3.2 IL CASSERO E LA PORTA "SENESE", UNA NOTA STORICA Questa breve nota vuole semplicemente sintetizzare alcuni eventi in età medievale legati alla genesi e alle modificazioni subite dalle strutture e dall'area che sono state interessate dall'indagine archeologica e cioè la torre e la porta che costituiscono il "cassero" senese di Grosseto, toccando soltanto marginalmente le vicende storiche e urbanistiche grossetane che ancora attendono uno studio sistematico, basato sia su documenti scritti che sulle emergenze strutturali. Le note che seguono si basano su una letteratura locale abbondante, ma frammentaria e sulla lettura di una serie di documenti inediti o parzialmente editi, trascritti dalla Dott. Sandra Tortoli, di cui una scelta viene pubblicata in appendice. La documentazione scritta, comunque, ad eccezione della lapide apposta sul lato esterno della porta (vd. contributo di Sauro Gelichi), non parla delle fasi di costruzione del complesso in questione, mentre molte informazioni specifiche si sono potute raccogliere in fase di intervento archeologico; è mia intenzione, quindi, offrire soltanto alcuni elementi di orientamento su Grosseto medievale e sintetizzare almeno quella parte di analisi documentaria che suggerirebbe soltanto congetture, per dare maggiore evidenza ai risultati dello scavo e rinviare al contempo alla bibliografia esistente1 e all'appendice documentaria. In 1 Si rinvia per questo alla bibliografia di apertura. questo caso si tratta di un discorso diverso da quello fatto per la Fortezza Medicea, dove la ricchezza e I'abbondanza di informazioni offerte dalla documentazione archivistica permette una completa ricostruzione dei progressi del cantiere e delle successive definizioni: l'intervento di Carmen Borsarelli va così, da una parte a colmare una lacuna della storia urbana di Grosseto e, dall'altra, corregge le imprecisioni di una letteratura tanto parcellizzata quanto approssimativa. Nel 1372 la popolazione di Grosseto era ridotta a circa 100 fuochi: questo era il risultato della crisi che aveva investito, nel 1363, con la peste, l'intera Maremma2. Soltanto diciotto anni prima, nel 1345, si era conclusa la costruzione del cassero e della porta senese, iniziata I'anno precedente e, come vedremo, I'intero complesso, proprio per il forte decremento demografico che indebolì la potenzialità urbanistica di Grosseto, non fu mai utilizzato pienamente. In realtà la costruzione della torre e della porta era l'ultimo atto di una lunga e travagliata vicenda di rapporti fra Grosseto e Siena, che doveva sancire il primato della città della Lupa. Fin dal 1151 i grossetani avevano giurato di prestare ubbidienza al Comune di Siena e ancora agli inizi del duecento i senesi ottennero dal 2 I frequenti interventi senesi di sostegno economico a Grosseto nel corso della seconda metà del Trecento, sono essi stessi l'indice della "recessione" che aveva colpito la Maremma, mentre lo stato di degrado attestato dalle fonti delle fortificazioni cittadine sono la più tangibile spia della incisività della "crisi". Conte Ildebrandino VIII il controllo sul monopolio del sale in Grosseto, ma, dopo una serie di atti di ribellione, la città di Grosseto subì un primo abbattimento delle sue mura. Nel 1259, otto anni dopo che gli Aldobrandeschi erano stati costretti a rinunziare ai tributi loro dovuti dai grossetani, questi ultimi si ribellarono ai senesi, che, limitando oggettivamente l'autonomia della città imponevano Ia loro egemonia attraverso il controllo delle fortificazioni e proprio in quell'anno fu fatto costruire un cassero, ricordato anche nello statuto senese del 12623, dove si prevedevano disposizioni per la sua custodia. Il progressivo indebolimento degli Aldobrandeschi, conseguente alI'estendersi del dominio senese, non solo sulla città, ma sull'intero territorio, lasciò margini all'emergere in Grosseto di una nuova famiglia: quella degli Abati di MaIia, che promosse sotto la propria leadership una nuova serie di sommosse contro Siena; tali sommosse si conclusero fra il 1334 e il 1336 con la raffermata egemonia senese e la conseguente decisione di abbattere le fortificazioni esistenti e forse anche il cassero che si era deciso di costruire pochi mesi prima4. In realtà non conosciamo 3 Si tratta delle fortificazioni poste intorno alla Porta Vecchia, presso Piazza del Mercato. Per le notizie nello Statuto, cfr. Il Constituto 1897, p. 374, r. 20. 4 Alla morte di Vanni del Malia, Siena rioccupò Grosseto e nel marzo dello stesso anno fu prevista e iniziata la costruzione del cassero localizzato presso I'attuale Porta Nuova (A.S.S., Capitoli 2, 8 marzo, di particolare interesse per l'indicazione delle misure precise del progetto, cfr. G. Venerosi Pesciolini 1925, pp. 14-15, e 31 marzo 1334 quando “fondaverunt primum lapidem dicti casseri et unius turris, que turris dixerunt et concordes fuerunt quod volgariter vocatur l'entità delle demolizioni effettuate - certo rivolte prevalentemente a scopo dimostrativo - e viceversa sappiamo che in breve tempo, circa un decennio dopo, fu costruito il cassero che è stato oggetto del nostro intervento. La fortuna del complesso fortificato, come del resto dell'intera area urbana, ci è nota attraverso una documentazione del XV secolo, abbastanza ricca, che ce ne descrive tal volta nei dettagli, le pessime condizioni di conservazione. Condizioni di depressione, quindi, che univano l'area urbana a quella dell'intera Maremma. La costruzione della torre e della porta rappresentano quindi, sia a livello di progettazione che di esecuzione, I'acme raggiunto in epoca medievale da Grosseto fino alla successiva ripresa con la rifondazione medicea. Del resto, abbastanza scarsa appare la sedimentazione storica sull'area di Grosseto che è attestata, per la prima volta, in un documento dell'803, quando il Vescovo di Lucca, concedeva ad Ildebrandino, figlio dell'Abate Ilprando, i beni della chiesa di San Giorgio a Grosseto e a Gagliani5. Non si hanno quindi elementi per valutare la consistenza del nucleo la torre sanese").Per altro il 26 luglio del 1335, quattrocento cavalieri pisani al seguito di Bino del Malia e dei suoi nipoti rioccuparono la città catturando coloro che stavano lavorando alla rocca; a questa mossa la risposta senese non si fece attendere e nel mese di luglio del 1336 riottennero la città e decisero di abbatterne tutte le fortificazioni, in realtà, anche in questo caso, non sappiamo l'entità delle distruzioni, non sappiamo infatti se la "torre sanese" fu compiuta, come pare sostenere il Venerosi Pesciolini 1925, p. 17, o distrutta soltanto successivamente, quando cioè fu ricostruito il nucleo fortificato della Porta sanese. 5 Cfr. Gossetti 1973, p. 297. insediativo e il tipo (vale a dire non sappiamo se vi esisteva già un nucleo abitativo accentrato o se si trattava semplicemente di una chiesa posta al centro di case sparse), mentre, soltanto alla fine del X secolo, Grosseto ci appare indicata come sede di castello6. E fu soltanto nel 1138, però, che probabilmente si concretizzò il consistente ampliamento del castello in civitas; in realtà non sappiamo se la traslazione della sede diocesana da Roselle in Grosseto, avvenuta in quell'anno, rappresentò il momento conclusivo di un processo già avviato - come potrebbe far pensare l'abbandono di vicini castelli come quello di Poggio Cavolo che parrebbe "desertato" non oltre il XII secolo e la cui popolazione avrebbe logicamente potuto spostarsi nel nuovo insediamento di pianura7 oppure dell'avvio di un processo di ampliamento, come potrebbe suggerire il fatto che, nel 1137, la caduta della sola rocca ad opera del Duca di Baviera Enrico il Superbo, margravio dell'Imperatore Lotario II, aveva avuto come conseguenza la caduta dell'intera città8. La prima volta, comunque, che abbiamo indicazioni sommarie relative alle mura cittadine è nell'anno 1224, quando, come abbiamo accennato, i senesi, 6 Cfr. I castelli del senese 197, p. 320. Le indicazioni cronologiche sull'avvenimento si possono evincere dall'analisi dei materiali raccolti in tre tempi con ricognizioni in loco guidate dal Geom. Italo Masini. Parte dei materiali conservata presso l'insegnamento di Archeologia medievale della Facoltà di Lettere dell'Università di Siena. 7 nell'abbattere le fortificazioni si impegnavano a limitarsi appunto alle mura, alle fosse e alle carbonaie9. Ad ogni modo, una prima ricostruzione topografica della cinta urbana è possibile soltanto per il secolo successivo e, soprattutto, possiamo indicare con certezza l'ubicazione delle quattro porte esistenti nei decenni centrali del trecento: la Porta Cittadina, così chiamata dal suo costruttore Vigoroso Cittadini, capitano del popolo inviato in Grosseto da Siena per mantenere il fragile equilibrio con il vicario del re Manfredi, che si sarebbe spezzato pochi anni dopo, nel 1264, con la conquista senese della rocca e con la cattura dello stesso vicario; tale porta, sormontata da una torre ancora ben visibile in vedute della città della seconda metà del seicento e della metà del secolo successivo (cfr. Tavv. III, IV e V), si trova presso I'attuale baluardo di Piazza del Mercato; la porta San Pietro, collocata tra gli attuali baluardi Garibaldi e del Parco delle Rimembranze (gli antichi baluardi delle Monache e di San Francesco), indicata col nome di Porta Nuova a partire dal 1754, quando cioè venne riaperta; la Porta San Michele, collocata presso l'attuale omonimo baluardo; la Porta Santa Lucia localizzabile nell'area dell'attuale Fortezza Vecchia e, più precisamente, con la porta oggetto dello scavo. In corrispondenza della cinta muraria sono poi esistiti quattro casseri: quello di San Pietro (la cui 8 Cfr. R. Davidsohn, I, 1956, p. 630, C. Cappelli 1903, p. 10. 9 F. Schneider 1911, pp. 296-297. costruzione fu avviata nel 1334 e la cui vita sappiamo assai effimera), quello del Sale (una struttura fortificata ancora parzialmente visibile che è stata utilizzata come dogana del sale, dove, nel corso del trecento, risiedeva un camarlengo che regolava la produzione e la distribuzione del sale in tutto lo Stato), il torrione della porta (entrambe le strutture nei pressi della Porta Cittadina) e, infine, quello della Porta senese10. Le scarse fonti documentarie e I'assenza B 4uasi assoluta di ricerche topografiche urbane, impediscono di offrire un quadro certo dell'andamento della cinta muraria e delle sue varie modificazioni. Certo è che agli inizi del XIV secolo le mura dovevano avere già raggiunto la massima estensione; infatti, se è accertata I'esistenza della Porta Vecchia (P. Cittadina) a partire dal XIII secolo, da una serie di atti di acquisto fatti dal Comune di Siena fra l'aprile e il giugno del 1334, di case nell'area della Porta San Pietro11, che disturbavano la possibilità di erigervi il cassero, già ricordato, si ricavano dei dati estremamente significativi che attestano la presenza del muro Communis e di carbonaie: infatti, su un orto e 17 case vendute con le loro pertinenze (quasi sempre un orto, altrimenti cum curia o platea) e descritte nei loro confini, compaiono ricordate in 10 Per la topografia di Grosseto rimando a G. Venerosi Pesciolini 1925, in particolare pp. 1O-11, che pur nei limiti di una illustrazione sommaria priva di consistenti riscontri sul terreno, rimane la fonte alla quale hanno generalmente attinto tutti i successivi contributi. 11 Si veda A.S.S., Riformagioni, 8 atti del 1 aprile 1334, 1 atto del 2 aprile 1334, 4 atti del18 aprile 1334 e 1 atto del 6 giugno 1334. due occasioni le carbonara communis e specificatamente nella vendita della casa di Minuccio Salvi e dell'orto di Tane Michi, cittadino senese, alla data del 1 aprile 1334; mentre il muro del comune appare fra i confini delle case di Fredi di Neri di Castiglion della Pescaia e di Balduccio Cresciani indiviso con Bartolomeo Bartalucci (questi ultimi operai dell'Opera di Santa Lucia), negli d atti di vendita eseguiti l'8 aprile del 1334, e nell'atto di vendita del 6 giugno dello stesso anno di due delle tre case con orto e forno cedute da Carmignano Fei, sindaco e procuratore del Monastero di San Salvatore di Spugna. Non è escluso, anche se non è provato, che la cinta muraria giungesse fino all'area occupata oggi dalla Fortezza Vecchia e quindi dal cassero e dalla porta senese. Dall'evidenza archeologica possiamo escludere comunque che esistessero mura sotto I'impianto del 1344; è possibile quindi che le mura si trovassero a poca distanza. Non ho alcun elemento per dire se fossero collocate all'interno o all'esterno dell'attuale bastionatura medicea. L'area, comunque, come quella intorno a Porta San Pietro, doveva essere ai margini del centro urbano, che verso gli ultimi anni del XIII secolo e più precisamente a partire dal 1294 stava subendo un processo di ridefinizione con I'avvio della costruzione del Duomo12. Lo proverebbe anche il rinvenimento in livelli duecenteschi dell'edificio costruito in terra battuta (fasi III e IV Stanza I) che, 12 Cfr. A. Garzelli 1967, pp. 28 e segg. seppure mutilato dall'impianto imponente della porta che ha "tagliato" I'edificio stesso, doveva avere, stando alla restituzione delle suppellettili, una destinazione ad abitazione. E' difficile immaginare il nucleo più compatto del centro storico costituito da edifici in "terra", ma credo, viceversa, che tale tipo di residenza fosse assai diffusa per lo meno nelle aree periferiche e semirurali della città; in questo senso i prezzi estremamente contenuti delle d o m u s vendute intorno all'area della Porta San Pietro di cui abbiamo parlato, potrebbero suggerire anche per quell'area l'esistenza di edifici precari: la vendita dell'8 aprile 1334 della casa di Cola di Bonincontri per il prezzo di L. 13, non molto dissimile dal prezzo di L. 12 del solo orto venduto da Tane Michi, fa pensare alla possibilità che si trattasse anche in questo caso di un edificio di "terra", ma siamo di fronte a semplici ipotesi perché sappiamo come talvolta si indichi con il termine di domus anche la semplice capanna habitatoria, che poteva essere costruita con strutture diverse13. Un elemento, 13 Muri in tecniche analoghe (cioè a mattoni crudi) pertinenti ad abitazioni, sono ben attestati archeologicamente in area grossetana e in Maremma; in particolare a Roselle, in fasi di età protostorica, più recentemente lo scavo della Villa romana di Settefinestre ha evidenziato in largo uso di tale tecnologia per un ampio arco di tempo ed anche per parti dell'edificio abitate da padroni (cfr. A. Carandini-S. Settis 1979, pp. 49 e segg.).Per quanto riguarda viceversa I'età postclsssica niente si sapeva sull'utilizzazione di questa tecnica muraria di lunga durata; anche le fonti ricordano frequentemente, ancora nei secoli bassomedievali (cfr. R. Francovich-G. Piccinni in I castelli del senese, 1975 p. 264), I'esistenza di domus terrenae o terragne, talvolta indicate dalla letteratura, perlomeno nel primo caso, come case ad un solo piano. Ora il rinvenimento della quindi, che emerge subito con evidenza è la radicale novità rappresentata dalla realizzazione in meno di due anni, fra il 1344 e il 1345, del complesso fortificato porta-cassero, voluto da Siena con un chiaro significato politico egemonico. Alcuni dati strutturali del complesso, quali la netta unitarietà della torre certamente concepita anteriormente alla realizzazione della porta-cortile (il cui rialzamento in filaretto pare risalire ad oltre due secoli dopo), evidenziano la realizzazione in due tempi, assai ristretti, ma chiaramente divisi14. Tale costruzione grossetana ripropone une rilettura complessiva di questo problema. La continuità, con tecnologie talvolta modificate dell'abitare in edifici di terra ci pare un tema che debba essere sviluppato per la comprensione dei modi di vita postclassici; e certo il rinvenimento dl abitazioni trecentesche in San Giovanni Valdarno, I'esistenza di un cospicuo numero d'edifici in terra a Montelupo, compreso il Palazzo Pubblico, affrescato e partire dal XIV secolo fino al XVIII, suggerisce l'ipotesi che tale modo di costruire sia stato molto più diffuso di quanto fino ad ora non si sappia. Una vasta letteratura storico geografica (per una rassegna La casa rurale in Italia 1970, pp. 58-59) si diffonde sulle permanenze contemporanee di tale tecnica, ma ancora nel XVIII secolo si potevano vedere numerosi edifici in terra battuta, come si evince dall'appendice al prezioso volumetto Dell'economica costruzione delle case di terra; opuscolo diretto agli industriosi possidenti e abitatori dell'agro toscano a cura del Cointeraux e pubblicato in Firenze nel 1793, dove, oltre a dire le indicazioni per la ripresa di una tecnica costruttiva economica e pratica, surrogata dai pregi evidenziati da autori classici, si riporta in appendice una testimonianza di Leonardo de' Vegni, che ricorda ampiamente come tale tecnica si possa ancora vedere utilizzata nelle campagne della Chiana (pp. 46 e segg.). 14 L'ipotesi che la torre sia stata iniziata già nel 1334 e che si tratti della torre di cui si parla nel documento riportato alla nota 4, come parrebbe indicare M. Luzzetti 1963, p. 18, rimane priva dl un conforto archeologico (per altro neppure smentita), ma certamente è una chiara forzatura la lettura della lapide, quando il Luzzetti riferisce il termine "guasto" (la cui lettura è contestata, mi pare solidamente, in questo volume da S. Gelichi) al cassero in questione. Rimane quindi possibile (e al proposito si rimanda all'ultimo realizzazione andava a colmare il provvedimento di abbattimento del precedente assetto fortificato urbano, probabilmente mai terminato; per compiere questa operazione fu necessaria una delibera del Consiglio Generale della Repubblica di Siena del 18 giugno del 1344, con la quale si approvavano le proposte della commissione eletta dai Nove per la ricostruzione delle fortificazioni di Grosseto, in deroga a quanto deciso pochi anni prima (vedi appendice, doc. 1). La deroga seguiva poi di un anno la decisione di ricostruire i fossi del Comune di Grosseto. Pare poi riferirsi alla porta e alla torre, oggi inglobati dalla Fortezza Vecchia, anche l'atto del Consiglio Generale del 22 aprile 1345 con il quale si delibera l'acquisto “cum civitatis Grosseti casserorum et muri sint quasi ad perfectionem deducti”, degli immobili adiacenti alle mura e alla porta (doc. 2), come pure l'atto di ratifica del 14 maggio 1345 dei Capitoli, e precisamente il Caleffo Nero (doc. 3). Anche in questo caso si avrebbe la conferma di trovarsi di fronte ad un'area di urbanizzazione, forse periferica, come attesterebbe appunto il paragrafo le fasi e le strutture) che il concepimento del complesso nella definizione attuale, sia il risultato di modifiche progettuali in corso di opera. Detto questo, data la piccola differenza di tempo fra una eventuale impostazione dell'impianto della torre nel 1334 (e probabilmente rimasta incompiuta fino ad una ripresa e definitivo compimento, nel decennio successivo, dell'intero complesso), il problema rimane sostanzialmente irrisolto a causa dell'impossibilità di cogliere nella sua completezza le informazioni archeologiche della stanza II, mentre il dato assodato è che negli anni 1344 e 1345 si definirono contestualmente i due nuclei, come è assodato dall'ammorsamento del filaretto ed una quota impostata oltre il toro della torre rinvenimento, sotto il complesso, della casa di "terra". Come accennato precedentemente non abbiamo informazioni sulle fasi costruttive e sul loro affidamento, le uniche notizie che abbiamo della lapide sono il termine della costruzione (1345) del complesso, avvenuta quando erano ufficiali sopra il cassero e le mura di Grosseto i tre cittadini senesi Andrea di Tofano, Leonardo di Cola e Giovanni di Ciano15. Nulla quindi sulle maestranze che, peraltro, furono certamente senesi; lo rivela non solo l'evidenza della cultura materiale pertinente alla fase di cantiere, ma soprattutto la tecnica edilizia16: le arcate ogivali della porta avvicinate stilisticamente agli archetti costruiti fra il 1338 e il 1341 del penultimo cornicione della Torre del Campo in Siena, che vide impegnata una equipe di personalità quali Agostino di Giovanni, Lippo Memmi e Giovanni d'Agostino, i confronti con opere consimili come la porta e il cassero di Paganico, costruita da Lando di Pietro nel 133417, nonché gli aspetti più propriamente tecnici come la costruzione delle fondazioni con muri a sacco e filaretto in cotto sottostanti l'elevato in pietra, la messa in opera delle bozze con giunti strettissimi. Del resto la consuetudine di affidare a maestranze senesi la costruzione delle fortificazioni è documentata esplicitamente per Grosseto anche nel caso del cassero di Porta San 15 Si veda il doc. 3 dell'appendice e il commento all'iscrizione sulla Porta. 16 A. Garzelli 1967, pp. 98-99. 17 Cfr. L. Bonari 1950. Pietro, dove compaiono architetti come Guido di Pace e Angelo di Ventura, noto quest'ultimo per essere autore di una serie di sculture18, ma soprattutto per aver riorganizzato nel 1336 la Fortezza di Massa Marittima19 e per essere stato interpellato tre anni prima sui lavori in corso nel Duomo di Siena (per il problema si veda il contributo di Parenti). Nel 1382 il numero di fanti che avevano in custodia il cassero maggiore era pari a 7, un numero cioè estremamente esiguo, che nonostante tutto andò assottigliandosi, se è vero che il Consiglio Generale di Siena nel 1406 dovette deliberare una nuova distribuzione degli organici nei casseri dei suoi castelli e città (vedi doc. 4), dove lo stato di degradazione aveva raggiunto limiti inaccettabili. Nel 1415 il cassero aveva bisogno di una risistemazione e i finanziamenti furono estratti dalle entrate dell'ufficio delle condannagioni del Podestà di Grosseto. Ma gli interventi eseguiti non ebbero successo tanto è vero che a distanza di pochi anni abbiamo due petizioni, nel 1438 e nel 1439 (vedi doc. 7), dalle quali evinciamo le condizioni di degradazione raggiunta dal cassero, la cui cura fu affidata con clausole estremamente precise a Magister Nanni, Magister Meus, e a Magister Tomasus, maestri di pietra e legname, che si impegnarono a grandi lavori sugli "infissi", ed in particolare sulla porta che guardava verso Grosseto, 18 19 Cfr. A. Garzelli 1967, p. 99. Cfr. L. Petrocchi 1900, pp. 117 e ss. al ponte levatoio ed anche a rifare il piano del cassero in "tubertino". Nel 1452, attraverso una memoria di Sipriano e Antonio di Corto e Pietro di Giovanni di Turchio (cfr. doc. 8), conosciamo la iniziativa di mettere mano ad un rivellino presso l'anteporta (di cui oggi non rimane ovviamente traccia per i massicci interventi medicei), al muro della Città, nei pressi della torre (anch'esso scomparso nei rifacimenti successivi e non distante dal ponte levatoio compreso fra la porta stessa e un ponte in muratura); il documento non ci informa su eventuali lavori interni che certo non dovevano essere molto ben remunerati, come possiamo intuire dalla lettera del 26 febbraio 1456 di Matteo dl Meio, che supplicava di essere sollevato dall'incarico per poter sopravvivere insieme ai suoi cinque figli dopo che per quattordici mesi di "soggiorno" suo, del suo compagno e dei fanti, aveva ricevuto in tutto cento lire. Ma il documento ultimo che ci descrive analiticamente I'abbandono del cassero di Grosseto rimane quello, già parzialmente edito dal Venerosi Pesciolini, di Biagio di Checco, cartaio, cittadino senese che entrandovi come castellano invia una relazione ai governanti di Siena su " e' manchamenti de la rocha" della loro città di Grosseto (doc. 9). Riccardo Francovich