3.2 IL CASSERO E LA PORTA "SENESE", UNA NOTA STORICA
Questa breve nota vuole
semplicemente sintetizzare alcuni
eventi in età medievale legati alla
genesi e alle modificazioni subite
dalle strutture e dall'area che sono
state interessate dall'indagine
archeologica e cioè la torre e la
porta che costituiscono il "cassero"
senese di Grosseto, toccando
soltanto marginalmente le vicende
storiche e urbanistiche grossetane
che ancora attendono uno studio
sistematico, basato sia su
documenti scritti che sulle
emergenze strutturali. Le note che
seguono si basano su una
letteratura locale abbondante, ma
frammentaria e sulla lettura di una
serie di documenti inediti o
parzialmente editi, trascritti dalla
Dott. Sandra Tortoli, di cui una
scelta viene pubblicata in
appendice. La documentazione
scritta, comunque, ad eccezione
della lapide apposta sul lato esterno
della porta (vd. contributo di Sauro
Gelichi), non parla delle fasi di
costruzione del complesso in
questione,
mentre
molte
informazioni specifiche si sono
potute raccogliere in fase di
intervento archeologico; è mia
intenzione, quindi, offrire soltanto
alcuni elementi di orientamento su
Grosseto medievale e sintetizzare
almeno quella parte di analisi
documentaria che suggerirebbe
soltanto congetture, per dare
maggiore evidenza ai risultati dello
scavo e rinviare al contempo alla
bibliografia esistente1 e
all'appendice documentaria. In
1
Si rinvia per questo alla bibliografia di apertura.
questo caso si tratta di un discorso
diverso da quello fatto per la
Fortezza Medicea, dove la ricchezza
e I'abbondanza di informazioni
offerte dalla documentazione
archivistica permette una completa
ricostruzione dei progressi del
cantiere e delle successive
definizioni: l'intervento di Carmen
Borsarelli va così, da una parte a
colmare una lacuna della storia
urbana di Grosseto e, dall'altra,
corregge le imprecisioni di una
letteratura tanto parcellizzata
quanto approssimativa.
Nel 1372 la popolazione di Grosseto
era ridotta a circa 100 fuochi: questo
era il risultato della crisi che aveva
investito, nel 1363, con la peste,
l'intera Maremma2. Soltanto
diciotto anni prima, nel 1345, si era
conclusa la costruzione del cassero
e della porta senese, iniziata I'anno
precedente e, come vedremo,
I'intero complesso, proprio per il
forte decremento demografico che
indebolì la potenzialità urbanistica
di Grosseto, non fu mai utilizzato
pienamente. In realtà la costruzione
della torre e della porta era l'ultimo
atto di una lunga e travagliata
vicenda di rapporti fra Grosseto e
Siena, che doveva sancire il primato
della città della Lupa.
Fin dal 1151 i grossetani avevano
giurato di prestare ubbidienza al
Comune di Siena e ancora agli inizi
del duecento i senesi ottennero dal
2
I frequenti interventi senesi di sostegno economico a
Grosseto nel corso della seconda metà del Trecento,
sono essi stessi l'indice della "recessione" che aveva
colpito la Maremma, mentre lo stato di degrado
attestato dalle fonti delle fortificazioni cittadine sono la
più tangibile spia della incisività della "crisi".
Conte Ildebrandino VIII il controllo
sul monopolio del sale in Grosseto,
ma, dopo una serie di atti di
ribellione, la città di Grosseto subì
un primo abbattimento delle sue
mura. Nel 1259, otto anni dopo che
gli Aldobrandeschi erano stati
costretti a rinunziare ai tributi loro
dovuti dai grossetani, questi ultimi
si ribellarono ai senesi, che,
limitando
oggettivamente
l'autonomia della città imponevano
Ia loro egemonia attraverso il
controllo delle fortificazioni e
proprio in quell'anno fu fatto
costruire un cassero, ricordato
anche nello statuto senese del 12623,
dove si prevedevano disposizioni
per la sua custodia. Il progressivo
indebolimento
degli
Aldobrandeschi, conseguente
alI'estendersi del dominio senese,
non solo sulla città, ma sull'intero
territorio,
lasciò
margini
all'emergere in Grosseto di una
nuova famiglia: quella degli Abati
di MaIia, che promosse sotto la
propria leadership una nuova serie
di sommosse contro Siena; tali
sommosse si conclusero fra il 1334 e
il 1336 con la raffermata egemonia
senese e la conseguente decisione di
abbattere le fortificazioni esistenti e
forse anche il cassero che si era
deciso di costruire pochi mesi
prima4. In realtà non conosciamo
3
Si tratta delle fortificazioni poste intorno alla Porta
Vecchia, presso Piazza del Mercato. Per le notizie nello
Statuto, cfr. Il Constituto 1897, p. 374, r. 20.
4
Alla morte di Vanni del Malia, Siena rioccupò
Grosseto e nel marzo dello stesso anno fu prevista e
iniziata la costruzione del cassero localizzato presso
I'attuale Porta Nuova (A.S.S., Capitoli 2, 8 marzo, di
particolare interesse per l'indicazione delle misure
precise del progetto, cfr. G. Venerosi Pesciolini 1925,
pp. 14-15, e 31 marzo 1334 quando “fondaverunt
primum lapidem dicti casseri et unius turris, que turris
dixerunt et concordes fuerunt quod volgariter vocatur
l'entità delle demolizioni effettuate
- certo rivolte prevalentemente a
scopo dimostrativo - e viceversa
sappiamo che in breve tempo, circa
un decennio dopo, fu costruito il
cassero che è stato oggetto del
nostro intervento. La fortuna del
complesso fortificato, come del
resto dell'intera area urbana, ci è
nota
attraverso
una
documentazione del XV secolo,
abbastanza ricca, che ce ne descrive
tal volta nei dettagli, le pessime
condizioni di conservazione.
Condizioni di depressione, quindi,
che univano l'area urbana a quella
dell'intera
Maremma.
La
costruzione della torre e della porta
rappresentano quindi, sia a livello
di progettazione che di esecuzione,
I'acme raggiunto in epoca
medievale da Grosseto fino alla
successiva ripresa con la
rifondazione medicea.
Del resto, abbastanza scarsa appare
la sedimentazione storica sull'area
di Grosseto che è attestata, per la
prima volta, in un documento
dell'803, quando il Vescovo di
Lucca, concedeva ad Ildebrandino,
figlio dell'Abate Ilprando, i beni
della chiesa di San Giorgio a
Grosseto e a Gagliani5. Non si
hanno quindi elementi per valutare
la consistenza del nucleo
la torre sanese").Per altro il 26 luglio del 1335,
quattrocento cavalieri pisani al seguito di Bino del
Malia e dei suoi nipoti rioccuparono la città catturando
coloro che stavano lavorando alla rocca; a questa
mossa la risposta senese non si fece attendere e nel
mese di luglio del 1336 riottennero la città e decisero di
abbatterne tutte le fortificazioni, in realtà, anche in
questo caso, non sappiamo l'entità delle distruzioni,
non sappiamo infatti se la "torre sanese" fu compiuta,
come pare sostenere il Venerosi Pesciolini 1925, p. 17,
o distrutta soltanto successivamente, quando cioè fu
ricostruito il nucleo fortificato della Porta sanese.
5
Cfr. Gossetti 1973, p. 297.
insediativo e il tipo (vale a dire non
sappiamo se vi esisteva già un
nucleo abitativo accentrato o se si
trattava semplicemente di una
chiesa posta al centro di case
sparse), mentre, soltanto alla fine
del X secolo, Grosseto ci appare
indicata come sede di castello6. E fu
soltanto nel 1138, però, che
probabilmente si concretizzò il
consistente ampliamento del
castello in civitas; in realtà non
sappiamo se la traslazione della
sede diocesana da Roselle in
Grosseto, avvenuta in quell'anno,
rappresentò il momento conclusivo
di un processo già avviato - come
potrebbe far pensare l'abbandono
di vicini castelli come quello di
Poggio Cavolo che parrebbe
"desertato" non oltre il XII secolo e
la cui popolazione avrebbe
logicamente potuto spostarsi nel
nuovo insediamento di pianura7 oppure dell'avvio di un processo di
ampliamento, come potrebbe
suggerire il fatto che, nel 1137, la
caduta della sola rocca ad opera del
Duca di Baviera Enrico il Superbo,
margravio dell'Imperatore Lotario
II, aveva avuto come conseguenza
la caduta dell'intera città8.
La prima volta, comunque, che
abbiamo indicazioni sommarie
relative alle mura cittadine è
nell'anno 1224, quando, come
abbiamo accennato, i senesi,
6
Cfr. I castelli del senese 197, p. 320.
Le indicazioni cronologiche sull'avvenimento si
possono evincere dall'analisi dei materiali raccolti in tre
tempi con ricognizioni in loco guidate dal Geom. Italo
Masini. Parte dei materiali conservata presso
l'insegnamento di Archeologia medievale della Facoltà
di Lettere dell'Università di Siena.
7
nell'abbattere le fortificazioni si
impegnavano a limitarsi appunto
alle mura, alle fosse e alle
carbonaie9.
Ad ogni modo, una prima
ricostruzione topografica della cinta
urbana è possibile soltanto per il
secolo successivo e, soprattutto,
possiamo indicare con certezza
l'ubicazione delle quattro porte
esistenti nei decenni centrali del
trecento: la Porta Cittadina, così
chiamata dal suo costruttore
Vigoroso Cittadini, capitano del
popolo inviato in Grosseto da Siena
per mantenere il fragile equilibrio
con il vicario del re Manfredi, che si
sarebbe spezzato pochi anni dopo,
nel 1264, con la conquista senese
della rocca e con la cattura dello
stesso vicario; tale porta,
sormontata da una torre ancora ben
visibile in vedute della città della
seconda metà del seicento e della
metà del secolo successivo (cfr.
Tavv. III, IV e V), si trova presso
I'attuale baluardo di Piazza del
Mercato; la porta San Pietro,
collocata tra gli attuali baluardi
Garibaldi e del Parco delle
Rimembranze (gli antichi baluardi
delle Monache e di San Francesco),
indicata col nome di Porta Nuova a
partire dal 1754, quando cioè venne
riaperta; la Porta San Michele,
collocata presso l'attuale omonimo
baluardo; la Porta Santa Lucia
localizzabile nell'area dell'attuale
Fortezza
Vecchia
e,
più
precisamente, con la porta oggetto
dello scavo.
In corrispondenza della cinta
muraria sono poi esistiti quattro
casseri: quello di San Pietro (la cui
8
Cfr. R. Davidsohn, I, 1956, p. 630, C. Cappelli 1903,
p. 10.
9
F. Schneider 1911, pp. 296-297.
costruzione fu avviata nel 1334 e la
cui vita sappiamo assai effimera),
quello del Sale (una struttura
fortificata ancora parzialmente
visibile che è stata utilizzata come
dogana del sale, dove, nel corso del
trecento, risiedeva un camarlengo
che regolava la produzione e la
distribuzione del sale in tutto lo
Stato), il torrione della porta
(entrambe le strutture nei pressi
della Porta Cittadina) e, infine,
quello della Porta senese10.
Le scarse fonti documentarie e
I'assenza B 4uasi assoluta di
ricerche topografiche urbane,
impediscono di offrire un quadro
certo dell'andamento della cinta
muraria e delle sue varie
modificazioni. Certo è che agli inizi
del XIV secolo le mura dovevano
avere già raggiunto la massima
estensione; infatti, se è accertata
I'esistenza della Porta Vecchia (P.
Cittadina) a partire dal XIII secolo,
da una serie di atti di acquisto fatti
dal Comune di Siena fra l'aprile e il
giugno del 1334, di case nell'area
della Porta San Pietro11, che
disturbavano la possibilità di
erigervi il cassero, già ricordato, si
ricavano dei dati estremamente
significativi che attestano la
presenza del muro Communis e di
carbonaie: infatti, su un orto e 17
case vendute con le loro pertinenze
(quasi sempre un orto, altrimenti
cum curia o platea) e descritte nei
loro confini, compaiono ricordate in
10
Per la topografia di Grosseto rimando a G. Venerosi
Pesciolini 1925, in particolare pp. 1O-11, che pur nei
limiti di una illustrazione sommaria priva di consistenti
riscontri sul terreno, rimane la fonte alla quale hanno
generalmente attinto tutti i successivi contributi.
11
Si veda A.S.S., Riformagioni, 8 atti del 1 aprile 1334,
1 atto del 2 aprile 1334, 4 atti del18 aprile 1334 e 1 atto
del 6 giugno 1334.
due occasioni le carbonara communis
e specificatamente nella vendita
della casa di Minuccio Salvi e
dell'orto di Tane Michi, cittadino
senese, alla data del 1 aprile 1334;
mentre il muro del comune appare
fra i confini delle case di Fredi di
Neri di Castiglion della Pescaia e di
Balduccio Cresciani indiviso con
Bartolomeo Bartalucci (questi
ultimi operai dell'Opera di Santa
Lucia), negli d atti di vendita
eseguiti l'8 aprile del 1334, e
nell'atto di vendita del 6 giugno
dello stesso anno di due delle tre
case con orto e forno cedute da
Carmignano Fei, sindaco e
procuratore del Monastero di San
Salvatore di Spugna.
Non è escluso, anche se non è
provato, che la cinta muraria
giungesse fino all'area occupata
oggi dalla Fortezza Vecchia e
quindi dal cassero e dalla porta
senese. Dall'evidenza archeologica
possiamo escludere comunque che
esistessero mura sotto I'impianto
del 1344; è possibile quindi che le
mura si trovassero a poca distanza.
Non ho alcun elemento per dire se
fossero collocate all'interno o
all'esterno dell'attuale bastionatura
medicea. L'area, comunque, come
quella intorno a Porta San Pietro,
doveva essere ai margini del centro
urbano, che verso gli ultimi anni
del XIII secolo e più precisamente a
partire dal 1294 stava subendo un
processo di ridefinizione con
I'avvio della costruzione del
Duomo12. Lo proverebbe anche il
rinvenimento in livelli duecenteschi
dell'edificio costruito in terra
battuta (fasi III e IV Stanza I) che,
12
Cfr. A. Garzelli 1967, pp. 28 e segg.
seppure mutilato dall'impianto
imponente della porta che ha
"tagliato" I'edificio stesso, doveva
avere, stando alla restituzione delle
suppellettili, una destinazione ad
abitazione. E' difficile immaginare il
nucleo più compatto del centro
storico costituito da edifici in
"terra", ma credo, viceversa, che tale
tipo di residenza fosse assai diffusa
per lo meno nelle aree periferiche e
semirurali della città; in questo
senso i prezzi estremamente
contenuti delle d o m u s vendute
intorno all'area della Porta San
Pietro di cui abbiamo parlato,
potrebbero suggerire anche per
quell'area l'esistenza di edifici
precari: la vendita dell'8 aprile 1334
della casa di Cola di Bonincontri
per il prezzo di L. 13, non molto
dissimile dal prezzo di L. 12 del
solo orto venduto da Tane Michi, fa
pensare alla possibilità che si
trattasse anche in questo caso di un
edificio di "terra", ma siamo di
fronte a semplici ipotesi perché
sappiamo come talvolta si indichi
con il termine di domus anche la
semplice capanna habitatoria, che
poteva essere costruita con
strutture diverse13. Un elemento,
13
Muri in tecniche analoghe (cioè a mattoni crudi)
pertinenti ad abitazioni, sono ben attestati
archeologicamente in area grossetana e in Maremma;
in particolare a Roselle, in fasi di età protostorica, più
recentemente lo scavo della Villa romana di
Settefinestre ha evidenziato in largo uso di tale
tecnologia per un ampio arco di tempo ed anche per
parti dell'edificio abitate da padroni (cfr. A.
Carandini-S. Settis 1979, pp. 49 e segg.).Per quanto
riguarda viceversa I'età postclsssica niente si sapeva
sull'utilizzazione di questa tecnica muraria di lunga
durata; anche le fonti ricordano frequentemente, ancora
nei secoli bassomedievali (cfr. R. Francovich-G.
Piccinni in I castelli del senese, 1975 p. 264),
I'esistenza di domus terrenae o terragne, talvolta
indicate dalla letteratura, perlomeno nel primo caso,
come case ad un solo piano. Ora il rinvenimento della
quindi, che emerge subito con
evidenza è la radicale novità
rappresentata dalla realizzazione in
meno di due anni, fra il 1344 e il
1345, del complesso fortificato
porta-cassero, voluto da Siena con
un chiaro significato politico
egemonico. Alcuni dati strutturali
del complesso, quali la netta
unitarietà della torre certamente
concepita anteriormente alla
realizzazione della porta-cortile (il
cui rialzamento in filaretto pare
risalire ad oltre due secoli dopo),
evidenziano la realizzazione in due
tempi, assai ristretti, ma
chiaramente divisi14. Tale
costruzione grossetana ripropone une rilettura
complessiva di questo problema. La continuità, con
tecnologie talvolta modificate dell'abitare in edifici di
terra ci pare un tema che debba essere sviluppato per la
comprensione dei modi di vita postclassici; e certo il
rinvenimento dl abitazioni trecentesche in San
Giovanni Valdarno, I'esistenza di un cospicuo numero
d'edifici in terra a Montelupo, compreso il Palazzo
Pubblico, affrescato e partire dal XIV secolo fino al
XVIII, suggerisce l'ipotesi che tale modo di costruire
sia stato molto più diffuso di quanto fino ad ora non si
sappia. Una vasta letteratura storico geografica (per una
rassegna La casa rurale in Italia 1970, pp. 58-59) si
diffonde sulle permanenze contemporanee di tale
tecnica, ma ancora nel XVIII secolo si potevano vedere
numerosi edifici in terra battuta, come si evince
dall'appendice al prezioso volumetto Dell'economica
costruzione delle case di terra; opuscolo diretto agli
industriosi possidenti e abitatori dell'agro toscano a
cura del Cointeraux e pubblicato in Firenze nel 1793,
dove, oltre a dire le indicazioni per la ripresa di una
tecnica costruttiva economica e pratica, surrogata dai
pregi evidenziati da autori classici, si riporta in
appendice una testimonianza di Leonardo de' Vegni,
che ricorda ampiamente come tale tecnica si possa
ancora vedere utilizzata nelle campagne della Chiana
(pp. 46 e segg.).
14
L'ipotesi che la torre sia stata iniziata già nel 1334 e
che si tratti della torre di cui si parla nel documento
riportato alla nota 4, come parrebbe indicare M.
Luzzetti 1963, p. 18, rimane priva dl un conforto
archeologico (per altro neppure smentita), ma
certamente è una chiara forzatura la lettura della lapide,
quando il Luzzetti riferisce il termine "guasto" (la cui
lettura è contestata, mi pare solidamente, in questo
volume da S. Gelichi) al cassero in questione. Rimane
quindi possibile (e al proposito si rimanda all'ultimo
realizzazione andava a colmare il
provvedimento di abbattimento del
precedente assetto fortificato
urbano, probabilmente mai
terminato; per compiere questa
operazione fu necessaria una
delibera del Consiglio Generale
della Repubblica di Siena del 18
giugno del 1344, con la quale si
approvavano le proposte della
commissione eletta dai Nove per la
ricostruzione delle fortificazioni di
Grosseto, in deroga a quanto deciso
pochi anni prima (vedi appendice,
doc. 1). La deroga seguiva poi di un
anno la decisione di ricostruire i
fossi del Comune di Grosseto.
Pare poi riferirsi alla porta e alla
torre, oggi inglobati dalla Fortezza
Vecchia, anche l'atto del Consiglio
Generale del 22 aprile 1345 con il
quale si delibera l'acquisto “cum
civitatis Grosseti casserorum et
muri sint quasi ad perfectionem
deducti”, degli immobili adiacenti
alle mura e alla porta (doc. 2), come
pure l'atto di ratifica del 14 maggio
1345 dei Capitoli, e precisamente il
Caleffo Nero (doc. 3). Anche in
questo caso si avrebbe la conferma
di trovarsi di fronte ad un'area di
urbanizzazione, forse periferica,
come attesterebbe appunto il
paragrafo le fasi e le strutture) che il concepimento del
complesso nella definizione attuale, sia il risultato di
modifiche progettuali in corso di opera. Detto questo,
data la piccola differenza di tempo fra una eventuale
impostazione dell'impianto della torre nel 1334 (e
probabilmente rimasta incompiuta fino ad una ripresa e
definitivo compimento, nel decennio successivo,
dell'intero complesso), il problema rimane
sostanzialmente irrisolto a causa dell'impossibilità di
cogliere nella sua completezza le informazioni
archeologiche della stanza II, mentre il dato assodato è
che negli anni 1344 e 1345 si definirono
contestualmente i due nuclei, come è assodato
dall'ammorsamento del filaretto ed una quota impostata
oltre il toro della torre
rinvenimento, sotto il complesso,
della casa di "terra".
Come accennato precedentemente
non abbiamo informazioni sulle fasi
costruttive e sul loro affidamento,
le uniche notizie che abbiamo della
lapide sono il termine della
costruzione (1345) del complesso,
avvenuta quando erano ufficiali
sopra il cassero e le mura di
Grosseto i tre cittadini senesi
Andrea di Tofano, Leonardo di
Cola e Giovanni di Ciano15. Nulla
quindi sulle maestranze che,
peraltro, furono certamente senesi;
lo rivela non solo l'evidenza della
cultura materiale pertinente alla
fase di cantiere, ma soprattutto la
tecnica edilizia16: le arcate ogivali
della
porta
avvicinate
stilisticamente agli archetti costruiti
fra il 1338 e il 1341 del penultimo
cornicione della Torre del Campo in
Siena, che vide impegnata una
equipe di personalità quali
Agostino di Giovanni, Lippo
Memmi e Giovanni d'Agostino, i
confronti con opere consimili come
la porta e il cassero di Paganico,
costruita da Lando di Pietro nel
133417, nonché gli aspetti più
propriamente tecnici come la
costruzione delle fondazioni con
muri a sacco e filaretto in cotto
sottostanti l'elevato in pietra, la
messa in opera delle bozze con
giunti strettissimi. Del resto la
consuetudine di affidare a
maestranze senesi la costruzione
delle fortificazioni è documentata
esplicitamente per Grosseto anche
nel caso del cassero di Porta San
15
Si veda il doc. 3 dell'appendice e il commento
all'iscrizione sulla Porta.
16
A. Garzelli 1967, pp. 98-99.
17
Cfr. L. Bonari 1950.
Pietro, dove compaiono architetti
come Guido di Pace e Angelo di
Ventura, noto quest'ultimo per
essere autore di una serie di
sculture18, ma soprattutto per aver
riorganizzato nel 1336 la Fortezza
di Massa Marittima19 e per essere
stato interpellato tre anni prima sui
lavori in corso nel Duomo di Siena
(per il problema si veda il
contributo di Parenti).
Nel 1382 il numero di fanti che
avevano in custodia il cassero
maggiore era pari a 7, un numero
cioè estremamente esiguo, che
nonostante
tutto
andò
assottigliandosi, se è vero che il
Consiglio Generale di Siena nel
1406 dovette deliberare una nuova
distribuzione degli organici nei
casseri dei suoi castelli e città (vedi
doc. 4), dove lo stato di
degradazione aveva raggiunto
limiti inaccettabili. Nel 1415 il
cassero aveva bisogno di una
risistemazione e i finanziamenti
furono estratti dalle entrate
dell'ufficio delle condannagioni del
Podestà di Grosseto. Ma gli
interventi eseguiti non ebbero
successo tanto è vero che a distanza
di pochi anni abbiamo due
petizioni, nel 1438 e nel 1439 (vedi
doc. 7), dalle quali evinciamo le
condizioni di degradazione
raggiunta dal cassero, la cui cura fu
affidata con clausole estremamente
precise a Magister Nanni, Magister
Meus, e a Magister Tomasus, maestri
di pietra e legname, che si
impegnarono a grandi lavori sugli
"infissi", ed in particolare sulla
porta che guardava verso Grosseto,
18
19
Cfr. A. Garzelli 1967, p. 99.
Cfr. L. Petrocchi 1900, pp. 117 e ss.
al ponte levatoio ed anche a rifare il
piano del cassero in "tubertino". Nel
1452, attraverso una memoria di
Sipriano e Antonio di Corto e Pietro
di Giovanni di Turchio (cfr. doc. 8),
conosciamo la iniziativa di mettere
mano ad un rivellino presso
l'anteporta (di cui oggi non rimane
ovviamente traccia per i massicci
interventi medicei), al muro della
Città, nei pressi della torre
(anch'esso
scomparso
nei
rifacimenti successivi e non distante
dal ponte levatoio compreso fra la
porta stessa e un ponte in
muratura); il documento non ci
informa su eventuali lavori interni
che certo non dovevano essere
molto ben remunerati, come
possiamo intuire dalla lettera del 26
febbraio 1456 di Matteo dl Meio,
che supplicava di essere sollevato
dall'incarico per poter sopravvivere
insieme ai suoi cinque figli dopo
che per quattordici mesi di
"soggiorno" suo, del suo compagno
e dei fanti, aveva ricevuto in tutto
cento lire.
Ma il documento ultimo che ci
descrive
analiticamente
I'abbandono del cassero di Grosseto
rimane quello, già parzialmente
edito dal Venerosi Pesciolini, di
Biagio di Checco, cartaio, cittadino
senese che entrandovi come
castellano invia una relazione ai
governanti di Siena su
" e'
manchamenti de la rocha" della loro
città di Grosseto (doc. 9).
Riccardo Francovich
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3.2. R. FRANCOVICH, Il cassero e la Porta "Senese"