Da un regista belga noto in tutta Europa – ma poco in Italia – per una regia brillante e un po' 'da festival', una commedia romantica e leggera ma non priva di mordente, ironia e capacità di sovvertire pregiudizi e stereotipi. scheda tecnica durata: nazionalità: anno: regia: soggetto: sceneggiatura: fotografia: montaggio: musica: scenografia: costumi: distribuzione: 111 MINUTI FRANCIA 2014 LUCAS BELVAUX DAL ROMANZO “PAS SON GENRE” DI PHILIPPE VILAIN LUCAS BELVAUX PIERRIC GANTELMI D'ILLE LUDO TROCH FRÉDÉRIC VERCHEVAL FREDERIQUE BELVAUX NATHALIE RAOUL SATINE FILM interpreti: EMILIE DEQUENNE (Jennifer), LÖIC CORBERY (Clement), SANDRA NKAKÉ (Cathy), CHARLOTTE TALPAERT (Nolwenn), ANNE COESENS (Hélène Pasquier-Legrand), DANIELA BISCONTI (Signora Bortolin), DIDIER SANDRE (Padre di Clement), MARTINE CHEVALLIER (Madre di Clement). premi e partecipazioni a festival: 2015, Premio Magritte (Belgio), migliore attrice a Emilie Dequenne, miglior sceneggiatura non originale, miglior sonoro a Henri Morelle; Premio César, nomination migliore attrice a Emilie Dequenne e nomination per miglior sceneggiatura non originale; Globes de Cristal, nomination miglior attrice a Émilie Dequenne; Premio Lumiere, nomination come miglior film, miglior regista e miglior attrice; 2014, Toronto International Film Festival, sezione «Contemporary World Cinema». Il regista Attore e regista belga conosciuto soprattutto per le tre pellicole Rincorsa (2002), Dopo la vita (2002) e Una coppia perfetta (2002), che compongono un'originale trilogia, Lucas Belvaux nasce il 14 novembre 1961 a Namur, capitale della Vallonia, in Belgio. Iscritto all'Athénée royal di Philippeville dove suo padre lavora come amministratore e sindacalista, passa tutte le sue vacanze assieme ai fratelli (fra cui l'attore Rémy Belvaux e Bruno Belvaux) nel borgo di Fonds, poco lontano da Sévérac-le-Château, nell'Aveyron. È il 1979 quando decide di fuggire di casa, arrivano in auto-stop fino a Parigi, per inseguire il suo sogno di diventare attore. Nel 1981, ottiene il ruolo da protagonista in Allons z'enfants di Yves Boisset, in cui recita la parte di un giovane obbligato a diventare un militare. Tornerà al cinema con Claude Chabrol in Una morte di troppo con Pauline Lafont e Jean Poiret, vestendo i panni di un ispettore di polizia poco scrupoloso. Come regista, prima di Sarà il mio tipo? (tit. orig. Pas son genre) ha diretto nel 1996 Per scherzo, curiosa storia d'amicizia fra un cornuto e l'amante di sua moglie; seguì La raison du plus faible (2005), che racconta l'incontro criminale di cinque esistenze nello squallore della periferia di Liegi. La commedia è interessante e curiosa e, di tanto in tanto, gioca con la tragedia contemporanea. Plurinominato ai César come miglior sceneggiatore e regista, nel 2009, realizza la pellicola Rapt, liberamente ispirata all'affare Empain (un caso di sequestro di persona) e, nel 2012, 38 testimoni, liberamente ispirato al romanzo "Est-ce ainsi que les femmes meurent?" di Didier Decoin, dove l'omicidio e la violenza di una giovane donna diventa uno spettacolo per tutti i vicini appostati dietro le sue finestre. Infine la trilogia costituita dai film sopra citati, usciti tutti contemporaneamente nel 2002, e che raccontano gli stessi avvenimenti ma sfruttando ogni volta un differente registro, tra comico, poliziesco e drammatico. La parola ai protagonisti Intervista al regista Lei ha adattato personalmente il romanzo di Vilain, dopo aver ascoltato alla radio un’intervista all'autore. Ancora prima di leggerlo, solo a partire da quell’intervista, ho deciso che Sarà il mio tipo? sarebbe stato il mio prossimo film. Quando scelgo un progetto lo faccio sempre in base a ll’istinto, non certo pensando ‘ora voglio girare una commedia per allontanarmi dai noir che l’hanno preceduta’, e mi interrogo piuttosto sullo stile e sul linguaggio da utilizzare per raccontare una storia e farla rimanere interessante per me il tempo necessario alla sua lavorazione: solo così posso sperare di interessare anche lo spettatore. Premiato con il Magritte per il miglior adattamento, ha deciso di cambiare il punto di vista di Vilain: se il suo romanzo racconta la storia d’amore complicata tra un intellettuale parigino e una parrucchiera di provincia utilizzando il punto di vista di lui e facendolo parlare in prima persona, Sarà il mio tipo? sceglie di mantenere un approccio più neutrale Per prima cosa quando quando mi sono cimentato nell'adattamento mi sono subito reso conto che manterenere la prima persona mi avrebbe reso troppo introspettivo, una voce fuori campo avrebbe appesantito il tutto, non mi piaceva e mi avrebbe spostato, come genere, troppo distante dal registro di commedia che volevo utilizzare. Inoltre, quando ho letto il libro, mi è sembrato che parlasse di me, che si rivolgesse a me, per il fatto che mi sono ritrovato molto in entrambi i personaggi. Jennifer mi faceva pensare alla mia giovinezza, a certe mie compagne di classe; Clement invece si avvicina a quello che sono oggi, alle mie attuali inclinazioni culturali e all’ambiente sociale che frequento. Ma ho i gusti di entrambi: e mi interessava molto, quindi, che fossero proprio i loro gusti a rappresentare un impedimento nella storia d'amore. Personalmente non parteggio né per l’uno né per l’a ltra, penso che entrambi abbiano pregiudizi nei confronti dell’alto e che abbiano entrambi le loro ragioni: volevo capire cosa ci fosse di vero nello sguardo critico di Jennifer verso gli intellettuali parigini e in quello così teorico e intellettualizzato sul mondo di Clement. In fondo sono entrambi persone chiuse nel loro pregiudizio, che scoprono cose nuove sul mondo e su di loro grazie alla loro relazione. Io amo entrambi i mondi, le canzoni che canta Jennifer le ho scelte io del resto. E io stesso ho sofferto nel vedere i due personaggi incapaci di amarsi per una questione di gusti. Ma proprio per questo li ho voluti mettere in condizione di confrontarsi più che di scontrarsi. E’ come se instaurassero un dialogo, uno scambio. È vero che l’attrice Emilie Dequenne, anche lei premiata con il Magritte per la sua interpretazione, le era parsa inizialmente troppo brava per la parte? Sì, fin dal primo provino appariva talmente perfetta per la parte da far nascere in me paradossali resistenze. In genere diffido delle cose troppo ovvie, e mi pareva così ovvio che Emilie fosse perfetta per la parte, anche se in realtà l’avevo scritta per Sophie Quinton, con cui avevo lavorato in precedenza. Avevo paura che questa sua perfetta aderenza al ruolo ci avrebbe fatti impigrire, lavorare poco sul personaggio: ma a un secondo incontro, quando mi ha dimostrato di aver capito così bene il personaggio di Jennifer e di saper ascoltare con tanta attenzione le mie osservazioni, ogni dubbio è svanito. Emilie è così: ha un grande talento ma è disposta a lavorare molto su sé stessa, sa lasciarsi andare e perdersi nel personaggio al punto da fartela identificare totalmente con lui. È come una fenice: brucia il personaggio, lo esaurisce in sé, ti rende impossibile pensarla altrimenti ma ogni suo nuovo ruolo cancella i precedenti. Sembra che conquistare la provincia per un parigino sia più complicato che l'inverso. Parigi, proprio perché è il simbolo della Francia centralizzata e il luogo dove si trova il potere, è permeabile e inclusiva: si rigenera sempre grazie all’arrivo di gente dalla provincia, che invece è più ermetica e inaccessibile. Nel film l'aspetto privato si mescola con il conflitto sociale La lotta di classe, oggi non riguarda di certo solo l’amore; non lo dico in senso ideologico ma fattuale: basta guardarsi intorno per rendersi conto di quanti contrasti e di quanti interessi antagonisti permeino ogni aspetto della nostra vita pubblica, lavorativa, privata. Clément è un ragazzo impacciato mentre Jennifer è vibrante. Non si lascia andare ai sentimenti ma, allo stesso tempo, è generoso nella trasmissione delle sue conoscenze. Che sia un bravo insegnante, non c’è dubbio! Lo vediamo durante le lezioni e con Jennifer. Quando Clément spiega Kant a Jennifer, lei capisce molto bene. E quando lei legge il libro, non capisce niente, glielo dice e Kant la fa ridere, ma nemmeno io capisco molto di questi grandi libri. Non è questo che è importante perché quando Clément glielo spiega, lei capisce bene quello che dice. È un ottimo insegnante, perché è generoso. Penso che la pedagogia abbia molto a che fare con la generosità. Ho conosciuto un gran maestro del cinema, qualcuno che non è mai riuscito a scegliere tra la pedagogia e la regia (nonostante abbia fatto molti film)… Ha sempre voluto conciliare le due cose. Parlo di Alain Bergala. Bergala è un uomo appassionato della trasmissione. È fondamentale per lui. Adora insegnare. Mi ha insegnato molte cose quando ho lavorato come attore con lui per Incognito. Il fatto che io faccia dei film ha molto a che fare con gli incontri con Bergala e con il suo modo di trasmettere le sue esperienze. Nel personaggio di Clément, c’è questo… Questa voglia di condividere il suo sapere non in un’ottica accademica, ma pedagogica che mette in rilievo la creatività di ognuno. Significa far crescere le persone, renderle curiose, aprirle alla conoscenza. Il libro scritto da Clément s’intitola Dell’amore e del fato. Si capisce meglio il motivo per cui Jennifer si arrabbia. Sì e no. Lei si arrabbia soprattutto perché lui non l’ha ritenuta degna d’interesse. Lei dice che non valeva abbastanza ai suoi occhi perché lui le facesse leggere il suo libro. È un affronto terribile. Lui condivide con lei solo una parte di sé. Lei pensa che lui veda la loro relazione come una storia di sesso. Ma credo che Jennifer qui si sbagli. Ha una pessima interpretazione della situazione. Lui non le ha parlato del suo libro per non passare come un pedante o un pretenzioso. Si tratta di un malinteso. Nell’ultima scena, quando lui non la presenta a una sua collega insegnante al carnevale di Arras, invece, non si sbaglia, ma riguardo al libro sì. Sono due persone generose, in questo si assomigliano, ma in modo diverso... Si, Jennifer è di una generosità estrema... E c’è di più, è di una grande dignità che si iscrive nell’immagine che lei ha di se stessa. Nel modo che lei ha di costruirsi giorno per giorno, non si lascia abbattere, ma diversamente rispetto a lui. Clément non si lascia mai andare ai sentimenti. Non sa ballare... Si trattiene molto nei sentimenti e nei movimenti del suo corpo. Jennifer è più impulsiva, ma soprattutto non si fa mai demoralizzare. È un personaggio tutto di un pezzo. Quando lo incontra, decide che sarà felice. Quando arriva la felicità, bisogna coglierla, e non serve a niente lamentarsi. È un personaggio dignitoso. Jennifer è una persona secondo la quale la felicità si costruisce, non si aspetta. Recensioni Federico Gironi. ComingSoon.it La Francia non è come l'Italia, che ha Roma ma ha anche Milano, Torino, Bologna, Napoli, Palermo. Non è nemmeno come l'Inghilterra, perché la differenza che passa tra Londra e il resto del paese non è nemmeno paragonabile al fossato sociale e filosofico, forse perfino esistenzale, che separa Parigi dal resto della Francia. Per i parigini, non esiste altra Francia che Parigi: figuriamoci un po' per un parigino alto borghese e intellettuale. E figuriamoci allora come uno di questi parigini, un filosofo egocentrico e un po' cinico, vanesio e dongiovanni, che insegna anche nei licei, possa reagire quando viene mandato per un anno in una scuola di Arras, una sonnacchiosa cittadina del nord, nel distretto di Calais. Parte così Sarà il mio tipo?, diretto dal belga Lucas Belvaux, che ovviamente fa incontrare Clément, questo filosofo snob che pare modellato sul personaggio di Emmanuel Carrère (e che il suo interprete, Loïc Corbery, ricorda molto anche fisicamente), con una donna che è in tutto e per tutto il suo opposto, Jennifer, parrucchiera e madre single con l'hobby del karaoke. La distanza che separa Clément da Jennifer è la stessa che separa Parigi da Arras, ma Clément ha tempo da perdere, sa corteggiare all'antica, non corre e ottiene quel che vuole, rimanendo però intrigato da questa donna semplice e un po' chiassosa che sogna l'a more romantico e al quale si trova a fare da Pigmalione da un lato e da accompagnatore di karaoke dall'altro. Forse la ama perfino, a suo modo. Anzi, la ama sicuramente, come lei ama lui. E però colmare la distanza che li separa non è facile, e c'è sempre il dubbio che l'a ltro possa non farcela, o che non sia la persona giusta. Così, per quasi due ore Sarà il mio tipo? racconta l'improbabile e inevitabile innamoramento di Clément e Jennifer, i loro tira e molla, gli imbarazzi di lui di fronte al suo essere così sfacciatamente popolare e popolana, e i tanti dubbi di lei di fronte all'alterigia e alla superiorità intellettuale di un uomo che le legge Proust dopo l'amore, a lei che si era sempre nutrita di romanzi rosa ma che, come le dice Clément, è kantiana senza saperlo. Un po' poco, forse, precisamente troppo poco se a supportare il film non ci fosse una scrittura precisa e brillante, firmata dallo stesso Belvaux, e una coppia d'attori decisamente funzionale: ché Corbery ha la giusta faccia da schiaffi e la smorfia costantemente schifata nei confronti di ciò che è costretto a vedere, dire, fare, mentre la bionda (ovviamente tinta) Émilie Dequenne è un concentrato di energia e fragilità. (...) Di fronte all'impasse di un amore così squilibrato, racconta Belvaux ci vuole una dose extra di coraggio, di quel coraggio che faccia spiccare un salto senza rete o che faccia dolorosamente innestare la retromarcia. Un coraggio di cui, solitamente, le donne dispongono più di quanto non facciano gli uomini. Roberto Nepoti. Repubblica.it (...) Il titolo italiano è un autentico tradimento di quello originale che, tradotto, suona "non il suo tipo", senza punto interrogativo. Ovvero, la graziosa Jennifer non può essere il "tipo" di Clément: lui legge Kant e ama il cinema d'essai; lei divora romanzi rosa, fa il karaoke con le amiche e adora Jennifer Aniston; li divide una barriera culturale, tinta di razzismo, perché i rapporti d'amore sono infiltrati e condizionati da quelli di classe. Senza essere un capolavoro, il film rappresenta un solido antidoto alle solite rom-com americane, dove l'amore travolge ogni ostacolo, virando verso la fine alla commedia drammatica. E l'attrice belga Emilie Duquenne, che conoscemmo ragazzina in Rosetta dei fratelli Dardenne, meriterebbe da sola la visita. Marzia Gandolfi. Mymovies.it Professore di filosofia, scrittore engage e amante volubile, Clément Le Guern è trasferito da Parigi a Arras, un piccolo centro a nord della Francia dove alloggia in un hotel e patisce il suo esilio. Annoiato dalla vita di provincia trova interesse e soddisfazione in Jennifer, bionda e vivace parrucchiera che adora i film con Jennifer Aniston e alleva un figlio da sola. Separata e in cerca del vero amore, Jennifer si innamora profondamente di Clément, che cita Kant e pratica il cinismo sentimentale. Tra un libro di Anna Gavalda e un romanzo di Émile Zola, il professore e la parrucchiera sembrano intendersi e capirsi sotto le lenzuola. Ma fuori dal letto (...). Adattamento del romanzo di Philippe Vilain ("Pas son genre"), Sarà il mio tipo? è una commedia sentimentale fondata sulle differenze sociali dei due protagonisti. Lei parrucchiera, lui intellettuale, lei provinciale, lui parigino, lei legge i romanzi popolari, lui quelli di Proust, lei è fanatica del karaoke, lui assiduo dei vernissage. Ma sarebbe un errore ridurre il film di Lucas Belvaux a un inventario di luoghi comuni perché Sarà il mio tipo? parte dai cliché ma arriva più lontano, in un territorio imprevedibile, dove l'amore è sottoposto a scansione sociale e la felicità romantica impedita da un irriducibile contraddittorio culturale. È vero che Belvaux tratta il suo film secondo la ricetta classica della screwball comedy hollywoodiana, filmando l'avventura sentimentale di due contrari e di come ciascuno di loro provi a frequentare il territorio dell'altro, ma la svagatezza e il folgorante stordimento dei contendenti al debutto precipitano molto presto davanti all'inflessibilità dei rapporti di classe. Il protagonista, che fa colazione a Les Deux Magots, respira l'a ria letteraria di Saint-Germain-des-Prés e non si aspetta niente dal suo soggiorno in provincia se non che finisca il prima possibile, è un uomo velleitario, simile a certi intellettuali rohmeriani, indecisi e logici che razionalizzano le loro pulsioni, calcolano i loro sentimenti e analizzano i loro affetti tenendogli a distanza. Al suo fianco, Jennifer esprime diversamente una femminilità estroversa, un carattere esuberante, una fiducia nell'amore, un gusto per i colori e le canzoni che l'a vvicinano alle demoiselles di Jacques Demy. Commedia sospesa tra due personaggi, due classi sociali e due 'caratteri' cinematografici tipicamente francesi, Sarà il mio tipo? ha tutta la saggezza della sua protagonista, la Jennifer disarmante di Émilie Dequenne, che comprende a sue spese che l'amore non è sempre più forte di tutto. Soprattutto delle etichette e dei determinismi sociali. Così nel bel mezzo di un carnevale, il professore e la parrucchiera tolgono la maschera, scoprendosi prigionieri entrambi di un 'mestiere'. Senza rinunciare mai alla generosità dello sguardo, Belvaux li scopre alle prese coi loro retaggi e con il loro eterogeneo habitus, decretando una tregua della guerra di classe ma non dichiarandone la fine. Rivelata da Rosetta, Émilie Dequenne s'impone quindici anni dopo il dramma dei Dardenne con un altro personaggio indimenticabile, sorprendente e intenso le cui modeste origini rimandano con evidenza alla sedicenne che lottava per la sopravvivenza nella periferia di Liegi. Con la stessa determinazione l'attrice interpreta una proletaria che smaschera il professore impassibile di Loïc Corbery e s fata la falsa modestia della sua filosofia esistenziale, smettendo di attendere al di là della barricata e sopravvivendo, come nella canzone di Gloria Gaynor. Perché Jennifer, meno colta ma non per questo meno intelligente di Clément, che ha fatto della sua incapacità di amare una teoria generale delle relazioni umane, prende le forbici e ci dà un taglio. Senza amore né bene resta Clément, (in)colto e incolore dietro a una porta chiusa. Emiliano Cecere. Cinematographe.it Sarà il mio tipo? È questa una delle molte domande di carattere esistenziale che spesso ci poniamo di fronte ad una scelta. Ma se poi ci accorgessimo di aver sbagliato? Di non aver profondamente captato alcuni segnali subdoli e allarmanti? Cosa succederebbe se dovessimo renderci conto che la persona con la quale si è giunti a condividere qualsiasi cosa in realtà non è davvero il nostro tipo? Questi sono solo alcuni dei quesiti che sicuramente si sono posti i protagonisti Emilie Dequenne e Loic Corbery. Una black comedy frizzante che lascia pesantemente l’amaro in bocca nello spettatore e con un finale sconvolgente, una natura morta che gela il cuore di chiunque. Straordinaria la prova della Dequenne che non è nuova ad acclamazioni corali (vinse il premio come miglior interpretazione femminile a Cannes con il film Rosetta) e ottima anche l’interpretazione di Corbery nel ruolo di un brillante filosofo moderno, preoccupato più dell’essere che dell’apparire. Davvero interessante la prova alla regia di Lucas Belvaux, giovane con le idee molto chiare, dirigere un film così impegnato intellettualmente non è cosa semplice, avere due personaggi diametralmente opposti e cercare di creare un fil ruoge tra i due è stata davvero un’impresa ardua. La trama ruota intorno a due figure completamente opposte (...). Apparentemente la differenza culturale sembra davvero abissale eppure tra i due scatta la più improbabile delle scintille. L’incontro è un fulmine a ciel sereno ed entrambi, sia per età che per piacere reciproco, si lasciano andare alla più sfrenata passione amorosa ed erotica. Ma ben presto l’amore dovrà fare i conti con le barriere culturali e psicologiche emergenti con il passare del tempo. Clement vuole cogliere l’a ttimo e fuggire dal mondo mentre Jennifer adora allontanarsi dalla realtà dell’istante per proiettarsi nel futuro più lontano. Le strade percorse dai due sono completamente differenti, sapranno davvero arrivare a un compromesso? Permeante e corposa è l’a rgomentazione filosofica presente nella pellicola. Se da un lato Clement vuole vivere l’attimo come farebbe Quinto Orazio Flacco con il suo Carpe diem, forse in maniera alquanto sciovinista, dall’altro Jennifer è molto più disimpegnata e il suo modus vivendi rappresenta la netta contrapposizione con il Carpe diem, il Vita si uti scias longa est di Lucio Anneo Seneca. Entrambi vivono l’amore, ma nessuno dei due riesce a captare la purezza del sentimento. Clement vive l’amore della filosofia, in lui si respira un contorno kantiano e a tratti nietzschano mentre in Jennifer tutto è slegato da qualsiasi lugubrazione, ma profondamente influenzato dalle letture “snelle e asciutte” alle quali la ragazza dedica il suo tempo libero. Sarà il mio tipo?, in uscita nei cinema a partire dal 23 aprile, è un piccolo grande capolavoro d’ingegno e stile, dove nessun particolare è lasciato al caso, dove la fotografia e la regia brillano di eleganza e perfezione e dove Emilie Dequenne incarna la più alta forma artistico espressiva del panorama europeo. Antonella Murolo. Everyeye.it "Sarà il mio tipo?" No, non è la domanda che ogni ragazza moderna si pone ogni volta che incontra un uomo interessante, ma il titolo del film scritto (tratto dal libro Non il suo tipo di Philippe Vilain) e diretto da Lucas Belvaux. La prima impressione, però, non è proprio sbagliata: si parla infatti d’amore e di tutti quei dilemmi che riempiono di insicurezze ogni relazione, soprattutto nei primi tempi. Dopotutto si parla dell’incontro di due sconosciuti, che devono imparare a conoscersi, (...). Di qui la fatidica domanda: Sarà il mio tipo? Ma attenzione... si parla di cinema francese, quindi toglietevi dalla testa qualsiasi idea di una commediola romantica piena di incomprensioni e sentimentalismi. C’è del sentimento, dell’ironia e anche una buona dose di sorrisi e litigi, ma c’è anche dell’altro, quella particolarità in più che stupisce e rende molto più realistica la storia di Clèment e Jennifer. Tutto, ovviamente, inizia da loro. Clèment (Loïc Corbery) è un professore di filosofia: ha sempre vissuto a Parigi, di cui adora la vitalità e le mille possibilità, e ha già pubblicato un libro sull’amore, tanto che vorrebbe essere definito un filosofo dell’eros. Contro la sua volontà, viene spedito a insegnare per un anno in una piccola scuola di Arras, paesino a poche ore di distanza dalla capitale, che a Clèment sembra però completamente fuori dal mondo (tanto che decide subito di sistemarsi in albergo e di tornare a Parigi ogni fine settimana). Qui incontra Jennifer (Emilie Dequenne), frizzante parrucchiera convinta di poter cambiare la vita dei suoi clienti con il giusto taglio di capelli: sempre di fretta, si destreggia tra il lavoro, le attenzioni per suo figlio (è anche una madre single!) e le divertenti serate al karaoke con le colleghe di lavoro. È sempre vissuta ad Arras ed è felice del suo piccolo universo, non certo semplice, ma che la rende serena. Le manca l’amore... e inizia presto a sognare di averlo trovato in Clèment. Un filosofo e una parrucchiera, tutti penserete che il fulcro della vicenda, il personaggio portante e multisfaccettato, sia quello maschile: dopotutto Jennifer (all’inglese) è una madre single, parrucchiera, bionda ossigenata e che ama il karaoke, le riviste di gossip e i romanzi rosa. Cos’altro avrà mai da raccontare? E invece è proprio lei, grazie anche alla sublime interpretazione di Emilie Dequenne, a ipnotizzare subito lo spettatore. Dinamica, sempre sorridente, con una speciale luce negli occhi, a ffronta ogni situazione con entusiasmo: è una sognatrice, senza però essere ingenua. Che i punti in comune con Clèment possano essere davvero pochi, lo capisce fin da subito, ma decide di provarci comunque, senza mettere da parte se stessa e le sue passioni. I due personaggi iniziano questa bizzarra danza sinergica sullo schermo, in cui lei prova a leggere i testi di filosofia e lui si lascia andare alle forme di divertimento e intrattenimento più popolari, così diverse dalle avanguardie a cui la capitale francese lo ha abituato. Le differenze tra i due non spariscono mai davvero, ma entrambi decidono di metterle da parte, per agevolare il benessere della loro storia, dopotutto le barriere, anche quando non puoi abbatterle, puoi comunque aggirarle, scavalcarle, oltrepassarle. Ma sarà lo stesso? La domanda che ci pone Lucas Belvaux è molto semplice e appartiene a tutti noi, ma il regista costruisce questo interrogativo nella mente dello spettatore con spensierata accuratezza, lavorando su ogni pensiero, sistemando gli sguardi visti e non visti dei suoi personaggi, architettandone reazioni previste e decisioni forti. Perché quando le barriere tra Clèment e Jennifer sembrano ormai essere superate, ecco emergere dal profondo una visione diversa dei propri sentimenti. Se per lui, questo amore, significa abbandonare il suo mondo e vivere l’istante, per lei, invece, è un calarsi fino in fondo nel presente per immaginare un futuro insieme. Riusciranno a incontrarsi a metà strada? Un modo atipico di raccontare l’amore, quello usato da Lucas Belvaux in Sarà il mio tipo?, ma decisamente vincente. I suoi personaggi si muovono con ironica dolcezza sullo schermo cinematografico, portando alla luce i dubbi e le incomprensioni più classiche delle relazioni, senza però trasformarli in problematici melodrammi dai toni pseudointellettuali. Jennifer e Clèment fanno riflettere lo spettatore, mettendo in tavola tutte le carte, ma lasciando che sia lui stesso a posizionarle nel modo giusto, seguendo un naturale processo cognitivo. Delizioso, curioso, a suo modo filosofico. Mirko Salvini. Ondacinema.it Lucas Belvaux, classe 1961, attore e regista belga, è un talento tutto sommato ancora poco considerato in Italia e questo nonostante che i suoi film nel resto d'Europa partecipino a festival importanti e ottengano il plauso della critica. Finora il suo lavoro più noto è la cosiddetta Trilogia, composta da "Cavale", "Un couple epatant" e "Apres la vie", tre storie popolate dagli stessi personaggi calati a seconda dei casi in situazioni comiche, drammatiche o thrilling. Di questa sua tendenza a mescolare i registri si ha un saggio, anche se non così radicale, pure in questo recente "Sarà il mio tipo?", commedia sentimentale (Belvaux ha usato l'espressione "antiromantica") ricavata da un romanzo di Philippe Vilain, inedito in Italia. (...) Cosa rimproverano di fatto queste signore al protagonista? Sostanzialmente di non accettare legami a lunga scadenza e di non volere investire più di tanto nelle storie d'a more, evidentemente soddisfatto della sua carriera di insegnante-filosofo. Ovviamente per il giovanotto col "cuore in inverno", ma amante del gentil sesso, le cose stanno per cambiare, complice anche un trasferimento dall'amatissima Parigi ad Harras dove insegnerà in un liceo con studenti poco interessati a parlare di Epicuro o di Kant (anche se comunque più rispettosi e attenti nei confronti del proprio prof. di quanto non sarebbe lecito aspettarsi in una classe vera, almeno di alcune scuole italiane...) non vedendo però l'ora che arrivi il giovedì per tornare nella capitale. Nel passo di Calais il nostro farà un incontro che cambierà (anche se fino ad un certo punto) le sue idee e quella che poteva essere l'ennesima variante della formula (ben nota anche da noi) di "Giù al nord" diventa altro. Conosce infatti la parrucchiera Jennifer (l'attrice belga Émilie Dequenne), spirito allegro, madre single, appassionata di romanzi rosa, esegeta di Jennifer Aniston e amante delle serate al karaoke con le amiche. Tra l'intellettuale freddino e la simpatica ragazza scocca subito la scintilla, nonostante (o forse proprio per questo) le pochissime cose in comune. Ma Jennifer ha anche un lato più introspettivo e un passato alle spalle più doloroso di quanto i suoi modi di fare solari non suggeriscano e quando si renderà conto che dal suo professore non potrà aspettarsi più di tanto capirà, come la Ruth dell'almodovariano "Gli amanti passeggeri", che il proprio benessere è più importante. A Clement, anche se (forse) innamorato di lei e pur rendendosi conto che rischia di perderla, non resterà che riflettere su quanto le sue scelte di vita possano essere state, magari, inadeguate. La commedia è ben scritta (Belvaux ha curato anche l'adattamento) ma se è vero che il regista vi inserisce dei tocchi personali, il plot non brilla particolarmente di originalità, quindi un assist notevole Belvaux lo riceve dai suoi interpreti. Se Corbery (che tra l'altro ricorda l'autore) riesce a rendere gradevole e umano un personaggio che poteva facilmente risultare antipatico, Émilie Dequenne con la sua Jennifer conquista non solo Clement. L'interprete scoperta appena diciottenne dai Dardenne nel film Palma d'Oro "Rosetta" (che valse anche alla debuttante il premio di Migliore Attrice, sebbene ex-aequo), non solo si rivela una presenza spumeggiante ma è anche ammirevole nelle scene di canto e sa inoltre rendere credibili le sfumature malinconiche di un personaggio mai patetico. E nella scena in cui Émilie/Jennifer si lancia sulle note del classico "I will survive" è talmente luminosa che se non stessimo parlando di un'attrice con una più che discreta carriera alle spalle verrebbe da dire che "è nata una stella". (...)