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Dr. Massimo Pietrangeli - Pediatria O.C. di Pescara
Info: 348.8621980
Corso alle
ASSISTENTI SPECIALIZZATE PER
GIOVANI DIVERSAMENTE ABILI
Dott. Massimo Pietrangeli
Neonatologo - Pediatra
Perfezionato in Scienze Motorie
Istruttore Pediatric Basic Life Support
IL BAMBINO
DIVERSAMENTE ABILE

L’ ETA’ EVOLUTIVA non è un concetto
puramente cronologico, ma un periodo della
vita umana dominato e regolato da leggi
specifiche, e la cui principale caratteristica
( che non deve essere mai tradita ) è
rappresentata dalla NECESSITA’ per il
bambino DI APPRENDERE in maniera
creativa, al fine di costruire una realtà
personale inseribile armonicamente in una
dimensione sociale più ampia e totalizzante.
DISABILITA’ e SOCIETA’
Qualsiasi programma che interessa
l’età evolutiva deve obbligatoriamente
considerare queste due esigenze :
 Il rispetto più rigoroso delle esigenze
evolutive e
 La disponibilità dialettica della società a
proporsi al B. in termini di
comprensibilità, accettabilità, coerenza
REQUISITI FONDAMENTALI

Verificare la Propria disponibilità e
la Propria capacità di mettersi al
servizio del B diversamente abile,
sempre sgombrando il più possibile il
campo da pregiudizi, preconcetti,
luoghi comuni, impostazioni culturali
rigide che limitino eccessivamente o
del tutto il lato istintivo dell’approccio
al mondo dell’handicap
REQUISITI FONDAMENTALI


Preparazione specifica per poter
meglio affrontare i diversi tipi di
handicap
Verifica periodica - in equipe - della
bontà dei metodi e delle metodiche
adottate, in maniera critica, analitica,
e con la massima disponibilità a
cambiare tiro, a rimettere
continuamente in discussione ed
eventualmente modificare l’approccio
PREREQUISITI
FONDAMENTALI



CAPACITA’ / ABILITA’ personale
innata, istintiva
Grande ELASTICITA’ MENTALE
Grande AMORE verso il prossimo,
specie quando questo ci si mostra
sotto le spoglie del diversamente
abile o dell’inabile totale
HANDICAP e
SOCIALIZZAZIONE INFANTILE

•
•
Anni fa si parlava di INSERIMENTO
( “mettere dentro” un B cosiddetto “con
dei problemi” assieme a BB cosiddetti
“BB normali” )
Oggi si parla di SOCIALIZZAZIONE
Ma come socializziamo? Il problema di
fondo è che il gruppo in genere tende a
rapportarsi al B come persona
handicappata, dunque al suo handicap
e non all’individuo in quanto persona
QUALE SOCIALIZZAZIONE


Il modo diverso di rapportarsi del gruppo
nei confronti del B, e viceversa, conduce
a un modo diverso di socializzazione.
“Abbiamo un epilettico”, “Abbiamo un
mongoloide”, “Abbiamo un cieco”: sono
frasi che testimoniano inequivocabilmente
come il B in quanto persona passi in
secondo piano rispetto alla sua malattia o
al suo disturbo
COME RAPPORTARCI


Chiediamoci allora tutti COME ci
rapportiamo col B con handicap
nonostante il suo H, a prescindere dal
suo H, e
Proviamo ad accostarci a quel B come
persona che, fra tutte le sue varie
caratteristiche, ha anche quella dell’ H
di cui è portatore ; proviamo ad
accostarci a quel B come facciamo col
gruppo di BB “normali”
QUANTO E’ IMPORTANTE
SENTIRSI ACCETTATI

Il B diversamente abile riuscirà a
socializzare in misura direttamente
proporzionale al modo in cui verrà
accettato come PERSONA GLOBALE,
e questo discorso sarà fondamentale,
importantissimo per la possibilità di
realizzare degli specifici programmi
di lavoro
BISOGNI ESSENZIALI DEL D.A.
NELLA SOCIALIZZAZIONE



Essere riconosciuto come
PERSONA
Poter esprimere e condividere le sue
angosce inerenti al suo handicap
Realizzare, conoscere meglio, le
specifiche difficoltà che ruotano
intorno al suo handicap
CONOSCERE IL BAMBINO

Il primissimo “step” è quello di stabilire
un rapporto con la famiglia, per una
conoscenza che offra la possibilità di
farsi un’idea il più possibile esatta sulla
STORIA del B, per poi impostare in
maniera conseguente un programma di
lavoro che sia concordante con ciò che
viene implicitamente realizzato in ambito
familiare
STRATEGIE per CONOSCERE
il BAMBINO
 OSSERVARE

REGISTRARE

RIFLETTERE

ENTRARE IN COMUNIONE

Da tutto ciò, dallo studio della sua
storia pregressa, della sua storia
familiare, dei suoi problemi oggettivi,
dalla riflessione su ciò che il B con
difficoltà vuole esprimere, e dall’ analisi
dei bisogni per i quali egli chiede delle
risposte, potrà scaturire un corretto
programma di lavoro

PROGRAMMA DI LAVORO
Solo con l’approccio che dicevamo, e con
un lavoro svolto collegialmente da parte
della famiglia, del personale medico,
dello psicologo, del fisioterapista,
dell’insegnante di sostegno e degli
assistenti, sarà possibile svolgere un
programma di lavoro che diventa un
discorso INDIVIDUALE, costruito e
realizzato su misura partendo dalle
CARATTERISTICHE e dai BISOGNI
del Bambino diversamente abile
LA SCUOLA
E’ DI TUTTI
E DI CIASCUNO



Socializzazione, secondo Sergio Neri,
significa rottura degli schemi prestabiliti,
per cui
FAR SOCIALIZZARE UN B NON
SIGNIFICA ADATTARE UN B ALLA
SITUAZIONE SCOLASTICA, MA
ADATTARE LA SITUAZIONE SCOLASTICA
AI BISOGNI DEI BB, rendendo il
problema del B un problema del gruppo,
e qui realizzare il significato ultimo della
socializzazione, intesa come una
modificazione che investe tutta la
persona ma anche tutto il gruppo in cui
essa viene ad inserirsi
FORMAZIONE-SOCIALIZZAZIONE


E’ dunque un “modello circolare”, in cui il
bisogno del singolo viene recepito dal
gruppo, il quale lo elabora e dà una
risposta che nello stesso tempo fa
maturare il gruppo medesimo
Dunque non si seguono più, come una
volta, le due linee della socializzazione e
della formazione, in quanto la formazione
fa parte integrante della socializzazione


La socializzazione, con questo scambio
bidirezionale, acquista dunque un
significato di COMUNICAZIONE, e
comunicazione in questo caso significa
CONOSCERE dall’una e dall’altra parte,
vale a dire mettere assieme le cose che si
hanno: i BISOGNI del D.A. e la capacità
di risposta da parte del gruppo di cui il
D.A. viene a far parte
Dal momento che il comunicare del D.A.
si realizza nei modi più svariati, la scuola
proporrà delle attività che permettano lo
sviluppo della sua personalità infantile
IL D.A. NELLA SCUOLA
CONSIDERAZIONI GENERALI
1.
La socializzazione dipende fortemente
dalla capacità che gli operatori hanno di
modificare il contesto in cui il ragazzo
viene ad inserirsi, affinchè in quel contesto
il ragazzo possa esprimersi al meglio
2.
Ogni B, H o non H, dovrebbe avere un
proprio piano di lavoro

3.
Spesso un genitore vive la propria
relazione con i figli con handicap con un
senso di colpa o di vergogna che
deve essere aiutato a superare non certo
colpevolizzando ulteriormente la
famiglia, ma cercando di coinvolgerla al
meglio, direttamente, in un programma
di recupero e/o potenziamento delle
capacità e delle potenzialità del B
4.
Per q.r. la valorizzazione delle
potenzialità e delle capacità del B, va
ricordato che nel momento in cui noi
parliamo di “BAMBINO portatore di H” ci
accostiamo implicitamente ai suoi aspetti
positivi e quindi alla possibilità di sviluppare
le sue potenzialità, esattamente al contrario
di quando – adottando etichette tipo
“l’epilettico”, “il mongoloide” – concentriamo
la nostra attenzione sulla malattia, sugli


E’ SOLAMENTE RINFORZANDO GLI
ASPETTI POSITIVI ANCORA
DISPONIBILI CHE ESSI POSSONO
ESSERE SVILUPPATI E POTENZIATI,
CON MIGLIORAMENTI SPESSO
MOLTO ECLATANTI O ADDIRITTURA
SORPRENDENTI
IL CERVELLO NON FUNZIONA “PER
COMPARTIMENTI STAGNI”, PER CUI,
AD ESEMPIO, UN MIGLIORAMENTO
NELL’AREA VISIVA SI RIFLETTERA’
POSITIVAMENTE SULL’AREA
MOTORIA, E VICEVERSA…
SOCIALIZZARE IL PROBLEMA
DEL DIVERSAMENTE ABILE



Il problema dell’educazione va
“socializzato” alla famiglia
Deve esservi continuità anche nelle
attività specifiche della riabilitazione, le
quali è bene non siano asettiche,
separate dal contesto della vita familiare
del bambino D.A.
Socializzare il problema del D.A. significa
renderne partecipi tutte le persone che
col B hanno delle relazioni



Socializzarlo vuol dire quindi partire da
ciò che di positivo è avvenuto all’interno
del gruppo e all’interno della
comunicazione ( non del solo D.A. )
Non ci può né ci deve essere un
intervento su due binari diversi, uno della
socializzazione e l’altro della riabilitazione
o del recupero, ma le due cose devono
essere integrate
Le dinamiche del D.A. e del gruppo
varieranno continuamente e vanno
conseguentemente aggiornati obiettivi,
strategie e metodi
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il bambino cerebroleso diversamente abile 2