. Trasferire il tutto in una capiente ciotola e lasciare al caldo (circa 30-40°C) per circa una decina
di ore (l’ideale sarebbe utilizzare un forno preriscaldato alla
temperatura minima). In alternativa è possibile avvolgere
i vasetti in un golf di lana e riporli in un luogo tiepido e
riparato.
Un pizzico di scienza
Il latte va portato a circa 40-45°C. Una una temperatura più alta
distruggerebbe il lavoro dei fermenti Lactobacillus bulgaricus e dello
Streptococcus thermophilus contenuti nel vasetto, mentre una più
bassa ne bloccherebbe la proliferazione.
Lo yogurt apporta importanti micronutrienti come calcio, fosforo, vitamina A,
vitamina D, gruppo vitaminico B. La presenza elevata di calcio è d’aiuto nelle diete
ipocaloriche inducendo un rapido senso di sazietà. Recentemente è stata anche
riscontrata la capacità di regolarizzare il tasso di colesterolo nel sangue.
Non si può dire che lo yogurt sia stato inventato da qualcuno: infatti, in modo del
tutto naturale, il latte esposto all’aria dopo qualche giorno fermenta e si trasforma
in una sostanza densa, leggermente acida, grazie alla presenza di alcuni batteri
che trasformano il lattosio (lo zucchero del latte) in glucosio e galattosio, con
generazione di acido lattico (che conferisce allo yogurt bianco il classico sapore
acidulo).
21
sopra
Le centrifughe da cucina, che si possono acquistare in tutti i supermercati e
negozi di elettrodomestici, separano la parte fibrosa (polpa e buccia) di frutta
e verdura da quella liquida (acqua) e permettono di ottenere bevande rinfrescanti e salutari, molto ricche di vitamine e sali minerali.
Centrifugato
rilassante
Centrifugato
antiossidante
Centrifugato
multivitaminico
1 pesca denocciolata
1 pera
1 mela
2 melograni
20 ribes rossi
20 lamponi
10 fragole
1 limone
1 mango
1 mela
1 ananas
2 carote
22
Con la ricerca, contro il cancro
Oggi i tassi di guarigione, soprattutto per alcuni tumori, sono aumentati clamorosamente grazie al progresso della ricerca scientifica. La guaribilità media
dei tumori è più che raddoppiata in soli 30 anni. Di questo progresso sono
promotrici AIRC e la sua Fondazione FIRC, che insieme arrivano a coprire
più del 40 per cento della spesa globale per la ricerca oncologica in Italia,
investendo su giovani talenti e tecnologie d’avanguardia e diffondendo una corretta informazione sulle novità terapeutiche e diagnostiche e sugli stili di vita da
adottare per una buona prevenzione.
I COMITATI REGIONALI, UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER TUTTI I NOSTRI SOCI
Comitato Abruzzo - Molise
Viale Regina Elena, 126
65123 Pescara
Tel. 085 352 15
[email protected]
Comitato Basilicata
Via Orazio Petruccelli, 14
85100 Potenza
Tel. 0971 411 208
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Comitato Calabria
Viale degli Alimena, 3
87100 Cosenza
Tel. 0984 41 36 97
[email protected]
Comitato Campania
Via dei Mille, 40
80121 Napoli
Tel. 081 403 231
[email protected]
Comitato Friuli Venezia Giulia
Via del Coroneo, 5
34133 Trieste
Tel. 040 365 663
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Comitato Lazio
Viale Regina Elena, 291
00161 Roma
Tel. 06 446 336 5
[email protected]
Comitato Liguria
Via Caffaro, 1
16124 Genova
Tel. 010 277 058 8
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Comitato Lombardia
Via Corridoni, 7
20122 Milano
Tel. 02 779 71
[email protected]
Comitato Marche
c/o Istituto di Biologia
e Genetica dell’Università
Via Brecce Bianche
60131 Ancona
Tel. 071 280 413 0
[email protected]
Comitato Piemonte - Valle
d’Aosta
c/o Istituto per la Ricerca e
la Cura del Cancro
Strada Provinciale 142,
km 3,95
10060 Candiolo (Torino)
Tel. 011 993 335 3
[email protected]
Comitato Puglia
Via Melo, 205
70121 Bari
Tel. 080 521 870 2
[email protected]
Comitato Sicilia
Piazzale Ungheria, 73
90141 Palermo
Tel. 091 611 034 0
[email protected]
Comitato Toscana
Via Cavour, 21
50129 Firenze
Tel. 055 217 098
[email protected]
Comitato Umbria
Via Scarlatti, 37
06121 Perugia
Tel. 075 583 813 2
[email protected]
Comitato Veneto
Cà Michiel
S. Marco 3907
(S. Angelo calle Avvocati)
30124 Venezia
Tel. 041 528 917 7
[email protected]
Comitato Emilia
Romagna
Via delle Lame, 46
40122 Bologna
Tel. 051 244 515
[email protected]
Comitato Sardegna
Via Ospedale, 54
c/o Dir. Sanitaria
Ospedale S. Giovanni di Dio
09124 Cagliari
tel. 070 664172
[email protected]
Editore: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro
Via Corridoni 7, 20122 Milano, Tel. 02 7797.1,
www.airc.it - Numero Verde 800.350.350
Coordinamento redazionale: Patrizia Brovelli, Giulia Cauda
([email protected])
Testi: Daniela Ovadia (Agenzia Zoe)
Hanno collaborato: Elena Bauer e Marco Bianchi di IFOM
Progetto grafico e impaginazione: Silvia Ruju
Fotografie: Istockphoto, Corbis
Si ringrazia il fotografo Andrea Balzarini per le immagini
delle ricette
Stampa: Tipografia A. Scotti - Cornate d’Adda (Milano),
settembre 2010
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