•LA SUA EVOLUZIONE •SVILUPPO DELLA SOCIETA’ DI MASSA •L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO •RAPPORTO CON L’UOMO Tesina d’ esame ideata da CARLO FRENQUELLI Di massa, nel senso di aggregato omogeneo, in cui in i singoli tendono a scomparire rispetto al gruppo, si parlava già all’ inizio dell’Ottocento, dopo che la rivoluzione francese aveva visto il “popolo” entrare per la prima volta da protagonista sulla scena politica. Ma è solo alla fine dell’ Ottocento, col diffondersi dell’ industrializzazione e dei connessi fenomeni di urbanizzazione, che si vengono delineando i contorni di quella che chiamiamo oggi “società di massa”.Questa nuova società è una realtà complessa, risultante dall’ intreccio di una serie di progressi economici , di trasformazioni politiche e sociali, di mutamenti culturali; in essa la maggioranza dei cittadini vive grandi e medi agglomerati urbani. •Mentre nella classe operaia si accentuo’ la distinzione tra lavoratori generici e qualificati, il ceto medio andava sempre più espandendosi grazie alla crescita dei lavoratori autonomi ( favoriti dall’ emergere di nuove attività ), all’ allargamento della fascia dei dipendenti pubblici (istruzione, trasporti, sanità ) ed allo sviluppo degli addetti al settore privato: i colletti bianchi. •Tra il 1890 ed il 1918 avvenne, in tutta Europa, l’ estensione del diritto di voto (suffragio universale maschile ) e determino’ mutamenti nei gruppi politici costretti a sperimentare nuove tecniche per ottenere il consenso popolare. Si affermo’ cosi’ il partito di massa, basato sull’ inquadramento di larghi strati della popolazione attraverso una struttura permanente e facente capo ad un unico centro dirigente. Ci fu, inoltre, una rapida crescita delle organizzazioni dei lavoratori chiamate organizzazioni sindacali che tenevano a salvaguardare i diritti degli operai. •Dal punto di vista sociale la tendenza delle forze politiche fu quella di aumentare il peso delle imposte dirette a scapito di quelle indirette. •Questo importante periodo segna, inoltre, in tutta Europa, la nascita di partiti socialisti. Il primo ed il più importante fu quello socialdemocratico tedesco nato nel 1879. L’efficienza organizzativa, i successi elettorali, la compattezza ideologica fornita dal MARXISMO, assunto definitivamente come dottrina ufficiale del partito, stimolò la nascita di nuovi partiti operai nel continente europeo. Al di là delle diversità organizzative e delle divergenze ideologiche essi, compresi i laburisti inglesi, si proponevano il superamento del sistema capitalistico e la gestione sociale dell’economia; avevano ideali internazionali e pacifisti; tutti infine facevano capo ad un’organizzazione socialista internazionale: la seconda internazionale i cui obiettivi primari erano stati la giornata lavorativa di otto ore e una giornata mondiale di lotta per il primo Maggio di ogni anno. London is the urban archetype which frequently recurs in English literature from Defoe, through Dikens, to Lawrence. In the realistic novel the description of the town focuses on those aspects which clash with the expectations of the characters involved in the urban experience. The most tragic situations such as the plague, a fire, misery, squalor, violence, alienation, offer the writer the possibility to criticize the society he is dealing whit. •In Blake’s time London had a population of about seven hundred thousand inhabitants which was a very high figure for the time. It was a thriving commercial city but with extensive slum areas. •The following poem illustrates Blake’s view of London LONDON from Songs of Experience, 1794 I wander thro’ each charter’ d street, Near where the charter’d Thames does flow, And mark in every face I meet Marks of weakness, marks of woe. 5 In every cry of every Man, In every Infant’s cry of fear, In every voice, in every ban, The mind-forg’d manacles I hear. How the Chimney-sweeper’s cry 10 Every black’ning Church appalls, And the hapless Soldier’s sigh Runs in blood down Palace walls. But most thro’ midnight streets I hear How the youthful Harlot’s curse 15 Blasts the new born Infant’s tear And blights with plagues the Marriage hearse. •In the following poem, instead, William Wordsworth (1770-1850) is looking at the city while crossing Westminster Bridge in London with his sister Dorothy. The poet want to criticize the industrial Revolution because London is become dirty. Composed upon Westminster Bridge, September 3, 1802. Earth has not anything to show more fair: Dull would he be of soul who could pass A sight so touching in its majesty: This city now doth, like a garment, wear The beauty of the morning; silent, bare, Ships, towers, domes, theatres, and temples lie Open unto the fields, and to the sky; All bright and glittering in the smokeless air. Never did sun more beautifully steep 10 In the first splendour, valley, rock, or hill; Ne’er saw I, never felt, a calm so deep! The river glideth at his own sweet will: Dear God! The very house seem asleep; And all that might heart is lying still! •Hard times belongs to the mature period of Charles Dickens’ creative life in which he turned to sharper criticism of the evil of Victorian England. The story takes place in the industrial North, in one of the mill towns of Lancashire, and highlights the effect of the industrial Revolution on man and the environment. The main themes are the exploitation of the working class by an unfeeling, self-righteous middle class of industrialists, and the damaging consequences of emphasising factual knowledge, at the expense of feeling and imagination, which Dikens believed to be inherent in industrialisation. Coketown is the fictional name of the town where the novel is set. The following passage is a description of it: […] Let us strike the key-note, Coketown, before pursuing our tune. It was a town of red brick, or of brick that would have been red if the smoke and ashes had allowed it; but, as matters stood, it was a town of unnatural red and black like the painted face of a savage. It was a town of machinery and tall chimneys, out of which interminable serpents of smoke trailed themselves for ever and ever, and never got uncoiled. It had a black canal in it, and a river that ran purple with ill-smelling dye, and vast piles of building full of windows where there was a rattling and a trembling all day long, and where the piston of the stream-engine worked monotonously up and down, like the head of an elephant in a state of melancholy madness. […] •Also in the Wast Land, writed by T.S.Eliot, the theme of the city is present. In fact he describe an unreal city: Unreal city, Under the brown fog of a winter dawn, A crowd flowed over London Bridge, so many, I had not thought death had undone so many. Sighs, short and infrequent, where a exhaled, And each man fixed his eyes before his feet. Flowed up the hill and down King William Street, To where Saint Mary Woolnoth kept the hours With a dead sound on the final stroke of nine. There I saw one i knew, and stopped him, crying:”Stetson! You who were with me in the ships at Mylae! That corpse you planted last year in your garden, Has it begun to sprout? Will it bloom this years? Or has the sudden frost disturbed its bed? Oh keep the Dog far hence, that’s friend to men, Or with his nails he’ll dig it up again! You!Hypocrite lecteur! - mon semblable, - mon frère!” In seguito al notevole sviluppo dell’ industria, in particolare chimica e termica, della motorizzazione,della concentrazione urbana, conseguenza diretta della nascita di grandi aree metrpolitane, si è avuto un sempre crescente aggravarsi del fenomeno. •LE PRINCIPALI CAUSE •LO SMOG •L’ AUMENTO DELL’ ANIDRDE CARBONICA •IL BUCO DELL’ OZONO •L’ EQUILIBRIO DINAMICO Il maggior responsabile dell’inquinamento dell’atmosfera è indubbiamente l’uomo, il quale provoca, direttamente o indirettamente, l’aumento delle “impurezze” presenti nell’aria: si tratta di particelle gassose, liquide e solide prodotte da attività industriali, da attività agricole e dall’utilizzazione di materiali radioattivi; esse vanno ad aggiungersi a quelle dovute a fenomeni naturali (polline, spore, ceneri vulcaniche, polveri sollevate dal vento ecc.). Siano esse naturali o artificiali, queste “impurezze” non interessano soltanto le zone in cui sono originate: difatti, i gas si mescolano e si diffondono nell’intera atmosfera con grande facilità; le sostanze liquide e quelle solide entrano in sospensione nell’aria, costituendo i cosiddetti aerosol atmosferici, che possono essere trasportati dai venti per notevoli distanze e talvolta riescono a propagarsi anche nell’alta atmosfera per effetto di correnti ascensionali. Le fonti industriali dell’inquinamento dell’atmosfera comprendono, per incominciare, i prodotti provenienti dagli impianti di eliminazione dei rifiuti e dai dispositivi di scarico; le fonti agricole includono i prodotti di irrorazione di insetticidi e pesticidi, da combustione di sterpi. A queste vanno aggiunte le impurità dovute agli scarichi dei veicoli a motore, che sono i principali produttori di monossido di carbonio, ossido di azoto e idrocarburi, oltre ad ossidi, cloruri e altri composti di piombo. In notevole misura contribuiscono, inoltre, i prodotti della combustione di caldaie a nafta, gas o carbone, impiegate per produrre calore o energia per abitazioni, esercizi commerciali e industrie; fra queste, le centrali termoelettriche sono le principali responsabili della presenza dell’anidride solforosa contenuta nell’aria. Uno degli inquinamenti più comuni nell’aria delle nostre città è l’anidride solforosa, prodotta dalla combustione di carbone e idrocarburi; in condizioni di forte umidità essa può trasformarsi in anidride solforosa e dar luogo alla formazione di aerosol di acido solforico. Queste sostanze producono lo smog. L’anidride solforosa può produrre effetti dannosi non soltanto agli organismi animali e vegetali ma perfino alle rocce. Quest’ultimo fenomeno è preoccupante per diverse città, perché può compromettere un patrimonio artistico di inestimabile valore culturale. Molti edifici monumentali, infatti, appaiono coperti di una crosta nerastra che intacca in superficie e lentamente deteriora le rocce calcaree usate frequentemente come pietre ornamentali e per sculture. Questa crosta solfatica deriva dalla trasformazione del carbonato di calcio in solfato di calcio ad opera dell’anidride solforosa, prodotta dalle industrie e dagli impianti di riscaldamento della città. Nell’aria delle regioni urbanizzate sono pure frequenti il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto e gli idrocarburi incombusti. L’ossido di carbonio che entra nella circolazione sanguigna si combina con l’emoglobina, formando carbossiemoglobina, che inibisce la capacità circolatoria nei confronti del trasporto di ossigeno. Estremamente nocivi sono anche i diversi ossidi di azoto; fra essi possiamo citare quello nitroso, ossia il protossido di azoto che è anche capace di distruggere l’ozono atmosferico. Gli idrocarburi dovuti ad un’incompleta combustione, sono dei tipi e delle composizioni più diversi; non è da escludere che alcuni di essi possono dar luogo alla formazione di sostanze cancerogene. Le fonti principali di questi inquinamenti sono rappresentate dai gas di scarico degli autoveicoli. L’aumentata immissione nell’atmosfera di ossidi ha reso allarmante il fenomeno delle cosiddette piogge acide che esercitano una serie di effetti dannosi sia per la vita animale che per quella vegetale. Uno degli episodi più drammatici finora registrati si è verificato in Scozia nel 1974: le piogge cadute durante un forte temporale mostrano un pH pari a 2,4, equivalente a quello dell’aceto. Tra le malattie che si associano con maggior frequenza all’inquinamento dell’aria da parte delle sostanze descritte si possono ricordare i disturbi e le lesioni broncopolmonari (la bronchite, l’asma, l’enfisema) che colpisce soprattutto gli abitanti delle grandi città e delle zone più industrializzate. Una forma di inquinamento atmosferico che interessa tutta la Terra, ed è particolarmente grave nelle aree urbane, è rappresentata dall’aumento della percentuale di anidride carbonica contenuta nell’aria. Questo aumento è in parte dovuto alla combustione di carbon fossile e idrocarburi, che va sempre crescendo; ma che è anche una conseguenza dei continui e spesso imprudenti diboscamenti effettuati dall’uomo: il troppo scarso rapporto fra superfici a verde e superfici a costruzioni intensive è il motivo per cui in molti casi non vi è vegetazione sufficiente per assorbire, con la fotosintesi clorofilliana, una parte dell’anidride carbonica presente nell’aria nelle zone antropizzate. La sua accresciuta presenza nell’atmosfera deve essere considerata nociva poiché testimonia la neutralizzazione di una certa quantità di ossigeno atmosferico ed è indice del grado di inquinamento raggiunto. Inoltre, anidride carbonica è una delle principali responsabili dell’assorbimento di radiazione termica da parte dell’atmosfera e quindi l’aumento della sua concentrazione può produrre un incremento dell’effetto serra, ossia un’innalzamento della temperatura dell’aria su tutta la superficie terrestre. Le esplosioni termonucleari nell’atmosfera hanno un effetto che merita attenzione: esse riscaldano l’aria circostante a temperature elevatissime e provocano così la dissociazione dell’azoto e dell’ossigeno, producendo grandi quantità di ossidi di azoto che si distribuiscono nella bassa e media stratosfera, dove più alta è la concentrazione dell’ozono. Un’altra sorgente antropogenica di ossido di azoto è costituita dagli aerei supersonici che volano nella bassa stratosfera. Se si considera che una certa quantità di ossidi di azoto viene prodotta pure dalla combustione di idrocarburi e dall’uso di fertilizzanti azotati in agricoltura, si comprende come alcune fonti di inquinamento possono alterare perfino il delicato equilibrio dell’ozonosfera; difatti, gli ossidi di azoto sono i principali responsabili della rimozione dell’ozono atmosferico. L’importanza del “buco dell’ozono”, o, un po’ meno impropriamente, di “buco nell’ozonosfera”, sta nel fatto che molti scienziati lo considerano un fenomeno abnorme di diminuzione dell’ozono totale (dal 1978 al 1992 ha subito una diminuzione a scala globale di circa il 3%). L’ipotesi più attendibile è che questo marcato processo distruttivo di ozono sia dovuto principalmente all’azione dei clorofluorocarburi utilizzati come propellenti (nelle bombole spray), come refrigeranti (nei frigoriferi e nei condizionatori d’aria) e come componenti di molecole attive nella distruzione dell’O3. Queste fonti di inquinamento rischiano di alterare i processi naturali di rimozione e ricostituzione dell’ozono atmosferico, con potenziale pregiudizio per tutta la biosfera. Difatti una riduzione dell’ozono comporterebbe una diminuzione della capacità di assorbimento delle reazioni solari ultra violette da parte dell’ozonosfera; queste radiazioni, arrivando in maggior quantità sulla superficie terrestre, potrebbero causare danni gravi all’uomo (disturbi agli occhi, eritemi, cancro alla pelle). A conclusione di queste note sull’inquinamento atmosferico, bisogna osservare che ognuno degli inquinanti immessi nell’aria ha una o “più sorgenti” che la producono ma anche uno o più “pozzi” che lo rimuovono dall’atmosfera. Ad esempio le polveri che cadono per gravità o che vengono spazzate via dalle precipitazioni; le particelle radioattive che si disgregano con il tempo o che sono eliminate dalle piogge; l’ozono stesso che viene rimesso da diversi processi naturali. L’anidride carbonica, oltre ad essere assorbita dalle piante subaeree, viene in gran quantità neutralizzata “dall’effetto tampone” delle acque del mare. Esiste, quindi, per ogni sostanza presente nell’aria un “tempo di resistenza” che è estremamente lungo per i costituenti principali dell’atmosfera, chiamati perciò anche “costituenti permanenti”. L’esistenza di questi ultimi indica che l’atmosfera si trova attualmente in uno stadio di equilibrio dinamico. Ma c’è da chiedersi fino a quando sarà capace di mantenerlo, cioè fino a che punto i processi naturali di “autodepurazione” dell’atmosfera saranno in grado di neutralizzare o di eliminare gli effetti negativi delle attività inquinanti umane, che vanno crescendo ogni giorno di più. La città rappresenta il centro abitato di una certa espansione territoriale che offre a una comunità di persone particolari condizioni di vita residenziale e sociale. La scelta delle località di stanziamento è facilmente riconducibile alle condizioni orografiche del territorio: le città sorgono nelle pianure fertili, lungo i corsi d’acqua, nelle baie ben riparate, nei luoghi elevati e facilmente difendibili, in prossimità di importanti nodi viari, ecc. Più complessa è l’evoluzione del disegno delle città che fa scopo a due direttrici-base del processo formativo: la progettazione unitaria del nucleo abitato e lo sviluppo spontaneo, progressivo e casuale, di tutto o di parte dell’organismo urbano. Le città rivelano, attraverso lo studio del loro disegno, il sovrapporsi ed il susseguirsi di queste due direttrici fondamentali che si integrano più o meno organicamente, sino a conferire un volto caratteristico e irripetibile agli agglomerati urbani. In effetti ogni città è il volto e la storia delle civiltà che la produce e la fruisce. Le città dell’antico Egitto con maglia urbana ortogonale, assi viari orientali, quartieri suddivisi per classi sociali, sono indicative dei contenuti gerarchici e religiosi della civiltà faraonica. Le polis greche e la loro trasformazione da organismi fortificati e arroccati in ‘città-stato’ pienamente funzionali con maglie viarie regolarizzate e spazi d’uso ben definiti (agorà, acropoli, ecc.) sono significative del divenire del pensiero e del modo di vita ellenico. L’organizzazione della civiltà romana emerge dalla pianificazione dei suoi stanziamenti urbani nel territorio metropolitano e nelle province: gli schemi ortogonali sono rigorosamente applicati, gli spazi pubblici e privati ben definiti e la tecnologia costruttiva supporta la razionalizzazione dei servizi necessari alla vita sociale di grandi comunità. Dopo la frantumazione dell’impero romano il nuovo assetto sociale della civiltà medievale è rivelato dal “racconto” delle città europee durante questo periodo: le nuove tipologie urbane nascono secondo le necessità, non da piani unitari, ma da momenti episodici e casuali. La città gravitante intorno ad un unico polo di attrazione (castello, cattedrale, piazza) è l’espressione più logica di una società in trasformazione come quella feudale e dei comuni. E con il decrescere del fervore edilizio e lo stabilizzarsi del primo stadio dell’urbanesimo, lo spirito del rinascimento prima e l’inventiva barocca poi forniscono le progettazioni delle ‘città ideali’ e le soluzioni scenografiche dei grandi complessi urbani. Si ritorna quindi all’idea della progettazione unitaria, matrice di un assetto ordinato e definito della città. Ma con l’avvento della civiltà industriale (XIX sec.) il nuovo urbanesimo snatura l’assetto e l’aspetto degli agglomerati urbani e del loro circondario. Le città crescono a dismisura, per fasce periferiche, e le funzioni produttive si associano ed entrano in contrasto con le funzioni residenziali: i centri storici non sopportano più le nuove funzioni. I problemi delle città di oggi nascono qui, fornendo i temi e le esperienze alla scienza dell’ urbanistica moderna. Disciplina che studia e progetta la sistemazione delle zone di insediamento urbano al fine di ottenere, sia per gli individui che per le loro attività produttive, le migliori condizioni funzionali. I risultati degli studi urbanistici che possono riguardare piani regolatori urbani, di sviluppo edilizio, di iniziative industriali, di viabilità e di trasporto, ecc. si differenziano secondo le condizioni geografiche e sociali. Perciò, oltre ad architetti e ingegneri, si occupano di problemi di urbanistica anche studiosi specializzati in altre discipline: economia, statistica, geografia economica e spaziale. L’esigenza di un tessuto urbano organizzato secondo schemi geometrici è presente già in città antichissime dell’Oriente, e in particolare nelle città ellenistiche e nelle colonie romane. Dopo il Medioevo, gli architetti del Rinascimento approfondiscono nei disegni e anche in qualche realizzazione il tema della ‘città ideale’ a pianta, di rigorosa concezione schematica. Nel periodo barocco l’urbanistica ha preoccupazioni di carattere prevalentemente scenografico. Fu solo nel XIX sec., con gli inizi dell’era industriale, che l’urbanistica assunse il carattere di scienza sociale. Ciò accade soprattutto in Gran Bretagna, dove l’immigrazione nei centri industriali e la conseguente pressione demografica crearono profonde trasformazioni sociali che richiesero massicci interventi riformatori. Da quel periodo, compito dell’urbanistica fu lo studio di intere zone, tali da assicurare la razionalità e salubrità delle abitazioni, la facilità di comunicazioni, la presenza di pubblici servizi e si elaborarono i ‘piani regolatori’ rivolti a disciplinare gli insediamenti già esistenti. Nel nostro secolo, i concetti dell’urbanistica hanno subito degli sviluppi soprattutto per quanto riguarda la destinazione dei vari quartieri urbani, la necessità della salvaguardia dei centri storici, la soluzione dei problemi del traffico. Recenti esempi di urbanistica si hanno nella ricostruzione di Le Havre dopo la II guerra mondiale, di Amsterdam, della ‘Grande Londra’, nel piano di Francoforte, negli esperimenti di decentramento condotti negli Stati Uniti, senza dimenticare poi la celebre realizzazione di Le Corbusier con le Unités d’habitation di Marsiglia, dove la residenza è connessa con altre funzioni tutte riunite in un unico luogo. I concetti urbanistici variano secondo le strutture politiche nei vari paesi: infatti in Stati dall’ideologia liberistica, compito dell’urbanistica è la creazione di ambienti che assicurino all’uomo la piena libertà di scelta; con strutture che proteggano tali libertà; mentre per l’ideologia socialista le singole libertà si possono sviluppare solo per mezzo di strutture comunitarie. Le norme disciplinanti le operazioni urbanistiche sul territorio italiano sono contenute in un corpo di leggi, tra cui fondamentale quella urbanistica. La pianificazione urbanistica incidendo nella proprietà privata e pubblica, è legata all’opera del legislatore che determina in quale misura la proprietà può essere sacrificata. Il rapporto tra l’uomo e la realtà si traduce nella pagina letteraria nella modalità di rappresentazione dello spazio che contorna la vita, rappresentazione che, investita da una pretesa di oggettività o sfocata nei suoi contorni, trova esiti espressivi continuamente differenti e progressivamente individua nella città un indiscusso protagonista. Nella produzione letteraria novecentesca la città diventa un tema ricorrente, pur se ogni singolo autore la descrive a seconda delle sensazioni che essa suscita nell’ ”io”, la vive, la sente a suo modo. Il mio intento è proprio quello di notare analogie e differenze fra poesie e brani di scrittori che hanno prestato attenzione a tale aspetto della realtà in cui viviamo. •DA CORAZZINI A SABA: LA CITTA’ NELLA POESIA •DA D’ANNUNZIO A VOLPONI: LA CITTA’ NEL ROMANZO MODERNO CORAZZINI Come in Gozzano, anche in Corazzini è il senso dello scacco, della rinuncia, la scoperta che non è dato più vivere in tempi propizi per la poesia, che ben oltre sono le sirene in cui sarebbe necessario ancorare la propria vita, che ormai è possibile solo assistere nella scomparsa del reale. Ma in Corazzini manca l’ironia ed il poeta è assai più ripiegato in se stesso, e volto al suo pianto. In quasi tutti i suoi componimenti è possibile riscontrare “l’attesa della morte”; così è da notare la descrizione della città di “Toblack” dove tornano i motivi della poesia corazziniana. Il pianto come unica cosa da offrire al silenzio: […] qualche piccola fontana che piange un pianto eternamente uguale al passare di ogni funerale […] L’incapacità di vivere nel presente: […] Le speranze perdute, le preghiere vane, l’audacie folli, i sogni infranti […] […] e tutte le defunte primavere, gli ideali morti, i grandi pianti de gli ignoti […] Il morire come riconquista del proprio essere e possibilità di poesia: […] e quanto v’ha TOBLACK d’irraggiungibile e di perduto è in questa tua divina terra, è in questo tuo sole inestinguibile, è nelle tue terribile campane, è nelle tue monotone fontane, VITA CHE PIANGE, MORTE CHE CAMMINA. MORETTI Nella lirica “A Cesena”, l’uggioso ambiente piccolo-borghese della città di provincia con la sua modesta e monotona routine è visto dal poeta come attraverso una grigia nebbia che lo ovatta e lo distanzia. Questo mondo piccolo-borghese e provinciale, che nella poesia crepuscolare è idoleggiato come rifugio sereno o è ironizzato nella sua monotona mediocrità, è qui rappresentato con un atteggiamento di estraneità che rende la lirica forse più complessa di quanto non sembri. 1 2 Piove. E’ mercoledì. Sono a Cesena, ospite della mia sorella sposa, sposa da sei, da sette mesi appena. Batte la pioggia il grigio borgo, lava la faccia delle case senza posa, schiuma a piè delle gronde come bava. 3 4 Tu mi sorridi e io sono triste. Forse triste è per te la pioggia cittadina, il nuovo amore che non ti soccorse, il sogno che non ti avvizzì, sorella, che guardi me con occhio che si ostina a dirmi bella la tua vita: bella, […] PALAZZESCHI La fugacità, la velocità, lo schiaffo, l’ebrezza, il problema di trovare le parole giuste per descrivere la complessità della vita, sono le tematiche essenziali del movimento FUTURISTA. Il nucleo, il problema fondamentale di tale poesia rimane lo stesso di quella crepuscolare, ma la reazione è totalmente opposta. Al pianto e all’ironia si sostituiscono il progresso e la violenza. Nella lirica “La passeggiata” tratta da “L’INCENDIARIO” sembra quasi di essere più davanti ad un collages piuttosto che ad una poesia. Questo inventariare la realtà non si esaurisce nella diminuzione del divertimento, ma sotto l’apparente impassibile registrazione mette a nudo il senso dell’assurdità delle cose stesse, la casualità di quegli accoppiamenti tra indicazioni così diverse e lontane, che sono come il simbolo di una realtà intimamente disgregata, frammentaria, incoerente. 33 40 47 […] Oggetti d’arte, quadri, antichità, 26 26 A. Corso Napoleone Bonaparte. Cartoleria del progresso. Si cercano abili lavoranti sarte. Anemia! Fallimento! Grande liquidazione! Ribassi del 90% libero ingresso. Hotel Risorgimento e d’Ungheria. Lastrucci e Garfagnoni, impianti moderni di riscaldamento: caloriferi, termosifoni. Via Fratelli Bandiera già Via del Crocifisso . 52 130 137 141 Saldo fine stagione, prezzo fisso. […] […] L’arte di non far figlioli. Gabriele Pagnotta strumenti musicali. Narciso Gonfalone tessuti di seta e di cotone. Ulderigo Bizzarro fabbricante di confetti per nozze. Giacinto Pupi, tinozze e semicupi. Pasquale Bottega fu Pietro, calzature… - Torniamo indietro? - Torniamo pure. SBARBARO Una vera e propria crisi di spersonalizzazione, di alienazione, avviene, invece, nel poeta vociano, attraversando, solo al sole, la città. Il gelo improvviso che cola nel suo cuore è quello dell’angoscia che sopravviene al sentire quella natura in cui si trova fraternamente immerso, farsi di colpo estranea. Lo “smarrimento”, che coglie il poeta è appunto quello di chi si è affacciato sul nulla avendo perduto i contatti con l’io e con il mondo. Per quanto egli si afferra alle apparenze del suo “misero angusto mondo”, accarezza tremante l’erba, con il terrore di essere risucchiato dalle “acque vorticose” del grande fiume del nulla. TALOR, MENTRE CAMMINO SOLO AL SOLE 5 Talor, mentre cammino solo al sole e guardo coi miei occhi chiari il mondo ove tutto m’appare come fraterno, l’aria la luce il fil d’erba l’insetto, un’improvviso gelo al cor mi coglie. 10 15 20 Un cieco mi par d’essere, seduto sopra la sponda d’un immenso fiume. Scorrono sotto l’acque vorticose, ma non le vede lui: il poco sole ei si prende beato. E se gli giunge talora mormorio d’acque, lo crede ronzio d’orecchi illusi. Perché a me par, vivendo questa mia povera vita, un’altra rasentarne come nel sonno, e che quel sonno sia la mia vita presente. Come uno smarrimento allor mi coglie, uno sgomento pueril. Mi seggo tutto solo sul ciglio della strada, guardo il misero mio angusto mondo e carezzo con man che trema l’erba SABA Oltre all’ambizione suprema del poeta del “consentire”, cioè sentire insieme, desiderare di immettere la propria vita “dentro la calda vita di tutti”, di essere “uomo tra gli uomini”, e dell’accettare totalmente la vita, non perché nella vita non ci sia spazio per il dolore, anzi esso ne è un ingrediente sostanziale, ma perché il compito che si prefigge lo scrittore è proprio quello di riconciliare i propri compagni di strada, assume notevole importanza il suo amore per Trieste, che non è amore del luogo natale nel senso fin troppo comune del termine, ma amore per i colori, i traffici, la folla anonima che circonda le strade. Trieste rappresenta, nel “Canzoniere”, soprattutto, uno stato d’animo, cioè quel populismo scontroso, quel misto di gioia e di tormento, di vitalità e di solitudine, che è l’animo del suo poeta. E’ proprio questo lo spirito che anima “CITTA’ NUOVA”; qui, infatti, vi è la cordiale rappresentazione di un angolo popolare di Trieste, ma il poeta non si china paternalisticamente su quel mondo, ma ci vive dentro e lo sente come un mondo popolato da creature simile a lui nelle quali, come in lui, “si agita il Signore”. CITTA’ VECCHIA Spesso, per ritornare alla mia casa prendo un’oscura via di città vecchia. Giallo in qualche pozzanghera si specchia qualche fanale, e affollata è la strada Qui tra la gente che viene che va dall’osteria alla casa o al lupanare, dove son merci e uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo, passando, infinito nell’umiltà. Qui prostitute e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggittore, la tumultuante giovane impazzita d’amore, sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore. Qui degli umili sento in compagnia il mio pensiero farsi più puro dove più turpe è la via. Nella lirica che segue, invece, è colto con efficacia quello che di dolce e insieme di aspro e pungente il poeta trovava nella città, quello che la rendeva così somigliante al suo amore. TRIESTE Ho attraversata tutta la città. Poi ho salita un’erta, popolosa in principio, in là deserta, chiusa da un muricciolo: un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città. Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore; come un amore con gelosia. Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via scopro, se mena all’ingombrata spiaggia, o alla collina cui, sulla sassosa cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa. Intorno circola ad ogni cosa un’aria strana, un’aria tormentosa, l’aria natia. La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva. Non solo la città nativa, ma anche altre città, come Firenze, Torino, Milano, luoghi di momentanee sistemazioni del poeta, evocano forti sensazioni nel suo animo. In “Milano”, contrariamente alla poetica crepuscolare, viene evidenziata l’immortalità della poesia; se, infatti, la nebbia scura la luminosità delle stelle tuttavia, non può far altrettanto per la poesia. MILANO Fra le tue pietre e le tue nebbie faccio villeggiatura. Mi riposo in Piazza del Duomo. Invece di stelle ogni sera si accendono parole. Nulla riposa della vita come la vita. D’ANNUNZIO D’Annunzio descrive la città di Roma mettendo in risalto, attraverso la voce del personaggio principale Andrea Sperelli, la predilizione per la Roma tardo-rinascimentale e barocca (“non la Roma dei Cesari mà la Roma dei Papi”). Il protagonista descrive la propria parabola esistenziale nella Roma salottiera e pettegola, nei parchi e nei palazzi nobiliari già meta dello stesso poeta. […] Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari mà la Roma dei Papi; non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fòri, ma la Roma delle Ville, delle Fontane, delle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo Vaccino per la Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per la Fontanella delle Tartarughe. La magnificenza principesca dei Colonna, dei Doria, dei Barberini l’attraeva assai più della ruinata grandiosità imperiale. […] CALVINO Rifacendosi alla vicenda del GRAN KAN della Cina, tratto dal “Milione” di Marco Polo, Calvino scrisse “Le città invisibili”, cioè inesistenti luoghi dell’anima anziché luoghi geografici quelli in cui gli uomini non riusciranno mai a vivere. Ecco allora la città di Isidora, che spegne ogni desiderio dell’uomo, perché ogni desiderio è già un ricordo. Ecco la città di Despina dove ognuno cerca qualcosa di opposto a quello da cui fugge. Alla fine dei sogni, però, il Gran Kan è angosciato poiché reputa impossibile trovare sull’atlante tutti i luoghi indetti da cui fuggire; ma Polo, cioè Calvino risponde così: […] L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà se ce n’è uno, è quello che già è qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. VOLPONI Nella letteratura della fabbrica di Volponi non poteva mancare la descrizione della città industriale: nell’incipit del romanzo “Le mosche del capitale”, infatti, viene descritta, attraverso lo sguardo dell’ingegner Saraccini, che crede alla propria funzione e alla funzione del capitale nella società moderna, la città industriale sottolineando il senso di alienazione che essa provoca nell’animo dell’operaio anche nel momento del suo riposo (“tre ore prima dell’alba”): […] “Dormono tutti o quasi, e anche coloro che sono svegli giacciono smemorati e persi […] Quasi tutti dormono sotto l’effetto del Valium, del Tavor e del Raipnol”.[…] Non solo l’uomo, ma tutto il mondo industriale dorme: dagli impianti ai forni, dalla stazione alle farmacie notturne, dall’oro e l’argento ai titoli industriali. “E MENTRE TUTTI DORMONO IL VALORE AUMENTA, SI ACCUMULA SECONDO PER SECONDO ALL’APERTO O DENTRO GLI EDIFICI”. Secondo la dottrina marxista la storia è governata dalla legge della lotta di classe. L’uomo è il soggetto della storia. Egli però lo è attraverso il proprio lavoro, quindi non come essere isolato, ma come essere sociale; l’uomo perciò determina la storia in virtù del ruolo che in essa svolge, e questo ruolo dipende dalla classe cui egli appartiene. L’appartenenza a una classe è determinata dal tipo di fonte da cui si trae il proprio reddito. In questa prospettiva il possedere o no una proprietà privata appare elemento decisivo: e in particolare nella società capitalistica è decisivo il possesso dei mezzi di produzione. La proprietà privata ha diviso l’umanità in oppressori ed oppressi, in proprietari e sfruttati, in capitalisti e proprietari. La borghesia, là dove è giunta al potere, ha distrutto le condizioni di vita feudali e ha rivoluzionato gli strumenti di produzione e tutto l’insieme dei rapporti sociali. Essa ha trascinato nella civiltà anche le nazioni più barbare, ha assoggettato la campagna al dominio della città, ha creato una società nuova, la moderna società borghese. Tuttavia, così facendo, ha posto in movimento un processo che non riesce più neppure a controllare. Proprio tutti quei mezzi che ha prodotto le si rivoltano tra le mani e minacciano la sopravvivenza stessa della società borghese. Infatti essa ha creato anche gli uomini che useranno contro di lei quelle armi: i proletari. Non solo, poiché per una legge interna al proprio sviluppo la borghesia produce sempre nuovi proletari e restringe progressivamente il numero dei capitalisti, essa ha fatto sì che la lotta del proletariato contro la borghesia divenisse la lotta “dell’enorme maggioranza nell’interesse dell’enorme maggioranza”. Il proletariato appare così l’unica classe veramente rivoluzionaria l’unica classe capace di sovvertire l’ordine capitalistico e di sostituire a esso non il predominio di una classe sull’altra, ma la compiuta liberazione dell’umanità. Il comunismo, sopprimendo la proprietà privata borghese, sostituirà una società senza classi, rovesciando così “la base di tutti i rapporti di produzione e le forme di relazione finora esistenti”. Ora lo sviluppo economico capitalistico entra in crisi perché i rapporti di produzione borghese, fondati sulla proprietà privata vengono ad ostacolare un utilizzo delle risorse adeguato alla quantità e alla qualità delle forze e delle capacità produttive messe in atto. Le contraddizioni della società borghese consentono così la realizzazione di uno stato di cose nuovo: “Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. (L’ideologia tedesca) Il proletariato si impadronisce dello stato e per prima cosa trasforma i mezzi di produzione in proprietà dello stato; si giungerà così alla soppressione di ogni differenza e di ogni antagonismo di classe e anche alla soppressione dello stato. Infatti lo stato, divenuto con la soppressione delle classi effettivamente il rappresentante di tutta la società, è superfluo: esso si estingue. Con il superamento della alienazione e della divisione del lavoro, caratteristiche del capitalistico, il comunismo realizzerà una società in cui teoria e prassi non saranno più disgiunte e in cui si avranno il vero umanesimo e il vero naturalismo. L’uomo non sarà più valutato in base a ciò che produce, come accade nell’odierno capitalismo, ma per ciò che è. Con la realizzazione del comunismo saranno modificate tutte le condizioni di vita, sia economiche che sociali che politiche. Anche le idee subiranno una trasformazione profonda. Infatti “le idee dominanti di un’epoca furono sempre soltanto le idee della classe dominante”. Ora, poiché nella società borghese il dominio della borghesia poteva avvenire solo come predominio sul proletariato, ne consegue che anche la cultura borghese poteva realizzarsi solo in funzione di un asservimento del proletariato. Nella società comunista invece la soppressione delle classi e l’abolizione del dominio di una classe sull’altra faranno nascere una cultura affatto nuova.