La Missione SUSSIDIO PER LA FORMAZIONE PERMANENTE A cura del Consiglio Centrale Dell’Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo Pro manuscripto Roma, aprile 2010 2 SOMMARIO Presentazione pag. 5 Prima parte A partire dalle nostre esperienze di vita … pag. 7 Testimonianze pag. 9 Seconda parte Per riflettere … pag. 47 Riflessioni e Approfondimenti Gesù, l’inviato del Padre: la nostra missione partecipe della sua missione (fr. Ernesto D.) pag. 49 Quale missione per noi oggi? (Laura L.) pag. 56 La nostra missione: laicità e profetismo s’incontrano (Marie Thérèse B.) pag. 62 3 4 PRESENTAZIONE Carissime, continuando un’antica tradizione dell’Istituto, vi offriamo come tema di “studio” questo sussidio sulla Missione. Se approfondire e riflettere su alcune tematiche è essenziale per noi, il tema della Missione (come quello proposto in precedenza, sulla Consacrazione) tocca il cuore stesso della nostra vita. Se, infatti, la prima parola di Gesù ai discepoli è: “Seguitemi”, la sua ultima parola è: “Andate”. E il seguire è già pensato, dal Signore, nella prospettiva dell’andare! Il gruppo di Gesù è vario, chiamato da tutto il popolo, tra i peccatori e i “giusti”, per certi versi, da tutti i popoli. Anzi un samaritano diventa modello della missione e modello di Gesù stesso, Buon Samaritano. Al sussidio cartaceo è unito un CD con alcuni volti di donne, che lasciano intravedere storie personali dentro la storia e le vicende del mondo. Il “genio femminile” è chiamato a dare un suo contributo speciale alla missione di tutta la Chiesa . Le testimonianze delle Missionarie del mondo, che aprono il nostro sussidio, lo dicono a parole; le foto ci aiutano a riflettere, ad aprire orizzonti, a guardare con simpatia e amore al mondo. Il Consiglio spera che dal lavoro di tutte possano arrivare nuovi stimoli e impulsi alla missione di ciascuna e del nostro Istituto. Pasqua 2010 Con affetto Il Consiglio Centrale 5 6 PRIMA PARTE A partire dalle nostre esperienze di vita … 7 8 TESTIMONIANZE Missione per me è una parte vitale della mia vocazione. Nella mia vita la Missione è cambiata secondo l'età e le varie circostanze. Oggi a 77 anni la mia Missione, si esprime come SERVIZIO nell'ospitalità, non un servizio forzato ma amorevole e fraterno. Da molti anni accudisco una proprietà di famiglia e assieme a tutti i suoi componenti [fratello, cognate, nipoti] abbiamo deciso di offrire gratuitamente parte della casa a qualsiasi persona ammalata di cancro voglia soggiornarci per una vacanza, indipendentemente della religione o razza. La casa viene usata anche da Sacerdoti per le loro giornate di Ritiro e da molte persone bisognose di aiuto morale. Essendo la casa in mezzo alla foresta, la natura offre tanta pace, gioia e serenità. Il mio lavoro è mantenere la proprietà, pulire e delle volte cucinare ed ascoltare. Può questo semplice servizio, trasformato in preghiera, essere Missione? Un sacerdote una volta ha detto “Offrire il cibo così è come offrire l’Eucaristia”. Per me è un’opportunità poter offrire un servizio gratuito a fratelli che soffrono. Franca T. - Australia Sin dagli anni della mia infanzia la parola “missione” ha avuto un profondo significato. Come giovane “kajotster” (Gioventù Operaia Cattolica) mi è stato dato ben presto un compito come guida del mio gruppo. Nella nostra formazione veniva spesso sottolineato che nei confronti degli altri giovani avevamo un compito, una missione. Quando sentivamo il cardinale Kardijn, egli ci parlava sempre della nostra 9 “missione” nel mondo operaio. Tutto questo mi è rimasto impresso per il resto della mia vita. Da adulta ho avuto diversi compiti nel Movimento Femminile e nella Legione di Maria nella parrocchia della mia città. All'età di 37 anni ho conosciuto l'Istituto e lì ho cercato un sostegno per rimanere fedele al mio apostolato. Il fatto che come laiche consacrate potevamo continuare a vivere semplicemente nel mondo mi attirava molto. La formazione come aspirante fu molto solida a livello spirituale ed era orientata verso gli altri. Perciò quando feci la mia professione nel 1970 ad Assisi, ho detto con piena convinzione il mio “Sì”. Le forme di missione e di apostolato sono cambiate nel tempo. Dall’impegno con i giovani a quello con gli adulti e, negli ultimi anni a quello con gli anziani e nell’ordine secolare francescano. La mia vocazione è stata sempre il punto di partenza del mio apostolato e mi ha resa sempre consapevole di essere mandata a servizio del Signore. Mi aiuta molto la formazione che ricevo nell’Istituto attraverso gli incontri e i contatti con le mie sorelle, e di questo sono molto grata. Sia prima come giovane impiegata d'ufficio, sia ora come anziana pensionata, cerco sempre di ascoltare ciò che Dio - di solito attraverso la mediazione di altre persone - mi chiede e nella misura del possibile offro una risposta positiva. Non mancano i successi ma anche gli insuccessi. Trovo per questo un sostegno grande ed indispensabile nella mia vita di preghiera e nella vita sacramentale. Marie-Louise G. - Belgio 10 Il Signore mi manda nel mondo dove vivo. Nella mia vita professionale ho lavorato come educatrice di bambini abbandonati. Ora che sono in pensione la mia missione è piuttosto tra la gente che incontro ogni giorno. Nella segreteria della forania le persone mi interpellano e mi raccontano determinate cose. Il più delle volte le loro preoccupazioni, cose che gli pesano sul cuore. Sono missione anche le visite ai malati e agli anziani con l’associazione parrocchiale dei volontari e aiutare ogni mattina una vicina a vestirsi. In questo modo si presentano delle opportunità per parlare. È missione il riservare del tempo per visitare la mia zietta di 96 anni nella casa per anziani, i miei vicini e la mia famiglia. Mi sento mandata un po' dappertutto, soprattutto per ascoltare. Mi sembra molto importante. In realtà la nostra vita in mezzo agli altri è molto normale. Eppure qualche volta può sorprendere e sembrare così inusuale. L'ho potuto sperimentare insieme a Lieve durante il nostro viaggio in Turchia quest'anno con un gruppo di 42 Fiamminghi. Noi, le sole due donne in mezzo a venti coppie, davamo nell'occhio e siamo state interpellate: se andavamo sempre in viaggio insieme, se eravamo delle monache, cosa avevamo fatto nella vita professionale ... Dopo le nostre risposte sincere a tutte le domande, molte persone si sono confidate con noi, ci hanno raccontato la loro vita, il loro modo di credere, le loro preoccupazioni. Sì, sono diventati dei colloqui durante i quali abbiamo davvero potuto testimoniare la nostra fede, a persone che ci hanno dato fiducia e rispetto. Abbiamo avuto veramente la sensazione di essere state mandate anche lì per testimoniare la nostra vocazione. Essere mandate avviene dunque anche nei momenti quando meno te lo aspetti o quando non ci stai pensando consapevolmente. Siamo mandate in ogni momento. Sia nei momenti di svago che nei compiti specifici. 11 Constato che in quelle situazioni non mi sono richieste per forza delle cose straordinarie. Eppure mi si chiede attenzione e concentrazione che forse non si trova da qualcun'altro o che non si osa far vedere ad altri. Cercare di realizzare queste cose per niente straordinarie in un modo straordinario richiede però parecchio impegno. Richiede un amore autentico verso Dio. Mi sprona a fare la sua volontà nelle cose ordinarie di ogni giorno. Riflettendo, mi rendo conto che chiamata e missione sono due elementi inseparabili l'uno dall'altro. La mia vocazione nell’ISM mi manda. E dopo tutti questi anni mi rendo conto che ci sono altri due fattori che sono inseparabili: Amore e Fedeltà. Attraverso la mia Chiamata, arriva un Amore per la Missione. La Missione richiede Fedeltà per perseverare lungo tutto la vita e per tramandarlo a qualcun'altro. Non è sempre una vocazione semplice. Ma durante i nostri incontri troviamo un sostegno da sorelle. Coloro che la pensano allo stesso modo possono essere di grande aiuto. Anche la fedeltà alla preghiera quotidiana è necessaria! Comunque sia, questo modo di vivere richiede una fede solida ed una fiducia profonda in Dio. Gesù ha consegnato ognuna di noi a sua Madre, e ispirata dalla parola e dall'esempio di vita di Francesco e Chiara, non sono mai sola. Lauranda W. - Belgio Quante volte la missione ricorre nella Bibbia. Già nel racconto della creazione Dio ha mandato degli uomini, ha dato loro un compito: “Andate e moltiplicatevi”. Pensiamo ad Abramo, Mosè, Giona e a Giobbe. Gesù mandato da suo Padre, manda i suoi discepoli. Nel tempo di Pasqua riviviamo i loro lunghi viaggi. 12 Per i primi frati Francesco non voleva un convento. Dovevano andare per il mondo per annunciare la Buona Novella. Non era permesso a Chiara che non lo voleva nemmeno, ma attraverso la sua vita ha predicato come solo donne sante riescono a fare. Durante il tempo di Avvento, mi colpì che Maria, dopo l'annuncio dell'angelo Gabriele, non si è messa a pensare, ma ha preso il suo mantello e forse qualcos'altro ed è andata subito da sua cugina Elisabetta, attraversando a piedi la montagna. Molti anni fa, accompagnata da cinque sorelle e dal parroco, ho avuto la fortuna di visitare questo luogo dove una donna anziana ed una donna giovane hanno gridato la loro grande gioia. Il nostro cammino a piedi era difficile, eppure la strada era buona. Ma ero irritata, scontenta. Sotto nella città c'erano tante bei negozietti, c'era ancora abbastanza tempo, ma gli appuntamenti sono appuntamenti e invece quel giorno nel santuario, la guida promessa, un francescano, non si trovava. La mia irritazione cresceva ogni minuto... Arrivò finalmente un francescano piccolo e grigio, che ci dette delle spiegazioni molto chiare. Ci rimandò con un pensiero profondo: Maria portò Gesù sotto il suo cuore, voi dovete portare Gesù NEL vostro cuore verso le persone che incontrate... Una missione chiara! Ricevetti il perdono per il mio comportamento irritante e in un colloquio tra sorelle ho imparato molto e ho cominciato a guardare le mie sorelle in modo diverso. Ho raccontato questo episodio al mio datore di lavoro che me l'ha ricordato molte volte: porta Gesù nel tuo cuore e portalo ai tuoi compagni operai, a tutti coloro che incontri: LA MIA VOCAZIONE! Lavorare, essere creativi, prendersi cura delle cose quotidiane, come fanno tutti. Silenziosamente fare il vuoto dentro di sé, in preghiera e adorazione. Fare in modo che Gesù 13 riempia questo vuoto per seguire il suo esempio ed incoraggiare, amare, servire gli altri, in modo che questo mondo diventi un po' più leggero, caldo e umano. Pace e ogni bene! Annie H. – Belgio La Missione nell’Antico Testamento: è risposta ad una vocazione personale, unica e singolare. Cfr. Ger. «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato, ti ho stabilito profeta delle nazioni». La missione diventa rivelazione e invio. Cfr. Ez. 2,1-2 «Figlio dell’uomo, alzati, ti voglio parlare». A queste parole, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando a una razza di ribelli, essi sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro. Tu riferirai loro le mie parole». Nel Nuovo Testamento Dio rivela e realizza la sua missione che è quella di salvare gli uomini per mezzo di Gesù Cristo. Cfr. Mt 28, 18-19 «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Il cristiano oggi realizza la sua missione con Gesù Cristo nella sua Chiesa, in questo modo egli risponde alla sua vocazione. 14 Nell’ISM Secondo il carisma delle origini, vivere la missione è testimoniare Cristo Re dell’Universo, centro del Cosmo e Signore della Storia. Cfr. Costituzioni art. 11: “La missionaria partecipa alla comunione della Chiesa e coopera alla sua missione vivendo la fede, la speranza e la carità ricevute nel battesimo”. Noi missionarie dell’ISM viviamo concretamente tutto questo nella nostra Chiesa del Burundi attraverso i sinodi guidati dai nostri vescovi, cercando di rafforzare la Pace e la Riconciliazione tra i cristiani nelle nostre comunità di base. Come ogni altro cristiano partecipiamo alle riunioni organizzate e pagando la decima; rispondiamo attivamente all’organizzazione delle nostre chiese locali. 1) Testimonianza del 6 giugno 2009 Nel mese di maggio 1992, ebbi una malattia, aggravatasi anche a causa delle precarie condizioni economiche. Pensai di chiedere un prestito ad una amica che era di condizione agiata. Mi promise che mi avrebbe aiutata. Per ben tre volte andai da lei nella speranza che la promessa fatta si concretizzasse. Ma ciò non avvenne e fui costretta a chiedere un prestito di cinquemila franchi burundesi ad un’altra persona. Dopo questo episodio, la nostra relazione si ruppe. Nel mese di giugno 2009, dopo diciassette anni, questa amica si è dovuta ricoverare in ospedale dove è rimasta per tre settimane. Quando ho appreso la notizia, ho cominciato a pregare Gesù Cristo per chiedergli la grazia a me necessaria per poterla aiutare, tanto più che, attualmente, la sua situazione finanziaria è piuttosto mediocre. Ho fatto circa 197 kilometri per visitarla nell’ospedale Roi Kaled di Bujumbura, rispettando le abitudini burundesi, che richiedono di portare del cibo o del 15 denaro alla persona che si va a visitare, una buona abitudine che si traduce in un gesto di carità. Tornando a casa mi sono sentita liberata dal mio egoismo, dai miei rancori perché ho agito come Gesù e con Gesù. Ho agito come una «missionaria della Riconciliazione». Armida Barelli ci diceva: «VA’ MISSIONARIA, TUTTO IL MONDO TI APPARTIENE». Gruppo Burundi Quando avevo 16 anni, ho cominciato a lavorare in una fabbrica. Ero giovane in un periodo duro per la Corea, fra gli anni ‘60 e ‘70. Con il processo di industrializzazione, il nostro Paese aveva bisogno anche delle forze femminili. Ero una delle tante operaie che lavoravano lontano dalla famiglia e dal paese dove erano nate e cresciute. Lavoravo più di 12 ore al giorno e spesso mi toccava di lavorare anche le domeniche. Allora non ero ancora una cristiana e perciò non mi pesava lavorare anche le domeniche (tranne che per la fatica fisica). Ma un giorno ho conosciuto una donna dell’ISM, ho ricevuto il battesimo e ho fatto anche la cresima. E poi ho preso un diploma mediante il quale ho potuto poi trovare un lavoro nell’ospedale “St. Vincent”, gestito da suore. Era un periodo molto felice per me, lavoravo gomito a gomito con le suore e i colleghi, e insieme dicevamo di volerlo rendere il luogo della nostra missione. Quando avevo assunto l’incarico di Presidente (troppo alto per me!) dell’Associazione delle lavoratrici cattoliche in ospedale, è cominciata la mia vita di missione propriamente detta, poiché lavoravo più a contatto con i pazienti che soffrivano sia fisicamente, sia psicologicamente. Per aiutare almeno un po’ i malati, che non avevano né dove andare, né i soldi per pagare le proprie cure, e anche le loro famiglie, raccoglievo i fondi organizzando vari eventi, 16 mercatini e persino lucidando delle scarpe sporche in qualche occasione. Quando siamo riusciti a raccogliere fondi abbastanza consistenti, li abbiamo potuti donare ai malati proprio nella Giornata mondiale del malato (grazie anche al cappellano dell’ospedale e ai membri dell’associazione, che hanno dedicato tre giorni interi sacrificando periodi di ferie) e, allora, più che mai, ho capito che il Signore ci dona una grande forza e gioia quando lavoriamo nel Suo nome. Ho sempre vissuto una vita abbastanza impegnata, ma nel febbraio del 2008, sono andata in pensione. Lasciando il lavoro al quale ormai mi dedicavo da 26 anni (su un totale di 40 anni di vita lavorativa), ho dovuto fare i conti con dei problemi psicologici, dovuti al senso di solitudine, alienazione, irrequietudine, tutto ciò senza apparenti motivi. Facevo una vita molto regolare, ma dopo che sono andata in pensione, ho perso un po’ il senso di equilibrio con la quotidianità. Ma ho potuto superare il mio “smarrimento” mantenendo un rapporto saldo con il Signore tramite la preghiera. Infatti, scandivo la mia vita con le preghiere. La mia vita lavorativa, che mi aveva riempito è ormai passata come un sogno ed è rimasta solo come un ricordo. Mi risuona sempre alle orecchie la parola del Signore: “Ai tuoi occhi, mille anni sono come un giorno (...) perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati ...” perciò so che non ho niente da temere se mi dedicherò a fortificare di più il mio rapporto spirituale con il Signore, camminando sulla via della mia vocazione. Ora frequento un corso due volte alla settimana e partecipo agli incontri del quartiere e a quelli della Legio Mariae presso la parrocchia; sono contenta e, anzi, sono sempre più convinta che si possono fare grandi cose anche 17 nelle piccole. Prego con e per le persone che soffrono sia spiritualmente che materialmente e ci incoraggiamo a vicenda. In questo contesto, mi sono resa conto dell’importanza del ruolo di ogni persona, nel senso che ogni individuo da solo può rendere una situazione migliore o peggiore ... Spero (e a questo proposito prego) di diventare una di quelle persone che riescono a migliorare piuttosto che peggiorare le situazioni, rivelando così la gloria del Signore, facendo tesoro del “talento” che Egli ci ha donato (anche per la mia maturità personale, negli anni di vita che Lui vorrà donarmi). Sto per fare la mia incorporazione definitiva. Devo confessare che dentro di me si risvegliano ogni tanto i fantasmi del passato all’interno del mio gruppo. Anche se io le ho perdonate e immagino di essere stata perdonata grazie alla generosità delle sorelle, in ogni modo, a volte, mi sembra che dentro di me siano ancora molto vivi i torti subiti e provocati, i difetti miei e delle altre. Comunque prometto a me stessa di riarmarmi con la forza della prima professione, portando nel più profondo del mio cuore l’esistenza del Signore che mi riempie di grazia e amore, anche con le mie riflessioni personali e partecipando ai ritiri mensili e annuali con gli occhi attenti e le orecchi ben aperte. Per ora non ho grandi progetti. Prometto tuttavia di impegnarmi per la gloria del Signore, dovunque io sia e qualunque cosa farò. La missione di cui io intendo occuparmi è l’annunciare Gesù, luce della nostra vita, in tutte le cose che faccio. Per me è rimasta ancora qualche sfida: avvicinarmi ai miei fratelli che si sono molto induriti con il confucianesimo; inoltre, le mie debolezze e i miei limiti all’interno del nostro gruppo mi preoccupano un po’, ma ora mi sento più forte e generosa e prima di tutto più decisa, grazie alla esperienza delle difficoltà 18 che finora ho superato con l’aiuto del Signore. Per me la missione è mettere in atto le mie parole e i miei pensieri, rievocando sempre la vita di amore che il Signore ci ha mostrato. Elisabeth G. J. - Corea “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!” (Mt 10, 8) Missione – Cosa significa per me La missione, in poche parole, significa annunciare la salvezza del nostro Salvatore Gesù Cristo e metterla in opera nella mia intera vita, come testimonianza di quello stesso annuncio. Inoltre, siamo Missionarie consacrate nel mondo, e perciò tutta la mia vita deve essere ancor di più una missione, e collegata alla missione. Ma ogni tanto sorge la domanda: “che cosa è la missione?”. Io la intendo come l’annunciare all’umanità l’obiettivo della verità e della bontà del Signore, e l’ereditare l’opera del Figlio di Dio che, come nostro Creatore, si rivelò nella sua vita terrena. Insomma, significa mostrare da parte nostra, nella nostra vita, l’intera vita di Gesù. La vita di Gesù, come la vediamo nel Vangelo, è una vita di sofferenze, ma nelle sue sofferenze, il suo interesse era solo l’espansione del Regno di Dio. La nostra chiamata e la professione della nostra consacrazione significano per noi prendere l’impegno di continuare questa missione di Gesù. Ma se questi impegni sono così sublimi e questa chiamata è così santa, per quale ragione noi spesso camminiamo su questa via della missione claudicando faticosamente? Dov’è il problema? Ho riflettuto molto su questo. E ho capito che prima io non affrontavo onestamente i miei dubbi e li negavo come fossero una colpa. Non cercavo una risposta diretta. Perciò, la mia vita e il mio cuore non si trovavano in armonia, e camminavano ognuno per conto proprio. È ovvio che quando 19 non si è contenti, si fanno le cose con grande sforzo! In altre parole, io mi aspettavo una conferma per ogni cosa che facevo. Il secondo motivo deriva dal fatto che io non avevo compreso veramente e concretamente il senso della consacrazione e della missione. Forse non riconoscevo abbastanza né approfondivo a sufficienza il significato della professione, perciò la consacrazione non riusciva a radicarsi fortemente nel mio cuore. E naturalmente il timore e la scarsa formazione hanno contribuito a questo. La terza è la mancanza della passione. Lasciavo spazio per i vari desideri, e perciò non riuscivo a concentrarmi su una cosa con passione. La forza della concentrazione nel mio cuore si disperdeva e non riuscivo a convergere in una direzione precisa. Rendendomi conto di tutto ciò, ora desidero concentrarmi su un’unica cosa: come devo fare per servire interamente il Signore? Solo questo! Questa aspirazione, con grande forza, mi trascinerà e mi indicherà la destinazione. Può darsi che io desideri cose grandi e eroiche, ma nella vita di ogni giorno, nella routine, nelle cose insignificanti della vita quotidiana, spesso rimango delusa, stanca e annoiata. Allora, a volte finisco per domandarmi se si può avere la passione nelle piccole cose. Secondo me, ciò non è possibile se noi non portiamo nel nostro cuore lo Spirito santo del Signore. Se non innalziamo il nostro cuore verso Dio tramite la preghiera e la comunione quotidiana, come possiamo aspettarci che il suo Spirito agisca in noi? Se non prego, a causa della stanchezza provocata dalle faccende quotidiane, vuol dire che sto portando da sola la mia vita verso la via della morte. La missione è, per me, la dedizione attiva per l’amore alla vita e il lottare contro la forza che la danneggia. La vita è un dono del Signore, e amare la vita rende possibile espandere il Regno di Dio con Lui e in Lui. 20 Il lavoro – il frutto della mia preghiera Attualmente mi occupo del lavoro di amministrazione e faccio l’economa nella Commissione per la missione dell’OFM provinciale coreano. Per quanto riguarda il lavoro di amministrazione, si tratta di curare i rapporti con circa 2.000 membri che fanno le loro offerte mensili, e principalmente di stilare e occuparsi dei vari documenti. La cura dei rapporti con i membri è un lavoro che richiede molta concentrazione. Ogni mese bisogna spedire più di 2.000 lettere, registrare con precisione la situazione esatta dei pagamenti e compilare il bilancio. Inoltre, per i seminari e gli incontri dei membri che hanno luogo una o due volte al mese, bisogna preparare le merende e le bevande, i documenti occorrenti e infine la Messa che viene celebrata insieme. In particolar modo, mi sto occupando da sola della gestione e della registrazione meticolosa di tutti i documenti e dei bilanci della Commissione per la missione, una delle sezioni della suddetta Congregazione. Non ho mai fatto prima d’ora una vita in mezzo ad una simile montagna di carta, e neanche aspiro a farlo, ma riesco a andare avanti pensando soltanto all’espansione del Regno di Dio. Il mio più grande interesse, tra le cose di cui si occupa la Commissione per la missione, è il “Centro dei servizi per la pace” che ha celebrato il suo inizio nella Corea del Nord nel novembre 2008. Si tratta di un Centro che è stato aperto con non poca difficoltà a Pyongyang, la capitale della Corea del Nord, per l’opera di evangelizzazione a partire da una iniziativa dell’OFM coreano: ci occupiamo di distribuire i cibi e di offrire i servizi sanitari per i lavoratori nord-coreani. Per ora, per motivi politici, non è facile né entrare né uscire dal Paese, ma siamo riusciti a mandare una certa quantità di riso e altri alimenti. Un sacerdote ci è stato varie volte e ora sta programmando, in futuro, di risiedere a lungo in quel Centro. É 21 ovvio che io continuerò a rimanere e lavorare a Seul. Poiché, per la prima volta, l’autorità nord-coreana ha concesso ad un ente cattolico di risiedere a Pyongyang, anche la Santa Sede ha mostrato molto interesse a questo riguardo, in particolar modo dopo che un Vescovo coreano aveva benedetto questo Centro di accoglienza andando direttamente a Pyongyang. Io personalmente sto pregando da più di 10 anni per la riunificazione pacifica tra le due parti della Corea e per l’evangelizzazione della Corea del Nord. Mi è semplicemente capitato di lavorare presso l’amministrazione di questo Centro ... oppure questa è la risposta alla mia preghiera? Io non penso che sia stata una semplice coincidenza! In questi anni si ricorderà il 90° anniversario della nascita dell’ISM, ma anche il 50° anniversario dell’ISM coreano! Di fronte a una importante ricorrenza come questa, anche noi coreane non possiamo non fare un grande proposito, cioè favorire la nascita dell’ISM in Corea del Nord, avere sorelle nord-coreane nella nostra comunità. Quando ho cominciato a pregare per la riunificazione pacifica tra le due parti della Corea, quasi non esistevano comunicazioni tra le due regioni, ma vedendo che persino un prete sud-coreano andrà a vivere nel nord per il servizio di evangelizzazione, credo fermamente che sarà possibile realizzare questo nostro proposito, e prego ancor di più profondamente per questo. E poi il mio desiderio, in occasione del 90° anniversario dell’ISM, è ovviamente la beatificazione della nostra Sorella Maggiore, Armida Barelli! Penso che il Signore ci concederà di realizzare questi propositi, in occasione dell’Anno giubilare dell’ISM, mostrando così che Egli sta sempre con noi e ci donerà anche questa immensa gioia! H. Columba P. - Corea 22 La missione è assumere il Vangelo nella vita, è amare la vita con una certa particolarità … voler donare Dio al mondo. La missione è voler allargare una esperienza personale d’incontro con Dio ad una esperienza di relazione con gli altri. La missione è uscire da se stessi per donare Dio in tutti gli ambiti in cui l’uomo opera. Francesco diceva che “l’Amore non è amato” ed è proprio in questo che consiste la missione: scoprire l’Amore e fare qualcosa di fronte all’indifferenza dell’umanità verso di Dio che si dona, che si consegna, che spera e continua a chiamarci. Missione vuol dire essere attenta a tutti i momenti e spazi in cui possiamo testimoniare che un Amore è capace di cambiare la nostra vita, di santificarci. Una testimonianza che cerca la santificazione di tutti: in famiglia, nel lavoro, nel quartiere, nel paese. La missione è impegnarci con l’uomo e la sua lotta quotidiana, aiutandolo a scoprire la sua dignità di figlio di Dio. Come esempio posso citare l’impegno assunto con il condominio dove abito. Sono incaricata di raccogliere le quote mensili di mantenimento; è un compito che nessuno vuole assumere perché richiede tempo ed espone a farsi dei nemici; ma c’è anche chi vorrebbe questo lavoro per ottenere vantaggi economici dalla situazione. Durante questo tempo Dio mi ha aiutato a capire che è possibile creare un buon ambiente con i vicini, ascoltando le loro inquietudini e necessità e dimostrando con l’esempio che è possibile lavorare con onestà e senza bisogno di diventare nemico di nessuno. La missione è vedere in questo lavoro apparentemente semplice o normale, un’opportunità unica per donare Dio, sperare che questo compito vada oltre e cerchi qualcosa di più grande, come l’unità di un vicinato individualista e non disinteressato, che è presente in molti ambienti in cui viviamo. 23 L’ISM è per me come arrivare a casa dopo ogni missione, è sapere che ho un luogo al quale appartengo, dove arrivo per riposare e riprendere le forze. La via è Cristo, quella via l’ho trovata o è venuta a me, ma era già presente in me, prima di conoscere l’ISM. L’ISM è stata la risposta al mio voler procedere in questa via: consacrata, in libertà e con Francesco. L’ISM mi permette di camminare più sicura, rafforza la mia identità. Faccio mie le parole di Francesco, il quale aveva capito cosa voleva Dio dalla sua vita e da quella dei suoi fratelli: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore» 1Cel. 22. Lo stile di vita che l’ISM propone come cammino di santità è una risposta ad una ricerca che io non conoscevo, cercavo qualcosa ma non sapevo cosa. Quando ho incontrato l’ISM mi sono aperta, ho scaricato lo zaino così pieno di domande che portavo per la via e mi sono rallegrata… perché ho visto più chiaro l’orizzonte. L’identità dà gioia ... «Francesco colmo di gioia, si affretta a mettere in pratica fedelmente quanto ascoltato … Si scioglie dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura con una corda …» 1Cel, 22. Clara M. - Ecuador La bellezza sta negli occhi di chi guarda, dice un proverbio… Vedo la mia umile origine e il luogo della mia nascita come bellezze donate da Dio, in un paese di nome Buguey, accoccolato a fianco del mare blu nel nord delle Filippine, nella provincia di Cagayan. Case per circa 30.000 persone di vari gruppi etnici, piene di sogni e di aspirazioni che si fanno valere 24 come professionisti, rozzi pescatori e agricoltori e piccoli imprenditori. La mia città potrebbe non essere progredita come quelle vicine, però promette ogni possibilità. Per me è cara e il mio cuore non si stacca da lei perché è la casa dei miei ricordi … di solidi e permanenti rapporti, di storie di vita e di amore, di perdite e di successi, ecc. Inoltre, è città di promesse per la generazione che verrà. Perché? E’ ricca per il 70% di sabbia nera composta di magnetite e attrae molti turisti. Piena di gratitudine per il passato, è un piacere poter dire che gli echi delle Missionarie e dei Frati italiani che hanno predicato la Parola di Dio in questa terra (1952-85) si sentono ancora oggi come si può vedere dalle testimonianze di vita e di fede degli adulti in parrocchia. Io personalmente, sono grata ai Missionari francescani italiani perché hanno presentato l’ISM alle donne di Buguey, che hanno risposto, compresa io (ho appena festeggiato il mio 20° anno nell’Istituto). Da allora, è diventata una sfida, per noi dell’ISM, tener sempre accesa la fiamma dei valori. Sfortunatamente, i giovani di oggi non riconoscono la bontà perché è trasparente come l’aria e l’acqua e di essa ci si rende conto solo quando manca. Con la grazia di Dio e a motivo della mia professione di insegnante, ho avuto l’affascinante impegno di avvicinare ai valori educativi riguardanti il regno di Dio, alla liturgia e alla preghiera di base, gli alunni della scuola elementare per 42 anni, fino al mio pensionamento avvenuto nel 2005. Con mia soddisfazione, Dio non si stanca mai di creare situazioni per verificare il mio valore di Missionaria. Per ogni cosa che termina, subito un’altra porta si apre altrove. Mi ha inviato come catechista, non stipendiata, agli alunni delle elementari e della scuola secondaria, per prepararli per i sacramenti. Veramente, nutrire di fede il cuore degli uomini non è un ‘lavoro’ fatto e finito in un certo periodo della vita, 25 anzi è una testimonianza continua che va oltre la capacità di soffrire. Ho percepito e constatato che, secondo me, il pericolo maggiore in questa vita viene dalla gente che vuole cambiare tutto o niente. È capitato un po’ di mesi fa, quando turisti stranieri e locali hanno cambiato il nostro ambiente naturale per guadagni materiali, distruggendo la bellezza della natura, e ciò, di conseguenza, è un male per la nostra salute e sicurezza. Sei paesi lungi la costa (compreso Buguey) hanno miglia e miglia di spiaggia che attraggono ai turisti. La sabbia nera è un minerale usato per cambiare il ferro in acciaio. In particolare i Coreani del sud hanno cominciato a creare “miniere” sulla spiaggia, compresa quella di Buguey, portando via la sabbia nera; erodendo così la costa, è stato permesso all’acqua salata di invadere le nostre tenute agricole rendendole infertili e improduttive. All’inizio di questo operato, il sindaco con il suo consiglio e l’intero popolo di Buguey, ha sollevato una forte obiezione, però nemmeno un cordone umano può bloccare un’iniziativa alla quale il governatore provinciale ha concesso il permesso. Noi residenti, abbiamo provato a resistere con forza e convinzione, sollevando una battaglia di proporzioni cosmiche: dalle manifestazioni nelle strade e davanti al municipio esprimendo le nostre obiezioni riguardo al permesso concesso ai coreani, esponendo le varie leggi e i trattati che hanno infranto. Nonostante ciò, il Governatore è rimasto sordo e le miniere continuano. In tutto questo sono stata attiva e visibile, sia che piovesse o che scottasse il sole, distribuendo bibite e cibo, scrivendo lettere alle autorità ecclesiastiche, pregando con gli altri, invocando l’aiuto di Dio in questo momento critico. Il sindaco ha presentato il caso al Ministro dell’Ambiente, che ha ordinato con decreto del 22 aprile 2009, 26 un fermo alla devastazione della spiaggia che è stata inoltre dichiarata illecita dal Sottosegretario dell’Ufficio Miniere e Scienze Geologiche. L’ordine di smettere è andato in vigore… ma solo dopo aver già distrutto l’equilibrio ecologico e la spiaggia. La battaglia tra il Governatore e il sindaco è andata avanti fino alla sospensione del sindaco per 60 giorni per motivi amministrativi. E’ stato sostituito dal vice sindaco che è pro-miniere, comunque sono andata personalmente dal sindaco a esprimergli la mia sincera gratitudine per il suo nobile cuore. È troppo facile onorare Dio quando le cose vanno bene nella vita … quando Lui ci dona amici simpatici, buona salute ed eventi soddisfacenti. Ma gli avvenimenti non sempre sono piacevoli. Comunque, la sua guida è come una torcia nella galleria, che non subito illumina. Noi dobbiamo solo avere fiducia nella sua bontà. Io, Missionaria della Regalità di Cristo, continuerò a partecipare alla lotta per salvaguardare e conservare il nostro ambiente. Editha O. - Filippine “La Missionaria assume le possibili difficoltà come una nuova opportunità per servire gratuitamente i fratelli, specialmente i più poveri.” (dall’Art. 10 delle Costituzioni) Essendo in pensione da 6 anni, vivo la missione in modo diverso, poiché i contatti non sono più gli stessi. Prendo tempo per osservare ciò che avviene intorno a me, sono più attenta alle vicende che avvengono vicino a me, nel nostro paese e nel mondo. Ho anche più tempo personale per leggere e pregare. Vorrei condividere come ho vissuto la missione in modo molto concreto con il mio fratello minore, divorziato con 27 una figlia che viveva con i sussidi per la disoccupazione. Abitava nel sud della Francia dal suo divorzio. Data la sua situazione precaria, gli ho proposto di ritornare a casa mia, poiché al telefono percepivo che era molto giù di morale. Di conseguenza, più vicino a me, avrei potuto aiutarlo meglio. Il giorno in cui sono andata a cercarlo alla stazione di Nancy, sono rimasta scioccata nel vederlo. Era talmente cambiato che ho fatto fatica a riconoscerlo. Mi sono detta: no, non è possibile, non è mio fratello, è un “ senza dimora”. Non pensavo che fosse arrivato a quel punto. Per prima cosa è stato necessario rifare i documenti, poiché non aveva più niente: tessera sanitaria, carta d’identità, iscrizione alla disoccupazione ecc., ma nello stesso tempo bisognava esaminare rapidamente il problema salute. Egli toccava il reddito minimo d’inserimento. Abbiamo avuto la fortuna di avere una nipote che lavorava alla cassa degli assegni familiari. Lei ha potuto recuperare i suoi documenti nella città del Sud dove abitava. Sul piano della salute c’era molto da fare perché il suo stato generale era miserevole. Ho dovuto agire con astuzia per farlo visitare dal mio medico curante e per convincerlo a curarsi. Ha dovuto essere ricoverato in ospedale per un checkup completo perché il divorzio, la disoccupazione, l’alcool, il fumo gli avevano distrutto la salute. C’è voluto molto tempo e molte pratiche per risolvere tutti i suoi problemi, ma per me era una priorità. È stato necessario trovare una soluzione al suo problema con l’alcool. D’accordo con lui, ha incontrato uno specialista ed è stato in un’associazione. Ma ciò non è servito a molto, poiché mi diceva che era un altro mondo e che non si sentiva a suo agio. In seguito ha trovato un lavoro part-time in città, raccoglieva i giornali nelle strade. Era contento perché si 28 sentiva utile. Aveva ritrovato la sua dignità di uomo e mi diceva che ora avrebbe potuto partecipare finanziariamente alle spese. Dopo questo lavoro, che è durato due anni, ha fatto un corso di tre mesi per diventare agente di sicurezza. Ciò gli ha richiesto un grande sforzo perché aveva lasciato la scuola a 14 anni e ne aveva 46. È così che ha potuto trovare un lavoro come custode di un immobile nel quale ha potuto essere alloggiato. Dopo più di tre anni mio fratello aveva ritrovato la vita normale che ogni uomo ha diritto di avere per vivere una vita dignitosa malgrado le difficoltà. Lui era una persona che non si confidava facilmente, ma so che interiormente era segnato dal divorzio e soffriva di non vedere la figlia. A questo riguardo non ho potuto fare nulla, poiché dal momento in cui lei ha saputo che suo padre viveva a casa mia, non ho più avuto sue notizie. Anche per me ciò è stato molto difficile dal punto di vista morale. Questa missione che ho vissuto intensamente ha sconvolto la mia vita, sia sul piano personale che con le mie amiche, la mia famiglia, anche i miei momenti di libertà. Ma, se ce l’ho fatta, moralmente e fisicamente, è grazie alla preghiera personale e al gruppo ISM che mi ha sostenuto molto in questi anni. Spesso ho pensato all’atteggiamento di Francesco quando ha incontrato il lebbroso. Ha avuto un sentimento di rifiuto, di disgusto di fronte alla malattia. Anch’io ho avuto la stessa reazione di fronte a mio fratello quando mi si è presentato. Da allora mi faccio spesso la stessa domanda: «Nella mia vita ho sentimenti di rifiuto, di disgusto, di antipatia di fronte a certe situazioni o certe persone che mi si presentano?» Come rimediarvi? Nicole A. - Francia 29 Ormai anziana nel 1997 ho ricevuto la prima richiesta per collaborare col gruppo che assicura l’addobbo dei fiori della chiesa parrocchiale. In seguito a grandi cambiamenti, ho lasciato questo gruppo per assicurare da sola lo stesso servizio nella cappella dell’ospedale locale. La Messa viene celebrata il martedì, il venerdì e la domenica mattina dall’anziano cappellano, titolare in pensione, che ora ha 85 anni. La domenica, alcuni laici che fanno parte della cappellania vanno a cercare i pazienti dell’ospedale che si spostano solo con la sedia a rotelle. Poiché abito in una piccola casa con un grande giardino, vi ho piantato molti fiori con l’intenzione di poterli tagliare e portare in questa cappella. Con gli anni, diverse persone mi offrono di andare a prendere i fiori da loro a domicilio. Nel periodo invernale sono autorizzata ad andare da un fioraio a pagamento, ma il cappellano rimborsa la spesa. La maggioranza dei malati che vengono alla Messa sono donne. Anche loro hanno avuto giardini e conoscono i fiori, i loro profumi. A loro piace avvicinarsi ricordandosi la gioia di aver avuto queste cose che sembrano semplici e banali finché siamo in salute. Questo lavoro è l’attività di ogni sabato mattina: sapere dove devo ricevere i fiori delle altre persone alle quali chiedo di coglierli con i gambi lunghi. Non è facile far capire loro che gli addobbi che preparo non si mettono sul tavolo di un appartamento, ma in un’ampia cappella. Mi prendo cura anche di alcune piante verdi: annaffiatura, cambiamento di vaso o di terra, in base alle necessità. Per tutto il mese di maggio e di ottobre mantengo la cura dei fiori alla statua della Vergine Maria. Diverse persone e il nostro cappellano hanno una devozione molto spiccata per la Madonna e apprezzano questo gesto. 30 Durante la settimana passo dalla cappella per cambiare l’acqua nei vasi, soprattutto a causa del calore del luogo, poiché i fiori non resisterebbero più di 24-48 ore al massimo. Nel comporre gli addobbi, è un grazie, una lode che elevo al Signore: grazie per i tanti fiori donati dalle diverse persone o che prendo nel mio giardino, fiori che vanno ad illuminare questo luogo visitato dove si viene a pregare, ad affidare le proprie intenzioni, spesso dolorose. Vi si celebrano un certo numero di funerali con il gruppo della cappellania. Posso lodare il Signore per la bellezza del regno vegetale, per ogni persona, ogni famiglia rappresentata in questi fiori. Rendo grazie per la sua presenza al mio fianco in questo atto creativo. Lo lodo per la mia vita, la mia relazione con Lui, con gli altri e con il cosmo. Suzanne H. – Francia Per me la missione è rispondere a ciò che Dio si aspetta da me là dove sono nel mio contesto familiare, religioso, sociale e politico, e questo ogni giorno della mia vita. Il mio impegno nell’ISM mi aiuta nel discernimento per scoprire e fare ciò che a lui piace. Da quando sono entrata nell’ISM ho sentito che avevo una famiglia che mi proponeva il cammino che rispondeva alle mie aspettative. Vivere, lavorare, restare nel mondo, sforzandomi di restare fedele alla fede che avevo ricevuto e volevo condividere. Questo non è stato facile, ma a mano a mano che andavo avanti ero sempre più convinta che il Signore era con me e mi sosteneva attraverso le sorelle che mi aveva dato. Gli incontri ad Assisi, nel Burundi, a La Verna, nel Kenia, a Roma e più spesso con Roselyne e p. Renée a Maurice sono stati trampolini che mi hanno ridato lo slancio per andare sempre avanti. 31 Quando lavoravo, mi sforzavo di vivere la mia missione soprattutto con l’esempio del lavoro ben fatto e con una presenza amichevole tra i miei colleghi che erano in maggioranza non cristiani. Si trattava di un mondo freddo e duro ove ciascuno pensava soprattutto ai propri interessi, pronto a tutto per riuscire anche a scapito di coloro che lavorano con lui. Al momento di andare in pensione, quando ripensavo a ciò che avevo vissuto, avevo l’impressione di aver mancato al mio impegno di testimoniare l’amore di Cristo in ufficio, dove l’ambiente era sempre più difficile. Quando ho salutato i colleghi, molti mi hanno detto che essi avevano molto apprezzato il mio lavoro, la mia disponibilità, la mia amicizia. Ringrazio il Signore perché il contributo che l’ISM mi aveva dato per vivere il mio lavoro mi ha sempre sostenuta e fatta crescere malgrado lo scoraggiamento e i miei limiti. Ora che sono in pensione, resto maggiormente con mia mamma che è vecchia e non può camminare molto e che ha bisogno di chi si occupi di lei. Non ho voluto impegnarmi molto e per il momento faccio solo la catechista in un collegio a Port Louis, due volte a settimana. Il mio impegno ad essere solidale con tutti coloro che mi circondano è sempre stato la mia forza e la mia gioia. Vivo in pace con loro, prego con loro e per loro, nel bene come nei momenti brutti, sia che siamo in conflitto o in perfetta armonia, nel dialogo e nella compartecipazione. Monique R. - I Mauritius “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga…” (Gv 15,16) 32 Sono queste le parole del Vangelo che si riaffacciano nel mio cuore se mi domando quale sia per me il senso della missione. Accanto a queste le parole delle Costituzioni: “(La missionaria) si riconosce creatura che riceve vita e amore da Dio ed è sollecitata a restituire questi doni a Lui.” (Cost. art. 5) È dentro il mistero e la carezza del ricevere che il movimento dell’andare e del portare assume per me un significato nuovo e profondo. Portare frutto… Mi chiedo: come può un albero portare frutto? Cosa determina il colore del frutto? Da cosa dipendono il suo sapore e la sua dolcezza? Dalla terra, dal sole, dall’acqua, dall’aria… dal loro dono di bontà, di vita, di amore… Ricevere il dono della terra con le mani aperte, con occhi colmi di stupore, con cuore pieno di gratitudine, con la delicatezza di un amante: questo desidero vivere quando penso alla missione. Mi spiego… Le mie giornate sono quasi del tutto occupate dal lavoro. Il mio tempo trascorre, giorno dopo giorno, a contatto con bambini che portano nel proprio corpo un limite particolare: a volte sono le loro orecchie che non si aprono al mondo dei suoni, altre volte sono le gambe che non possono camminare oppure è la capacità di capire che rimane bloccata o l’abilità nel parlare che non si sviluppa secondo i modelli ai quali siamo abituati… Dentro queste realtà mi viene consegnato un dono: sono mani di bimbi, sono voci che non trovano suono, sono sguardi che non conoscono parole, è movimento che non trova la sua danza … È il dolore di tante mamme, un dolore così profondo da non riuscire talvolta a diventare lacrima… È la carezza piena di 33 speranza che danno ai loro bimbi… è la profondità del loro amore… a volte è la rabbia che esprime tutta la forza della vita… Questa terra mi chiama, mi cattura, mi apre all’incontro povero con il mistero dell’essere creatura. Nell’incontro posso solo tacere ed accogliere. Accogliere per valorizzare ogni piccola conquista, per riconoscere la dignità di ogni desiderio, per interrogarmi sul significato del limite e sul suo valore… per ascoltare con attenzione la Buona Notizia del Vangelo che mi viene offerta proprio dentro le realtà più difficili. …e il vostro frutto rimanga… Nel sorriso che si apre sul volto di un bambino che si sente accolto e capito credo che il Buon Dio sorrida al mondo e riveli la Sua tenerezza. E questa tenerezza, rivelandosi, rimane… Nel pianto di una mamma che abbraccia il proprio bambino e ne coglie ogni piccolo richiamo credo che il Buon Dio comunichi con il mondo e racconti la Sua bontà. E questa bontà rimane… Nella parola che finalmente riesce ad esprimere un pensiero credo che il Buon Dio narri al mondo il Suo desiderio mai stanco di comunicare. E questo desiderio rimane… Nella forza di un adolescente che “gioca” con le sue difficoltà e ne fa gioia di vita credo che il Buon Dio manifesti al mondo la Sua energia creatrice. E questa energia rimane… Negli occhi caldi e densi di silenzio di chi non riesce a parlare credo che il Buon Dio riveli la Sua presenza silenziosa accanto ad ogni uomo. E questa presenza, rivelata, rimane… Nella rabbia di chi non riesce ad accogliere il limite credo che il Buon Dio dica al mondo che la Sua creatura è destinata alla gioia. E questo anelito alla gioia, anche se dolorosamente gridato, rimane… 34 Ricevere le offerte di vita che mi vengono incontro attraverso le realtà che vivo: questo è per me il dono della missione. E poi andare e portare: non qualcosa di mio ma il frutto che la vita stessa mi consegna e che io ho solo il compito di accogliere con le mani aperte, come creatura che riceve vita e amore dal Padre e restituisce ogni cosa a Lui… Mi sembra che questo mi venga chiesto: ricevere perché il frutto rimanga… L. D. P. - Italia “Non scapperò mai più…” Quando ero bambina, a otto anni, ho letto una fiaba che raccontava di un piccolo abitante del bosco chiamato folletto. Il folletto abitava nel bosco, aveva un cuore generoso e aiutava tutti perché dotato di varie capacità. Quando un capriolo si feriva la zampa, correva dal folletto e lui lo guariva, quando un usignolo perdeva la voce volava dal folletto e lui gli restituiva la voce; quando la civetta non era più tanto saggia, si recava dal folletto per avere un consiglio, ecc. Tutti gli abitanti del bosco andavano dal piccolo folletto con le loro miserie, dolori, debolezze, paure, con la propria vita. Alla fine il folletto si era stancato di ascoltare i lamenti del bosco; ne aveva avuto abbastanza. Sentì il desiderio di fare qualcos’altro, di fare qualcosa per se stesso, di fuggire gli schiamazzi della foresta. Si procurò quindi le provviste, scavò una tana profonda, la ricoprì di foglie e vi si nascose. Si sentì libero, al sicuro. Ma gli abitanti del bosco iniziarono a cercare il folletto. Perché la rondine si è era spezzata un’ala, perché il piccione aveva perso la sua compagna di vita, perché… Tutti avevano bisogno dal folletto, ma il folletto non c’era più. Lo cercavano, gridavano, piansero… Tutto ciò giunse alle orecchie del folletto, lui però non volle sentire. Si rintanò ancora più profondamente nel suo 35 nascondiglio, si turò le orecchie… Aveva pur il diritto di riposarsi, aveva pur il diritto di pensare a se stesso, aveva pur il diritto… Ma, di fronte a queste grida non riuscì a resistere. Sì, uscì dalla sua tana, si mise a sedere accanto al salice piangente e disse: non scapperò mai più! Questo racconto mi ha profondamente toccata. Mi ricordo che allora dissi che anch’io volevo far lo stesso, che anche io volevo essere come questo folletto del bosco. È stata un’idea infantile, ma il messaggio di questa fiaba - non scapperò mai più! - mi ha accompagnata incessantemente nella vita. Avevo desiderio di aiutare. A nove anni ho iniziato ad andare a Messa tutti i giorni. Ciò non faceva parte delle abitudini della mia famiglia. I miei si meravigliarono, ma non protestarono. Oggi riconosco in questo una speciale preparazione, un “retroterra” delle future risposte e scelte. Questo messaggio mi ha accompagnato nella scelta dell’indirizzo degli studi: facoltà di medicina o di psicologia? In questo campo è possibile portare aiuto. La psicologia sembrava contenere, oltre alla componente somatica, anche quella psico-spirituale, e quindi l’uomo integralmente. Io volevo mettermi a servizio delle persone. Mentre ero all’Università sognavo le grandi missioni, i Paesi di missione, l’evangelizzazione, volevo dedicare la vita a qualche causa, ecc. Grandi ideali! Immaturi. Dopo essermi laureata, sono entrata all’ISM. L’Istituto secolare in un certo senso rispondeva al mio desiderio iniziale (al di là della questione fondamentale della scelta di vita consacrata) di trovarmi fra i bisognosi per le strade del mondo, mentre la spiritualità francescana corrispondeva al mio concetto di stare con gli ultimi: minorità. E’ la mia missione. Da qui la scelta della specializzazione clinica ed il lavoro con i malati psichici. Il lavoro nella clinica psichiatrica è la scelta di 36 stare fra gli “ultimi”. I malati psichiatrici sono “marchiati”, stigmatizzati. Chi di noi vorrebbe fare amicizia con un malato psichico, invitarlo a cena, uscirci insieme per andare ad un concerto, offrirgli un lavoro…? Lo stesso succede nella Chiesa. Questi malati girano intorno alla Chiesa, arrivano nelle varie comunità. Ma, a dire la verità, “non si integrano con gli altri” Sono diversi, strani. Vengono tollerati, trattati con indulgenza. Oppure si parla con loro in maniera civile, gentile, ma non li si prende sul serio. Non sono per noi dei partners, non sono uguali a noi. Vengono respinti. Perché? Se guardiamo le cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio è più facile ottenere dalla Chiesa la sentenza di nullità nel caso in cui uno dei coniugi abbia problemi psichici rispetto ad altri casi. “Marchiati”. Sembra che sia più facile dare denaro al bisognoso, o suggerire la risoluzione di un problema, il cosiddetto buon consiglio. Più difficile è dare il proprio tempo. Il mondo è motivato dal successo, dal progresso, dalla posizione da conquistare. I miei malati hanno bisogno di essere accompagnati in modo speciale. Cerco di dare loro il mio tempo, stando loro vicino tenendo la loro mano, senza dire niente. Il figlio della signora Anna si è suicidato a novembre. La signora Anna è caduta in depressione. Che cosa si può dire? Alessandra a otto anni veniva sottoposta ad abusi sessuali. Oggi ha dei problemi con il suo matrimonio e in famiglia. Il Signor Piotr, al ritorno dal lavoro ha trovato la casa vuota: la moglie se ne era andata con un altro uomo, portando con sé i figli. Divorzio? Non esistono soluzioni semplici. Sto con loro. Talvolta riflettiamo insieme, valutiamo le cose. Talvolta condividono qualcosa di ciò che sentono, esprimono le loro emozioni. Qualche volta telefonano alle due di notte, in preda alle paure. Ho dato loro il permesso di farlo. E loro non se approfittano. Sono con loro, con le loro angosce, 37 con il loro senso di rifiuto, con la loro solitudine. L’orario di lavoro nella clinica si estende alla mia casa. Possono venire sempre (vivo da sola). Cerco di condividere con loro il mio tempo senza guardare l’orologio. Qualche volta andiamo a fare una passeggiata insieme, andiamo al mare e sulla spiaggia raccogliamo i pezzi d’ambra. Qualche volta li porto con me in montagna a sciare, cosa che talvolta risulta imbarazzante per me e per la mia compagnia, perché loro sono diversi, si comportano in modo diverso, non rispettano le nostre regole. Ma che problema c’è nel vivere con quelli così detti ”regolari”? I miei colleghi (ma anche le mie sorelle dell’Istituto) mi dicono che dovrei imparare a “dire di no”, che è stato Gesù a salvare il mondo, che è importante l’igiene della vita quotidiana, che dovrei avere cura di me e della mia salute, che non riesco a adempiere ad altri miei doveri. È vero. Probabilmente hanno ragione. Ma da qualche parte risuonano come un’eco le parole del folletto del bosco: - non scapperò mai più! -, non fuggirò dall’uomo e dal suo mondo. Non faccio niente di straordinario. Ho potuto comprendere quanto è sensibile l’altro, anche colui che ha problemi psichici, quant’è ricco il suo mondo, quanto grandi sono i drammi che vive, quanto mi dona l’amicizia con lui. Giovanni Paolo II nell’enciclica Dives in misericordia sottolinea la reciprocità del dono: colui che dona riceve anche lui in dono (cfr,14) Voglio bene ai miei malati. Sono per me un dono. Cerco di essere non tanto per loro quanto in mezzo a loro. Tante volte perdo questa idea. Ha senso questa missione? È questa la chiamata dell’Istituto? Ẻ questa la vocazione mia? Talvolta mi vengono molti dubbi. Provengo da un bella famiglia e ho sempre avuto un gran rispetto della vita matrimoniale e familiare. Talvolta penso che la vita in famiglia abbia più senso rispetto alla vita che ho scelto io. Perché ho 38 fatto questa scelta così radicale? Non trovo una risposta razionale. Gesù! Verso la fine degli studi ho conosciuto un ragazzo. Ci univa una profonda amicizia. Tutti e due ci siamo laureati, abbiamo trovato lavoro, casa. Eravamo pieni di salute, di gioia, e facevamo timidamente progetti per il futuro. Eppure sono stata io a prendere la decisione, in risposta ad un desiderio portato nel cuore da anni, di scegliere una vita consacrata a Dio e una vita completamente dedicata ad altri, dedicata agli “ultimi”, nel mio caso, agli uomini con i problemi psichici. La missione era unico senso della mia vocazione. L’Istituto mi ha dato un forte slancio, lo stimolo della missione. La comunità è diventata veramente la mia famiglia che, nella condivisione dei pensieri, delle esperienze, della santità, della dedizione, come pure delle difficoltà e degli errori, il più delle volte mi fa vergognare, ma nello stesso tempo mi fa vedere che si può e che vale la pena…Semplicemente, stare nella comunità vocazionale è un sostegno e un aiuto nei momenti in cui, come quel folletto vorrei fuggire e nascondermi da qualche parte, ad esempio nella cella di un monastero. A volte sento la nostalgia di un vita monastica. Avrei voluto fuggire da questo mondo e condurre una via “santa e tranquilla”. In quei momenti la comunità dell’Istituto mi richiama “all’ordine”, e attraverso dei gesti spesso piccoli e sorprendenti, attraverso una preghiera costante, attraverso la stessa la presenza, mi aiuta a intraprendere di nuovo questa missione. La missione per rimanere con questi ‘ultimi’. Quindi non scapperò mai più! Danuta P. - Polonia Missione: significa portare la Buona Novella a tutto il popolo (Mc 16, 15-20) Coloro che credono e sono battezzati saranno nell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. 39 Nell’amore del Padre, diventeremo veramente figli di Dio. Nell’amore del Figlio, riceveremo l’amore del primogenito che è Fratello nostro: in lui tutti diventeranno fratelli e sorelle. Nell’amore dello Spirito Santo possiamo amare gli uni e gli altri come fratelli e sorelle e scoprire che tutti sono creati a nostra immagine e questo ci fa crescere nella pianezza come figli di Dio. In conseguenza, noi popolo, ci libereremo dalle contraddizioni, supereremo i conflitti, le repulsioni, i sentimenti e gli atteggiamenti negativi sugli avvenimenti, sulle situazioni di vita e sugli altri. Ci libereremo dalla nostra paura della morte, dei fallimenti, dei disprezzi e da altre esperienze negative. Sperimenteremo profonde guarigioni e riconciliazioni con noi stessi, con Dio, con le altre persone e con la storia, anche del passato. La missione di ogni cristiano è di proclamare e crescere nel regno di Dio che si estende in tutto il mondo. Gesù, inviato dal Padre, è la fonte e l’origine della missione della Chiesa; il successo nella missione dipende dall’unione vitale con Lui e con lo Spirito Santo. La missione comprende e si rivela tramite ogni cosa che dico e che faccio in Cristo e con Cristo, in tutto il mio cammino, come cristiana e come persona consacrata e anche nella mia relazione con ogni persona. Ad esempio, nella misura in cui sono segno dell’amore di Dio per ogni singola persona e anche nel modo in cui rispetto la diversità e la libertà di ogni essere umano e creato. La missione si esprime anche nel mio costante servizio ai fratelli, facendo di me stessa la più piccola fra i piccoli. E’ essere aperta ad ogni legittima aspirazione delle persone, 40 particolarmente dei più poveri. In tal modo, promuovo ovunque una vera crescita nella vita con Cristo. In conclusione, la missione implica preghiera per tutte le famiglie portandole nell’abbraccio amoroso di Francesco; colui che diventò povero per donarsi ai poveri e agli abbandonati. Missione è abbracciare i rischi per poter portare la buona novella dell’amore di Dio a coloro che la ignorano o la disertano preferendo il potere del denaro o la incomprensione del significato della vita umana. In una parola, essere nel mondo, ma non del mondo; così da poter approfondire il senso della vita e poter accudire i bisognosi, i bambini della strada, le ragazze-madri, ecc., con un cuore che cresce ogni giorno nella sua capacità di amare come è stato chiaramente evidente nella personalità di San Francesco di Assisi. Angelina K. - Sudan Il 1 gennaio 2009 ho fatto un bilancio ed allo stesso tempo ho guardato al futuro. Dopo quasi 40 anni dalla mia professione come missionaria “in mezzo al mondo” e dopo tante diverse attività mi sono chiesta cosa significhi per me, che sono in età avanzata, la “missione” oggi. Sono del 1933. Il 2 gennaio, però, all’improvviso la situazione si è capovolta. Una caduta sulla strada ghiacciata (mentre mi recavo alla S. Messa) ha completamente stravolto la mia quotidianità. Dapprima c’è stato il ricovero in ospedale per una frattura tripla al piede ed una ferita alla spalla, poi 3 mesi di convalescenza (in condizioni di non-autosufficienza) in una casa di riposo, di cui 6 settimane sulla sedia a rotelle. Adesso sono di nuovo a casa, ma il processo di guarigione sarà ancora lungo. In questa maniera mi si è aperto un “nuovo mondo” di dipendenza, di calma e di ritiro interiore. In tutte queste 41 vicende ho avuto molti segni di partecipazione amorevole, soprattutto dalle missionarie della Svizzera, come anche da quelle della Germania e dell’Italia. Nella certezza di essere nelle mani di Dio in tutte le circostanze della vita, percepisco la provvidenza di Dio molto concretamente in vari segni e mi rendo conto che adesso deve maturare un periodo più calmo della missione. Grata per la mia vocazione di missionaria. Marianne G. - Svizzera La missione è il cammino continuo di ogni Missionaria verso un’unione profonda con Gesù e la personale volontà di usare i suoi doni e talenti per integrarsi nell’ambiente dove vive, partecipando alla storia del mondo intero lì dove si trova. Dio ha mandato Cristo … La sua missione è stata consegnata ai suoi discepoli e poi a noi. È Gesù che chiama ognuna lì dove si trova a vivere e lavorare. Partecipando nella Chiesa, nella vita civile dei gruppi/famiglia/lavoro/ISM, portiamo Gesù che opera tramite il servizio per gli altri. Circa 5 anni fa, mi sono trasferita qui dove abito ora per stare più vicino alla mia famiglia. Dista circa 1000 miglia da dove abitavo prima. Non avevo idea dove il Signore mi portava perché non conoscevo nessuno, a parte la mia famiglia. Poiché sono stata sempre molto impegnata e ho preso a cuore la mia missione di insegnante e come membro attivo della Diocesi e di vari ministeri parrocchiali, so che il Signore mi chiamava anche ad aiutare nel programma di formazione della mia parrocchia, ma come mai ???? Dopo un lungo periodo di preghiera, mi sono presentata al volontariato come insegnante nella classe di quarto grado. Poi c’è stato bisogno di insegnare anche al secondo e sentivo la chiamata del Signore di rispondere anche lì. Avevamo più di 42 mille alunni e mentre si andava avanti mi chiamavano anche come tutor privato (insegnanti di recupero per coloro che hanno saltato il primo grado) per essere inseriti alla preparazione per la Prima Comunione. Questa è stata un pò la sfida perché era necessario lavorare anche con i genitori. E continuavo con il recupero. Tutti questi impegni mi rendevano soddisfatta. Andando avanti, le due donne incaricate al programma di Formazione nella Fede, mi hanno chiesto di fare da consulente perché avevo molti anni esperienza in questo campo e in varie parrocchie della Diocesi di Worcester, e avevo comunque la preparazione professionale per questo lavoro. Ancora una volta ho accettato di collaborare. Nella città vicino casa, abbiamo un programma per insegnare gli adulti immigrati a scrivere e leggere e ad imparare l’inglese. Una volta a settimana, ho due donne che vengono da me per questo. Tutte due svolgono dei lavori ed è necessario che imparino l’inglese per poter lavorare. Una scuola cattolica, Nostra Signora di Lourdes, frequentata da mio nipote, cercava qualcuna che potesse sistemare la biblioteca e assistere la bibliotecaria per alcuni giorni alla settimana. Il mio nome è stato suggerito, quindi mi hanno chiesto se potevo aiutare. Ancora una volta ho sentito la chiamata del Signore ad usare il mio talento per gli altri, quindi ho accettato l’invito di fare la bibliotecaria per due giorni alla settimana. La mia Missione comprende anche il servizio alle Missionarie della Zona USA, prima come Presidente per 8 anni ed ora come Formatrice. E’ stata una esperienza che mi ha reso umile e allo stesso momento è stato un privilegio servire ed assistere le Missionarie nel cammino spirituale. Il buon Dio ci chiama a portare avanti la Sua opera lì dove siamo, occorre 43 solo aprirsi e rispondere alla sua chiamata al servizio quando le occasioni si presentano davanti a noi. “La Missionaria è invitata a riconoscere nella storia e nei bisogni dell’umanità, i segni della presenza di Dio e la sua chiamata …”(Art. 8 delle Costituzioni) Charleen D. (USA) Vedo un’opportunità per la missione ovunque vivo la mia consacrazione. Potrebbe essere in ospedale dove lavoro come infermiera anestesista, in parrocchia come formatrice della religione e come ministro dell’Eucaristia, nell’ISM come membro del consiglio della Zona e incaricata del sito dell’Istituto, o anche nell’assistenza alla mia famiglia. In ospedale, il mio compito principale è la somministrazione dell’anestesia e l’assistenza dei pazienti durante l’intervento chirurgico. Il tutto comprende la valutazione della situazione medica, spiegare le procedure e insegnare tutto quello che è necessario sapere per la sua preparazione. Molto spesso in questo percorso con i pazienti, mi accorgo della loro fede, della loro preghiera per una buona riuscita e anche quando chiedono a Dio di guidare la mano del chirurgo e dell’équipe durante l’intervento. Ho anche pregato per i pazienti, particolarmente nei momenti critici. Un’altra faccia della missione nel mio ambito di lavoro è dare attenzione totale al paziente, garantendo che nella sala operatoria, il paziente sia sempre la persona più importante. Fa parte dell’impegno della mia consacrazione l’onestà e la sincerità che si realizza nella mia relazione con i pazienti, con l’équipe, i miei superiori e anche nel gestire i documenti o l’archivio. Non c’è spazio per gli errori quanto si tratta del paziente. In tanti anni che sono passati, la mia missione è stata distribuita tra la mia responsabilità nel lavoro e nella famiglia. Mio padre ha avuto la demenza senile quindi è stato difficile 44 per la mamma assisterlo da sola. Ho potuto aggiustare il mio orario di lavoro per assistere mio padre. Il mio stare con lui è stato un dono tanto quanto è stato difficile. Non mi conosceva più, però abbiamo instaurato un rapporto. Per lui ero una nuova amica. Nello stesso tempo i miei due fratelli si sono ammalati di cancro. Uno di loro aveva una famiglia molto disponibile ad aiutarlo ed assisterlo, mentre l’altro aveva dei figli che non si sono accorti della gravità della sua malattia. Mi ha chiesto di aiutarlo a prepararlo per la morte. All’inizio non è stato semplice per me, non ero a mio agio perché lui era più grande di me. Come potevo aiutarlo? Non ero pronta a perdere mio fratello. Lui è stato lontano dalla Chiesa per molti anni, e desiderava di avere di nuovo Dio nella sua vita. L’ho fatto incontrare col parroco della mia parrocchia e in quell’incontro lui ha avuto un’esperienza di conversione che ha toccato nel profondo sia lui che il parroco. Nei due mesi seguenti ho potuto parlare e condividere con lui la mia fede quanto lui ha parlato con me della sua. Nelle ultime settimane di vita, non ha potuto più prendersi cura di se stesso. Mi ha dato il privilegio di assisterlo. Ci sono stati momenti molto forti, quando si è reso conto che stava tornando a Dio e ha potuto cedere, anzi ha aspettato con ansia il passaggio. É stato per me un dono poter assistere al suo cammino. La missione mi ha portato in varie direzioni che non avrei scelto. Le strade non sono state piane e lisce ma con dislivelli molto alti e bassi. La grazia della mia consacrazione e la mia conoscenza di Dio sono stati il mio aiuto, la forza e il coraggio nei momenti più difficile e anche in quelli felici. Mary Lou C. 45 46 SECONDA PARTE Per riflettere … 47 48 RIFLESSIONI E APPROFONDIMENTI GESÙ, L’INVIATO DEL PADRE: LA NOSTRA MISSIONE PARTECIPE DELLA SUA MISSIONE Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro (Gv 17, 24-26). Queste parole, pronunciate da Gesù alla fine del cosiddetto “discorso di addio” che il quarto evangelista riporta nel corso dell’ultima cena, dicono in poche espressioni molto dell’identità del Nazareno e dell’identità dei suoi discepoli. Innanzitutto, l’identità di Gesù di Nazaret. La sua preghiera fiduciosa lascia trasparire la particolare intimità che c’è fra lui e Dio. Non solo lo chiama, come mai nessuno lo aveva chiamato, “Padre”, ma ha la confidenza per dirgli “voglio”. Solo dove c’è un amore e un rispetto grandi si può ardire di usare questo verbo senza che suoni pretesa o imposizione. Il quarto vangelo è l’epifania del monogenés, dell’Unigenito dal Padre (Gv 1, 14c), che non è il Padre, ma che nel contempo è profondamente uno con lui: io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30); egli stesso dice del Padre mi hai amato prima della creazione del mondo (Gv 17, 24). Come sia possibile salvaguardare in Dio l’unità della natura e la 49 distinzione delle persone resta per noi uno sforzo intellettivo insuperabile, tuttavia noi in qualche misura sappiamo che è possibile. Lo sappiamo perché Gesù Cristo ce lo ha rivelato. Lo sappiamo perché l’amore con il quale il Padre ama il figlio è in noi. Perché che cos’è tale amore se non lo Spirito Santo, che è nel Padre e nel Figlio e contemporaneamente in noi? Si compiono così le parole di Gesù (cf. Gv 17, 26: l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro). Se la mente annaspa nel doversi capacitare di un mistero insondabile come quello della Trinità, il nostro cuore sa che è possibile essere uno-in-molti e molti-in-uno, così come avviene in Dio, così come avviene tra noi mortali quando amiamo qualcuno con tutto noi stessi. Quindi è soprattutto attraverso l’amore che noi capiamo qualcosa del mistero di Dio. Tuttavia la chiarezza con cui possiamo conoscere queste profondità non ci sarebbe data in modo inequivocabile se il Padre non avesse mandato suo Figlio nel mondo. L’Unigenito è l’inviato. Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3, 16-17). Pur senza perdere le sue prerogative divine (il Verbo era Dio, Gv 1, 1c), pur senza abbandonare la sua inestricabile condivisione di vita con il Padre (il Verbo era presso Dio, Gv 1, 1b), l’Unigenito venne inviato dal Padre in mezzo a noi: venne fra i suoi (Gv 1, 11); il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14). Ecco la “buona novella” annunciata ad ogni persona: c’è un Dio, che ha creato il mondo (il mondo è stato fatto per mezzo di lui, Gv 1, 10b) e che continua a prendersi cura della sua creatura. Ma poiché essa è in pericolo, si trova prigioniera delle tenebre e dell’ombra di morte, allora ha deciso di liberarla, 50 di riscattarla, di redimerla. E come poteva liberare il mondo un Dio immateriale e infinito se non facendosi materiale e finito? Dio ha deciso di liberare il mondo dal di dentro, irrompendo nella trama della storia per trascinare ogni nostro istante all’interno del vortice d’amore della sua vita infinita. Il Battista lo riconosce: Ecce agnus Dei, qui tollit peccatum mundi (Gv 1, 29). Dice tollit, cioè “toglie”, “elimina”, ma anche “prende su di sé”. Potremmo tradurre: “colui che elimina il peccato addossandolo su di sé”. Ecco il mistero di Gesù di Nazaret, l’Unigenito: l’uomo-Dio. Egli nel contempo è venuto a rivelare l’amore salvifico di Dio e a compierlo. La sua manifestazione al mondo è nello stesso tempo azione di liberazione e annuncio di questa liberazione, come a dire che, attraverso le sue parole e i suoi segni, Gesù Cristo ha gridato al mondo: “guardate, io sono qui per liberarvi. Io sono il vostro liberatore e colui che vi annuncia la liberazione!”. L’Unigenito, in quanto inviato per salvare il mondo, è perciò il primo missionario. Egli è la scaturigine di ogni missione compiuta nel suo nome. L’oggetto del suo annuncio è egli stesso, in quanto liberatore, ma anche il Regno di Dio, in quanto meta della liberazione. Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10, 10). Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria (Gv 17, 24). “Dove sono io” indica uno stato di vita più che un luogo fisico. È la condizione di profonda comunione tra il Padre e il Figlio, la sua “gloria”. Gesù nel vangelo di Giovanni usa anche alcune immagini per abituare i suoi discepoli a “vedere” il mistero: parla di fonte d’acqua viva (cf. Gv 4, 14; 7, 37-38), pane che non si guasta (Gv 6, 27.33-35), luce che vince la morte (Gv 8, 12; 12, 46), via (Gv 14, 6), vite (Gv 15, 1-8). Attraverso queste immagini ed espressioni, come “diventare figli di Dio” (Gv 1, 12), 51 “nascere dall’alto” (Gv 3, 3.5), “essere riempiti dello Spirito” (Gv 7, 39; 14, 16), l’Unigenito rivela al mondo che c’è un mondo ulteriore. Gesù Cristo rivela ai suoi discepoli che, dal di dentro di questa storia si sta sviluppando un futuro di felicità senza fine, che chiamiamo Regno di Dio perché in esso Dio regnerà senza avere alcun rivale al trono, avendo vinto la morte che pretendeva di dominare sul creato. Se questa è l’identità dell’Unigenito così come lui stesso ce la rivela nel quarto vangelo, allo stesso modo occorre che riconosciamo in lui la nostra identità di suoi discepoli. Questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato (Gv 17, 25). I suoi discepoli sono coloro che lo hanno accolto, cioè che hanno capito di chi si trattava. E a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio (Gv 1, 12). L’uomo, la donna che accoglie il Verbo rivelatore del Padre è la persona che non si lascia ingannare dalle apparenze e dal paradosso di un uomo-Dio, ma sa vedere la divinità di Gesù di Nazaret dentro e oltre la sua umanità. Così, riconoscendolo come l’Unigenito del Padre, come l’Agnello di Dio, quell’uomo, quella donna diventano veri discepoli. Ma la conoscenza di Dio non è solo un fatto teorico. Conoscere Dio significa amarlo. E non si può amare Dio se non del suo stesso amore, perché l’uomo, lasciato alle sue sole forze, può solo temere Dio. Ecco perché i discepoli sono anche figli: perché alla scuola del Verbo non si impara a parlare di Dio, ma ad amare Dio. Ed ecco, allora, la caratteristica più autentica di ogni missionario, di ogni missionaria. Le vostre Costituzioni dicono: Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Suo Figlio Unigenito. Partecipe della sua missione, la Missionaria è chiamata a “far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre ci chiamò alla sua ammirabile luce”; a dare testimonianza a 52 Cristo “rendendo ragione della speranza” che è in lei; ad annunciare il Vangelo ovunque (Cost. ISM, art. 7). Che cosa significa “partecipe della sua missione”, cioè della missione di Cristo? Significa ricordarci che anche noi, come Cristo, siamo missionari in quanto mandati, “inviati”. È il Figlio che ci invia al mondo, così come lui, a sua volta, è stato mandato dal Padre nel mondo: come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo (Gv 17, 18). Ne traiamo alcune importanti conseguenze pratiche. 1. La Missionaria deve vivere della stessa intimità che sussiste tra Padre e Figlio. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17, 21). L’essenza stessa dell’essere inviato è conservare un legame di profonda unità con chi invia. Essere missionari di Cristo non è semplicemente portare il suo annuncio. Occorre essere permeati da quell’annuncio, coinvolti da quell’amore, travolti da quella passione. Altrimenti non siamo missionari: siamo vuoti trafficanti di notizie. Ne deriva, per la vostra vita di Missionarie, l’esigenza di coltivare una buona vita di preghiera personale e comunitaria e una cordiale adesione alle iniziative dell’Istituto, che per voi è locus theologicus privilegiato nel quale vi si rivela l’amore di Dio attraverso la via stretta del voto di castità e delle promesse di povertà e obbedienza. 2. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo (Gv 12, 47). Non possiamo essere missionari di Cristo e avere un approccio al mondo diverso da quello che lui ebbe. Se Cristo ha amato il mondo, noi non possiamo disprezzarlo; se Cristo ha abbracciato ogni creatura, 53 noi non possiamo evitarle. La Missionaria, trascinata dall’amore del Padre e del Figlio, che è lo Spirito Santo in noi, ama di un amore tenero e appassionato questo nostro mondo, questa nostra storia. Certo, proprio perché lo ama, sa riconoscerne i limiti, perché lo vede non con occhi di seduttrice ma con sguardo di amante, e deve ricordare al mondo che buona parte di esso è transeunte, è penultima, e che c’è una realtà ultima futura, una vita buona e felice senza fine, che scorre nel presente come linfa nascosta in ogni azione di bene compiuta con gratuità. Tuttavia solo entrando in empatia con il mondo si può annunciare ad esso con coraggio la buona novella del Regno. Il nostro annuncio sarà tanto più ascoltato quanto meno si porrà altezzosamente in un atteggiamento di giudizio e, tanto meno, di condanna. Non si tratta di tacere di fronte alle ingiustizie o di condividere la mentalità dell’effimero che pervade ogni struttura della nostra società, ma è chiaro che per poter parlare ed essere ascoltati occorre saper intercettare l’interlocutore proponendogli di entrare in dialogo con noi. E non si dà dialogo autentico se non si entra in sintonia con l’interlocutore. La Missionaria della Regalità di Cristo non deve temere di entrare in dialogo con chiunque, anzi, proprio per la sua specifica vocazione di consacrata nel mondo ha la possibilità e la responsabilità di portare la parola di Dio anche laddove risulterebbe più difficile per chi si presentasse come “contrassegnato” esteriormente da un’appartenenza religiosa cristiana. 3. Infine non dimentichiamo che il missionario di Cristo è portatore di un dono che non gli appartiene, così come Cristo stesso non è venuto nel mondo per fare quello che voleva: Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera (Gv 4, 34). Voi non siete missionarie dei vostri progetti o delle iniziative dell’Istituto o dei 54 programmi delle Diocesi: voi siete missionarie di Gesù Cristo. Può darsi che la sua Parola si incarni nei vostri progetti, nelle iniziative dell’Istituto o nei programmi delle Diocesi, ma può anche accadere che, forti dei nostri pregiudizi, agiamo non condotti dallo Spirito di Dio ma dal nostro orgoglio. C’è tutto un mondo innanzitutto dentro di noi, dentro le nostre persone e dentro le nostre realtà comunitarie, che richiede di essere adeguatamente amato e quindi evangelizzato, perché si converta davvero alla sconvolgente verità di un Dio che regna dalla croce. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga (Gv 15, 16). Andate, dunque, Missionarie di Cristo, e portate frutti di buone opere che rimangano in eterno per la costruzione del Regno di Dio. Fr. Ernesto D. – Italia 55 QUALE MISSIONE PER NOI OGGI? Dalla lettura delle Costituzioni traspare un desiderio di risposta al grande amore di Dio che, nello spirito di Filippesi 2, 5-11 e nell’esperienza spirituale di Francesco d’Assisi, accetta di farsi fragile e di lasciarsi spezzare nel dono di sé. Ne emerge il volto di una piccola fraternità di donne innamorate, appassionate di Dio e dell’uomo, che si accompagnano nel cercare il Signore volendosi bene e testimoniando che è possibile vivere le Beatitudini nel quotidiano, ad ogni età e condizione di vita, con piena dedizione... fino alla fine. Parlando di Missione, dunque, il discernimento più vero che possiamo operare non è tanto sul “fare”, sul “dove”… quanto sull’“essere”, sul “come”. La prima attenzione è alla vita interiore, non certo per intimismo… ma perché l’amore e la passione non si spengano mai e lo Spirito possa continuare in noi “la sua santa operazione”. Dalle Costituzioni non si evidenzia un progetto di missione luccicante, non una missione gridata … ma un progressivo ritrarsi, un desideroso decrescere nell’urgenza di restituire in perdita tutto ciò che si è avuto in dono, per amore. É lo scandalo della croce, é l’accoglienza della Pasqua… Rileggendo le Costituzioni… “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; 56 ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.” (Fil 2, 5 - 11) Il testo tratto dalla lettera ai Filippesi, con cui iniziano le Costituzioni, ci dice che la missione di Gesù avviene attraverso la kénosi: non un movimento trionfale, né particolarmente “attivo”, ma il mistero che si manifesta • nel discendere • nello spogliarsi • nel servire • nell’umiliarsi • nel divenire”simile agli uomini” • nell’obbedire “fino alla morte e alla morte di croce”…: É il mistero dell’amore. Questo è il cuore delle nostre Costituzioni, alla luce del quale possiamo e vogliamo rileggere la nostra missione. 57 Art.1 – La missione è espressa, nel nostro nome, dall’essere donne che testimoniano la possibilità di vivere il Vangelo alla sequela di Gesù obbediente, povero e casto, nella condizione secolare. Art.2 – Il Carisma è la secolarità consacrata per la missione, nello spirito di S. Francesco. In questo caso il termine “per” non indica una realtà funzionale, ma un legame profondo tra CONSACRAZIONE, MISSIONE, SECOLARITA’. Art.4 – Il significato del nostro nome è, prima di tutto, riconoscere di essere amate e, per amore, perdere la vita per il Regno che “è vicino” e già urge dentro di noi. Siamo chiamate a rimanere in questo grande mistero come “lievito di sapienza e testimoni di grazia”, nel cammino della comunità degli uomini, partecipi della comunione dei santi. Art.5 – L’azione dello Spirito (“Lo Spirito del Signore e la sua santa operazione”) crea in noi quel movimento interiore che, a partire dalla consapevolezza lieta della nostra creaturalità, ci sollecita a restituire il dono della vita. Art.6 – In ragione di questa dinamica dell’amore possiamo dire che tutta la vita è missione, rivelazione e annuncio dell’amore universale di Dio. La missione non è una “cosa”, un adempimento, un aspetto della vocazione, un impegno: è la vita. I segni di questa continua “operazione” dello Spirito in noi sono: - vivere il Vangelo “sine glossa” - servire nello spirito delle Beatitudini - partecipare alla Pasqua del Signore 58 - condividere con l’umanità tutta la vita. VIVERE, SERVIRE, PARTECIPARE, CONDIVIDERE: la vita interiore e la concretezza del quotidiano si nutrono l’una dell’altra, respirano l’una nell’altra… Art. 7 – La testimonianza (martyria) e l’annuncio con franchezza (parresia) sono la nostra partecipazione alla missione di Cristo, mandato dal Padre per amore. Una missione laicale: capace di riconoscere alle cose del mondo un significato proprio che i misteri dell’Incarnazione e della Pasqua hanno suggellato definitivamente, dopo l’atto creativo delle origini, come “cosa buona”. Art.8 e 9 – “In principio la Parola”: la Parola sollecita e sostiene la vita e la missione. La ricerca appassionata della presenza dello Spirito in noi e l’accoglienza della sua chiamata, che avviene continuamente attraverso la storia, è ciò che motiva alcune scelte e stili di vita, di lavoro e di servizio. Gli stili di vita (Art. 8,9,10,11,12): - rispetto per ogni persona - sostegno al valore della donna nella società e nella Chiesa - partecipazione ai diversi ambiti del vivere sociale ed ecclesiale - servizio ad una convivenza umana vera, libera, pacifica - collaborazione per la cura del creato - condivisione del lavoro come grazia (con competenza, servizio, restituzione dei beni …) - accettazione delle difficoltà e delle responsabilità in minorità 59 - assunzione del tempo (anche quello del pensionamento) come opportunità accoglienza della malattia, dell’anzianità, della debolezza alla luce del Regno partecipazione alla comunione ecclesiale attesa vigilante della pienezza del Regno impegno per l’unità e il dialogo scelta del riserbo come minorità, per la secolarità Gli atteggiamenti della vita interiore sono già missione. Mi interrogo sul mio essere: Art.14: - pellegrina sulle strade del mondo - libera da ogni attaccamento - capace di restituire a Dio i suoi beni - grata Art.17: - feconda - in relazione - in solitudine - in cammino - nella custodia amorosa della vita (amicizia, bellezza, gioia, creatività) Mi interrogo sul mio stare: Art.18 e 19: - nell’abbandono fiducioso a Dio - nella sobrietà – essenzialità – solidarietà per la giustizia - nella condivisione - nel dono - nella responsabilità - nel discernimento 60 - nella ricerca del bene comune nell’ascolto della volontà di Dio nel servizio vicendevole Mi interrogo sul mio rimanere: Art. 20, 21, 22: - nell’accoglienza dell’amore sponsale, in qualunque situazione della vita - nella ricerca di Dio - nella contemplazione attraverso la vita di ogni giorno - nell’offerta - nella lode - nella benedizione - nel dono della vita come pane spezzato - nel continuo cammino di conversione - nel perdono ricevuto e dato - con Maria Mi interrogo sul mio sperimentare concretamente che: Art.28: - la vocazione (e quindi la missione) si svela progressivamente Art.29: - la formazione, nutrita di Parola e di storia, cresce con la vita Mi interrogo sulla mia disponibilità: Art.30: - al cambiamento - al confronto fraterno - alla lettura sapienziale della storia Laura L.- Italia 61 LA NOSTRA MISSIONE: LAICITÀ E PROFETISMO S’INCONTRANO La nostra missione di laiche consacrate si caratterizza e si definisce in parte per la nostra maniera di vivere e di coordinare nel modo giusto la laicità e il profetismo. Che intendiamo, infatti, per laicità? Per laico? La laicità designa uno stato della società in cui il politico sfugge all’influenza del religioso. Ciò ha due conseguenze: l’autonomia del politico e il riconoscimento della libertà di coscienza che si prolunga in libertà di culto. Secondo questa definizione ampia, tutte le democrazie europee si possono considerare regimi laici. La parola laico deriva da laos, termine piuttosto raro del greco classico, in cui indica il popolo in quanto massa non organizzata. Nella Bibbia, laos assume un duplice significato: l’insieme del popolo di Dio, ma anche le persone che, in questo popolo, non essendo né sacerdoti né profeti, non hanno una funzione sacra specifica. La parola passò così nel vocabolario cristiano per indicare chiunque appartenesse al Popolo di Dio senza essere sacerdote, dunque ogni battezzato che non è chierico. Il termine “laicità” è un termine di moda. «È anche un termine ambiguo, che bisognerebbe forse osare di sostituire con quelli di «mondanità» o di «profanità» per indicare l’autonomia specifica dell’uomo credente, nel mondo e nella Chiesa. Questa laicità affonda le sue radici nella fede biblica, 62 - fede in un Dio creatore che desacralizza la natura e la storia; fede in un Dio incarnato che sostituisce la legge della separazione e dell’esclusione con una legge di solidarietà e di comunione; fede escatologica che relativizza e il mondo e la Chiesa.» (Il senso biblico della laicità, di G. Barbaglio) Nel 2005 il Papa Giovanni Paolo II, nella sua lettera ai vescovi francesi segnala la necessità di una giusta separazione di poteri: «Il principio di laicità, se ben capito, appartiene anche alla dottrina sociale della Chiesa. Esso ricorda la necessità di una giusta separazione dei poteri… Da parte sua, la non confessionalità dello Stato, che è una non intromissione del potere civile nella vita della Chiesa e delle diverse religioni, come nella sfera dello spirituale, permette che tutte le componenti della società lavorino insieme a servizio di tutti e della comunità nazionale.» A partire da qui si ritiene che lo Stato buono é quello che permette il rispetto della libertà e l’uguaglianza di tutte le convinzioni. Da allora, la Chiesa non considera più la laicità come un male minore, ma come un bene. Queste parole costituiscono una sfida per noi Missionarie che crediamo ai valori della laicità, il cui aspetto essenziale è l’autonomia del politico in relazione al religioso. In questo contesto di presenza in tutti i campi della vita civile si pone la questione della specificità della nostra missione. Siamo cittadine come le altre? Come essere testimoni di Cristo in una società divenuta ampiamente secolarizzata? 63 Con quale spirito vivere la laicità? 1. Siamo autrici della costruzione di una società più fraterna. Lo spazio pubblico deve essere visto come il luogo dell’incontro affinché si possa avere un dibattito pubblico fra uomini e donne che affermano liberamente il proprio agnosticismo o le proprie convinzioni religiose, parte integrante della loro personalità. Questo spazio non si riduce a una faccia a facciata lo Stato e i cittadini. Tra di loro devono esistere dei corpi intermedi: associazioni, sindacati … e Chiese, che partecipano come gli altri alla vita della società e al dibattito pubblico. 2. La maturità della nostra fede ne guadagna con la laicità. Per noi laicità è libertà. Libertà di credere e di mettere in pratica le nostre convinzioni, per quanto possiamo. E libertà di avere le loro per tutti quelli che non condividono le nostre convinzioni. Le nostre convinzioni politiche sono in osmosi, naturalmente con le nostre convinzioni cristiane. Nelle nostre scelte politiche, sul piano dei valori e dell’etica della società facciamo riferimento alle encicliche economiche e sociali della Chiesa cattolica. Porsi di fronte alla laicità talvolta è difficile, poiché noi non vogliamo riportare la fede a una questione strettamente privata. Tuttavia non possiamo concederci la facilità di manifestare la nostra identità gridandola sui tetti. Siamo obbligati a testimoniare con le nostre azioni. 64 3. Ecco cosa significa in fondo vivere di Dio in una società laica. La nostra fede ci pone nel cuore del mondo. C’è una posta in gioco per noi di non fuggire questo luogo che è quello della rivelazione di Dio e dell’incontro con l’altro. Vivere di Dio oggi nella nostra società laica passa senza dubbio attraverso un sottile miscuglio di audacia e di discrezione, di coraggio e di pazienza, di rispetto e di proposta, di ascolto e di dialogo, di analisi e di preghiera. Di servizio insomma. È sicuramente il primo segno dell’identità cristiana che meglio testimonia ciò che il Cristo ha fatto per noi. Ciascuna troverà, il suo posto e la sua misura, là dove potrà servire e così tessere i legami invisibili di un amore che è il solo capace di far vivere la nostra società. Di fronte alle grandi questioni dell’esistenza, noi abbiamo la missione e il desiderio di manifestare la vitalità della nostra fede pur rispettando la laicità costitutiva della nostra società. Madeleine Delbrêl nel 1964 diceva: «Ambiente ateo, circostanza favorevole alla nostra conversione». Perché non oseremmo riconoscere che nella nostra società dell’indifferenza, che è allo stesso tempo fragile e incerta, noi siamo chiamate da Dio a credere in Lui e a vivere di Lui in modo più radicale? Che cosa vogliamo per la nostra società? Sappiamo ciò che non vogliamo: la violenza, l’insicurezza, la menzogna, la corruzione, le disuguaglianze aggravate dalla disoccupazione. Ma come sapere quello che vogliamo veramente? A quale prezzo siamo pronte a lottare contro tutto quello che 65 disumanizza l’esistenza, contro questa barbarie strisciante che tratta gli esseri umani come oggetti manipolabili in nome delle prestazioni tecniche o della redditività finanziaria? In nome di cosa affermare e difendere la dignità di ogni persona umana? 4. Un momento di riflessione personale • La laicità mi sembra positiva o negativa? Perché? • La nostra società da abbastanza spazio alle religioni? È facile starci da cristiani? • In quali occasioni esprimo pubblicamente la mia • • • • • fede? Quali legami faccio tra le mie convinzioni personali e la mia cittadinanza? Quali problemi mi pone l’evoluzione della nostra società? Come cristiana a cosa sono sensibile? C’è un modo cristiano di vivere nella società? Cosa potrebbe aiutarmi a radicare la mia fede nel cuore di questo mondo? Vivere da laica significa «condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di questo tempo, dei poveri soprattutto e di tutti quelli che soffrono» (Gaudium et Spes). Ciò presuppone l’avere uno stile di vita, una grande libertà di parola di fronte all’istituzione, credere nell’azione dello Spirito di fronte alle pesantezze naturali, sviluppare i doni personali di fronte all’impotenza o ai bisogni dei fratelli. Questi tratti ci indicano il cammino verso il profilo del profetismo, quello 66 di ieri e quello di oggi, poiché ogni profeta vede con lucidità la società in cui vive. Parlare e vedere sono due modi di parlare della missione del Profeta. La parola “profeta” deriva dal greco «pro-phètès» che significa «porta-parola». Il compito del profeta, ciò che gli conferisce la sua competenza, è dunque un «saper parlare». Il profeta è definito anche per la sua capacità di vedere. Egli vede lucidamente la società in cui vive. Vede in quale senso la storia prende forme e presagisce così le crisi future e le difficoltà che si preparano. Il profeta parla perché ha visto qualcosa. Attraverso tutto ciò che tutti possono vedere, egli legge l’intervento di Dio. Profeti antichi, profeti attuali, profeti di tutti i tempi: il profetismo non ha età. I profeti di oggi continuano l’azione profetica di Gesù in un mondo che più che mai ha bisogno della loro azione. Ciascuna di noi è invitata ad assumere, nel suo contesto di vita, il compito profetico che le conferisce il Vangelo. Quali sono le caratteristiche del profetismo di oggi? 1. I profeti non sono sognatori. Sono realisti, e ciò che li affascina è il presente con le sue luci e le sue ombre. Sono sensibili al nostro tempo, a ciò che si vive, agli uomini concreti con la loro grandezza e le loro miserie. Se parlano, non è per mettersi in mostra, ma perché la loro solidarietà con altri uomini li obbliga in certo qual modo a prendere la parola. Non sono schiavi di un’ideologia e se è loro impossibile fare a meno di una griglia di lettura degli avvenimenti, 67 non ci si lasciano rinchiudere. La loro libertà di parola spaventa, irrita e affascina e attira spesso la diffidenza delle grandi istituzioni. Ciò che hanno da dire non pretende l’universalità, ma mira a una situazione molto particolare di un gruppo di uomini concreti. Il loro atteggiamento ci rivela la posta in gioco assoluta delle situazioni umane: arrivare all’uomo, è arrivare a Dio. 2. I profeti dell’Antico Testamento, Gesù profeta, i profeti di oggi sono testimoni di un Dio che crede nell’uomo, sono attenti all’uomo concreto e smascherano gli idoli. Anche se non ha continuamente la parola «Dio» in bocca, ogni profeta autentico fa intuire il vero volto di Dio. Egli riprende il combattimento di Gesù denunciando tutto ciò che noi erigiamo a idoli: il POTERE, quando gli uomini sono sacrificati ai suoi interessi, la LEGGE, il DENARO, il SESSO, la REDDITIVITÀ, la CRESCITA, la RELIGIONE quando essa è utilizzata per dominare meglio l’uomo. Con la sua parola e il suo impegno, il profeta ricorda sempre che Dio è oltre le idee che noi ce ne facciamo. Egli proclama un Dio povero e crocifisso che insegna all’uomo a mettersi in piedi e spera di annodare con lui una relazione sincera, calorosa, fiduciosa. 3. Logici e audaci, i profeti sono dei combattenti e il loro impegno per la causa dell’uomo e del vero Dio li porta ad assumersi rischi personali. All’audacia delle parole seguirà la logica delle azioni. Il profeta autentico si riconoscerà dal suo modo di vivere. 68 Conseguente a quello che dice, parla anche con le sue azioni quotidiane e con la lunga tenacia dei suoi impegni. È credibile perché fa unità tra i suoi discorsi e il suo stile di vita. Il profeta è un combattente: non lavora tanto per conciliare gli estremi, per cercare la via del giusto mezzo, quanto per difendere con passione la causa del debole, e questo atteggiamento non può che attirare sorde ostilità. Sono veri profeti coloro che accettano questo rischio, consumeranno le forze, saranno inviati verso tutti; senza considerarsi eroi. Alcuni tra loro lasceranno le comodità, la salute, la reputazione, perfino la vita. La loro vita grida una grande passione: quella della solidarietà umana e della fiducia in un Dio onnipotente e tuttavia povero e vulnerabile. Questa è la loro unica sicurezza. 4. Infine il vero profeta è un costruttore di speranza. Esso si riconosce nel modo in cui permette alla speranza di nascere e di crescere. Contesta ciò che allontana l’uomo dalle sue responsabilità, ciò che lo rinchiude nel suo passato, ciò che lo aliena e in particolare tutte le forme di ricchezza che fanno dell’uomo un proprietario e gli impediscono di volgersi verso la novità dell’avvenire. Egli restituisce continuamente l’uomo alla sua responsabilità. Ecco perché la sua parola fa male. Colui che accarezza e adula i suoi interlocutori, che rassicura e tranquillizza, senza mai aprire una ferita è forse un brav’uomo, ma non è un profeta. 69 Nella Chiesa come nella società umana è impossibile vivere senza compromessi, senza leggi, senza un minimo di stabilità e di ordine. Tutti noi abbiamo bisogno di questa sicurezza. Ma i compromessi si stabiliscono quasi sempre secondo la legge del più forte, e i piccoli ne sono spesso le vittime; l’ordine diventa presto una prigione. Allora sorgono i profeti che, con la loro attenzione all’uomo schiacciato, con la loro solidarietà attiva, testimoniano un Dio che rifiuta questa alienazione e così permettono alla speranza di rinascere. 5. Un momento di riflessione personale. • Quali sono i profeti per l’oggi? Puoi nominarne alcuni? Veri o falsi profeti? • Se rivedo il mio percorso vocazionale posso scorgere i diversi appelli lanciati dal Signore? • Posso scoprire le poste in gioco di questa scelta di Dio nei miei confronti e della mia libertà di fronte a questa chiamata? • Posso trovare nella mia vita concreta - impegni realistici che corrispondano alle mie possibilità? - esempi in cui ho dovuto combattere duramente per difendere la causa del debole? - situazioni in cui sono stata chiamata ad essere costruttrice di speranza? Attraverso la nostra consacrazione siamo chiamate a camminare sulle orme di Gesù, ad impegnarci sulla stessa via considerando la nostra missione come un prolungamento della sua. È Lui che ci ha chiamato, è Lui 70 che ci ha consacrato, è Lui che ci interpella ogni giorno perché noi diventiamo in quella che è la nostra realtà, sensibili all’uomo concreto, testimoni di un Dio che crede nell’uomo. Così il profetismo è anche la nostra vocazione. Siamo consapevoli di questo ruolo che ci è stato conferito col battesimo, «ruolo di sacerdote, di profeta e di re». Negli Atti degli Apostoli, dopo il racconto della Pentecoste, Pietro cita la parola di Gioele: «Avverrà negli ultimi giorni – dice Dio – su tutti effonderò il mio Spirito; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno…in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno». (Atti, 2,17-18) Oggi come ieri la Parola di Dio chiama, consacra, invia. Oggi come ieri essere profeti è vedere, parlare, agire. Oggi come ieri essere profeta è un mestiere rischioso! Laicità e Profetismo, due sfide della nostra vocazione che valgono tanto oro quanto pesano! Marie Thérèse B. - Lussemburgo 71 72