Come oggi sui banchi di scuola o sui muri leggiamo dichiarazioni d’amore, Anche nell’antica Roma, i giovani manifestavano i loro sentimenti incidendoli sui muri (graffiti), sui muri di Pompei si trovano versi che sembrano poesie. Se le persone comuni scrivevano parole d’amore sui muri, molti poeti raccontavano i loro amori in versi. Tra questi poeti ricordiamo: Catullo, Tibullo, Ovidio. Catullo scrisse molti versi per la sua amata Lesbia, che in realtà si chiamava “Clodia” ed era una vedova che aveva molti amanti. Catullo l’amò molto e scrisse per lei molti carmi. In alcuni la celebrava come “Dea dell’amore”, in altri le rinfacciava la sua fedeltà. Anche Tibullo cantò il suo amore per Delia, una donna che però si rivelò infedele e avida. Propezio invece amò Cinzia che lo tradì. Ovidio negli “amores” cantò la passione per la bella Corinna. Le evidenti somiglianze nei modi in cui si esprimono le diverse sfaccettature del Sentimento d’amore ci fanno sentire vicini agli uomini di quei tempi. Ma sappiamo anche che molte altre cose si sono modificate: nei secoli tra la repubblica E l’impero cambiano le forme di cerimonia matrimoniale, si tempera il potere del marito Nella famiglia, il matrimonio inteso come contratto lascia qualche spazio a sincere Manifestazioni d’affetto tra coniugi. Il mondo delle convenzioni sociali non è Impermeabile all’universo del sentimento. Per i Romani lo scopo del matrimonio era garantire una discendenza alla famiglia. Ci si sposava molto giovani ed erano i rispettivi genitori a combinare i matrimoni o ad accordarsi sulla dote. Il matrimonio poteva essere celebrato in 3 modi: Confarreatio, coempitio e usus. Il rito della confarreatio consisteva in un offerta a Giove; la coemptio era un vendita simbolica, in cui il padre della sposa la vendeva al marito; con l’usus una coppia di fidanzati, dopo aver convissuto per un anno poteva considerarsi sposata. Col tempo queste forme di matrimonio sparirono, soppiantate da una nuova cerimonia. Tutto cominciava con il fidanzamento alla presenza di parenti e amici. Era una festa in cui il fidanzato consegnava alla promessa sposa dei regali e un anello, che veniva messo nel dito vicino al mignolo, quello che non a caso si chiama anulare. Il giorno delle nozze la donna indossava: una tunica orlata, un mantello e sandali color zafferano. I capelli erano raccolti in una crocchia mentre il volto era coperto da un velo arancione. Quando la sposa era pronta, iniziava la cerimonia vera e propria alla presenza della famiglia, dei testimoni e degli invitati. Durante la cerimonia veniva sacrificato un maiale, esaminato in seguito da un indovino. Il banchetto nuziale doveva durare fino al tramonto, al termine la sposa veniva condotta nella sua nuova casa. Giunti a destinazione, la sposa veniva sollevata per far sì che varcando la soglia non inciampasse. Nella nuova famiglia il marito sarebbe stata la massima autorità. I principali strumenti che le donne romane usavano per sedurre gli uomini erano Acconciature elaborate, trucchi, unguenti profumati e gioielli. In età imperiale la moda cominciò ad imporre pettinature monumentali, con cascate di riccioli e trecce sovrapposte, realizzate da schiave apposite come le ornatrices, ossia le pettinatrici. Se la padrona aveva pochi capelli, si applicavano delle parrucche fatte con capelli veri. Sistemati i capelli la toiletta della donna continuava con il trucco: come fondotinta si usava una sostanza colorante bianca, guance e labbra si coloravano di rosso e le palpebre con ombretti ricavati da pietre colorate. Alla matrona dopo il trucco restava scegliere i gioielli: orecchini(maures), spille, collane, braccialetti e anelli spesso arricchiti da pietre preziose. Anche gli uomini erano attenti all’aspetto fisico, sin dal II sec A.C. la barba si portava incolta e lunga solo in caso di disgrazia. Per i giovani romani il momento della prima rasatura era molto importante perché segnava il passaggio all’età adulta. Gli uomini per radersi solitamente si affidavano a uno schiavo apposito, un tonsor (barbiere). Per quanto riguarda i capelli si limitavano ad acconciarli ma una delle preoccupazioni maggiori era la calvizia che nascondevano con pettinature apposite. • • Expectata dies aderat dignisque hymenaeis matres, Viri atque iuvenes ante ora parentum conveniunt. Dant famuli manibus lymphas onerantque canistris dona Cereris et pinguia animalium viscera ferunt. Series infinita rerum: alituum pecudumque genus capreaeque sequaces non absunt illic neque oves haedique petulci et genus aequoreum, dammae cervique fugaces. Ante oculos interque manus sunt mitia poma. Postquam extempa est fames, crateras magnos statuunt Bacchumque ministrant. Sacra canunt, plaudunt choreas et carmina dicunt. Thracius sacerdos longa cum veste obloquitur septem discriminia vocum. At ex alia parte dat tibia biforem cantum. Cuncti consurgunt, per limina laeta discurrunt variantque vices, populusque patresque, matronae, pueri, vocemque per amplus atria voluntant; dependent lychni laquearibus aureis. Ecce tandem sponsa Veneri cara! Habitum induit, cui rubor ignem subicit, fert picturatas auri subtemine vestes, ornatus Agrivae Helenae qualis videri solet caelicolis aurea Venus, talem se laeta fert ad soceros. • Il giorno desiderato era arrivato e ai degni imenei, convengono le madri gli uomini e i giovani davanti ai volti dei parenti. I servi con le mani danno l’acqua e collocano nei cesti i dono di Cerere e portano le ricche viscere degli uomini. Infinite serie di cose: generi di uccelli e di bestiame, di ingorde capre selvatiche, li non mancano né pecore, capretti, cozze e generi marini, i dami e i cervi che sfuggono. Davanti sugli occhi e tra le mani ci sono i dolci pomi. Dopo che fu tolta la fame mettono grandi vasi e versano il vino, cantano versi sacri, applaudono ai cari e dicono versi. Il sacerdote di Tracia, con una lunga veste, accompagna al canto sette generi di voci. Ma da un’altra parte la tibia dà un canto duplice. Tutti quanti si alzano, camminano per i sentieri lieti e cambiano i ruoli e il popolo, i pardi, le matrone, i fanciulli fanno risuonare la voce per gli ampi atrii, lampade pendono dai candelieri dorati. Ecco finalmente la fidanzata cara a Venere! Indossa l’abito a cui il rossore aggiunge il fuoco, porta vesti dipinte con trame dorate ornamento dell’Argiva Elena, quale si vuole mostrare ai celesti l’aurea Venere che si porta lieta ai suoceri. Tito Livio Nell’opera di Tito Livio intitolata “Ad urbe condita” si parla di una competizione per Assodare quale tra le mogli dei romani, ospiti di Sesto Tarquina fosse la più fedele. Ogni uomo Elogiava la propria donna così, durante questa accesa discussione Collantino afferma che sua moglie Rappresentava l’esempio tipico di donna laboriosa e fedele al marito. Per dimostrarlo A tutti propose di andare a Collazia per andare a constatarlo di persona. Così tutti si diressero a Collazia, dove trovarono Lucrezia che a notte fonda fila la lana in mezzo alle sue ancelle i Indaffarate. Metre la altri mogli si dilettavano tra i banchetti, dunque la vincitrice fu Lucrezia. Secondo una leggenda Lucrezia decretò la fine della monarchia e l’inizio del regime repubblicano, In seguito al suo suicidio dovuto al disonore provato dopo essere stata violentata dal re Tarquino il Superbo.